Focus di pratica professionale di Luca Caramaschi Dietrofront delle Entrate sul riconoscimento dei crediti derivanti da dichiarazioni omesse Con la recente C.M. n.34/E del 6 agosto 2012, l’Agenzia delle Entrate cambia rotta sul tema del riconoscimento delle eccedenze a credito (in particolare Iva) che non emergono da dichiarazioni correttamente presentate in quanto omesse. Ciò che in passato poteva essere regolarizzato attraverso il potere di autotutela esercitato dagli Uffici (il riferimento è agli esiti derivanti dal controllo formale delle dichiarazioni che contestano tanto il mancato riconoscimento del predetto credito quanto l’utilizzo in compensazione delle predette eccedenze) sarà in futuro, a seguito degli intervenuti chiarimenti, fermamente sanzionato dall’Agenzia. Secondo il citato documento di prassi, dunque, il contribuente che versa in tale situazione sarà tenuto a restituire all’Erario sia il credito disconosciuto che l’eccedenza di credito indebitamente utilizzata in compensazione mentre potrà – ferme le sanzioni e gli interessi (questi ultimi sulle indebite compensazioni) - recuperare tale credito solo attraverso la richiesta del rimborso c.d. “anomalo”, e cioè tramite la presentazione dell’istanza nel termine biennale previsto dall’art.21 del D.Lgs. n.546/92. Nella fase pre contenziosa, a seguito del mancato pagamento dell’avviso di liquidazione e della conseguente impugnazione della successiva cartella, la richiamata C.M. n.34/E riconosce al contribuente la possibilità di ottenere, in sede di accordo di mediazione o di conciliazione giudiziale, lo “scomputo” da quanto richiesto in pagamento al contribuente del credito Iva riconosciuto come spettante. Il tutto previo riconoscimento delle sanzioni e degli interessi. Tale scomputo viene invece precluso – in quanto non ritenuto compatibile dall’Agenzia – nella precedente fase di definizione dell’avviso bonario. La fattispecie “incriminata In occasione delle attività di controllo formali delle dichiarazioni fiscali, spesso, l’Amministrazione Finanziaria ha rilevato e rileva tuttora fenomeni di utilizzo in compensazione (sia orizzontale che verticale) dell’eccedenza di un’imposta a credito generata nel precedente periodo d’imposta per il quale la relativa dichiarazione risulta omessa. L’attività di controllo automatizzata, dunque, si esplica nella dichiarazione successiva a quella in cui il credito si è formato (spesso legittimamente), in quanto solo in questa occasione l’Agenzia delle Entrate può avere contezza del fatto che gli “utilizzi” eseguiti nel periodo d’imposta riguardano un credito a riporto che non trova riscontro in alcuna dichiarazione precedentemente presentata. Il fenomeno ha riguardato soprattutto il credito Iva annuale e, quindi, le procedure di liquidazione delle dichiarazioni Iva effettuate ai sensi dell’art.54-bis del DPR n.633/72, ma la situazione interessa, come preciseremo meglio in seguito, anche le procedure di cui all’art.36-bis del DPR n.600/73 e cioè il controllo formale delle dichiarazioni dei redditi (Irpef e Ires) e dell’Irap. Facciamo un esempio per chiarire definitivamente il concetto. La riproduzione con qualsiasi metodo è vietata La Circolare Tributaria n.38 dell’8 ottobre 2012 11 Esempio Mario Rossi imprenditore rileva dall’ultima liquidazione periodica dell’anno 2010 un credito Iva di € 10.000 ma omette di presentare la dichiarazione annuale IVA2011 per l’anno 2010 (è bene precisare che non vi sono comunque situazioni che legittimano una rettifica di tale credito quali ad esempio una diversa percentuale di pro rata o la necessità di operare la rettifica della detrazione). Nel corso del 2011 Mario Rossi ha utilizzato il predetto credito in parte nelle liquidazioni periodiche Iva (per € 5.000) ed in parte in compensazione orizzontale con altri tributi e contributi tramite presentazione del modello di pagamento F24 (per i residui 5.000). In occasione della presentazione della dichiarazione annuale IVA2012 per l’anno 2011, Mario Rossi evidenzia quale credito a riporto dall’anno precedente € 10.000, evidenziando altresì nel quadro VH (attraverso la compensazione in fase di liquidazione periodica) e nel quadro VL per le compensazioni effettuate. È proprio dal controllo della dichiarazione IVA2012 per l’anno 2011 validamente presentata che l’Agenzia delle Entrate rileva “l’inesistenza” del credito