SOMMARIO Eccezionale successo della Cgil-Scuola in regione e, in particolare della provincia di Imperia di Franca Natta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 Il distretto agro-alimentare e la dieta mediterranea, occasione per Imperia di Giovanni Trebini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 La questione del capitalismo di Enrico Revello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 Incontro tra le municipalità del Sud America e della Catalogna di Roberto Natta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18 Per una sinistra meno strutturata di Vittorio Coletti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 Dar vita a un programma per Imperia, alternativo all’amministrazione di centro-destra di m. t. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23 Un altro mondo è possibile a partire dalla centralità dell’ambiente di Gabriella Badano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24 Contrastare l’idea di una città senza futuro di Marco Beltrami . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 Appunti per un’alternativa di Pasquale Indulgenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29 Prospettive di sviluppo della nostra città di Giovanni Trucco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31 Una manifestazione ufficiale ufficiale dove è mancata la pluralità politica di Carla Nattero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 Centralità del Comune, solidarietà, unità del popolo e della nazione di Alessandro Natta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35 Considerazioni sul passato, proponimenti per l’avvenire di Mauro Torelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39 1 novembre / dicembre 2003 PAGINE NUOVE DEL PONENTE bimestrale di politica e cultura ANNO V n. 6 - novembre / dicembre 2003 (uscita n. 15) Direttore responsabile LUCIANA ZANETTA Autorizzazione Tribunale di Imperia n. 3/99 In redazione: PIERO DE NEGRI, FRANCA NATTA, CARLA NATTERO Sede presso SOMS (g. c.) - via Santa Lucia, 14 18100 Imperia Oneglia Tel. 0183 293643 Proprietà ASSOCIAZIONE PER IL RINNOVAMENTO DELLA SINISTRA - IMPERIA Impaginazione e stampa Centro Editoriale Imperiese Imperia Direttore politico - Presidente GIUSEPPE MAURO TORELLI Questo numero è stato chiuso Copertina ARMANDO SABATELLA il giorno 14.02.2004 2 novembre / dicembre 2003 Elezioni R.S.U. dicembre 2003 - Risultato importante Eccezionale successo della Cgil-Scuola in regione e, in particolare, nella provincia di Imperia di Franca Natta * Nella nostra provincia i segnali di condivisione del personale della scuola nei confronti delle scelte della Cgil e dell’impegno organizzativo sul territorio erano già evidenti nell’andamento del tesseramento, ma i risultati delle elezioni delle rappresentanze sindacali sono andati ben oltre, sia in termini di partecipazione al voto, sia negli esiti. La Cgil-Scuola, in regione, si conferma il primo sindacato, con quasi il 39% di consensi, con una crescita eccezionale (nel 2000 la percentuale era stata del 30,91%). I risultati sono stati ottimi in tutte le province, ma il dato eccezionale è quello di Imperia, che ha ottenuto un incremento di oltre il 10%, in un territorio che non è stato mai facile per il nostro sindacato. Un caldo ringraziamento va a tutte le persone che hanno contribuito a raggiungere questo risultato: alle candidate e ai candidati; alle elettrici ed agli elettori, che hanno riconosciuto l’impegno della Cgil in difesa della scuola pubblica e dei suoi lavoratori. I risultati di questo livello sono sempre il frutto di un impegno corale, collettivo, che va dalle scelte nazionali a quelle locali, ma non c’è dubbio che i dati provinciali siano anche un riconoscimento dei consensi che ottiene il lavoro del segretario provinciale, Stefano Fantini, che è schivo in questi momenti di festeggiamento, non ha voglia di fare dichiarazioni, vuole che i dati parlino da soli, ma noi sappiamo che il valore aggiunto dei risultati provinciali è dovuto al lavoro del gruppo dirigente locale e all’impegno personale del segretario. Il momento dell’euforia è bello, necessario, importante, ma subito dopo viene il momento della responsabilità: ora tutti dobbiamo impegnarci di più, chi ci da dato il consenso si aspetta la nostra ferma presenza nella fase difficile e confusa che sta vivendo la scuola pubblica. * Presidente regionale Proteo 3 novembre / dicembre 2003 4 novembre / dicembre 2003 Composizione dei delegati Rsu Cgil-Scuola sono stati eletti complessivamente 36 delegati (20 nel 2000) con un incremento del 55,5% e di questi, 27 sono docenti dei vari ordini scolastici e 9 sono del profilo amministrativo (3 assistenti amministrativi e 6 collaboratori scolastici). Si rispecchia la percentuale tra aventi diritto al voto e rappresentanti dei diversi profili presenti nella scuola. In 7 scuole della Provincia la Cgil ottiene 2 rappresentanti Rsu su 3, dato nuovo in assoluto e presente in realtà diverse (Val Nervia, media di Ventimiglia, media di Bordighera, media Sauro di Imperia, liceo di Sanremo, ITIS e Ruffini di Imperia). Dei 20 eletti nel 2000, 18 si sono ripresentati e sono stati tutti rieletti nel 2003, mentre gli altri 2 non sono più in organico scolastico. In tutte le scuole dove eravamo presenti abbiamo portato a termine, in prima persona, almeno una contrattazione, cosa non facile, data l'esperienza assolutamente nuova delle Rsu nelle scuole. 5 novembre / dicembre 2003 Distretto Votanti Voti Sns-Cgil Distretto Imperia 1134 430 16 38% Distretto San Remo - Taggia 1040 221 9 21% Distretto Ventimiglia 701 233 11 33% Ordine di scuola Votanti Circoli didattici 985 212 21,5% Istituti comprensivi 355 132 5 37% Scuole medie I grado 545 225 10 41% Scuole medie II grado 990 315 10 32% di cui professionali 293 40 2 Voti Sns-Cgil deleg. % % 13,6% Su 37 istituzioni scolastiche autonome sono state presentate: liste Sns-Cgil in 33 scuole, mentre in altre quattro non siamo stati presenti; in 3 circoli didattici (1 a Ventimiglia, 2 a Taggia e Arma e in un istituto professionale (l’Alberghiero di Arma), dove il sindacato Scuola-Cgil non era presente neppure in occasione delle elezioni del 2000 (erano state presentate liste in 25 scuole su 37). Considerazioni di politica scolastica Dove c'è stata più presenza continuativa, la Cgil-Scuola ha ottenuto ottimi risultati (Imperia; in genere dove ci sono quadri storici nelle medie e nelle superiori; zona di Ventimiglia). Nota positiva: nuova è la presenza nei circoli di Sanremo, dove la Cgil-Scuola non esisteva e, al semplice apparire, ha raccolto l'insoddisfazione del personale. Nota negativa: la zona di Arma di Taggia e le scuole professionali, che risentono degli errori di impostazione politica già presenti nella riforma Berlinguer dove non c’era prospettiva di sviluppo qualitativo e ora in attesa di essere riconsegnate nel limbo delle regioni (sulla mentalità del personale di queste scuole pesa anche la visione utilitaristica di molti liberi professionisti che lavorano in tali istituti). Sul risultato degli altri sindacati scuola è da sottolineare che: => lo Snals è storicamente fortissimo nella nostra provincia soprattutto per il servizio di consulenza agli iscritti e per numero di distacchi sindacali (4 distaccati oltre al segretario regionale). Mantiene la maggioranza assoluta dei voti espressi, ma inizia a pagare la sua posizione ufficialmente non schierata politicamente e perde la maggioranza in 7 scuole, soppiantato dalla Cgil. È utile ricordare che la percentuale occupati/iscritti su tutti i sindacati nella scuola si avvicina al 70%, media altissima; => la Uil è praticamente assente sul lato consulenza: ha approfittato della caduta libera della Cisl e di una rete di conoscenze, specie nel personale ATA, che le ha permesso di presentarsi in molte scuole e quindi di raccogliere piccoli risultati, ma nel complesso visibili; => la Cisl ha sofferto la mancanza di una chiara presa di posizione sulla riforma, poiché i quadri storici sono stati lasciati soli, con una contraddizione stridente tra livello scuola e livello confederale. 6 novembre / dicembre 2003 7 novembre / dicembre 2003 ASSOCIAZIONE PER IL RINNOVAMENTO DELLA SINISTRA DI IMPERIA Assemblea nazionale eletta il 7-02-2004 Aldo Tortorella Paola Agnello Mario Agostinelli Giorgio Airaudo Fabio Alberti Mario Alcaro Andrea Amaro Giancarlo Aresta Gaetano Arfè Franco Argada Fulvia Bandoli Francesco Barbagallo Imma Barbarossa Vittorio Bardi Massimo Battaglia Riccardo Bellofiore Tom Benettollo Marco Berlinguer Pina Bevivino Annamaria Bonifazi Emo Bonifazi Marisol Brandolini Adriana Buffardi Gloria Buffo Franco Calistri Aldo Carra Sergio Caserta Luciana Castellina Gianluca Cerrina Vincenzo Cilia Ruggero Cinti Giuseppe Chiarante Giulietto Chiesa Giuliano Colazzilli Sirio Conte Rocco Cordì Giorgio Cremaschi Elettra Deiana Cecilia D’Elia Luciano Della Vecchia Luca De Fraia Giuseppe Di Falco Antonio Di Meo Piero Di Siena Mario Dogliani Eugenio Donise Antonio D’Orazio Tommaso Esposito Donatella Esposti Luigi Ferrajoli Nino Ferraiuolo Franca Ferrulli Roberto Finelli Vladimiro Flamigni Marco Fumagalli Guido Galardi Domenico Gallo Francesco Garibaldo Aldo Garzia Massimo Gatti Donatella Gavarini Alfonso Gianni Alfiero Grandi Dino Greco Domenico Iervolino Massimo Ilardi Giuseppe Lavorato Alberto Leiss Betty Leone Andrea Ligorio Guido Liguori Carlo Lucchesi Giorgio Lunghini Lucio Magri Salvatore Maricchiolo Dario Marini Giacomo Marramao Gianni Mattioli Ugo Mazza Enrico Melchionda Giorgio Mele Sandro Mezzadra Igor Mineo Adalberto