Capitolo 3
L’identificazione delle particelle
3.1
Introduzione
L’identificazione delle particelle nei rivelatori di BABAR avviene attraverso la misura dei
seguenti parametri:
• la dE/dx con il Silicon Vertex Tracker e la Drift Chamber;
• l’angolo Chěrenkov con il DIRC;
• l’energia depositata nel rivelatore e la forma dello sciame rispetto alla direzione della
particella incidente, attraverso il calorimetro elettromagnetico;
• la lunghezza di penetrazione e le dimensioni trasverse del cluster generato dal
passaggio della particella nel ferro segmentato, mediante l’IFR.
Il software per l’identificazione delle particelle è strutturato in due stadi; nel primo, le
informazioni di ciascun sotto-rivelatore sono associate separatamente a ciascuna traccia
ricostruita, in modo da valutare le probabilità (likelihood ) relative all’ipotesi di una
specifica particella (e, μ, π, K, p). Nel secondo vengono applicati degli algoritmi che,
combinando le informazioni provenienti da ciascun rivelatore, consentono di ottenere livelli
di selezione più o meno stringenti.
3.2
La rivelazione dei K nell’esperimento
La selezione per i kaoni viene effettuata combinando le informazioni che provengono
dal rivelatore di vertice e dalla camera a deriva con quelle provenienti dal rivelatore
Chěrenkov (θc ): i primi selezionano kaoni con impulsi inferiori a 700 MeV/c e il secondo
kaoni con impulsi superiori a 700 MeV/c. Nei primi due rivelatori la perdita di energia
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specifica, parametrizzata dalla relazione di Bethe-Block, dipende sia dalla natura della
particella incidente che dal suo momento come mostrato in Figura 3.1.
Figura 3.1: Andamento della perdita di energia specifica (dE/dx) in funzione
dell’impulso, nel rivelatore di vertice e nella camera a deriva.
Si potrebbe supporre, allora, che grazie alla sola informazione sulla perdita di
energia specifica, sia possibile una corretta identificazione per due particelle diverse che
posseggono, però , lo stesso impulso. Tuttavia l’identificazione di una particella non è del
tutto univoca poiché ogni punto sulla Bethe-Block corrisponde al valor medio di una
distribuzione di Landau che causa quindi una sovrapposizone delle distribuzioni creando
ambiguità .
La Figura 3.2 mostra la distribuzioe della dE/dx in funzione dell’impulso, per π e
K nel’SVT e nella DCh: è evidente come, per entrambi i rivelatori, le distribuzioni di
Landau si sovrappongono, provocando una misidentificazione tra π e K.
Nel rivelatore Chěrenkov, invece, i kaoni vengono identificati sfruttando l’emissione di
fotoni che avviene se la particella in questione ha un impulso superiore al valore di soglia:
p> √
m
n2 − 1
dove m è la massa della particella, p il suo impulso e n l’indice di rifrazione del mezzo
(trattandosi di quarzo sintetico, n=1.473). Il numero dei fotoni prodotti, varia seguendo
una statistica poissoniana, a seconda del tipo di particella, della sua carica, del momento e
dell’angolo polare di incidenza. Il valore medio dell’angolo Chěrenkov verifica la relazione:
cos θc =
65
1
nβ
Figura 3.2: A sinistra è mostrata la distribuzioe della dE/dx nel’SVT per π e K
con impulso compresa tra 0.5 e 0.6 Gev/c. A destra è mostrata la distribuzione
della dE/dx nella DCh per π e K con impulso compresa, però , tra 0.6 e 0.7 Gev/c
con β = p/E e n indice di rifrazione del quarzo sintetico [40].
Per l’identificazione dei kaoni il problema più importante è che essi possono decadere
tra un detector e l’altro, dato che la distanza tra il DIRC e il punto di interazione è di
circa 81 cm. Essi, infatti, percorrono una distanza pari a cτ = 3.713 m prima di decadere,
e da ciò possiamo dedurre che circa il 20% di essi decade prima di raggiungere il DIRC.
L’andamento della probabilità di decadimento in funzione dell’ angolo di polarizzazione
è riportato in Figura 3.3.