riportato contestando sia tale credito e, quindi, anche le compensazioni dello stesso effettuate. In queste situazioni, a controllo automatico avvenuto, al contribuente non risulta possibile accedere ad alcuna forma di “autocorrezione” (tipicamente la presentazione tardiva della dichiarazione) e ciò alla luce della previsione contenuta dell’art.2, co.7 del DPR n.322/98 che considera omessa anche la dichiarazione presentata con un ritardo di oltre novanta giorni nonostante la norma successivamente affermi che la stessa costituisce “comunque, titolo per la riscossione delle imposte dovute in base agli imponibili in esse indicati e delle ritenute indicate dai sostituti d’imposta”. Tale affermazione poteva far pensare che anche una dichiarazione presentata oltre i 90 giorni e quindi “omessa” potesse comunque assolvere alla funzione di “far conoscere” all’Amministrazione Finanziaria e quindi di riconoscere nella fase di riscossione l’eventuale eccedenza di credito. Di diverso parere e con toni molto decisi, la C.M. n.34/E scorso interviene per affermare che: “Dal tenore letterale della disposizione emerge che le dichiarazioni c.d. “tardive” costituiscono per l’Amministrazione Finanziaria titolo per la riscossione delle imposte che ne derivano, mentre nulla viene disposto in ordine agli eventuali crediti ivi indicati. Tale mancata previsione da parte del Legislatore consente di affermare che la dichiarazione presentata con un ritardo di oltre novanta giorni non è titolo per il riconoscimento dei crediti ivi esposti”. A fronte della contestazione emergente dagli avvisi di liquidazione emessi ai sensi dell’art.54-bis del DPR n.633/72 e art.36-bis del DPR n.600/73 e delle relative pretese sanzionatorie, dunque, nessuna possibilità di autocorrezione si profila per il contribuente che a questo punto vede, in linea torica, profilarsi tre strade: 1. pagare quanto richiesto dall’avviso di liquidazione (ammontare del credito disconosciuto, utilizzi dello stesso, sanzioni ed interessi); 2. ignorare l’avviso di liquidazione ed attendere la successiva cartella di pagamento ai fini dell’instaurazione del contenzioso (con possibile attivazione dei noti strumenti deflattivi del contenzioso quali la procedura di mediazione e conciliazione giudiziale); 3. rivolgersi all’Ufficio per tentare l’annullamento dell’avviso in autotutela. Se in passato, per i casi di eccedenze a credito pienamente legittime, quest’ultima è stata la via maggiormente praticata dai contribuenti (spesso risoltasi positivamente), a seguito delle posizioni assunte dall’Amministrazione Finanziaria nella richiamata C.M. n.34/E e in assenza di ripensamenti, la via dell’autotutela risulta ad oggi completamente preclusa. La riproduzione con qualsiasi metodo è vietata La Circolare Tributaria n.38 dell’8 ottobre 2012 12 A conferma di ciò, l’ulteriore affermazione contenuta nel citato documento di prassi laddove si afferma che: “l’illegittimità dell’omissione della dichiarazione da parte del contribuente, infatti, non ha consentito all’Amministrazione di avere contezza del credito nel momento in cui lo stesso è sorto e di attivare, se del caso, gli opportuni riscontri, rappresentando un obiettivo ostacolo all’attività di controllo”. E in quanto di ostacolo all’attività di controllo non può che trattarsi, secondo l’Agenzia, di fattispecie da sanzionare. Ancorché, l’Agenzia delle Entrate nella C.M. n.34/E invochi l’applicazione dell’art.13 del D.Lgs. n.471/97 e quindi della sanzione del 30% in relazione al “maggior debito di imposta e della minore eccedenza detraibile” conseguenti al mero disconoscimento del credito, si ritiene, al contrario, che la stessa debba certamente trovare applicazione per i casi di indebito utilizzo in compensazione del predetto credito ma non anche il presenza del mero disconoscimento in assenza di utilizzi dello stesso. In questo caso, infatti, laddove sia verificata e accertata la bontà del credito, nessun danno risulta perpetrato nei confronti dell’Erario, e di conseguenza, quale violazione formale che è certamente di ostacolo all’attività di controllo andrebbe sanzionata nella tradizionale misura fissa di €258. La vecchia posizione dell’Agenzia favorevole al contribuente Le molte situazioni verificatesi prima del recente chiarimento di prassi e che hanno condotto spesso all’annullamento dei predetti avvisi di