Minucci Carlo Montaleone Sandro Morelli Corrado Morgia Clelia Mori Loredana Mozzilli Milena Naldi Paolo Nerozzi Nerio Nesi Carla Nespolo Venanzio Nocchi Alessio Olivieri Franca Ormindelli Costantino Pacioni Valentino Parlato Giampaolo Patta Gianluigi Pegolo Fulvio Perini Paolo Peruzza Nadia Peruzzi Stefano Petrucciani Luciano Pettinari Giuseppe Pierino Marialba Pileggi Silvana Pisa Roberto Pizzuti Giuseppe Prestipino Andrea Pubusa Carla Ravaioli Gianni Rinaldini Tiziano Rinaldini Anna Maria Riviello Ersilia Salvato Cesare Salvi Gianpasquale Santomassimo Mario Santostasi Silvio Sarfati Paola Scarnati Antonello Sechi Scipione Semeraro Massimo Serafini Tiziana Serra Iacopo Simi Tonino Siviero Concetto Scivoletto Giuseppe Stea Ugo Spagnoli Pierlorenzo Tasselli Claudio Tonel Mauro Torelli Sofia Toselli Sergio Tosini Chiara Valentini Stefano Vinti Vincenzo Vita Ersilia Vitiello Aldo Zanardo 8 novembre / dicembre 2003 Convegno tenuto a Imperia il 14 novembre 2003 Il distretto agro-alimentare e la dieta mediterranea, occasione per Imperia di Giovanni Trebini * Nel febbraio di quest’anno Cgil Cisl e Uil d’Imperia sottoscrivevano un documento sulla crisi dell’industria dell’estremo ponente ligure. Quel documento, oltre ad essere attualissimo, invitava le istituzioni, cito tra virgolette, «a rispondere alle sollecitazioni che vengono dal mondo del lavoro, in particolare costruendo insieme una nuova politica industriale in grado di rilanciare le imprese dell’Imperiese» e individuava nella costituzione del distretto industriale agro-alimentare, cito sempre da quel documento «un’opportunità da cogliere, superando le perplessità esistenti, coinvolgendo direttamente i Comuni interessati, la Provincia e la Regione in un progetto d’ampio respiro, in grado di promuovere una politica del territorio che soddisfi il rilancio dell’industria». Potrebbe essere sufficiente il richiamo ora citato per attenderci già da questo convegno risposte concrete nel merito. Imperia non è città industriale, non è provincia industriale, ma noi siamo convinti che quel poco di realtà industriale che abbiamo e che ci è rimasto, soprattutto a seguito della grande crisi che ha colpito il settore negli anni novanta, vada comunque conservato e difeso. Quella crisi forse è alle spalle, ma per guardare con ottimismo al futuro è necessario non perdere occasioni di sviluppo. Per creare occasioni di sviluppo è indispensabile avere idee e produrre progetti di sostegno quali, appunto, i distretti industriali. Una parte rilevante del settore industriale italiano, quella parte che ha lavorato sull’innovazione, sia di processo che di prodotto, è sempre più in sofferenza, perché si rende conto che con le ricette semplificate, basate esclusivamente sui costi, e in particolare sui costi che sanciscono diritti, non si va da nessuna parte, perché ci sarà sempre, in qualche parte del mondo, chi offre di più a meno. La costituzione del distretto agro-alimentare non può essere, quindi, il dono che abbassa il livello di protezione e di diritti dei lavoratori, anzi, se così fosse, questo dono non solo ci preoccuperebbe riceverlo, ma lo rifiuteremmo seduta stante; noi siamo certamente per una piena occupazione, ma soprattutto per una buona occupazione. Non si può creare un sistema industriale più avanzato se non si mette in campo una capacità d’investimento in ricerca e innovazione che le aziende da sole, ne siamo convinti, non sono in grado di sostenere; ma neppure si può pensare che si possa fare qualità, in questo caso qualità di prodotti alimentari, seguendo la via bassa del risparmio sulla mano d’opera. I distretti industriali sono uno degli strumenti economici del futuro e sono parte di quel possibile e auspicato rilancio anche dell’industria imperiese, a condizione che si segua l'altra direzione, quella della qualità appunto, attraverso investimenti in ricerca. Com’è noto, i distretti industriali sono sistemi produttivi locali, relativamente circoscritti dal punto di vista territoriale, caratterizzati, però, da un'elevata concentrazione d’aziende, specializzate in un particolare tipo di produzione. È l’occasione, quindi, non solo per tentare di rilanciare l’industria imperiese, ma di renderla sistema. Uno dei tratti distintivi dei distretti industriali italiani è il loro peculiare disegno organizzativo, caratterizzato da un’identità forte associata ad alcuni elementi tipici quali: la specializzazione in un settore manifatturiero, la divisione del ciclo produttivo tra le imprese del territorio, l'alto grado d’imprenditorialità, la compenetrazione tra la vita sociale e quella economica. Sulla compenetrazione tra la vita sociale e quella economica il libro dal titolo Cibo come 9 novembre / dicembre 2003 Media, motivo di questo convegno, offre diversi spunti. Prefigura da parte delle Istituzioni un’attenzione particolare nel relazionare i processi e, da essi, la nuova filosofia che ne scaturisce agli atti di governo della città. I processi di deindustrializzazione, anche ad Imperia, hanno lasciato ampi spazi fisici, ma anche spazi vuoti. Gli strumenti di governo dell’economia possono colmare gli spazi e i vuoti, ma, com’è noto, essi hanno anima se c’è la volontà politica. Un’iniziativa di reindustrializzazione dirigistica, per lo più distante dalla vita quotidiana del territorio rischierebbe di rimanere avulsa o neutra. Solo con una forte iniziativa di coinvolgimento sarà possibile raggiungere un risultato che arricchisca e intensifichi l'innovazione culturale e sociale. Le Istituzioni, quindi, hanno per noi l’obbligo politico di coinvolgere. Si apra un confronto vero con noi, con tutte le associazioni di rappresentanza sociale, per definire la qualità e la quantità dei progetti, si facciano vivere tra le persone le decisioni che saranno prese. Una politica non facile ma indispensabile. La complessità delle analisi potrebbe portarci, però, ad una mera elencazione di questioni, anche utile al convegno, ma con il rischio, di ampliare talmente lo spettro della nostra azione, sconfinando nel campo della politica più propriamente a carico delle istituzioni, responsabili, esse sì, della politica del territorio. Perciò chiederò all’autore del lavoro Cibo come Media, che stamani è presentato, di contribuire con la sua esperienza ad indicarci i punti di partenza e quelli di possibile approdo. Nel passaggio dalla città delle industrie alla città dei servizi, che non è la città senza le industrie, anzi, con le industrie di qualità, il rapporto tra la vita sociale e quella economica si trasforma, modifica l’impianto ed è sollecitata una nuova domanda, sia di lavoro, e quindi d’occupazione, che culturale. Per noi una cosa è certa: l’ambiente che ci circonda, la qualità degli alimenti di cui ci nutriamo, il nostro tempo libero, il godimento della ricchezza di cui disponiamo non possono restare fuori dell’agenda politica; non lo sono, come si capisce, fuori della nostra. Noi chiediamo al governo locale di rispondere con quale scelta economica, industriale, urbanistica voglia governare, per far vivere la nuova città; quali sono i punti d’aggregazione e i percorsi culturali; quali i luoghi d’intrattenimento urbano; quali i luoghi della ricreazione e del gioco; quali i luoghi del teatro e della musica; e quali, perché no, gli itinerari e le filosofie gastronomiche. Le risposte non possono attendere oltre, perché consideriamo questi fattori sempre più decisivi per la qualità della vita dei cittadini. L’accordo, siglato il 1° aprile 2003, tra OO.SS ., Associazione Industriali d’Imperia, Comune e Agnesi 1824, legittima la nostra richiesta di verifica, essendo ormai trascorso il tempo delle attese, attese di atti che altri dovevano compiere, essendo concluso e definito il quadro d’incentivi previsti per il nuovo porto e per l'area ex Olea e, inoltre, in fase di definizione, il progetto dell’area ex Ferriere, che insieme rappresentano, appunto, il ridisegno di una parte importante della città. Mettere in relazione questi due progetti con il resto del territorio, e con il distretto industriale agro-alimentare, è compito delle Istituzioni e questo convegno ha il compito di un sollecito. Noi pensiamo che il distretto possa svolgere un ruolo politico ed economico molto importante, per contribuire a rilanciare la filiera dell’olio e consolidare la produzione della pasta. Olio e pasta, due alimenti base della cosiddetta Dieta Mediterranea. Sui testi, che sono a nostra disposizione, si legge che «le civiltà mediterranee lo hanno usato l’olio nei modi più disparati, come detergente, lubrificante, combustibile, come valuta di scambio o come medicina». E ancora che «il resto del mondo sta scoprendo l'olio d'oliva, il più versatile succo mai estratto da un frutto». Che «le popolazioni dell'area mediterranea hanno il minor tasso di patologie cardiache di tutto il mondo occidentale». Che «l'olio d’oliva favorisce la maturazione del sistema nervoso centrale e le capacità di difesa dell'organismo dall'attacco d’agenti ossidanti alla base di molti processi fisiologici e patologici quali, ad esempio, l'invecchiamento, l'infiammazione, l'emolisi e perfino la cancerogenesi». Inoltre sembra che la popolazioni del bacino mediterraneo, che abitualmente consuma10 novembre / dicembre 2003 no prevalentemente olio d’oliva, siano più protette dal rischio di trombosi rispetto a quelle che invece consumano grassi saturi d’origine animale. Per vivere bene, quindi, si deve mangiare bene. Ormai tutti sanno che un’alimentazione sana e corretta contribuisce in modo determinante al nostro benessere