INSEGNAMENTO DI
DIDATTICA GENERALE I
LEZIONE IV
“ELEMENTI DI DIDATTICA GENERALE II”
PROF. CARMELO PIU
Didattica Generale I
Lezione IV
Indice
1
DIDATTICA GENERALE E DIDATTICHE DISCIPLINARI.......................................................................... 3
2
PRINCIPI FONDANTI OGNI CORRETTA PROGETTAZIONE ................................................................. 13
2.1.
PREMESSA ...................................................................................................................................................... 13
2.2.
FONDAMENTI TEORICI DELLA PROGETTAZIONE DIDATTICA ............................................................................ 15
2.2.1. L’intenzionalità ............................................................................................................................................. 16
2.2.2. La contestualizzazione................................................................................................................................... 18
2.2.3. La razionalizzazione..................................................................................................................................... 21
2.2.4. La metodica ................................................................................................................................................... 23
3
TECNOLOGIE E MEDIAZIONE DIDATTICA ............................................................................................... 26
3.1.
PREMESSA ...................................................................................................................................................... 26
3.2.
QUADRO CONCETTUALE DI RIFERIMENTO ....................................................................................................... 27
3.3.
FORMAZIONE E TECNOLOGIE MULTIMEDIALI .................................................................................................. 30
3.4.
TECNOLOGIE E CONTESTI EDUCATIVI DI APPRENDIMENTO .............................................................................. 33
BIBLIOGRAFIA ............................................................................................................................................................ 38
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Lezione IV
1 Didattica generale e didattiche disciplinari
1.1.
Premessa
La scienza, da sempre e nel corso dei secoli, si sviluppa seguendo due tendenze
concomitanti ed apparentemente opposte. La prima, legata all’approfondimento sempre più
accentuato dei saperi e ad una maggiore specificazione e settorializzazione, porta alla nascita di
nuove discipline. La seconda, invece, orientata allo sviluppo, ad aggregazioni nuove, a
ricomposizioni ed interrelazioni e a riconquiste di terreni comuni di studio e di ricerca, instaura,
tra più discipline, una necessaria correlazione ed interrelazione. In tal modo si soddisfano le due
anime della scientificità relative la prima all’esigenza di indagare, controllando un numero
sempre più definito e circoscritto di variabili e la seconda a garantirne il legame sistemico che si
instaura tra gli eventi in modo da scoprire ed individuare condizioni e concause di uno stesso
evento e, quindi, congetturare una o anche più di una interpretazione.
La didattica si presenta, sul piano generale e complessivo, come scienza sperimentale che
ha, come oggetto della sua specificità, l’organizzazione, la gestione e l’ottimizzazione delle
azioni formative. È squisitamente una scienza dell’azione, della progettazione e della
valutazione educativa, sulla base di un’organizzazione sistemica, fondata sull’interazione e
correlazione sinergica tra agire strumentale, agire relazionale e agire comunicativo, ossia tra
prassi empirica e riflessione ermeneutica. Ha necessità, quindi, di formulare una teoria generale
sull’insegnamento, sul come e in che modo, ma anche di affrontare problemi specifici, pertinenti
all’insegnamento delle varie discipline, in riferimento cioè alle varie tecniche utilizzate per
risolvere particolari problemi di insegnamento che si presentano ai vari livelli di scuola, in
determinati ambienti culturali, e che sono connessi alle specifiche discipline.
Si ha in tal modo una distinzione tra didattica generale e didattiche disciplinari. Nel
primo caso, in quanto applicazione di una comune capacità riferita ad ogni insegnamento, viene
auspicata la conoscenza della personalità del discente, la conoscenza approfondita del contesto,
sia esterno sia interno, per la determinazione delle condizioni ottimali all’apprendimento per
adattarvi il procedimento, i criteri e i modi dell’insegnare. Nel secondo caso, invece, le didattiche
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disciplinari si riferiscono ad ogni specifica materia d’insegnamento, e viene auspicata la
conoscenza approfondita del livello di soglia conoscitivo e relazionale di ciascun allievo
relativamente ad ogni materia e ad ogni ambito all’interno di ciascuna disciplina, per avere dati
ed elementi utili su cui poi impostare il percorso disciplinare, per cui vi sono tante didattiche per
quante sono le discipline, dal momento che vi è un modo tipico d’insegnare estrapolato da ogni
specifica disciplina, in quanto fa riferimento allo specifico statuto epistemologico.
E’ in questo quadro composito che si pone l’esigenza di esaminare e realizzare modalità
organizzative ed operative d’intreccio, di correlazione ed interconnessione e interdipendenza tra
la didattica generale e le didattiche disciplinari, trovando punti di raccordo strutturali ed
organizzativi nella concretezza e nella materialità del loro svolgimento, affrontando cioè
problemi teorico-pratici, legati da un lato alla loro specificità ed autonomia e dall’altro alla loro
interrelazione e dipendenza rispetto alla dimensione culturale, epistemologica ed euristica.
1.2.
Didattica generale e didattiche disciplinari
Alcune precisazioni circa il concetto di conoscenza, di cultura, di apprendimento e di
formazione fatte in precedenza, inquadrano la scuola come un’istituzione deputata formalmente
all’educazione, anche se è da precisare che non è la sola e unica agenzia del sistema formativo e
socio-educativo, che, presentandosi sempre più poliedrico e policentrico, si è notevolmente
allargato (Piu, 1989).
Ma, in altri ambiti, in cui si hanno obiettivi diversi da perseguire:
d’addestramento o d’ammaestramento, la didattica assume prevalentemente i connotati di una
tecnica d’apprendimento o di una metodologia d’acquisizione tecnologica, per cui il rapporto tra
didattica generale e didattica disciplinare può anche presentarsi in modi e forme diversi, ossia può
essere più o meno strutturato e la reciproca distinzione e autonomia può presentarsi in modi più o
meno radicali o sfumati. Quando invece la didattica, come avviene nella scuola, assume
prevalentemente e specificatamente il compito educativo, l’intersezione e l’integrazione fra
didattica generale e didattiche disciplinari è imprescindibile, in quanto mediato ed impostato
secondo un orizzonte pedagogico e formativo. Pertanto, pur nella specificità degli ambiti e nella
differenza degli approcci al problema dell’apprendimento e della formazione, didattica generale e
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didattiche disciplinari si incontrano e si integrano su un terreno comune che è quello dell’azione
educativa.
La didattica generale, nell’ambito di un più articolato discorso sulla formazione, rappresenta
un approccio, un punto di vista sia teorico sia empirico ed operativo, che si esprime in un
linguaggio specifico, in una complessità di strategie, in un sistema di oggetti e contenuti di ricerca e
di esperienza. Per il fatto che la didattica generale è da intendersi come un serbatoio dal quale
attingere, di volta in volta, elementi di supporto temporaneo o di stimoli per suffragare scelte
compiute o da compiere in ambiti disciplinari specifici, essa costituisce un punto di riferimento per
le didattiche disciplinari. Quest’impostazione avvalora la prospettiva secondo la quale la didattica
generale deve accogliere e rappresentare, con i propri linguaggi, ed affrontare con i propri metodi i
problemi sollevati dalle plurime didattiche disciplinari, così come queste ultime devono mostrare
sensibilità ai problemi sollevati dalla didattica generale ed accoglierli come elementi teorico-pratici
da affrontare e risolvere e su cui devono dare il proprio contributo. I temi, infatti, inerenti alla
formazione, da quelli socio-cognitivi a quelli affettivo-emozionali, vanno affrontati in una
prospettiva di ricerca scientifica complessiva.
Allo stesso modo l’ambito d’intervento della didattica generale non può riguardare solo
quello dei rapporti interpersonali e delle dinamiche socio-emotive, ossia delle strategie che
permettono l’instaurarsi di un buon clima relazionale per favorire apprendimenti efficaci, ma deve
occuparsi di tutte le problematiche inerenti alla relazione e alla comunicazione, che si instaurano e
si realizzano in ambito educativo. Le osservazioni sistematiche, le ipotesi progettuali e
programmatiche, la raccolta dei dati informativi, sia sul piano generale (conoscenza del contesto
interno ed esterno, storia ed esperienza pregressa degli allievi sia sul piano formativo sia su quello
più specificatamente relazionale, ecc.) sia sul piano specifico (capacità complessive trasversali,
abilità disciplinari, livello di soglia degli allievi, ecc.), la valutazione ed interpretazione dei dati
raccolti, la valutazione, nella sua complessità e nella sua dialetticità, appartengono sia alla sfera di
interesse scientifico e competenza della didattica generale sia alla sfera di interesse scientifico e alla
competenza delle didattiche disciplinari. Allo stesso modo, è impossibile ipotizzare una
progettazione didattica attuata separatamente da chi si occupa di strategie e metodi e da chi si
occupa di contenuti. L’impostazione non può essere quella di separare, ma piuttosto di integrare gli
studi, la ricerca e la prassi educativa in una visione olistica, evitando la cristillazione isolante delle
dominanze, che portano alla separatezza. In questa prospettiva, che potremmo definire di autopoiesi
sistemica, non è particolarmente rilevante, dal punto di vista scientifico, fare una distinzione netta
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tra didattica generale e didattiche disciplinari per la rivendicazione di reciproche autonomie, perché
è sicuramente più produttiva una riflessione che porti alla distinzione e all’autonomia dei diversi
ambiti scientifici e di ricerca, corrispondenti ai nodi della rete delle relazioni sistemiche, in quanto
queste rappresentano le connessioni logico-formali ed empiriche della didattica ed in questo quadro
ha senso una determinazione specifica delle didattiche disciplinari.
Si può, al massimo, sottolineare solo la distanza che intercorre fra l’attenzione rivolta agli
oggetti di conoscenza e l’enfasi e l’attenzione rivolta invece ai soggetti che apprendono. Nel primo
caso si tratta dell’organizzazione e dell’ordine logico ed epistemologico dei contenuti, mentre nel
secondo si presta attenzione maggiormente ai processi di acquisizione e costruzione degli
apprendimenti per definirne le strategie operative e le loro condizioni rilevanti.
