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N. 00462/2014REG.PROV.COLL.
N. 05327/2013 REG.RIC.
N. 05542/2013 REG.RIC.
N. 05582/2013 REG.RIC.
N. 05584/2013 REG.RIC.
N. 05586/2013 REG.RIC.
N. 05807/2013 REG.RIC.
N. 05809/2013 REG.RIC.
N. 05818/2013 REG.RIC.
N. 05821/2013 REG.RIC.
N. 07082/2013 REG.RIC.
N. 07083/2013 REG.RIC.
R E P U B B L I C A
I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
1
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SENTENZA
Sui seguenti ricorsi in appello:
1) nr. 5327 del 2013, proposto dal MINISTERO DELLA
GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura
Generale dello Stato, domiciliato per legge presso la stessa in Roma, via dei Portoghesi, 12,
contro
la signora Elsa VERELLI, rappresentata e difesa dall’avv. Giunio Massa, con domicilio eletto
presso l’avv. Erica Deuringer in Roma, via Polibio, 45;
2) nr. 5542 del 2013, proposto dal MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro
tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato presso
la stessa in Roma, via dei Portoghesi, 12,
contro
il signor Nettuno MORRA, rappresentato e difeso dall’avv. Giunio Massa, con domicilio eletto
presso l’avv. Erica Deuringer in Roma, via Polibio, 45;
3) nr. 5582 del 2013, proposto dal MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro
tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato per
legge presso la stessa in Roma, via dei Portoghesi, 12,
contro
la signora Caterina USAI MIRRA, rappresentata e difesa dall’avv. Giunio Massa, con domicilio
eletto presso l’avv. Erica Deuringer in Roma, via Polibio, 45; 4) nr. 5584 del 2013, proposto dal MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro
tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato presso
la stessa in Roma, via dei Portoghesi, 12,
contro
l’avvocato Giunio MASSA, rappresentato e difeso da sé medesimo, con domicilio eletto presso
l’avv. Erica Deuringer in Roma, via Polibio, 45; 2
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5) nr. 5586 del 2013, proposto dal MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro
tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato presso
la stessa in Roma, via dei Portoghesi, 12,
contro
la signora Gigliola DI PALERMO, rappresentata e difesa dall’avv. Giunio Massa, con domicilio
eletto presso l’avv. Erica Deuringer in Roma, via Polibio, 45; 6) nr. 5807 del 2013, proposto dal MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro
tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato per
legge presso la stessa in Roma, via dei Portoghesi, 12,
contro
il signor Maurizio NAPOLI, rappresentato e difeso dall’avv. Giunio Massa, con domicilio eletto
presso l’avv. Erica Deuringer in Roma, via Polibio, 45; 7) nr. 5809 del 2013, proposto dal MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro
tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato per
legge presso la stessa in Roma, via dei Portoghesi, 12,
contro
il signor Michele CORONELLA, non costituito; 8) nr. 5818 del 2013, proposto dal MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro
tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato per
legge presso la stessa in Roma, via dei Portoghesi, 12,
contro
il signor Luigi PAGANO, non costituito;
9) nr. 5821 del 2013, proposto dal MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro
tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato per
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legge presso la stessa in Roma, via dei Portoghesi, 12, contro
la signora Concetta TROTA, non costituita;
10) nr. 7082 del 2013, proposto dal MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro
tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato presso
la stessa in Roma, via dei Portoghesi, 12,
contro
il signor Vittorio RICCARDI, rappresentato e difeso dall’avv. Giunio Massa, con domicilio eletto
presso l’avv. Erica Deuringer in Roma, via Polibio, 45; 11) nr. 7083 del 2013, proposto dal MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro
tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato presso
la stessa in Roma, via dei Portoghesi, 12,
contro
il signor Mario MENICAGLI, rappresentato e difeso dall’avv. Giunio Massa, con domicilio eletto
presso l’avv. Erica Deuringer in Roma, via Polibio, 45; per l’annullamento
quanto al ricorso nr. 5327 del 2013:
della sentenza nr. 83/2013 del T.A.R. del Lazio, Sezione Prima di Roma, depositata il 7 gennaio
2013, per l’ottemperanza al giudicato formatosi in relazione alla sentenza della Corte Suprema di
Cassazione nr. 23821/11 del 20 ottobre 2011;
