N. 5/2014 Maggio
Conversione decreto 16/2014:
le novità per enti locali e partecipate
Legge 2 maggio 2014, n. 68, conversione del d.l. 16/2014
Il Jobs act è legge
Legge 16 maggio 2014, n. 78, conversione d.l. 34/2014
N. 5/2014 Maggio
INDICE
Conversione decreto 16/2014: le novità per enti locali e partecipate
Legge 2 maggio 2014, n. 68, conversione del d.l. 16/2014
Pag. 1
Il Jobs act è legge
Legge 16 maggio 2014, n. 78, conversione d.l. 34/2014
Pag. 9
La revoca dell’assessore è rimessa alla discrezionalità del
vertice politico dell’amministrazione
Tar Lazio, Roma, sez. II, sentenza 4637/2014
Pag. 13
Privacy e trasparenza: le linee guida del Garante
Garante Privacy, Deliberazione n. 243/2014
Pag. 15
Appalti: il subappaltare creditore ha diritto di accesso agli atti
Tar Lazio, sentenza 5080/2014
Pag. 32
Appalti: la pregressa risoluzione contrattuale configura
un grave errore professionale
Consiglio di Stato, sentenza n. 2289/2014
Pag. 34
Gare: la dissociazione dalla condotta penalmente rilevante
deve essere concreta ed effettiva
Consiglio di Stato, sentenza n. 2271/2014
Pag. 36
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Conversione decreto 16/2014: le novità per enti locali e partecipate
Legge 2 maggio 2014, n. 68, conversione del d.l. 16/2014
di Federica Caponi e Manuela Ricoveri
E’ stata pubblicata sulla G.U. n. 102 del 5 maggio 2014 la legge 68/2014, concernente “Conversione
in legge, con modificazioni, del decreto-legge 6 marzo 2014, n. 16, recante disposizioni urgenti in materia di
finanza locale, nonché misure volte a garantire la funzionalità dei servizi svolti nelle istituzioni scolastiche”,
in vigore dal 6 maggio 2014.
Il provvedimento ha previsto rilevanti novità di interesse per le amministrazioni locali e i loro
organismi partecipati.
Tra le principali novità si segnala:
Articolo 2 – Scioglimento e dismissioni società partecipate
La legge di conversione del decreto ha aggiunto il comma 568-bis all’articolo 1 della legge
147/2013, stabilendo che le p.a. locali, indicate nell'elenco Istat e le società da esse controllate
direttamente o indirettamente possono procedere:
a) allo scioglimento della società controllata direttamente o indirettamente. Se lo scioglimento è in
corso ovvero è deliberato non oltre il 6 maggio 2015, gli atti e le operazioni posti in essere in favore
di p.a., in seguito allo scioglimento della società. sono esenti da imposizione fiscale, incluse le
imposte sui redditi e l'imposta regionale sulle attività produttive, ad eccezione dell'imposta sul
valore aggiunto. Le imposte di registro, ipotecarie e catastali si applicano in misura fissa.
In tal caso, i dipendenti delle società sono ammessi di diritto alle procedure di mobilità disciplinata
dai commi da 563 a 568 delle legge di stabilità 2014.
Ove lo scioglimento riguardi una società controllata indirettamente, le plusvalenze realizzate in
capo alla società controllante non concorrono alla formazione del reddito e del valore della
produzione netta e le minusvalenze sono deducibili nell'esercizio in cui sono realizzate e nei
quattro successivi;
b) all'alienazione, a condizione che questa avvenga con procedura a evidenza pubblica deliberata
non oltre il 6 maggio 2015 ovvero sia in corso al 6 maggio 2014, delle partecipazioni detenute e alla
contestuale assegnazione del servizio per cinque anni a decorrere dal 1° gennaio 2014.
In caso di società mista, al socio privato detentore di una quota di almeno il 30% deve essere
riconosciuto il diritto di prelazione.
Ai fini delle imposte sui redditi e dell'imposta regionale sulle attività produttive, le plusvalenze
non concorrono alla formazione del reddito e del valore della produzione netta e le minusvalenze
sono deducibili nell'esercizio in cui sono realizzate e nei quattro successivi.
E’ stato inserito anche il comma 568-ter, secondo cui il personale in esubero delle società
partecipate che dopo la procedura di mobilità tra società, risulti privo di occupazione ha titolo di
precedenza, a parità di requisiti, per l'impiego nell'ambito di missioni afferenti a contratti di
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somministrazione di lavoro stipulati, per esigenze temporanee o straordinarie, proprie o di loro
enti strumentali, dalle stesse pubbliche amministrazioni.
E’ stata confermata la modifica introdotta dal decreto al comma 569 della legge di stabilità 2014,
che ha prorogato di ulteriori 12 mesi il termine di trentasei mesi fissato dall’articolo 3, comma 29,
della legge 244/2007 (scaduto il 31 dicembre 2010), entro il quale le p.a., nel rispetto delle
procedure ad evidenza pubblica, dovranno vendere le partecipazioni societarie vietate.
Ricordiamo che i commi 27-32 del citato articolo 3 della legge 244/2007 stabiliscono che gli enti
possono costituire o mantenere solo partecipazioni societarie che abbiano per oggetto attività di
produzione di beni o servizi strettamente necessari alle finalità istituzionali.
Eventuali partecipazioni difformi avrebbero dovuto essere dismesse entro il 31 dicembre 2010 o
comunque l’ente avrebbe dovuto deliberarne la dismissione entro tale data e iniziare l’iter
amministrativo-civilistico per la vendita della partecipazione.
Questa disposizione proroga ulteriormente di 12 mesi il termine scaduto il 31 dicembre 2010!
La norma stabilisce che nel caso in cui gli enti soci non abbiano provveduto alla vendita mediante
procedura di evidenza pubblica entro il 31 dicembre 2014, la partecipazione cesserà ex lege.
Infine, entro il 31 dicembre 2015 (1 anno dopo la cessazione realizzata dall’ente o attuata ex lege) la
società liquiderà in denaro il valore della quota dell’ente cessato in base ai criteri stabiliti
all'articolo 2437-ter, comma 2, del c.c.
Articolo 3 – Riequilibrio degli enti locali in difficoltà finanziarie
La disposizione in commento innova taluni, non irrilevanti, aspetti procedimentali nell’ambito
degli strumenti apprestati per il risanamento degli enti locali: procedura di riequilibrio pluriennale
e dissesto.
La procedura di riequilibrio finanziario pluriennale, introdotta dal d.l. 174/2012 e disciplinata
dagli articoli 243-bis e seguenti del Tuel, costituisce un rimedio meno radicale del dissesto in
quanto mira a prevenirlo, ma più impegnativo per l’azione strutturale nel recupero degli equilibri,
rispetto agli interventi imposti ex art. 193 dello stesso Tuel dagli eventuali squilibri emersi per la
gestione di competenza o dei residui, in corso d’esercizio.
La procedura di riequilibrio, si ricorda, presuppone la predisposizione di un piano di riequilibrio,
da sottoporre all’esame della competente sezione regionale di controllo della Corte dei conti,
nonché alla Commissione per la finanza e gli organici degli enti locali, la quale svolge la necessaria
istruttoria anche sulla base delle Linee guida deliberate dalla sezione delle autonomie della Corte
dei conti.
All’esito dell'istruttoria, la Commissione ministeriale redige una relazione finale, con gli eventuali
allegati, che è trasmessa alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti.
In occasione delle prime applicazioni delle norme relative alle procedure di riequilibrio, si sono
verificate alcune difficoltà applicative a causa delle quali la fase istruttoria condotta dalla
Commissione ministeriale si è protratta per molto tempo, anche in ragione dei numerosi piani
presentati contemporaneamente.
La disposizione in commento ha introdotto una serie di misure finalizzate ad aumentare la
possibilità di accesso alle procedure di riequilibrio finanziario da parte degli enti che si trovino in
difficoltà finanziarie suscettibili di provocarne il dissesto.
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Nello specifico, il comma 1 della disposizione in commento sospende le eventuali azioni esecutive
nei confronti dell’ente fino alla scadenza del termine per impugnare (30 giorni decorrenti dalla
data della deliberazione della Corte) e, nel caso in cui l’ente abbia proposto ricorso avverso la
decisione con cui la Corte dei Conti ne abbia respinto il piano di riequilibrio, sino alla relativa
decisione (30 giorni).
Di maggiore impatto, la novità normativa introdotta dal comma 2 della disposizione in commento,
modificata in sede di conversione, che ha novellato il comma 573 della legge di stabilità 2014
introducendo, per l’esercizio 2014, a favore degli enti che hanno avuto il diniego d’approvazione
da parte del consiglio comunale del piano di riequilibro finanziario e che non hanno dichiarato il
dissesto finanziario, la possibilità di riproporre la procedura di riequilibrio finanziario pluriennale
entro il 3 settembre 2014 (120 giorni dalla data di entrata in vigore della disposizione).
Inoltre, è stato aggiunto il comma 573-bis all’articolo 1 della legge di stabilità per il 2014,
prevedendo, per l’anno 2014, la possibilità di “ripensare” il piano di riequilibrio non approvato
dalla sezione di controllo della Corte dei Conti ovvero dalle sezioni riunite.
In altri termini, gli enti potranno riproporre un nuovo piano di riequilibrio, previa deliberazione
consiliare, entro il 3 settembre 2014 (120 giorni dalla data di entrata in vigore della disposizione).
Tale facoltà è subordinata all’avvenuto conseguimento di un miglioramento, inteso sia come
aumento dell'avanzo di amministrazione che come diminuzione del disavanzo di
amministrazione, registrato nell'ultimo rendiconto approvato.
La disposizione prevede, altresì, che nelle more del termine previsto per la presentazione del
nuovo piano, e fino alla conclusione della relativa procedura, sono sospese le procedure per la
dichiarazione dello stato di dissesto, nonché le procedure esecutive nei confronti dell’ente (nuovo
comma 573-bis, introdotto in sede di conversione).
La facoltà prevista dalla disposizione in commento sembrerebbe rappresentare un’alternativa
rispetto alla procedura di impugnazione, al ricorrere di determinati presupposti.
In particolare, è rimessa all’iniziativa del controllato la scelta tra impugnare la pronuncia con cui la
Corte abbia respinto il piano di riequilibro (entro 30 giorni) oppure chiedere una nuova
valutazione da parte dell’organo di prime cure.
Il nuovo comma 2-bis, introdotto in sede di conversione, modificando il comma 10-bis dell’articolo
1 del d.l. 35/2013 prevede che ai fini dell’assegnazione delle anticipazioni di liquidità per il
pagamento dei debiti delle p.a. per il 2014, a valere sulle risorse del fondo anticipazioni liquidità,
siano considerati anche i pagamenti dei debiti fuori bilancio contenuti nel piano di riequilibrio
finanziario pluriennale, approvato dalla sezione regionale di controllo della Corte dei Conti.
Il comma 3 della disposizione in commento, modificando l’articolo 243-bis del Tuel, stabilisce che
la possibilità introdotta dalla nuova disposizione di fare ricorso alla procedura di riequilibrio
finanziario pluriennale debba essere iniziata prima dello scadere del termine di diffida assegnato
dal Prefetto per la dichiarazione di dissesto ex articolo 6, comma 2, del d.lgs. 149/2011.
In sede di conversione è stata introdotta, a favore dei comuni che abbiano fatto ricorso alla
procedura di riequilibrio finanziario, la possibilità di contrarre mutui, anche oltre i limiti previsti
dall’articolo 240 del Tuel, e comunque per importi non superiori alle quote di capitale dei mutui
già contratti e rimborsate nell’anno precedente, qualora necessari alla copertura di spese di
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investimento che garantiscano l’ottenimento di risparmi di gestione funzionali al raggiungimento
degli obiettivi del piano di riequilibrio.
Il nuovo comma 3-bis, introdotto in sede di conversione, estende il termine perentorio per la
deliberazione del piano di riequilibrio finanziario dell’ente da 60 a 90 dalla data di esecutività della
delibera conciliare di ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario.
Il nuovo comma 3-ter, introdotto in sede di conversione, consente agli enti di rimodulare il piano
di riequilibrio finanziario qualora, durante la fase di attuazione del piano, dovesse emergere, in
sede di monitoraggio, un grado di raggiungimento degli obiettivi intermedi superiore a quello
preventivato.
La rimodulazione può riguardare anche la riduzione della durata del piano.
A tal fine, la proposta di rimodulazione del piano, corredata dal parere positivo dell’organo di
revisione economico-finanziaria dell’ente, deve essere presentata alla competente sezione della
Corte dei Conti.
Il nuovo comma 3-quater, introdotto in sede di conversione, stabilisce che le risorse provenienti dal
fondo di rotazione di cui all’articolo 243-bis del Tuel devono essere destinate esclusivamente al
pagamento dei debiti presenti nel piano di riequilibrio finanziario pluriennale.
Infine, il comma 4 della disposizione in commento, aggiungendo il comma 1-ter all’articolo 259 del
Tuel, ha integrato le vigenti disposizioni che regolano il raggiungimento del riequilibrio di bilancio
da parte degli enti in dissesto, introducendo una deroga per i comuni con popolazione superiore a
20.000 abitanti che abbiano posto in essere misure di riduzione dei costi dei servizi e di
razionalizzazione degli organismi e delle società partecipate che consentano di raggiungere il
riequilibrio entro tre esercizi finanziari.