quotidiano. Importanti studi a livello mondiale hanno dimostrato che la dieta mediterranea è il modello ideale d'alimentazione. Completa ed equilibrata, non solo fornisce ai nostri organismi tutti i principi nutritivi necessari per sentirsi in forma, ma previene anche l'insorgere di numerose malattie. Un elisir di lunga vita che permette di non rinunciare alla varietà e al sapore dei cibi. La pasta, insieme all'olio d'oliva, dunque, è uno degli abbinamenti di cibo più rappresentativi della tradizione mediterranea. Queste affermazioni sono in larga parte conosciute e condivise in una provincia dedita alla coltivazione dell'oliva e della sua trasformazione, e che ancora annovera, tra le industrie principali, produttori d'olio di qualità e uno dei maggiori produttori di pasta italiani. Nonostante ciò, stenta ad affermarsi l'opinione che, legando insieme pasta e olio, si possa andare alla conquista di nuovi mercati: perché? Le esperienze italiane fin qui vissute e concretizzate dai distretti industriali alimentari, ci possono relativamente aiutare. Infatti, i distretti che conosciamo sono in parte già inseriti in un sistema economico forte, il resto si dedicano all'attività prevalente del territorio. Alcuni esempi: a San Benedetto del Tronto il settore ittico, a San Daniele del Friuli il prosciutto, a Nocera Inferiore Gragnano le conserve vegetali e, inoltre, a Parma il latte con i suoi derivati e i salumi. Il sistema produttivo imperiese, pur debole e dimensionato, insieme al distretto può invece proporre una multiproduzione forte, perché ricca di valori oggettivi come la salute, il clima, il paesaggio, il corretto uso del territorio e la sua cultura. Tutti elementi dalla cui integrazione scaturiscono le specificità, le tipicità da valorizzare come beni rari e diversi. Il distretto per noi, quindi, dovrà prevedere una molteplicità d'intrecci, coinvolgenti e vantaggiosi per tutti i soggetti, ad iniziare dai produttori coltivatori. Oggi, infatti, scontiamo almeno due contraddizioni: la prima è che il settore primario sarà anche imputato, ma è altrettanto vero che è vittima degli impatti ambientali che le modalità di fare industria del recente passato ci hanno lasciato in eredità; un modello da non ripercorrere. La seconda è che la legge costitutiva dei distretti industriali non prevede la partecipazione di imprese agricole e che, quindi, è necessario trovare altre forme di partecipazione di questi fondamentali soggetti. Riuscire nell'intento di aggregare, stante i vincoli della legge regionale, peraltro perfettibile, è opera che solo la politica può svolgere: i consiglieri regionali eletti dalla provincia di Imperia, il governo della provincia di Imperia. Lo sviluppo, la convenienza economica, la buona occupazione che noi vogliamo debbono essere il frutto di ampie convergenze, in un sistema che sia in grado di fare mercato. Non, quindi, intraprese elitarie e magari isolate, non questa o quell’altra azienda del territorio, ma un sistema di aziende. Quelle che comporranno il distretto industriale, quelle direttamente e indirettamente coinvolte. Ciò nonostante, si deve procedere celermente, perché, come s’intuisce, noi pensiamo, rispetto alle procedure del distretto agro-alimentare, di avere già accumulato qualche ritardo. Invitiamo, quindi, il comune d’Imperia, il signor sindaco, a farsi promotore, nei confronti nostri, dell’Unione industriali, della CNA e della Confartigianato, di un’iniziativa che coinvolga i soggetti ad una comune dichiarazione d’intenti. Alcuni dati, comunque, rilevano che i distretti sono uno dei grandi motori dell'economia italiana, e occupano già oggi oltre 2.200.000 lavoratori (circa il 40 per cento dell'occupazione manifatturiera). L’elemento di forza dei distretti industriali sta soprattutto negli scambi internazionali: infatti risulta che circa un terzo delle esportazioni italiane, in particolare la grande gamma dei prodotti conosciuti nel mondo come made in Italy, sia generato da aziende che operano nei distretti industriali. Guardare con attenzione al mondo che compete, avendo particolare riguardo, sia agli aspetti materiali, sia agli aspetti culturali. 11 novembre / dicembre 2003 In un contesto economico globale caratterizzato da una maggiore competizione tra stati ed economie e da una nuova divisione internazionale del lavoro, dobbiamo mettere al centro della nostra proposta politica il sapere, la conoscenza, le nuove tecnologie e i nuovi linguaggi. La formazione, quindi, dovrà avere quella funzione di continuità e di qualità che ancora oggi non ha. La formazione professionale e continua dovrà essere messa a disposizione delle necessità; il distretto e le industrie che vi aderiranno dovranno esigere che il fabbisogno sia soddisfatto. Il distretto industriale dovrà, a nostro modo di vedere, altresì favorire i processi d’investimento sulla qualità e sicurezza alimentare. Siamo convinti che la sicurezza alimentare debba essere un diritto universale, socialmente indispensabile, che, insieme alla qualità e alla tipicità delle produzioni, possa rappresentare quel valore aggiunto che fa la differenza. L’immagine ed il contenuto del cibo italiano nel mondo sono una grande opportunità di sviluppo. Aumentiamone insieme il peso. Ci sono, purtroppo, colpevoli ritardi sul piano della messa a regime di sistemi di sicurezza alimentare e sul piano della completa attuazione di protocolli, finalizzati alla stessa sicurezza ed alla qualità dei prodotti. Il distretto industriale deve puntare sulla sicurezza dei prodotti della filiera, per ottenere un forte elemento di competizione. Infine l’Università: l’università, ci pare, debba essere il soggetto indispensabile per vincere. La politica, le istituzioni, lavorino da subito affinché la facoltà della scienza dell’alimentazione approdi anche ad Imperia. Le imprese del distretto, il parco tecnologico potrebbero, creando la domanda, sistemizzare anche la ricerca. Indurre gli istituti di ricerca a territorializzare la loro missione, ma questo obiettivo diventa raggiungibile solo attraverso una condizione, e cioè coinvolgendo anche in questi progetti il polo universitario imperiese. Mi auguro che questa introduzione possa aver dato qualche spunto utile. * Segretario provinciale Flai - Cgil 12 novembre / dicembre 2003 Il 25 gennaio ad Imperia si è tenuto il congresso provinciale del partito dei Comunisti italiani del quale riproduciamo un’ampia sintesi della relazione introduttiva La questione del capitalismo di Enrico Revello * Nel lontano 1935 Harold J. Laski nel saggio Democrazia in crisi scriveva: «È significativo che in tutta la storia della democrazia parlamentare non ci sia stato in alcun paese un grande statista che fosse un uomo d’affari. Spesso hanno ricoperto ruoli elevati, ma non esercitarono mai sui loro contemporanei l’influsso di uomini della statura di Washington, Lincoln o Bismark. La ragione è che l’opinione pubblica non ha mai potuto ammettere la pretesa del capitalista di essere il fiduciario dell’interesse pubblico. Essa l’ha sempre considerato per quello che è: uno specialista nel fare denaro, e non ha mai creduto che abbia senso di responsabilità fuori dell’ambito ristretto della sua classe. Egli non ha mai considerato la legge come un complesso di principi che stanno al di sopra del suo gretto interesse, e ha sempre cercato, con mezzi leciti o illeciti, di farla interpretare ai propri fini. Quando egli ha comprato giudici, governatori di stato, e magari i presidenti stessi, l’ha fatto convinto che renderli pieghevoli strumenti ai suoi fini era per il popolo americano il meglio. Egli si difese nell’unico modo che credeva adatto, perché credeva effettivamente nel suo diritto divino di comandare». Ora, tutti noi sappiamo che, spesso, gli uomini politici che raggiungono il vertice del potere hanno pochi scrupoli e molto cinismo. Le moderne democrazie parlamentari mirano appunto ad impedire che quella mancanza di scrupoli e quel cinismo procurino gravi danni alla collettività. La democrazia, in tutte le sue componenti, tra cui la giustizia e la libertà di informazione e di espressione, rappresenta un sistema di anticorpi. Se in una società i politici lestofanti hanno il via libera e dilagano le prepotenze e la corruzione, la società si trasforma in una palude, dove la dignità delle persone va alla malora e dove non è piacevole vivere, anche se per molti ci vorrà del tempo per rendersene conto. Oggi nella società italiana gli anticorpi non funzionano. Si spiega così l’ascesa al potere di un gruppo politico in cui pullulano coloro che hanno avuto o hanno conti da regolare con la giustizia ed il cui capo ha un curriculum giudiziario sterminato, che contiene tra l’altro l’accusa gravissima di corruzione di giudici, come ha ben evidenziato l’Economist in una tabella pubblicata il 27 aprile 2001, ed aggiornata il 19 gennaio 2002 ed il 20 luglio 2002. Questa è la classe politica e di governo che ci ritroviamo ad oltre 14 anni dalla fine del deterrente rappresentato dai paesi del socialismo reale, dove l’oligarchia del capitale, gettata la maschera, ha operato con decisione nella distruzione della ricchezza, delle conquiste politiche e delle stato sociale in tutti i paesi della cosiddetta democrazia dell’Europa occidentale. Vale la pena, dunque, di soffermarci sulle caratteristiche della crisi attuale, sulle tensioni sociali che emergono da questo sconquasso, ma soprattutto sulla questione del capitalismo, perché di questo si tratta. Tutti noi sappiamo che il capitalismo è un sistema estremamente flessibile e per questo è sempre