quanto al ricorso nr. 5542 del 2013:
della sentenza nr. 5338/2013 resa dal T.AR. del Lazio, Sezione Prima, il 22 maggio 2013, depositata
il 28 maggio 2013, sul ricorso per l’esecuzione del giudicato formatosi in relazione alla sentenza
della Corte di Cassazione nr. 9262/2012, depositata il 7 giugno 2012, recante il riconoscimento di
un equo indennizzo per eccessiva durata del processo;
quanto al ricorso nr. 5582 del 2013:
della sentenza nr. 4231/2013 resa dal T.AR. del Lazio, Sezione Prima, il 10 aprile 2013, depositata
il 29 aprile 2013, sul ricorso per l’esecuzione del giudicato formatosi in relazione alla sentenza della
Corte di Cassazione nr. 6174/2012, depositata il 19 aprile 2012, recante il riconoscimento di un
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equo indennizzo per eccessiva durata del processo;
quanto al ricorso nr. 5584 del 2013:
della sentenza nr. 5749/2013 resa dal T.AR. del Lazio, Sezione Prima, il 22 maggio 2013, depositata
il 7 giugno 2013, sul ricorso per l’esecuzione (limitatamente alle spese oggetto di distrazione) del
giudicato formatosi in relazione alla sentenza della Corte di Cassazione nr. 6173/2012, depositata il
19 aprile 2012, recante il riconoscimento di un equo indennizzo per eccessiva durata del processo;
quanto al ricorso nr. 5586 del 2013:
della sentenza nr. 4019/2013 resa dal T.A.R. del Lazio, Sezione Prima, il 10 aprile 2013, depositata
il 22 aprile 2013, per l’ottemperanza al giudicato formatosi in relazione alla sentenza della Corte di
Cassazione nr. 2357/2012, depositata il 16 febbraio 2012, recante il riconoscimento di un equo
indennizzo per eccessiva durata del processo;
quanto al ricorso nr. 5807 del 2013:
della sentenza nr. 6202/2013 del T.A.R. del Lazio, Sezione Prima di Roma, depositata il 20 giugno
2013, per l’ottemperanza al giudicato formatosi in relazione alla sentenza della Corte Suprema di
Cassazione nr. 6169/2012 depositata in data 19 aprile 2012;
quanto al ricorso nr. 5809 del 2013:
della sentenza nr. 4718/2013 del T.A.R. del Lazio, Sezione Prima di Roma, depositata il 10 maggio
2013, per l’ottemperanza al giudicato formatosi in relazione al decreto della Corte d’Appello di
Roma nr. 54711/07, depositato in data 21 giugno 2010;
quanto al ricorso nr. 5818 del 2013:
della sentenza nr. 4739/2013 del T.A.R. del Lazio, Sezione Prima di Roma, depositata il 13 maggio
2013, per l’ottemperanza al giudicato formatosi in relazione al decreto della Corte d’Appello di
Roma nr. 54711/07 depositato in data 21 giugno 2010;
quanto al ricorso nr. 5821 del 2013:
della sentenza nr. 4738/2013 del T.A.R. del Lazio, Sezione Prima di Roma, depositata il 13 maggio
2013, per l’ottemperanza al giudicato formatosi in relazione al decreto della Corte d’Appello di
Roma nr. 54702/07, depositato in data 22 giugno 2010;
quanto al ricorso nr. 7082 del 2013:
della sentenza nr. 6891/2013 resa dal T.AR. del Lazio, Sezione Prima, il 3 luglio 2013, depositata
l’11 luglio 2013, sul ricorso per l’esecuzione del giudicato formatosi in relazione alla sentenza della
Corte di Cassazione nr. 3345/2012, depositata il 2 marzo 2012, recante il riconoscimento di un equo
indennizzo per eccessiva durata del processo;
quanto al ricorso nr. 7083 del 2013:
della sentenza nr. 6889/2013 resa dal T.AR. del Lazio, Sezione Prima, il 3 luglio 2013, depositata
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l’11 luglio 2013, sul ricorso per l’esecuzione del giudicato formatosi in relazione alla sentenza della
Corte di Cassazione nr. 3343/2012, depositata il 2 marzo 2012, recante il riconoscimento di un equo
indennizzo per eccessiva durata del processo.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio degli appellati in epigrafe indicati;
Viste le memorie prodotte dagli appellati costituiti a sostegno delle proprie difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, alla camera di consiglio del giorno 9 gennaio 2014, il Consigliere Raffaele Greco;
Udita l’avv. dello Stato Gabriella D’Avanzo per l’Amministrazione appellante;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
I – Il Ministero della Giustizia ha appellato, chiedendone la riforma, la sentenza con la quale il
T.A.R. del Lazio ha accolto il ricorso proposto dalla signora Elsa Verelli per l’ottemperanza al
giudicato formatosi sulla sentenza della Corte di Cassazione che ha condannato la detta
Amministrazione al pagamento di un equo indennizzo, pari a complessivi € 9.250,00, per eccessiva
durata del processo, ai sensi della legge 24 marzo 2001, nr. 89, oltre alle spese e agli accessori di
legge.