Ricordiamo che l’articolo 259, comma 1-bis, introdotto dall’articolo 10, coma 4, del d.l. 35/2013,
prevede che l’effettivo riequilibrio sia raggiunto entro il secondo esercizio, nei casi di dichiarazione
di dissesto adottata nel corso del secondo semestre dell'esercizio finanziario per il quale risulta non
essere stato ancora validamente deliberato il bilancio di previsione (o sia adottata nell'esercizio
successivo).
Il comma 1-ter, introdotto dalla disposizione in esame, consente, ai Comuni con popolazione
superiore a 20.000 abitanti, aventi un programma di riequilibrio del bilancio condizionato
dall’esito delle misure di riduzione di almeno il 20% dei costi dei servizi, nonché dalla
razionalizzazione di tutti gli organismi e società partecipati, di raggiungere l'equilibrio, in deroga
alle norme vigenti, entro l’esercizio in cui si completa la riorganizzazione dei servizi comunali e la
razionalizzazione di tutti gli organismi partecipati, e comunque entro tre anni, compreso quello in
cui è stato deliberato il dissesto.
Nello specifico, la previsione dà luogo ad uno slittamento dei tempi rispetto alla regola secondo
cui il bilancio stabilmente riequilibrato deve riferirsi all’esercizio finanziario successivo a quello nel
corso del quale è stato dichiarato il dissesto.
La disposizione prevede, allo stesso tempo, un monitoraggio da parte dell’organo di revisione, che
dovrà trasmettere al Ministero dell’Interno, entro 30 giorni dalla fine di ogni esercizio, una
relazione sull’efficacia delle misure adottate e sugli obiettivi raggiunti nell’esercizio.
Il nuovo comma 4-bis, introdotto in sede di conversione, prevede che le società controllate dagli
enti locali interessati da tali piani applicano i processi di mobilità di personale tra società
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partecipate previsti dall’articolo 1, comma 563, della legge di stabilità 2014, anche in deroga al
principio della coerenza con il rispettivo ordinamento professionale.
Articolo 3-bis – Fondo svalutazione crediti
La disposizione in commento, introdotta in sede di conversione, prevede un abbassamento del
limite minimo del Fondo svalutazione crediti per gli enti locali e del Fondo svalutazione crediti per
gli enti locali beneficiari delle anticipazioni di liquidità concesse per il pagamento dei debiti
pregressi maturati da tali enti rispettivamente dal 25 al 20 % e dal 30 al 20% dei residui attivi.
Si ricorda che la funzione del Fondo svalutazione crediti è quella di compensare eventuali minori
entrate degli enti locali e salvaguardare, di conseguenza, gli equilibri dei bilanci.
L'abbassamento del limite minimo potrebbe pertanto accrescere i rischi per l'equilibrio dei bilanci.
Articolo 4 – Misure conseguenti al mancato rispetto di vincoli finanziari posti alla
contrattazione integrativa e all’utilizzo dei relativi fondi
La disposizione in commento impone agli enti di verificare la corretta costituzione del fondo
incentivante e nel caso in cui tale disamina sia negativa, pone l’obbligo di recuperare le somme
indebitamente attribuite, in un numero di annualità corrispondente a quelle in cui si è verificato il
superamento dei vincoli.
Le modalità di attuazione degli obblighi imposti sono diverse per Regioni e Enti locali.
Le Regioni devono adottare misure che comportino un risparmio sulla spesa per i dirigenti non
inferiore al 20% e, con riferimento al restante personale, non inferiore al 10%.
Al fine di conseguire la riduzione della dotazione organica del personale, le Regioni dovranno
adottare un piano di riorganizzazione che permetta una razionalizzazione e uno snellimento delle
strutture burocratiche, anche attraverso accorpamenti di uffici.
Per gli enti locali, invece, è prevista una riduzione delle dotazioni organiche entro i parametri
previsti dalla normativa sul dissesto (articolo 263, comma 2, del Tuel).
Le cessazioni dal servizio, conseguenti alle misure di riduzione imposte dalla disposizione in
commento, non potranno essere calcolate come risparmio utile per definire l’ammontare delle
disponibilità finanziarie da destinare alle assunzioni o il numero delle unità sostituibili in relazione
alle limitazioni del turn over.
La norma prevede, altresì, che Regioni e Enti locali provvedano ad inviare, entro il 31 maggio di
ogni anno, una relazione illustrativa relativa ai piani obbligatori di riorganizzazione adottati al
Dipartimento della Funzione pubblica, alla Ragioneria generale dello Stato e al Dipartimento per
gli affari territoriali del Ministero dell’interno.
Il comma 2 prevede che le regioni e gli enti locali che hanno rispettato il patto di stabilità interno
possono compensare le somme da recuperare sul fondo incentivante, anche attraverso l'utilizzo dei
risparmi effettivamente derivanti dalle misure di razionalizzazione organizzativa, nonché di quelli
derivanti dall'attuazione dell'articolo 16, commi 4 e 5, del d.l. 98/2011.
E’ stato novellato anche il comma 3, il quale prevede che fermo restando l'obbligo di recupero in
caso di errori nella costituzione e nell’erogazione, gli enti che hanno adottato atti di costituzione e
sottoscritto contratti per l’utilizzo dei fondi, comunque costituiti, anteriormente al 31 dicembre
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2012, non devono procedere al recupero delle somme ai dipendenti che le hanno percepite negli
anni in buona fede, a condizione che:
non abbiano superato i vincoli finanziari per la costituzione dei fondi (con conseguente
assenza del riconoscimento giudiziale di responsabilità erariale);
abbiano rispettato il patto di stabilità interno;
abbiano rispettato la vigente disciplina in materia di spese ed assunzione di persona;
abbiano rispettato le disposizioni di cui all'articolo 9, commi 1, 2-bis, 21 e 28, del d.l.
78/2010.
La legge di conversione ha aggiunto il comma 3-bis il quale stabilisce che al fine di prevenire
l'insorgere di contenziosi a carico delle amministrazioni coinvolte, le regioni e gli enti locali che,
nel periodo 2010-2013, hanno attivato, anche attraverso l'utilizzo dei propri organismi partecipati e
anche superando i vincoli previsti dalla normativa vigente in materia di contenimento complessivo
della spesa di personale limitatamente alla parte di spesa coperta dai finanziamenti regionali,
iniziative di politica attiva del lavoro finalizzate alla creazione di soluzioni occupazionali a tempo
determinato dei lavoratori di cui all'articolo 2, comma 1, del d.lgs. 81/2000, e all'articolo 3, comma
1, del d.lgs. 280/1997, concernenti rispettivamente gli interventi disposti in favore dei lavori di
utilità sociale (L.S.U.) e quelli operanti in favore degli inoccupati del mezzogiorno, possono,
limitatamente al medesimo periodo, provvedere al pagamento delle competenze retributive
maturate, nel rispetto del patto di stabilità interno e nei limiti delle disponibilità finanziarie,
garantendo comunque la salvaguardia degli equilibri di bilancio, senza che ciò determini
l'applicazione delle sanzioni previste dalla legislazione vigente.
E’ stato aggiunto anche il comma 3-ter, secondo cui la deroga prevista dal comma 3-bis si applica
solo per gli aspetti retributivi e non può in alcun modo comportare il consolidamento delle
posizioni lavorative acquisite in violazione dei vincoli di finanza pubblica.
Infine, è stato aggiunto il comma 3-quater, secondo cui resta fermo quanto previsto dall'articolo 4,
comma 8, del d.l. 101/2013 e dall'articolo 1, comma 209, della legge 147/2013 in materia di
assunzioni, da parte degli enti locali che presentino vuoti in organico, dei lavoratori socialmente
utili e dei lavoratori di pubblica utilità.
Articolo 5 – Mutui enti locali
La disposizione in commento, al fine di favorire gli investimenti degli enti locali, per gli anni 2014
e 2015, prevede la possibilità di indebitamento oltre i limiti di cui al comma 1 dell’articolo 204 del
Tuel, per un importo non superiore alle quote di capitale dei mutui e prestiti precedentemente
contratti e rimborsati nell’esercizio precedente.
A tal proposito si ricorda che il primo periodo del comma 1 dell’art. 204, così come modificato
dall’art. 1, comma 735 della legge 147/2013, attualmente prevede che il rapporto di incidenza tra
interessi sul debito e entrate di natura corrente non deve superare il 12 per cento nell’anno 2011 e
l’otto per cento a decorrere dal 2012.
Articolo 11 – Relazione fine mandato Sindaci e Presidente delle province
La disposizione in commento, modificando i commi 2, 3, 3-bis dell’articolo 4 del d.lgs. 149/2011,
ridefinisce la tempistica delle procedure di predisposizione delle relazioni di fine mandato di
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Sindaci e Presidenti delle Province, quale strumento di conoscenza dell’attività svolta durante il
mandato.
In particolare, al fine di semplificarne la procedura di redazione e pubblicazione, è stata eliminata
la fase di esame e verifica della redazione da parte del tavolo tecnico interistituzionale.
La relazione di fine mandato, redatta dal responsabile del servizio finanziario o dal segretario
generale, dovrà essere sottoscritta dal presidente della provincia o dal sindaco non oltre il 60°
giorno antecedente la data di scadenza del mandato.
Una volta sottoscritta, la relazione entro e non oltre 15 giorni, dovrà essere certificata dall’organo
di revisione dell’ente locale.
Dopodiché, relazione e certificazione dovranno essere trasmesse, nei 3 giorni successivi, dal
presidente della provincia o dal sindaco alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti.
La relazione di fine mandato e la certificazione saranno poi pubblicate sul sito istituzionale della
provincia o del comune da parte del presidente della provincia o del sindaco entro i 7 giorni
successivi alla data di certificazione effettuata dall'organo di revisione dell'ente locale, con
l’indicazione della data di trasmissione alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti.
In caso di scioglimento anticipato del Consiglio comunale o provinciale, la sottoscrizione della
relazione e la certificazione da parte degli organi di controllo interno dovrà avvenire entro 20
giorni dal provvedimento di indizione delle elezioni.
In tale ipotesi, nei 3 giorni successivi la relazione e la certificazione dovranno essere trasmesse dal
presidente della provincia o dal sindaco alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti.
Anche in tal caso, la relazione di fine legislatura sarà pubblicata sul sito istituzionale della
provincia o del comune entro e non oltre i 7 giorni successivi alla data di certificazione effettuata
dall'organo di revisione dell'ente locale, con l'indicazione della data di trasmissione alla sezione
regionale di controllo della Corte dei conti.
Articolo 12 – Contributo straordinario per favorire la fusione
Tale disposizione, modificata in sede di conversione, prevede che il contributo straordinario
erogato dallo Stato al fine di favorire la fusione dei comuni, previsto dall’articolo 15, comma 3 del
Tuel, sia corrisposto a decorrere dall’anno della fusione.
A norma dell’articolo 15, comma 3 del Tuel, tale contributo sarò erogato per i dieci anni decorrenti
dalla fusione stessa e sarà commisurato ad una quota dei trasferimenti spettanti ai singoli comuni
che si fondono.
Articolo 19 – Servizi di pulizia e ausiliari nelle scuole e di edilizia scolastica
La disposizione in commento, modificando il comma 748 della legge di stabilità 2014, ha prorogato
al 31 marzo 2014 (e quindi di un ulteriore mese, essendo il termine predente il 28 febbraio) la
prosecuzione dei contratti stipulati dalle istituzioni scolastiche ed educative statali per
l’affidamento dei servizi di pulizie e altri servizi ausiliari, in essere al 31 dicembre 2013.
La proroga si applica sia nei territori nei quali non è attiva la convenzione Consip, sia nei territori
in cui la suddetta convenzione è attiva.
Il comma 2, inoltre, proroga al 30 aprile 2014 (prima 28 febbraio) il termine entro il quale gli enti
locali dovranno necessariamente aver affidato i lavori di messa in sicurezza, ristrutturazione e
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manutenzione straordinaria degli edifici scolastici, pena la revoca dei finanziamenti statali a tal
fine assegnati.
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Il Jobs act è legge
Legge 16 maggio 2014, n. 78, conversione d.l. 34/2014
di Federica Caponi e Manuela Ricoveri
E’ stata pubblicata sulla G.U. n. 114 del 19 maggio 2014 la legge 78/2014 concernente
“Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 20 marzo 2014, n. 34, recante disposizioni
urgenti per favorire il rilancio dell'occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle
imprese”, in vigore dal 20 maggio 2014.
Il provvedimento contiene, fra le altre, novità su contratti a termine e apprendistato, oltre alle
semplificazioni in materia di durc.
Articolo 1 - Semplificazione delle disposizioni in materia di contratto di lavoro a termine
Tale disposizione ha modificato alcune norme del d.lgs. 368/2001 e del d.lgs. 276/2003 in materia
di contratti a tempo determinato (c.d. lavoro a termine) e somministrazione di lavoro a tempo
determinato, con l’obiettivo di facilitare il ricorso a tali tipologie contrattuali.
In particolare, viene consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro
subordinato “di durata non superiore a 36 mesi, comprensiva di eventuali proroghe, concluso fra un datore
di lavoro o utilizzatore e un lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione, sia nella forma del
contratto a tempo determinato, sia nell’ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato ai
sensi del comma 4 dell’articolo 20 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276”.
Il numero complessivo dei rapporti di lavoro a termine costituiti da ciascun datore di lavoro non
potrà superare il 20% dei dipendenti totali presenti in azienda al 1° gennaio dell’anno di
assunzione, mentre i datori che occupano fino a cinque dipendenti potranno stipulare almeno un
contratto a tempo determinato.