Un altro aspetto da considerare per l’identificazione dei kaoni è il fatto che essi
interagiscono con il materiale con cui è costruito il detector. Conoscendo la sezione d’urto
d’interazione tra i K e i nucleoni, siamo in grado di valutare quanti kaoni perdiamo a causa
dell’interazione. Tuttavia non si può non tener conto del fatto che alcuni K possono subire
semplicemente uno scattering elastico e pertanto, possono essere ugualmente rivelati.
Grazie all’ utilizzo di eventi Monte Carlo, infatti, si può osservare che l’identificazione
dei kaoni nel rivelatore Chěrenkov non è univoca (vedi Figura 3.4). Riportando l’angolo
Chěrenkov in funzione dell’impulso della particella incidente, si ha un addensamento oltre
che in corrispondenza dell’angolo θc relativo al K anche in regioni diverse.
66
Figura 3.3: Probabilità di decadimento per un K in funzione del suo momento. La
misura è stata fatta facendo passare il kaone attraverso uno spessore di silicio di 5
cm, supponendo questa la quantità di materiale che si trova approssimativamente
prima del DIRC.
Nella regione indicata con A ci sono sia i K che non raggiungono il DIRC perché la
copertura angolare del rivelatore è del 92%, sia quelli che producono un numero di fotoni
talmente piccolo da confondersi con i γ di fondo.
Una parte dei kaoni finisce nella banda dei pioni, degli elettroni e dei muoni (regione B)
se si verifica l’interazione o il decadimento prima di arrivare al DIRC e se le particelle
figlie conservano approssimativamente la stessa direzione della particella madre.
La regione (D) rappresenta una banda che dovrebbe essere popolata dai soli protoni,
ma come si può vedere è evidente la presenza anche dei K. Questi subiscono interazioni
adroniche che lasciano liberi i protoni reali. Alcune di queste tracce sono misidentificate
dal fit a causa del basso numero di fotoni identificati o da misure effettuate su tracce
distorte. Sull’intero intervallo di momento il valor medio dell’efficienza di rivelatore del
Kaone risulta dell’ordine del 78% e la contaminazione dovuta alla presenza di pioni del
4.5%.
La selezione e’ effettuata ricorrendo a due diversi approcci: la likelihood o le reti
neurali. Qui di seguito riporteremo in dettaglio le caratteristiche di un selettore a
likelihood, poiché è quello utilizzato in questo lavoro.
67
Figura 3.4: Distribuzione per l’angolo Chěrenkov: a) regione non raggiunta dai
kaoni; b) regione dei pioni; c) regione dei kaoni; d) regione dei protoni .
Il campione di controllo sul quele si selezionano i kaoni, è quello in cui i K vengono
selezionati dall decadimento del D∗ (D∗ → π + D0 , D0 → π + K − ) Figura 3.5.
3.2.1
Principi di selezione mediante la Likelihood
Una selezione dei kaoni, basata sulla combinazione di funzioni di likelihood (L), ognuna
delle quali costruita per uno specifico detector, è una tecnica che risulta molto sensibile
alle caratteristiche peculiari di questa particella. La quantità L è definita come
prodotto delle Probability Density Functions (PDF) relative a ciascun rivelatore coinvolto
nell’identificazione ed, in particolare, dell’ SVT, della DCh e del DIRC.
L’algoritmo di selezione, che verrà di seguito descritto, è noto come PidKaonLHSelector.
L’idea dei selettori LH [41] è di calcolare una likelihood per ogni ipotesi di particella:
T
Li = LSV
∗ LDIRC
∗ LDCh
i
i
i
con i = π ± , K ± , p.
Tuttavia le variabili sulle quali si costruisco le PDF variano nel caso del DIRC, rispetto
al caso dell’SVT e della DCh.
68
Figura 3.5: Distribuzone della differenza delle masse dei candidati di D∗ e di D0 , per
il processo D∗ → π + D0 , D0 → π + K − , per i dati (puntini) e per eventi MonteCarlo
(istogramma, con il fondo combinatorio mostrato nella parte scura).
Le funzioni di likelihood per l’SVT e per il DCh sono già calcolate nel pacchetto Micro
(database che contiene un sottoinsieme delle informazioni su tutti gli eventi raccolti dal
Detector). Tuttavia, il modo di operare è abbastanza semplice.