Insieme, e non può peraltro essere diversamente, contribuiscono all’elaborazione e
costruzione di un percorso formativo, la cui ottimizzazione, organizzazione e gestione può essere
descritta, per come sostiene Galliani (1993), come relazione tra sottosistemi quali:
- il flusso informativo, riguardanti l’analisi dei bisogni formativi individuali e la valutazione
del piano dell’offerta formativa, nonché dell’insegnamento e dell’apprendimento, in base a degli
indicatori di qualità (CERI-OCSE, 1994; 1994), in modo da salvaguardare e tenere nella giusta
considerazione l’organizzazione scientifico-disciplinare dei saperi;
- il piano operativo, riferito alla progettazione, legato da un lato al modello d’insegnamento
prescelto: in presenza, a distanza o integrato e-learning, e dall’altro ai diversi modelli delle pratiche
didattiche (per unità e progetti didattici, per unità d’apprendimento, per obiettivi, per concetti, per
moduli, per sfondi integratori o per scenari, per progetti specifici), e relativo sia alla comunicazione
intra e interpersonale di tutti i soggetti coinvolti, sia al contesto, esterno ed interno, sia
all’atteggiamento positivo o negativo dei vari soggetti, ossia al pensare positivo. Tutto questo per
garantire ad ogni soggetto in educazione che i processi di conoscenza siano correlati ai processi
d’apprendimento;
- la dimensione epistemologica, che definisce e dà senso alla pluralità dei modelli della
didattica (Baldacci, 2004) e al rapporto tra significati/fini formativi e tecniche/pratiche didattiche, in
modo da assicurare la compresenza di più teorie dell’educazione (trasmissive, di ricerca e scoperta,
creative),
e giustificare così una corretta organizzazione del sapere, con le relative scelte
disciplinari, ritenute culturalmente e socialmente significative;
- il piano strategico, in cui si muovono dialetticamente le teorie dell’apprendimento come
modalità plurime di funzionamento mentale e psicodinamico nei diversi soggetti e le strategie di
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insegnamento, individualizzate e non, e di percorsi personalizzati, come interfacce logiche e
strategiche degli autonomi ambiti scientifico-disciplinari. Per questi motivi, la prospettiva non può
essere quella di separare, ma piuttosto di integrare studi, ricerca e prassi educativa in una visione
olistica complessiva, per cui tra didattica generale e didattiche disciplinari non vi può essere
subordinazione ma continuità, circolarità
e confronto dialettico, e quindi non separazione o
selezione ma integrazione, non distinzione o separatezza ma interdipendenza e sussidarietà. Senza
nessun contenuto di conoscenza da trasmettere e da far acquisire e costruire non vi può essere
nessuna didattica. Al limite si può pensare ad un quadro teorico e ad un quadro specifico, tra i quali
è necessario che s’instauri una continua integrazione e una costante intersezione, in modo da
soddisfare da un lato l’esigenza teorica, relativa all’analisi e all’acquisizione di dati sui fatti
educativi interpretandoli e ricercando e scoprendo gli elementi distintivi e gli elementi significativi
relativi all’insegnare e all’apprendere; e dall’altro l’esigenza di specificità, relativa alle indicazioni
operative, che specifica la sua azione nella concretezza del fare. Vi sono cioè problemi di scelta e di
criteri generali per l’azione e vi sono contesti operativi specifici e tra questi contesti, generali e
specifici, si attua il confronto e il riscontro dialettico attraverso la continuità e circolarità.
Volendo sintetizzare, la didattica generale assume il compito di un argomentare logico e
teorico sulle ragioni di un determinato particolare operato, che si può definire per comodità
espositiva di processi di trasferimento e costruzione delle conoscenze, con tutti gli interrogativi e le
variabili presenti in tale azione, mentre le didattiche disciplinari assumono il compito, per ogni
singolo settore del sapere, di validare attraverso i fatti educativi gli stessi principi e criteri che
guidano il processo di costruzione di quel determinato ambito di conoscenza e così fornire
continuamente dati e suggestioni, stimoli e problemi di cui deve tenere conto la didattica generale.
Un modo efficace per cogliere le differenze - ma anche i rapporti di correlazione e di
funzionalità - intercorrenti tra didattiche disciplinari e didattica generale, sostiene la Pinto Minerva
(1993), può esserci fornito dall’immagine esplicativa relativa al nesso testo/contesto. Secondo tale
analogia, il “testo” – o meglio la pluralità dei testi - rappresenta la didattica disciplinare, cioè la
molteplicità dei saperi che compongono il curricolo formativo di un determinato grado scolastico,
mentre il “contesto” rappresenta la didattica generale, ossia lo sfondo di riferimento entro cui si
collocano l’insieme dei testi relativi alla pluralità dei saperi disciplinari che determinano e
definiscono la specificità dei processi di insegnamento-apprendimento.
Frabboni (1999), per spiegare la correlazione necessariamente da instaurare e che deve
sussistere tra didattica generale e didattiche disciplinari, si serve di due metafore: la prima presenta
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la didattica come una sorta di fiore corredato da uno stelo, la didattica generale, e di un variato e
crescente numero di petali, ognuno dei quali rappresenta una singola didattica specifica di natura
disciplinare. Le relazioni tra le parti del “fiore” sono di natura sistemica, di consanguineità, in cui lo
stelo simboleggia la didattica-madre ed i petali le didattiche-figlie; la seconda metafora fa
riferimento ad una didattica, intesa come una scienza polivalente, contrassegnata da più statuti
epistemici: paritetici, equipollenti, isomorfi tra loro. Siamo di fronte alla concezione della didattica
quale congegno musicale a canne d’organo, capace di realizzare melodie formative nelle quali i
singoli apporti delle didattiche specifiche si compongono e si miscelano in un’unica sinfonia
educativa.
1.3.
Ambito specifico della didattica generale
La didattica generale, pertanto, si configura come la scienza dell’organizzazione del
complessivo contesto formativo, avente come oggetto specifico della sua ricerca teorica e prassica
l’analisi, l’articolazione e il funzionale raccordo della molteplicità delle variabili che concorrono
alla strutturazione e all’allestimento di un ambiente idoneo al processo d’insegnamentoapprendimento. In quanto scienza diretta all’elaborazione e costruzione dell’intero “congegno
organizzativo” del processo d’insegnamento-apprendimento (Pinto Minerva,1993), la didattica
generale ha, come contenuti specifici di ricerca, la messa a punto di dispositivi analitici attraverso
cui problematizzare, progettare e valutare, rispetto alla:
- qualità degli spazi con evidenti ricadute sulla progettazione e allestimento degli ambienti
di apprendimento, di alfabetizzazione e di socializzazione entro cui si concretizza la quotidianità
scolastica. Di qui l’attenzione alla collocazione, differenziazione e distribuzione di aule, aule
specializzate, laboratori, biblioteche, spazi verdi, orti botanici, ecc.;
- qualità dei tempi, ritenuti a giusta ragione oggetto di un forte investimento cognitivo e
affettivo. Il tempo è ormai considerato una variabile dipendente, per cui riflettere sulla sua
funzionale organizzazione (evitando la improduttività e la violenza dei tempi ora troppo accelerati e
pieni, ora troppo vuoti e noiosi) significa organizzare il calendario scolastico (annuale-mensilesettimanale-giornaliero) secondo criteri di organicità e flessibilità. Significa altresì per un verso
attuare una flessibilità in grado di conciliare la variabilità dei tempi tra quello concesso, quello
assegnato e quello effettivamente impiegato da ciascun soggetto per acquisire e costruire, attraverso
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percorsi personalizzati, le unità d’informazioni; e per un altro verso di integrare e armonizzare i
tempi delle attività individualizzate con quelli delle attività collettive, i tempi dello studio e dell’impegno con quelli dei percorsi personalizzati, senza dimenticare anche il tempo da lasciare libero per
il gioco e lo svago;
- qualità dei mediatori culturali, che richiede la predisposizione di un’articolata offerta
d’adeguati supporti tecnologici. Studiosi e docenti hanno acquisito avendo la consapevolezza del
ruolo spesso centrale che viene svolto dai vari sistemi simbolici nel far emergere e nel modellare
forme specifiche di intelligenza (Gardner,1987; Morin, 2001): dal libro, nella varietà dei suoi
contenuti, alle immagini statiche, a quelle dinamiche, all’uso di registratori, lavagne luminose,
diaproiettori, computer, videoproiettori, ecc. Mediatori - tutti in eguale misura - indispensabili per
poter realizzare un uso integrato e circolare della pluralità dei media che connotano il sistema
dell’informazione e della comunicazione (TIC) della cultura contemporanea;
- qualità delle interazioni sociali che, nella considerazione che la conoscenza è l’esito di un
processo di ”costruzione sociale delle competenze”, e che l’insegnamento e l’apprendimento sono
attività comunicative e collaborative, che si attestano come esperienza significativa (Laporta, 1985)
e vissuto di un soggetto, comporta un particolare impegno didattico nella predisposizione delle
condizioni di scambio interattivo, di un clima relazionale/affettivo e motivazionale positivo. Fattori
importanti sono, quindi, quelli relativi all’organizzazione di gruppi (piccoli e grandi) di lavoro degli
studenti, e dell’organizzazione della collegialità dei docenti attraverso la valorizzazione della
differenziazione di compiti e di responsabilità, dello scambio di esperienze e di confronto tra
discipline diverse e tra classi diverse, di cooperazione con la famiglia e possibilmente, quando ve
n’è la possibilità e ve ne sono le condizioni pedagogiche e didattiche, con le strutture del territorio;
- qualità dei rapporti con l’ambiente circostante e il territorio, visti e considerati come
“sistema di alfabeti” e “sistema dei servizi”, sociali e culturali (Pinto Minerva,1990). Da ciò
l’elaborazione di progetti didattici di ricerca interdisciplinare e di piani d’intese interistituzionali per
realizzare iniziative di collaborazione e d’interscambio culturale, oltre che iniziative di integrazione
per gli alunni in condizione di svantaggio e di handicap;
- qualità dei sistemi d’informazione e di documentazione, relativa alla necessità di
conservare e documentare e, quindi, non disperdere la storia didattica della scuola, unita alla
possibilità di valutare, consultare e riutilizzare materiale didattico tarato e sperimentato, richiede un
preciso impegno per l’elaborazione di nuovi sistemi di documentazione e di modelli di
archiviazione didattica.
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Un ulteriore specifico oggetto di riflessione della didattica generale riguarda la riflessione
sui ”criteri generali che regolano la costruzione dei curricoli formativi”: modelli di
programmazione e d’osservazione/valutazione, modalità di correlazione tra i curricoli e raccordi
interdisciplinari necessari per salvaguardare la dimensione pluridimensionale e l’unitarietà della
formazione. Rispetto, poi, agli ambiti in cui prevalgono gli apprendimenti informali e a quelli in cui
invece prevalgono gli apprendimenti formali, aspetti per molti versi inscindibili, sicuramente alla
didattica generale spetta l’indagine dell’incidenza degli aspetti relazionali, organizzativi e
comunicativi in riferimento alla crescita educativa e, quindi, alla relativa responsabilità progettuale.
Un’ulteriore distinzione si può tentare individuando gli oggetti specifici della didattica
generale e di quelli delle didattiche disciplinari. La didattica generale ha una sua significatività
proprio in quanto è pensata in vista della migliore comprensione possibile delle modalità con cui gli
stessi contenuti e le conoscenze vengono ad essere appresi e costruiti dai soggetti attraverso un
intervento intenzionale e sistematico, dal momento che la didattica si caratterizza come scienza che
si occupa e si preoccupa di cogliere le strutture delle conoscenze che vanno trasmesse, apprese e
costruite, nonché i meccanismi con cui sono elaborate, trasmesse ed acquisite e, soprattutto, i motivi
per cui si trasmettono e devono essere appresi.
Per concludere, la didattica generale, attraverso la propria riflessione teorica e la propria
progettazione empirica, si interessa sia dei modelli organizzativi (la ramificazione e la pluralità dei
tempi e degli spazi, delle offerte e dei moduli formativi, della partecipazione e delle autonomie
degli studenti e altro), sia dei modelli curricolari dei singoli percorsi scolastici (le strategie di
insegnamento/apprendimento, i luoghi della ricerca, i laboratori, le procedure di personalizzazione
degli studi; insegnamento in presenza, a distanza, corsi integrati attraverso e-learning). Questo
significa che la didattica generale è chiamata a mettere lo studente nelle condizioni ottimali sia sul
versante dell’organizzazione degli studi sia sul versante della personalizzazione degli studi stessi.
1.4.