La norma ha novellato anche il comma 2 dell’articolo 1 del d.lgs. 368/2001 prevedendo che
“l’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto”,
consentendo la sottoscrizione di contratti a tempo determinato così detti “senza causa”. Infatti il
previgente comma 2 prevedeva l’obbligo di specificare le ragioni per l’attivazione di rapporti a
tempo determinato.
In sede di conversione è stato modificato il comma 1 dell’articolo 4, consentendo la possibilità, in
presenza della stessa attività lavorativa, di prorogare il contratto a tempo determinato (anche in
somministrazione) “fino ad un massimo di cinque volte” (8 proroghe nel testo originario del decreto
legge).
Per il computo dei 36 mesi di durata massima oltre al contratto a tempo determinato si tiene altresì
conto dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni equivalenti.
Infine, varie disposizioni sono volte ad ampliare e rafforzare il diritto di precedenza delle donne in
congedo di maternità per le assunzioni da parte del datore di lavoro.
Si prevede che il congedo di maternità per le lavoratrici madri concorra a determinare il periodo di
attività lavorativa per l’esercizio del diritto di precedenza sia per le assunzioni a tempo
determinato (come previsto dalla normativa vigente), ma anche per le assunzioni a tempo
determinato effettuate dal medesimo datore di lavoro.
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E’ previsto, inoltre, per il datore di lavoro, l’obbligo di informare il lavoratore del diritto di
precedenza, mediante comunicazione scritta da consegnare al momento dell’assunzione.
In sede di conversione sono state introdotte sanzioni amministrative in caso di superamento del
limite del 20%.
Tale sanzione è per singolo lavoratore eccedente il limite ed è fissata nel 20% della retribuzione per
ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporti di lavoro nel
caso la violazione del limite percentuale non sia superiore a uno e pari al 50% se risulta superiore a
uno.
Le sanzioni amministrative non si applicano per i rapporti di lavoro instaurati prima del 21 marzo
2014 che comportino il superamento del limite del 20%.
E’ esclusa, inoltre, l’applicazione del limite percentuale per i contratti di lavoro a tempo
determinato stipulati tra istituti pubblici di ricerca ovvero enti privati di ricerca e lavoratori
chiamati a svolgere in via esclusiva attività di ricerca scientifica o tecnologica, di assistenza tecnica
alla stessa o di coordinamento e direzione della stessa.
I contratti di lavoro a tempo determinato che abbiano ad oggetto in via esclusiva lo svolgimento di
attività di ricerca scientifica possono avere durata pari a quella del progetto di ricerca al quale si
riferiscono.
Articolo 1, comma 2-quater - Contratti a tempo determinato nelle scuole dell’infanzia dei
comuni
Tale disposizione, introdotta in sede di conversione, proroga al 31 luglio 2015 (prima 31 luglio
2014) il termine previsto dall’articolo 4, comma 4-bis del d.l. 54/2013, entro il quale gli enti
comunali possono prorogare i contratti a tempo determinato del personale educativo e scolastico
in servizio negli asili e nelle scuole dell’infanzia, sottoscritti per comprovate esigenze temporanee o
sostitutive.
Pertanto, al fine di assicurare il diritto all'educazione, negli asili nido e nelle scuole dell'infanzia
degli enti comunali, i contratti di lavoro a tempo determinato del personale educativo e scolastico,
sottoscritti per comprovate esigenze temporanee o sostitutive, potranno essere prorogati o
rinnovati fino al 31 luglio 2015, anche in deroga alle norme, di attuazione di normativa europea,
che escludono la possibilità di reiterare i contratti a tempo determinato oltre i 36 mesi a pena
dell’obbligo di assunzione a tempo indeterminato del personale prorogato.
La proroga potrà essere disposta:
per i periodi strettamente necessari a garantire la continuità del servizio;
nei limiti delle risorse già disponibili nel bilancio degli enti locali;
nel rispetto dei vicoli stabiliti dal patto di stabilità interno;
nel rispetto della vigente normativa volta al contenimento della spesa complessiva per il
personale negli enti locali.
Articolo 2 - Semplificazione delle disposizioni in materia di contratto di apprendistato
Tale disposizione ha modificato alcune norme del d.lgs. 167/2011 e della legge 92/2012 in materia
di apprendistato, con l’obiettivo di semplificarne la disciplina.
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Maggio 2014
In sede di conversione è stato reintrodotto l’obbligo di redazione per iscritto, in forma sintetica, del
piano formativo individuale dell’apprendista.
Solo per le aziende che occupano almeno 50 dipendenti, l’assunzione di nuovi apprendisti è
subordinata alla prosecuzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, nei trentasei mesi
precedenti la nuova assunzione, di almeno il 20% degli apprendisti dipendenti, ferma restando la
possibilità per la contrattazione collettiva nazionale di individuare limiti differenti.
Per quanto attiene alla retribuzione dell’apprendista, si prevede che, in considerazione della
componente formativa del contratto di apprendistato per la qualifica e per il diploma
professionale, si debba tener conto delle ore di formazione almeno in misura del 35% del relativo
monte ore complessivo, fatta salva l’autonomia della contrattazione collettiva.
Con riferimento all’apprendistato professionalizzante, in sede di conversione è stato reintrodotto
l’obbligo per il datore di lavoro di integrare la formazione aziendale con la formazione pubblica.
A tal fine la Regione dovrà comunicare al datore di lavoro, entro 45 giorni, dalla comunicazione di
instaurazione del rapporto di lavoro con l’apprendista, le modalità di svolgimento della
formazione trasversale, anche con riferimento alle sedi ed al calendario delle attività previste (nella
normativa previgente la formazione pubblica regionale era obbligatoria, mentre nel testo
originario del d.l. 34/2014 era lasciata al datore di lavoro la facoltà di non avvalersene).
Si prevede, infine, che nell’ambito del programma sperimentale per lo svolgimento di periodi di
formazione in azienda per gli studenti degli ultimi due anni delle scuole secondarie nel triennio
2014-2016 (previsto dall’articolo 8-bis, comma 2, del d.l. 104/2013), la stipulazione di contratti di
apprendistato possa avvenire anche in deroga al limite di 17 anni di età previsto dalla normativa
vigente.
Articolo 2-bis - Disposizioni transitorie
Tale disposizione, introdotta in sede di conversione, specifica che le disposizioni in materia di
contratto di lavoro a termine e di apprendistato si applicano esclusivamente ai contratti stipulati
dopo il 21 marzo 2014.
Il datore di lavoro che al 21 marzo 2014 ha in corso rapporti di lavoro a termine che comportano il
superamento del limite del 20% è tenuto a rientrare nel limite entro il 31 dicembre 2014, salvo che
un contratto collettivo applicabile nell'azienda disponga un limite percentuale o un termine più
favorevole.
In caso contrario il datore di lavoro non potrà stipulare nuovi contratti fino al rientro nel limite
percentuale.
Articolo 4 - Semplificazioni in materia di documento di regolarità contributiva
Confermate, in sede di conversione, le semplificazioni in materia di Durc.
La norma in commento prevede che chiunque ne abbia interesse, compresa la medesima impresa,
potrà verificare la regolarità contributiva nei confronti dell'INPS, dell'INAIL e, per le imprese
tenute ad applicare i contratti del settore dell’edilizia, nei confronti delle Casse edili, con modalità
esclusivamente telematiche e in tempo reale.
L’esito dell’interrogazione avrà validità di 120 giorni dalla data di acquisizione e sostituirà
completamente il documento cartaceo.
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Maggio 2014
Il provvedimento prevede, inoltre, che tale verifica assolva “all'obbligo di verificare la sussistenza del
requisito di ordine generale di cui all'articolo 38, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 12 aprile 2006, n.
163 - in forza del quale sono esclusi dalla partecipazione alle gare di appalto gli operatori
economici che hanno commesso “violazioni gravi, definitivamente accertate, alle norme in materia
di contributi previdenziali e assistenziali”- presso la Banca dati nazionale dei contratti pubblici, istituita
presso l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, dall'articolo 62-bis del
decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82”.
Per l’attuazione di tale procedura però è necessario attendere un decreto attuativo interministeriale
con cui saranno definiti i requisiti di regolarità, i contenuti e le modalità della verifica, nonché le
ipotesi di esclusione e, dunque, le circostanze in cui la verifica non potrà essere effettuata in
maniera telematica.
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La revoca dell’assessore è rimessa alla discrezionalità del vertice politico dell’amministrazione
Tar Lazio, Roma, sez. II, sentenza 4637/2014
di Alessio Tavanti
La revoca dell’assessore è rimessa alla discrezionalità del vertice politico dell’amministrazione, il
quale non ha l’obbligo di motivare la decisione alla stregua di un vero e proprio provvedimento
amministrativo, ricadendo le relative ragioni sul venir meno del rapporto fiduciario e quindi
nell’ambito di valutazioni di mera opportunità politico-amministrativa.
E’ questo il principio ribadito dal Tar Lazio con la sentenza in commento, con la quale ha respinto
il ricorso presentato da un assessore avverso l’atto di revoca dal relativo incarico.
Nel caso di specie il Presidente di un municipio aveva disposto con ordinanza la revoca di un
assessore in ragione di determinati comportamenti tenuti dal medesimo nel corso di alcune sedute
di giunta, comportamenti che ne avrebbero giustificato il venir meno del rapporto fiduciario.
Avverso l’ordinanza l’assessore ha proposto ricorso dinanzi al Tar censurandone l’illegittimità
della motivazione, nonché la violazione dei principi e delle norme sul procedimento
amministrativo di cui alla legge 241/1990.
Il giudice amministrativo richiamando il consolidato orientamento in materia ha ribadito che l’atto
revoca di un assessore è sindacabile in sede di legittimità solo limitatamente ai profili formali ed
estrinseci, suscettibili di evidenziare l’arbitrarietà della decisione, in relazione all’ampia
discrezionalità spettante al Sindaco (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V, 3 aprile 2004, n. 1042; 5
dicembre 2012 n. 6228; 23 febbraio 2012 n. 1053; TAR Lazio, Roma, 17 giugno 2009 n. 5732).
Ciò posto ha ritenuto le circostanze poste a sostegno della gravata revoca dell’incarico idonee a
sorreggere tale determinazione.
La valutazione circa la sufficienza e idoneità delle ragioni della revoca a sorreggerne la relativa
motivazione va ricercata con riferimento alla natura di tale di atto, considerato che l’affidamento e
la revoca dell’incarico di assessore rientrano tra quelli aventi carattere fiduciario, con la
conseguenza che il venir meno del rapporto fiduciario giustifica di per sé la revoca dello stesso.
Peraltro, il riferimento normativo rappresentato in materia dall’articolo 46 del d.lgs. 267/2000, il
quale impone unicamente la comunicazione della revoca dell’incarico di assessore al Consiglio,
conferma come tale atto sia frutto di scelte altamente discrezionali del vertice istituzionale
sottoposte unicamente alla valutazione dell’organo consiliare di controllo, il quale potrebbe
opporsi, tramite una mozione di sfiducia, all’atto di revoca.
In tale materia il giudice amministrativo non può effettuare un sindacato di merito ed il suo
controllo sull’esercizio della funzione pubblica è condizionato dall’ampia discrezionalità politica
della scelta che, pertanto, è insindacabile in sede di legittimità se non per profili puramente formali
concernenti la violazione di specifiche disposizioni normative dettate per la nomina e la revoca
degli assessori e la manifesta abnormità e discriminatorietà del provvedimento di revoca.
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Maggio 2014
Allo stesso modo non può ritenersi fondata la censura relativa alla mancata comunicazione
dell’avvio del procedimento di revoca di cui all’articolo 7 della legge 241/1990.
Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale (Consiglio di Stato, Sez. V, 23 gennaio 2007
n. 209; 5 dicembre 2012 n. 6228; 23 febbraio 2012 n. 1053), la revoca dell’incarico di assessore è
esente dalla previa comunicazione dell’avvio del procedimento in considerazione del fatto che, in
un contesto normativo nel quale la valutazione degli interessi coinvolti è rimessa in via esclusiva al
vertice politico dell’amministrazione locale cui compete in via autonoma la scelta e la
responsabilità della compagine di cui avvalersi nell’interesse della comunità locale, non c’è spazio
logico, prima ancora che normativo, per consentire l’applicazione dell’istituto partecipativo di cui
al citato articolo 7, il cui scopo è quello di consentire l’apporto procedimentale da parte del
destinatario dell’atto finale al fine di condizionarne il relativo contenuto.
L’istituto della partecipazione trova giustificazione nel caso in cui siano presi in qualche modo in
considerazione gli interessi privati ai fini della loro possibile incidenza sull’esito finale per il
migliore perseguimento dell’interesse pubblico.
Diversamente diviene indifferente in un contesto normativo nel quale la valutazione degli interessi
coinvolti è rimessa in modo esclusivo al vertice dell’Amministrazione, risultando il relativo
procedimento il più possibile semplificato per consentire un’immediata soluzione della crisi
intervenuta nell’ambito del governo locale.
In tale ottica, peraltro, l’interposizione della comunicazione dell’avvio del procedimento osterebbe
a tale finalità, facendo rilevare ancor più legittimata l’omissione di tale adempimento.
Il giudice amministrativo ha, pertanto, rigettato il ricorso presentato dall’assessore avverso il
provvedimento di revoca, il quale è da ritenersi pienamente legittimo stante l’ampia
discrezionalità riservata al sindaco circa le relative motivazioni ricadenti nell’ambito
dell’opportunità politico-amministrativa e per tale ragione non assoggettabili alle regole sul
procedimento amministrativo.