liquidazione, con conseguente riconoscimento del credito legittimamente spettante da parte degli Uffici, muovevano dai contenuti della R.M. n.74/E/07, oggi ufficialmente sconfessate dalla C.M. n.34/E/125. Nel documento di prassi del 2007, infatti, si precisava molto chiaramente che: “…il diritto alla detrazione è, in ogni caso, subordinato all’accertamento dell’esistenza del credito relativo all’anno per il quale la dichiarazione Iva risulta omessa, a norma dell’art.55 del DPR n.633/72. In altri termini il diritto alla detrazione è ammesso purché l’esistenza del credito Iva sia accertata dall’ufficio a seguito dell’attività di controllo dell’annualità per la quale la dichiarazione è stata omessa…In conclusione, la scrivente è dell’avviso che l’eccedenza di credito Iva maturata in un anno in cui la dichiarazione annuale risulta omessa potrà essere computata in detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto - fermo restando il potere/dovere dell’ufficio, nell’ambito del programma annuale dell’attività di controllo, di accertare l’esistenza del credito medesimo maturato nell’anno in cui la dichiarazione annuale è stata omessa, a norma del richiamato art.55 del DPR n.633/72.”. Legittimamente, dunque, i contribuenti eccepivano la spettanza sostanziale del credito, ancorché non dichiarato, proprio sulla base di questo potere/dovere dell’Ufficio di attivare gli opportuni controlli finalizzati al riconoscimento dell’effettività del credito stesso. Anche la successiva circolare n.222/E/00, nel precisare l’ambito di applicazione del citato art.55 del DPR n.633/72 che regola l’ipotesi di accertamento induttivo ai fini Iva, ribadisce i medesimi concetti affermando che l’art.5, co.1 del D.Lgs. n.471/97, laddove impone agli uffici in sede di accertamento di riconoscere in detrazione il credito dell’anno precedente non richiesto a rimborso, chiarisce che la detrazione del credito relativo all’anno precedente spetta anche nell’ipotesi di cui al citato art.55, relativo appunto all’accertamento induttivo per omessa presentazione della dichiarazione annuale. 5 Si legge, infatti, al par.1 della citata circolare che “Tali conclusioni, che superano in parte quelle contenute nella R.M. n.74/E/07, …..”. La riproduzione con qualsiasi metodo è vietata La Circolare Tributaria n.38 dell’8 ottobre 2012 13 Ciò a condizione che il relativo credito venga preventivamente annotato nel registro Iva acquisti di cui all’art.25 del DPR n.633/726. A fronte delle suddette interpretazioni, tuttavia, occorre segnalare che da oltre un decennio la giurisprudenza di legittimità è pressoché costante nell’affermare che in assenza di presentazione della dichiarazione nel periodo d’imposta in cui il credito si forma, il riporto deve essere pacificamente escluso. Per tutte7 si richiama la sentenza n.10674/10 con la quale la Suprema Corte lapidariamente afferma che: “l’inottemperanza del contribuente all’obbligo della dichiarazione annuale esclude implicitamente la possibilità di recuperare il credito maturato in ordine al relativo periodo d’imposta attraverso il trasferimento della detrazione nel periodo d’imposta successivo”. Merita, infine, di essere segnalata la recente sentenza n.20040/11 nella quale i giudici di legittimità affermano che: “occorre preliminarmente puntualizzare che il combinato disposto del DPR n.322/98, art.8 e DPR n.633/72, art.19 fissa il limite temporale entro il quale il contribuente deve esercitare la facoltà di detrazione del credito d’imposta ("al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto ..."), ma non incide sui relativi presupposti, e che, ai sensi del DPR n.633/72, art.55 l’Ufficio non è tenuto all’accertamento induttivo ivi previsto al solo fine di consentire al contribuente il recupero del proprio credito d’imposta”. È proprio sulla base di questo filone giurisprudenziale, spesso “ignorato” in passato dagli Uffici che in passato hanno privilegiato (correttamente a parere di chi scrive) gli aspetti sostanziali della questione, che l’Agenzia delle Entrate compie un vero e proprio revirement che determinerà in queste situazioni un’eccessiva penalizzazione essenzialmente dovuta alle tempistiche con le quali vengono riconosciuti i legittimi rimborsi spettanti ai contribuenti. Il revirement della Circolare n.34/E La principale motivazione su cui si fonda il repentino cambio di orientamento