SOMMARIO
Eccezionale successo della Cgil-Scuola in regione e, in particolare della provincia di Imperia
di Franca Natta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3
Il distretto agro-alimentare e la dieta mediterranea, occasione per Imperia
di Giovanni Trebini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
9
La questione del capitalismo
di Enrico Revello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
13
Incontro tra le municipalità del Sud America e della Catalogna
di Roberto Natta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
18
Per una sinistra meno strutturata
di Vittorio Coletti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
21
Dar vita a un programma per Imperia, alternativo all’amministrazione di centro-destra
di m. t. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
23
Un altro mondo è possibile a partire dalla centralità dell’ambiente
di Gabriella Badano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
24
Contrastare l’idea di una città senza futuro
di Marco Beltrami . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
27
Appunti per un’alternativa
di Pasquale Indulgenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
29
Prospettive di sviluppo della nostra città
di Giovanni Trucco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
31
Una manifestazione ufficiale ufficiale dove è mancata la pluralità politica
di Carla Nattero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
33
Centralità del Comune, solidarietà, unità del popolo e della nazione
di Alessandro Natta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
35
Considerazioni sul passato, proponimenti per l’avvenire
di Mauro Torelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
39
1 novembre / dicembre 2003
PAGINE NUOVE DEL PONENTE
bimestrale di politica e cultura
ANNO V n. 6 - novembre / dicembre 2003
(uscita n. 15)
Direttore responsabile
LUCIANA ZANETTA
Autorizzazione Tribunale
di Imperia n. 3/99
In redazione:
PIERO DE NEGRI, FRANCA NATTA,
CARLA NATTERO
Sede
presso SOMS (g. c.) - via Santa Lucia, 14
18100 Imperia Oneglia
Tel. 0183 293643
Proprietà
ASSOCIAZIONE PER IL RINNOVAMENTO
DELLA SINISTRA - IMPERIA
Impaginazione e stampa
Centro Editoriale Imperiese
Imperia
Direttore politico - Presidente
GIUSEPPE MAURO TORELLI
Questo numero è stato chiuso
Copertina
ARMANDO SABATELLA
il giorno 14.02.2004
2 novembre / dicembre 2003
Elezioni R.S.U. dicembre 2003 - Risultato importante
Eccezionale successo della Cgil-Scuola
in regione e, in particolare,
nella provincia di Imperia
di Franca Natta *
Nella nostra provincia i segnali di condivisione del personale della scuola nei
confronti delle scelte della Cgil e dell’impegno organizzativo sul territorio erano già
evidenti nell’andamento del tesseramento, ma i risultati delle elezioni delle rappresentanze sindacali sono andati ben oltre, sia in termini di partecipazione al voto, sia negli
esiti.
La Cgil-Scuola, in regione, si conferma il primo sindacato, con quasi il 39% di
consensi, con una crescita eccezionale (nel 2000 la percentuale era stata del 30,91%).
I risultati sono stati ottimi in tutte le province, ma il dato eccezionale è quello di
Imperia, che ha ottenuto un incremento di oltre il 10%, in un territorio che non è stato
mai facile per il nostro sindacato.
Un caldo ringraziamento va a tutte le persone che hanno contribuito a raggiungere questo risultato: alle candidate e ai candidati; alle elettrici ed agli elettori, che
hanno riconosciuto l’impegno della Cgil in difesa della scuola pubblica e dei suoi lavoratori.
I risultati di questo livello sono sempre il frutto di un impegno corale, collettivo, che va dalle scelte nazionali a quelle locali, ma non c’è dubbio che i dati provinciali
siano anche un riconoscimento dei consensi che ottiene il lavoro del segretario provinciale, Stefano Fantini, che è schivo in questi momenti di festeggiamento, non ha voglia
di fare dichiarazioni, vuole che i dati parlino da soli, ma noi sappiamo che il valore
aggiunto dei risultati provinciali è dovuto al lavoro del gruppo dirigente locale e all’impegno personale del segretario.
Il momento dell’euforia è bello, necessario, importante, ma subito dopo viene il
momento della responsabilità: ora tutti dobbiamo impegnarci di più, chi ci da dato il
consenso si aspetta la nostra ferma presenza nella fase difficile e confusa che sta vivendo la scuola pubblica.
* Presidente regionale Proteo
3 novembre / dicembre 2003
4 novembre / dicembre 2003
Composizione dei delegati Rsu Cgil-Scuola
sono stati eletti complessivamente 36 delegati (20 nel 2000) con un incremento del 55,5% e di questi,
27 sono docenti dei vari ordini scolastici e 9 sono del profilo amministrativo (3 assistenti amministrativi e 6 collaboratori scolastici). Si rispecchia la percentuale tra aventi diritto al voto e rappresentanti dei
diversi profili presenti nella scuola.
In 7 scuole della Provincia la Cgil ottiene 2 rappresentanti Rsu su 3, dato nuovo in assoluto e presente
in realtà diverse (Val Nervia, media di Ventimiglia, media di Bordighera, media Sauro di Imperia, liceo
di Sanremo, ITIS e Ruffini di Imperia).
Dei 20 eletti nel 2000, 18 si sono ripresentati e sono stati tutti rieletti nel 2003, mentre gli altri 2 non
sono più in organico scolastico. In tutte le scuole dove eravamo presenti abbiamo portato a termine, in
prima persona, almeno una contrattazione, cosa non facile, data l'esperienza assolutamente nuova delle
Rsu nelle scuole.
5 novembre / dicembre 2003
Distretto
Votanti
Voti Sns-Cgil
Distretto Imperia
1134
430
16
38%
Distretto San Remo - Taggia
1040
221
9
21%
Distretto Ventimiglia
701
233
11
33%
Ordine di scuola
Votanti
Circoli didattici
985
212
21,5%
Istituti comprensivi
355
132
5
37%
Scuole medie I grado
545
225
10
41%
Scuole medie II grado
990
315
10
32%
di cui professionali
293
40
2
Voti Sns-Cgil
deleg.
%
%
13,6%
Su 37 istituzioni scolastiche autonome sono state presentate: liste Sns-Cgil in 33 scuole, mentre in
altre quattro non siamo stati presenti; in 3 circoli didattici (1 a Ventimiglia, 2 a Taggia e Arma e in un
istituto professionale (l’Alberghiero di Arma), dove il sindacato Scuola-Cgil non era presente neppure
in occasione delle elezioni del 2000 (erano state presentate liste in 25 scuole su 37).
Considerazioni di politica scolastica
Dove c'è stata più presenza continuativa, la Cgil-Scuola ha ottenuto ottimi risultati (Imperia; in genere
dove ci sono quadri storici nelle medie e nelle superiori; zona di Ventimiglia).
Nota positiva: nuova è la presenza nei circoli di Sanremo, dove la Cgil-Scuola non esisteva e, al semplice apparire, ha raccolto l'insoddisfazione del personale.
Nota negativa: la zona di Arma di Taggia e le scuole professionali, che risentono degli errori di impostazione politica già presenti nella riforma Berlinguer dove non c’era prospettiva di sviluppo qualitativo e ora in attesa di essere riconsegnate nel limbo delle regioni (sulla mentalità del personale di queste
scuole pesa anche la visione utilitaristica di molti liberi professionisti che lavorano in tali istituti).
Sul risultato degli altri sindacati scuola è da sottolineare che:
=> lo Snals è storicamente fortissimo nella nostra provincia soprattutto per il servizio di consulenza
agli iscritti e per numero di distacchi sindacali (4 distaccati oltre al segretario regionale). Mantiene la
maggioranza assoluta dei voti espressi, ma inizia a pagare la sua posizione ufficialmente non schierata
politicamente e perde la maggioranza in 7 scuole, soppiantato dalla Cgil. È utile ricordare che la percentuale occupati/iscritti su tutti i sindacati nella scuola si avvicina al 70%, media altissima;
=> la Uil è praticamente assente sul lato consulenza: ha approfittato della caduta libera della Cisl e di
una rete di conoscenze, specie nel personale ATA, che le ha permesso di presentarsi in molte scuole e
quindi di raccogliere piccoli risultati, ma nel complesso visibili;
=> la Cisl ha sofferto la mancanza di una chiara presa di posizione sulla riforma, poiché i quadri storici sono stati lasciati soli, con una contraddizione stridente tra livello scuola e livello confederale.
6 novembre / dicembre 2003
7 novembre / dicembre 2003
ASSOCIAZIONE PER IL RINNOVAMENTO DELLA SINISTRA DI IMPERIA
Assemblea nazionale eletta il 7-02-2004
Aldo Tortorella
Paola Agnello
Mario Agostinelli
Giorgio Airaudo
Fabio Alberti
Mario Alcaro
Andrea Amaro
Giancarlo Aresta
Gaetano Arfè
Franco Argada
Fulvia Bandoli
Francesco Barbagallo
Imma Barbarossa
Vittorio Bardi
Massimo Battaglia
Riccardo Bellofiore
Tom Benettollo
Marco Berlinguer
Pina Bevivino
Annamaria Bonifazi
Emo Bonifazi
Marisol Brandolini
Adriana Buffardi
Gloria Buffo
Franco Calistri
Aldo Carra
Sergio Caserta
Luciana Castellina
Gianluca Cerrina
Vincenzo Cilia
Ruggero Cinti
Giuseppe Chiarante
Giulietto Chiesa
Giuliano Colazzilli
Sirio Conte
Rocco Cordì
Giorgio Cremaschi
Elettra Deiana
Cecilia D’Elia
Luciano Della Vecchia
Luca De Fraia
Giuseppe Di Falco
Antonio Di Meo
Piero Di Siena
Mario Dogliani
Eugenio Donise
Antonio D’Orazio
Tommaso Esposito
Donatella Esposti
Luigi Ferrajoli
Nino Ferraiuolo
Franca Ferrulli
Roberto Finelli
Vladimiro Flamigni
Marco Fumagalli
Guido Galardi
Domenico Gallo
Francesco Garibaldo
Aldo Garzia
Massimo Gatti
Donatella Gavarini
Alfonso Gianni
Alfiero Grandi
Dino Greco
Domenico Iervolino
Massimo Ilardi
Giuseppe Lavorato
Alberto Leiss
Betty Leone
Andrea Ligorio
Guido Liguori
Carlo Lucchesi
Giorgio Lunghini
Lucio Magri
Salvatore Maricchiolo
Dario Marini
Giacomo Marramao
Gianni Mattioli
Ugo Mazza
Enrico Melchionda
Giorgio Mele
Sandro Mezzadra
Igor Mineo
Adalberto Minucci
Carlo Montaleone
Sandro Morelli
Corrado Morgia
Clelia Mori
Loredana Mozzilli
Milena Naldi
Paolo Nerozzi
Nerio Nesi
Carla Nespolo
Venanzio Nocchi
Alessio Olivieri
Franca Ormindelli
Costantino Pacioni
Valentino Parlato
Giampaolo Patta
Gianluigi Pegolo
Fulvio Perini
Paolo Peruzza
Nadia Peruzzi
Stefano Petrucciani
Luciano Pettinari
Giuseppe Pierino
Marialba Pileggi
Silvana Pisa
Roberto Pizzuti
Giuseppe Prestipino
Andrea Pubusa
Carla Ravaioli
Gianni Rinaldini
Tiziano Rinaldini
Anna Maria Riviello
Ersilia Salvato
Cesare Salvi
Gianpasquale Santomassimo
Mario Santostasi
Silvio Sarfati
Paola Scarnati
Antonello Sechi
Scipione Semeraro
Massimo Serafini
Tiziana Serra
Iacopo Simi
Tonino Siviero
Concetto Scivoletto
Giuseppe Stea
Ugo Spagnoli
Pierlorenzo Tasselli
Claudio Tonel
Mauro Torelli
Sofia Toselli
Sergio Tosini
Chiara Valentini
Stefano Vinti
Vincenzo Vita
Ersilia Vitiello
Aldo Zanardo
8 novembre / dicembre 2003
Convegno tenuto a Imperia il 14 novembre 2003
Il distretto agro-alimentare e
la dieta mediterranea, occasione per Imperia
di Giovanni Trebini *
Nel febbraio di quest’anno Cgil Cisl e Uil
d’Imperia sottoscrivevano un documento sulla
crisi dell’industria dell’estremo ponente ligure.
Quel documento, oltre ad essere attualissimo, invitava le istituzioni, cito tra virgolette, «a
rispondere alle sollecitazioni che vengono dal
mondo del lavoro, in particolare costruendo
insieme una nuova politica industriale in grado
di rilanciare le imprese dell’Imperiese» e individuava nella costituzione del distretto industriale
agro-alimentare, cito sempre da quel documento
«un’opportunità da cogliere, superando le perplessità esistenti, coinvolgendo direttamente i
Comuni interessati, la Provincia e la Regione in
un progetto d’ampio respiro, in grado di promuovere una politica del territorio che soddisfi il
rilancio dell’industria».
Potrebbe essere sufficiente il richiamo
ora citato per attenderci già da questo convegno
risposte concrete nel merito.
Imperia non è città industriale, non è provincia industriale, ma noi siamo convinti che quel
poco di realtà industriale che abbiamo e che ci è
rimasto, soprattutto a seguito della grande crisi
che ha colpito il settore negli anni novanta, vada
comunque conservato e difeso. Quella crisi forse
è alle spalle, ma per guardare con ottimismo al
futuro è necessario non perdere occasioni di sviluppo. Per creare occasioni di sviluppo è indispensabile avere idee e produrre progetti di sostegno quali, appunto, i distretti industriali. Una
parte rilevante del settore industriale italiano,
quella parte che ha lavorato sull’innovazione, sia
di processo che di prodotto, è sempre più in sofferenza, perché si rende conto che con le ricette
semplificate, basate esclusivamente sui costi, e in
particolare sui costi che sanciscono diritti, non si
va da nessuna parte, perché ci sarà sempre, in
qualche parte del mondo, chi offre di più a meno.
La costituzione del distretto agro-alimentare non può essere, quindi, il dono che abbassa il
livello di protezione e di diritti dei lavoratori,
anzi, se così fosse, questo dono non solo ci preoccuperebbe riceverlo, ma lo rifiuteremmo seduta
stante; noi siamo certamente per una piena occupazione, ma soprattutto per una buona occupazione. Non si può creare un sistema industriale più
avanzato se non si mette in campo una capacità
d’investimento in ricerca e innovazione che le
aziende da sole, ne siamo convinti, non sono in
grado di sostenere; ma neppure si può pensare
che si possa fare qualità, in questo caso qualità di
prodotti alimentari, seguendo la via bassa del
risparmio sulla mano d’opera.
I distretti industriali sono uno degli strumenti economici del futuro e sono parte di quel
possibile e auspicato rilancio anche dell’industria
imperiese, a condizione che si segua l'altra direzione, quella della qualità appunto, attraverso
investimenti in ricerca.
Com’è noto, i distretti industriali sono
sistemi produttivi locali, relativamente circoscritti
dal punto di vista territoriale, caratterizzati, però,
da un'elevata concentrazione d’aziende, specializzate in un particolare tipo di produzione. È l’occasione, quindi, non solo per tentare di rilanciare
l’industria imperiese, ma di renderla sistema.
Uno dei tratti distintivi dei distretti industriali italiani è il loro peculiare disegno organizzativo, caratterizzato da un’identità forte associata ad alcuni elementi tipici quali: la specializzazione in un settore manifatturiero, la divisione del
ciclo produttivo tra le imprese del territorio, l'alto
grado d’imprenditorialità, la compenetrazione tra
la vita sociale e quella economica.
Sulla compenetrazione tra la vita sociale
e quella economica il libro dal titolo Cibo come
9 novembre / dicembre 2003
Media, motivo di questo convegno, offre diversi
spunti. Prefigura da parte delle Istituzioni un’attenzione particolare nel relazionare i processi e,
da essi, la nuova filosofia che ne scaturisce agli
atti di governo della città.
I processi di deindustrializzazione, anche
ad Imperia, hanno lasciato ampi spazi fisici, ma
anche spazi vuoti. Gli strumenti di governo dell’economia possono colmare gli spazi e i vuoti,
ma, com’è noto, essi hanno anima se c’è la
volontà politica. Un’iniziativa di reindustrializzazione dirigistica, per lo più distante dalla vita
quotidiana del territorio rischierebbe di rimanere
avulsa o neutra. Solo con una forte iniziativa di
coinvolgimento sarà possibile raggiungere un
risultato che arricchisca e intensifichi l'innovazione culturale e sociale. Le Istituzioni, quindi,
hanno per noi l’obbligo politico di coinvolgere.
Si apra un confronto vero con noi, con
tutte le associazioni di rappresentanza sociale, per
definire la qualità e la quantità dei progetti, si facciano vivere tra le persone le decisioni che saranno prese. Una politica non facile ma indispensabile.
La complessità delle analisi potrebbe portarci, però, ad una mera elencazione di questioni,
anche utile al convegno, ma con il rischio, di
ampliare talmente lo spettro della nostra azione,
sconfinando nel campo della politica più propriamente a carico delle istituzioni, responsabili, esse
sì, della politica del territorio.
Perciò chiederò all’autore del lavoro
Cibo come Media, che stamani è presentato, di
contribuire con la sua esperienza ad indicarci i
punti di partenza e quelli di possibile approdo.