Per entrambi i subdetector, la variabile su cui viene costruita la PDF è rappresentata dalla
differenza tra la dE/dx misurata ed i valori attesi, provenienti dalla parametrizzazione
della funzione Bethe-Bloch. Le PDF relative all’ SVT ed alla DCh hanno, con buona
approssimazione, una distribuzione di tipo gaussiano.
La funzione di likelihood che, invece, si costruisce per il DIRC non può essere calcolata
nello modo descritto in precedenza, poichè ci sono code significative quando si cerca di
attuare un fit sull’angolo Chěrenkov e sul numero dei fotoni. Per rendere meno rilevante
il disturbo apportato delle code, viene costruita una nuova likelihood binnata. Le variabili
che si utilizzano per costruire le PDF sono: l’angolo Cherencov, il numero dei fotoni e la
qualità del tracciamento.
(Lab impulso−100M eV per bin)×(angoloDIRC −3 bins)×(N f otoni, T rkqual −4 bins)
Si nota che sono state usati solo 3 bins dell’angolo del DIRC, corrispondenti alle
69
bande del pi,K e protone. I 4 bin del parametro Trkqual sono formati usando la
probabilità poissoniana per gli Nfotoni osservati, lo strato dell’ultimo hit nella DCh e
l’energia depositata nel calorimetro. Il rapporto Nfotoni/Trkqual, è un buon parametro
per identificare problemi nella tracce per la ricostruzione del DIRC.
Questa funzione di Likelihood è costruita in modo da trattare meglio le code della risposta
del DIRC, specialmente per le particelle in soglia. Inoltre con questo metodo non si
riescono a separare le bande dell’angolo del DIRC bene ad alti momenti, cosı̀ questa
likelihood binnata è moltiplicata per una Gaussiana per impulsi maggiori di 1.5 GeV/c.
Infine tale selettore si costruisce applicando differenti tagli sul valore del rapporti delle
Likelihood:
Lkaon /Lpion > cut
In Tabella 3.1 e Tabella 3.2 sono riportati i valori di questi rapporti nel caso di selettori
per kaoni o per pioni.
Nome della Lista
LK /LK + Lπ
KLHveryTight
KLHTight
KLHLoose
KLHveryLoose
KLHnotApion
> 0.9
> 0.9
> 0.8176
> 0.5
> 0.20
Tabella 3.1: Valori dei tagli applicati alla quantità LK /LK + Lπ per costruire i cinque diversi
tipi di selettori per kaoni.
Nome della Lista
LK /LK + Lπ
piLHveryTight
piLHTight
piLHLoose
piLHveryLoose
< 0.2
< 0.5
< 0.82
< 0.98
Tabella 3.2: Valori dei tagli applicati alla quantità LK /LK + Lπ per costruire i cinque diversi
tipi di selettori per pioni.
L’andamento dell’efficienza di identificazione dei kaoni in funzione dell’impulso
è riportato in Figura 3.6.
70
Figura 3.6: Efficienza nell’identificazione dei kaoni attraverso l’utilizzo di selettori
a Likelihood per tre differenti valori dell’angolo Cherencov nel DIRC.
3.3
La selezione degli elettroni
Per l’identificazione degli elettroni si utilizzano soprattutto le informazioni estrapolate
dall’EMC; solo in condizioni di particelle con un esiguo valore del momento ci si avvale
delle informazioni provenienti dal DIRC e dal sistema di tracking.
Ci sono due metodi che permettono di discriminare, nel calorimetro elettromagnetico,
elettroni da altre particelle:
• Il raporto E/p tra l’energia depositata nel calorimetro e l’impulso della particella;
• La distribuzione spaziale dell’energia depositata nel calorimetro, che è diversa da
particella a particella.
L’identificazione degli elettroni usando E/p, sfrutta il fatto che un elettrone,
nell’attraversare il calorimetro elettromagnetico, dissipa la sua energia generando uno
sciame elettromagnetico longitudinale (formato da elettroni, positroni e fotoni): per
l’elettrone che rilascia quasi tutta la sua energia questo rapporto vale circa 1. In
Figura 3.7 è riportato il valore del rapporto E/p in funzione dell’impulso delle particelle
incidenti. I muoni, al contrario, non sciamano all’interno del calorimetro, perché la loro
interazione con le particelle del rivelatore è minima se non addirittura inesistente: il valore
di E/p sarà per loro molto minore di 1, consentendo un’ottima discriminazione tra muoni
ed elettroni.