L’appello è affidato ai seguenti motivi:
1) violazione e falsa applicazione dell’art. 6, par. 1, della Convenzione Europea dei Diritti
dell’Uomo (CEDU), dell’art. 117 Cost., degli artt. 2 e 3, comma 7, della legge nr. 89 del 2001 (in
relazione all’avere il primo giudice disapplicato la disposizione interna di cui al comma 7 dell’art. 3
della citata legge nr. 89/2001, per supposto contrasto con la CEDU);
2) violazione e falsa applicazione dell’art. 114, comma 4, cod. proc. amm. (non essendo applicabile
la penalità di mora contemplata da detta disposizione ai casi di inottemperanza di sentenze dai quali
discendano obblighi di carattere pecuniario).
Si è costituita l’appellata, signora Elsa Verelli, la quale si è argomentatamente opposta
all’accoglimento del gravame, concludendo per la conferma della sentenza impugnata.
II – Un secondo appello di analogo tenore il Ministero della Giustizia ha proposto avverso altra
sentenza del T.A.R. capitolino, relativa all’ottemperanza alla sentenza della Corte di Cassazione
recante condanna al pagamento della somma complessiva di € 9.750,00 (oltre spese e accessori) in
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favore del signor Nettuno Morra, sempre a titolo di equo indennizzo ex legge nr. 89/2001.
L’appello si fonda su motivi sostanzialmente sovrapponibili a quelli del ricorso indicato al
precedente punto I, investendo unicamente la parte della decisione gravata con la quale
all’Amministrazione è stata comminata la penalità di mora di cui all’art. 114, comma 4, lettera e),
cod. proc. amm.
Si è costituito l’appellato, signor Nettuno Morra, opponendosi all’accoglimento dell’appello e
chiedendo la conferma della sentenza impugnata.
III – Con ulteriore appello, il Ministero della Giustizia ha gravato altra sentenza del T.A.R. del
Lazio, di tenore identico a quello delle sentenze già impugnate, recante ottemperanza alla condanna
al pagamento della somma complessiva di € 10.000,00 (oltre spese e accessori) in favore della
signora Caterina Usai Mirra; i motivi sono identici a quelli dell’appello di cui al precedente punto
II.
Si è costituita l’appellata, anche in questo caso assumendo l’infondatezza dell’impugnazione e
chiedendone la reiezione.
IV – Con un quarto appello, fondato su identici motivi, l’Amministrazione ha censurato un’ulteriore
sentenza del T.A.R. capitolino, recante ottemperanza alla condanna al pagamento della somma €
10.600,00 per equo indennizzo in favore del signor Franco Bonomo, limitatamente alle spese di lite
da distrarsi in favore dell’avvocato Giunio Massa, pari a complessivi € 2105,00 oltre a spese e
accessori.
Anche in questo giudizio l’appellato, ritualmente costituitosi, ha argomentato a sostegno
dell’infondatezza del gravame e della conferma della sentenza impugnata.
V – Ancora un altro appello è stato proposto dal Ministero della Giustizia, sulla scorta di motivi
identici a quelli posti a sostegno dei precedenti ricorso, avverso un’ulteriore sentenza del T.A.R. del
Lazio, identica alle altre, relativa all’ottemperanza della sentenza di condanna in Cassazione alla
somma complessiva di € 10.250,00 (oltre a spese e accessori) in favore della signora Gigliola
Palermo.
La appellata si è a sua volta costituita, chiedendo la reiezione del gravame.
VI – Identico iter si è avuto in relazione a un sesto appello, col quale il Ministero della Giustizia ha
chiesto la riforma della sentenza del T.A.R. laziale relativa a ottemperanza alla condanna al
pagamento della somma di € 9.650,00 (oltre spese e accessori) in favore del signor Maurizio
Napoli, costituitosi in resistenza.