riuscito a superare le tante crisi di crescita e di declino che l’hanno più volte impattato. Ne è uscito diverso in una società diversa che aveva contribuito a modificarlo e ne era stata a sua volta modificata. Oggi siamo all’ennesimo di questi tornanti: si ripropone ancora la questione del capitalismo, del suo rapporto con le istituzioni politiche, con la democrazia, con la produzione di valore. Oggi la produzione di valore avviene attraverso la finanziarizzazione del sistema e il governo delle aspettative. Aspettative ottimistiche sostengono lunghi cicli rialzistici nelle Borse, nei consumi di beni durevoli, nelle costruzioni e nei mutui immobiliari. La struttura reale dell’economia è stata stravolta. Da almeno una decina d’an13 novembre / dicembre 2003 ni ci raccontano che la missione primaria di un’impresa consiste nel creare valore per gli azionisti. Ma nello stesso periodo non è mai stato altrettanto elevato il numero dei risparmiatori, che sono stati duramente colpiti dal crollo dei titoli che avevano acquistato. Questo perché si è operata col tempo una distorsione del significato stesso dell’espressione creare valore per gli azionisti. Una ventina di anni fa essa significava distribuire buoni dividendi, meglio se superiori al tasso di interesse corrente rispetto al capitale investito in azioni; dividendi derivati dall’avere conseguito elevati profitti producendo e vendendo beni o servizi. In seguito l’identica espressione è venuta a significare fare salire il valore delle azioni in borsa. La concezione dell’impresa come entità che prima della creazione di occupazione, di buoni prodotti, di solidi profitti, considera suo scopo primario il perseguire con ogni altro mezzo possibile l’aumento del valore delle azioni in borsa, si è trasformata in una trappola per i risparmiatori. Questa concezione è stata alimentata da uno stuolo innumerevole di studiosi e di commentatori economici, di centri di ricerca e di istituzioni internazionali. I quali, non hanno fatto altro che dare espressione teorica al fatto concreto che per il mondo si aggira una massa enorme di capitali in cerca frenetica di una ulteriore valorizzazione di se stessa. Nel frattempo la struttura reale dell’economia è stata modificata da due fenomeni in qualche modo connessi tra loro: la nascita delle reti informatiche e la fine della fabbrica come pilastro centrale della produzione di ricchezza. Le modalità contrattuali nei rapporti di lavoro si sono frantumate in una polverizzazione d’accordi, avanza il lavoro precario, la produzione di valore del nuovo capitalismo passa attraverso il recupero della massima flessibilità del lavoro, lo snellimento e la privatizzazione dei servizi sociali, l’abbattimento della pressione fiscale per i redditi medio-alti come elementi di favore elettorale e di sostegno della domanda. Istituzionalmente questa nuova fase del capitalismo richiederebbe la trasformazione del sindacato. Durante il periodo tra le due guerre ma soprattutto nel trentennio ‘50 - ‘80 fu il sindacato, a trasformare il capitalismo; adesso sta avvenendo esattamente il contrario: il sistema delle imprese ha bisogno di mano libera nella gestione della forza-lavoro. Con un sindacato antagonista è molto difficile, perciò l’obiettivo diventa quello d¥un sindacato neo-corporativo, gestore di funzioni para-pubbliche e di tutele compatibili. Si spiega così l’attacco sferrato al sindacato e la vicenda dell'articolo 18 che per la sua valenza provocatoria e la sua inutilità economica, lo rende intollerabile per i lavoratori. Si capisce, quindi, quale è il riposto contenuto simbolico della riforma dell'articolo 18: introdurre e legittimare nelle aziende l'arma della vendetta sociale, l'instaurazione di un deterrente da impiegare, non tanto per licenziare quanto per impaurire e sottomettere i dipendenti. Il sigillo della vittoria della destra nel mondo imprenditoriale che vuol comandare senza mediazioni politiche. Il modello opposto alla trasformazione del sindacato sarebbe quello delle tutele sociali definite sulla base dei bisogni reali dei cittadini, ma ciò metterebbe in crisi il modello neocorporativo. Le imprese sarebbero spinte a recuperare competitività puntando sulla ricerca e sull’innovazione, quindi sugli investimenti, anziché sullo sfruttamento della forza-lavoro. Questi due modelli si fronteggiano nel corso di un ciclo economico di ristagno della domanda e d’estrema incertezza delle aspettative, che non accenna a invertire il suo trend, nonostante i ripetuti annunci dei G7, dei G8 e di altri luoghi istituzionali. A questo proposito, il 5 novembre 2003 il segretario al Tesoro degli Stati Uniti, in un discorso travolgente all'Economic Club di Washington, ha affermato: «Abbiamo assistito ad una vera inversione di rotta: la ripresa prende chiaramente forma quest'anno. Sembra chiaro che siamo entrati in una nuova fase di espansione economica. Non è un fuoco di paglia, c'è sostanza molto concreta dietro la tendenza alla crescita». John Snow si riferiva al famoso dato del 7,2% di crescita del Pil nel terzo trimestre 2003, comunicato il 30 ottobre 2003 dal Dipartimento del Commercio. Nella realtà le cose stanno in maniera differente. Come la bolla della New Economy, che miracolò la fine degli anni novanta, l'euforia del momento poggia su due pilastri: la truffa e il debito. Secondo il dipartimento del Commercio degli Stati Uniti, il Pil sarebbe passato dai 9629 14 novembre / dicembre 2003 miliardi di dollari del secondo trimestre 2003 ai 9797 del terzo trimestre 2003. La differenza è 168 miliardi, e cioè l'1,8%. La cifra, però, viene moltiplicata per quattro e diventa 7,2% grazie alla parola magica: annualizzazione. Questo però è solo uno dei trucchi. Il fattore che incide maggiormente nella crescita del Pil del terzo trimestre è la spesa in computer: da 354,9 a 390,3 miliardi, usando come unità di conto i dollari del 1996. Ma il dipartimento del Commercio ammette, nello stesso rapporto, che le vere vendite di computer sono aumentate soltanto di 5,9 miliardi. Com'è possibile una cosa del genere? Lo è ricorrendo ai metodi tutti particolari con cui si elaborano i dati originali delle vendite affinché tengano conto di un aumento della qualità del prodotto. È chiamato apprezzamento qualitativo. In parole povere: il dipartimento del Commercio sostiene che un computer, che oggi sul mercato costa 1000 dollari, nel 1996 sarebbe costato la bellezza di 4420 dollari. Pertanto, secondo questa logica, se un'impresa acquista oggi un computer da 1000 dollari, il Pil ne beneficia per 4420. Oltre ai computer, metodi del genere vengono applicati anche a molte altre categorie. Il resto dell'aumento del Pil è dovuto ad un aumento notevole del debito. Ma, a proposito dei trucchi americani, vediamo come funzionano le statistiche sull’occupazione (vedi BLS U.S. Department of Labor, Bureau of Labor Statistic Handbook of Methods, aprile 1997). Le statistiche del lavoro non sono statistiche, perlomeno come le consideriamo noi, sono sondaggi. Il gioco funziona così: vengono selezionati 50.000 capifamiglia. A questi viene chiesto, nella settimana centrale di ogni mese, se hanno avuto un qualunque lavoro nelle settimane di riferimento. Qualunque lavoro per qualunque orario (minimo un’ora). Se sì, sono occupati. Se no, viene chiesto se hanno cercato di fare qualcosa nelle ultime quattro settimane. Se ci hanno provato, sono disoccupati. Se non ci hanno provato, non esistono. (Alla faccia delle nostre liste di disoccupazione). Fatto il sondaggio i dati vengono riportati a quello che è definito il numero generale degli occupati e dei disoccupati, con metodi lunghi da raccontare, e il tutto viene aggiustato con un valore che tiene conto delle nuove aziende che nascono ogni giorno (ma non quelle che chiudono). Così il gioco è fatto. Ogni mese vengono cancellati disoccupati a sufficienza dai sondaggi, per permettere ai cultori della magia del mercato di decantare la forza dell’economia americana, anche nei periodi di crisi . Risorgono, intanto, spinte protezionistiche (l’ultima fobia di Tremonti sono i cinesi), che influiranno sui modi di produzione di valore e soprattutto sulla sua distribuzione all’interno delle società opulente e nel resto del mondo. Ci avevano detto che la guerra contro il terrorismo avrebbe influenzato la distribuzione delle risorse in favore dei ceti deboli e dei paesi poveri. Sta accadendo, invece, l’esatto contrario, mentre diminuisce il grado di democraticità del sistema e aumenta il potere degli apparati. Gli attentati dinamitardi contro il consolato britannico e alla banca HSBC avvenuti ad Istanbul il 20 novembre sono stati utilizzati dal presidente statunitense Bush e dal premier britannico Blair per rilanciare la loro guerra al terrorismo, che viene continuamente utilizzata per insabbiare questioni troppo spinose, come l'aggravamento della situazione economica. Il Times di Londra del 22 novembre 2003 ha pubblicato un commento di Matthew Parris che dice: «Le esplosioni di Istanbul sono buone nuove per George Bush e Tony Blair. È di pessimo gusto, ma è la verità sostenere che le atrocità terroristiche giovano alla carriera politica del nostro premier e del presidente USA… È di cattivo gusto ma è la verità dire che gli interessi britannici e i caduti inglesi pagano il prezzo necessario per tenere in carica un primo ministro che si è unito agli americani in un colossale pasticcio militare e diplomatico». La guerra al terrorismo affianca la guerra combattuta ormai da molti anni dalle forze armate più agguerrite del capitale: il WTO (organizzazione