Nel passaggio dalla città delle industrie
alla città dei servizi, che non è la città senza le
industrie, anzi, con le industrie di qualità, il rapporto tra la vita sociale e quella economica si trasforma, modifica l’impianto ed è sollecitata una
nuova domanda, sia di lavoro, e quindi d’occupazione, che culturale.
Per noi una cosa è certa: l’ambiente che
ci circonda, la qualità degli alimenti di cui ci
nutriamo, il nostro tempo libero, il godimento
della ricchezza di cui disponiamo non possono
restare fuori dell’agenda politica; non lo sono,
come si capisce, fuori della nostra.
Noi chiediamo al governo locale di
rispondere con quale scelta economica, industriale, urbanistica voglia governare, per far vivere la
nuova città; quali sono i punti d’aggregazione e i
percorsi culturali; quali i luoghi d’intrattenimento
urbano; quali i luoghi della ricreazione e del
gioco; quali i luoghi del teatro e della musica; e
quali, perché no, gli itinerari e le filosofie gastronomiche. Le risposte non possono attendere oltre,
perché consideriamo questi fattori sempre più
decisivi per la qualità della vita dei cittadini.
L’accordo, siglato il 1° aprile 2003, tra
OO.SS ., Associazione Industriali d’Imperia,
Comune e Agnesi 1824, legittima la nostra richiesta di verifica, essendo ormai trascorso il tempo
delle attese, attese di atti che altri dovevano compiere, essendo concluso e definito il quadro d’incentivi previsti per il nuovo porto e per l'area ex
Olea e, inoltre, in fase di definizione, il progetto
dell’area ex Ferriere, che insieme rappresentano,
appunto, il ridisegno di una parte importante della
città. Mettere in relazione questi due progetti con
il resto del territorio, e con il distretto industriale
agro-alimentare, è compito delle Istituzioni e questo convegno ha il compito di un sollecito.
Noi pensiamo che il distretto possa svolgere un ruolo politico ed economico molto importante, per contribuire a rilanciare la filiera dell’olio e consolidare la produzione della pasta. Olio e
pasta, due alimenti base della cosiddetta Dieta
Mediterranea.
Sui testi, che sono a nostra disposizione,
si legge che «le civiltà mediterranee lo hanno
usato l’olio nei modi più disparati, come detergente, lubrificante, combustibile, come valuta di
scambio o come medicina». E ancora che «il resto
del mondo sta scoprendo l'olio d'oliva, il più versatile succo mai estratto da un frutto». Che «le
popolazioni dell'area mediterranea hanno il
minor tasso di patologie cardiache di tutto il
mondo occidentale». Che «l'olio d’oliva favorisce
la maturazione del sistema nervoso centrale e le
capacità di difesa dell'organismo dall'attacco
d’agenti ossidanti alla base di molti processi
fisiologici e patologici quali, ad esempio, l'invecchiamento, l'infiammazione, l'emolisi e perfino la
cancerogenesi».
Inoltre sembra che la popolazioni del
bacino mediterraneo, che abitualmente consuma10 novembre / dicembre 2003
no prevalentemente olio d’oliva, siano più protette dal rischio di trombosi rispetto a quelle che
invece consumano grassi saturi d’origine animale.
Per vivere bene, quindi, si deve mangiare bene.
Ormai tutti sanno che un’alimentazione sana e
corretta contribuisce in modo determinante al
nostro benessere quotidiano.
Importanti studi a livello mondiale hanno
dimostrato che la dieta mediterranea è il modello
ideale d'alimentazione. Completa ed equilibrata,
non solo fornisce ai nostri organismi tutti i principi nutritivi necessari per sentirsi in forma, ma
previene anche l'insorgere di numerose malattie.
Un elisir di lunga vita che permette di non rinunciare alla varietà e al sapore dei cibi. La pasta,
insieme all'olio d'oliva, dunque, è uno degli abbinamenti di cibo più rappresentativi della tradizione mediterranea.
Queste affermazioni sono in larga parte
conosciute e condivise in una provincia dedita
alla coltivazione dell'oliva e della sua trasformazione, e che ancora annovera, tra le industrie principali, produttori d'olio di qualità e uno dei maggiori produttori di pasta italiani.
Nonostante ciò, stenta ad affermarsi l'opinione che, legando insieme pasta e olio, si possa
andare alla conquista di nuovi mercati: perché?
Le esperienze italiane fin qui vissute e
concretizzate dai distretti industriali alimentari, ci
possono relativamente aiutare. Infatti, i distretti
che conosciamo sono in parte già inseriti in un
sistema economico forte, il resto si dedicano
all'attività prevalente del territorio.
Alcuni esempi: a San Benedetto del
Tronto il settore ittico, a San Daniele del Friuli il
prosciutto, a Nocera Inferiore Gragnano le conserve vegetali e, inoltre, a Parma il latte con i suoi
derivati e i salumi.
Il sistema produttivo imperiese, pur debole e dimensionato, insieme al distretto può invece
proporre una multiproduzione forte, perché ricca
di valori oggettivi come la salute, il clima, il paesaggio, il corretto uso del territorio e la sua cultura. Tutti elementi dalla cui integrazione scaturiscono le specificità, le tipicità da valorizzare
come beni rari e diversi. Il distretto per noi, quindi, dovrà prevedere una molteplicità d'intrecci,
coinvolgenti e vantaggiosi per tutti i soggetti, ad
iniziare dai produttori coltivatori.
Oggi, infatti, scontiamo almeno due contraddizioni: la prima è che il settore primario sarà
anche imputato, ma è altrettanto vero che è vittima degli impatti ambientali che le modalità di
fare industria del recente passato ci hanno lasciato in eredità; un modello da non ripercorrere.
La seconda è che la legge costitutiva dei
distretti industriali non prevede la partecipazione
di imprese agricole e che, quindi, è necessario
trovare altre forme di partecipazione di questi
fondamentali soggetti.
Riuscire nell'intento di aggregare, stante i
vincoli della legge regionale, peraltro perfettibile,
è opera che solo la politica può svolgere: i consiglieri regionali eletti dalla provincia di Imperia, il
governo della provincia di Imperia.
Lo sviluppo, la convenienza economica,
la buona occupazione che noi vogliamo debbono
essere il frutto di ampie convergenze, in un sistema che sia in grado di fare mercato. Non, quindi,
intraprese elitarie e magari isolate, non questa o
quell’altra azienda del territorio, ma un sistema di
aziende. Quelle che comporranno il distretto
industriale, quelle direttamente e indirettamente
coinvolte.
Ciò nonostante, si deve procedere celermente, perché, come s’intuisce, noi pensiamo,
rispetto alle procedure del distretto agro-alimentare, di avere già accumulato qualche ritardo.
Invitiamo, quindi, il comune d’Imperia, il
signor sindaco, a farsi promotore, nei confronti
nostri, dell’Unione industriali, della CNA e della
Confartigianato, di un’iniziativa che coinvolga i
soggetti ad una comune dichiarazione d’intenti.
Alcuni dati, comunque, rilevano che i
distretti sono uno dei grandi motori dell'economia
italiana, e occupano già oggi oltre 2.200.000
lavoratori (circa il 40 per cento dell'occupazione
manifatturiera).
L’elemento di forza dei distretti industriali sta soprattutto negli scambi internazionali:
infatti risulta che circa un terzo delle esportazioni
italiane, in particolare la grande gamma dei prodotti conosciuti nel mondo come made in Italy,
sia generato da aziende che operano nei distretti
industriali.
Guardare con attenzione al mondo che
compete, avendo particolare riguardo, sia agli
aspetti materiali, sia agli aspetti culturali.
11 novembre / dicembre 2003
In un contesto economico globale caratterizzato da una maggiore competizione tra stati ed
economie e da una nuova divisione internazionale
del lavoro, dobbiamo mettere al centro della
nostra proposta politica il sapere, la conoscenza,
le nuove tecnologie e i nuovi linguaggi.
La formazione, quindi, dovrà avere quella funzione di continuità e di qualità che ancora
oggi non ha.
La formazione professionale e continua
dovrà essere messa a disposizione delle necessità;
il distretto e le industrie che vi aderiranno dovranno esigere che il fabbisogno sia soddisfatto.
Il distretto industriale dovrà, a nostro
modo di vedere, altresì favorire i processi d’investimento sulla qualità e sicurezza alimentare.
Siamo convinti che la sicurezza alimentare debba essere un diritto universale, socialmente
indispensabile, che, insieme alla qualità e alla
tipicità delle produzioni, possa rappresentare quel
valore aggiunto che fa la differenza.
L’immagine ed il contenuto del cibo italiano nel mondo sono una grande opportunità di
sviluppo. Aumentiamone insieme il peso.
Ci sono, purtroppo, colpevoli ritardi sul
piano della messa a regime di sistemi di sicurezza
alimentare e sul piano della completa attuazione
di protocolli, finalizzati alla stessa sicurezza ed
alla qualità dei prodotti.
Il distretto industriale deve puntare sulla
sicurezza dei prodotti della filiera, per ottenere un
forte elemento di competizione.
Infine l’Università: l’università, ci pare,
debba essere il soggetto indispensabile per vincere.
La politica, le istituzioni, lavorino da
subito affinché la facoltà della scienza dell’alimentazione approdi anche ad Imperia.
Le imprese del distretto, il parco tecnologico potrebbero, creando la domanda, sistemizzare anche la ricerca.
Indurre gli istituti di ricerca a territorializzare la loro missione, ma questo obiettivo
diventa raggiungibile solo attraverso una condizione, e cioè coinvolgendo anche in questi progetti il polo universitario imperiese.
Mi auguro che questa introduzione possa
aver dato qualche spunto utile.
* Segretario provinciale Flai - Cgil
12 novembre / dicembre 2003
Il 25 gennaio ad Imperia si è tenuto il congresso provinciale del partito dei Comunisti italiani
del quale riproduciamo un’ampia sintesi della relazione introduttiva
La questione del capitalismo
di Enrico Revello *
Nel lontano 1935 Harold J. Laski nel saggio Democrazia in crisi scriveva: «È significativo
che in tutta la storia della democrazia parlamentare non ci sia stato in alcun paese un grande statista che fosse un uomo d’affari. Spesso hanno
ricoperto ruoli elevati, ma non esercitarono mai
sui loro contemporanei l’influsso di uomini della
statura di Washington, Lincoln o Bismark. La
ragione è che l’opinione pubblica non ha mai
potuto ammettere la pretesa del capitalista di
essere il fiduciario dell’interesse pubblico. Essa
l’ha sempre considerato per quello che è: uno
specialista nel fare denaro, e non ha mai creduto
che abbia senso di responsabilità fuori dell’ambito ristretto della sua classe. Egli non ha mai considerato la legge come un complesso di principi
che stanno al di sopra del suo gretto interesse, e
ha sempre cercato, con mezzi leciti o illeciti, di
farla interpretare ai propri fini. Quando egli ha
comprato giudici, governatori di stato, e magari i
presidenti stessi, l’ha fatto convinto che renderli
pieghevoli strumenti ai suoi fini era per il popolo
americano il meglio. Egli si difese nell’unico
modo che credeva adatto, perché credeva effettivamente nel suo diritto divino di comandare».
Ora, tutti noi sappiamo che, spesso, gli
uomini politici che raggiungono il vertice del
potere hanno pochi scrupoli e molto cinismo. Le
moderne democrazie parlamentari mirano appunto ad impedire che quella mancanza di scrupoli e
quel cinismo procurino gravi danni alla collettività. La democrazia, in tutte le sue componenti,
tra cui la giustizia e la libertà di informazione e di
espressione, rappresenta un sistema di anticorpi.
Se in una società i politici lestofanti
hanno il via libera e dilagano le prepotenze e la
corruzione, la società si trasforma in una palude,
dove la dignità delle persone va alla malora e
dove non è piacevole vivere, anche se per molti ci
vorrà del tempo per rendersene conto.
Oggi nella società italiana gli anticorpi
non funzionano. Si spiega così l’ascesa al potere
di un gruppo politico in cui pullulano coloro che
hanno avuto o hanno conti da regolare con la giustizia ed il cui capo ha un curriculum giudiziario
sterminato, che contiene tra l’altro l’accusa gravissima di corruzione di giudici, come ha ben evidenziato l’Economist in una tabella pubblicata il
27 aprile 2001, ed aggiornata il 19 gennaio 2002
ed il 20 luglio 2002. Questa è la classe politica e
di governo che ci ritroviamo ad oltre 14 anni
dalla fine del deterrente rappresentato dai paesi
del socialismo reale, dove l’oligarchia del capitale, gettata la maschera, ha operato con decisione
nella distruzione della ricchezza, delle conquiste
politiche e delle stato sociale in tutti i paesi della
cosiddetta democrazia dell’Europa occidentale.
Vale la pena, dunque, di soffermarci sulle
caratteristiche della crisi attuale, sulle tensioni
sociali che emergono da questo sconquasso, ma
soprattutto sulla questione del capitalismo, perché
di questo si tratta.
Tutti noi sappiamo che il capitalismo è un
sistema estremamente flessibile e per questo è
sempre riuscito a superare le tante crisi di crescita
e di declino che l’hanno più volte impattato.
Ne è uscito diverso in una società diversa
che aveva contribuito a modificarlo e ne era stata
a sua volta modificata.
Oggi siamo all’ennesimo di questi tornanti: si ripropone ancora la questione del capitalismo, del suo rapporto con le istituzioni politiche, con la democrazia, con la produzione di
valore. Oggi la produzione di valore avviene
attraverso la finanziarizzazione del sistema e il
governo delle aspettative. Aspettative ottimistiche
sostengono lunghi cicli rialzistici nelle Borse, nei
consumi di beni durevoli, nelle costruzioni e nei
mutui immobiliari. La struttura reale dell’economia è stata stravolta. Da almeno una decina d’an13 novembre / dicembre 2003
ni ci raccontano che la missione primaria di
un’impresa consiste nel creare valore per gli
azionisti. Ma nello stesso periodo non è mai stato
altrettanto elevato il numero dei risparmiatori,
che sono stati duramente colpiti dal crollo dei
titoli che avevano acquistato. Questo perché si è
operata col tempo una distorsione del significato
stesso dell’espressione creare valore per gli azionisti. Una ventina di anni fa essa significava
distribuire buoni dividendi, meglio se superiori al
tasso di interesse corrente rispetto al capitale
investito in azioni; dividendi derivati dall’avere
conseguito elevati profitti producendo e vendendo beni o servizi. In seguito l’identica espressione
è venuta a significare fare salire il valore delle
azioni in borsa. La concezione dell’impresa come
entità che prima della creazione di occupazione,
di buoni prodotti, di solidi profitti, considera suo
scopo primario il perseguire con ogni altro mezzo
possibile l’aumento del valore delle azioni in
borsa, si è trasformata in una trappola per i risparmiatori. Questa concezione è stata alimentata da
uno stuolo innumerevole di studiosi e di commentatori economici, di centri di ricerca e di istituzioni internazionali. I quali, non hanno fatto
altro che dare espressione teorica al fatto concreto
che per il mondo si aggira una massa enorme di
capitali in cerca frenetica di una ulteriore valorizzazione di se stessa.
Nel frattempo la struttura reale dell’economia è stata modificata da due fenomeni in qualche modo connessi tra loro: la nascita delle reti
informatiche e la fine della fabbrica come pilastro
centrale della produzione di ricchezza.
Le modalità contrattuali nei rapporti di
lavoro si sono frantumate in una polverizzazione
d’accordi, avanza il lavoro precario, la produzione di valore del nuovo capitalismo passa attraverso il recupero della massima flessibilità del lavoro, lo snellimento e la privatizzazione dei servizi
sociali, l’abbattimento della pressione fiscale per
i redditi medio-alti come elementi di favore elettorale e di sostegno della domanda.
Istituzionalmente questa nuova fase del
capitalismo richiederebbe la trasformazione del
sindacato. Durante il periodo tra le due guerre ma
soprattutto nel trentennio ‘50 - ‘80 fu il sindacato,
a trasformare il capitalismo; adesso sta avvenendo esattamente il contrario: il sistema delle
imprese ha bisogno di mano libera nella gestione
della forza-lavoro. Con un sindacato antagonista
è molto difficile, perciò l’obiettivo diventa quello
d¥un sindacato neo-corporativo, gestore di funzioni para-pubbliche e di tutele compatibili.
Si spiega così l’attacco sferrato al sindacato e la vicenda dell'articolo 18 che per la sua
valenza provocatoria e la sua inutilità economica,
lo rende intollerabile per i lavoratori.
Si capisce, quindi, quale è il riposto contenuto simbolico della riforma dell'articolo 18:
introdurre e legittimare nelle aziende l'arma della
vendetta sociale, l'instaurazione di un deterrente
da impiegare, non tanto per licenziare quanto per
impaurire e sottomettere i dipendenti. Il sigillo
della vittoria della destra nel mondo imprenditoriale che vuol comandare senza mediazioni politiche. Il modello opposto alla trasformazione del
sindacato sarebbe quello delle tutele sociali definite sulla base dei bisogni reali dei cittadini, ma
ciò metterebbe in crisi il modello neocorporativo.
Le imprese sarebbero spinte a recuperare competitività puntando sulla ricerca e sull’innovazione,
quindi sugli investimenti, anziché sullo sfruttamento della forza-lavoro.