VII – Con un settimo appello, l’Amministrazione della Giustizia ha impugnato un’altra sentenza del
T.A.R. capitolino, di tenore identico alle precedenti, con cui è stata ordinata l’ottemperanza di un
decreto della Corte d’Appello di Roma recante condanna al pagamento della somma € 16.000,00 in
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favore del signor Michele Coronella, sempre per equo indennizzo da eccessiva durata del processo;
i motivi di gravame sono identici a quelli degli altri appelli.
In questo giudizio, la parte appellata non si è costituita.
VIII – Con ulteriore appello di identico tenore, è stata poi gravata la sentenza relativa
all’ottemperanza ad altro decreto della Corte d’Appello romana, recante condanna alla somma
complessiva di € 16.000,00 in favore del signor Luigi Pagano, sempre a titolo di equo indennizzo.
Anche in questo caso, l’appellato è rimasto contumace.
IX – Sempre i medesimi motivi di gravame sono alla base del nono appello in epigrafe, proposto dal
Ministero della Giustizia avverso un’ulteriore sentenza del T.A.R. del Lazio, afferente
all’ottemperanza del decreto della Corte d’Appello di Roma recante condanna al pagamento di €
16.000,00 in favore della signora Concetta Trota.
L’appellata si è costituita, opponendosi con diffuse argomentazioni all’accoglimento del gravame.
X – Analogo iter si è avuto quanto ad ulteriore appello proposto dalla stessa Amministrazione,
sempre sulla base degli stessi motivi in diritto, avverso altra sentenza del T.A.R. del Lazio relativa
all’ottemperanza della sentenza della Corte di Cassazione recante la condanna al pagamento della
somma di € 9.750,00, oltre spese e accessori, in favore del signor Vittorio Ricciardi.
Anche in questo caso, l’appellato si è costituito opponendosi all’accoglimento dell’appello.
XI – L’ultimo degli appelli in epigrafe, proposto dal Ministero della Giustizia sulla base di identici
motivi, investe la sentenza con la quale il T.A.R. del Lazio ha ordinato l’ottemperanza di altra
sentenza della Corte di Cassazione, recante condanna al pagamento della somma di € 9.250,00 in
favore del signor Mario Menicagli.
Anche in questo caso, l’appellato si è ritualmente costituito ed ha chiesto la conferma della sentenza
impugnata.
XII – Tutti gli appelli suindicati, chiamati alla camera di consiglio del 9 gennaio 2014, sono stati in
tale circostanza spediti in decisione.
DIRITTO
1. Preliminarmente, appare opportuno disporre la riunione degli appelli in epigrafe, ai sensi dell’art.
70 cod. proc. amm., essendo gli stessi fondati su questioni identiche.
2. Sono appellate, invero, undici sentenze del T.A.R. del Lazio emesse in altrettanti giudizi di
ottemperanza relativi a sentenze della Corte di Cassazione ovvero a decreti della Corte di Appello di
Roma, con cui il Ministero della Giustizia è stato condannato al pagamento di somme di varia entità
a titolo di equo indennizzo per eccessiva durata del processo ai sensi della legge 24 marzo 2001, nr.
89.
2.1. Il Ministero della Giustizia ha appellato le suddette sentenze limitatamente alla parte in cui il
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primo giudice, oltre a ordinare l’esecuzione della sentenza ottemperanda e a nominare un
Commissario ad acta per l’eventuale adempimento in sostituzione dell’Amministrazione, ha
condannato quest’ultima anche al pagamento di ulteriori somme a titolo di penalità di mora (c.d.
astreinte), ai sensi dell’art. 114, comma 4, lettera e), cod. proc. amm. in ragione dell’ingiustificato
ritardo nell’esecuzione rispetto al momento in cui sulle sentenze o sui decreti di condanna all’equo
indennizzo si era formato in giudicato.