dell’Amministrazione Finanziaria consiste essenzialmente nella rigida interpretazione delle conseguenze di quanto affermato dal secondo comma dell’art.30 del DPR n.633/72 e cioè che: “Se dalla dichiarazione annuale” risulta una eccedenza di Iva detraibile “il contribuente ha diritto di computare l’importo dell’eccedenza in detrazione nell’anno successivo, ovvero di chiedere il rimborso nelle ipotesi di cui ai commi successivi e comunque in caso di cessazione di attività”. Sulla base della richiamata previsione normativa l’Agenzia delle Entrate afferma nella C.M. n.34/E che: “in caso di omessa dichiarazione annuale il contribuente non può riportare l’eccedenza di Iva detraibile nella dichiarazione dell’anno successivo, né chiederne il rimborso nelle ipotesi regolate dall’articolo 30 medesimo”. Viene, pertanto, ritenuto legittimo l’operato dell’Amministrazione Finanziaria eseguito nell’ambito della procedura di controllo automatizzato di cui all’art.54-bis del DPR 633/72, 6 7 In tal senso si era pronunciata anche la Cassazione con sent. n.8602/96. Per i riferimenti delle numerose sentenze che hanno formato tale filone giurisprudenziale si rimanda ai contenuti della C.M. n.34/E/12. La riproduzione con qualsiasi metodo è vietata La Circolare Tributaria n.38 dell’8 ottobre 2012 14 attività volta tra l’altro, a “correggere gli errori materiali commessi dai contribuenti nel riporto delle eccedenze d'imposta risultanti dalle precedenti dichiarazioni”, che nel caso in commento risulta addirittura omessa. Il credito, pertanto, non essendo stato dichiarato nell’anno in cui è maturato, non è utilizzabile in detrazione del debito d’imposta in una dichiarazione successiva, a nulla rilevando che lo stesso sia, in ipotesi, effettivamente maturato. In tale situazione, e cioè di eccedenza a credito correttamente formatasi nelle liquidazioni periodiche, la richiamata circolare precisa che in coerenza con il principio di neutralità che ispira il sistema Iva, più volte ribadito anche dalla Corte di Giustizia, nella fattispecie in esame il contribuente è ammesso al rimborso dell’eccedenza medesima attraverso la procedura del c.d. rimborso “anomalo” di cui all’art.21 del D.Lgs. n.546/92. Come è noto, tale procedura comporta, che la domanda di rimborso non possa essere presentata decorsi due anni dal pagamento, ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione. Nel merito dell’individuazione del termine a partire dal quale decorrono i due anni nei quali è possibile proporre istanza di rimborso “anomalo”, la citata C.M. n.34/E mutuando i principi espressi nella C.M. n.23/E/10 dettata in tema di accertamenti che contestano l’errata imputazione per competenza di componenti negativi del reddito di impresa (che riconoscono il diritto di far valere in deduzione i costi nel corretto esercizio di competenza solo dopo che è divenuta definitiva la pretesa dell’Amministrazione Finanziaria in relazione alla ripresa fiscale del costo erroneamente dedotto), afferma che il diritto del contribuente al rimborso sorge a seguito della definizione della pretesa in senso favorevole all’Amministrazione. Riferendosi al caso in commento, solo qualora il contribuente definisca l’obbligazione pagando le somme richieste dall’ufficio, nei termini previsti: dalla comunicazione di irregolarità; a seguito della notifica della cartella di pagamento; in esito a una sentenza definitiva a lui sfavorevole; lo stesso potrà presentare istanza di rimborso del credito, entro due anni dal predetto pagamento ai sensi dell’art.21 del D.Lgs. n.546/92. Si osserva che nell’ultimo caso esaminato, il pagamento conseguente all’ottenimento di una sentenza definitiva sfavorevole, oltre al pagamento delle sanzioni in misura piena rischia di esporre – stante le attuali tempistiche del processo tributario - il contribuente ad un “attesa” non sostenibile in termini finanziari. Le sanzioni applicabili La C.M. n.34/E precisa che con l’avviso di liquidazione conseguente al controllo formale della dichiarazione l’ufficio contesta il riporto dell’eccedenza a credito non risultante dalla precedente dichiarazione e, quindi, un corrispondente maggior debito d’imposta o una minor eccedenza detraibile, importo sul quale, ai sensi dell’art.13 del D.Lgs. n.471/97, viene contestata la sanzione pari al 30%. Come è noto, su detta sanzione opera la riduzione ad un terzo (quindi va al 10%) prevista dall’art.2, co.2 del D.Lgs. n.462/97 nel caso di pagamento delle somme dovute entro 30 giorni dal ricevimento della comunicazione. Dal passaggio del citato documento di prassi, dunque, pare quindi di capire che anche in assenza di “utilizzi” sia in compensazione verticale (cioè nelle liquidazioni successive) che in compensazione orizzontale (nel modello F24 con altri tributi e contributi) del credito maturato nel periodo precedente, sulla minor eccedenza detraibile conseguente al mancato riconoscimento del credito si applicherebbero comunque le sanzioni. La riproduzione con qualsiasi metodo è vietata La Circolare Tributaria n.38 dell’8 ottobre 2012 15 Esempio Un contribuente “matura” nell’anno 2010 un credito Iva di 10 mila euro omettendo, però, di presentare la dichiarazione annuale IVA2011 per l’anno 2010. Nell’anno 2011 il contribuente matura un ulteriore credito Iva di 4 mila euro e presentando la dichiarazione annuale Iva 2012 per l’anno 2011 fa emergere un complessivo credito di €14 per effetto del riporto dei 10 mila euro maturati nel periodo d’imposta precedente. A seguito del controllo formale della dichiarazione IVA2012 per l’anno 2011, l’Agenzia delle Entrate rileverà che i 10 mila euro rappresentano un credito che va disconosciuto in quanto derivante da dichiarazione omessa. In tale situazione, appare congruo sanzionare in misura così pesante la minor eccedenza detraibile corrispondente al credito non riconosciuto atteso che nessun indebito utilizzo è stato effettuato? A chi scrive pare proprio di no, nel senso che la sanzione del 30% prevista dall’art.13 del D.Lgs. n.471/97 (rubricata “Ritardati od omessi versamenti diretti”) dovrebbe essere applicata unicamente in relazione agli indebiti utilizzi del predetto credito (che peraltro, in presenza di credito correttamente formato anche se non dichiarato, indebiti non sono se si guarda il profilo sostanziale della questione). In tal senso è auspicabile, come già affermato in precedenza, che l’Agenzia sposi la tesi – in presenza di credito legittimo della violazione formale che ostacola l’attività di controllo e della connessa sanzione prevista in misura fissa. Di diverso avviso pare invece l’Agenzia che, nel documento di prassi in commento, sembra orientata a sanzionare tale violazione (l’indebito riporto) con la misura proporzionale del 30% dell’importo del credito riconosciuto anche se non utilizzato. In tal modo, però, in presenza di indebiti utilizzi in compensazione (orizzontali o verticali che siano) si arriverebbe al paradosso di sanzionare sia il mancato riconoscimento del credito derivante dalla precedente dichiarazione, sia gli utilizzi che dello stesso vengono fatti. Riproponendo i dati dell’esempio precedente con riferimento al credito maturato nel 2010 in presenza di omessa dichiarazione, ed assumendo che nel corso del 2011 si sia realizzata la compensazione orizzontale del predetto credito di 10 mila euro per un importo di 8 mila euro, si avrebbe il risultato che sulla parte del credito disconosciuto utilizzato in compensazione orizzontale, cioè gli 8.000, verrebbero di fatto applicate due volte le sanzioni: la prima e la seconda che va a colpire tutti i 10 mila euro del credito disconosciuto applicata sugli 8 mila euro di indebite compensazioni. Ancorché in questi casi il contribuente sarà tenuto a restituire sia le somme utilizzate in compensazione orizzontale pari a 8 mila euro (corrispondenti ai tributi non versati a seguito dell’indebita compensazione), che l’eccedenza di credito non riconosciuta di 10 mila euro e che potrà successivamente richiedere a rimborso, parrebbe congruo applicare le sanzioni una sola volta sulla parte corrispondente all’indebito utilizzo (e cioè sugli 8 mila) unitamente alla sanzione sulla residua parte non utilizzata (pari a 2 mila euro) del credito disconosciuto. In caso contrario, non solo si arriverebbe a richiedere il doppio del credito in caso di integrale compensazione dello stesso, come osservato in dottrina8, ma si arriverebbe appunto anche a sanzionare doppiamente il contribuente. 