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Privacy e trasparenza: le linee guida del Garante
Garante Privacy, Deliberazione n. 243/2014
di Alessio Tavanti
Il Garante per la privacy con il recente provvedimento n. 243 del 15 maggio scorso concernente
“Linee guida in materia di trattamento di dati personali, contenuti anche in atti e documenti amministrativi,
effettuato per finalità di pubblicità e trasparenza sul web da soggetti pubblici e da altri enti obbligati” è
intervenuto, a fronte delle modifiche legislative in materia di pubblicità e trasparenza della
pubblica amministrazione apportate, in particolare, dal d.lgs. 33/2013, al fine di assicurare
l'osservanza della disciplina in materia di protezione dei dati personali nell'adempimento degli
obblighi di pubblicazione sul web previsti dalle disposizioni di riferimento.
Le linee guida, che vanno a sostituire le precedenti predisposte dal garante nel 2011, hanno,
pertanto, lo scopo di definire un quadro unitario di misure e accorgimenti volti a individuare
opportune cautele che i soggetti pubblici, e gli altri soggetti destinatari delle norme vigenti, sono
tenuti ad applicare nei casi in cui effettuino attività di diffusione di dati personali sui propri siti
web istituzionali per finalità di trasparenza o per altre finalità di pubblicità dell'azione
amministrativa(es.: pubblicità legale).
Forme di pubblicità che devono essere considerate distinte, stante il diverso regime giuridico
applicabile.
In ogni caso, indipendentemente dalla finalità perseguita, laddove la pubblicazione online di
dati, informazioni e documenti, comporti un trattamento di dati personali, devono essere
opportunamente contemperate le esigenze di pubblicità e trasparenza con i diritti e le libertà
fondamentali, nonché la dignità dell'interessato, con particolare riferimento alla riservatezza,
all'identità personale e al diritto alla protezione dei dati personali (art. 2 del Codice).
La diffusione di dati personali da parte dei soggetti pubblici effettuato in mancanza di idonei
presupposti normativi può essere sanzionata in sede amministrativa o penale ai sensi degli artt.
162, comma 2-bis, e 167 del Codice.
Inoltre, l'interessato che ritenga di aver subito un danno, anche non patrimoniale, in particolare per
effetto della diffusione di dati personali, può far valere le proprie pretese risarcitorie, ove ne
ricorrano i presupposti, davanti all'autorità giudiziaria ordinaria (art. 15 del Codice privacy).
PARTE PRIMA - PUBBLICITÀ PER FINALITÀ DI TRASPARENZA
Principi e oggetto del "decreto trasparenza" (artt. 1, 2 e 3 del d. lgs. n. 33/2013)
Con il d.lgs. 33/2013 il legislatore ha disciplinato in maniera organica i casi di pubblicità per
finalità di trasparenza mediante inserzione di dati, informazioni, atti e documenti sui siti web
istituzionali dei soggetti obbligati.
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Maggio 2014
A tal fine, nel capo I dedicato ai "principi generali", la trasparenza è definita come "l'accessibilità
totale delle informazioni concernenti l'organizzazione e l'attività delle pubbliche amministrazioni, allo scopo
di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse
pubbliche" (art. 1, comma 1).
Nel medesimo capo I è precisato che "oggetto del decreto" è l'individuazione degli obblighi di
trasparenza "concernenti l'organizzazione e l'attività delle pubbliche amministrazioni" e che "tutti i
documenti, le informazioni e i dati oggetto di pubblicazione obbligatoria ai sensi della normativa vigente
sono pubblici e chiunque ha diritto di conoscerli, di fruirne gratuitamente, e di utilizzarli e riutilizzarli ai
sensi dell'articolo 7" (art. 2, comma 1, e art. 3).
Il legislatore, inoltre, relativamente al campo di applicazione del decreto, definisce la
"pubblicazione" come l'inserimento nei siti istituzionali delle pubbliche amministrazioni, di
documenti, informazioni e dati "concernenti l'organizzazione e l'attività delle pubbliche
amministrazioni" (art. 2, comma 2).
Da ciò si deduce che tutte le volte in cui nel decreto è utilizzata la locuzione "pubblicazione
obbligatoria ai sensi della normativa vigente" il riferimento è limitato agli "obblighi di
pubblicazione concernenti l'organizzazione e l'attività delle pubbliche amministrazioni"
contenuti oltre che nel d.lgs. 33/2013 anche in altre disposizioni normative aventi analoga finalità
di trasparenza, con esclusione degli obblighi di pubblicazione aventi finalità diverse.
La tipologia dei predetti obblighi di pubblicazione per finalità di trasparenza concernenti
l'organizzazione e l'attività delle pubbliche amministrazioni è schematicamente riassunta
nell'allegato al d.lgs. 33/2013 che individua la "struttura delle informazioni sui siti istituzionali" e
che precisa come la sezione dei siti istituzionali denominata "Amministrazione trasparente" deve
essere organizzata in sotto-sezioni all'interno delle quali devono essere inseriti i documenti, le
informazioni e i dati previsti dal decreto (articolo 48 e allegato al d. lgs.).
Individuato l’ambito specifico inerente la trasparenza amministrativa, devono ritenersi estranei
all'oggetto del citato decreto legislativo tutti gli obblighi di pubblicazione previsti da altre
disposizioni per finalità diverse da quelle di trasparenza, quali gli obblighi di pubblicazione a
fini di pubblicità legale, pubblicità integrativa dell'efficacia, pubblicità dichiarativa o notizia
Di conseguenza, tutte le ipotesi di pubblicità non riconducibili a finalità di trasparenza, qualora
comportino una diffusione di dati personali, sono escluse dall'oggetto del d.lgs. 33/2013 e
dall'ambito di applicazione delle relative previsioni fra cui, in particolare, quelle relative all'accesso
civico (articolo 5), all'indicizzazione (articoli 4 e 9), al riutilizzo (articolo 7), alla durata dell'obbligo
di pubblicazione (articolo 8) e alla trasposizione dei dati in archivio (articolo 9).
Limiti generali alla trasparenza (articoli 1 e 4 del d.lgs. 33/2013)
I principi e la disciplina di protezione dei dati personali devono essere rispettati anche nell'attività
di pubblicazione di dati sul web per finalità di trasparenza, con evidente potenziale ampia
conoscenza dei relativi contenuti.
In merito, il garante ricorda che la "diffusione" di dati personali – ossia "il dare conoscenza dei dati
personali a soggetti indeterminati, in qualunque forma, anche mediante la loro messa a
disposizione o consultazione" (art. 4, comma 1, lett. m) – da parte dei "soggetti pubblici" è ammessa
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Maggio 2014
unicamente quando la stessa è prevista da una specifica norma di legge o di regolamento (art. 19,
comma 3).
Pertanto, in relazione all'operazione di diffusione, occorre che le pubbliche amministrazioni,
prima di mettere a disposizione sui propri siti web istituzionali informazioni, atti e documenti
amministrativi (in forma integrale o per estratto, ivi compresi gli allegati) contenenti dati
personali, verifichino che la normativa in materia di trasparenza preveda tale obbligo (artt. 4,
comma 1, lett. m, 19, comma 3 e 22, comma 11, del Codice).
Laddove l'amministrazione riscontri l'esistenza di un obbligo normativo che impone la
pubblicazione dell'atto o del documento nel proprio sito web istituzionale è necessario
selezionare i dati personali da inserire in tali atti e documenti, verificando, caso per caso, se
ricorrono i presupposti per l'oscuramento di determinate informazioni.
I soggetti pubblici, infatti, in conformità ai principi di protezione dei dati, sono tenuti a ridurre
al minimo l'utilizzazione di dati personali e di dati identificativi ed evitare il relativo
trattamento quando le finalità perseguite nei singoli casi possono essere realizzate mediante
dati anonimi o altre modalità che permettano di identificare l'interessato solo in caso di
necessità (cd. "principio di necessità" di cui all'art. 3, comma 1, del Codice privacy).
Pertanto, anche in presenza degli obblighi di pubblicazione di atti o documenti contenuti nel
d.lgs. 33/2013, i soggetti chiamati a darvi attuazione non possono comunque "rendere […]
intelligibili i dati personali non pertinenti o, se sensibili o giudiziari, non indispensabili
rispetto alle specifiche finalità di trasparenza della pubblicazione" (art. 4, comma 4, del d. lgs. n.
33/2013).
È, quindi, consentita la diffusione dei soli dati personali la cui inclusione in atti e documenti da
pubblicare sia realmente necessaria e proporzionata alla finalità di trasparenza perseguita nel
caso concreto (cd. "principio di pertinenza e non eccedenza" di cui all'art. 11, comma 1, lett. d, del
Codice). Di conseguenza, i dati personali che esulano da tale finalità non devono essere inseriti
negli atti e nei documenti oggetto di pubblicazione online.
In caso contrario, occorre provvedere, comunque, all'oscuramento delle informazioni che
risultano eccedenti o non pertinenti.
È, invece, sempre vietata la diffusione di dati idonei a rivelare lo "stato di salute" (articolo 22,
comma 8, del Codice privacy) e "la vita sessuale" (articolo 4, comma 6, del d.lgs. 33/2013).
In particolare, con riferimento ai dati idonei a rivelare lo stato di salute degli interessati, è vietata
la pubblicazione di qualsiasi informazione da cui si possa desumere, anche indirettamente, lo
stato di malattia o l'esistenza di patologie dei soggetti interessati, compreso qualsiasi
riferimento alle condizioni di invalidità, disabilità o handicap fisici e/o psichici (art. 22, comma
8, del Codice).
Il procedimento di selezione dei dati personali che possono essere resi conoscibili online deve
essere, inoltre, particolarmente accurato nei casi in cui tali informazioni sono idonee a rivelare
dati sensibili o giudiziari (art. 4, comma 1, lett. d ed e, del Codice).
I dati sensibili e giudiziari, infatti, sono protetti da un quadro di garanzie particolarmente
stringente che prevede la possibilità per i soggetti pubblici di diffondere tali informazioni solo
nel caso in cui sia previsto da una espressa disposizione di legge e di trattarle solo nel caso in cui
siano in concreto "indispensabili" per il perseguimento di una finalità di rilevante interesse
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pubblico (come quella di trasparenza) ossia quando la stessa non può essere conseguita, caso per
caso, mediante l'utilizzo di dati anonimi o di dati personali di natura diversa (articolo 4, commi 2 e
4, del d.lgs. 33/2013; articoli 20, 21 e 22, commi 3, 5 e 11, e art. 68, comma 3, del Codice privacy).
Pertanto, come rappresentato dal Garante nel parere del 7 febbraio 2013, gli enti pubblici sono
tenuti a porre in essere la massima attenzione nella selezione dei dati personali da utilizzare,
sin dalla fase di redazione degli atti e documenti soggetti a pubblicazione, in particolare
quando vengano in considerazione dati sensibili.
In proposito, può risultare utile non riportare queste informazioni nel testo dei provvedimenti
pubblicati online (ad esempio nell'oggetto, nel contenuto, etc.), menzionandole solo negli atti a
disposizione degli uffici (richiamati quale presupposto del provvedimento e consultabili solo
da interessati e controinteressati), oppure indicare delicate situazioni di disagio personale solo
sulla base di espressioni di carattere più generale o, se del caso, di codici numerici.
Effettuata, alla luce delle predette indicazioni, la previa valutazione circa i presupposti e
l'indispensabilità della pubblicazione di dati sensibili e giudiziari, devono essere adottate idonee
misure e accorgimenti tecnici volti ad evitare "la indicizzazione e la rintracciabilità tramite i motori
di ricerca web ed il loro riutilizzo" (articolo 4, comma 1 e articolo 7, del d.lgs. 33/2013).
Pubblicazione di dati personali ulteriori (art. 4, comma 3, del d. lgs. n. 33/2013)
Le pubbliche amministrazioni non sono libere di diffondere "dati personali" ulteriori, non
individuati dal d.lgs. 33/2013 o da altra specifica norma di legge o di regolamento (art. 19,
comma 3, del Codice).
L'eventuale pubblicazione di dati, informazioni e documenti, che non si ha l'obbligo di
pubblicare, è legittima solo "procedendo alla anonimizzazione dei dati personali eventualmente
presenti" (articolo 4, comma 3, del d.lgs. 33/2013).
In proposito, il Garante ha evidenziato come la prassi seguita da alcune amministrazioni di
sostituire il nome e cognome dell'interessato con le sole iniziali è di per sé insufficiente ad
anonimizzare i dati personali contenuti negli atti e documenti pubblicati online.
In molti casi, infatti, in particolari ambiti (ad esempio, per campioni di popolazioni di ridotte
dimensioni), la pubblicazione online anche solo di alcuni dati – come la data di nascita, il sesso,
la residenza, il domicilio, il codice di avviamento postale, il luogo di lavoro, il numero di
telefono, la complessiva vicenda oggetto di pubblicazione, etc.– è sufficiente a individuare
univocamente la persona cui le stesse si riferiscono e, dunque, a rendere tale soggetto
identificabile mediante il collegamento con altre informazioni che possono anche essere nella
disponibilità di terzi o ricavabili da altre fonti.
Per rendere effettivamente "anonimi" i dati pubblicati online occorre, quindi, oscurare del tutto
il nominativo e le altre informazioni riferite all'interessato che ne possono consentire
l'identificazione anche a posteriori.