Questi due modelli si fronteggiano nel
corso di un ciclo economico di ristagno della
domanda e d’estrema incertezza delle aspettative,
che non accenna a invertire il suo trend, nonostante i ripetuti annunci dei G7, dei G8 e di altri
luoghi istituzionali. A questo proposito, il 5
novembre 2003 il segretario al Tesoro degli Stati
Uniti, in un discorso travolgente all'Economic
Club di Washington, ha affermato: «Abbiamo
assistito ad una vera inversione di rotta: la ripresa prende chiaramente forma quest'anno. Sembra
chiaro che siamo entrati in una nuova fase di
espansione economica. Non è un fuoco di paglia,
c'è sostanza molto concreta dietro la tendenza
alla crescita». John Snow si riferiva al famoso
dato del 7,2% di crescita del Pil nel terzo trimestre 2003, comunicato il 30 ottobre 2003 dal
Dipartimento del Commercio. Nella realtà le cose
stanno in maniera differente. Come la bolla della
New Economy, che miracolò la fine degli anni
novanta, l'euforia del momento poggia su due
pilastri: la truffa e il debito.
Secondo il dipartimento del Commercio
degli Stati Uniti, il Pil sarebbe passato dai 9629
14 novembre / dicembre 2003
miliardi di dollari del secondo trimestre 2003 ai
9797 del terzo trimestre 2003. La differenza è 168
miliardi, e cioè l'1,8%. La cifra, però, viene moltiplicata per quattro e diventa 7,2% grazie alla
parola magica: annualizzazione. Questo però è
solo uno dei trucchi. Il fattore che incide maggiormente nella crescita del Pil del terzo trimestre
è la spesa in computer: da 354,9 a 390,3 miliardi,
usando come unità di conto i dollari del 1996.
Ma il dipartimento del Commercio
ammette, nello stesso rapporto, che le vere vendite di computer sono aumentate soltanto di 5,9
miliardi. Com'è possibile una cosa del genere? Lo
è ricorrendo ai metodi tutti particolari con cui si
elaborano i dati originali delle vendite affinché
tengano conto di un aumento della qualità del
prodotto. È chiamato apprezzamento qualitativo.
In parole povere: il dipartimento del Commercio
sostiene che un computer, che oggi sul mercato
costa 1000 dollari, nel 1996 sarebbe costato la
bellezza di 4420 dollari. Pertanto, secondo questa
logica, se un'impresa acquista oggi un computer
da 1000 dollari, il Pil ne beneficia per 4420.
Oltre ai computer, metodi del genere vengono applicati anche a molte altre categorie. Il
resto dell'aumento del Pil è dovuto ad un aumento
notevole del debito.
Ma, a proposito dei trucchi americani,
vediamo come funzionano le statistiche sull’occupazione (vedi BLS U.S. Department of Labor,
Bureau of Labor Statistic Handbook of Methods,
aprile 1997). Le statistiche del lavoro non sono
statistiche, perlomeno come le consideriamo noi,
sono sondaggi. Il gioco funziona così: vengono
selezionati 50.000 capifamiglia. A questi viene
chiesto, nella settimana centrale di ogni mese, se
hanno avuto un qualunque lavoro nelle settimane
di riferimento. Qualunque lavoro per qualunque
orario (minimo un’ora). Se sì, sono occupati. Se
no, viene chiesto se hanno cercato di fare qualcosa nelle ultime quattro settimane. Se ci hanno
provato, sono disoccupati. Se non ci hanno provato, non esistono. (Alla faccia delle nostre liste di
disoccupazione). Fatto il sondaggio i dati vengono riportati a quello che è definito il numero
generale degli occupati e dei disoccupati, con
metodi lunghi da raccontare, e il tutto viene
aggiustato con un valore che tiene conto delle
nuove aziende che nascono ogni giorno (ma non
quelle che chiudono). Così il gioco è fatto. Ogni
mese vengono cancellati disoccupati a sufficienza
dai sondaggi, per permettere ai cultori della
magia del mercato di decantare la forza dell’economia americana, anche nei periodi di crisi .
Risorgono, intanto, spinte protezionistiche (l’ultima fobia di Tremonti sono i cinesi), che
influiranno sui modi di produzione di valore e
soprattutto sulla sua distribuzione all’interno
delle società opulente e nel resto del mondo. Ci
avevano detto che la guerra contro il terrorismo
avrebbe influenzato la distribuzione delle risorse
in favore dei ceti deboli e dei paesi poveri.
Sta accadendo, invece, l’esatto contrario,
mentre diminuisce il grado di democraticità del
sistema e aumenta il potere degli apparati.
Gli attentati dinamitardi contro il consolato britannico e alla banca HSBC avvenuti ad
Istanbul il 20 novembre sono stati utilizzati dal
presidente statunitense Bush e dal premier britannico Blair per rilanciare la loro guerra al terrorismo, che viene continuamente utilizzata per
insabbiare questioni troppo spinose, come l'aggravamento della situazione economica.
Il Times di Londra del 22 novembre 2003
ha pubblicato un commento di Matthew Parris
che dice: «Le esplosioni di Istanbul sono buone
nuove per George Bush e Tony Blair. È di pessimo gusto, ma è la verità sostenere che le atrocità
terroristiche giovano alla carriera politica del
nostro premier e del presidente USA… È di cattivo gusto ma è la verità dire che gli interessi britannici e i caduti inglesi pagano il prezzo necessario per tenere in carica un primo ministro che
si è unito agli americani in un colossale pasticcio
militare e diplomatico».
La guerra al terrorismo affianca la guerra
combattuta ormai da molti anni dalle forze armate
più agguerrite del capitale: il WTO (organizzazione mondiale del commercio), la Banca Mondiale,
il Fondo monetario internazionale.
Il WTO elenca più di 60.000 società transnazionali che gestiscono più di 1.500.000 di succursali sparse in tutti i paesi del mondo, eccetto
qualche angolo diseredato del pianeta. Ma, a contare veramente, è solo un gruppo di poco più di
300 imprese nordamericane, europee e giapponesi, in quanto il WTO dispone di deboli strutture
amministrative: nel suo segretariato a Ginevra
15 novembre / dicembre 2003
lavorano solo 350 persone. Nel 2002, un terzo
degli scambi commerciali ha avuto luogo all’interno di una stessa società transcontinentale, un
altro terzo si è svolto tra differenti società transnazionali. Solo l’ultimo terzo ha riguardato il
commercio nel senso classico del termine: scambi
tra stati e imprese a capitale nazionale.
Pertanto le strategie messe in opera dal
WTO, che è dotato di ampi poteri di coercizione e
di sanzione, sono l’esatta traduzione della visione
del mondo dei signori del capitale globalizzato,
come ben sintetizzato da Percy Barnevik, presidente di ABB al 15° posto nella graduatoria delle
società transcontinentali più potenti, che si occupa di metallurgia e di elettronica: «Definirei la
globalizzazione come la libertà, per il mio gruppo, di investire dove vuole, per il tempo che
vuole, per produrre ciò che vuole, approvvigionandosi e vendendo dove vuole, e dovendo sottostare al minimo di restrizioni possibile in materia
del diritto del lavoro e di accordi sociali».
Se il WTO si occupa dei flussi commerciali, la Banca Mondiale e il FMI si occupano dei
flussi finanziari. La Banca Mondiale impiega più
di 10.000 funzionari per esercitare la sua funzione: assicurare la creazione di infrastrutture tramite crediti di investimento. Il potere esercitato sull’intero pianeta è immenso, è la sola banca a fare
credito agli stati poveri, è l’ultima istanza per chi
ha bisogno di un prestito, ed è dunque in grado di
imporre ai debitori le proprie condizioni, condizioni spesso non solo finanziarie.
Dal 1968 al 1981 è stata diretta da Robert
McNamara, e si dice che abbia fatto più morti
mentre era a capo della Banca Mondiale che
come responsabile dei massacri del Vietnam in
veste di ministro della Difesa dei presidenti
Kennedy e Johnson (già ex amministratore delegato della Ford). Ecco il ritratto che ne fa Jerry
Mander nel suo libro Il processo della mondializzazione: «Riponendo la massima fiducia nelle
cifre, McNamara ha spinto i paesi del Terzo
Mondo ad accettare le condizioni di prestito della
Banca Mondiale e a trasformare le loro economie
tradizionali puntando al massimo sulla specializzazione economica e sul commercio mondiale.
Chi si rifiutava veniva abbandonato alla sua sorte.
Non erano più villaggi che McNamara
distruggeva, ma intere economie.
Il Terzo Mondo è oggi pieno di grandi
dighe interrate, strade in rovina che non portano
da nessuna parte, palazzi per uffici completamente deserti, foreste e campagne completamente
devastate, e debiti mostruosi che non potranno
mai essere rimborsati. Questi sono i frutti avvelenati della politica condotta dalla Banca Mondiale,
dall’epoca di McNamara ai giorni nostri».
Quella del Fondo monetario internazionale (FMI) è un’organizzazione di tipo particolare. I
183 stati membri votano ognuno secondo il proprio potere finanziario: un dollaro un voto.
Questo fa sì che gli Stati Uniti detengano da soli
il 17% dei voti che unito al ruolo del dollaro
come moneta di riserva internazionale, danno
come risultato un peso determinante all’interno
dell’organizzazione.
I funzionari del FMI dovrebbero essere i
pompieri del sistema finanziario internazionale,
ma all’occasione non esitano trasformarsi in piromani. In periodi di crisi acuta, vigilano affinché
nessuno speculatore internazionale perda il suo
investimento iniziale.
Un commentatore britannico riassume
così la situazione sull’Economist del 29 settembre
2001: «Quando alcuni scettici accusano i governi
dei paesi ricchi di voler soprattutto evitare perdite alle banche occidentali nei periodi di crisi,
hanno ragione». Le privatizzazioni sono al centro
del dogma dei funzionari del FMI.
Ogni volta che un ministro di un paese
fortemente indebitato va a Washington per mendicare un prolungamento del credito, gli avvoltoi
del FMI gli strappano un nuovo brandello dell’industria o del settore pubblico del suo paese.
Il metodo è sempre lo stesso. Il FMI
esige, ed ottiene, la vendita alle società transnazionali, di solito statunitensi o europee, di industrie o imprese di servizi che appartengono ad un
settore redditizio. I settori non redditizi restano
beninteso nelle mani del governo locale.
Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia del 2001, dimessosi da vicepresidente e
capo economista della Banca Mondiale a metà
del 2000, accusa il FMI di avere soprattutto
aggravato, con il suo intervento, la crisi finanziaria in cui sono sprofondate, negli ultimi anni
molte economie, e di essere direttamente responsabile della chiusura di fabbriche e imprese com16 novembre / dicembre 2003
merciali, e dunque dello stato di miseria in cui
versano milioni di lavoratori e le loro famiglie.
I funzionari del FMI si dichiarano apolitici, ma si tratta di una grossolana menzogna. Nella
pratica, il FMI è al servizio continuo e diretto
della politica estera degli Stati Uniti. Questo è
diventato particolarmente evidente nell’autunno
del 2001, quando Washington ha dichiarato guerra al terrorismo.
Sempre sull’Economist del 29 settembre
2001, un commentatore britannico ha scritto: «Il
Fondo monetario internazionale e la Banca
Mondiale fanno parte dell’arsenale antiterroristico americano […]. Gli Stati Uniti non hanno
perso tempo nel ricompensare i loro alleati nella
guerra contro il terrorismo».
Ad esempio, su ordine del dipartimento
del Tesoro americano, il FMI ha sbloccato, a fine
settembre 2001, 135 milioni di dollari a favore
del Pakistan, che ha ottenuto inoltre la fine dell’embargo decretato in occasione dei test nucleari
del 1998. Nonostante il presidente del Pakistan
Pervez Musharraf sia uno dei dittatori più detestabili e corrotti di tutto il Terzo Mondo, il denaro
della Banca Mondiale e del FMI, per lui e per
quelli come lui, non manca mai.
La loro sottomissione alla politica americana spiega la loro fortuna.
Che cosa fare allora? Mentre il pensiero
conservatore, coerente col suo modo di intendere
la politica, ha costruito ideologie di comodo a
difesa di interessi precisi, alcuni teorici progressisti, attratti dalle argomentazioni del pensiero conservatore, tendono a costringere l’impostazione
politica nell’ambito di tali ideologie.
Ma l’ideologia dominante non può essere
sconfitta attenuando, nascondendo, camuffando i
propri ideali ed attestando i propri traguardi su
posizioni sempre più arretrate, fino ad annullare
ogni differenza.
Quindi la mia generazione ha un duplice
compito: battersi strenuamente, in una fase di
difesa come questa che stiamo vivendo, per la
tenuta della democrazia e delle conquiste dei
lavoratori, ma al contempo di consentire a chi ha
oggi vent’anni di potersi direttamente cimentare,
nella costruzione di un partito comunista forte e
radicato nella società, con senso storico e duttilità
politica, di intraprendere, quindi, una battaglia
politico-culturale, che si fonda sul presupposto
che si possono studiare, sperimentare e costruire
soluzioni alternative a quella capitalistica.
In questo senso, abbiamo il dovere di
consegnare ai più giovani, con sobrietà, umiltà,
ma anche molto orgoglio, un bagaglio di idee e di
valori, che non va disperso.
E in questo difficile compito credo che ci
potranno essere di aiuto:
Antonio Gramsci, quando dice che: …
produrre cultura non significa solo fare delle scoperte originali, significa anche, e specialmente,
diffondere criticamente delle verità già scoperte,
socializzarle per così dire, e pertanto farle diventare basi di azioni vitali, elemento di coordinamento e di ordine intellettuale e morale.
Palmiro Togliatti, che ci ricorda che: …
nella politica è contenuta tutta la filosofia reale di
ognuno, nella politica sta la sostanza della storia
e, per il singolo, che è giunto alla coscienza critica della realtà, e del compito che gli spetta nella
lotta per trasformarla, sta anche la sostanza della
sua vita morale… non vi può esser dubbio che la
politica, in questo modo intesa… acquista carattere di scienza. Non è più momento passionale, e
non è più meschina mostra di abilità; è risultato di
approfondita ricerca delle condizioni in cui si
muovono le società umane, i gruppi che le compongono e i singoli. Giunge a comprendere, e
quindi a giustificare storicamente, tanto l'avanzata
quanto la ritirata o l'arresto, tanto la vittoria quanto la sconfitta… La realtà, il presente, diventa una
cosa dura, su cui occorre attirare violentemente
l'attenzione, se si vuole trasformarla.
L'intelligenza è pessimista. L'ottimismo
nasce dalla volontà.
* Segretario provinciale PdCI
17 novembre / dicembre 2003
Dal nostro inviato
Incontro tra le municipalità
del Sud America e della Catalogna
di Roberto Natta *
Nella prossima primavera si svolgeranno
le elezioni amministrative per il comune di
Imperia. Dopo 4 anni di governo delle destre un
dato emerge come caratterizzante del loro agire
politico-amministrativo: sia la popolazione, quindi il corpo elettorale, che il consiglio comunale,
scaturito dalle elezioni sono stati ridotti al ruolo
di spettatori da una giunta refrattaria a qualsiasi
suggerimento provenga al di fuori delle lobbies di
riferimento. Un’alternativa a questo modo di
amministrare non può prescindere, a nostro avviso, da un effettivo coinvolgimento nelle scelte di
indirizzo politico-amministrativo da parte dei cittadini e dei loro legittimi rappresentanti nelle istituzioni, dai consigli di circoscrizione al consiglio
comunale. È in questa ottica che abbiamo colto
l’occasione per scrutare cosa succede nelle città
dell’America Latina e della Catalogna, partecipando ad un convegno internazionale sul tema
della democrazia e del bilancio partecipativo
svoltosi a Barcellona nel mese di ottobre.
Barcellona, che accoglie decine di
migliaia di immigrati dall’America Latina, si è
rivelata il teatro ideale per dare l’opportunità ai
numerosi ospiti di quel continente di confrontarsi
con amministratori e funzionari delle municipalità della Catalogna, regione ponte tra la penisola
iberica e la Francia, e poter incontrare, nelle
pause dei lavori del convegno, le comunità del
proprio paese che nella capitale catalana hanno
costituito radicate reti solidali di relazione.
L’organizzazione dell’appuntamento
spetta al Fons catalano di cooperazione e sviluppo che tra Barcellona e la vicina città di Badalona
ha promosso questo convegno internazionale
sulle esperienze di governo dei municipi dei paesi
del Sud America e della Catalogna.
Gli obiettivi dell’incontro erano principalmente:
• fornire visibilità e valorizzare le iniziative di
formazione e gestione partecipativa dei municipi
del Sud America;
• potenziare l’interscambio di esperienze di
gestione e partecipazione tra i municipi della
Catalogna e del Sud America;
• dare impulso a spazi di articolazione regionale
per lo sviluppo di strategie comuni nella costruzione dei poteri locali;
• rafforzare la relazione tra la Fons catalana e le
controparti municipali della regione.