La discriminazione diventa, invece più difficile tra adroni ed elettroni. Gli adroni
interagiscono nel calorimetro generando sciami adronici difficilmente distinguibili da quelli
elettromagnetici, se si prende in considerazione solo il parametro E/p. In questo caso per
71
Figura 3.7: Distribuzione del rapporto E/p in funzione dell’impulso delle particelle incidenti.
l’identificazione degli elettroni si deve far riferimento anche alla forma dello sciame. Ed
è per questo che è utile introdurre un nuovo parametro (LAT) definito come :
N
Ei ri2
2
2
2
i=3 Ei ri + E1 r0 + E2 r0
i=3
LAT = N
dove:
• N è il numero dei cristalli associati allo sciame;
• Ei è l’energia depositata nel cristallo i-mo (i cristalli sono numerati in modo tale
che E1 > E2 > . . . > EN );
• ri e φi sono le coordinate polari del cristallo i-mo nel piano perpendicolare alla linea
che va dal beamspot al centro dello sciame (Figura 3.8);
• r0 è la distanza tra i due cristalli e per l’ECM di BABAR vale 5 cm
Al numeratore sommiamo gran parte del contributo dello sciame. Il paramettro LAT
ha un valore più piccolo per gli sciami elettromagnetici, in quanto questi depositano la
loro energia in una regione limitata intorno al cristallo centrale e non hanno la tendenza
a disperdersi come, invece, fanno gli sciami adronici [38](Figura 3.9).
72
Figura 3.8: Distribuzione della LAT in funzione dell’impulso delle particelle
incidenti. È possibile osservare come sono definite le quantità R0 , ri e φi .
3.3.1
Selezione degli elettroni
I dati registrati dal calorimetro elettromagnetico contengono alcune informazioni spaziali,
quali i valori delle coordinate polari, le misure di energie e le misure temporali. Alle misure
deve essere applicata una correzione, detta global energy calibration, per compensare le
perdite di energia nel materiale immediatamente antistante al calorimetro e quelle dovute
al non perfetto contenimento dello sciame. Questa calibrazione, derivata per fotoni,
conduce ad una sottostima dell’energia depositata dagli elettroni.
Il
selettore
PidElectronMicroSelector
consente
di
applicare,
invece, una calibrazione/correzione fenomenologica all’energia del bump senza applicare
la global energy calibration, in modo che la posizione del picco della distribuzione E/p per
gli elettroni si trovi ad un valore Ecorr /p = 1 sull’intero spazio delle fasi.
Per evitare grosse perdite nello sciame adronico, inoltre, si considerano solo tracce che
ricadono in un volume, la cui copertura angolare è compresa tra:
0.36 < θlab < 2.372
Come succede nel caso dei kaoni, anche per gli elettroni abbiamo cinque livelli di
discriminazione: nella condizione veryLoose e Loose raggiungiamo valori di efficienza
superiori al 97% con un livello di misidentificazione elevato; con la condizione Tight
73
Figura 3.9: Distribuzione della LAT in funzione dell’impulso delle particelle incidenti.
si ottengono efficienze maggiori del 96%, con una misidentificazione dovuta ai pioni
dell’1 - 2%; nella condizione veryTight a efficienze del 90% fanno riscontro probabilità di
misidentificazione dello 0.12%. Ulteriori dettagli sui tagli applicati per i diversi tipi di
selettori, sono presentati nella Tabella 3.3:
Criterio
veryLoose
loose
tight
verytight
dE/dx
500 − 1000
500 − 1000
500 − 1000
540 − 860
E/p
0.5 − 5.0
0.65 − 5.0
0.75 − 1.3
0.89 − 1.2
LAT
−10 − 10
−10 − 10
0. − 0.6
0. − 0.6
A42
−10 − 10
−10 − 10
−10 − 10
−10 − 0.11
Drc
no
no
no
yes
Tabella 3.3: Definizione dei tagli sulle variabili per vari criteri di selezione
Il valore di dE/dx per gli elettroni ha una distribuzione gaussiana il cui picco è a 650,
con una σ = 50. I tagli che si effettuano per le condizioni veryLoose, loose, e tight sono
compresi tra 7.0 e -3.0 σ; mentre per la condizione veryTight si utilizzano tagli tra 7.0 e
-2.2 σ. Le informazioni provenienti dal DIRC sono utilizzate solo nella selezione veryTight
74
e se il numero di fotoni è superiore a 10. Nella Figura 3.10 riportiamo la distribuzione
della dE/dx in funzione dell’impulso degli elettroni.