Limiti al "riutilizzo" di dati personali (artt. 4 e 7 del d. lgs. n. 33/2013)
Gli articoli 4 e 7 del d.lgs. 33/2013 stabiliscono che il riutilizzo dei dati personali pubblicati è
soggetto alle condizioni e ai limiti previsti dalla disciplina sulla protezione dei dati personali e
dalle specifiche disposizioni del d.lgs. 36/2006 di recepimento della direttiva 2003/98/CE sul
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riutilizzo dell'informazione del settore pubblico (direttiva oggetto di recente revisione da parte
della successiva direttiva 2013/37/UE).
Con la modifica della predetta direttiva, l'Unione europea conferma il principio, da ritenersi ormai
consolidato in ambito europeo, in base al quale il riutilizzo di tali documenti non deve
pregiudicare il livello di tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali
fissato dalle disposizioni di diritto europeo e nazionale in materia.
In attuazione del principio di finalità di cui all'articolo 11 del Codice privacy, il riutilizzo dei dati
personali conoscibili da chiunque sulla base delle previsioni del d.lgs. 33/2013 non può essere
consentito "in termini incompatibili" con gli scopi originari per i quali i medesimi dati sono resi
accessibili pubblicamente (articolo 7 del d.lgs. 33/2013; articolo 6, comma 1, lett. b, direttiva
95/46/CE; articolo 11, comma 1, lett. b, del Codice privacy).
A tal fine, secondo il Garante, per evitare di perdere il controllo sui dati personali pubblicati
online in attuazione degli obblighi di trasparenza e di ridurre i rischi di loro usi indebiti, è quindi
in primo luogo opportuno che le pubbliche amministrazioni e gli altri soggetti chiamati a dare
attuazione agli obblighi di pubblicazione di cui al d.lgs. 33/2013 inseriscano nella sezione
denominata "Amministrazione trasparente" dei propri siti web istituzionali un Alert generale
con cui si informi il pubblico che i dati personali pubblicati sono "riutilizzabili solo alle
condizioni previste dalla normativa vigente sul riuso dei dati pubblici (direttiva comunitaria
2003/98/CE e d.lgs. 36/2006 di recepimento della stessa), in termini compatibili con gli scopi per i
quali sono stati raccolti e registrati, e nel rispetto della normativa in materia di protezione dei dati
personali".
In tal senso è da ritenere illecito, ad esempio, riutilizzare a fini di marketing o di propaganda
elettorale i recapiti e gli indirizzi di posta elettronica del personale della p.a. oggetto di
pubblicazione obbligatoria, in quanto tale ulteriore trattamento deve ritenersi incompatibile con le
originarie finalità di trasparenza per le quali i dati sono resi pubblicamente disponibili.
Deve essere, inoltre, tenuto presente che non è ammesso l'incondizionato riutilizzo di dati
personali oggetto di pubblicazione obbligatoria sulla base di mere licenze aperte che non pongano
alcuna limitazione all'ulteriore trattamento dei dati.
Laddove, infatti, il soggetto che ha assolto gli obblighi di pubblicazione dei dati personali online
voglia rendere gli stessi anche riutilizzabili, è indispensabile che lo stesso predisponga sul proprio
sito istituzionale licenze standard, in formato elettronico e rese facilmente conoscibili ai potenziali
utilizzatori, le quali stabiliscano chiaramente le modalità di carattere giuridico e tecnico che
presiedono al corretto riutilizzo di tali dati.
A tal fine, per garantire il rispetto dei diritti degli interessati da parte degli utilizzatori, i termini
delle licenze per il riutilizzo dovrebbero contenere una clausola di protezione dei dati sia quando il
riuso riguardi dati personali, sia quando riguardi dati anonimi derivati da dati personali.
Infine, dal punto vista tecnico, è importante considerare con attenzione quali accorgimenti
tecnologici possono essere messi in atto per ridurre i rischi di usi impropri dei dati personali resi
disponibili online e delle conseguenze negative che possono derivarne agli interessati.
In questo quadro devono essere privilegiate modalità tecniche di messa a disposizione dei dati a
fini di riutilizzo che consentano di controllare gli accessi a tali dati da parte degli utilizzatori e che
impediscano la possibilità di scaricare o di duplicare in maniera massiva e incondizionata le
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informazioni rese disponibili, nonché l'indiscriminato utilizzo di software o programmi
automatici.
Durata degli obblighi di pubblicazione (artt. 8, 14, comma 2, 15, comma 4, del d. lgs. n. 33/2013)
L'articolo 8, comma 3, del d.lgs. n. 33/2013 prevede che i dati, le informazioni e i documenti
oggetto di pubblicazione, sono di regola, pubblicati per un periodo di 5 anni, decorrenti dal 1°
gennaio dell'anno successivo a quello da cui decorre l'obbligo di pubblicazione.
Sono tuttavia espressamente previste deroghe alla predetta durata:
a) nel caso in cui gli atti producono ancora i loro effetti alla scadenza dei cinque anni, con la
conseguenza che gli stessi devono rimanere pubblicati fino alla cessazione della produzione
degli effetti;
b) per alcuni dati e informazioni riguardanti i "titolari di incarichi politici, di carattere elettivo o
comunque di esercizio di poteri di indirizzo politico, di livello statale regionale e locale" (art. 14,
comma 2) e i "titolari di incarichi dirigenziali e di collaborazione o consulenza" che devono
rimanere pubblicati online per i tre anni successivi dalla cessazione del mandato o
dell'incarico (art. 15, comma 4);
c) nel caso in cui siano previsti "diversi termini" dalla normativa in materia di trattamento dei
dati personali.
In merito a quest’ultima ipotesi, si evidenzia come il Codice privacy, che non prevede termini
espliciti, richiede espressamente che i dati personali devono essere "conservati per un periodo di
tempo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali essi sono stati raccolti o successivamente
trattati" e che l'interessato ha diritto di ottenere la cancellazione dei dati personali "di cui non è
necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali sono stati raccolti o successivamente trattati"
(artt. 11, comma 1, lett. e, e 7, comma 3, lett. b, del Codice).
Per tale motivo, il Garante ritiene che laddove atti, documenti e informazioni, oggetto di
pubblicazione obbligatoria per finalità di trasparenza, contengano dati personali, questi ultimi
devono essere oscurati, anche prima del termine di cinque anni, quando sono stati raggiunti gli
scopi per i quali essi sono stati resi pubblici e gli atti stessi hanno prodotto i loro effetti.
Le sezioni di "archivio" dei siti web istituzionali (art. 9, comma 2, del d. lgs. 33/2013)
L'art. 9, comma 2, del d.lgs. 33/2013 prevede che alla scadenza del termine di durata
dell'obbligo di pubblicazione di cui all'articolo 8, comma 3, i documenti, le informazioni e i
dati sono comunque conservati e resi disponibili, all'interno di distinte sezioni del sito di
archivio, collocate e debitamente segnalate nell'ambito della sezione "Amministrazione
trasparente".
Relativamente alla documentazione contenente dati personali, il Garante ha precisato che la
messa a disposizione della documentazione nella sezione di archivio non comporta
l'accesso e la conoscenza indiscriminata degli stessi una volta scaduti i diversi periodi di
pubblicazione previsti dall'art. 8, comma 3, del d.lgs. 33/2013.
Ciò perché, in caso contrario, si determinerebbe una diffusione senza termine di dati
personali online in violazione dei principi di matrice comunitaria, quale quello di
proporzionalità precedentemente descritto.
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Di conseguenza, per attuare le esigenze sottese alla prevista ipotesi di consultabilità di
atti e documenti contenuti nella sezione archivio, non è in linea generale giustificato,
alla luce del principio di proporzionalità, consentire, al di fuori dei casi espressamente
previsti, l'accesso online libero e incondizionato alla consultazione di atti e documenti
contenenti informazioni personali, specie se aventi natura sensibile, senza applicare
criteri selettivi.
In tale quadro, bisogna, quindi, rendere disponibile la documentazione contenuta nelle
sezioni di archivio secondo le regole sull'accessibilità degli "archivi" (articoli 124 ss., del
d.lgs. 42/2004. Al riguardo, si veda anche il Codice di deontologia e di buona condotta per i
trattamenti di dati personali per scopi storici di cui all’allegato A.2 del Codice in materia di
protezione dei dati personali, Provv. n. 8/P/2001 del 14 marzo 2001, in G.U. 5 aprile 2001,
n. 80), individuando le condizioni di accesso e selezionando, a tal fine, anche
preliminarmente, nell'ambito dei singoli atti e documenti, le informazioni da rendere
consultabili.
In tale prospettiva, il Garante ritiene che le informazioni personali contenute in atti e
documenti possano essere reperibili nelle sezioni di archivio attraverso l'attribuzione alle
persone che ne hanno fatto richiesta di una chiave personale di identificazione informatica
secondo le regole stabilite in materia dal Codice dell'amministrazione digitale oppure, in
alternativa, attraverso la libera consultazione a condizione che i soggetti destinatari degli
obblighi di pubblicazione in materia di trasparenza adottino opportune misure a tutela
degli interessati avendo cura di rendere anonimi i dati personali contenuti nella
documentazione inserita in archivio, fermo restando il rispetto delle disposizioni normative
sulla tenuta degli "archivi".
I dati e le informazioni concernenti la situazione patrimoniale dei titolari di incarichi
politici, di cui all’articolo 14, comma 2 del d.lgs. 33/2013, non devono essere trasferiti nelle
sezioni di archivio dei siti web istituzionali alla scadenza del termine di pubblicazione.
Indicizzazione tramite motori di ricerca (articolo 9, comma 1, del d.lgs. 33/2013)
L'articolo 9 del d. lgs. n. 33/2013 stabilisce che "Le amministrazioni non possono disporre filtri e
altre soluzioni tecniche atte ad impedire ai motori di ricerca web di indicizzare ed effettuare
ricerche all'interno della sezione "Amministrazione trasparente"".
Il Garante, in proposito ha evidenziato che l'obbligo di indicizzazione nei motori generalisti (es.
google) durante il periodo di pubblicazione obbligatoria è limitato ai soli dati tassativamente
individuati ai sensi delle disposizioni in materia di trasparenza da collocarsi nella "sezione
"Amministrazione trasparente", con esclusione di altri dati che si ha l'obbligo di pubblicare per
altre finalità di pubblicità diverse da quelle di "trasparenza".
Indicazioni per specifici obblighi di pubblicazione
Obblighi di pubblicazione dei curricula professionali
La disciplina in materia di trasparenza prevede di rendere visibile al pubblico, rispetto a
taluni soggetti, informazioni personali concernenti il percorso di studi e le esperienze
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professionali rilevanti, nella forma del curriculum redatto in conformità al vigente modello
europeo (art. 10, comma 8, lett. d).
Le ipotesi previste riguardano, ad esempio, i curricula professionali dei titolari di incarichi
di indirizzo politico (art. 14), dei titolari di incarichi amministrativi di vertice, dirigenziali e
di collaborazione o consulenza (art. 15, comma 1, lett. b), nonché delle posizioni dirigenziali
attribuite a persone, anche esterne alle PA, individuate discrezionalmente dall'organo di
indirizzo politico senza procedure pubbliche di selezione, di cui all'articolo 1, commi 39 e
40, della legge 190/2012 (articolo 15, comma 5), dei componenti degli organismi
indipendenti di valutazione (articolo 10, comma 8, lett. c), nonché dei dirigenti in ambito
sanitario come individuati dall'articolo 41, commi 2 e 3.
Il riferimento del legislatore all'obbligo di pubblicazione del curriculum non può
tuttavia comportare la diffusione di tutti i contenuti astrattamente previsti dal modello
europeo ma solo di quelli pertinenti rispetto alle finalità di trasparenza perseguite.
Prima di pubblicare sul sito istituzionale i curricula, il titolare del trattamento dovrà
pertanto operare un'attenta selezione dei dati in essi contenuti, se del caso
predisponendo modelli omogenei e impartendo opportune istruzioni agli interessati
(che, in concreto, possono essere chiamati a predisporre il proprio curriculum in vista della
sua pubblicazione per le menzionate finalità di trasparenza). In tale prospettiva, sono
pertinenti le informazioni riguardanti i titoli di studio e professionali, le esperienze
lavorative (ad esempio, gli incarichi ricoperti), nonché ulteriori informazioni di carattere
professionale (si pensi alle conoscenze linguistiche oppure alle competenze nell'uso delle
tecnologie, come pure alla partecipazione a convegni e seminari oppure alla redazione di
pubblicazioni da parte dell'interessato). Non devono formare invece oggetto di
pubblicazione dati eccedenti, quali ad esempio i recapiti personali oppure il codice
fiscale degli interessati, ciò anche al fine di ridurre il rischio di c.d. furti di identità.
Deve inoltre essere garantita agli interessati la possibilità di aggiornare periodicamente il
proprio curriculum ai sensi dell'articolo 7 del Codice privacy evidenziando gli elementi
oggetto di aggiornamento.
Obblighi di pubblicazione della dichiarazione dei redditi dei componenti degli organi
di indirizzo politico e dei loro familiari (articolo 14 del d.lgs. 33/2013)
L'articolo. 14 del d. lgs. n 33/2013 prevede la pubblicazione delle "dichiarazioni di cui
all'articolo 2, della legge 5 luglio 1982, n. 441, nonché le attestazioni e dichiarazioni di cui agli
articoli 3 e 4 della medesima legge, come modificata dal presente decreto, limitatamente al soggetto,
al coniuge non separato e ai parenti entro il secondo grado, ove gli stessi vi consentano".