mondiale del commercio), la Banca Mondiale, il Fondo monetario internazionale. Il WTO elenca più di 60.000 società transnazionali che gestiscono più di 1.500.000 di succursali sparse in tutti i paesi del mondo, eccetto qualche angolo diseredato del pianeta. Ma, a contare veramente, è solo un gruppo di poco più di 300 imprese nordamericane, europee e giapponesi, in quanto il WTO dispone di deboli strutture amministrative: nel suo segretariato a Ginevra 15 novembre / dicembre 2003 lavorano solo 350 persone. Nel 2002, un terzo degli scambi commerciali ha avuto luogo all’interno di una stessa società transcontinentale, un altro terzo si è svolto tra differenti società transnazionali. Solo l’ultimo terzo ha riguardato il commercio nel senso classico del termine: scambi tra stati e imprese a capitale nazionale. Pertanto le strategie messe in opera dal WTO, che è dotato di ampi poteri di coercizione e di sanzione, sono l’esatta traduzione della visione del mondo dei signori del capitale globalizzato, come ben sintetizzato da Percy Barnevik, presidente di ABB al 15° posto nella graduatoria delle società transcontinentali più potenti, che si occupa di metallurgia e di elettronica: «Definirei la globalizzazione come la libertà, per il mio gruppo, di investire dove vuole, per il tempo che vuole, per produrre ciò che vuole, approvvigionandosi e vendendo dove vuole, e dovendo sottostare al minimo di restrizioni possibile in materia del diritto del lavoro e di accordi sociali». Se il WTO si occupa dei flussi commerciali, la Banca Mondiale e il FMI si occupano dei flussi finanziari. La Banca Mondiale impiega più di 10.000 funzionari per esercitare la sua funzione: assicurare la creazione di infrastrutture tramite crediti di investimento. Il potere esercitato sull’intero pianeta è immenso, è la sola banca a fare credito agli stati poveri, è l’ultima istanza per chi ha bisogno di un prestito, ed è dunque in grado di imporre ai debitori le proprie condizioni, condizioni spesso non solo finanziarie. Dal 1968 al 1981 è stata diretta da Robert McNamara, e si dice che abbia fatto più morti mentre era a capo della Banca Mondiale che come responsabile dei massacri del Vietnam in veste di ministro della Difesa dei presidenti Kennedy e Johnson (già ex amministratore delegato della Ford). Ecco il ritratto che ne fa Jerry Mander nel suo libro Il processo della mondializzazione: «Riponendo la massima fiducia nelle cifre, McNamara ha spinto i paesi del Terzo Mondo ad accettare le condizioni di prestito della Banca Mondiale e a trasformare le loro economie tradizionali puntando al massimo sulla specializzazione economica e sul commercio mondiale. Chi si rifiutava veniva abbandonato alla sua sorte. Non erano più villaggi che McNamara distruggeva, ma intere economie. Il Terzo Mondo è oggi pieno di grandi dighe interrate, strade in rovina che non portano da nessuna parte, palazzi per uffici completamente deserti, foreste e campagne completamente devastate, e debiti mostruosi che non potranno mai essere rimborsati. Questi sono i frutti avvelenati della politica condotta dalla Banca Mondiale, dall’epoca di McNamara ai giorni nostri». Quella del Fondo monetario internazionale (FMI) è un’organizzazione di tipo particolare. I 183 stati membri votano ognuno secondo il proprio potere finanziario: un dollaro un voto. Questo fa sì che gli Stati Uniti detengano da soli il 17% dei voti che unito al ruolo del dollaro come moneta di riserva internazionale, danno come risultato un peso determinante all’interno dell’organizzazione. I funzionari del FMI dovrebbero essere i pompieri del sistema finanziario internazionale, ma all’occasione non esitano trasformarsi in piromani. In periodi di crisi acuta, vigilano affinché nessuno speculatore internazionale perda il suo investimento iniziale. Un commentatore britannico riassume così la situazione sull’Economist del 29 settembre 2001: «Quando alcuni scettici accusano i governi dei paesi ricchi di voler soprattutto evitare perdite alle banche occidentali nei periodi di crisi, hanno ragione». Le privatizzazioni sono al centro del dogma dei funzionari del FMI. Ogni volta che un ministro di un paese fortemente indebitato va a Washington per mendicare un prolungamento del credito, gli avvoltoi del FMI gli strappano un nuovo brandello dell’industria o del settore pubblico del suo paese. Il metodo è sempre lo stesso. Il FMI esige, ed ottiene, la vendita alle società transnazionali, di solito statunitensi o europee, di industrie o imprese di servizi che appartengono ad un settore redditizio. I settori non redditizi restano beninteso nelle mani del governo locale. Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia del 2001, dimessosi da vicepresidente e capo economista della Banca Mondiale a metà del 2000, accusa il FMI di avere soprattutto aggravato, con il suo intervento, la crisi finanziaria in cui sono sprofondate, negli ultimi anni molte economie, e di essere direttamente responsabile della chiusura di fabbriche e imprese com16 novembre / dicembre 2003 merciali, e dunque dello stato di miseria in cui versano milioni di lavoratori e le loro famiglie. I funzionari del FMI si dichiarano apolitici, ma si tratta di una grossolana menzogna. Nella pratica, il FMI è al servizio continuo e diretto della politica estera degli Stati Uniti. Questo è diventato particolarmente evidente nell’autunno del 2001, quando Washington ha dichiarato guerra al terrorismo. Sempre sull’Economist del 29 settembre 2001, un commentatore britannico ha scritto: «Il Fondo monetario internazionale e la Banca Mondiale fanno parte dell’arsenale antiterroristico americano […]. Gli Stati Uniti non hanno perso tempo nel ricompensare i loro alleati nella guerra contro il terrorismo». Ad esempio, su ordine del dipartimento del Tesoro americano, il FMI ha sbloccato, a fine settembre 2001, 135 milioni di dollari a favore del Pakistan, che ha ottenuto inoltre la fine dell’embargo decretato in occasione dei test nucleari del 1998. Nonostante il presidente del Pakistan Pervez Musharraf sia uno dei dittatori più detestabili e corrotti di tutto il Terzo Mondo, il denaro della Banca Mondiale e del FMI, per lui e per quelli come lui, non manca mai. La loro sottomissione alla politica americana spiega la loro fortuna. Che cosa fare allora? Mentre il pensiero conservatore, coerente col suo modo di intendere la politica, ha costruito ideologie di comodo a difesa di interessi precisi, alcuni teorici progressisti, attratti dalle argomentazioni del pensiero conservatore, tendono a costringere l’impostazione politica nell’ambito di tali ideologie. Ma l’ideologia dominante non può essere sconfitta attenuando, nascondendo, camuffando i propri ideali ed attestando i propri traguardi su posizioni sempre più arretrate, fino ad annullare ogni differenza. Quindi la mia generazione ha un duplice compito: battersi strenuamente, in una fase di difesa come questa che stiamo vivendo, per la tenuta della democrazia e delle conquiste dei lavoratori, ma al contempo di consentire a chi ha oggi vent’anni di potersi direttamente cimentare, nella costruzione di un partito comunista forte e radicato nella società, con senso storico e duttilità politica, di intraprendere, quindi, una battaglia politico-culturale, che si fonda sul presupposto che si possono studiare, sperimentare e costruire soluzioni alternative a quella capitalistica. In questo senso, abbiamo il dovere di consegnare ai più giovani, con sobrietà, umiltà, ma anche molto orgoglio, un bagaglio di idee e di valori, che non va disperso. E in questo difficile compito credo che ci potranno essere di aiuto: Antonio Gramsci, quando dice che: … produrre cultura non significa solo fare delle scoperte originali, significa anche, e specialmente, diffondere criticamente delle verità già scoperte, socializzarle per così dire, e pertanto farle diventare basi di azioni vitali, elemento di coordinamento e di ordine intellettuale e morale. Palmiro Togliatti, che ci ricorda che: … nella politica è contenuta tutta la filosofia reale di ognuno, nella politica sta la sostanza della storia e, per il singolo, che è giunto alla coscienza critica della realtà, e del compito che gli spetta nella lotta per trasformarla, sta anche la sostanza della sua vita morale… non vi può esser dubbio che la politica, in questo modo intesa… acquista carattere di scienza. Non è più momento passionale, e non è più meschina mostra di abilità; è risultato di approfondita ricerca delle condizioni in cui si muovono le società umane, i gruppi che le compongono e i singoli. Giunge a comprendere, e quindi a giustificare storicamente, tanto l'avanzata quanto la ritirata o l'arresto, tanto la vittoria quanto la sconfitta… La realtà, il presente, diventa una cosa dura, su cui occorre attirare violentemente l'attenzione, se si vuole trasformarla. L'intelligenza è pessimista. L'ottimismo nasce dalla volontà. * Segretario provinciale PdCI 17 novembre / dicembre 2003 Dal nostro inviato Incontro tra le municipalità del Sud America e della Catalogna di Roberto Natta * Nella prossima primavera si svolgeranno le elezioni amministrative per il comune di Imperia. Dopo 4 anni di governo delle destre un dato emerge come caratterizzante del loro agire politico-amministrativo: sia la popolazione, quindi il corpo elettorale, che il consiglio comunale, scaturito dalle elezioni sono stati ridotti al ruolo di spettatori da una giunta refrattaria a qualsiasi suggerimento provenga al di fuori delle lobbies di riferimento. Un’alternativa a questo modo di amministrare