A raccontare le loro esperienze sono
venuti il sindaco di Santo André (Brasile), di
Cotacachi (Ecuador), di Tarso (Colombia), di
Tirua (Cile), di Saylla (Perù), nonché esponenti
politici dei movimenti e dei partiti della sinistra
sudamericana. Accolti da Maite Arqué, sindachessa di Badalona, le delegazioni hanno presentato in prima battuta le diverse modalità di intervento volte ad accrescere la partecipazione dei
cittadini nel processo decisionale per lo sviluppo
locale. I meccanismi e gli spazi di partecipazione
sono evidentemente diversi da paese a paese, ma
quello che ha colpito la platea, formata soprattutto da sindaci e amministratori locali della
Catalogna, è stato il grado di partecipazione e
coinvolgimento ottenuto dagli amministratori
sudamericani di larghi strati di popolazione, dalle
associazioni di categoria alle forze sindacali,
dagli strati più poveri e scarsamente scolarizzati
alle personalità di intellettuali, dai comitati di
base delle parrocchie ai circoli ambientali, la
risposta alle sollecitazioni è intervenuta ampia e
competente. Una dimostrazione di vitalità della
società sudamericana, nonostante molti paesi
abbiano per decenni subito il giogo di pesanti dit18 novembre / dicembre 2003
tature militari che non lasciavano alcuno spazio
alla dialettica politica.
lettività che sono patrimonio storico comune di
tanta parte delle popolazioni dell’america del sud.
Sono stati elaborati piani strategici per
l’intervento diretto delle municipalità nella
gestione dei servizi essenziali come la sanità e
l’educazione, settori spesso trasformati dalle
amministrazioni centrali in inefficienti voragini
per la spesa pubblica a tutto vantaggio di iniziative di tipo privatistico ad esclusivo beneficio,
ovviamente, degli strati abbienti della popolazione. Il livello locale del piano di intervento facilita
il coinvolgimento dei cittadini, anche di quelli
digiuni di qualsiasi formazione politica o ideologica, e spinge ad un interessamento e ad un impegno nella ricerca della soluzione ai problemi contingenti, numerosi ed impellenti, nelle realtà in
esame, sia attraverso la ricerca di fondi internazionali di cooperazione sia innestando circuiti virtuosi nel risparmio su voci che nei capitoli dei
bilanci locali sono spesso artatamente gonfiati a
mero scopo clientelare.
Nel round di interventi dei movimenti
sociali, sia di ispirazione indigenista che più connotati in senso politico tradizionale, si è posto
l’accento sullo stimolo costituito dai movimenti
nei confronti del potere locale.
Un lavoro che ha riguardato le associazioni di categoria, così come quelle dei contadini
colombiani, stretti da anni in una morsa di sangue
tra terrorismo di estrema sinistra ed esercito, quest’ultimo appoggiato da consiglieri e aviazione
USA , nonché dalle famigerate squadracce di
assassini foraggiate dai latifondisti, che rivendicano terre coltivabili e il diritto a non essere irrorati
di diserbanti dagli aerei militari che sfrecciano
sulle loro teste a seguito del noto Plan Colombia.
Un lavoro che ha riguardato anche interventi di genere, come quello delle associazioni
femminili che, chiedendo un efficace intervento
pubblico nella sanità, hanno aperto la strada alla
predisposizione di piani di salute municipali che,
partendo dalla necessità di una fruttuosa integrazione tra la medicina occidentale e quella tradizionale, hanno approntato un percorso di emancipazione e autonomia dai poteri centrali, inefficienti e corrotti. Il riscontro quotidiano di questo
livello base di servizi ambulatoriali accresce la
trasparenza nella gestione dei fondi e consente
un’attenzione specifica alle diverse necessità territoriali.
Il dibattito ha naturalmente riproposto
l’eterno tema dell’etica politica, che nei paesi latino-americani, ma non solo, Tangentopoli docet,
assume all’opposto un carattere di vera e propria
rapina delle nomenclature al potere nei confronti
delle risorse del paese.
Nei decenni successivi al crollo delle dittature militari sono numerosi i presidenti della
Repubblica che al termine o durante il loro mandato hanno dovuto fuggire ignominiosamente la
giustizia rifugiandosi in ospitali paesi caraibici,
negli USA o in Giappone.
La ricostruzione di un clima di fiducia
nelle istituzioni passa pertanto attraverso processi
che sappiano coniugare LIBERTÀ, che coincide
con la dignità e il diritto della persona, lungamente disatteso in gran parte del continente; EGUAGLIANZA, che consiste essenzialmente nell’eguale dignità e diritto di ogni essere umano in quanto
tale, ma che attiene anche ad una differente e più
equa partecipazione alla divisione delle risorse
materiali, spirituali e culturali e dei beni sociali;
SOLIDARIETÀ, che afferisce alla cooperazione
che non solo accresce la ricchezza in termini
materiali, ma risponde a quella esigenza di ritorno
a pratiche di impegno operoso da parte della col-
Il primo intervento della seconda giornata
è stato quello di Yves Capanne, direttore del
Programma di Gestione Urbana delle Nazioni
Unite. L’ONU rivolge da alcuni anni uno sguardo
attento all’evoluzione in senso democratico e partecipativo che nei diversi paesi dell’America del
Sud i municipi governati da amministrazioni indigene e da forze politiche di sinistra stanno introducendo e consolidando.
I finanziamenti delle Nazioni Unite su
specifici interventi debitamente pianificati costituiscono il valore aggiunto che l’impegno delle
amministrazioni comunali possono tranquillamente rivendicare per la bontà e l’efficacia di
quella che possiamo definire una vera rivoluzione
nel metodo di gestione del potere locale.
19 novembre / dicembre 2003
della cosa pubblica comporta anche nella quotidiana attività lavorativa. Impegno che può essere
individuato come attività di supporto e consulenza alla redazione di progetti complessivi e interdisciplinari di sviluppo economico sostenibile o di
piani settoriali volti a ottenere risorse da parte
delle amministrazioni centrali o degli organismi
internazionali di credito e sostegno allo sviluppo
che sono una voce trainante del bilancio delle
A seguire, i relatori hanno sviscerato il municipalità del Sud America.
tema della formazione nella gestione municipale.
Al termine delle giornate di studio il Fons
Michel Azcueta della Scuola Superiore di
Gestione municipale del Perù, Betty Tola del Catalano, organizzatore dell’evento, ha ribadito,
Centro statistico cittadino dell’Ecuador, Ricardo con soddisfazione, come, dal loro privilegiato
Bertolino della Fondazione del Cono Sud ameri- osservatorio che da anni si interroga e interviene
cano dell’Argentina, Sergio Pasarin del Centro operativamente con il finanziamento di progetti
per lo Sviluppo comunale e municipale della per il miglioramento delle opportunità e della
Bolivia, e Richar Gomà, dottore in Scienza del- qualità dei cittadini dei paesi del sud del mondo,
l’amministrazione, hanno affrontato il lato delle il continente latino americano sia stato, in questa
competenze amministrative e delle professionalità ultima decade, un laboratorio fervido di novità
necessarie per intraprendere senza ambiguità il pur di fronte alle gravi crisi economiche che ha
processo di democratizzazione e partecipazione colpito alcuni stati. Novità che, come ha dimodelle istituzioni locali che sovente incontra un strato l’interesse da parte dei molti amministratori
freno se non una vera e propria opposizione da e funzionari delle istituzioni locali della
parte del personale dipendente delle varie istanze Catalogna intervenuti al convegno, debitamente
adattate alle differenti esigenze e complessità
territoriali.
delle comunità locali europee, possono indicare
È, quindi, urgente e di fondamentale una strada verso una maggiore partecipazione dei
importanza per i processi in atto coinvolgere, cittadini nelle politiche di pianificazione amminiattraverso soluzioni formative costanti, tutti i strative e nel controllo della gestione dei pubblici
livelli della pubblica amministrazione, in modo denari.
da rendere funzionari e impiegati edotti delle trasformazioni che il nuovo modello di gestione
* Coordinamento ARS Imperia
La fecondità di un costante dialogo tra
istituzioni e attori sociali conduce ad una acquisizione di consapevolezza sulle scelte amministrative che sono, ovviamente, anche il frutto del vincolante rapporto tra enormi necessità e scarsi
mezzi di intervento, ma che, purtuttavia, stabiliscono un trasparente legame nell’individuazione
delle priorità di intervento.
20 novembre / dicembre 2003
Il dibattito rilanciato dal documento precongressuale dell’ARS
Per una sinistra meno strutturata
di Vittorio Coletti *
Se dovessi dire che c'è anche un solo
punto del lungo documento presentato dalla presidenza della nostra associazione sul quale dissento, mentirei. Su alcuni punti sono, se mi si passa
l'espressione, più d'accordo che su altri, ma non
c'è nessuna sostanziale perplessità sui singoli
casi.
La perplessità mi viene, invece, dall'insieme e dirò subito dal disagio di un documento
un po' old fashion a partire dalla sua stessa ambizione di misurarsi su tutto e offrire una risposta
organica e coerente a tutto. Credo che, ferma
restando la necessità di misurarsi con tutti i temi
toccati, sia ormai improponibile un modello politico e culturale che vada bene sempre e ovunque.
L'idea di una sinistra che fornisce chiavi
di lettura onnivalenti dovrebbe essere superata e
lasciare il posto a quella di una sinistra meno
strutturata e anche onestamente indecisa e divisa
davanti a certe pur importantissime questioni (ad
es. morale, ricerca, ecc.).
Parallelamente alla impostazione generalista del documento, anche il linguaggio usato mi
restituisce un modello da vecchio discorso di
sezione del funzionario comunista, che non credo
funzionale all'analisi della realtà contemporanea.
Lo si vede bene dai punti non toccati dal
documento o toccati solo da un lato. È il caso del
terrorismo islamico, che non può essere liquidato
come una forma di ribellione dei paesi poveri
contro quelli ricchi, perché è pieno di ragioni
simboliche, religiose, culturali che non si lasciano
spiegare con la logica dei rapporti di forza tra
stati o della distribuzione della ricchezza.
Allo stesso modo, se è sacrosanto il rifiuto della guerra preventiva, l'analisi delle sue cause
è troppo lacunosa: basti pensare che ne resta fuori
addirittura l'11 settembre.
Anche nell'esame del caso Italia noto
delle singolari omissioni.
Il vecchio principio di non parlare male
di nessuna componente sociale vagamente popolare, costringe a omettere una radicale critica
della classe dirigente (fatta anche da ceti popolari) giunta al potere con Berlusconi, quella degli
arricchiti senza fattura, degli evasori fiscali cronici (ricchi imprenditori, piccoli commercianti,
liberi professionisti e artigiani) e spinge a trascurare lo stato di dissesto in cui i lavoratori dipendenti sono stati lasciati dal vecchio centrosinistra,
che li ha consegnati poveri, inermi e mortificati
nelle mani di un ceto di rapina che ha sottratto al
lavoro subordinato le risorse con cui si è ulteriormente arricchito (condoni, leggi Tremonti).
Nessuna osservazione è dedicata all'aumento del costo della vita, come è noto particolarmente sostenuto non solo in alcune zone del
consumo (bar, abbigliamento), ma in tutti i settori
non soggetti a ricevuta fiscale, a fatturazione (la
parcella del medico, del geometra o dell'avvocato); aumenti di cui è stato vittima soprattutto il
ceto medio (che tradizionalmente ricorre a questi
servizi).
Di conseguenza, non c'è una parola su
quello che più ha impaurito la vecchia Europa dei
francesi e dei tedeschi: l'impoverimento di una
gran parte delle classi medie (pubblico impiego
soprattutto), fenomeno che è stato, in passato, alle
origini della deriva totalitaria di questo ammasso
sociale ed è comunque oggi un grosso problema
sul piano dei consumi e della relativa produzione
(persino i commercianti lo hanno denunciato).
Non vedo, d'altra parte, neppure una
riflessione sugli ammicchi ingannevoli e inquietanti di Berlusconi, Tremonti e Lega (del cui nazifascismo evidente ci si dovrebbe forse preoccupare di più) alle classi più povere e meno consapevoli, le massaie, i pensionati al minimo, in sostanza beffati, ma in apparenza (e quanto conta l'apparenza oggi si sa) non mortificati dall'attuale
maggioranza (estensione dell'area no tax, aumenti
di alcune pensioni), secondo la tipica logica dei
21 novembre / dicembre 2003
poteri forti allo stato nascente (rafforzare i potenti, ma cercare contestualmente il consenso degli
ultimi, da comprare con ben distribuite e simboliche briciole). E ancora: risulta sottovalutato tutto
ciò che, nel caso Italia, è ascrivibile a un deterioramento dell'intesa collettiva, visibile soprattutto
nell'ambito della giustizia, devastato dalle leggi
ad personam, e in quello del cosiddetto federalismo egoista.
Ne segue, ovviamente, che non c'è una
denuncia neppure del crollo dello spirito europeistico, una delle poche cause di modernizzazione
reale del nostro paese.
Sul piano politico queste omissioni finiscono per avere un peso.
Ad esempio, temo, nella diffidenza verso
l'unica proposta politica generosa e coraggiosa
fatta in questi tempi, quella di Prodi per una lista
unica, che dovrebbe essere accolta senza temere
di dover rinunciare, aderendovi, al proprio patrimonio di idee e valori, ma anzi portando in essa il
proprio tratto specifico e intanto riconoscendole
quello scatto, quella chiarezza e quella semplificazione del discorso politico di opposizione di cui
tutto l'arco antiberlusconiano ha urgente bisogno.
* Ordinario di storia della lingua italiana
Università di Genova
ASSOCIAZIONE PER IL RINNOVAMENTO DELLA SINISTRA DI IMPERIA
Coordinamento eletto al congresso 30-01-2004
Amadeo Rodolfo
Ardissone Zefferino
Ardoino Lello
Beltrami Marco
Berio Davide
Biamonti Dario
Bonavera Pasquale
Bonello Franco
Campovecchi Tiziano
Castagno Simone
De Lucis Felice
Denegri Piero
Devescovi Luciano
Famà Giuseppe
Fiscella Gianfranco
Florimonte Costanza
Gabriel Gianfranco
Giovannelli Giorgio
Girardi Canetti Carla
Mastrangelo Giuseppe
Natta Franca
Natta Roberto
Nattero Carla
Odello Paolo
Paolini Aldo
Parisi Mercede
Patri Alixia
Puppo Franco
Ramondo Renzo
Saglietto Piero
Sardi Lucio
Seimandi Teresio
Surico Nicola
Torelli Enrico
Torelli Giuseppe
Trucchi Lorenzo
Zaghi Silvio
Zanetta Luciana
Il coordinamento, riunito al termine dell’assemblea, all’unanimità ha rieletto presidente Mauro Torelli.
22 novembre / dicembre 2003
Prosegue il dibattito a sinistra
Dar vita a un programma per Imperia, alternativo
all’Amministrazione di centro-destra
Un’assemblea pubblica organizzata
dall’Associazione per il Rinnovamento della
Sinistra si è tenuta, l’8 gennaio, a compimento del
ciclo di seminari, svolto lo scorso ottobre e del
quale il nostro bimestrale ha dato conto con la
pubblicazione delle relazioni. Si è svolto l’approfondimento dei temi programmatici con l’intervento di nuovi protagonisti e di tali contributi
forniamo la documentazione in questo numero.
L’assemblea ha verificato l’approdo dei
ragionamenti sviluppati lo scorso autunno.
In estrema sintesi: il rifiuto di un approccio fondamentalmente amministrativistico nel
definire un programma a livello locale. La consapevolezza che i temi amministrativi siano parte
della battaglia politica della sinistra e della più
ampia alleanza di centro-sinistra non può far velo
all’esigenza di non ripetere i tradizionali errori di
economicismo della sinistra.
Risulta sempre più attuale la lettura
gramsciana della realtà e il valore da essa assegnato agli aspetti sovrastrutturali, come l’approfondimento e l’impegno sull’attualità dell’antifascismo, sul peso che i temi culturali, la qualità
della vita e la rivoluzione morale assumono nella
formazione di un punto di vista democratico e di
sinistra. Contestualmente non si può sottacere il
peso fondamentale del controllo delle fonti e
degli strumenti dell’informazione e la battaglia
che si sta attualmente giocando in Parlamento.
Lo scandalo Parmalat, dopo le analoghe
vicende riguardanti le obbligazioni Cirio e i bond
argentini e prima ancora gli emblematici defaults
della Enron e Wordcom, sono la metafora del
capitalismo attuale.
Tali traumatici avvenimenti hanno reso
più evidenti le insanabili contraddizioni del capitalismo nella fase neoliberista e nella sua espressione finanziarizzata e forniscono alle forze di
sinistra lo stimolo per una controffensiva ideale e
pratica, anche attraverso la difesa dei piccoli e
medi risparmiatori con obiettivi comuni a quelli
dei lavoratori che lottano per i loro interessi vitali.
Ampio spazio la nostra riflessione ha
dedicato conseguentemente all’impresa sociale e
al ruolo essenziale che essa può svolgere nello
sviluppo della democrazia.
Tra le acquisizioni del seminario merita
sottolineare quella che individua la necessità di
profondo rinnovamento della democrazia, da
quella delegata alla diretta, con l’obbligo di mettere in discussione poteri e ruoli consolidati,
postulando l’esigenza di nuovi protagonismi dei
giovani, delle donne, dei disoccupati e dei lavoratori che in modi diversi rimangono gli esclusi di
sempre.
Nuove urgenze si impongono e i programmi ne dovranno tener conto: pensioni, stipendi e salari rivelano la loro inadeguatezza.