Figura 3.10: Distribuzione della dE/dx in funzione dell’impulso delle particelle incidenti.
3.4
Identificazione dei muoni
L’identificazione dei muoni è realizzata principalmente mediante l’Instrumented Flux
Return. Il problema più importante che si pone in queso caso è quello di ridurre al
minimo la contaminazione di adroni, sopratutto di pioni. La discriminazione dei π dai
muoni è basata sul diverso modo con cui questi due tipi di particelle interagiscono con
la materia: ad esempio, un muone di impulso inferiore a 1.3 GeV /c si ferma nell’IFR a
seguito della perdita di energia di ionizzazione, mentre la maggior parte degli ioni di pari
impulso è soggetto ad interazione forte nella struttura segmentata di acciaio. Per questo,
un muone dà generalmente luogo ad un hit in ogni RPC planare attraversato, mentre un
pione genera uno sciame adronico di bassa energia che, attraversando uno strato attivo,
produce con maggiore probabilità una molteplicità di hits solo in qualche strato. Queste
informazioni combinate consentono di separare un pione da un muone. In tal modo si
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Variabilie per la selezione
Very Tight
Tight
Loose
Very Loose
Ecal
No. di Layers (NL )
Meas. Lambda (λmeas )
Delta Lambda (λ)
χ2 del fit . (χ2f it )
Track Match Chisq. (χ2mat )
Continuità della traccia (TC )
Molt. media Strip (m̄)
Sigma Media per Strip (σm )
[0.4, 0.5]
>1
> 2.2
< 0.8
<3
<5
< 0.34
<8
<4
[0.4, 0.5]
>2
> 2.2
<1
<3
<5
< 0.3
<8
<4
< 0.5
>2
>2
<2
<4
<7
< 0.2
< 10
<6
< 0.5
>2
>2
< 2.5
> 0.1
< 10
<6
Tabella 3.4: Valori dalle variabili per i quattro livelli dei criteri di selezione usati nei tagli
dell’algoritmo si selezione dei muoni.
ottiene un’efficienza di rivelazione per i muoni che supera l’80% (per impulsi maggiori di 1
GeV/c); la probabilità che un pione venga identificato erroneamente come muone è invece
dell’8% e superata l’energia di 1 GeV /c è sostanzialmente costante al variare dell’impulso.
Le particelle con momento inferiore a 0.4 GeV/c non riescono a raggiungere l’IFR a
causa dell’effetto del campo magnetico [39]. In tal caso per l’identificazione diventano
indispensabili le informazioni fornite dai rivelatori più interni, tra questi il DIRC presenta
un’efficienza molto più elevata.
Anche i muoni sono identificati con cinque criteri di selezione. Il Mini-mun Ionizing
Selection, il Very Loose Selection e il Loose Selection rappresentano i selettori, per
cosı̀ dire, più deboli; essi sono caratterizzati dall’alta efficienza di selezione del muone.
Gli altri due, il Tight Selection e il Very Tight Selection, si riferiscono ad una bassa
misidentificazione con i pioni. Per verificare le prestazioni del rivelatore vengono utilizzati
dei campioni di particelle estratti dai dati reali. I muoni sono prelevati dai canali
e+ e− → e+ e− μ+ μ− e anche e+ e− → μ+ μ− γ. I pioni, invece, vengono presi dal
decadimento Ks → π + π − , oppure dalla reazione e+ e− → τ + τ − in cui un τ ha un
decadimento di tipo leptonico, mentre l’altro decade in tre pioni.
Per svilupare il selettore per muoni si fa uso di una rete neurale.