Ambito specifico delle didattiche disciplinari
La didattica generale investe l’intera e complessiva organizzazione e realizzazione del piano
dell’offerta formativa, realizzando sia una “comunità d’apprendimento” sia una “comunità di
pratiche” per conseguire la finalità di costituire una “comunità educativa ed educante”, in cui tutti i
soggetti, a vario titolo, coinvolti nel processo di insegnamento-apprendimento, in quanto partecipi e
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soggetti attivi di un’organizzazione sociale culturale, nello stesso tempo insegnano e
contemporaneamente apprendono, la didattica disciplinare, da parte sua, ha per oggetto specifico
della sua azione:
- l’esplicitazione delle strutture epistemologiche caratterizzanti i differenti sistemi
disciplinari in modo da organizzare scientificamente e metodologicamente l’acquisizione e la
costruzione delle conoscenze, per garantire a tutti i soggetti il diritto all’apprendimento e alla
formazione e sviluppo dei propri talenti (Margotta, 2000; Baldacci 2002);
- l’elaborazione di un coerente profilo psicologico degli alunni a livello di storia esistenziale
(ambientale, familiare, personale: ossia l’autobiografia relazionale e formativa) e a livello delle conoscenze possedute e delle competenze strutturate;
- la predisposizione e la costruzione di strumenti d’osservazione e di valutazione di tipo
diagnostico e predittivo, formativo e sommativo. Nel processo d’insegnamento-apprendimento, la
valutazione assume un ruolo centrale dal momento che, attraverso l’utilizzo di diverse e plurime
tipologie di prove, ha il compito di collegare fra di loro le varie e complesse operazioni connesse e
finalizzate alla realizzazione dello stesso processo, poiché viene utilizzata, in modo continuativo,
come strumento di autoregolazione, presentandosi come equilibratore e termometro di monitoraggio
della situazione educativa. Fornisce, infatti, elementi e dati validi, affidabili e attendibili sia sulla
qualità degli apprendimenti (conoscenze, abilità e competenze) sia sulla qualità complessiva del
servizio educativo erogato sia sui processi interni e organizzativi dell’intero microsistema
scolastico;
- la programmazione di un percorso di pratiche didattiche attraverso cui trasmettere, far
acquisire contenuti culturali e attivare e costruire competenze cognitive e metacognitive, tenendo
conto delle diversità e delle caratteristiche sia degli allievi sia degli ambiti disciplinari, assicurando
non solo le dimensioni cognitive, ma anche quelle metacognitive e fantacognitive, quest’ultime
legate alle potenzialità di ciascun soggetto e, quindi, allo sviluppo delle attitudini, degli interessi e
dei talenti di ciascuno;
- l’articolato intreccio tra attività disciplinari specializzate (relative alla pluralità dei media e
legate alla pluralità delle intelligenze) e attività trasversali volte a promuovere le connessioni tra i
saperi e tra le competenze logico-mentali, rielaborative e originali e creative;
- la predisposizione di percorsi differenziati, individualizzati
e personalizzati di otti-
mizzazione formativa e/o di compensazione, sia in presenza di alunni superdotati e ipodotati, così
come in presenza di alunni con problemi di svantaggio o di deficit.
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Le didattiche disciplinari, pertanto, hanno necessità di porre al centro della propria
riflessione teorica e della propria progettazione empirica i saperi, ossia le materie d’insegnamento
con le relative strategie di trasmissione e costruzione delle conoscenze. Questo significa che le
didattiche disciplinari devono tenere conto sia delle dimensioni di sviluppo degli studenti (i loro
potenziali linguistici, logici, scientifici, creativi, socioaffettivi), sia dei sistemi simbolico-culturali (i
codici, i congegni ermeneutici, le metodologie della ricerca) delle singole discipline. Nei singoli
percorsi formativi, ogni disciplina rivolge prevalentemente la propria attenzione e competenza
scientifica a queste “tappe” nevralgiche (Frabboni, 2002) al fine di ottimizzare tanto la qualità
dell’istruzione quanto i dispositivi teorico-empirici di costruzione critica delle conoscenze.
Da queste brevi considerazioni, emerge la distinzione, ma anche il gioco di rimandi, per una
sinergia tra la didattica generale e le didattiche disciplinari. Queste ultime trovano nella prima il
luogo teorico/prassico della problematizzazione e dell’elaborazione di tutte quelle “condizioni
ottimali” istituzionali, strutturali, organizzative, indispensabili a tradurre in azioni efficaci e
controllabili gli obiettivi disciplinari di conoscenza, di ricerca, di creatività.
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2 Principi fondanti ogni corretta progettazione
2.1.
Premessa
In una visione sistemica la scuola con poteri decisionali, organizzativi, gestionali di ricerca e
sviluppo e, quindi, di progettazione della didattica, si caratterizza come percorso epistemologico
che ha come finalità di contribuire alla maturazione e alla formazione complessiva, secondo una
impostazione ecologica, del soggetto-persona, sempre più chiamato a vincere la sfida di una cultura
della complessità e del cambiamento. Complessità e cambiamento che si presentano ormai come gli
elementi costitutivi e caratterizzanti dell’attuale società e che pongono tutta una serie di problemi al
percorso formativo e all’autonomia organizzativa e didattica di ciascuna microstruttura scolastica.
Le crescenti necessità di una solida ed elevata formazione culturale, sempre più richiesta da
una società ad alti tassi di sviluppo scientifico e tecnologico in cui il possesso del sapere segna la
linea di demarcazione tra un adeguato inserimento decisionale e propositivo dell’individuo nella
società e il rischio di una sua emarginazione politico-sociale, culturale e occupazionale,
determinano la necessità di elevare la qualità dell’istruzione e di personalizzare, quanto più
possibile, i percorsi di formazione. Tale ultimo obiettivo, richiesto in maniera pressante dall’attuale
società complessa, si scontra però, sul piano generale, con l’inadeguatezza dei sistemi d’istruzione,
poiché non sono nelle condizioni di affrontare le nuove esigenze che emergono nei diversi campi
della vita sociale e, sul piano didattico, con l’inadeguatezza dei modelli d’intervento nel soddisfare
le necessità di apprendimento e i bisogni di formazione, con lo sviluppo esponenziale al positivo dei
talenti di ogni singolo allievo. Per questo motivo, la scuola, se vuole concretamente svolgere il su
indicato compito istituzionale, in direzione formativa individualizzante e attraverso percorsi
personalizzati, ha necessità di ricercare e poi sperimentare modelli organizzativi e strategie
didattiche che rispondano alle esigenze di elevare la qualità del servizio e di progettare una
adeguata, articolata e diversificata offerta di percorsi formativi. Solo operando in tal modo, infatti,
la scuola può riuscire ad incidere significativamente nella formazione individuale e sociale della
persona umana, e perseguire l’intento di favorire lo sviluppo delle sue capacità logico-mentali,
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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fornendole gli strumenti e gli alfabeti linguistici di comprensione, interpretazione e di intervento
sulla realtà.
Si tratta, in definitiva, di riuscire ad assicurare ad ogni soggetto sia il possesso di
conoscenze1, abilità2 e competenze3, sia lo sviluppo di capacità4 elaborative, logiche e critiche.
Finalità che la scuola può perseguire utilizzando al meglio gli strumenti scientifici della
progettazione e della valutazione, in modo da poter certificare le competenze realmente possedute
da ciascun allievo, monitorando e controllando la qualità del servizio offerto e razionalizzando i
processi d’insegnamento-apprendimento (Ballanti, 1991). Progettare implica non affidarsi al caso,
all’improvvisazione e all’intuito del momento o alla routine, ma strutturare, secondo un’ottica
scientifica, dei percorsi di formazione, che, mentre risultino adeguati al conseguimento delle finalità
e degli obiettivi formativi, previsti a livello nazionale per quel determinato grado e livello
scolastico, siano nello stesso tempo rispondenti e rapportati alle competenze cognitive e alle
caratteristiche di apprendimento di ciascun allievo. Che tengano conto, cioè, dei diversificati livelli
culturali di partenza, delle diverse, specifiche e
individuali modalità, degli stili e tempi di
apprendimento degli allievi. Da qui la necessità di muoversi secondo un approccio e una prospettiva
scientifica che richiede, una volta individuati i punti di partenza e fissati gli obiettivi formativi
(conoscenze, abilità e competenze), la progettazione di percorsi didattici, con l’indicazione delle
metodiche e delle strategie che verranno utilizzate, dei criteri e degli strumenti di verifica
conseguenti e di certificazione delle competenze disciplinari e trasversali. Fare scuola significa
1
Per conoscenze si intende il possesso, da parte di un soggetto, di un insieme di contenuti disciplinari, multidisciplinari,
interdisciplinari e trasversali adeguatamente acquisiti. Si tratta del possesso di elementi cognitivi, quali teorie, principi,
regole, tematiche o argomenti, procedure, metodi e tecniche applicative. Si tratta non solo di dimostrare il possesso del
lessico, della grammatica e della sintassi di una disciplina o dell’utilizzo del suo codice comunicativo e linguistico
(apprendimento di 1° livello), ma anche l’acquisizione della logica ermeneutica, ossia i dispositivi teorici o empirici,
deduttivi o induttivi di interpretazione e di comprensione (apprendimento di livello intermedio), nonché del metodo di
investigazione, ossia il modo specifico di fare ricerca, di una disciplina, in modo da essere produttore di cultura,
attraverso la disciplina (apprendimento superiore). (Si può consultare su tale tematica, Frabboni, F., Le dieci parole
della didattica, Milano, Ethel-Mondadori, 1994).
2
Per abilità si può intendere la capacità del soggetto di utilizzare le conoscenze acquisite per eseguire dei compiti o
risolvere dei problemi o situazioni problematiche; è, in effetti, l’applicazione concreta delle conoscenze acquisite anche
in contesti organizzati, ossia in situazione operativa, cioè nel concreto (cfr. Piu, C., Nuovi orientamenti della didattica,
Roma, Armando, 1996).
3
le competenze rappresentano l’insieme di comportamenti che il soggetto adotta nella scelta e nell’organizzazione
responsabile ed originale delle conoscenze. Si può in maniera succinta intendere ciò che, in un dato contesto, si sa fare
(abilità) sulla base di un sapere acquisito (conoscenze), per raggiungere l’obiettivo atteso produrre conoscenza. In tale
impostazione, competenza diventa la disposizione a scegliere, utilizzare e padroneggiare le conoscenze, capacità e
abilità idonee, in un determinato contesto, per impostare e risolvere un dato problema.
4
Per capacità si intende la rielaborazione critica, significativa e responsabile delle conoscenze complessive e delle
competenze precedenti per arricchirle, correggerle ed incrementarle di continuo (Piu. C., Educazione e cambiamento,
op. cit.).
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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specificatamente fare sperimentazione e ricerca, ossia formulare delle ipotesi, monitorarle,
verificarle e certificarle, sulla base di crediti e di debiti formativi.
Un Piano dell’Offerta Formativa, scientificamente e metodologicamente impostato, infatti,
ha necessità di determinare gli obiettivi formativi (sia di conoscenza che di competenze, sia di
padronanza disciplinare che interdisciplinare) e di scegliere le procedure e individuare le strategie di
pianificazione dell’istruzione. Questa impostazione garantisce, attraverso la razionalizzazione e la
pianificazione delle attività didattiche, di elevare la qualità dell’istruzione ed ottimizzare
l’insegnamento in direzione dell’individualizzazione degli apprendimenti e della personalizzazione
dei percorsi
2.2.
Fondamenti teorici della progettazione didattica
La traduzione operativa e metodologica di tale impostazione richiede preliminarmente dei
chiarimenti su alcuni elementi di natura pedagogica e didattica, che costituiscono i fondamenti
scientifici e teorici, che sono alla base di ogni programmazione e progettazione, in quanto ne
condizionano l’impostazione iniziale, ne riflettono l’impalcatura strutturale, ne ipotizzano il
modello, ne esplicitano le finalità e gli scopi e ne garantiscono la logica interna. Sono assunti
essenziali tra loro strettamente interdipendenti, in quanto ognuno di essi, a seconda di come viene
inteso ed impostato, condiziona e richiama gli altri assunti, in quanto stravolge, caratterizzandola, la
sostanza e la significatività della stessa programmazione e progettazione.