Antiche sottovalutazioni in materia,
anche a sinistra, si stanno diradando e la necessità
di lotte generali che superino gli accordi del 1993
e rivendichino aumenti decisivi, stanno alla base
delle lotte di molte categorie.
Le amministrazioni comunali devono
avere un ruolo non secondario a sostegno dei
lavoratori e delle loro lotte.
I consigli di circoscrizione, congiuntamente ai comitati di consumatori, da eleggere in
pubbliche assemblee, possono svolgere un compito specifico e prezioso sul problema del caroprezzi, con la proposta di definire panieri spesa
contrattati con produttori e catene commerciali,
con la compartecipazione nella definizione delle
tariffe e nel controllo dei prezzi sorvegliati e con
la richiesta di ridar vita a funzionanti osservatori
dei prezzi e ridefinire il ruolo dei consigli di
amministrazione delle aziende pubbliche e partecipate. La redazione di un libro bianco, espressione delle esperienze di sindacati, partiti e associazioni, sarà la sintesi di questa esperienza innovativa a sinistra.
m.t.
23 novembre / dicembre 2003
Un altro mondo è possibile
a partire dalla centralità dell’ambiente
di Gabriella Badano *
L’attuale governo di centro destra sta
sferrando un duro attacco ai cardini fondanti della
politica ambientale e della partecipazione democratica a scelte che riguardano la salute umana ed
ambientale dei cittadini di oggi e delle generazioni future.
Basti pensare agli ultimi due provvedimenti assunti, il condono edilizio e la legge delega, per comprendere che è necessario il massimo
di allarme e di mobilitazione.
Il condono edilizio fa scempio di territorio e legalità, e costituisce un atto discriminatorio
nei confronti di tutti i cittadini onesti che hanno
costruito le proprie abitazioni nel rispetto delle
regole e delle leggi e legittima l’appropriazione
privata del demanio pubblico per via di abuso
sanato.
La delega ambientale ha scippato al
Parlamento la sua prerogativa di legiferare in
materia ambientale, derogando al governo pieni
poteri per la scrittura di nuove norme, consente
una controriforma per vie extraparlamentare su
tutte le normative ambientali.
Scelte di governo del territorio che hanno
ignorato le competenze delle amministrazioni
locali come stabilito dal nuovo capitolo V della
Costituzione, nonostante il tanto sbandierato
federalismo invocato a gran voce dallo stesso
Governo.
Queste politiche aggravano, con rischi di
irreversibilità, una condizione dell’ambiente già
estremamente compromessa, al punto da mettere
in discussione gli stessi grandi cicli della vita:
acqua, biosfera, biodiversità. Un comportamento
irresponsabile che rischia di moltiplicare la rottura degli equilibri già in bilico come l’assetto geomorfologico su cui insistono nuove e vecchie
cementificazioni o le mutate condizioni climatiche dovute all’effetto serra.
Questa fotografia dello scenario di politica ambientale delineato dal governo di centro
destra impone non solo l’urgenza di un’opposizione che parta dalla capacità di mobilitazione
punto su punto, ma richiede inderogabilmente un
lavoro comune di elaborazione e di ricerca capace
di superare i limiti di politiche vecchie ma sempre
presenti e di definire una progettualità alternativa
che ponga al centro una nuova qualità ambientale
e sociale per un nuovo mondo possibile.
L’efficacia di risposte nuove sulle grandi
questioni che sono al centro del dibattito politico
come la gestione delle acque, le scelte di politica
energetica, il problema ormai cronico della
gestione dei rifiuti, si gioca anche sulla capacità
di avviare un processo partecipato capace di coinvolgere non solo i partiti dello schieramento alternativo ma anche il mondo dell’associazionismo,
dei sindacati e dei social forum che possa portare
ad un processo partecipato del governo dei problemi ambientali in tutte le sue sfaccettature: una
risposta efficace al centralismo del centrodestra
che ignora le competenze degli enti locali e la
partecipazione democratica.
Ancora prima la legge Lunardi, che ha
avviato la costruzione di grandi quanto inutili e
pericolose, opere ingegneristiche in assenza di
una valutazione di impatto ambientale, il decreto
Gasparri che dava il via a nuove e diffuse fonti di
Per avviare questo lavoro è importante
emissioni di onde elettromagnetiche, al decreto
sblocca centrali, che, per far fronte al rischio di riferirci ad alcuni punti, ad oggi sottoscritti, ma
black-out estivo, ha derogato le leggi sull’inqui- non sempre condivisi nelle scelte politiche quotidiane:
namento termico delle acque .
24 novembre / dicembre 2003
• ribadire la centralità del ruolo dell’ambiente • dare priorità alla difesa del suolo, vera e grande
nella programmazione delle attività umane come opera in cui impegnare lavoro e risorse in contrapposizione alle grandi opere definite come
valore in sé e come risorsa economica;
prioritarie quali il Ponte sullo Stretto, il terzo
• dichiarare l’indissolubilità tra progresso econo- traforo del gran Sasso…;
mico e sociale e tutela ambientale e sanitaria
legame portatore di una logica alternativa che • mettere in atto le misure di prevenzione agli
deve orientare le scelte e la stessa contabilità eco- incendi boschivi;
nomica e sociale;
• valorizzare il patrimonio agricolo, le produzioni
• ristabilire la certezza del diritto che non consen- tipiche e la tutela ella biodiversità agricola,
ta più sotterfugi che alimentano l’illegalità a incompatibile con l’omologazione colturale e culdiscapito della collettività tutta come nel caso turale rappresentata dagli OGM;
dell’ultimo condono edilizio ;
• avviare una politica di gestione dei rifiuti urbani
• fare dell’ambiente la principale occasione di che consenta di attuare concreti piani di riduzione
nuova e buona occupazione;
a monte e di raccolta differenziata contrapposta al
semplice approccio basato sul loro smaltimento;
• avviare una diversa politica energetica fondata
sul risparmio ed un uso razionale dell’energia • garantire il diritto degli animali nell’affermaziononché sullo sviluppo delle fonti rinnovabili puli- ne di un senso etico della vita sulla Terra che
te, risanare le centrali energetiche recuperando superi ogni visione antropocentrica nel rapporto
potenzialità e riducendo le emissioni, riafferman- uomo - ambiente;
do un no deciso al nucleare;
• garantire il diritto all’ambiente come bene
• impegnarsi per una nuova centralità pubblica comune per tutte e tutti e per le generazioni futudei beni comuni quali produzione e distribuzione re, di cui va rispettata e promossa la riproducibienergetica, gestione dell’acqua e dei rifiuti, anche lità.
per produrre innovazioni ambientali in rapporto
col territorio e per garantire diritto d’accesso e di
partecipazione;
25 novembre / dicembre 2003
Iscriviti alla
ASSOCIAZIONE PER IL
RINNOVAMENTO DELLA
SINISTRA - Imperia
Versa
€ 35,00 (trentacinque euro)
sul conto postale N° 23607419
intestato all’Associazione
Gli iscritti riceveranno il bimestrale Pagine Nuove del Ponente
26 novembre / dicembre 2003
La lezione dei movimenti, i loro programmi e i loro immaginari
Contrastare l’idea
di una città senza futuro
di Marco Beltrami *
Credo che di quanto espresso in senso
positivo, nel senso cioè della partecipazione e
soprattutto della innovazione nei contenuti e nelle
forme della politica, dai movimenti che sul piano
globale e locale sono stati la vera novità di questo
ultimo ciclo, le forze del centrosinistra che si
avviano alle prossime scadenze elettorali abbiano,
fino a questo punto, costruito la possibilità di
intercettare ben poco.
Certo, un qualche riflesso favorevole, in
termini di suffragi, un timido rinnovamento della
classe politica, si potrà riscontrare comunque e
forse questo è l’unico contributo in cui spera
anche una buona parte dei dirigenti del centrosinistra e del Prc.
È una miopia pericolosa che sottovaluta il
livello di penetrazione negli immaginari politici e
sociali dei contenuti e delle pratiche dei movimenti, ne sottovaluta il potere costituente di
un’alternativa al berlusconismo e, più in generale,
ne sottovaluta o non coglie (o non apprezza) in
essi la concreta possibilità di porre fine su scala
globale alla subalternità della sinistra verso i
valori e le politiche del neoliberismo. In concreto,
questo atteggiamento si traduce in un clamoroso
autogol che impedisce la costruzione di un immaginario attraente per quei milioni di cittadini ed
elettori che pure guardano con angoscia ad un
nuovo successo elettorale del centrodestra.
Per Imperia, il discorso non muta, sebbene debba essere interpretato con alcune sfumature
e varianti. Nella nostra città un blocco sociale
consistente e coeso si specchia effettivamente nel
ceto politico dominante, rappresentato dallo
scajolismo e dai suoi apparati e aggregati.
Originalmente in bilico tra passato e futuro, tra feudalesimo ed impresa politica, questo
ceto politico ha espresso e spesso materializzato
una propria idea di città, che noi possiamo critica-
re (è criticabilissima) o irridere (è spesso anche
ridicola), ma con cui dobbiamo comunque quotidianamente fare i conti e che non è stata incapace
di produrre fascinazione nei propri sostenitori.
Anche quando si tratta evidentemente di
un idea di città senza futuro perché articolata
attorno al consumo selvaggio del territorio, all’assenza di un qualsivoglia progetto che non sia
quello del profitto immediato per i soliti noti, è
stato estremamente difficile opporre ad essa un
immaginario ed una concretezza altrettanto
attraenti, altrettanto affascinanti.
È anche vero che, se parliamo di immaginario e di concretezza, nell’ultimo quindicennio
soltanto i movimenti hanno saputo esprimere, ed
a volte anche declinare, questo binomio in modo
compiuto, anche se purtroppo in forme frammentarie e discontinue. Penso alle battaglie (vinte)
contro l’inceneritore, alla denuncia ed alle mobilitazioni contro le speculazioni legate alle celebrazioni di Colombo nel 1992, che hanno regalato
alla città lo splendido grattacielo monco dell’ex
Renzetti, alla grande esperienza sviluppatasi
attorno all’area delle ex Caserme del Prino ed ai
Cantieri sociali Riuniti, alle lotte per gli spazi
sociali ed alla capacità di mantenere aperti e vivi
luoghi che sono tra i pochi che esistono per l’aggregazione e lo scambio culturale, politico e
sociale nel territorio.
Ci sono stati dunque anche ad Imperia
soggetti capaci di immaginare e prefigurare
modelli differenti di città; sono mancati in continuità e sono stati a volte dispersivi e frammentari
ma soprattutto è loro mancata, nell’opposizione e
nei partiti politici tradizionali, salvo rare e
apprezzabili eccezioni, una sponda in grado di
dialogare e di interagire. Temo che le cose non
cambieranno radicalmente nel prossimo futuro:
c’è una resistenza insensata ma coriacea degli
27 novembre / dicembre 2003
apparati politici a mettere in discussione se stessi,
tanto più penosa quanto più si traduce nel più tradizionale e gattopardesco passo indietro per fare
avanzare tra le società civili possibili quella più
mansueta e manovrabile. Viceversa si nota sempre più spesso che proprio a partire da chi ha
svolto il proprio ruolo di opposizione all’interno
delle istituzioni è cresciuta e si è rafforzata una
tendenza ed un’attitudine a porsi in sintonia con i
progetti, i programmi, le critiche e gli immaginari
dei movimenti: anche come scoperta di un nuovo
senso dell’essere opposizione.
È una tendenza positiva, che i cittadini
elettori sembrano gradire, come dimostrano le
esperienze recenti di Genova, Roma, Milano,
Venezia… e che può, forse, contribuire alla
costruzione di nuove interessanti sperimentazione
e sinergie.
* del Centro sociale
“La talpa e l’Orologio”
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28 novembre / dicembre 2003
Appunti per un’alternativa
di Pasquale Indulgenza *
Su quali basi è possibile definire un programma alternativo alla destra?
Se ci soffermiamo sulla visione della città
che emerge netta dal recente bilancio dell’amministrazione esibito dal sindaco uscente, una
prima, fondamentale risposta al nostro interrogarci prende corpo quasi da sola. La direzione di
marcia di un credibile programma alternativo
deve essere senz’altro opposta, giacché, per dirne
una, la stessa idea del rapporto tra spazio urbano
e fattore umano, nella filosofia dell’attuale compagine di destra, rappresenta tutto quello che non
vogliamo che diventi la nostra città.
La destra al governo, infatti, nel riconoscersi il merito di aver messo le cose a posto e di
aver persino dato nuovo, decisivo impulso ad uno
sviluppo dinamico di Imperia, impone in realtà
una lettura asettica, un’elencazione (apparentemente) puntigliosa di aspetti manageriali e contabili, che disegna una città senza persone, uno spazio geometrico dietro una luccicante vetrina, definito al proprio interno, in misura preminente,
dalle funzioni che disciplinano l’assetto amministrativo, gli affari economici, la logistica, la sicurezza. In buona sostanza, essa fa l’operazione - in
cui è maestra - di neutralizzare i rapporti sociali e
di potere ed occultare gli squilibri esistenti, allo
scopo di consolidare e rilanciare, sotto la maschera di un rinnovato efficientismo, gli interessi forti
che rappresenta, anzitutto nel campo della rendita. Si tratta di smascherare, quindi, la natura ideologica di questo preteso buon governo della
destra, imposto ai cittadini con martellante potenza mediatica, ma anche grazie - bisogna dirlo alla particolare vischiosità della rete di rapporti
clientelari purtroppo presenti in città, ai significativi elementi di consociativismo e trasversalismo
politico sussistenti.
E di ricondurre con chiarezza la suddetta
natura al blocco di potere da cui proviene.
Occorre, nel contempo, saper proporre
alla collettività imperiese una città altra, fatta e
abitata da persone in carne ed ossa, da cui non sia
espunto artatamente il conflitto per rappresentare
una ipocrita tranquillità sociale, ma nella quale si
riconoscano le contraddizioni e i problemi che
quotidianamente incidono sulla vita dei cittadini,
che ne fanno la condizione materiale. Una città
capace di ritrovarsi nel primato dei bisogni e nell’espansione dei diritti.
E, pertanto, un programma che parta
dalla consapevolezza del carattere prioritario
della difesa delle fasce deboli, dei soggetti sociali
più gravemente subalterni, puntando ad una vera
e propria riscrittura in progress del patto di cittadinanza regolativo della convivenza.
Gli assi di una simile iniziativa di rilancio
dell’alternativa sociale e politica, di una adeguata
proposta di nuova cittadinanza, dovrebbero essere
costituiti, a nostro parere, dalle seguenti priorità:
• Rappresentanza e cittadinanza: allargamento
degli spazi di democrazia partecipativa in un contestuale riconoscimento di diritti sociali;
• Lotta all’impoverimento sociale e culturale e al
bisogno di lavoro: impegno contro i processi di
precarizzazione incalzanti e lo sfruttamento del
lavoro nero e irregolare; introduzione di forme di
reddito di cittadinanza; difesa del patrimonio
occupazionale; sostegno ai progetti e agli investimenti per lo sviluppo con serie ricadute in termini
di sbocchi occupazionali di utilità sociale;
• Difesa del territorio dalle speculazioni, con la
contestuale assunzione del valore prioritario della
tutela dell’ambiente;
• Riconsiderazione degli esiti dei processi di privatizzazione intervenuti nelle aziende pubbliche
operanti sul territorio e riaffermazione piena dell’interesse collettivo nella gestione e nella fruizione dei servizi e della effettiva esigibilità della
proprietà pubblica;
• Promozione dei diritti dei bambini e dei minori
quale valore cardinale della nuova città sociale;
• Definizione di una seria politica dell’accoglien29 novembre / dicembre 2003
za e riconoscimento del diritto di voto ai cittadini
immigrati;
• Benessere della popolazione anziana e potenziamento della rete pubblica di protezione sociale;
• Rivendicazione e riappropriazione di spazi
sociali essenziali per il soddisfacimento dei bisogni sociali e culturali, con precipua considerazione delle opportunità di autogestione di strutture,
servizi e progetti.
Siamo consapevoli, naturalmente, del
fatto che tali indicazioni presuppongono la
volontà di segnare per davvero una discontinuità,
anche rispetto ad una storica tendenza locale di
taglio moderato, rassicurante e minimalistico.
Tuttavia, a fronte dello strapotere della
destra (evidente in tutta la provincia) e del netto
peggioramento delle condizioni di vita degli
imperiesi, è il caso di dirsi con franchezza che le
cose non cambiano di punto in bianco o con semplici aggiustamenti: Imperia, che pure non si
merita un’amministrazione come quella attuale, è
arretrata enormemente in questi anni, oltre che sul
piano economico ed occupazionale, in termini di
qualità delle relazioni sociali e dei rapporti civili
e democratici.
La costruzione di un’alternativa sarà
necessariamente un processo lungo e difficile,
direi doloroso, che dovrà affrontare e superare, in
primo luogo, le trappole del trasformismo; certamente, non sarà un processo riducibile alla logica
dello schieramento, per candidarsi sic et simpliciter a sostituire un personale politico con un altro,
illudendosi di occupare la macchina amministrativa (la stanza dei bottoni di nenniana memoria) e
assicurare un autentico buongoverno.