non può prescindere, a nostro avviso, da un effettivo coinvolgimento nelle scelte di indirizzo politico-amministrativo da parte dei cittadini e dei loro legittimi rappresentanti nelle istituzioni, dai consigli di circoscrizione al consiglio comunale. È in questa ottica che abbiamo colto l’occasione per scrutare cosa succede nelle città dell’America Latina e della Catalogna, partecipando ad un convegno internazionale sul tema della democrazia e del bilancio partecipativo svoltosi a Barcellona nel mese di ottobre. Barcellona, che accoglie decine di migliaia di immigrati dall’America Latina, si è rivelata il teatro ideale per dare l’opportunità ai numerosi ospiti di quel continente di confrontarsi con amministratori e funzionari delle municipalità della Catalogna, regione ponte tra la penisola iberica e la Francia, e poter incontrare, nelle pause dei lavori del convegno, le comunità del proprio paese che nella capitale catalana hanno costituito radicate reti solidali di relazione. L’organizzazione dell’appuntamento spetta al Fons catalano di cooperazione e sviluppo che tra Barcellona e la vicina città di Badalona ha promosso questo convegno internazionale sulle esperienze di governo dei municipi dei paesi del Sud America e della Catalogna. Gli obiettivi dell’incontro erano principalmente: • fornire visibilità e valorizzare le iniziative di formazione e gestione partecipativa dei municipi del Sud America; • potenziare l’interscambio di esperienze di gestione e partecipazione tra i municipi della Catalogna e del Sud America; • dare impulso a spazi di articolazione regionale per lo sviluppo di strategie comuni nella costruzione dei poteri locali; • rafforzare la relazione tra la Fons catalana e le controparti municipali della regione. A raccontare le loro esperienze sono venuti il sindaco di Santo André (Brasile), di Cotacachi (Ecuador), di Tarso (Colombia), di Tirua (Cile), di Saylla (Perù), nonché esponenti politici dei movimenti e dei partiti della sinistra sudamericana. Accolti da Maite Arqué, sindachessa di Badalona, le delegazioni hanno presentato in prima battuta le diverse modalità di intervento volte ad accrescere la partecipazione dei cittadini nel processo decisionale per lo sviluppo locale. I meccanismi e gli spazi di partecipazione sono evidentemente diversi da paese a paese, ma quello che ha colpito la platea, formata soprattutto da sindaci e amministratori locali della Catalogna, è stato il grado di partecipazione e coinvolgimento ottenuto dagli amministratori sudamericani di larghi strati di popolazione, dalle associazioni di categoria alle forze sindacali, dagli strati più poveri e scarsamente scolarizzati alle personalità di intellettuali, dai comitati di base delle parrocchie ai circoli ambientali, la risposta alle sollecitazioni è intervenuta ampia e competente. Una dimostrazione di vitalità della società sudamericana, nonostante molti paesi abbiano per decenni subito il giogo di pesanti dit18 novembre / dicembre 2003 tature militari che non lasciavano alcuno spazio alla dialettica politica. lettività che sono patrimonio storico comune di tanta parte delle popolazioni dell’america del sud. Sono stati elaborati piani strategici per l’intervento diretto delle municipalità nella gestione dei servizi essenziali come la sanità e l’educazione, settori spesso trasformati dalle amministrazioni centrali in inefficienti voragini per la spesa pubblica a tutto vantaggio di iniziative di tipo privatistico ad esclusivo beneficio, ovviamente, degli strati abbienti della popolazione. Il livello locale del piano di intervento facilita il coinvolgimento dei cittadini, anche di quelli digiuni di qualsiasi formazione politica o ideologica, e spinge ad un interessamento e ad un impegno nella ricerca della soluzione ai problemi contingenti, numerosi ed impellenti, nelle realtà in esame, sia attraverso la ricerca di fondi internazionali di cooperazione sia innestando circuiti virtuosi nel risparmio su voci che nei capitoli dei bilanci locali sono spesso artatamente gonfiati a mero scopo clientelare. Nel round di interventi dei movimenti sociali, sia di ispirazione indigenista che più connotati in senso politico tradizionale, si è posto l’accento sullo stimolo costituito dai movimenti nei confronti del potere locale. Un lavoro che ha riguardato le associazioni di categoria, così come quelle dei contadini colombiani, stretti da anni in una morsa di sangue tra terrorismo di estrema sinistra ed esercito, quest’ultimo appoggiato da consiglieri e aviazione USA , nonché dalle famigerate squadracce di assassini foraggiate dai latifondisti, che rivendicano terre coltivabili e il diritto a non essere irrorati di diserbanti dagli aerei militari che sfrecciano sulle loro teste a seguito del noto Plan Colombia. Un lavoro che ha riguardato anche interventi di genere, come quello delle associazioni femminili che, chiedendo un efficace intervento pubblico nella sanità, hanno aperto la strada alla predisposizione di piani di salute municipali che, partendo dalla necessità di una fruttuosa integrazione tra la medicina occidentale e quella tradizionale, hanno approntato un percorso di emancipazione e autonomia dai poteri centrali, inefficienti e corrotti. Il riscontro quotidiano di questo livello base di servizi ambulatoriali accresce la trasparenza nella gestione dei fondi e consente un’attenzione specifica alle diverse necessità territoriali. Il dibattito ha naturalmente riproposto l’eterno tema dell’etica politica, che nei paesi latino-americani, ma non solo, Tangentopoli docet, assume all’opposto un carattere di vera e propria rapina delle nomenclature al potere nei confronti delle risorse del paese. Nei decenni successivi al crollo delle dittature militari sono numerosi i presidenti della Repubblica che al termine o durante il loro mandato hanno dovuto fuggire ignominiosamente la giustizia rifugiandosi in ospitali paesi caraibici, negli USA o in Giappone. La ricostruzione di un clima di fiducia nelle istituzioni passa pertanto attraverso processi che sappiano coniugare LIBERTÀ, che coincide con la dignità e il diritto della persona, lungamente disatteso in gran parte del continente; EGUAGLIANZA, che consiste essenzialmente nell’eguale dignità e diritto di ogni essere umano in quanto tale, ma che attiene anche ad una differente e più equa partecipazione alla divisione delle risorse materiali, spirituali e culturali e dei beni sociali; SOLIDARIETÀ, che afferisce alla cooperazione che non solo accresce la ricchezza in termini materiali, ma risponde a quella esigenza di ritorno a pratiche di impegno operoso da parte della col- Il primo intervento della seconda giornata è stato quello di Yves Capanne, direttore del Programma di Gestione Urbana delle Nazioni Unite. L’ONU rivolge da alcuni anni uno sguardo attento all’evoluzione in senso democratico e partecipativo che nei diversi paesi dell’America del Sud i municipi governati da amministrazioni indigene e da forze politiche di sinistra stanno introducendo e consolidando. I finanziamenti delle Nazioni Unite su specifici interventi debitamente pianificati costituiscono il valore aggiunto che l’impegno delle amministrazioni comunali possono tranquillamente rivendicare per la bontà e l’efficacia di quella che possiamo definire una vera rivoluzione nel metodo di gestione del potere locale. 19 novembre / dicembre 2003 della cosa pubblica comporta anche nella quotidiana attività lavorativa. Impegno che può essere individuato come attività di supporto e consulenza alla redazione di progetti complessivi e interdisciplinari di sviluppo economico sostenibile o di piani settoriali volti a ottenere risorse da parte delle amministrazioni centrali o degli organismi internazionali di credito e sostegno allo sviluppo che sono una voce trainante del bilancio delle A seguire, i relatori hanno sviscerato il municipalità del Sud America. tema della formazione nella gestione municipale. Al termine delle giornate di studio il Fons Michel Azcueta della Scuola Superiore di Gestione municipale del Perù, Betty Tola del Catalano, organizzatore dell’evento, ha ribadito, Centro statistico cittadino dell’Ecuador, Ricardo con soddisfazione, come, dal loro privilegiato Bertolino della Fondazione del Cono Sud ameri- osservatorio che da anni si interroga e interviene cano dell’Argentina, Sergio Pasarin del Centro operativamente con il finanziamento di progetti per lo Sviluppo comunale e municipale della per il miglioramento delle opportunità e della Bolivia, e Richar Gomà, dottore in Scienza del- qualità dei cittadini dei paesi del sud del mondo, l’amministrazione, hanno affrontato il lato delle il continente latino americano sia stato, in questa competenze amministrative e delle professionalità ultima decade, un laboratorio fervido di novità necessarie per intraprendere senza ambiguità il pur di fronte alle gravi crisi economiche che ha processo di democratizzazione e partecipazione colpito alcuni stati. Novità che, come ha dimodelle istituzioni locali che sovente incontra un strato l’interesse da parte dei molti amministratori freno se non una vera e propria opposizione da e funzionari delle istituzioni locali della parte del personale dipendente delle varie istanze Catalogna intervenuti al convegno, debitamente adattate alle differenti esigenze e complessità territoriali. delle comunità locali europee, possono indicare È, quindi, urgente e di fondamentale una strada verso una maggiore partecipazione dei importanza per i processi in atto coinvolgere, cittadini nelle politiche di pianificazione amminiattraverso soluzioni formative costanti, tutti i strative e nel controllo della gestione dei pubblici livelli della pubblica amministrazione, in modo denari. da rendere funzionari e impiegati edotti delle trasformazioni che il nuovo modello di gestione * Coordinamento ARS Imperia La fecondità di un costante dialogo tra istituzioni e attori sociali conduce ad una acquisizione di consapevolezza sulle scelte amministrative che sono, ovviamente, anche il frutto del vincolante rapporto tra enormi necessità e scarsi mezzi di intervento, ma che, purtuttavia, stabiliscono un trasparente legame nell’individuazione delle priorità di intervento. 