Tali principi si riferiscono alla: intenzionalità, contestualizzazione, razionalizzazione,
metodica. Sono questi elementi, interdipendenti ed interconnessi, che determinano, connotano e
condizionano i fattori esterni del processo d’insegnamento-apprendimento e che richiamano sia i
concetti di scuola, di insegnamento, di istruzione, di apprendimento e formazione, sia quelli di
allievo, di territorio e di ambiente, per cui in base al diverso porsi, concepire e correlarsi di questi
concetti tra di loro, si ha una visione generale/globale e spaziale dell’insegnamento e
dell’apprendimento, in quanto si strutturano come forma mentis, ossia come dimensione culturale
complessiva di tutti coloro che, in vario modo e con incidenza diversa sono parte integrante dello
stesso processo. E’ essenzialmente questa dimensione che connota l’impostazione di riferimento
della programmazione sia sul piano teorico sia su quello prassico, essendovi, in campo educativo,
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secondo il principio di sussidarietà e di globalità, una stretta interdipendenza tra il piano teorico e
quello operativo. Sono principi che vanno considerati non tanto per cosa intendano, quanto per cosa
sottintendano; quali sono, cioè, i presupposti teorici di impostazione concettuale, che caratterizzano
e, quindi, connotano sul piano operativo il modo di intendere e di essere della scuola e del docente.
Questi, infatti, si muovono sulla base di alcune categorie concettuali, quali sono appunto
l’intenzionalità, la contestualizzazione, la razionalizzazione e la metodica.
2.2.1. L’intenzionalità
Tale assunto è riferito all’atteggiamento che la scuola e i docenti hanno nei confronti non
solo dell’apprendimento e dell’insegnamento ma anche dell’allievo. Sul piano dell’apprendimento e
dell’insegnamento, riflette una scelta antinomica tra due visioni contraddittorie: la prima relativa
alla distribuzione e allo sviluppo delle capacità cognitive; la seconda riferita alla conoscenza della
natura della mente e del modo di usarla (Bruner, 1997).
Fig. 7. Schema di raccordo
Piano dei significati
Obiettivi formativi
Sfera cognitiva
Sfera affettiva
Sfera etico-sociale
Sfera estetica
Sfera motoria
Sfera valoriale
Piano delle acquisizioni
conoscenze, abilità
competenze
sequenze didattiche
t
a
s
s
o
n
o
m
i
e
Obiettivi formativi
Alcuni docenti sono convinti che l’apprendimento e lo sviluppo delle capacità cognitive, che
si verificano all’interno dell’individuo, poiché non si conoscono le caratteristiche cognitive e i
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processi mentali coinvolti in tale processo, seguono sostanzialmente uno sviluppo naturale. In base
a tale premessa, poiché si ritiene che non si conoscano i meccanismi mentali dell’uomo,
l’insegnamento non ha necessità di essere scientificamente e metodologicamente impostato, dal
momento che si tratta solo di assecondare una pretesa spontaneità dei processi formativi, per una
appropriazione personale della cultura, per cui ha solo la funzione di agevolare e potenziare le
capacità mentali innate dell’allievo. Si legittima in tal modo una didattica poco attenta alle sue
dinamiche e non prevedibile nei suoi esiti, perché tutto dipende solo ed esclusivamente dalle
capacità innate del soggetto.
Altri docenti partono dalla convinzione, invece, che qualsiasi attività mentale è situata in un
ambiente culturale più o meno gratificante, per cui le conoscenze, le competenze e i modi di pensare
dipendono dall’efficacia della strumentazione utilizzata, che crea le condizioni ottimali in grado di
agevolare l’apprendimento, per cui si può intervenire ed incidere significativamente sui processi
mentali del soggetto. Questo perché i contesti culturali, che favoriscono lo sviluppo dei processi
mentali, si ritiene che siano soprattutto ed inevitabilmente di natura interpersonale. L’attenzione, in
tale ottica, si concentra intorno ad una visione ecologica dell’apprendimento, che trova il suo perno
nella persona-soggetto che apprende in dialogo ed in rapporto dialettico con il contesto nel quale e
attraverso il quale l’apprendimento stesso si realizza. In questo caso, si parte dall’ipotesi che le
caratteristiche cognitive e i processi mentali, coinvolti nel processo d’apprendimento, sono
conosciuti in modo analitico, per cui diventa possibile governare dall’esterno ed incidere
positivamente sui processi di sviluppo cognitivo e di apprendimento, attraverso la pianificazione di
interventi adeguati a predeterminarne, a pilotarne e a verificarne gli esiti apprenditivi.
La progettazione ha necessità di muoversi sulla base di questa seconda considerazione, per
cui la categoria dell’intenzionalità, così intesa, diventa essenziale perché la scuola e il docente
assumano le loro decisioni organizzative e didattiche in direzione di un intervento educativo
considerato come possibilità offerta di trasformazione, di cambiamento, di modifica delle
competenze cognitive e relazionali dell’individuo. Intenzionalità, perciò, che si estrinseca, in
termini didattici, sia in rapporto alla determinazione degli esiti formativi, sia in relazione alla scelta
di soluzioni strategiche, in modo che il piano dei significati si traduca in un piano delle
acquisizioni, attraverso sequenze didattiche, atte a garantire l’effettivo raggiungimento degli esiti
attesi. In tal modo si passa dal casuale al progetto, dall’estemporaneità alla programmazione, dal
determinismo-innatismo all’ambiente esterno programmato e progettato.
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In rapporto all’allievo, l’intenzionalità, da parte della scuola e del docente, si traduce in
atteggiamento o positivo o negativo, ossia o in stima e rispetto della persona o in disistima e in
mancata motivazione all’intervento. La categoria dell’intenzionalità, cioè, in ambito didattico, si
pone come presupposto fondante ogni progettazione, poiché condiziona e determina non solo
l’atteggiamento positivo o negativo dei docenti verso l’insegnamento e verso gli allievi, ma anche il
modo e il come instaurare, in termini dialettici, le relazioni e le aspettative fra persone, che, pur
avendo un diverso ruolo all’interno dell’azione educativa, sono altresì determinanti per il buon esito
dell’azione stessa. Solo attraverso la stima e la fiducia reciproca tra docenti e allievi è possibile
instaurare una relazione gratificante e proficua. Si tratta, in definitiva, non solo di attuare il
principio pedagogico/didattico della guida al positivo (discriminazione positiva), in cui l’azione
didattica del docente si fa incoraggiante e non frustante, ma il ritenere e l’essere convinti che ogni
studente possa essere migliorato, sia cioè in grado di conseguire buoni risultati, senza pregiudizi
sulle deprivazioni o carenze cognitive, sull’operato del grado o del ciclo di studi precedente, sui
livelli cognitivi, su una scelta scolastica che si ritiene sbagliata. Se l’aspettativa del docente è al
positivo, l’adolescente elabora uno stile comportamentale e una risposta gratificante e
soddisfacente, se invece è al negativo la risposta non potrà essere positiva, in quanto il soggetto
entra in crisi, perché mette in dubbio la fiducia nelle proprie possibilità e nelle proprie capacità
(cognitive, relazionali, strategico-comportamentali).
2.2.2. La contestualizzazione
La precedente categoria dell’intenzionalità trova immediato riscontro nella cultura della
progettualità formativa, per far sì che l’azione didattica risulti adeguata al conseguimento delle
finalità e degli obiettivi formativi di quella determinata scuola e sia rispettosa della realtà cognitiva
e socio-affettiva, nonché della storia dell’allievo concreto, inserito in un determinato e specifico
contesto formativo e relazionale. L’azione didattica, sostiene Scurati (1982), ha necessità di
rispondere al principio della realtà, per cui deve adeguarsi e tenere nella giusta considerazione le
competenze cognitive e relazionali e le diverse e molteplici caratteristiche apprenditive degli allievi,
nel senso che non solo si presta molta attenzione ai loro livelli culturali di partenza ma anche alle
modalità, ai ritmi e ai loro stili di apprendimento, per cui ha necessità di muoversi secondo un
approccio e una prospettiva di pianificazione e di strutturazione scientifica del percorso di
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formazione. Prospettiva scientifica che si traduce in uno stile progettuale e sperimentale, in quanto
muove dall’effettiva conoscenza delle concrete variabili, relative all’utenza e alla situazione
formativa per ipotizzare un proposta, scientificamente e metodologicamente impostata.
Contestualizzare, pertanto, l’intervento formativo significa:
1. progettarlo in funzione degli allievi storici e concreti, collocati in una comunità e in un
territorio che reca i segni della propria specificità;
2. razionalizzare nel modo migliore le risorse complessive (docenti, spazi, tempi,
attrezzature, tecnologie, progetti specifici e mirati) in direzione del Piano dell’Offerta Formativa.
Si tratta di tenere conto, cioè, della reale situazione di partenza, che viene intesa come
substrato fondante ogni successivo impegno di progettazione, perché mira alla conoscenza della
realtà sia esterna sia interna alla scuola. La conoscenza della realtà esterna è riferita all’ambiente
(geografia naturale, antropica, storica, umana, culturale), al territorio (rilevazione dei bisogni ed
esigenze, strutture di ricerca e di servizi, contesto socio-economico, risorse formative), mentre la
conoscenza della realtà interna, si muove verso le caratteristiche degli allievi (chi sono, quali risorse
presentano, quali interessi, propensioni e aspettative denotano) e verso il sistema reticolare di
risorse (docenti, competenze, disponibilità, capacità; spazi, tecnologie, sussidi, servizi).
Con l’autonomia didattica ed organizzativa, la contestualizzazione assume un significato del
tutto nuovo, in quanto più legato a concetti quali ricerca di metodologie, di strumenti, di moduli
organizzativi e di tempi di insegnamento, attraverso l’offerta di insegnamenti opzionali, facoltativi o
aggiuntivi, purché siano rispettose delle esigenze di apprendimento e di verifica e valutazione della
produttività (comma 9 dell’art. 21 della legge 59/97). Ormai è acquisita la consapevolezza che le
diverse modalità di apprendimento degli studenti, basate su più stili, il veloce cambiamento dei
bisogni formativi dei giovani, determinati soprattutto dallo sviluppo delle tecnologie della
comunicazione, richiedono un nuovo modo di contestualizzare, ossia di organizzare il sapere
scolastico, inteso non più in modo rigido e vincolante, ma più flessibile nei curricoli e
nell’organizzazione dei tempi sia di insegnamento sia di apprendimento. Tale organizzazione dovrà
rispondere ed essere correlata ad una precisa analisi dei bisogni degli alunni e dei loro stili e modi
di apprendere. Si tratta, in definitiva, di valorizzare al meglio le risorse professionali, le strutture, i
tempi, i gruppi e gli spazi, in modo da piegare le scelte organizzative al miglior apprendimento
possibile degli studenti.