Occorre ricominciare, piuttosto, un cammino di riprogettazione comune con i cittadini,
con i diversi soggetti sociali, nella prospettiva di
autentico rinnovamento sociale e culturale della
città. Questa è per noi la scommessa che conta; su
questa possibilità si misurerà la volontà dei diversi attori politici.
Si vorrà metter mano ad un impegno così
grande? Lo verificheremo a partire dai prossimi
giorni, con la campagna elettorale di fatto ormai
iniziata. È importante, e costituisce una novità di
grande interesse, il fatto che le forze politiche cittadine che si dicono alternative alla destra abbiano sviluppato una serie di incontri dai quali sono
sortite ipotesi programmatiche che giudichiamo,
in buona misura, coerenti con la piattaforma
sopra illustrata e corrispondenti ad un terreno più
avanzato nel confronto politico. Ed è da apprezzare il laboratorio di idee che stiamo animando.
Ma occorre che questo primo, parziale
sforzo di riflessione incontri positivamente la
realtà delle esperienze di movimento e dell’associazionismo democratico operanti localmente,
come pure il mondo del lavoro, in acuta sofferenza anche perché privo di una adeguata rappresentanza sociale. Senza questi inneschi, la proposta
di alternativa non potrà in alcun modo camminare
e svilupparsi.
* Segretario provinciale del P.R.C.
30 novembre / dicembre 2003
Prospettive di sviluppo
della nostra città
di Giovanni Trucco
Nei prossimi mesi di maggio o di giugno
a Imperia si voterà per l’elezione del sindaco e il
rinnovo del consiglio comunale.
A questo appuntamento elettorale sarà
importante che il centrosinistra si presenti unito
sia per l’importanza anche politica di queste elezioni amministrative, sia perché è ormai ampiamente dimostrato come il nostro elettorato premi
l’unità.
Fondamentale sarà la capacità di proporre
ai cittadini imperiesi un progetto di sviluppo della
città che si dimostri alternativo a quello del centrodestra.
Infatti in questi anni di amministrazione
Sappa è emersa una visione della città basata su
due scelte strategiche: il turismo come principale
opzione di sviluppo e la politica urbanistica interpretata come possibilità di sfruttamento del territorio.
Urbanistica e turismo sono diventati
sinergici con una visione distorta di quest’ultimo
in funzione della seconda casa: una simile opzione già in passato (anni ‘60 e ‘70) ha dimostrato
gli aspetti negativi del danno ambientale senza
creare sviluppo economico, se non portando
benefici solo alla speculazione edilizia.
Le scelte urbanistiche degli ultimi cinque
anni hanno fatto perdere un’occasione alla città: il
piano regolatore è stato gestito non come strumento progettuale ma come una semplice opportunità edificatoria.
In questo senso l’amministrazione è stata
uno strumento per rafforzare il potere economico
delle forze vicine al centrodestra e in particolare a
Forza Italia.
Se il centrosinistra vorrà essere credibile
come forza di governo a Imperia dovrà presentare
un progetto alternativo più articolato per la nostra
città che tragga impulso dalla tradizione e sappia
stimolarne le potenzialità.
Già in questi anni di opposizione, sia in
consiglio comunale che nel dibattito politico cittadino, è emersa una nostra visione di sviluppo
multivalente della città in cui l’opzione turistica
si integra con quella industriale e commerciale.
Un momento fondamentale sarà la
costruzione del nuovo porto che veda superato l’
antico antagonismo tra il porto turistico e quello
commerciale.
I due progetti dovranno realizzarsi di pari
passo e per quanto riguarda il porto turistico le
opere a mare dovranno avere la precedenza sull’
edilizia residenziale. Il potenziamento del porto
commerciale dovrà essere l’ occasione per il
rilancio dell’industria alimentare: Imperia dovrà
identificarsi come riferimento per l’alimentazione
mediterranea. L’offerta turistica non può limitarsi
al posto barca ma dovrà essere multipla: turismo
sportivo, culturale, gastronomico.
A tal fine l’amministrazione comunale
dovrà svolgere un ruolo di regia pubblica per la
realizzazione delle opere necessarie come il
museo navale, il palazzetto dello sport, il centro
dei cetacei, il polo fieristico: l’amministrazione
Sappa non si è occupata di nulla di tutto questo.
In questa progettualità bisognerà favorire forme
di collaborazione con i privati, privilegiando gli
imprenditori che garantiranno una volontà di
investire in città e che non saranno interessati ad
intervenire nella speculazione edilizia o ad
impossessarsi dei marchi industriali per utilizzarli
altrove. Per essere credibile nel proporre questo
progetto, il centrosinistra dovrà confrontarsi con
le associazioni di categoria, i sindacati, con il
volontariato, con le associazioni giovanili: con
tutto quel mondo che è rimasto ai margini delle
scelte dell’amministrazione Sappa.
* Segretario unione comunale
DS Imperia
31 novembre / dicembre 2003
32 novembre / dicembre 2003
Gli 80 anni del Comune di Imperia
Una manifestazione ufficiale
dove è mancata la pluralità politica
di Carla Nattero *
Nel corso delle celebrazioni per gli ottanta anni della città ci sono stati momenti di polemica spicciola nei confronti dell’amministrazione
Sappa. Sono stati contestati i centomila euro spesi
per il calendario delle manifestazioni, di cui
molte sono state di poco spessore e altre prettamente propagandistiche.
L’opposizione ha criticato soprattutto la
manifestazione ufficiale che si è svolta in
Consiglio comunale: una celebrazione del tutto
autarchica nelle forme e nella sostanza politica,in
cui Forza Italia ha assunto il monopolio del compleanno, con il sindaco Sappa,il presidente del
Consiglio Varaldo nella vesti di maestri di cerimonia e il ministro Scajola come unico oratore.
Il Ds per protesta con queste iniziative a
senso unico che rivelavano scarso rispetto istituzionale e soprattutto scarso senso della pluralità
di voci e di espressioni politiche che hanno fatto
la storia della città, ha richiesto una convocazione
di Consiglio esclusivamente destinata all’argomento per promuovere un dibattito che coinvolgesse i consiglieri comunali di maggioranza e di
opposizione e quindi le diverse sensibilità politiche presenti nella città.
Nel prepararmi al Consiglio comunale da
noi richiesto, che si è tenuto alla vigilia di Natale
del 2003, ho letto i testi della celebrazione ufficiale tenutasi dieci anni prima, in occasione del
70esimo, e soprattutto ho riletto l’orazione ufficiale pronunciata nel 1993 da Alessandro Natta.
Come lui stesso confessa era emozionato
nel ritrovarsi in quell’aula dopo trent’anni.
Natta infatti è stato eletto consigliere
comunale nella lista del Pci il 31 marzo 1946,
rimanendo in Consiglio per quindici anni.
Rieletto nel ‘51, nel ‘56 e nel ‘60, darà le dimis-
sioni nel 1961, a causa di incarichi nazionali. Il
discorso di Natta mi ha molto colpita per tanti
aspetti: per l’amore verso Imperia, vero e non
retorico, che traspare da tutto il suo ragionamento; per la efficacia e la originalità con cui colloca
l’unità di Porto e Oneglia nelle idee risorgimentali e socialiste nel passaggio tra Ottocento e
Novecento, per la intuizione sintetica ma del tutto
felice con cui mette in risalto le speranze di sviluppo economico legate alla nuova città ma anche
i limiti storici di questa previsione( la crisi economica degli anni 30).
Ma ancora più importante è l’attualità e
la preveggenza della sua impostazione politica.
Nel momento presente,in piena epoca di
revisionismo e cancellazione della memoria storica da parte dei berlusconiani, nei giorni in cui
vediamo il presidente del Senato, Pera, che dice
tranquillamente che l’antifascismo è un mito di
cui occorre liberarsi, fa particolarmente riflettere
il forte richiamo di Natta ai principi della
Repubblica, all’antifascismo, ai valori del lavoro
e della libertà.
Come ricorda Natta ai cittadini imperiesi:
«E per noi i principi stanno in quel messaggio
etico-politico della Resistenza che è scritto nella
costituzione: la repubblica che ripudia la guerra,
che si fonda sul lavoro,che tutela ed assicura l’eguaglianza e la certezza dei diritti di cittadinanza
civile e sociale».
E il richiamo ai principi assume ancora
più forza perché Natta con il caratteristico tratto
di libertà intellettuale che lo ha sempre contraddistinto, mentre ancora saldamente la storia della
nostra città nel quadro costituzionale, dà un riconoscimento diretto al ruolo del fascismo nella
realizzazione definitiva della unità cittadina.
33 novembre / dicembre 2003
Sono ben consapevole che, sia per la
diversa statura dei personaggi in questione, sia
per il mutamento della realtà politica, non è possibile un confronto tra la relazione di Natta del
1993 e quella di Scajola dieci anni dopo, ma alcuni aspetti li voglio ricordare. Per sottolineare
come è cambiato in peggio il mondo. Come
«quella asprezza e acutezza dei pericoli che assediano e insidiano la vita del nostro paese» cui fa
riferimento Natta nel suo discorso, sia arrivata ad
approdi reazionari.
Nella parte storica del suo discorso,
molto dettagliata, il ministro di FI tosa la storia
con un esercizio di equilibrio reticente. Il fascismo è, secondo la definizione dell’on. Scajola, un
governo dirigista; nel lungo elenco dei personaggi illustri cittadini non sono ricordate le medaglie
d’oro della Resistenza Cascione e Bonfante, gli
stessi che Natta aveva definito «simboli luminosi
di questa nostra comunità».
Soltanto nel testo stampato un mese dopo
dal comune di Imperia, dopo una polemica pubblica, ricompaiono le medaglie d’oro non nominate nel suo discorso.
Ma ancora più asfittica nel discorso di
Scajola è l’interpretazione della storia cittadina.
La borghesia imperiese ne è la esclusiva
protagonista e Forza Italia, come prima la
Democrazia cristiana, è il partito che la interpreta.
Una visione storica totalmente autosufficiente e mistificante se solo si pensa alle responsabilità delle famiglie imprenditoriali locali nella
dismissione del patrimonio industriale cittadino.
Ritornando all’orazione di Natta, vorrei
sottolineare un altro aspetto importante: la riflessione istituzionale. Natta qui richiama un punto
importante, purtroppo estremamente attuale,
sostenendo che il regionalismo è articolazione
non smembramento dello stato.
Come ben dice Natta: «la sinistra e la
Democrazia cristiana rivendicavano entrambe
quell’idea nuova del regionalismo, dell’articolazione dello stato, del sistema delle autonomie, ma
al fine di un potenziamento dell’unità del popolo
e della nazione, e per l’obiettivo di una più forte
solidarietà e di una maggiore efficienza dello
stato».
Questa riflessione nasce dal dibattito che
toccò Imperia nell’immediato dopoguerra.
Entrare a fare parte della Regione Liguria o dare
vita con la provincia di Cuneo a una piccola
Occitania? Pubblichiamo in queste pagine una
parte dei verbali del dibattito del Consiglio
Comunale di Imperia cui si riferisce Natta. Dai
testi emerge la miopia della Dc che optando per
Cuneo si riferiva a territori in cui poteva avere
maggiore riscontro elettorale. Però nello stesso
tempo risulta evidente quella collocazione eccentrica della nostra città che è sempre presente nella
nostra cultura.
Anche lo stesso concetto di unità cittadina è ormai affermato ma presenta ancora alcuni
elementi di fragilità.
Pubblichiamo la delibera del 1947 in cui
il Consiglio comunale di Imperia approva a larga
maggioranza la costituzione di Montegrazie in
comune autonomo. Soltanto motivi tecnici posti
dal Ministero dell’Interno lo impedirono.
Ma anche questo è un punto rimasto
aperto fino a oggi: le frazioni di Imperia sono
rimaste in alcuni casi separate rispetto al territorio
cittadino. Rimane una differenza che l’attività
amministrativa non è riuscita a colmare.
Sappiamo che in questi mesi richieste di
autonomia sono nuovamente arrivate da diverse
frazioni: Montegrazie, Torrazza, Piani, Borgo
d’Oneglia.
È perciò ancora attuale il suggerimento di
Natta che ci ricorda che i problemi di Imperia
debbono essere affrontati anche con sapienza istituzionale, coniugando articolazione e maggiore
efficienza e solidarietà dello Stato. Anche su questo punto il suo insegnamento è vicino e ci
ammonisce a non cadere nei pasticci istituzionali
del presente.
* Consigliere comunale di Imperia
34 novembre / dicembre 2003
Documento
Imperia, ottobre 1993, settantesimo di Imperia
Centralità del Comune, solidarietà,
unità del popolo e della nazione
Orazione ufficiale di Alessandro Natta
Signor sindaco, consiglieri, autorità,
signore e signori, miei concittadini
Sono grato di questo incarico, che considero un onore, e vi prego di scusarmi se non riuscirò a nascondere del tutto l'emozione di tornare
a parlare, dopo più di trent'anni, in quest'aula che
è stata per me la sede del primo e aperto cimento
politico, nel 1946, e - poi - di tante e appassionate
battaglie.
Ma, oggi, l'occasione è fausta e felice:
ricordiamo e celebriamo, senza ombra - penso di pentimento, di dissenso, di riserva, l'unione di
Oneglia e Porto Maurizio e degli altri nove comuni: Piani, Caramagna, Castelvecchio, Sant'Agata,
Costa, Poggi, Torrazza, Moltedo, Montegrazie,
che il 21 ottobre 1923 costituirono la nuova Città
che prese il nome di Imperia.
L'idea, e il nome - voi lo sapete - hanno
ben più di settant'anni.
In una lettera del 15 marzo 1908, Benito
Mussolini scriveva da Oneglia a Menotti Serrati:
«… Quando non ho nulla da fare, la sera, passo
il tempo nella farmacia “Imperia”, del compagno
Ravotto».
Imperia, appunto, a segnare l'impegno e
l'augurio per quel progetto di unione che i socialisti di Oneglia e di Porto Maurizio tentavano di
realizzare, anche con l'aiuto di Mussolini, proprio
in quell'anno. Progetto che già era stato auspicato
e perseguito più volte, ma invano, dopo l'unità
d'Italia.
La storia ha percorsi imprevedibili e stupefacenti. Quella rivendicazione che era sorta
all'alba del risorgimento tra i patrioti più illuminati e moderni, gli amici di Mazzini e Garibaldi,
potremo dire, e che mirava a scuotere il peso gravoso di incomprensioni e conflitti secolari tra due
terre che avevano obbedito prima alla ragione di
due stati, la Repubblica di Genova e la monarchia
di Savoia, in costante e sordo contrasto, e che poi,
dal 1796 al 1870, da Buonaparte a Cavour, avevano vissuto la gara, tenace e spesso angusta, persino un poco meschina, per la supremazia del
ponente della Liguria.
Nei primi decenni dell'Italia unita, in quel
disegno di fare una sola città di Porto Maurizio e
di Oneglia restava ben presente un dato della cultura e del sentire risorgimentale: quello della
comprensione, dell'amicizia, della fratellanza, da
instaurare fra due popolazioni che avevano tanto
sofferto il travaglio della divisione, e che erano
pur così vicine e uguali. Oneglia e Porto unite,
ecco: era quasi un'immagine e un simbolo della
nuova Italia.
Ma, più a fondo, in quel disegno premeva
un'ispirazione e un fine politico, lungimirante ed
ambizioso: quello di costruire una base più solida
per lo sviluppo economico e sociale della provincia; di dar vita ad un polo più robusto per il traffico marittimo, e di offrire, infine, uno sbocco al
mare adeguato per il Ponente.
Non valsero, però, allora, deliberazioni
solenni di Consiglio comunali e provinciali, né
manifestazioni di popolo.
Quell'idea fu realizzata, invece, in regime
di pieni poteri, da un uomo che aveva già dato
colpi durissimi alle libertà politiche e civili, e che
si apprestava a stabilire un regime autoritario.
Ma la scelta di Imperia, ed altre successive, di accorpamento di Comuni e di decentramento di province si inscriveva in una visione giusta e
valida di organizzazione del territorio e di revisione della pubblica amministrazione. Lo dico senza
impaccio e senza alcun timore che si creino equivoci. Sappiamo bene che non tutto, nel ventennio
fascista, fu errore, stoltezza, abiezione.
Sia chiaro, però: non c'è stata Auschwitz,
35 novembre / dicembre 2003
Documento
in Italia, ma la vergogna della persecuzione razziale e delle deportazioni, sì. E la distruzione
delle libertà, anche quelle comunali, e le strettezze nella cultura e nell'economia, e le distruttive
follie bellicistiche, tutto ciò l'abbiamo sofferto e
pagato. A cinquant'anni dal crollo rovinoso del
regime fascista e dall'avvio - arduo e sanguinoso della rinascita dell'Italia a nazione libera e unita, è
giusto ricordare: non tanto per ribadire condanne
e rifiuti, ma per essere vigili, attenti e non ripetere.
Al suo sorgere, nel 1923, Imperia si faceva naturalmente erede - e li inscriveva nel programma del suo avvenire - di un complesso di
idee e di propositi: il porto unico, la ferrovia per
il Piemonte, la derivazione delle acque del
Tanaro, che avrebbero dovuto assicurare il decollo della città, e farne un centro vivo e competitivo
in una Liguria a prevalente vocazione industriale
e marittima.