20 novembre / dicembre 2003 Il dibattito rilanciato dal documento precongressuale dell’ARS Per una sinistra meno strutturata di Vittorio Coletti * Se dovessi dire che c'è anche un solo punto del lungo documento presentato dalla presidenza della nostra associazione sul quale dissento, mentirei. Su alcuni punti sono, se mi si passa l'espressione, più d'accordo che su altri, ma non c'è nessuna sostanziale perplessità sui singoli casi. La perplessità mi viene, invece, dall'insieme e dirò subito dal disagio di un documento un po' old fashion a partire dalla sua stessa ambizione di misurarsi su tutto e offrire una risposta organica e coerente a tutto. Credo che, ferma restando la necessità di misurarsi con tutti i temi toccati, sia ormai improponibile un modello politico e culturale che vada bene sempre e ovunque. L'idea di una sinistra che fornisce chiavi di lettura onnivalenti dovrebbe essere superata e lasciare il posto a quella di una sinistra meno strutturata e anche onestamente indecisa e divisa davanti a certe pur importantissime questioni (ad es. morale, ricerca, ecc.). Parallelamente alla impostazione generalista del documento, anche il linguaggio usato mi restituisce un modello da vecchio discorso di sezione del funzionario comunista, che non credo funzionale all'analisi della realtà contemporanea. Lo si vede bene dai punti non toccati dal documento o toccati solo da un lato. È il caso del terrorismo islamico, che non può essere liquidato come una forma di ribellione dei paesi poveri contro quelli ricchi, perché è pieno di ragioni simboliche, religiose, culturali che non si lasciano spiegare con la logica dei rapporti di forza tra stati o della distribuzione della ricchezza. Allo stesso modo, se è sacrosanto il rifiuto della guerra preventiva, l'analisi delle sue cause è troppo lacunosa: basti pensare che ne resta fuori addirittura l'11 settembre. Anche nell'esame del caso Italia noto delle singolari omissioni. Il vecchio principio di non parlare male di nessuna componente sociale vagamente popolare, costringe a omettere una radicale critica della classe dirigente (fatta anche da ceti popolari) giunta al potere con Berlusconi, quella degli arricchiti senza fattura, degli evasori fiscali cronici (ricchi imprenditori, piccoli commercianti, liberi professionisti e artigiani) e spinge a trascurare lo stato di dissesto in cui i lavoratori dipendenti sono stati lasciati dal vecchio centrosinistra, che li ha consegnati poveri, inermi e mortificati nelle mani di un ceto di rapina che ha sottratto al lavoro subordinato le risorse con cui si è ulteriormente arricchito (condoni, leggi Tremonti). Nessuna osservazione è dedicata all'aumento del costo della vita, come è noto particolarmente sostenuto non solo in alcune zone del consumo (bar, abbigliamento), ma in tutti i settori non soggetti a ricevuta fiscale, a fatturazione (la parcella del medico, del geometra o dell'avvocato); aumenti di cui è stato vittima soprattutto il ceto medio (che tradizionalmente ricorre a questi servizi). Di conseguenza, non c'è una parola su quello che più ha impaurito la vecchia Europa dei francesi e dei tedeschi: l'impoverimento di una gran parte delle classi medie (pubblico impiego soprattutto), fenomeno che è stato, in passato, alle origini della deriva totalitaria di questo ammasso sociale ed è comunque oggi un grosso problema sul piano dei consumi e della relativa produzione (persino i commercianti lo hanno denunciato). Non vedo, d'altra parte, neppure una riflessione sugli ammicchi ingannevoli e inquietanti di Berlusconi, Tremonti e Lega (del cui nazifascismo evidente ci si dovrebbe forse preoccupare di più) alle classi più povere e meno consapevoli, le massaie, i pensionati al minimo, in sostanza beffati, ma in apparenza (e quanto conta l'apparenza oggi si sa) non mortificati dall'attuale maggioranza (estensione dell'area no tax, aumenti di alcune pensioni), secondo la tipica logica dei 21 novembre / dicembre 2003 poteri forti allo stato nascente (rafforzare i potenti, ma cercare contestualmente il consenso degli ultimi, da comprare con ben distribuite e simboliche briciole). E ancora: risulta sottovalutato tutto ciò che, nel caso Italia, è ascrivibile a un deterioramento dell'intesa collettiva, visibile soprattutto nell'ambito della giustizia, devastato dalle leggi ad personam, e in quello del cosiddetto federalismo egoista. Ne segue, ovviamente, che non c'è una denuncia neppure del crollo dello spirito europeistico, una delle poche cause di modernizzazione reale del nostro paese. Sul piano politico queste omissioni finiscono per avere un peso. Ad esempio, temo, nella diffidenza verso l'unica proposta politica generosa e coraggiosa fatta in questi tempi, quella di Prodi per una lista unica, che dovrebbe essere accolta senza temere di dover rinunciare, aderendovi, al proprio patrimonio di idee e valori, ma anzi portando in essa il proprio tratto specifico e intanto riconoscendole quello scatto, quella chiarezza e quella semplificazione del discorso politico di opposizione di cui tutto l'arco antiberlusconiano ha urgente bisogno. * Ordinario di storia della lingua italiana Università di Genova ASSOCIAZIONE PER IL RINNOVAMENTO DELLA SINISTRA DI IMPERIA Coordinamento eletto al congresso 30-01-2004 Amadeo Rodolfo Ardissone Zefferino Ardoino Lello Beltrami Marco Berio Davide Biamonti Dario Bonavera Pasquale Bonello Franco Campovecchi Tiziano Castagno Simone De Lucis Felice Denegri Piero Devescovi Luciano Famà Giuseppe Fiscella Gianfranco Florimonte Costanza Gabriel Gianfranco Giovannelli Giorgio Girardi Canetti Carla Mastrangelo Giuseppe Natta Franca Natta Roberto Nattero Carla Odello Paolo Paolini Aldo Parisi Mercede Patri Alixia Puppo Franco Ramondo Renzo Saglietto Piero Sardi Lucio Seimandi Teresio Surico Nicola Torelli Enrico Torelli Giuseppe Trucchi Lorenzo Zaghi Silvio Zanetta Luciana Il coordinamento, riunito al termine dell’assemblea, all’unanimità ha rieletto presidente Mauro Torelli. 22 novembre / dicembre 2003 Prosegue il dibattito a sinistra Dar vita a un programma per Imperia, alternativo all’Amministrazione di centro-destra Un’assemblea pubblica organizzata dall’Associazione per il Rinnovamento della Sinistra si è tenuta, l’8 gennaio, a compimento del ciclo di seminari, svolto lo scorso ottobre e del quale il nostro bimestrale ha dato conto con la pubblicazione delle relazioni. Si è svolto l’approfondimento dei temi programmatici con l’intervento di nuovi protagonisti e di tali contributi forniamo la documentazione in questo numero. L’assemblea ha verificato l’approdo dei ragionamenti sviluppati lo scorso autunno. In estrema sintesi: il rifiuto di un approccio fondamentalmente amministrativistico nel definire un programma a livello locale. La consapevolezza che i temi amministrativi siano parte della battaglia politica della sinistra e della più ampia alleanza di centro-sinistra non può far velo all’esigenza di non ripetere i tradizionali errori di economicismo della sinistra. Risulta sempre più attuale la lettura gramsciana della realtà e il valore da essa assegnato agli aspetti sovrastrutturali, come l’approfondimento e l’impegno sull’attualità dell’antifascismo, sul peso che i temi culturali, la qualità della vita e la rivoluzione morale assumono nella formazione di un punto di vista democratico e di sinistra. Contestualmente non si può sottacere il peso fondamentale del controllo delle fonti e degli strumenti dell’informazione e la battaglia che si sta attualmente giocando in Parlamento. Lo scandalo Parmalat, dopo le analoghe vicende riguardanti le obbligazioni Cirio e i bond argentini e prima ancora gli emblematici defaults della Enron e Wordcom, sono la metafora del capitalismo attuale. Tali traumatici avvenimenti hanno reso più evidenti le insanabili contraddizioni del capitalismo nella fase neoliberista e nella sua espressione finanziarizzata e forniscono alle forze di sinistra lo stimolo per una controffensiva ideale e pratica, anche attraverso la difesa dei piccoli e medi risparmiatori con obiettivi comuni a quelli dei lavoratori che lottano per i loro interessi vitali. Ampio spazio la nostra riflessione ha dedicato conseguentemente all’impresa sociale e al ruolo essenziale che essa può svolgere nello sviluppo della democrazia. Tra le acquisizioni del seminario merita sottolineare quella che individua la necessità di profondo rinnovamento della democrazia, da quella delegata alla diretta, con l’obbligo di mettere in discussione poteri e ruoli consolidati, postulando l’esigenza di nuovi protagonismi dei giovani, delle donne, dei disoccupati e dei lavoratori che in modi diversi rimangono gli esclusi di sempre. Nuove urgenze si impongono e i programmi ne dovranno tener conto: pensioni, stipendi e salari rivelano la loro inadeguatezza. Antiche sottovalutazioni in materia, anche a sinistra, si stanno diradando e la necessità di lotte generali che superino