Con riferimento all'obbligo di pubblicazione della dichiarazione dei redditi, la predetta
disposizione deve essere coordinata con le altre disposizioni dello stesso d.lgs. n. 33/2013
(art. 4, comma 4), con i principi di pertinenza e non eccedenza (art. 11, comma 1, lett. d, del
Codice), nonché con le previsioni a tutela dei dati sensibili (art. 22 del Codice).
Pertanto, ai fini dell'adempimento del previsto obbligo di pubblicazione, risulta sufficiente
pubblicare copia della dichiarazione dei redditi previo però oscuramento, a cura
dell'interessato o del soggetto tenuto alla pubblicazione qualora il primo non vi abbia
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provveduto, delle informazioni eccedenti e non pertinenti rispetto alla ricostruzione
della situazione patrimoniale degli interessati (quali, ad esempio, lo stato civile, il codice
fiscale, la sottoscrizione, etc.), nonché di quelle dalle quali si possano desumere
indirettamente dati di tipo sensibile, come, fra l'altro, le indicazioni relative a:
familiari a carico tra i quali possono essere indicati figli disabili;
spese mediche e di assistenza per portatori di handicap o per determinate patologie;
erogazioni liberali in denaro a favore dei movimenti e partiti politici;
erogazioni liberali in denaro a favore di Onlus, delle iniziative umanitarie, religiose, o
laiche, gestite da fondazioni, associazioni, comitati ed enti individuati con decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri nei paesi non appartenenti all'OCSE;
contributi associativi versati dai soci alle società di mutuo soccorso che operano
esclusivamente nei settori di cui all'articolo 1 della legge 3818/1886, al fine di
assicurare ai soci medesimi un sussidio nei casi di malattia, di impotenza al lavoro o di
vecchiaia, oppure, in caso di decesso, un aiuto alle loro famiglie;
spese sostenute per i servizi di interpretariato dai soggetti riconosciuti sordomuti ai
sensi della legge 381/1970;
erogazioni liberali in denaro a favore delle istituzioni religiose;
scelta per la destinazione dell'otto per mille;
scelta per la destinazione del cinque per mille.
Si ricorda che non possono essere pubblicati i dati personali del coniuge non separato e
dei parenti entro il secondo grado che non abbiano prestato il consenso alla
pubblicazione delle attestazioni e delle dichiarazioni di cui all'art. 14, comma 1, lett. f),
del d. lgs. n. 33/2013.
Obblighi di pubblicazione concernenti corrispettivi e compensi (articoli 15, 18 e 41, del
d.lgs. 33/2013)
La disciplina in materia di trasparenza prevede che informazioni concernenti l'entità di
corrispettivi e compensi percepiti da alcune tipologie di soggetti formino oggetto di
pubblicazione secondo le modalità previste dal d.lgs. 33/2013.
Tra questi ultimi sono annoverati, ad esempio, i titolari di incarichi amministrativi di
vertice, dirigenziali e di collaborazione o consulenza (cfr. artt. 15 e 41, commi 2 e 3), nonché
i dipendenti pubblici cui siano stati conferiti o autorizzati incarichi (art. 18).
Pertanto, ai fini dell'adempimento degli obblighi di pubblicazione, risulta proporzionato
indicare il compenso complessivo percepito dai singoli soggetti interessati, determinato
tenendo conto di tutte le componenti, anche variabili, della retribuzione.
Al contrario, non appare giustificato riprodurre sul web la versione integrale di documenti
contabili, i dati di dettaglio risultanti dalle dichiarazioni fiscali oppure dai cedolini dello
stipendio di ciascun lavoratore come pure l'indicazione di altri dati eccedenti riferiti a
percettori di somme (quali, ad esempio, i recapiti individuali e le coordinate bancarie
utilizzate per effettuare i pagamenti).
Non risulta inoltre giustificata la pubblicazione di informazioni relative alle
dichiarazioni dei redditi dei dipendenti e dei loro familiari, ipotesi questa che la legge
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impone esclusivamente nei confronti dei componenti degli organi di indirizzo politico
(art. 14, del d. lgs. n. 33/2013).
Obblighi di pubblicazione concernenti i provvedimenti amministrativi (ad es. concorsi e
prove selettive per l'assunzione del personale e progressioni di carriera, articolo 23 del
d.lgs. 33/2013)
L’articolo 23 del d.lgs. 33/2013 prevede la pubblicazione obbligatoria di elenchi dei
provvedimenti adottati dagli organi di indirizzo politico e dai dirigenti, tra i quali vanno
menzionati i provvedimenti finali dei procedimenti relativi a concorsi e prove selettive per
l'assunzione del personale e progressioni di carriera.
In attuazione di tale disposizione, di questi provvedimenti devono essere pubblicati solo
gli elementi di sintesi, indicati nel comma 2, quali il contenuto, l'oggetto, l'eventuale spesa
prevista e gli estremi dei principali documenti contenuti nel fascicolo del procedimento.
Con particolare riferimento ai provvedimenti finali adottati all'esito dell'espletamento di
concorsi oppure di prove selettive non devono formare quindi oggetto di pubblicazione,
gli atti integrali contenenti (anche in allegato):
- le graduatorie formate a conclusione del procedimento;
- le informazioni comunque concernenti eventuali prove intermedie che preludono
all'adozione dei provvedimenti finali.
Obblighi di pubblicazione degli atti di concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi e
attribuzione di vantaggi economici e dell'elenco dei soggetti beneficiari (articoli 26 e 27
del d.lgs. 33/2013)
L'articolo 26, comma 2, del d.lgs. 33/2013 stabilisce l'obbligo di pubblicazione degli atti di
concessione "delle sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari alle imprese, e comunque di
vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati ai sensi del citato
articolo 12 della legge n. 241 del 1990, di importo superiore a mille euro".
Il comma 3 del medesimo articolo aggiunge che tale pubblicazione "costituisce condizione
legale di efficacia dei provvedimenti che dispongano concessioni e attribuzioni di importo
complessivo superiore a mille euro nel corso dell'anno solare al medesimo beneficiario".
Per le predette pubblicazioni è prevista l'indicazione delle seguenti informazioni:
a) il nome dell'impresa o dell'ente e i rispettivi dati fiscali o il nome di altro soggetto
beneficiario;
b) l'importo del vantaggio economico corrisposto;
c) la norma o il titolo a base dell'attribuzione;
d) l'ufficio e il funzionario o dirigente responsabile del relativo procedimento
amministrativo;
e) la modalità seguita per l'individuazione del beneficiario;
f) il link al progetto selezionato e al curriculum del soggetto incaricato (art. 27, comma 1).
In tale quadro, lo stesso d.lgs. 33/2013 individua una serie di limiti all'obbligo di
pubblicazione di atti di concessione di benefici economici comunque denominati.
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Non possono, infatti, essere pubblicati i dati identificativi delle persone fisiche
destinatarie dei provvedimenti di concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi e
attribuzione di vantaggi economici, nonché gli elenchi dei relativi destinatari:
a) di importo complessivo inferiore a mille euro nel corso dell'anno solare a favore del
medesimo beneficiario;
b) di importo superiore a mille euro nel corso dell'anno solare a favore del medesimo
beneficiario "qualora da tali dati sia possibile ricavare informazioni relative allo stato di salute"
(articolo 26, comma 4, d.lgs. 33/2013; nonché articoli 22, comma 8, e 68, comma 3, del
Codice privacy);
c) di importo superiore a mille euro nel corso dell'anno solare a favore del medesimo
beneficiario "qualora da tali dati sia possibile ricavare informazioni relative […] alla situazione
di disagio economico-sociale degli interessati" (art. 26, comma 4, d. lgs. n. 33/2013).
Con specifico riferimento alle informazioni idonee a rivelare lo stato di salute, è vietata
la diffusione di qualsiasi dato o informazione da cui si possa desumere lo stato di
malattia o l'esistenza di patologie dei soggetti interessati, compreso qualsiasi riferimento
alle condizioni di invalidità, disabilità o handicap fisici e/o psichici quali:
la disposizione sulla base della quale ha avuto luogo l'erogazione del beneficio
economico se da essa è possibile ricavare informazioni sullo stato di salute di una
persona (si pensi all'indicazione "erogazione ai sensi della legge 104/1992" che, come
noto, è la "Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone
handicappate");
i titoli dell'erogazione dei benefici (es. attribuzione di borse di studio a "soggetto
portatore di handicap", o riconoscimento di buono sociale a favore di "anziano non
autosufficiente" o con l'indicazione, insieme al dato anagrafico, delle specifiche
patologie sofferte dal beneficiario);
le modalità e i criteri di attribuzione del beneficio economico (es. punteggi attribuiti
con l'indicazione degli "indici di autosufficienza nelle attività della vita quotidiana");
la destinazione dei contributi erogati (es. contributo per "ricovero in struttura
sanitaria" o per "assistenza sanitaria").
Analogamente, è vietato riportare dati o informazioni da cui si può desumere la condizione
di indigenza o di disagio sociale in cui versano gli interessati (articolo 26, comma 4, del
d.lgs. 33/2013).
Si tratta di un divieto funzionale alla tutela della dignità, dei diritti e delle libertà
fondamentali dell'interessato (articolo 2 Codice privacy), al fine di evitare che soggetti che
si trovano in condizioni disagiate, economiche o sociali, soffrano l'imbarazzo della
diffusione di tali informazioni, o possano essere sottoposti a conseguenze indesiderate, a
causa della conoscenza da parte di terzi della particolare situazione personale. Si pensi, fra
l'altro alle fasce deboli della popolazione (persone inserite in programmi di recupero e di
reinserimento sociale, anziani, minori di età, etc.).
Alla luce delle considerazioni sopra espresse, spetta agli enti destinatari degli obblighi di
pubblicazione online contenuti nel d.lgs. 33/2013, in quanto titolari del trattamento,
valutare, caso per caso, quando le informazioni contenute nei provvedimenti rivelino
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l'esistenza di una situazione di disagio economico o sociale in cui versa il destinatario
del beneficio e non procedere, di conseguenza, alla pubblicazione dei dati identificativi
del beneficiario o delle altre informazioni che possano consentirne l'identificazione. Tale
decisione rimane comunque sindacabile da parte del Garante che assicura il rispetto dei
predetti principi in materia di protezione dei dati personali.
In ogni modo, si evidenzia che i soggetti destinatari degli obblighi di pubblicazione
contenuti nel d.lgs. 33/2013 sono tenuti, anche in tale ambito, al rispetto dei principi di
necessità (art. 3, comma 1, del Codice), pertinenza e non eccedenza (art. 11, comma 1, lett.
d, del Codice), nonché delle disposizioni a tutela dei dati sensibili (art. 22 del Codice).
Non risulta, pertanto, giustificato diffondere, fra l'altro, dati quali, ad esempio,
l'indirizzo di abitazione o la residenza, il codice fiscale di persone fisiche, le coordinate
bancarie dove sono accreditati i contributi o i benefici economici (codici IBAN), la
ripartizione degli assegnatari secondo le fasce dell'Indicatore della situazione economica
equivalente-Isee, l'indicazione di analitiche situazioni reddituali, di condizioni di
bisogno o di peculiari situazioni abitative, etc.
Il Garante chiarisce, inoltre, che il riutilizzo dei dati personali pubblicati ai sensi dei
predetti articoli 26 e 27, non è libero, ma subordinato alle specifiche disposizioni di cui alla
direttiva comunitaria 2003/98/CE e al d. lgs. n. 36 del 24 gennaio 2006 di recepimento della
stessa, che non pregiudicano in alcun modo il livello di tutela delle persone con riguardo al
trattamento dei dati personali.
Albo dei beneficiari di provvidenze di natura economica (dpr. 118/2000)
L'assolvimento degli obblighi di pubblicazione degli atti di concessione di sovvenzioni,
contributi, sussidi e attribuzione di vantaggi economici sopra descritti deve essere
coordinato con le disposizioni che regolano la predisposizione dell'albo dei beneficiari di
provvidenze di natura economica (dpr. 118/2000).
Per tale motivo, ai fini di coordinamento con la recente normativa in tema di trasparenza e
per evitare in capo alle PA una duplicazione degli oneri di pubblicazione, deve ritenersi
che l'adempimento delle prescrizioni contenute negli articoli 26 e 27 del d.lgs. 33/2013,
assorbe gli obblighi previsti dagli articoli 1 e 2 del dpr 118/2000.
Per gli stessi motivi, il Garante ritiene, inoltre, che i soggetti diversi dalle PA parimenti
tenuti alla pubblicazione dell'albo dei beneficiari di provvidenze di natura economica ai
sensi del dpr. 118/2000 devono comunque rispettare le medesime cautele ed eccezioni
previste dagli articoli 26 e 27 sopra descritte (es.: divieto di pubblicazione dei dati
identificativi dei soggetti beneficiari di importi inferiori a mille euro nell'anno solare, di
informazioni idonee a rivelare lo stato di salute o la situazione di disagio economico-sociale
degli interessati, di dati eccedenti o non pertinenti).
PARTE SECONDA - PUBBLICITÀ PER ALTRE FINALITÀ DELLA P.A.
Limiti alla diffusione di dati personali nella pubblicazione di atti e documenti sul web per
finalità diverse dalla trasparenza
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Oltre agli obblighi di pubblicazione previsti in materia di trasparenza, vi sono casi e obblighi di
pubblicità online di dati, informazioni e documenti della p.a., contenuti in specifiche disposizioni
di settore quali, fra l'altro, quelli volti a far conoscere l'azione amministrativa in relazione al
rispetto dei principi di legittimità e correttezza, o quelli necessari a garantire la pubblicità legale
degli atti amministrativi (es.: pubblicità integrativa dell'efficacia, dichiarativa, notizia).