8 Si veda l’esempio contenuto nell’articolo di S. Morina e T. Morina in “Debito a carico di 36mila euro ma il Fisco pretende il doppio” apparso sul Sole 24Ore di mercoledì 8/08/12 a pag.16. La riproduzione con qualsiasi metodo è vietata La Circolare Tributaria n.38 dell’8 ottobre 2012 16 Nel caso in cui il contribuente decida di non pagare le somme richieste con l’avviso di liquidazione e di attendere la successiva iscrizione a ruolo, l’Agenzia ritiene che la successiva controversia instaurata possa essere definita mediante un accordo di mediazione qualora si tratti di controversie di valore non superiore a 20 mila euro (come previsto dall’art.17-bis del D.Lgs. n.546/92). Procedura che, è bene ricordare, prevede la riduzione delle sanzioni al 40% (contro la riduzione ad 1/3 prevista per gli avvisi di liquidazione). In presenza di accordo di mediazione, tuttavia, la C.M. n.34/E riconosce una sorta di “compensazione”, consentendo di scomputare, dalla somma originariamente richiesta in pagamento al contribuente, l’eccedenza di Iva detraibile riconosciuta spettante. Detta compensazione viene riconosciuta anche per le controversie di valore superiore ad €20.000, qualora la questione verrebbe “aggiustata” con la conciliazione giudiziale, ferma restando la medesima riduzione delle sanzioni (si veda l’art.48 del D.Lgs. n.546/92). Sia nell’ipotesi della mediazione che della procedura di conciliazione giudiziale è tuttavia necessario che il contribuente riconosca, per poter accedere alla predetta compensazione la debenza delle sanzioni da omesso versamento e degli interessi. Precisa ulteriormente la C.M. n.34/E che, contrariamente a quanto previsto per mediazione e conciliazione giudiziale, le compensazioni tra le somme oggetto di recupero ed il credito eventualmente spettante non sono compatibili con il procedimento di liquidazione di cui all’art.54-bis del DPR n.633/72 (nella sostanza, nel contraddittorio scaturito dall’avviso bonario non si ritiene di poter compensare la pretesa con il credito pur sussistente, ferma restando la debenza delle sanzioni, pur se nella misura ridotta). Riepilogando, dunque, in base a quanto sostenuto dalla circolare in commento, una volta arrivato l’avviso bonario: il contribuente può pagare subito fruendo della riduzione ad un terzo delle sanzioni, ma deve chiedere il rimborso del credito indebitamente riportato a nuovo entro il termine biennale; il contribuente, se ritiene, può attendere il ruolo e notificare il reclamo o il ricorso. La differenza rispetto alla definizione dell’avviso bonario è chiara: definizione dell’avviso bonario mediazione o conciliazione giudiziale lo sconto sulle sanzioni è maggiore (un terzo anziché il 40%) ma il contribuente deve domandare il rimborso e attendere l’erogazione; lo sconto è minore, non vi sono gli interessi da rimborso ma si può subito effettuare la compensazione descritta in precedenza. L’estensione al comparto dirette Con la C.M. n.34/E, l’Agenzia delle Entrate estende quanto affermato in ambito Iva anche alle eccedenze a credito Irpef, Ires o Irap maturate nell’anno in cui la relativa dichiarazione risulta omessa. Si tratta di affermazioni innovative atteso che mai prima d’ora l’Amministrazione Finanziaria si era pronunciata su questo tema con riferimento al comparto delle imposte dirette (contrariamente al comparto Iva dove come abbiamo visto si è prodotta negli anni copiosa giurisprudenza ma anche svariata documentazioni di prassi ministeriale). Secondo il documento di prassi in commento, quindi, deve ritenersi legittimo l’operato dell’Amministrazione Finanziaria che recupera il credito riportato nella dichiarazione dei redditi successiva, ma derivante da un’annualità per cui la dichiarazione è stata omessa, mediante la procedura di controllo automatizzato prevista dall’articolo 36-bis del DPR n.600/73 (omologo in ambito dirette della disposizione contenuta nell’art.54-bis del DPR n.633/72). La riproduzione con qualsiasi metodo è vietata La Circolare Tributaria n.38 dell’8 ottobre 2012 17 Trova, pertanto, anche in relazione a tali fattispecie, l’irrogazione della sanzione prevista dall’art.13 del D.Lgs. n.471/97 ma anche la possibilità di ottenere il riconoscimento del credito, analogamente a quanto affermato in materia di Iva, anche in sede di accordo di mediazione o conciliazione giudiziale con tutto quanto ne consegue in termini di riduzione delle sanzioni e possibilità di compensazione la somma originariamente richiesta in pagamento al contribuente con l’eccedenza riconosciuta spettante. La riproduzione con qualsiasi metodo è vietata La Circolare Tributaria n.38 dell’8 ottobre 2012 18