Il concetto di contestualizzazione che emerge, pertanto, è più complesso e, nello stesso
tempo, più articolato e dinamicamente flessibile, per cui può essere anche modificato, se necessario,
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durante lo stesso sviluppo del percorso di insegnamento e di apprendimento. Sono tutti elementi di
conoscenza, che specificano e contestualizzano il piano dell’offerta formativa, in modo da
salvaguardare ed esprimersi secondo il principio di fattibilità. La progettazione del percorso
formativo mira ad essere, cioè, funzionale al raggiungimento del livello desiderato di
apprendimenti, relativo alle conoscenze, alle abilità, alle competenze e alle capacità. “La ragione
fondamentale per cui si è indotti a progettare l’insegnamento è di rendere possibile il
raggiungimento di tutta una serie di obiettivi” (Gagné, Briggs, 1990), che possono essere assunti
come impegno da perseguire, per cui diventa necessario avere chiaro i livelli di partenza e i risultati
che si vogliono conseguire e attraverso quali percorsi. Volendo, però, definire un obiettivo ci si
scontra immediatamente con la necessità e la difficoltà di tradurre in concetti e in operazioni
misurabili ciò che si vuole conseguire. In particolare Mager suggerisce un sistema pratico che può
aiutare a formulare degli obiettivi significativi. Tali obiettivi dovrebbero avere tre caratteristiche di
base, che a loro volta rispondono a tre domande fondamentali:
a. che cosa deve essere in grado di fare l’allievo alla fine di un intervento
educativo? (performance)
b. in quali condizioni deve essere in grado di farlo? (condizioni)
c. come dovrà essere fatto? (criterio).
Tali obiettivi, sostiene Laeng (1992), vanno intesi in senso strettamente tattico e operativo
“come le cose che il soggetto deve saper fare alla fine di un certo percorso”. Rappresentano, cioè,
l’applicazione operativa e misurabile e verificabile, e, quindi, certificabile di un percorso didattico,
suddiviso in sequenze ordinate e predisposte per raggiungere il livello di prestazione richiesto.
Fig. 8. Schema di obiettivo operativo
OBIETTIVO
Indicatori
condizioni
fisiche
didattiche
performance
competenze
conoscenze
criteri
misurabili
verificabili
capacità
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2.2.3. La razionalizzazione
Il perseguimento intenzionale di determinati esiti formativi, attraverso un intervento
contestualizzato in relazione alla realtà socioculturale e scolastica nella quale si opera, richiede una
razionalizzazione dell’intervento stesso. In altri termini, alla base delle procedure di pianificazione,
nelle quali si esprime la cultura della programmazione, sta l’esigenza di razionalizzare l’intervento
formativo, in modo da assicurare tanto l’aderenza alla realtà operativa quanto la rispondenza agli
obiettivi prefissati. La programmazione, in effetti, nasce dal bisogno di razionalizzare i processi di
insegnamento, determinando gli obiettivi formativi, sul piano delle conoscenze, abilità e
competenze disciplinari e trasversali, e scegliendo le procedure più idonee ed adeguate per
perseguire i risultati e gli obiettivi attesi, pianificando il percorso d’istruzione. Per programmazione
è da intendere, infatti, un insieme di procedure, aventi l’intento di raccordare e far interagire
dialetticamente le esigenze degli standard culturali richiesti ed attesi con i bisogni e gli interessi di
un determinato allievo, inserito in un determinato contesto territoriale. Razionalizzare vuol dire
intenzionalità, sistematicità, rigore nell’operare. Il che significa prevedere un momento iniziale di
indagine, ossia una fase di ricerca-intervento, sulla situazione e sulle molteplici variabili
dell’insegnamento e dell’apprendimento; un momento di elaborazione e definizione di cosa si
intende raggiungere; un momento di elaborazione di come lo si vuole raggiungere e con quali
metodologie e strumenti e un momento di verifica di ciò che si è fatto. In modo sintetico, significa
tenere conto di alcuni significativi momenti, ritenuti quali cardini di strutturazione e di
razionalizzazione complessiva delle risorse, che postulano:
1.
2.
3.
l’analisi dei bisogni e delle risorse interne ed esterne a disposizione;
la definizione dei traguardi che si vogliono raggiungere;
la progettazione dei percorsi lineari e percorsi alternativi di supporto, che
prevede l’elaborazione di strumenti di insegnamento e di valutazione, di metodi e strategie, la
definizione di contenuti e dei tempi concessi all’insegnamento;
4.
la verifica della corrispondenza degli esiti agli obiettivi posti in partenza.
Ogni Piano di Offerta Formativa richiede delle scelte educative, didattiche e organizzative,
che costituiscono l’ossatura e l’architettura complessiva su cui viene articolato il progetto di ogni
microstruttura scolastica. Gli operatori scolastici sono, pertanto, chiamati a farsi carico di tali scelte,
organizzandole nel migliore dei modi per rispondere alle esigenze del percorso formativo
complessivo, creando nuove combinazioni e razionalizzazioni delle risorse. Razionalizzare significa
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essenzialmente essere capaci di organizzare le risorse, per cui l’azione della scuola può essere
suddivisa in quattro principali fasi: progettazione, organizzazione, realizzazione, controllo.
Fig. 9. Le fasi della razionalizzazione
Organizzazione
Organizzazione
Progettazione
Realizzazione
Progettazione
Realizzazione
Controllo
Controllo
La progettazione comporta la definizione delle conoscenze, abilità e competenze disciplinari
e trasversali da conseguire e l’individuazione delle risorse disponibili e necessarie. Questo perché
ogni organizzazione, per poter funzionare ed operare, necessita di risorse, che possono essere
costituite da persone, da beni materiali, da risorse finanziarie, da conoscenze approfondite della
propria utenza e del territorio su cui si opera. La razionalizzazione richiede l’individuazione e la
determinazione delle risorse, per cui gli stessi obiettivi formativi devono essere compatibili con le
risorse a disposizione. Una volta reperite le risorse ed individuati gli obiettivi formativi, si passa a
redigere un piano operativo, prevedendo eventuali assegnazioni di compiti e ruoli, se non addirittura
specifiche articolazioni strutturali. Successivamente si passa alla fase, relativa alla realizzazione,
ossia alla concretizzazione, del piano programmato con l’impiego delle risorse rese disponibili.
L’ultima fase è data dal controllo, ossia dal raffronto fra i risultati ottenuti e quelli attesi, in modo
da verificarne l’efficacia e l’efficienza. Queste fasi tendono a ripetersi nel tempo, dando vita ad
un’azione di natura circolare, che vede, al termine della fase di controllo, una nuova ipotesi di
programmazione e, quindi, l’avvio di un nuovo ciclo che si conclude con un ulteriore momento di
verifica-controllo.
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2.2.4. La metodica
Nella didattica tradizionale, l’esigenza di razionalizzare l’intervento formativo trova la sua
caratterizzazione più tipica e compiuta nel concetto di metodo, intendendo con tale termine un
procedimento didattico giustificato da una teoria o da un certo insieme procedurale determinato e
fisso, avente alla base alcune concezioni riguardante l’apprendimento degli allievi. Tutte le fasi,
all’interno del metodo adottato, si presentano strettamente e razionalmente concatenate al fine di
garantire il raggiungimento di determinati risultati. Alla prova dei fatti, l’unicità del metodo ha
mostrato di non essere in grado di adeguarsi e, quindi, di tenere conto dell’eterogeneità delle
caratteristiche degli studenti. Le verifiche, cioè, effettuate hanno mostrato come non esiste un
metodo in assoluto che possa definirsi e ritenersi superiore agli altri metodi contrapposti. L’unico
riscontro, che si è avuto, è invece che alcuni metodi danno risultati migliori in certe situazioni e con
certi studenti ed altri in situazioni diverse e con studenti diversi. Il metodo, cioè, si presenta come
espressione di un razionalismo dogmatico e non problematico e critico.
Nella concezione, invece, di una didattica che vuole meglio rispondere e correlarsi ai
requisiti dell’individualizzazione dell’offerta formativa in modo da personalizzare il relativo
percorso, si richiede di sostituire ad una didattica normativa e dogmatica una didattica critica e
problematica, declinata all’insegna del pluralismo metodologico. E’ necessario passare da un
metodo chiuso, rigido, dogmatico, che ingabbia, ad un insieme pluridifferenziato e aperto di
procedure e pratiche didattiche, connotate da pretese di validità limitate e circoscritte,
complementari sul piano applicativo e in ogni modo meramente ipotetiche, che vanno controllare
empiricamente, in quanto sono solo i fatti educativi, che falsificano o validano le strategie adottate.
L’elemento vincente di tale impostazione può esser sintetizzato nel passaggio dal concetto di
metodo al concetto di metodica, inteso kantianamente come principio regolativo. La metodica non
consiste, infatti, in un procedimento dato e predefinito, ma rappresenta l’esigenza stessa di
razionalizzare l’intervento formativo attraverso l’utilizzo di più teorie e di più strategie. In altri
termini, la programmazione e progettazione non si muovono attraverso un solo metodo dato, ma
attraverso una concezione regolativa nel suo svolgersi, ossia attraverso una metodica, che
rappresenta una strategia procedurale che mira a far interagire dialetticamente gli elementi
dell’intervento formativo con le diversificate strategie apprenditive di ciascun allievo. La metodicità
consiste nel fatto che non prescrive regole di comportamento didattico, bensì fornisce uno schema
di concatenazione logica degli oggetti formali della pianificazione e strutturazione del percorso
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formativo, quali: la determinazione degli obiettivi, gli elementi di conoscenza della situazione
didattica, la decisione circa le procedure didattiche da adottare, la scelta dei procedimenti di
controllo degli esiti formativi raggiunti.
Fig. 10. Definire gli obiettivi5
Scelta delle procedure metodologiche
Organizzazione della proposta di istruzione
Costruzione e individuazione degli strumenti
di lavoro
Definizione
degli
obiettivi/competenze
Progettazione degli strumenti della
valutazione
Gli assunti: l’intenzionalità, la contestualizzazione, la razionalizzazione e la metodica si
intrecciano strettamente nel concetto di programmazione, in quanto tendono a connettersi e a
richiedersi l’un l’altro per raggiungere uno scopo ben determinato. L’assunto dell’intenzionalità ha
bisogno di essere storicizzato e reso operante attraverso la contestualizzazione, e questa richiede di
essere concretizzata attraverso la razionalizzazione dell’intervento formativo, che postula una
metodica nell’impostazione scientifica e metodologica. D’altra parte quest’ultima assume segno e
significato solo in rapporto ad una sua intenzionalità formativa e ad una sua contestualizzazione e
razionalizzazione. Strutturare scientificamente un percorso formativo significa, infatti, raccordare
dialetticamente le variabili in gioco nella situazione educativa in funzione di un esito, per cui ha
bisogno di conoscere i dati di partenza e le risorse su cui puntare per combinarle in direzione di un
percorso mirato. La natura e il fondamento della progettazione si esprime, perciò, nella connessione
e, dunque, nella ideale unità di questi assunti.
La progettazione dà una risposta più critica ed avanzata di razionalizzazione in quanto
connette in una strategia procedurale, di natura formale, gli elementi e le dimensioni dell’intervento
formativo. Non si tratta di regole di comportamento didattico, ma solo di uno schema di
5
Per maggiori approfondimenti, si consiglia la lettura di Moretti, G., Quagliata, A., Strumenti per la valutazione degli
apprendimenti, Roma, Monolite editrice, 1999.
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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concatenazione logica degli oggetti formali della pianificazione del percorso di insegnamentoapprendimento: la determinazione degli obiettivi, gli elementi di conoscenza della situazione
educativa, la decisione circa le procedure didattiche da adottare, la scelta dei procedimenti di
controllo degli esiti formativi raggiunti.