Anche per tali fattispecie occorre che le PA, prima di mettere a disposizione sui propri siti web
istituzionali atti e documenti amministrativi (in forma integrale o per estratto, ivi compresi gli
allegati) contenenti dati personali, verifichino se la normativa di settore preveda espressamente
tale obbligo (articolo 4, comma 1, lettera m, e articolo 19, comma 3, del Codice privacy, con
riguardo ai dati comuni, nonché articolo 20, 21 e 22, comma 11, con riferimento ai dati sensibili e
giudiziari).
Nel caso vi sia un obbligo normativo che impone la pubblicazione dell’atto o del documento nel
proprio sito web istituzionale è necessario selezionare i dati personali da inserire in tali atti e
documenti, verificando, caso per caso, se ricorrono i presupposti per l'oscuramento di determinate
informazioni.
Ciò in considerazione del fatto che, anche in tale ipotesi, i soggetti pubblici sono tenuti a ridurre al
minimo l'utilizzazione di dati personali e di dati identificativi (art. 4, comma 1, lett c, del Codice),
ed evitare il relativo trattamento quando le finalità perseguite nei singoli casi possono essere
realizzate mediante dati anonimi o altre modalità che permettano di identificare l'interessato solo
in caso di necessità (c.d. "principio di necessità" di cui all'art. 3, comma 1, del Codice).
Il procedimento di selezione dei dati personali suscettibili di essere diffusi deve essere, inoltre,
particolarmente accurato nei casi in cui tali informazioni siano idonee a rivelare dati sensibili o
giudiziari (art. 4, comma 1, lett. d ed e, del Codice) per i quali, come detto in precedenza, è previsto
una protezione rafforzata che prevede la possibilità per i soggetti pubblici di diffondere tali
informazioni solo nel caso in cui sia previsto da una espressa disposizione di legge e di trattarle
solo nel caso in cui siano in concreto "indispensabili" per svolgere l'attività istituzionale che non
può essere adempiuta, caso per caso, mediante l'utilizzo di dati anonimi o di dati personali di
natura diversa (artt. 22, in particolare commi 3, 5 e 11 e 68, comma 3, del Codice).
Resta, invece, del tutto vietata la diffusione di "dati idonei a rivelare lo stato di salute" (art. 22,
comma 8, del Codice).
Ciò significa, di conseguenza, che è vietata la pubblicazione di qualsiasi informazione da cui si
possa desumere lo stato di malattia o l'esistenza di patologie dei soggetti interessati, compreso
qualsiasi riferimento alle condizioni di invalidità, disabilità o handicap fisici e/o psichici.
A tale scopo, fin dalla fase di redazione degli atti e dei documenti oggetto di pubblicazione, nel
rispetto del principio di adeguata motivazione, non dovrebbero essere inseriti dati personali
"eccedenti", "non pertinenti", "non indispensabili" (e, tantomeno, "vietati"). In caso contrario,
occorre provvedere, comunque, al relativo oscuramento.
Accorgimenti tecnici in relazione alle finalità perseguite
A fronte della messa a disposizione online di atti e documenti amministrativi contenenti dati
personali per finalità di pubblicità dell'azione amministrativa, occorre assicurare forme corrette e
proporzionate di conoscibilità di tali informazioni.
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A tal fine, è necessario impedire la loro indiscriminata e incondizionata reperibilità in Internet e
garantire il rispetto dei principi di qualità ed esattezza dei dati, delimitando la durata della loro
disponibilità online.
Occorre evitare, ove possibile, la reperibilità dei dati personali da parte dei motori di ricerca esterni
(es. Google), stante il pericolo di decontestualizzazione del dato personale e la riorganizzazione
delle informazioni restituite dal motore di ricerca secondo una logica di priorità di importanza del
tutto sconosciuta, non conoscibile e non modificabile dall'utente.
Pertanto, è opportuno privilegiare funzionalità di ricerca interne al sito web, poiché in tal modo si
assicurano accessi maggiormente selettivi e coerenti con le finalità di volta in volta sottese alla
pubblicazione, garantendo, al contempo, la conoscibilità sui siti istituzionali delle informazioni che
si intende mettere a disposizione.
A tale scopo, alla luce dell'attuale meccanismo di funzionamento dei più diffusi motori di ricerca,
in relazione ai dati personali di cui si intende limitare la diretta reperibilità online tramite tali
strumenti, è possibile utilizzare regole di accesso convenzionali concordate nella comunità
Internet.
I soggetti pubblici sono tenuti ad assicurare il rispetto delle specifiche disposizioni di settore che
individuano circoscritti periodi di tempo per la pubblicazione di atti e provvedimenti
amministrativi contenenti dati personali, rendendoli accessibili sul proprio sito web solo per
l'ambito temporale individuato dalle disposizioni normative di riferimento, anche per garantire il
diritto all'oblio degli interessati (es. articolo 124, del d.lgs. 267/2000, riguardante la pubblicazione
di deliberazioni sull'albo pretorio degli enti locali per quindici giorni consecutivi).
Nei casi in cui, invece, la disciplina di settore non stabilisca un limite temporale alla pubblicazione
degli atti, vanno individuati, a cura delle amministrazioni pubbliche titolari del trattamento,
congrui periodi di tempo necessari al raggiungimento degli scopi per i quali i dati personali stessi
sono resi pubblici.
Trascorsi i predetti periodi di tempo specificatamente individuati dalla normativa di settore o, in
mancanza, dall'amministrazione, determinate notizie, documenti o sezioni del sito devono essere
rimossi dal sito web oppure oscurati gli elementi identificativi degli interessati e le altre
informazioni che possano consentirne l'identificazione.
La possibilità di consultare il documento completo, con i riferimenti in chiaro, è resa possibile
tramite rituale richiesta di accesso agli atti amministrativi ex legge 241/1990.
Devono essere adottate opportune cautele per ostacolare operazioni di duplicazione massiva dei
file contenenti dati personali da parte degli utenti della rete, rinvenibili sui siti istituzionali delle
amministrazioni pubbliche, mediante l'utilizzo di software o programmi automatici, al fine di
ridurre il rischio di riproduzione e riutilizzo dei contenuti informativi in ambiti e contesti
differenti.
Inoltre, il rischio della decontestualizzazione è strettamente correlato alla possibilità che i contenuti
informativi disponibili sul sito istituzionale siano accessibili mediante l'utilizzo di motori di ricerca
esterni, oppure siano reperibili attraverso la consultazione di siti web dove sono ospitate copie dei
medesimi contenuti informativi.
A tal fine, ogni file oggetto di pubblicazione sui siti web istituzionali, potendo essere letto in un
altro ambito e in un momento successivo alla sua diffusione, dovrebbe prevedere l'inserimento dei
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"dati di contesto" (es. data di aggiornamento, periodo di validità, amministrazione, segnatura di
protocollo o dell'albo).
Fattispecie esemplificative
Albo pretorio online degli enti locali
La disposizione di ordine generale sulla tenuta dell'albo pretorio negli enti locali è
contenuta nel Tuel, il quale stabilisce che "Tutte le deliberazioni del comune e della provincia
sono pubblicate mediante affissione all'albo pretorio, nella sede dell'ente, per quindici giorni
consecutivi, salvo specifiche disposizioni di legge" e che "Tutte le deliberazioni degli altri enti locali
sono pubblicate mediante affissione all'albo pretorio del comune ove ha sede l'ente, per quindici
giorni consecutivi, salvo specifiche disposizioni" (articolo 124, commi 1 e 2, del d.lgs. 267/2000).
Va aggiunto che, accanto a tale regola, nel corso del tempo si sono susseguite molteplici
disposizioni di natura statale, regionale e locale che sanciscono a carico degli enti locali
ulteriori obblighi di pubblicazione di atti e documenti nella bacheca dell'albo pretorio per
periodi di tempo differenziati, producendo una frammentazione della disciplina in materia.
A seguito dell'entrata in vigore della riforma contenuta nella legge 69/2009, gli enti locali
hanno provveduto all'istituzione dell'albo pretorio online al fine di adempiere agli obblighi
di pubblicità legale dei propri atti.
La disciplina appena richiamata, infatti, senza abrogare le precedenti disposizioni in
materia di tenuta dell'albo pretorio, ha sancito espressamente che “a far data dal 1° gennaio
2010, gli obblighi di pubblicazione di atti e provvedimenti amministrativi aventi effetto di pubblicità
legale si intendono assolti con la pubblicazione nei propri siti informatici da parte delle
amministrazioni e degli enti pubblici obbligati” e che “a decorrere dal 1 gennaio 2011 […] le
pubblicazioni effettuate in forma cartacea non hanno effetto di pubblicità legale” (articolo 32,
commi 1 e 5).
Dal 1° gennaio 2011, dunque, gli obblighi di pubblicità legale che gli enti locali assolvevano
attraverso l'affissione all'albo pretorio sono sostituiti dalla pubblicazione della medesima
documentazione nei rispettivi siti web istituzionali.
Pertanto, l'amministrazione locale che ha intenzione di pubblicare sull'albo pretorio online
un atto contenente dati personali è tenuta a verificare, preliminarmente, per i dati comuni,
l'esistenza di una norma di legge o di regolamento (ai sensi dell'articolo 19, comma 3, del
Codice privacy) oppure, per i dati sensibili e giudiziari, di una norma di legge (ai sensi
degli articoli 20, 21 e 22, comma 11, del Codice privacy) che prescriva l'affissione di
quell'atto all'albo pretorio.
Con specifico riferimento ai dati sensibili e giudiziari, gli enti locali devono agire nel
rispetto del proprio regolamento sul trattamento dei dati sensibili e giudiziari adottato in
conformità agli schemi tipo Anci, Upi e Uncem su cui il Garante ha già espresso parere
favorevole, rispettivamente, il 21 settembre 2005, il 7 settembre 2005 e il 19 ottobre 2005.
Una volta trascorso il periodo temporale previsto dalle singole discipline per la
pubblicazione degli atti e documenti nell'albo pretorio, gli enti locali non possono
continuare a diffondere i dati personali in essi contenuti.
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In caso contrario, si determinerebbe, per il periodo eccedente la durata prevista dalla
normativa di riferimento, una diffusione dei dati personali illecita perché non supportata
da idonei presupposti normativi (articolo 19, comma 3, del Codice privacy). Ciò, salvo che
gli stessi atti e documenti non debbano essere pubblicati in ottemperanza agli obblighi in
materia di trasparenza.
Nell'ipotesi in cui la normativa di riferimento non indichi la durata temporale
dell'affissione all'albo, l'amministrazione deve comunque individuare un congruo
periodo di tempo, non superiore al periodo ritenuto, caso per caso, necessario al
raggiungimento dello scopo per il quale l'atto è stato adottato e i dati stessi sono stati resi
pubblici, entro il quale i dati personali devono rimanere disponibili.
Una volta trascorso il periodo di pubblicazione previsto dalle singole discipline di
riferimento oppure, in mancanza, decorso il periodo di tempo individuato dalla stessa
amministrazione, gli atti e i documenti pubblicati potranno permanere nel sito web
istituzionale, ad esempio nelle sezioni dedicate agli archivi degli atti e/o della normativa
dell'ente, previa adozione degli opportuni accorgimenti per la tutela dei dati personali
(oscuramento dei dati e delle informazioni idonee a identificare, anche in maniera indiretta,
i soggetti interessati).
Poiché, inoltre, la finalità perseguita mediante gli obblighi di pubblicazione nell'albo
pretorio online riguarda atti e provvedimenti concernenti questioni rilevanti
essenzialmente nell'ambito della collettività locale di riferimento, risulta
sproporzionato, rispetto alla finalità di pubblicità, consentire l'indiscriminata
reperibilità in rete dei dati personali contenuti in atti e provvedimenti amministrativi
tramite i comuni motori di ricerca generalisti (es. Google).
Graduatorie
Con riguardo alla pubblicità degli esiti delle prove concorsuali e delle graduatorie finali –
nonché, nei casi (e con le modalità) previsti, dei risultati di prove intermedie – di concorsi e
selezioni pubbliche e di altri procedimenti che prevedono la formazione di graduatorie,
restano salve le normative di settore che ne regolano tempi e forme di pubblicità.
Anche a questo riguardo devono essere diffusi i soli dati pertinenti e non eccedenti riferiti
agli interessati.
Non possono quindi formare oggetto di pubblicazione dati concernenti i recapiti degli
interessati (si pensi alle utenze di telefonia fissa o mobile, l'indirizzo di residenza o di
posta elettronica, il codice fiscale, l'indicatore Isee, il numero di figli disabili, i risultati
di test psicoattitudinali o i titoli di studio), né quelli concernenti le condizioni di salute
degli interessati (articolo 22, comma 8, del Codice privacy), ivi compresi i riferimenti a
condizioni di invalidità, disabilità o handicap fisici e/o psichici.
Come già rilevato in passato dal Garante (Linee guida in materia di trattamento di dati
personali di lavoratori per finalità di gestione del rapporto di lavoro in ambito pubblico, del
14 giugno 2007), al fine di agevolare le modalità di consultazione delle graduatorie oggetto
di pubblicazione in conformità alla disciplina di settore (per finalità diverse dalla
trasparenza), le stesse possono altresì essere messe a disposizione degli interessati in
aree ad accesso selezionato dei siti web istituzionali consentendo la consultazione degli
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esiti delle prove o del procedimento ai soli partecipanti alla procedura concorsuale o
selettiva mediante l'attribuzione agli stessi di credenziali di autenticazione (es. username o
password, numero di protocollo o altri estremi identificativi forniti dall'ente agli aventi
diritto, oppure mediante utilizzo di dispositivi di autenticazione, quali la carta nazionale
dei servizi).