Le variabili in ingresso che la rete neurale deve normalizzare sono le seguenti:
• l’energia rilasciata dalla particella nel calorimetro elettromagnetico (Ecal );
• il numero di layer colpiti per ciascun cluster (NL );
76
• la distanza percorsa in termini di lunghezze di interazione (λmis ), valore ottenuto
estrapolando la traccia fino all’ultimo layer colpito;
• la differenza tra λmis e la λexp . Quest’ultima è difinita come la distanza che ci si
aspetta che la particella percorra, in lunghezze di interazione, nell’ipotesi che sia
un muone. Questo valore è ottenuto estrapolando la traccia fino all’ultimo strato
attivo dell’IFR (λexp ). Δλ = λmis − λexp ;
• Il valore di χ2 /d.o.f. determinato tra la traccia reale, ottenuta dagli hits e un
polinomio del terzo ordine che fitta i punti (χ2f it );
• il valore di χ2 /d.o.f. determinato tra la traccia reale, ottenuta dagli hits nelle camere
RPC, e la traccia estrapolata ( χ2mat );
• La continuità della traccia nell’IFR ((TC ));
• la molteplicità media per le strips per layer (m̄);
• deviazione standard della molteplicità media per le strips per layer (σm ).
3.5
Identificazione dei fotoni
Solitamente lo sciame elettromagnetico nel calorimetro (EMC) è distribuito su molti
cristalli adiacenti che formano un cluster caratterizzato da una energia certa mancante.
Si possono distinguere due tipi di cluster: un cluster singolo, con un solo massimo
di energia, ed un cluster fuso, dove si hanno più massimi di energia locali, chiamati
bumps. Gli algoritmi di ricostruzione ed identificazione sono stati sviluppati in modo da
identificare, efficientemente, i clusters singoli, distinguendoli dai bumps e determinando
se essi siano generati da una traccia neutra o carica.
Un cluster è caratterizzato dal fatto di avere almeno un cristallo con energia maggiore di
10 MeV e i cristalli adiacenti devono avere un’energia tale da non superare la soglia posta
di 1 MeV.
Per stabilire i massimi di energia locali, all’interno di un clusters, si richiede che i cristalli
candidati abbiano un’energia (ELocalM ax ) maggiore di ogni cristallo adiacente.
Inoltre deve essere verificata la seguente condizione:
0.5(N − 0.5) >
EN M ax
ELocalM ax
dove EN M ax rappresenta la massima energia per N cristalli adiacenti con energia maggiore
di 2 MeV.
77
Tutti i cluster, allora, sono divisi in un numero di bumps pari al numero di massimi
locali. L’energia per ogni cristallo è associata a quella di ogni bumps attraverso
una regolazione simultanea, basandosi sulla forma dello sciame elettromagnetico, sulla
posizione dei centri e sul valore delle energie dei bumps.
Quindi tutte le tracce cariche risostruite nel volume di tracciamento, sono estrapolate
fino all’entrata dell’ EMC e per ogni coppia del tipo traccia-bumps, viene calcolata la
probabilità associata. Tutti i bumps con una bassa probabilità sono considerati dei fotoni
candidati.
Per testare la ricostruzione dei fotoni, si considera la ricostruzione di un campione di
controllo con π 0 → γγ e η → γγ. Si assume che la loro origine sia il punto di interazione
primario. Lo spettro della massa invariante per le coppie γγ è mostrato in Figura 3.11
per differenti intervalli di Eγ Eγγ (somma delle enrgie dei due fotoni). In queste figure
è possibili distinguere tra picchi provenienti da un π 0 e quelli provenienti da una η
(Figura 3.12). La risoluzione di massa per i π 0 è di 6.9 MeV in un evento multi adronico
mentre di 6.5 MeV per eventi τ τ .
La segmentazione del detector e la risoluzione spaziale, permettono la ricostruzione dei
pioni neutri con la separazione dei fotoni dell’ EMC fino a 5 cm, senza una significativa
perdita nella risoluzione della massa. La piccola frazione di π 0 nei quali non si possono
separare i due fotoni, circa il 10% nella regione di 4-6 GeV, sono distinti attrarverso un
singolo fotone con l’aiuto della forma del cluster.
78
Figura 3.11: Spettro di massa per le coppie γγ in eventi adronici nella regione del
π 0 e della η. Sopra: istogramma per valori di Eγ > 30 MeV e Eγγ > 300 MeV.
Sotto: istogramma per valori di Eγ > 100 MeV e Eγγ > 1GeV MeV.
79
Figura 3.12: Particolare della regione del segnale del π 0 (figura a sinistra) e della
η (figura a destra).
80
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