Bisogna onestamente riconoscere che,
forse, era già un po' tardi. Scelte decisive, compiute in passato, a Genova, a Savona, ponevano
un freno, ormai, a quella prospettiva di sviluppo
per Imperia.
E, poi, facevano ostacolo i dati oggettivi
della perifericità, dell'angustia impervia del territorio, e gli errori gravi del passato, tra i quali resta
memorabile - lo dico, perché tornato di attualità l'ostinato e miope rifiuto degli onegliesi e dei portorini di decidere per un unico scalo ferroviario, e
soprattutto l'insorgere della grande depressione
economica, che all'inizio degli anni trenta travolse un cardine della struttura industriale, quale
l'acciaieria, ed infine l'indirizzo politico ed economico del regime fascista, ispirato alle borie nazionalistiche, alle grettezze autarchiche, alle sospettosità oppressive, che tarparono ogni possibilità
per la nostra riviera di uno sviluppo turistico pari
a quello, già allora su scala di massa, della vicina
Costa Azzurra.
L'unione di Oneglia e di Porto Maurizio
non riuscì, dunque, ad essere il volano di una crescita rapida e rilevante, e nemmeno di una saldatura urbanistica - non voglio dire: fortunatamente,
in quanto ha difeso tanto verde - e tuttavia un
aspetto importante c'è stato, sotto questo profilo,
non divenuto ancora in pieno, ma auspicabile sarebbe auspicabile oggi: di avere qui il centro
amministrativo e direzionale della città.
Il fatto positivo e vincente, invece, fu l'integrazione delle diverse genti, attraverso la scuola
e il lavoro, le manifestazioni della cultura e dello
sport, l'apertura all'immigrazione; fu il prendere
corpo, via via, di una nuova comunità.
Cadono, già in quegli anni lontani, a poco
a poco, le vecchie scorie delle diffidenze e delle
barriere campanilistiche: impariamo che si può
stare assieme restando se stessi; che la diversità
delle radici e delle tradizioni, degli usi e dello
stile di vita, dello stesso dialetto, può essere la
base d'un patrimonio comune, più ricco e fecondo.
Ci rendiamo conto, gli uni, che Porto
Maurizio è bella - e non solo vista da Oneglia,
come si diceva - e gli altri che Oneglia sa essere
ospitale anche per i foresti di Porto. Ci si unisce, e
ci si divide, ora, più chiaramente, per altre ragioni
che non l'attaccamento a memorie lontane o l'appartenenza ad un territorio: per la comunanza o la
differenza delle sorti sociali, delle idee politiche,
delle visioni del mondo e dell'uomo (come, del
resto, era già accaduto in passato, che i nostri
antenati si collegassero o si contrastassero, al di
là dei confini delle città e dei borghi, per essere
monarchici o repubblicani, liberali o democratici,
socialisti o popolari).
A me è accaduto molte volte di ricordare
che nella mia giovinezza, quando si giunse alle
scelte di campo e di vita, gli amici forse più che
stretti che io ebbi, nella fede e nella lotta, erano di
Porto: il maggiore dei fratelli Serra, liberalsocialista, scomparso nell'abisso di Mauthausen;
Cascione, comunista, caduto da partigiano su
queste nostre montagne.
Di Cascione e di Bonfante è stato giusto
fare, già nel corso della guerra di liberazione, i
simboli luminosi di questa nostra comunità, l'espressione più autentica e pura dei giovani di
Oneglia, di Porto e degli altri antichi Comuni,
della maggioranza - voglio dire - della gioventù
di Imperia, che rappresentava anche la maggioranza della nostra gente, che seppe scendere in
campo in un impegno di lotta e di morte per
riscattare l'Italia, per rifondare in libertà e unità la
nostra nazione.
Anche Imperia l'abbiamo allora rifondata
con un patto democratico e con il vincolo dei
diritti e dei doveri comuni ai cittadini di un'unica
città.
36 novembre / dicembre 2003
Documento
Lo so: già tanti anni orsono, Ferruccio
Parri, ripetendo che la Repubblica è fondata sulla
Resistenza, temeva di rischiare un rituale banale e
retorico. Ma oggi, di fronte ai mali d'Italia, a
quale bussola di salvezza dobbiamo affidarci?
Non è il momento, qui, di richiamare l'acutezza e l'asprezza dei pericoli che assediano e
insidiano la vita del nostro Paese: il blocco del
sistema democratico, la commistione corruttrice
tra politica, amministrazione, affari, l'inefficienza
disastrosa dei grandi servizi pubblici, e, più a
fondo, una dura repressione economica, un'eclissi
paurosa della legalità, un offuscarsi di valori
essenziali della moralità.
L'esigenza di una rigenerazione, di un
rinnovamento morale e politico è indubitabile.
A me pare che sarebbe saggio obbedire a
un antico insegnamento del Machiavelli: che di
tempo in tempo è bene richiamare la Repubblica
ai suoi principi.
E per noi i principi stanno in quel messaggio etico-politico della Resistenza che è scritto
nella costituzione: la Repubblica che ripudia la
guerra, che si fonda sul lavoro, che tutela ed assicura l'eguaglianza e la certezza dei diritti di cittadinanza civile e sociale; la Repubblica che deve
realizzare l'eguaglianza delle possibilità, per i cittadini, ad un pieno sviluppo della persona umana
e ad una effettiva partecipazione all'organizzazione politica, economica e sociale del paese senza
distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e
sociali; e la Repubblica che si costruisce una e
indivisibile sul fondamento del pluralismo, delle
autonomie, del decentramento delle funzioni politiche e amministrative.
Nessuno - badate - negli anni della
Resistenza e della Liberazione pensò che fosse
auspicabile, o possibile, ritornare allo stato elitario, accentratore, burocratico, che era stato tipo
dell'Italia anche prima del fascismo.
Ma guai se, oggi, si ritenesse davvero che
il rimedio può trovarsi nel rompere il patto, nel
decidere di non stare più insieme, nell'obbedire
allo spirito della separazione, alle presunzioni ed
alle intolleranze delle etnie, delle stirpi, dei territori e delle risorse economiche.
Io ho vivo il ricordo di un grande dibattito in questa aula.
Nel 1946, quando all'Assemblea
Costituente si definiva l'assetto territoriale ed
amministrativo dello stato, dove avrebbe dovuto
collocarsi Imperia? Continuare a far parte della
Liguria, o dar vita - unendosi a Cuneo - ad una
sorta di piccola Occitania?
Il confronto affrontò questo tema e fu
accesissimo. Ma i fautori dell'una e dell'altra tesi,
e, in termini più espliciti, la sinistra e la
Democrazia cristiana, rappresentanti di classi e di
culture che nel vecchio Stato, avevano avuto condizioni subalterne e ruoli di opposizione antistatale - sia i cattolici che i socialisti ed i comunisti rivendicavano entrambi, nel 1946, quell'idea
nuova del regionalismno, dell'articolazione dello
Stato, del sistema delle autonomie, ma al fine di
un potenziamento dell'unità del popolo e della
nazione, e per l'obiettivo di una più forte solidarietà e di una maggiore efficienza dello Stato.
Il guaio - diciamolo con schiettezza - è
che, poi, l'ordinamento regionale è stato realizzato con un ritardo inaudito, soltanto nel 1970, ed è
stato realizzato male, con una serie di timidezze,
di riserve, di vincoli, per un'assurda paura politica: ed il guaio è che anche nei confronti dei
Comuni è spesso mancato il rispetto delle funzioni e dei poteri che ad essi affida la costituzione.
Richiamare la Repubblica ai suoi principi
vuol dire che si può e si deve tornare anche a
discutere dell'assetto territoriale dello Stato.
Certamente. Del rapporto fra Stato e cittadini; del
rapporto, anche, fra Stato, Regioni Provincie e
Comuni. Che si può discutere, anche, della configurazione delle facoltà e dei poteri delle Regioni,
avendo chiaro, però, che, sia per l'Italia, sia per
l'Europa, c'è una struttura-cardine: quella della
nazione, che sarebbe un errore e un rischio gravissimo tentare di spezzare. Che si miri ad un
orizzonte più vasto è giusto; è necessario. Ma
guai se si pensasse di poter costruire una nuova
comunità di popoli restringendo o frantumando
quella che, con lunga fatica, abbiamo edificato e
fatto vivere in Italia.
Anche dell'esperienza del governo della
nostra città, in questi decenni di vita democratica,
a me preme sottolineare come vi sia stato, in
generale, un rapporto equilibrato tra il sentimento
unitario di appartenenza e la dialettica politica e
programmatica.
Forse questo carattere risulta più evidente
e chiaro - o almeno, a me pare - nelle due prime
37 novembre / dicembre 2003
Documento
amministrazioni; quella Alterisio e quella Scajola,
che ebbero, entrambe, una spiccata fisionomia
politica - diciamo pure di parte: due amministrazioni fortemente caratterizzate - e che operarono
tuttavia costantemente in un confronto infuocato
ma senza alcuna venatura o concessione al particolarismo - ch'io ricordi - perché al centro, e
dominanti, erano, per tutti, i grandi temi della
ricostruzione e delle prospettive di sviluppo di
Imperia.
I progetti, le scelte delle amministrazioni,
i dibattiti e gli scontri del Consiglio comunale,
furono in quegli anni elemento essenziale, preminente, della vita cittadina: perché si avvertiva che
in campo, e al confronto, erano indirizzi e programmi di portata generale.
Per questo tratto di progettualità, per questa caratteristica di confronti tra visioni alternative, era così acuta l'attenzione, così partecipe l'interesse - e non solo perché gli imperiesi, come
tutti in Italia, vivevano ancora nell'accensione
esaltante della riscoperta della democrazia e della
politica.
E per queste affermazioni, vi prego di
non mettermi nella schiera dei lodatori del passato: non credo affatto che quei momenti, ed altri,
nella vita di Imperia, che sono stati positivi per
capacità di elaborazione, per impegno di operosità, per schiettezza di rapporti fra le forze politiche, debbano considerarsi irripetibili.
Una centralità del Comune deve, e può
essere riaffermata. Nella società civile e nello spirito di civica solidarietà è essenziale una centralità del Comune.
E, se a questo proposito un'opinione è
consentito di esprimere, magari un po' controcorrente, voglio dire che certamente importanti sono
le nuove regole, i nuovi compagni elettorali, che,
del resto, si sono già apprestati: ma prima, prima,
viene la politica, che resta decisiva per una rinascita.
Intendo la politica in senso lato, quella
che si affida alle idee ed ai progressi, e che si
esprime e si afferma nella moralità degli uomini,
nella limpidezza delle alleanze, nella serietà dei
propositi, le nostre radici, la conoscenza ed il
rispetto del nostro passato, quello più lontano e
favoloso dei nostri antenati e quello dei settant'anni di Imperia - che abbiamo voluto oggi
richiamare - ci diano vigore di intelligenza e
audacia di determinazione nel perseguire per la
nostra città una nuova e feconda stagione.
38 novembre / dicembre 2003
Ottantesimo anniversario della città di Imperia
Considerazioni sul passato,
proponimenti per l’avvenire
di Mauro Torelli *
La gran parte degli anniversari, specialmente nella ricorrenza della nascita di una città,
diventa occasione festivo-ludica e di riflessione.
Ottant’anni non sono molti nella vita di Imperia,
ma sufficienti per formulare considerazioni utili
per il futuro. I decennali hanno stimolato la pubblicazione di libri e articoli e offerto risultati di
ricerche le più diverse sui Comuni, e principalmente Oneglia e Porto Maurizio, poi confluiti
nella nuova città capoluogo. Non credo che la
memoria mi tradisca nel ricordare che nelle precedenti ricorrenze (ormai la mia partecipazione ai
decennali ufficiali ha superato il numero di quattro) avevo colto un interesse e un dibattito più
ampi. La perdita di interesse deriva dalla caduta
della partecipazione e della pratica politica di
massa e ciò deve preoccupare tutti i sinceri democratici e trarre da ciò un primo insegnamento.
Il messaggio che il centro-destra vuole
trasmettere, e non mi riferisco solo ai consiglieri
comunali, assessori, sindaco e ministro, ma al
complesso del sistema di potere che in esso si
riconosce, è che si è aperto un fulgido destino per
la città potendo essa contare su due pilastri: la
classe industriale, che ne ha guidato la crescita, e
gli amministratori, che interpretano creativamente
le intuizioni della borghesia nostrana.
Ma la realtà non è quella che viene dipinta dagli attuali governanti. La tesi che mi riprometto di esporre è che la borghesia cittadina non
abbia le capacità di evitare alla città il rischio di
decadenza, e che non possegga cultura e proposte
programmatiche adeguate.
Voglio rivisitare, anche attraverso le
esperienze personali, gli avvenimenti più significativi nel tentativo di coglierne gli aspetti ancor
oggi attuali e riproporli alla riflessione della sini-
stra e delle forze democratiche.
Tra i Comuni che hanno concorso a formare Imperia, capoluogo di una provincia geograficamente periferica ma straordinariamente
capace, Oneglia in particolare, tra la seconda
metà dell’ottocento e i primi venti anni del secolo
scorso, ha saputo esprimere la modernizzazione
dell’epoca assommando le capacità di un’avanguardia della borghesia imprenditoriale (erede
della miglior tradizione giacobina), capace di
coniugare sviluppo industriale, globalizzazione e
cultura, con quelle di coloro che diedero vita al
movimento organizzato dei lavoratori, dal Psi al
successivo Pci.
Penso specialmente a Mario Novaro,
l’imprenditore, l’intellettuale progressista, e alle
centomila copie della sua La Riviera ligure, che
accompagnavano la produzione olearia dei Sasso
conosciuta in tutto il mondo; ho in mente, sull’altro versante, la realtà che ha saputo esprimere, nel
corso del novecento, dirigenti di livello internazionale come Giacinto Menotti Serrati e
Alessandro Natta.
Lo sviluppo dell’economia portuale, simbolo di autogestione dei lavoratori che ci ricorda
l’esperienza viva delle società operaie, la crescita
dell’industria alimentare, di quella siderurgica e
dei relativi indotti sono stati il risultato di un progetto lungimirante sostenuto da borghesi illuminati che accettavano, ritenendola positiva, la normale dialettica con la nascente classe operaia.
Ancora oggi stupisce la dimensione dell’attività portuale ad Oneglia che in un ventennio
quintuplica il suo traffico1.
Si può ben dire che i portuali costituiscano il nerbo della giovane Camera del lavoro di
Oneglia, la più importante da Finale Ligure al
1 - Nel 1911 nel bacino di Oneglia si sono movimentate 97.912 tonnellate e in quello di Porto Maurizio 17.402. Nel 1891 a
Oneglia la movimentazione aveva riguardato merci per 21.485 tonnellate, mentre a Porto Maurizio il tonnellaggio era stato
di 8.104. Nel 1916, anche per gli effetti della guerra nell’Adriatico, a Oneglia si ebbe il record assoluto di movimentazione
nel bacino con 220.663 tonnellate e, analogamente, a Porto Maurizio con 67.725. Come utile raffronto, si ricorda che i due
bacini portuali complessivamente nel 1979 hanno movimentato 214.442 tonnellate (fonti: direzione generale ministero
Industria e Commercio; Istituto centrale di statistica; Consorzio Imperia-Piemonte).
39 novembre / dicembre 2003
confine, della quale due anni or sono si è celebrato il secolo di vita. I maggiorenti cittadini del centro-destra non ricordano in nessuna occasione le
molte centinaia di portuali che operavano anteriormente alla prima guerra mondiale: forse che
Leonardo Dulbecco, il console dell’epoca e primo
dirigente del neonato partito comunista d’Italia
nel 1921, non aveva dimostrato più capacità
imprenditoriale di qualche presunto industriale
ripetutamente ricordato tra i protagonisti della
crescita cittadina, ma che non è riuscito a difendere l’esistenza della propria azienda?
Purtroppo la prima guerra mondiale ha
dato un colpo grave all’economia del Paese e
quindi i lavoratori e le classi più umili sono stati
coloro che più hanno pagato la follia bellicista
con la penuria alimentare, le ristrettezze economiche, il mancato sviluppo, aspetti negativi ulteriormente accentuati dall’avvento del fascismo.
Nel 1915 Oneglia è stata una delle zone
dove più forte è stata l’opposizione alla guerra.
La città può essere orgogliosa di quei cittadini che bloccarono il 7 maggio la partenza
dalla stazione di Oneglia dei treni con i militari
diretti ai confini nord orientali in previsione del
conflitto. Quel movimento di massa fu particolarmente ampio perché supportato nella campagna
contro la guerra dal giornale socialista La lima e
dal Giornale ligure del cattolico onorevole
Giacomo Agnesi. È pur vero che l’importante
scelta pacifista dell’onorevole Agnesi si era
intrecciata con la sua tiepidezza verso l’unificazione della città, come anche l’aperta opposizione
dei conservatori della provincia che frapposero
ostacoli al percorso unitario scelto nel 1908 dalle
due amministrazioni comunali socialiste di
Oneglia e Porto Maurizio.