La definizione degli obiettivi rappresenta il momento centrale di ogni attività di
progettazione didattica, in quanto è la condizione necessaria perché risulti possibile e corretto
progettare, sia l’intero intervento formativo sia le prove di verifica delle procedure di insegnamento
e di apprendimento. La figura rappresentata, pertanto, esplicita le azioni, tra loro contestuali, che
discendono dalla definizione degli obiettivi di una procedura di insegnamento-apprendimento,
precisando che gli obiettivi, che maggiormente interessano, sono quelli definiti operativi, che sono
ben formulati solo quando:
* sono definiti in maniera univoca;
* rendono possibile la rilevazione delle abilità e delle competenze ad essi sottesi;
* il loro raggiungimento determina una modifica significativa della mappa cognitiva
dell’allievo
Tre, pertanto, possono definirsi le sue condizioni di validità:
* il grande equilibrio tra gli assunti didattici dell’intenzionalità, della contestualizzazione,
della razionalità e della metodica;
* la capacità di fornire una matrice linguistico-concettuale, che inquadra le situazioni
formative in termini di situazioni iniziali, di traguardi formativi, di percorsi e di controllo del
raggiungimento degli obiettivi attesi;
* il configurarsi come una componente essenziale di una scuola che rende manifesti e
trasparenti i propri obiettivi e pubblicamente controllabile la coerenza degli esiti effettivi rispetto ad
essi.
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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3 Tecnologie e mediazione didattica
3.1.
Premessa6
La problematica relativa all’e-Learning, inteso come strumento di innovazione tecnologica
nella didattica, in particolare in quella universitaria, fonda le sue radici da un lato sull’attuale
concetto di formazione e dall’altro sulle potenzialità formative assunte dalle nuove tecnologie,
considerate ormai a tutti gli effetti come strumenti e ambienti di lavoro intellettuale. Il concetto di
formazione si presenta sempre più legato alle mutate condizioni sia dell’ambiente socioeconomico e
culturale le quali, nella costruzione della conoscenza da parte del soggetto, postulano il ruolo
rilevante del contesto e della dimensione interattiva e sociale nella comunicazione finalizzata
all’apprendimento, sia delle nuove tecnologie che hanno modificato notevolmente le modalità di
acquisizione e di gestione delle informazioni e dei saperi. La formazione, dovendosi protrarre per
tutto l’arco della vita e dovendosi tradurre in costruzione sociale di competenze valide per tutta la
vita, mira ad assicurare autonomia cognitiva al soggetto sia nell’acquisire nuove conoscenze sia nel
rapportarsi ai nuovi saperi, sempre più veicolati e sostenuti dalle tecnologie. Tale obiettivo richiede
una profonda trasformazione dell’attuale modello di formazione iniziale e continua e soprattutto di
insegnamento, specie in ambito universitario, per cui si tratta di chiarire e meglio specificare il
rapporto che necessita instaurare tra tecnologie, insegnamento, apprendimento e formazione
complessiva.
La discussione riguarda le tecnologie e le attività didattiche nell’ambito dell’istruzione
superiore per verificare, in situazione, le varie modalità in cui le tecnologie possano mediare sia
l’insegnamento sia l’apprendimento sia l’acquisizione di conoscenze, di abilità e di competenze.
Questo impianto, che mira alla costituzione di comunità di conoscenze non solo sul piano
educativo, ma anche su quello sociale e collaborativo, considera il processo di formazione situato in
specifici contesti culturali e, quindi, in stretta relazione di interdipendenza e di sussidarietà con le
caratteristiche e le potenzialità di ciascuna specifica situazione. Situazione che può essere realizzata
in presenza o a distanza o in modalità integrata di e-learning, utilizzando e sfruttando al meglio le
potenzialità sia di conoscenze sia di acquisizioni di abilità e competenze sia di possibilità interattive
e collaborative, ormai sempre più assicurate dalle tecnologie. Gli effetti sulla formazione si
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misurano ormai in relazione al nuovo rapporto che si instaura con i saperi mediati da tecnologie
sempre più evolute ed interattive (De Kerckhove, 1991), le quali postulano e richiedono un
apprendimento per immersione (Maragliano, 1994), dal momento che questo tipo di apprendimento
prevede un reale coinvolgimento e una interazione, sia fisica sia emotiva sia intellettuale, in mondi
virtuali (Lévy, 1997) da parte del soggetto che mostra interesse e volontà ad apprendere. Questo
consente al soggetto in situazione formativa di essere e porsi come elemento attivo sia all’interno
delle reti cognitive sia nelle relazioni sociali sia nelle acquisizioni di conoscenze, abilità e
competenze, che si realizzano attraverso un apprendimento esperienziale, basato sull’apprendere
facendo (learning by doing) e nel risolvere problemi concreti anche se virtuali (problem solving).
3.2.
Quadro concettuale di riferimento
L’attuale concezione dell’apprendimento, che fa riferimento principalmente ai processi di
comprensione, valorizza la dimensione sociale e culturale dell’apprendimento (Bruner, 1998; Cole,
1998) ed evidenzia il ruolo rilevante del contesto, inteso sia come situazione circoscritta in cui si
realizza l’apprendimento sia in riferimento alla cultura di appartenenza e al suo doppio ruolo di
agente capace di influenzare i processi di apprendimento e di esserne a sua volta influenzato
(Bronfenbrenner, 1986). In tale visione, gli aspetti cognitivi vengono favoriti ed incrementati dal
complesso ed articolato processo di apprendimento, che va sempre contestualizzato e compreso,
analizzato e studiato proprio nella partecipazione dei soggetti ai vari contesti culturali e nelle
diversificate organizzazioni sociali, in tutta la loro portata sia culturale sia sociale. Unitamente alla
considerazione della contestualizzazione dell’intelligenza, ossia al grande ruolo sempre più
assegnato al contesto nella situazione educativa, è matura la consapevolezza che parti significative
dell’intelligenza sono distribuite, in quanto risiedono anche nel contesto generale in cui noi
viviamo. Molte delle abilità e delle capacità utilizzate tutti i giorni, infatti, vengono acquisite ed
incrementate a contatto con le risorse umane e materiali con le quali si viene in contatto e con le
quali si svolge l’attività e dalle quali inevitabilmente si dipende per svolgere il proprio lavoro, per
cui diventa altrettanto importante considerare come parti della capacità intellettiva di ciascuno,
ossia dell’intelligenza distribuita (Gardner, 1994; 1995) anche le risorse umane, quelle tecnologiche
6
Il presente capitolo è tratto dal volume: Piu C., Simulazione e competenze, Roma, Monolite, 2005.
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e di altri soggetti. La maggior parte di coloro che svolgono attività lavorativa non fa esclusivamente
riferimento alle proprie competenze e alla propria capacità di capire e comprendere i problemi e le
situazioni critiche e complesse, ma si rivolge regolarmente ad altre persone nel proprio ambiente di
lavoro e di studio, con le quali interagisce costantemente. Di rado si può ipotizzare che un soggetto
possieda tutte le conoscenze necessarie, perché molto più frequentemente queste sono distribuite fra
i diversi membri che compongono la comunità di riferimento (Bronfenbrenner, 1986; Authier, Lév,
2000), specie se poi si tratta di comunità educative finalizzate all’apprendimento. All’interno di
questi contesti ed organizzazioni, i soggetti in formazione non acquisiscono solo i saperi ma anche
le modalità del come si apprende, in modo da acquisire e sviluppare le abilità di autonomia
cognitiva e di vari e diversificati metodi di studio.
In tali contesti, in effetti, si apprende non solo elaborando vecchie o nuove conoscenze, ma
anche confrontando e interscambiando pareri e posizioni; dialogando, discutendo e riflettendo su
vari punti di criticità; negoziando informazioni e condividendo senso e significato delle stesse
conoscenze che si acquisiscono. L’apprendimento non può essere circoscritto, infatti, al semplice
trasferimento o traslocazione di conoscenze da un emittente “intelligente” a dei riceventi, ritenuti
“contenitori” passivi, perché in tal modo non si coglie la reale dinamicità e l’articolata e variegata
complessità che caratterizza sempre più il processo di acquisizione e comprensione delle
conoscenze. Il risultato dell’apprendimento, cioè, non può essere considerato solo ciò che un
soggetto sa o quali competenze ha acquisito, ma essenzialmente ciò che si acquisisce, in termini
culturali, sociali, comportamentali, e ciò che si costruisce, o meglio che si co-costruisce, durante
l’interazione sociale. La conoscenza e la competenza sono sempre più il frutto di una dimensione
collaborativa e cooperativa tra persone che dialogano, si confrontano e riflettono insieme e in cui
ognuno contribuisce ad arricchire la conoscenza dell’altro con la consapevolezza che ognuno ha
bisogno dell’altro per poter completare in maniera soddisfacente il processo di conoscenza. Questo
perché la conoscenza e l’apprendimento sono il frutto ed il risultato della revisione,
dell’integrazione, dell’individuazione dei punti di criticità, del miglioramento e dell’arricchimento
di coloro che insieme collaborano e co-costruiscono la stessa conoscenza, che viene dagli stessi
condivisa (Lehtinene et al., 1999).
Su questo piano, gli ambienti di realtà virtuale e i contesti simulati di apprendimento
possono concretamente rappresentare per gli studenti una grande occasione e una ulteriore
opportunità sia per osservare come si co-costruisce una nuova conoscenza e si elaborano nuovi
prodotti culturali sia per monitorare, contemporaneamente, la nascita e l’evolversi dell’interattività,
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fondata su regole e strumenti da creare e sperimentare. Si tratta di incrementare le occasioni di
comunicazione, di scambi e di interazioni sia in presenza sia a distanza. Utilizzare, pertanto, le
tecnologie e la realtà virtuale in maniera educativa e formativa significa prestare molta attenzione ai
processi di comunicazione finalizzati all’apprendimento cooperativo e collaborativo. Ciò che
l’approccio socio-interattivo e culturale enfatizza è proprio l’apprendimento visto come
avvenimento e prodotto di relazioni e inter-relazioni tra persone, tra persone e artefatti culturali, tra
persone e agenti intelligenti, indipendentemente dal fatto che, secondo la nota teoria ecologica di
Bronfenbrenner, i soggetti siano fisicamente compresenti nel momento in cui si realizza. L’oggetto
di studio della ricerca sulle tecnologie, in effetti, non può essere il software in sé e di per sé, né
tanto meno il computer o il contesto simulato, considerato nella sua struttura tecnologica, ma il
raffronto e la relazione tra le persone che, in virtù delle tecnologie, possono comunicare ed entrare
in rapporto dialogico, possono incontrarsi ed apprendere e costruire insieme le conoscenze.
Il principio di fondo, condiviso da tutti gli studiosi del settore, è che le tecnologie possono
assolvere molteplici funzioni sia nell’acquisizione degli apprendimenti sia nel contribuire a
sviluppare la dimensione metacognitiva, che resta sempre un percorso ed un processo soggettivo
che deve realizzare la persona come maturazione e sviluppo delle proprie potenzialità. Sono
funzioni, cioè, che aiutano il soggetto nel suo processo di maturazione come la dimensione ludica,
la dimensione motivazionale e appunto la dimensione metacognitiva. Queste dimensioni non
rappresentano funzioni a se stanti, come se fossero separate o avulse rispetto alle altre, ma si
implementano e si distribuiscono, in quanto presenti, nelle altre specifiche funzioni. La funzione
principe, comunque, è legata alla loro capacità di essere degli amplificatori sia cognitivi ed
informativi sia comunicativi ed espressivi. La funzione specifica, il cui significato è storicamente
consolidato, è senza alcun dubbio quella di amplificatore cognitivo. Attraverso la tecnologia si può
imparare ed apprendere in modo più adeguato e correlato ai propri bisogni, incrementando ed
arricchendo, in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo, il proprio budget conoscitivo. Si può
imparare ciò di cui si ha particolare bisogno, ciò che riveste particolare interesse e soddisfa
specifiche necessità, in qualsiasi momento e ovunque si è e quando e come si vuole. Si può
imparare, oltretutto, in modo autonomo e consapevole ed in modo efficace e motivante, dal
momento che le tecnologie possono svolgere funzione di sostegno e possono rappresentare un
valore aggiunto e non assolutizzante nel processo di insegnamento-apprendimento. D’altronde la
dimensione cognitiva, pur avendo una sua specificità indipendente, è comunque sempre presente,
dal momento che è sempre e comunque implicito il significato cognitivo assegnato alle tecnologie.