Questo, in estrema sintesi, il percorso argomentativo del giudice di prime cure:
- la legge nr. 89 del 2001 (c.d. legge Pinto) è stata adottata dallo Stato italiano al dichiarato scopo di
predisporre un rimedio per la violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, sancito
dall’art. 6, par. 1, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), per la cui violazione
l’Italia risultava aver subito molteplici condanne dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo;
- la Corte, pur riconoscendo l’adeguatezza del rimedio indennitario, si è posta il problema della
reazione da prevedere per l’ipotesi in cui le Autorità nazionali omettano di ottemperare ai
provvedimenti giudiziari che riconoscono l’equo indennizzo;
- per questo, la giurisprudenza CEDU ha precisato che l’esecuzione della condanna de qua deve
considerarsi parte integrante del termine complessivo del processo, e pertanto rileva ai fini del
rispetto del citato art. 1, par. 6, della Convenzione (al riguardo, sono state citate le sentenze della
Grande Camera, 29 marzo 2006, Cocchiarella c. Italia, e della Sez. II, 21 dicembre 2010, Gaglione
c. Italia);
- negli arresti testé richiamati, la Corte ha ritenuto ragionevole ammettere un termine di “tolleranza”
per l’esecuzione delle sentenze in subiecta materia, termine che è stato equitativamente fissato in
sei mesi, decorsi i quali il ritardo non è più giustificabile;
- inoltre, la Corte ha precisato che la mancanza di risorse finanziarie non può costituire idonea
giustificazione
all’inadempimento
degli
obblighi
indennitari
discendenti
da
condanne
giurisdizionali per violazione della ragionevole durata del processo;
- tale quadro normativo e giurisprudenziale impone, secondo il primo giudice, “un’interpretazione
restrittiva (sostanzialmente, la disapplicazione)” dell’art. 3, comma 7, della precitata legge nr. 89
del 2001, secondo cui, in caso di condanna all’equo indennizzo: “...L’erogazione degli indennizzi
agli aventi diritto avviene nei limiti delle risorse disponibili”;
- ciò premesso, decidendo sulla domanda delle parti ricorrenti di condanna dell’Amministrazione al
risarcimento del danno da ritardo mediante applicazione della penalità di cui all’art. 114, comma 4,
lettera e), cod. proc. amm., il T.A.R. ha ritenuto di aderire all’orientamento secondo cui tale istituto,
a differenza di quello similare disciplinato nel processo civile dall’art. 614-bis cod. proc. amm., è
applicabile anche alle ipotesi in cui gli obblighi incombenti alla p.a. in esecuzione del giudicato
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abbiano carattere pecuniario;
- conseguentemente il primo giudice ha ritenuto, da un lato, di non ritenere giustificabile – in
applicazione della richiamata giurisprudenza EDU – il perdurante ritardo nell’erogazione delle
somme liquidate a titolo di equo indennizzo sulla base dell’affermata carenza di risorse finanziarie,
e, pertanto, di dover condannare il Ministero della Giustizia al pagamento di somme ex art. 114,
comma 4, lettera e), cod. proc. amm. con decorrenza dallo scadere dell’anzi detto termine
semestrale dalla data in cui ciascuna sentenza o decreto da ottemperare erano passati in giudicato
(tanto, sempre in ossequio alla giurisprudenza europea innanzi richiamata);
- con riguardo alla quantificazione dell’astreinte, il T.A.R. ha infine ritenuto di aderire all’indirizzo
per cui questa va equitativamente commisurata in € 100,00 per ogni mese di ritardo (cfr. sent.
Cocchiarella, cit.).
2.2. A fronte delle statuizioni così riassunte, l’Amministrazione ha affidato i propri appelli a due
motivi fondamentali:
a) da un lato, contestando l’applicabilità dell’istituto introdotto nel processo amministrativo dall’art.
114, comma 4, lettera e), cod. proc. amm. anche all’esecuzione di condanne al pagamento di somme
di denaro;
b) dall’altro, tacciando di erroneità la disapplicazione dell’art. 3, comma 7, della legge nr. 89 del
2001, per ritenuto contrasto con l’art. 6, par. 1, come interpretato dalla Corte, non essendo tale
operazione consentita al giudice a cagione della non diretta applicabilità delle norme CEDU
nell’ordinamento italiano.
3. Tutto ciò premesso, la Sezione reputa che – indipendentemente dall’ordine in cui sono articolati i
due mezzi suindicati, che è differenziato nei diversi appelli qui esaminati – vada accordata priorità
logica al primo dei detti motivi, essendo evidente che la sua eventuale fondatezza, comportando in
radice l’inammissibilità della domanda di condanna all’astreinte, esonererebbe dall’esame del
secondo mezzo.