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Appalti: il subappaltare creditore ha diritto di accesso agli atti
Tar Lazio, sentenza 5080/2014
di Manuela Ricoveri
Il subappaltatore ha diritto di accedere alla documentazione riguardante il contratto di appalto
stipulato tra l’ente pubblico e l’appaltatore, qualora vanti un credito nei confronti di quest’ultimo.
Questo il principio ribadito dal Tar Lazio, sez III, nella sentenza in commento, con la quale ha
accolto il ricorso presentato da una società avverso il diniego opposto alla propria richiesta di
accesso.
Nel caso di specie la società aveva concluso un contratto di subappalto con altra società
aggiudicataria di una gara pubblica avente ad oggetto l’esecuzione di alcuni lavori stradali.
A fronte del mancato pagamento delle opere realizzate aveva presentato domanda di accesso alla
documentazione riguardante i rapporti economici tra la società appaltatrice e l’ente pubblico
committente.
Tale domanda veniva respinta.
I giudici amministrativi hanno ribadito che la società che vanta un creditore nei confronti
dell’appaltatore, derivante dalla stipula di un contratto di subappalto, ha un interesse concreto ed
attuale alla conoscenza degli atti relativi all’appalto (in tal senso sempre Tar Lazio, sentenza
8639/2013)
Tale documentazione, dando riscontro sullo stato dei pagamenti effettuati dall’ente pubblico,
consente al creditore di decidere, con cognizione di causa, sulle azioni da intraprendere.
Com’è noto, l’articolo 118 del codice dei contratti, concernente il pagamento dei subappaltatori, al
comma 3 offre alla stazione appaltante l’opzione tra il pagamento diretto dei subappaltatori e il
pagamento all’appaltatore previa acquisizione delle fatture quietanzate relative ai pagamenti da
esso corrisposti al subappaltatore.
Qualora gli affidatari non trasmettano entro un certo termine le fatture quietanziate del
subappaltatore o del cottimista, la stazione appaltante è tenuta a sospendere i successivi pagamenti
dovuti all’esecutore.
Secondo quanto affermato dall’Avcp e dalla giurisprudenza amministrativa, una volta adottata
l’una o l’altra modalità di pagamento, è preclusa alla stazione appaltante la possibilità di
modificare in corso di esecuzione le modalità di pagamento dei subappaltatori contenute nei
contratti di appalto e di subappalto.
Ciò in considerazione del fatto che le modalità di pagamento costituiscono parte integrante del
contratto di appalto e, pertanto, un’eventuale loro modifica in executivis, purché debitamente
motivata, è possibile solo con il consenso dell’appaltatore e del subappaltatore (Avcp, parere del
17 maggio 2012 e parere del 7 marzo 2013).
Tale disposizione, si ricorda, è stata modificata dal d.l. 145/2013 (c.d. d.l. Destinazione Italia).
Il legislatore, attraverso la modifica del comma 3 dell’articolo 118 del Codice dei Contratti, ha
introdotto la possibilità per la stazione appaltante di procedere, per i contratti di appalto in corso,
anche in deroga alle previsioni del bando di gara, al pagamento diretto al subappaltatore o al
cottimista dell’importo dovuto per le prestazioni dagli stessi eseguite.
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Detto pagamento, tuttavia, è condizionato al ricorrere delle “condizioni di particolare urgenza inerenti
al completamento dell'esecuzione del contratto accertate dalla stazione appaltante”.
Tale modifica è tesa ad evitare che l’impresa appaltatrice in crisi di liquidità, non potendo fornire
all’amministrazione appaltante le fatture quietanzate dei pagamenti effettuati ai subappaltatori, si
veda sospendere da parte della stessa il pagamento dei SAL successivi, con ciò alimentando una
spirale negativa che incide inevitabilmente sulla prosecuzione delle attività, danneggiando
appaltatore, subappaltatori e stazione appaltante.
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Appalti: la pregressa risoluzione contrattuale configura un grave errore professionale
Consiglio di Stato, sentenza n. 2289/2014
di Manuela Ricoveri
L’omessa dichiarazione di pregresse risoluzioni contrattuali, disposte in ragione di gravi
inadempimenti contrattuali, in quanto imposta dall’articolo 38, comma 1, lett. f), del d.lgs.
163/2006, comporta l’esclusione dalla gara.
Questo il principio espresso dal Consiglio di Stato, sez. III, con la sentenza in commento, con la
quale ha confermato la decisione del giudice di primo grado, ribadendo che l’accertamento della
non veridicità delle dichiarazioni rese in ordine al possesso dei requisiti comporta l’esclusione, a
prescindere dalla irrilevanza della circostanza omessa.
Nel caso di specie la stazione appaltante aveva riscontrato sul casellario informatico delle imprese,
contrariamente a quanto dichiarato in sede di partecipazione alla gara, la notizia di una risoluzione
contrattuale disposta da un’altra stazione appaltante per gravi inadempimenti contrattuali.
L’articolo 38, comma 1, lett. f), del codice dei contratti prevede due distinti casi di esclusione dalle
gare di appalto, con riferimento alle imprese che:
a. “secondo motivata valutazione della stazione appaltante, hanno commesso grave negligenza o
malafede nell’esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara”
(primo periodo);
b. “hanno commesso un errore grave nell’esercizio della loro attività professionale, accertato con
qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante” (secondo periodo).
Tale disposizione è finalizzata a reprimere, attraverso la sanzione della esclusione dalle nuove
procedure di gara, ogni condotta atta a minare la legittima aspettativa della stazione appaltante
non solo in una esecuzione a regola d’arte delle prestazioni affidate al privato, ovvero in maniera
rispondente alle esigenze del committente, ma anche nell’esecuzione delle prestazioni dedotte nel
contratto secondo il canone della buona fede in senso oggettivo.
Il canone della buona fede in senso oggettivo durante l’esecuzione del contratto obbliga il soggetto
ad assumere un contegno leale e corretto.
La norma impone al concorrente di dichiarare i gravi errori professionali e tecnici commessi nella
sua pregressa attività imprenditoriale.
Il concetto normativo di errore professionale abbraccia un’ampia gamma di ipotesi, riconducibili
comunque alla negligenza, alla malafede o all’incapacità di assolvere alle prestazioni contrattuali.
La rilevanza dell’errore grave non è circoscritta ai casi occorsi nell’ambito di rapporti contrattuali
intercorsi con la stazione appaltante che bandisce la gara, ma attiene indistintamente a tutta la
precedente attività professionale dell’impresa, in quanto elemento sintomatico della perdita del
requisito di affidabilità e capacità professionale ed influente sull’idoneità dell'impresa a fornire
prestazioni che soddisfino gli interessi di rilievo pubblico che la stazione appaltante persegue.
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Pertanto, il concorrente è tenuto a dichiarare le vicende relative alla grave inadempienza anche in
rapporti contrattuali intercorsi con soggetti diversi dall’amministrazioni che ha bandito la gara, al
fine di permettere alla stazione appaltante la valutazione sull’affidabilità dell’impresa.
Come evidenziato dai giudici amministrativi “le valutazioni che incidono sulla moralità professionale
spettano alla stazione appaltante e non di certo al concorrente, che non può quindi operare alcun proprio
“filtro” in sede di domanda di partecipazione”.
L’omessa indicazione, nella domanda di partecipazione alla gara, di tali pregresse gravi
inadempienze non può essere pertanto considerata come omissione di una mera formalità
“innocua” ai fini delle determinazione delle cause di esclusione dalla gara.
In tal caso non è neppure invocabile il beneficio dell’integrazione documentale ammessa
dall’articolo 46 comma 1 bis del Codice dei contratti al solo fine di sanare dichiarazioni non già del
tutto mancanti ma, piuttosto, incomplete e, quindi suscettibili di essere completate.
In senso conforme, si richiama la recente pronuncia del Tar Veneto che, con la sentenza n. 579
dell’8 maggio 2014, ha confermato la legittimità dell’esclusione di una ditta da una gara di appalto,
disposta in ragione del fatto che da notizie di stampa era risultato che alla ditta interessata era
stato revocato, da un’altra stazione appaltante, per gravissime irregolarità professionali, un
appalto di servizi.
I giudici amministrativi hanno chiarito che “tali obiettive ed univoche evenienze confortano, senza
dubbio, l’opinione della stazione appaltante circa le pregresse incompetenze e carenze professionali
evidenziate da circostanze oggettive di significativa gravità, emergendo, così, la inaffidabilità della ricorrente
nella gestione del servizio eventualmente alla stessa aggiudicato”.
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Gare: la dissociazione dalla condotta penalmente rilevante deve essere concreta ed effettiva
Consiglio di Stato, sentenza n. 2271/2014
di Manuela Ricoveri
Qualora vi siano soggetti cessati dalla carica, nell’anno antecedente la data di pubblicazione del
bando di gara, per pregressa condotta delittuosa, al fine di evitare di incorrere nell’esclusione e nel
divieto, l’operatore economico deve dimostrare che vi sia stata completa ed effettiva dissociazione
della condotta penalmente sanzionata.
Questo il principio espresso dal Consiglio di stato, sez. V, con la sentenza in commento, con la
quale ha confermato la legittimità dell’esclusione disposta nei confronti di una società per non
aveva adottato atti concreti e tangibili di dissociazione dalla condotta penalmente sanzionata di un
intraneus.
Nel caso di specie, la società pur avendo deliberato l’avvio di un’azione di responsabilità nei
confronti dell’amministratore cessato, in quanto condannato per reati incidenti sull’affidabilità
morale e professionale, aveva mantenuto quest’ultimo nella propria compagine sociale in qualità
di socio.
La norma che al riguardo viene in rilievo è l’articolo 38 del codice dei contratti che ricollega
l’esclusione dalla gara al dato sostanziale del mancato possesso dei requisiti indicati.
In particolare, il comma 1, lettera c) della disposizione in parola prevede l’esclusione dalla gara dei
soggetti che siano stati condannati per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che
incidono sulla moralità professionale.
L’esclusione, poi, secondo quanto disposto dalla disposizione, opera “anche nei confronti dei soggetti
cessati dalla carica nell’anno antecedente la data di pubblicazione del bando di gara, qualora l'impresa non
dimostri che vi sia stata completa ed effettiva dissociazione della condotta penalmente sanzionata”.
Ne discende che costituisce onere per l’impresa prestare la dovuta diligenza nel rappresentare
detta circostanza alla stazione appaltante e fornire, in sede di gara, la prescritta dichiarazione resa
anche dai soggetti cessati ovvero integrare la dichiarazione sostitutiva rilasciata dal legale
rappresentante, nel caso in cui detti soggetti siano divenuti irreperibili per l’impresa.
Il concorrente deve, in altri termini, fornire alla stazione appaltante una ricostruzione storica delle
cariche sociali nell’arco dell’ultimo anno, al fine di consentire la verifica in ordine alla sussistenza o
meno del requisito, nonché gli elementi per provare la dissociazione qualora esistano condanne
penali.
La ratio perseguita dalla norma è quella di precludere la partecipazione agli appalti pubblici di
soggetti che non diano affidamento sotto il profilo della moralità e della serietà professionale, al
fine di evitare che, anche se cessati dalla carica, il loro operato possa continuare a riverberarsi
sull’organizzazione dell’impresa.
Al fine di superare l’effetto preclusivo della partecipazione e, quindi, per evitare che la condanna
inflitta al soggetto che ha ricoperto cariche sociali si ripercuota sulla società, è necessario che
l’impresa ponga in essere, in concreto, un comportamento effettivamente idoneo a dimostrare la
sua reale volontà dissociativa dal comportamento di tale soggetto.
La dissociazione, non trattandosi di istituto giuridico codificato, può aver luogo in svariate forme,
ma è certo che deve risultare esistente, univoca e completa.
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A titolo esemplificativo, come specificato dall’Avcp nella determinazione n. 1/2010, possono
essere considerati indici rivelatori dell’effettività della dissociazione “l’estromissione del soggetto
dalla compagine sociale e/o da tutte le cariche sociali con la prova concreta che non vi sono collaborazioni in
corso, il licenziamento ed il conseguente avvio di un’azione risarcitoria, la denuncia penale”.
E’ necessaria, pertanto, un’effettività della dissociazione dalla condotta penalmente sanzionata.
Nel caso di specie la società aveva rispettato la norma ed in particolare l’obbligo di dichiarazione
di cui all’articolo 38 in parola, dimostrando altresì di aver provveduto ad intentare azione di
responsabilità nei confronti dell’ex amministratore privo dei requisiti morali e di affidabilità.
Tuttavia, la compagine sociale non era stata modificata e, dunque, l’amministratore cessato,
destinatario di condanna ostativa alla partecipazione alla gara, risultava, alla data della
presentazione della domanda, titolare del 95 % del capitale sociale della società partecipante.
I giudici amministrati hanno evidenziato come la mera azione di responsabilità adottata dalla
società non possa integrare l’ipotesi, normativamente prevista, di dissociazione e, quindi
consentire la partecipazione alla gara d’appalto.
Di conseguenza, hanno confermato l’esclusione del concorrente, non essendo ravvisabile una
effettiva interruzione del nesso di identificazione tra società e condannato.
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N. 5/2014 Maggio