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È anzi possibile individuare, in tale specifico ambito, in ogni cioè loro funzione, due distinte e nello
stesso tempo correlate componenti: una relativa agli apprendimenti e la seconda più legata alla
metacognizione, ossia alla familiarizzazione sia con gli ambienti che con le diversificate modalità di
apprendimento, e all’acquisizione di atteggiamenti e di schemi e strutture sia concettuali che
mentali. Non è, infatti, tanto significativo, spesso, lo sviluppo della dimensione cognitiva, riferita
cioè agli aspetti contenutistici, la cui acquisizione sistematica può comportare un elemento di
secondaria importanza, quanto invece lo sviluppo della dimensione e degli aspetti metacognitivi,
che si potrà realizzare essenzialmente come ricaduta indiretta e diretta dell’utilizzazione di ambienti
interattivi o di attività collaborative sia in presenza che a distanza.
La dimensione cognitiva è strettamente legata a quella interattiva e metacognitiva, in quanto
l’acquisizione delle conoscenze si realizza attraverso l’uso di prodotti e di artefatti interattivi, capaci
di catturare l’attenzione e l’interesse degli studenti e di allenare la loro mente al ragionamento
logico e ad assumere decisioni motivate. Anzi, proprio la multimedialità e l’interattività possono
rappresentare momenti significativi per coinvolgere il soggetto in formazione in attività cognitive
fortemente interattive, coinvolgenti e motivanti. Oltretutto, la stessa interazione, che un soggetto
realizza con la realtà, avviene per lo più attraverso processi di costruzione di significati, che sono il
risultato di un costante rapporto di interscambi con la conoscenza sociale della comunità di
appartenenza, caratterizzati dallo stile cognitivo (Stemberg, 1998), dal tipo di intelligenza
prevalente e dai modelli mentali, tipici di una determinata comunità Gardner, 1994; Authier, Lév,
2000). Attraverso tali modelli mentali, intrecciati con le dinamiche relazionali, ogni soggetto
interpreta la realtà e definisce la propria identità personale e le modalità di interazione con essa. Per
questi motivi l’attività didattica, in qualsiasi modalità, sia on site sia on line, venga svolta, deve
mirare a sviluppare un equilibrato senso di appartenenza alla comunità educativa di apprendimento
e a costruire più che a riprodurre la conoscenza.
3.3.
Formazione e tecnologie multimediali
Con l’avvento delle tecnologie, ed in particolare con le reti telematiche ed Internet, stanno
notevolmente e continuamente cambiando i rapporti tra informazione e conoscenza, tra soggetto,
considerato individualmente, e soggetto inteso come facente parte di un gruppo, perché si delineano
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nuove e più complesse relazioni. Le tecnologie sembra che riescano meglio a cogliere l’essenza
dell’attuale società, in quanto divengono un modo come interpretarne e comprenderne la modernità.
In una società come la nostra ad alta esigenza di conoscenza, il sapere rappresenta una risorsa
fondamentale ed insostituibile, in quanto la sua spendibilità assume un ruolo centrale sia in campo
lavorativo sia nei rapporti interpersonali (Piu A:, 2005), dal momento che si enfatizza il lavoro
creativo e l’assunzione di responsabilità e di decisionalità rispetto al lavoro materiale di natura
esecutiva. Si tratta di una società della conoscenza che si sta progressivamente e sempre più
affermando e che ingloba diversi domini sia scientifici che culturali: quello tecnologico, quello della
ricerca scientifica, quello socio-culturale, quello educativo e formativo. In tutti questi campi
compare, in modo invasivo, l’impiego delle tecnologie, il cui utilizzo dovrebbe essere concepito
non solo come un problema squisitamente tecnico ma in funzione degli obiettivi didattici e
formativi dei contesti educativi e del soggetto e dei gruppi interessati in formazione continua, nel
rispetto del pluralismo linguistico, culturale e sociale. Tali considerazioni portano a
necessariamente dover instaurare, in casi concreti, come quello della formazione, una sinergia ed un
rapporto in simbiosi tra infrastrutture e formazione, tra contenuti, risorse umane e risorse
tecnologiche.
Sulla base di questi principi si è messo in moto un processo di trasformazione, che ha
comportato il passaggio da un lavoratore manuale-esecutivo, la cui attività lavorativa è di natura
ripetitiva e stressante (basti pensare ai lavori di una catena di montaggio) ad un lavoratore della
conoscenza, la cui attività lavorativa richiede da un lato assunzione di responsabilità e autonomia
decisionale e dall’altro capacità autonoma di saper continuamente apprendere per rapportarsi al
nuovo. Le innovazioni tecnologiche, in effetti, hanno notevolmente contribuito in alcuni casi e
potranno notevolmente contribuire in altri ad apportare significativi cambiamenti e profonde
modifiche al modello di formazione iniziale e continua rapportandolo ed adeguandolo alle attuali
esigenze. Le stesse teorie e gli stessi modelli cognitivi, d’altronde, si sono evoluti nel corso di questi
ultimi anni di pari passo con l’evolversi delle stesse tecnologie, in quanto ne sono stati influenzati
specie per il loro impatto sul fattore umano, non solo dal punto di vista tecnico ma soprattutto dal
punto di vista psicologico e di interazione sociale. Sostiene Piercesare Rivoltella (2003) che i media
e le reti informatiche hanno determinato una sostanziale modifica perché hanno ampliato
notevolmente le possibilità e le modalità della comunicazione, velocizzandone gli stessi processi e
realizzando interazioni comunicative in tempo reale senza per questo condividere con gli altri
interlocutori lo stesso spazio-tempo. “Lo scenario che si presenta è quello in cui l’esperienza diretta
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della realtà appare progressivamente rappresentata dalle immagini che le stesse tecnologie
forniscono della realtà e che modificano profondamente i modi di percepirla e rappresentarla, i
modi di elaborare e organizzare le conoscenze, i modi di memorizzarle ed acquisirle, di costruirle e
riutilizzarle. La pluralità di codici simbolici, che si combinano con una pluralità di apparati tecnici,
consente la produzione e la circolazione di una mole di messaggi e di segni, di codici, di saperi e di
strumentazioni che mediano il rapporto con la realtà e con gli stessi processi di comunicazione.
Ogni sistema simbolico-culturale si presenta, in effetti, come un potente strumento di
organizzazione sia del pensiero sia dell’esperienza, per cui coincide con l’adozione di una
particolare interpretazione e rappresentazione della realtà, che richiede da parte del soggetto
l’esercizio di specifiche competenze di codificazione e di decodificazione e di significati e
significanti” (Piu A., 2005). La proliferazione dei media ha, in effetti, meglio evidenziato i
cambiamenti che si realizzano sui soggetti in formazione, sui contenuti che da essi vengono
veicolati, sulle forme con cui essi vengono percepiti, acquisiti e rielaborati e sugli atteggiamenti
cognitivi che generano (Baldacci, 2002).
All’inizio degli anni sessanta, le tecnologie proponevano un modello di insegnamentoapprendimento soprattutto legato all’idea della macchina che sostituisce il docente, in quanto
trasferisce informazioni e conoscenze allo studente allo stesso modo di come l’insegnante presenta
le sue spiegazioni, può porgli domande e verificarne la correttezza, può riuscire a comprendere se
ha compreso e capito e, quindi, può regolare il flusso dell’informazione didattica. L’uso delle
tecnologie nell’insegnamento viene ritenuto paragonabile, dal punto di vista della qualità didattica,
al docente che dialoga con lo studente e riadatta continuamente la comunicazione e le informazioni
ai suoi bisogni. Successivamente il cognitivismo, ed in particolare il costruttivismo, modifica
profondamente questo modello riconoscendo l’importanza dei processi messi in atto dallo studente
nell’apprendere e valorizzando il suo ruolo attivo e partecipativo. Emergono sempre più, nello
stesso tempo e con maggiore chiarezza, i possibili significati e le possibili funzioni che essa può
assumere, per cui, in tutti i campi di attività ed anche in ambito educativo, la tecnologia nasce e si
sviluppa come medium amplificatore delle possibilità umane. Viene sottolineato, nel processo di
apprendimento-insegnamento, il ruolo e l’importanza che riveste l’interazione con gli altri anche
per quanto attiene allo sviluppo cognitivo. L’idea dominante è che il significato e il senso della
conoscenza viene costruito attraverso il confronto tra prospettive differenti. La crescita concettuale,
sostiene Cunningham, deriva dalla condivisione di prospettive differenti e dal simultaneo
cambiamento delle nostre rappresentazioni interne in risposta a quelle prospettive. Per questo
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l’educazione ha il ruolo di promuovere la collaborazione con gli altri e di mettere così in evidenza
le molteplici prospettive che ci possono essere su uno stesso problema in modo tale che il discente
possa arrivare a una sua personale posizione. Le tecnologie, a tal riguardo, possono produrre un
arricchimento sostanziale nella comunicazione e nella cooperazione educativa, perché consentono
sia di organizzare e strutturare la comunicazione di gruppo sia di introdurre, nella cooperazione e
collaborazione, la dimensione “a distanza”, producendo un’implicazione particolarmente importante
sul piano educativo per la possibilità di instaurare contatti fra dati, fra esperienze e fra culture
differenti con il conseguente allargamento degli orizzonti culturali e sociali dei membri del gruppo.
Le tecnologie, cioè, mettono a disposizione, su scala planetaria, un patrimonio ingente e in continua
espansione di risorse informative, documentali ed umane. Rappresentano cioè una notevole
sorgente di risorse che possono essere utilizzate nell’ambito dei processi didattici sia tradizionali sia
di quelli con caratteristiche innovative. D’altronde, la multimedialità, intesa come integrazione di
immagine, animazione, suono e mixer di linguaggi ed alfabeti, analizzati in un contesto di
interattività, costituisce un nuovo ed interessante codice comunicativo ed espressivo. Favorisce,
infatti, l’interazione uomo-macchina rendendola più efficace e motivante e consente di convogliare
contenuti e documenti, in quanto rappresenta una nuova modalità d’accesso alle informazioni e alla
cultura.
Le tecnologie multimediali, ormai, hanno superato il periodo iniziale, in cui erano utilizzate
solo come strumenti per insegnare e si limitavano a presentare, esporre e illustrare alcune sequenze
o segmenti di conoscenze disciplinari o alcune teorie e concetti. Oggi si affermano per l’opportunità
che offrono di creare e costruire validi, adeguati e proficui contesti ed ambienti di apprendimento,
in cui gli studenti, collaborando tra loro e con i docenti, possono procedere alla costruzione delle
loro conoscenze, allo sviluppo delle loro capacità ed alla consapevolezza dei loro atteggiamenti e
del loro modo di acquisire le conoscenze.
3.4.