4. La doglianza è però infondata, dovendo condividersi le conclusioni del primo giudice.
4.1. Al riguardo, la Sezione non ritiene di doversi discostare dall’ormai consolidato indirizzo di
questo Consesso, che è concorde nel senso dell’applicabilità dell’istituto della penalità di mora per
ritardo nell’esecuzione del giudicato, introdotto nel processo amministrativo dall’art. 114, comma 4,
lettera e), cod. proc. amm., non solo ai casi di ottemperanza a sentenze comportanti per la p.a.
obblighi di fare o non fare, ma anche alle condanne al pagamento di somme di denaro (cfr. ex
plurimis Cons. Stato, sez. V, 15 luglio 2013, nr. 3781; Cons. Stato, sez. III, 30 maggio 2013, nr.
2933; C.g.a.r.s., 30 aprile 2013, nr. 424; Cons. Stato, sez. IV, 31 maggio 2012, nr. 3272; Cons. Stato,
sez. V, 14 maggio 2012, nr. 2744).
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Non ignora il Collegio che è ancora diffuso in primo grado un orientamento opposto, basato su non
irragionevoli argomenti che sono stati puntualmente richiamati dal Ministero della Giustizia negli
odierni appelli, e segnatamente:
- sulla Relazione di accompagnamento al codice del processo amministrativo, nella quale si assume
che l’introduzione dell’astreinte obbedirebbe alla ratio di dotare anche il processo amministrativo
di uno strumento analogo a quello introdotto nel processo civile dall’art. 614-bis cod. proc. civ.
(laddove, come è noto, la possibilità di condanna a penalità di mora da parte del giudice
dell’esecuzione è limitata ai soli casi di inadempimento di giudicati da cui discendano obblighi di
fare o di non fare);
- sull’esigenza di evitare “asimmetrie” sotto tale profilo tra giudizio civile e giudizio
amministrativo;
- sulla circostanza che tali asimmetrie potrebbero tradursi in vere e proprie discriminazioni proprio
con riguardo all’esecuzione delle condanne pecuniarie emesse dal giudice ordinario nei confronti
delle amministrazioni pubbliche, laddove – come è noto – sopravvive nell’attuale sistema la facoltà
della parte vittoriosa di ricorrere, alternativamente o anche cumulativamente, sia al giudizio di
esecuzione in sede civile sia al giudizio di ottemperanza dinanzi al giudice amministrativo.
Tuttavia, questi argomenti appaiono recessivi a fronte del chiaro tenore letterale della disposizione
de qua, laddove, a differenza che nel citato art. 614-bis cod. proc. civ., non viene posta alcuna
distinzione per tipologie di condanne rispetto al potere del giudice di disporre, su istanza di parte, la
condanna dell’amministrazione inadempiente al pagamento della penalità di mora.
Inoltre, sono note le peculiarità del giudizio di ottemperanza disciplinato nell’ambito del processo
amministrativo, tali da escluderne la piena assimilabilità ad un mero giudizio di esecuzione e,
pertanto, anche da giustificarne un diverso regime normativo sotto lo specifico profilo qui
considerato.
In particolare, la giurisprudenza più sopra richiamata sottolinea la peculiare natura giuridica
dell’astreinte ex art. 114, comma 4, lettera e), cod. proc. amm., che integra non già un mero
meccanismo risarcitorio per il ritardo nell’inadempimento del giudicato, ma anche uno strumento
sanzionatorio e di pressione nei confronti della p.a., inteso ad assicurare il pieno e completo rispetto
degli obblighi conformativi discendenti dal decisum giudiziale.
5. Alla luce dei rilievi che precedono, va respinta la doglianza di violazione o falsa applicazione
dell’art. 114, comma 4, lettera e), cod. proc. amm. articolata in tutti gli appelli qui riuniti.
6. Con riferimento al motivo di cui sub b) al precedente punto 2.2, la sua decisione va differita
all’esito delle definizione della questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 7, della
legge nr. 89 del 2001, che viene sollevata dalla Sezione con separata ordinanza.
11
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P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), riuniti gli appelli in epigrafe,
parzialmente pronunciando su di essi, li respinge in parte, come meglio precisato in motivazione.
Riserva al definitivo ogni ulteriore statuizione in rito, nel merito e sulle spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 gennaio 2014 con l’intervento dei
magistrati:
Marzio Branca, Presidente FF
Raffaele Greco, Consigliere, Estensore
Fabio Taormina, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
Umberto Realfonzo, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 29/01/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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www.ildirittoamministrativo.it 1 N. 00462/2014REG.PROV.COLL. N