L’abbattimento della democrazia si è
manifestata con la brutalità del manganello, del
confino e degli imprigionamenti, ma ha comportato anche la compressione di energie vitali
espresse dalla presenza organizzata del sindacato
nell’azienda e dall’apporto, anche economico,
che scaturisce dalla libertà culturale. Non viene
ricordato a sufficienza il prezzo pagato dal nostro
turismo e dal nostro commercio a causa delle barriere doganali alzate in omaggio alla politica
autarchica del fascismo e alle conseguenti avventure coloniali. Intere generazioni di nostri concittadini sono state sottratte al lavoro produttivo e
alle loro famiglie e mandate a morire e a uccidere
in paesi lontani. Il riscatto è venuto ancora una
volta dal mondo del lavoro e dalle minoranze giacobine della borghesia illuminata.
Imperia è stata il fulcro della lotta antifascista. Durante il ventennio mussoliniano non è
mai venuta meno la presenza organizzata comunista e socialista che ha capitalizzato le esperienze
di lotta nell’esilio e nella guerra di Spagna.
La nostra città, capoluogo di una provincia decorata con la medaglia d’oro per la lotta
resistenziale contro i nazisti e i fascisti, ha pagato
il suo impegno per ritornare alla democrazia con
decine di caduti (sono stati circa milleduecento i
civili e i partigiani uccisi nella prima zona ligure),
con internati nei campi di concentramento.
Imperia è anche la città con quattro suoi
figli decorati di medaglia d’oro alla memoria (tre
delle quali attribuite a comunisti): ho trovato
increscioso che nelle celebrazioni ufficiali non sia
stato dato specifico rilievo al ricordo di questi
nostri concittadini, che invece devono comparire
in cima all’elenco dei benemeriti cui essere riconoscenti. L’unità della Resistenza, una forte componente in essa della sinistra socialcomunista, il
protagonismo della gioventù partigiana, in cui si
espressero significativamente anche le ragazze, e
i partigiani che, tra l’altro, impedirono ai tedeschi
di far saltare il porto minato, furono il terreno fertile su cui si innestò la rinascita della città.
L’elezione del Consiglio comunale, il
voto che indicò la maggioranza di sinistra con il
comunista Alterisio sindaco della città, la scelta
della Repubblica nel referendum sono stati gli
emblemi della rinascita della città nel secondo
dopoguerra. Un nuovo inizio fatto di entusiasmo
e difficoltà: fino ai primi anni cinquanta la città
ha convissuto con la disoccupazione di massa e i
lavoratori, con il loro sindacato hanno dovuto lottare duramente per ottenere che le fabbriche, gli
uffici e il porto riprendessero a operare a pieno
regime. L’aspetto più importante di quell’esperienza è stato il tirocinio di massa alla democrazia: la costruzione dei partiti, il ritorno di un sindacato autonomo, la formazione di una nuova
leva di amministratori, di dirigenti politici e sindacali hanno segnato la vera rinascita della città.
Anche su Imperia si sono riflesse le
vicende politiche generali e gli anni cinquanta e
sessanta sono stati assai difficili per i lavoratori.
La seconda e la terza generazione della
borghesia cittadina protagonista del decollo industriale si sono dimostrate impari alle necessità:
non più il gusto della ricerca di nuove strade, dei
40 novembre / dicembre 2003
rischi imprenditoriali calcolati, ma le attenzioni
furono dedicate alla speculazione edilizia e alla
finanza. Per lunghi anni, al contrario di quanto
avveniva nel resto della Liguria, i depositi negli
istituti di credito della provincia hanno di gran
lunga superato gli investimenti. Anche le maggioranze di centro e di centro-sinistra di quegli anni
riflettevano in Consiglio comunale la ritirata della
borghesia imprenditoriale.
La vicenda del Piano regolatore è emblematica. Le varie amministrazioni succedutesi
negli anni ‘50 e ‘60 non sono state in grado di
trovare un punto di equilibrio soddisfacente per
gli interessi della città. Le mediazioni si risolvevano sempre al rialzo in favore della speculazione
edilizia: il primo Piano regolatore fu approvato
soltanto nel 1973. L’ingordigia dei potentati locali
era enorme: Giovanni Parodi, sindaco Dc di
un’amministrazione di centro-sinistra, dovette
dimettersi in quanto non gli perdonarono l’adozione di uno strumento urbanistico dimensionato
solamente per una previsione di crescita della
città del cinquanta per cento (giova ricordare che
dopo trent’anni gli abitanti di Imperia non sono
aumentati!).
Aver ricordato le vicende del Piano regolatore mi ha fatto tornare alla mente una riunione
tenutasi nella sala Giunta del Palazzo comunale
nell’autunno del 1964, per esaminare il progetto
di Piano regolatore presentato dall’allora Giunta
centrista nel corso della quale il compagno onorevole Alberto Todros iniziò ai temi dell’urbanistica
il gruppo consiliare comunista e altri dirigenti di
partito presenti. L’incontro era stato voluto dal
compagno Giuseppe Gennari, capogruppo nel
consiglio di Imperia. Il capoluogo è cresciuto
anche per l’opera di persone come Giuseppe
Gennari, amministratore, dirigente politico e sindacale, un giovane della leva resistenziale, figlio
di contadini poveri, con un’educazione scolastica
elementare che, attraverso la militanza e lo studio
autodidatta, ha saputo dimostrare che esistevano
nuove forze, per ricostruire la casa comune colpita dalla guerra e dal fascismo e per impedire i
guasti che la speculazione e gli incapaci stavano
apportando alla città.
Le vicende politiche più generali hanno
pesato naturalmente sul capoluogo: la rottura dell’unità a sinistra, all’inizio degli anni sessanta,
culminata con l’alleanza del partito socialista con
la Democrazia cristiana e i partiti laici. Per oltre
un decennio Pci e Psi sono stati su fronti contrap-
posti. Poi, nel 1975 in occasione delle elezioni
amministrative e regionali è accaduto il grande
fatto politico della vittoria del Pci e del Psi con
l’elezione di una Giunta di sinistra, della quale
sono stato eletto sindaco, pur potendo contare
solamente su diciannove consiglieri dei quaranta
componenti il consiglio comunale.
L’importanza di quel lontano avvenimento risiedeva nel segnale di un possibile cambio di
fase politica. La tornata elettorale della primavera
del 1975 determinò una maggioranza di sinistra
nella Regione Liguria: il compagno Carossino ne
divenne presidente, mentre il compagno Rum
assunse la responsabilità assessorile del turismo e
dell’agricoltura. Per completezza di informazione
ricordo che in quel periodo i comunisti della provincia di confine potevano contare su due parlamentari, Franco Dulbecco deputato e Nedo
Canetti senatore, oltre che su Tito Barbé secondo
consigliere regionale.
In provincia di Imperia il Pci divenne
componente importante per la formazione di
maggioranze in molte amministrazioni locali: alla
riconferma dei comuni di Perinaldo, Diano San
Pietro, Badalucco e Montalto Ligure, si aggiungevano le nuove amministrazioni espressione di larghi schieramenti unitari quali Cervo, Cosio
d’Arroscia, Mendatica, Vessalico, Vasia, Soldano,
Airole, Rocchetta Nervina, Carpasio e Pigna.
Minoranze con la presenza comunista, furono
conquistate per la prima volta nei comuni di
Seborga, Triora, Molini di Triora, Isolabona,
Pontedassio, Dolceacqua.
L’elezione della giunta di sinistra nel
comune di Imperia avvenne nell’agosto del 1975,
nel contesto ricordato. Il ritorno del Pci alla guida
del Comune capoluogo sorprese molti, anche il
segretario regionale, compagno Montessoro, che
dalla località di vacanza in cui si trovava mi
telefonò, favorevolmente sorpreso, per conoscere
i dettagli della elezione della nuova amministrazione di sinistra e si offrì di interrompere le ferie
per le esigenze del caso. Lo rassicurai che, pur
non avendo una maggioranza precostituita, per
qualche mese non ci sarebbero stati problemi. Il
risultato elettorale era la contabilizzazione di lunghi anni di lotte che avevamo condotte contro il
centrismo prima e quindi contro il centro-sinistra,
una coalizione della quale il Psi non era stato in
grado di determinarne un orientamento antispeculativo e per un diverso sviluppo.
Le difficoltà del centro-sinistra non risie41 novembre / dicembre 2003
devano solo nei rapporti di forza interni alla coalizione sfavorevoli al Psi, ma nel fatto che il partito socialista non si poneva l’obiettivo di spostare
poteri a favore degli strati sociali esclusi, a partire
dai lavoratori. Sul finire degli anni sessanta c’era
stato un intreccio di lotte locali con quelle più
generali. La lotta contro il governo Tambroni nel
1960 segna l’ingresso di un nuova leva di giovani
antifascisti che daranno linfa alle battaglie contro
il terrorismo nero e contro le trame dei servizi
deviati di fine decennio.
L’ingresso in politica dei ragazzi e delle
ragazze con le magliette a strisce si saldò con i
militanti della Resistenza storica e rafforzò le
molte iniziative contro il fascismo, in difesa delle
istituzioni democratiche, del lavoro e dei diritti.
Manifestazioni possenti posero le premesse per la
formazione di comitati unitari antifascisti. Si svilupparono lotte per il diritto alla casa, in difesa
delle fabbriche imperiesi contro il loro smantellamento, per lo sviluppo dei traffici portuali, per
l’acqua, per i servizi sociali. I lavoratori
dell’Italcementi in quel periodo in cassa integrazione a zero ore testimoniavano l’agonia di un’azienda in cui solo pochi anni prima lavoravano
più di duecento dipendenti. Renzetti, Solerzia,
Niggi e Uop, aziende che complessivamente
impiegavano oltre centosettanta dipendenti, oscillavano in continuazione tra cassa integrazione e
minacce di chiusura. Ridimensionamento e chiusura che aveva riguardato la Berio e i suoi oltre
cento dipendenti e difficoltà che non lasciavano
tranquille le altre aziende olearie. I dati sono univoci: in dieci anni nel capoluogo si erano persi
oltre cinquecento addetti nell’industria.
Il 15 marzo 1973 venne dichiarato unitariamente dalle organizzazioni sindacali lo sciopero generale cittadino per rivendicare un nuovo
sviluppo economico per Imperia. La spinta sociale era molto forte, come dimostra l’adesione all’iniziativa delle amministrazioni comunale e provinciale, oltre a tutte le più diverse organizzazioni
politiche e sociali: l’Unione commercianti e il Pli
preferirono prendere le distanze.
Fu una grande giornata di lotta, con oltre
settecento partecipanti al comizio di chiusura
della manifestazione.
La crisi energetica dei primi anni ‘70, le
errate scelte che avevano favorito la politica della
seconda casa, lo scempio del territorio, l’inquinamento ambientale, in sostanza la terziarizzazione
dell’economia, avevano portato a una crisi pagata
anche dagli artigiani e dai commercianti (nel solo
1974 avevano chiuso i battenti ottanta esercizi
commerciali del settore alimentare).
Il Pci seppe intercettare la delusione e le
preoccupazioni dei settori colpiti dalle contraddizioni capitalistiche e dalle errate scelte, in favore
della speculazione e dal parassitismo, dei diversi
governi centrali e locali incentrati sulla Dc, ora
alleata con la destra, ora con i socialisti.
La maturità politica del mondo del lavoro
era stata aiutata dalle grandi lotte per l’acqua, iniziate nel 1967 (occupazione per ventiquattro ore
del Comune da parte del gruppo Pci) e culminate
nell’estate del 1970 con l’enorme manifestazione
cui parteciparono migliaia di persone di fronte al
palazzo comunale e che ottenne significative conquiste (non pagamento delle bollette dell’acqua
all’Amat, acqua minerale a prezzo politico, accelerazione nelle scelte per la razionalizzazione
della rete idrica cittadina e individuazione delle
nuove fonti di emungimento idrico).
Da quella lotta nacquero i Comitati di
quartiere che per alcuni anni (fino all’approvazione della legge sull’istituzione dei Consigli di circoscrizione) promossero una nuova leva di cittadini alla partecipazione politica, pesarono nella
definizione delle linee del Piano regolatore generale adottato nel 1973 e organizzarono impegnative battaglie per ottenere nuovi servizi sociali, tra
le quali merita una menzione particolare quella
condotta nel quartiere Primavera (ex ferriere).
Furono anni di lotte per il posto di lavoro,
per un diverso tipo di sviluppo, lotte antifasciste e
in difesa dei diritti civili che hanno avuto, queste
ultime, la massima espressione nella campagna
referendaria in difesa del divorzio.
Ed è il risultato enormemente positivo in
favore del NO all’abrogazione della legge sul
divorzio ottenuto ad Imperia che segnalava ulteriormente come il clima politico stava cambiando
anche in una realtà governata da molti lustri dalla
Dc e dalle forze del moderatismo.2
2 - La provincia di Imperia con il 72,7% di NO (ricordiamo che a livello nazionale i NO ottennero il 59,3%) si collocava tra
le prime dieci province, addirittura terza provincia d’Italia sui potenziali NO, con un incremento di quasi il 20 per cento.
La Liguria è stata la regione d’Italia con la più alta percentuale di NO e la nostra provincia la seconda della regione.
Nella nostra città la percentuale di NO è stata ancora più eclatante con 20.174 NO (75.65%) e punte oltre l’ottanta per cento
dei suffragi nelle zone popolari.
42 novembre / dicembre 2003
Nel febbraio del 1975 si svolse a Imperia
l’XI Congresso provinciale del Pci.
In quella occasione il partito comunista
aveva valutato il miglioramento dei rapporti con
il Psi, anche se non mancavano i motivi di frizione, rispetto ai tre anni precedenti e sulla base di
un giudizio complessivo si era posto l’obiettivo di
ottenere, con la tornata elettorale di primavera,
una nuova direzione politica della Regione
Liguria e negli enti locali più rappresentativi.
A testimonianza del migliorato clima a
sinistra si ricordava come dopo il 1972 a
Cipressa, Costarainera e San Lorenzo Pci e Psi
uniti si erano affermati nelle elezioni amministrative, in contrapposizione alla Democrazia cristiana e alle forze moderate.
È in tale contesto, pertanto, che ci si
avviava alle elezioni amministrative nel capoluogo3 dove Pci e Psi avanzarono in voti, percentuale
e seggi. L’amministrazione di sinistra non aveva
la maggioranza precostituita nel Consiglio comunale di Imperia; ma non ricordo, sicuramente non
in Liguria, una esperienza dove il movimento di
massa sia riuscito per oltre sei mesi (tale è stata la
durata del mandato), con continuità, ad esercitare
influenza sulle decisioni del Consiglio comunale,
che approvò sempre le proposte della Giunta,
interprete delle aspettative dei cittadini in lotta.
In quel tempo confidavamo che lo sviluppo della situazione politica nazionale contribuisse
a sbloccare anche quella nel capoluogo.
Pensavamo possibile uno spostamento a sinistra
dei partiti socialdemocratico e repubblicano locali: del resto, senza l’aiuto indiretto di alcuni loro
consiglieri non sarebbe neppure iniziata la nostra
esperienza amministrativa.
Dovevamo conciliare la politica del compromesso storico proposta dal Pci nel 1972, dopo
i tragici avvenimenti del Cile, con il contemporaneo mantenimento a livello locale della priorità
dell’alleanza tra Pci e Psi e in alcune realtà possibilmente anche con il Pri e il Psdi. La segreteria
nazionale del Psi condotta dal compagno De
Martino, l’unità della Cgil, la comune presenza di
socialisti e comunisti nel movimento cooperativo,
nelle organizzazioni professionali e di massa, ci
facevano sperare bene.
Il nostro ottimismo poggiava, soprattutto,
sulla presenza di un forte movimento di cittadini
e lavoratori che viveva la partecipazione politica
nella quotidianità. Purtroppo gli sviluppi successivi sono stati diversi. In un differente contesto mi
riprometto di riflettere sugli errori e le contraddizioni, non esplorati a sufficienza, che hanno
segnato i vari passaggi nei lustri successivi.
Ricordo comunque quella esperienza
come parte di una grande stagione politica.
La nostra generazione è in debito con i
giovani d’oggi per non essere stata in grado di
sviluppare, o almeno difendere, gli spazi di
democrazia. La nostra speranza è fornire, anche
in misura ridotta, un aiuto ai nuovi militanti affinché essi trovino i modi e le forme per poter assaporare il piacere, che abbiamo provato noi, di
vivere la passione politica che invera, anche parzialmente, i progetti. L’augurio è che essi siano
più capaci di noi e la stagione delle auspicate
future conquiste politiche non sia di breve
momento, ma con radici tali che ne impediscano
l’estirpazione.
* Presidente ARS di Imperia
3 - Risultati elezioni comunali a Imperia
1970
%
PCI
6703
PSIUP
692
PRI
843
PSI
2652
PSDI
2913
PLI
1819
DC
10510
MSI-DN
Voti
validi
26132
25,65
2,65
3,23
10,15
11,15
6,96
40,22
seggi
1975
%
11
1
1
4
4
2
17
9762
33,91
14
1347
3510
1667
979
10470
1057
4,68
12,19
5,79
3,40
36,36
3,67
2
5
2
1
15
1
40
28792
seggi
40
v. diff.
+ 3059
- 692
+ 504
+ 858
-1246
- 840
- 40
+1057
+ 2660
43 novembre / dicembre 2003
%
8,26
- 2,65
1,45
2.04
- 5,36
- 3,56
- 3,86
3,67
seggi
+3
-1
+1
+1
-2
-1
-2
+1
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novembre - dicembre 2003 - Associazione per il Rinnovamento