Tecnologie e contesti educativi di apprendimento
Nella società attuale, caratterizzata dalla obsolescenza e dalla moltiplicazione esponenziale
delle conoscenze, il futuro si presenta caratterizzato dalla precarietà, dal momento che nessuno
neanche le più grandi aziende sono in grado di fare previsione a lungo termine su ciò che è
essenziale conoscere e sapere per i giovani, che attualmente frequentano l’università. Sulla base di
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questa precarietà previsionale, da alcuni anni si va sempre più affermando il principio che scopo
della scuola non è tanto quello di impartire un complesso ben definito, anche se variamente
articolato, di nozioni, quanto di comunicare la gioia ed il gusto di imparare a fare da sé, in modo che
possa conservarne l’abitudine oltre i confini della scuola, per tutta la vita. Importante diventa
imparare ad imparare, per cui determinante diventa da un lato far scaturire nei soggetti in
formazione entusiasmo, volontà, amore e gusto ad imparare e dall’altro fornire loro le tecniche, far
acquisire i metodi di studio e le modalità per poter imparare in seguito in maniera autonoma. Da qui
l’improrogabile esigenza che il processo formativo ha, oltre a favorire ed agevolare l’acquisizione
delle conoscenze essenziali e soprattutto delle competenze e delle capacità, di promuovere
innanzitutto atteggiamenti positivi ed autonomi nei confronti della conoscenza e del sapere. Questi
obiettivi, per essere perseguiti, richiedono che le stesse tecnologie multimediali si propongano come
ambienti e contesti di apprendimento educativo, in cui più che apprendere e acquisire conoscenze, i
soggetti siano in grado di costruirle e di acquisire, quindi, le modalità tecniche e di pensiero per
sviluppare la propria autonomia cognitiva. Bruner sostiene che i soggetti conoscono solo quello che
sono riusciti a scoprire e anche quello che viene loro insegnato, purché sia padroneggiato e venga
riscoperto e costruito o co-costruito dal soggetto. Non sono, infatti, formative le conoscenze in sé,
ma il processo del conoscere, l’attività di apprendimento, ossia la scoperta, la costruzione,
l’invenzione delle conoscenze. Ed in questo contesto le tecnologie multimediali possono offrire un
utile contributo ed essere un valore aggiunto, e non sostitutivo, nel configurare il processo di
apprendimento. Non più, quindi, luogo o ambiente e contesto in cui si realizza l’insegnamento, ma
contesto educativo di apprendimento, ossia ambiente centrato sulla persona, sui suoi bisogni e sulle
sue risorse. Pensato come strumento di garanzia sia per la salvaguardia del diritto alla formazione,
ossia del diritto alla parità, all’uguaglianza e all’apprendimento (principio di individualizzazione),
sia per la salvaguardia del diritto alla diversità, alla promozione dei talenti e delle potenzialità di
ognuno (principio di personalizzazione). Una tecnologia, quindi, rivolta più ad affrontare tematiche
multi ed inter-disciplinari, che si serve del metodo della ricerca, dell’esplorazione, e che ha, come
suoi elementi caratterizzanti, la collaborazione e la cooperazione, realizzata attraverso la
negoziazione, la comune produzione e condivisione di significati e di artefatti culturali.
Il problema che si pone, e con una certa urgenza, è il come si possano usare le tecnologie per
cambiare e modificare, in modo significativo e profondo, la prospettiva dell’insegnamento.
Incanalarlo non tanto verso l’esposizione e la presentazione degli argomenti, la dimostrazione
teorica ed esemplificata delle teorie e dei concetti, quanto nel riuscire a creare dei validi ed
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efficienti contesti ed ambienti di apprendimento, in cui l’acquisizione delle conoscenze e la
costruzione delle competenze possa essere vista come l’interazione che si realizza tra un soggetto
che apprende e un contesto, guidata da una strategia didattica ed orientata al raggiungimento di un
obiettivo o comune o diversificato. Tale prospettiva richiama l’esigenza di offerte formative, che
sfruttino al meglio ed efficacemente le potenzialità delle tecnologie multi e telemediali, proponendo
e realizzando percorsi sia individualizzati sia personalizzati, inseriti nell’ambito di comunità reali o
virtuali che apprendono collaborativamente.
Uno scenario del genere solleva, sicuramente, alcune questioni rilevanti che riguardano sia
chi eroga formazione che chi ne usufruisce. Chi si propone di erogare formazione, basati sull’uso
delle tecnologie e di contesti simulati di apprendimento, ha necessità di maturare nuove competenze
metodologiche di progettazione e gestione di interventi on line. I potenziali corsisti e studenti on
line hanno necessità di affinare capacità autonoma e ragionata di quei percorsi che meglio si
adattano e siano congrui e coerenti con le proprie esigenze formative, oltre ad acquisire familiarità e
dimestichezza con le tecnologie e con la didattica on line. Entrambe le questioni indicate
richiamano l’acquisizione, a livelli differenti, di adeguate conoscenze e competenze sui modi di
erogare e fare formazione a distanza. Si tratta in effetti di acquisire e sviluppare una nuova cultura
che consideri la formazione a distanza non tanto in concorrenza o in antagonismo o in alternativa
alla formazione in presenza, quanto piuttosto come una ulteriore possibilità, soprattutto in quegli
ambienti e in quelle situazioni in cui non è possibile usufruire della formazione in presenza, e come
valore aggiunto di notevole rilevanza in aggiunta e come modalità integrata tra le due tipologie del
fare formazione. L’importante è che i contesti di apprendimento siano essenzialmente e
tendenzialmente caratterizzati e costituiti da percorsi didattici appositamente organizzati e articolati
che prevedono sia momenti di lavoro collettivo e collaborativo, sia momenti di lavoro di gruppo
cooperativo, sia momenti ed impegni di natura individuale.
Nei contesti ed ambienti di apprendimento, il soggetto si trova nelle condizioni di essere egli
stesso costruttore e generatore della propria conoscenza, dal momento che si trova impegnato in
prima persona nel difficile compito di costruire ed incrementare il proprio bagaglio di conoscenze e
di competenze. E lo può fare avvalendosi “di supporti di vario tipo: degli strumenti (le tecnologie
nella loro natura hardware), dei metodi – che scaturiscono dall’incontro tra tecnologie e didattica –
e delle interazioni attraverso i circuiti infotelematici – tra i soggetti – e con le infotecnologie”
(Bruschi, 2001), ossia nel rapporto uomo/uomo e uomo/macchina. In questa varietà di momenti le
tecnologie multimediali possono svolgere un ruolo rilevante sia perché possono servire da supporto
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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e sostegno, sia perché possono rappresentare ed essere un ulteriore momento didattico integrativo, e
per alcuni segmenti di conoscenza sostitutivo, o alternativo sia come percorso sia come obiettivo da
conseguire o perseguire. Le tecnologie si presentano, in effetti, come strumenti validi ed utili non
solo per favorire il lavoro di gruppo e l’impegno individuale, ma anche ed essenzialmente per
collegare in rete tutti i soggetti che si trovano coinvolti in un medesimo processo e percorso di
apprendimento. In tal modo, nel mentre consentono di valorizzare le specifiche dotazioni o aree di
eccellenza personali dei soggetti coinvolti, creano e favoriscono occasioni di formazione sociale ed
affettiva.
Con le tecnologie si può realizzare una progettazione didattica, non più legata agli obiettivi e
allo sviluppo delle Unità Didattiche, ma alla elaborazione e realizzazione di Progetti Didattici. In tal
modo vengono favoriti e diventano primari gli obiettivi legati allo sviluppo delle abilità
metacognitive, che hanno lo scopo di agevolare e favorire l’autonomia e la flessibilità cognitiva dei
soggetti (Varisco, 19998). Attraverso un approccio multidimensionale alla conoscenza, si possono,
quindi, realizzare le finalità legate all’attuale concetto di formazione che fa riferimento ad una
mente plurima, problematica, critica e metascientifica. L’attuale società, infatti, che ha segnato il
passaggio dal lavoratore manuale al lavoratore della conoscenza e che si caratterizza sempre più
come società della conoscenza (Faure, 1994; Cresson, 1995); Delors, 1996), ha determinato sempre
più una impellente e crescente domanda di formazione ed ha messo in crisi la dimensione
quantitativa del sapere. Il nuovo concetto (Bruner, 1997) non è più coincidente con un determinato
gruppo di contenuti, ma è sempre più legato ai processi dinamici dei soggetti, essendo riferito alle
dimensioni culturali del ricercare, comprendere, valutare e alla capacità di prendere ed assumere
decisioni in modo consapevole ed autonomo (Piu C., 2001). È, in effetti, un concetto legato
all’acquisizione degli alfabeti indispensabili per comunicare, produrre e saper riflettere sulle
conoscenze da un lato e alla capacità dall’altro, una volta acquisiti gli alfabeti, di saperli combinare
e rielaborare in maniera originale e creativa in modo da saper generare nuovi saperi e saperli
rapportare alle esigenze lavorative e sociali di ciascuno. In tal modo il soggetto è in grado di sapersi
orientare autonomamente nella molteplicità e diversità dei contesti e di meglio rispondere alla
logica dell’apprendimento per tutta la vita (lifelong learning).
Le tecnologie (TIC) si presentano, quindi, non tanto come un nuovo oggetto disciplinare, ma
come un quadro complessivo di possibile riferimento poiché sono in grado di attivare strategie e
metodologie didattiche innovative. Sono strumenti nuovi che possono, se saputi utilizzare,
qualificare meglio e rendere più efficaci ed efficienti i percorsi di insegnamento in direzione
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dell’apprendimento. Prefigurano, in effetti, un nuovo quadro di riferimento e un nuovo scenario
socio-culturale-formativo, in cui, come sostiene Galliani (2000), non è l’uso dei media a causare e
determinare automaticamente l’apprendimento, ma sono i processi, ossia le modalità e il come
vengono utilizzati, a determinarlo, favorirlo e agevolarlo. In realtà non è tanto la qualità delle
tecnologie, anche se quelle di nuova generazione sicuramente sortiscono effetti migliori, ma “le
modalità di strutturazione del programma e di interazione con l’allievo a causare una diversa qualità
dell’istruzione”. L’impianto tecnico, anche il più evoluto, se vuole conseguire risultati soddisfacenti
sul piano formativo, ha necessità di essere supportato e guidato da adeguate modalità di riflessione
e di intenzionalità pedagogica e didattica. Le nuove tecnologie possono, cioè, qualificare
l’esperienza formativa solo se tengono conto e si muovono in base a modelli critici della
mediazione didattica, se sono cioè ad essi funzionali. Le tecnologie e i suoi ambiti e i modi di
applicazione non possono essere letti, interpretati e valutati solo come tecnica mediante criteri
quantitativi ed oggettivi, ma devono tener conto delle variabili qualitative non meccanicamente
determinabili, specie in campo educativo, in cui si ha a che fare con la variabilità dei soggetti, delle
situazioni e dei fatti educativi. Calvani (2000) fa notare che ogni tecnica ha una doppia anima: una
squisitamente e formalmente definita (la parte analizzabile e scomponibile), che rappresenta
l’ambito tecnico; l’altra riferita più alle componenti culturali, “che va oltre una semplice logica
assemblativa e sfugge alla possibilità di una pura rappresentazione formale”. Padroneggiare la
tecnica, sostiene, significa avventurarsi in un reticolo dalle molte facce, che non si lascia facilmente
delimitare. Le tecnologie non sono mai perfettamente applicabili e riproducibili dal momento che il
loro risultato dipende da fattori sicuramente oggettivi ma anche da fattori soggettivi, legati alle
qualità professionali e alle intenzionalità di chi le utilizza; così come non hanno un valore positivo
oggettivo, in quanto sono sempre interpretabili in modo soggettivo-culturale e socio-politico.
Galliani (2000) evidenzia bene questa bipolarità quando asserisce che da un lato è la cultura che
genera la tecnologia ma è anche vero il contrario, ossia che la “tecnologia, modificando il sistema
sociale e culturale, paradossalmente produce la cultura”, sviluppando e favorendo la nascita di una
cultura, che vede interagire in simbiosi e in sinergia la tecnica e la cultura per costruire un nuovo
modello culturale e formativo.
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