gli accordi del 1993 e rivendichino aumenti decisivi, stanno alla base delle lotte di molte categorie. Le amministrazioni comunali devono avere un ruolo non secondario a sostegno dei lavoratori e delle loro lotte. I consigli di circoscrizione, congiuntamente ai comitati di consumatori, da eleggere in pubbliche assemblee, possono svolgere un compito specifico e prezioso sul problema del caroprezzi, con la proposta di definire panieri spesa contrattati con produttori e catene commerciali, con la compartecipazione nella definizione delle tariffe e nel controllo dei prezzi sorvegliati e con la richiesta di ridar vita a funzionanti osservatori dei prezzi e ridefinire il ruolo dei consigli di amministrazione delle aziende pubbliche e partecipate. La redazione di un libro bianco, espressione delle esperienze di sindacati, partiti e associazioni, sarà la sintesi di questa esperienza innovativa a sinistra. m.t. 23 novembre / dicembre 2003 Un altro mondo è possibile a partire dalla centralità dell’ambiente di Gabriella Badano * L’attuale governo di centro destra sta sferrando un duro attacco ai cardini fondanti della politica ambientale e della partecipazione democratica a scelte che riguardano la salute umana ed ambientale dei cittadini di oggi e delle generazioni future. Basti pensare agli ultimi due provvedimenti assunti, il condono edilizio e la legge delega, per comprendere che è necessario il massimo di allarme e di mobilitazione. Il condono edilizio fa scempio di territorio e legalità, e costituisce un atto discriminatorio nei confronti di tutti i cittadini onesti che hanno costruito le proprie abitazioni nel rispetto delle regole e delle leggi e legittima l’appropriazione privata del demanio pubblico per via di abuso sanato. La delega ambientale ha scippato al Parlamento la sua prerogativa di legiferare in materia ambientale, derogando al governo pieni poteri per la scrittura di nuove norme, consente una controriforma per vie extraparlamentare su tutte le normative ambientali. Scelte di governo del territorio che hanno ignorato le competenze delle amministrazioni locali come stabilito dal nuovo capitolo V della Costituzione, nonostante il tanto sbandierato federalismo invocato a gran voce dallo stesso Governo. Queste politiche aggravano, con rischi di irreversibilità, una condizione dell’ambiente già estremamente compromessa, al punto da mettere in discussione gli stessi grandi cicli della vita: acqua, biosfera, biodiversità. Un comportamento irresponsabile che rischia di moltiplicare la rottura degli equilibri già in bilico come l’assetto geomorfologico su cui insistono nuove e vecchie cementificazioni o le mutate condizioni climatiche dovute all’effetto serra. Questa fotografia dello scenario di politica ambientale delineato dal governo di centro destra impone non solo l’urgenza di un’opposizione che parta dalla capacità di mobilitazione punto su punto, ma richiede inderogabilmente un lavoro comune di elaborazione e di ricerca capace di superare i limiti di politiche vecchie ma sempre presenti e di definire una progettualità alternativa che ponga al centro una nuova qualità ambientale e sociale per un nuovo mondo possibile. L’efficacia di risposte nuove sulle grandi questioni che sono al centro del dibattito politico come la gestione delle acque, le scelte di politica energetica, il problema ormai cronico della gestione dei rifiuti, si gioca anche sulla capacità di avviare un processo partecipato capace di coinvolgere non solo i partiti dello schieramento alternativo ma anche il mondo dell’associazionismo, dei sindacati e dei social forum che possa portare ad un processo partecipato del governo dei problemi ambientali in tutte le sue sfaccettature: una risposta efficace al centralismo del centrodestra che ignora le competenze degli enti locali e la partecipazione democratica. Ancora prima la legge Lunardi, che ha avviato la costruzione di grandi quanto inutili e pericolose, opere ingegneristiche in assenza di una valutazione di impatto ambientale, il decreto Gasparri che dava il via a nuove e diffuse fonti di Per avviare questo lavoro è importante emissioni di onde elettromagnetiche, al decreto sblocca centrali, che, per far fronte al rischio di riferirci ad alcuni punti, ad oggi sottoscritti, ma black-out estivo, ha derogato le leggi sull’inqui- non sempre condivisi nelle scelte politiche quotidiane: namento termico delle acque . 24 novembre / dicembre 2003 • ribadire la centralità del ruolo dell’ambiente • dare priorità alla difesa del suolo, vera e grande nella programmazione delle attività umane come opera in cui impegnare lavoro e risorse in contrapposizione alle grandi opere definite come valore in sé e come risorsa economica; prioritarie quali il Ponte sullo Stretto, il terzo • dichiarare l’indissolubilità tra progresso econo- traforo del gran Sasso…; mico e sociale e tutela ambientale e sanitaria legame portatore di una logica alternativa che • mettere in atto le misure di prevenzione agli deve orientare le scelte e la stessa contabilità eco- incendi boschivi; nomica e sociale; • valorizzare il patrimonio agricolo, le produzioni • ristabilire la certezza del diritto che non consen- tipiche e la tutela ella biodiversità agricola, ta più sotterfugi che alimentano l’illegalità a incompatibile con l’omologazione colturale e culdiscapito della collettività tutta come nel caso turale rappresentata dagli OGM; dell’ultimo condono edilizio ; • avviare una politica di gestione dei rifiuti urbani • fare dell’ambiente la principale occasione di che consenta di attuare concreti piani di riduzione nuova e buona occupazione; a monte e di raccolta differenziata contrapposta al semplice approccio basato sul loro smaltimento; • avviare una diversa politica energetica fondata sul risparmio ed un uso razionale dell’energia • garantire il diritto degli animali nell’affermaziononché sullo sviluppo delle fonti rinnovabili puli- ne di un senso etico della vita sulla Terra che te, risanare le centrali energetiche recuperando superi ogni visione antropocentrica nel rapporto potenzialità e riducendo le emissioni, riafferman- uomo - ambiente; do un no deciso al nucleare; • garantire il diritto all’ambiente come bene • impegnarsi per una nuova centralità pubblica comune per tutte e tutti e per le generazioni futudei beni comuni quali produzione e distribuzione re, di cui va rispettata e promossa la riproducibienergetica, gestione dell’acqua e dei rifiuti, anche lità. per produrre innovazioni ambientali in rapporto col territorio e per garantire diritto d’accesso e di partecipazione; 25 novembre / dicembre 2003 Iscriviti alla ASSOCIAZIONE PER IL RINNOVAMENTO DELLA SINISTRA - Imperia Versa € 35,00 (trentacinque euro) sul conto postale N° 23607419 intestato all’Associazione Gli iscritti riceveranno il bimestrale Pagine Nuove del Ponente 26 novembre / dicembre 2003 La lezione dei movimenti, i loro programmi e i loro immaginari Contrastare l’idea di una città senza futuro di Marco Beltrami * Credo che di quanto espresso in senso positivo, nel senso cioè della partecipazione e soprattutto della innovazione nei contenuti e nelle forme della politica, dai movimenti che sul piano globale e locale sono stati la vera novità di questo ultimo ciclo, le forze del centrosinistra che si avviano alle prossime scadenze elettorali abbiano, fino a questo punto, costruito la possibilità di intercettare ben poco. Certo, un qualche riflesso favorevole, in termini di suffragi, un timido rinnovamento della classe politica, si potrà riscontrare comunque e forse questo è l’unico contributo in cui spera anche una buona parte dei dirigenti del centrosinistra e del Prc. È una miopia pericolosa che sottovaluta il livello di penetrazione negli immaginari politici e sociali dei contenuti e delle pratiche dei movimenti, ne sottovaluta il potere costituente di un’alternativa al berlusconismo e, più in generale, ne sottovaluta o non coglie (o non apprezza) in essi la concreta possibilità di porre fine su scala globale alla subalternità della sinistra verso i valori e le politiche del neoliberismo. In concreto, questo atteggiamento si traduce in un clamoroso autogol che impedisce la costruzione di un immaginario attraente per quei milioni di cittadini ed elettori che pure guardano con angoscia ad un nuovo successo elettorale del centrodestra. Per Imperia, il discorso non muta, sebbene debba essere interpretato con alcune sfumature e varianti. Nella nostra città un blocco sociale consistente e coeso si specchia effettivamente nel ceto politico dominante, rappresentato dallo scajolismo e dai suoi apparati e aggregati. Originalmente in bilico tra passato e futuro, tra feudalesimo ed impresa politica, questo ceto politico ha espresso e spesso materializzato una propria idea di città, che noi possiamo critica- re (è criticabilissima) o irridere (è spesso anche ridicola), ma con cui dobbiamo comunque quotidianamente fare i conti e che non è stata incapace di produrre fascinazione nei propri sostenitori. Anche quando si tratta evidentemente di un idea di città senza futuro perché articolata attorno al consumo selvaggio del territorio, all’assenza di un qualsivoglia progetto che non sia quello del profitto immediato per i soliti noti, è stato estremamente difficile opporre ad essa un immaginario ed una concretezza altrettanto attraenti, altrettanto affascinanti. È anche vero che, se parliamo di immaginario e di concretezza, nell’ultimo quindicennio soltanto i movimenti hanno saputo esprimere, ed a volte anche declinare, questo binomio in modo compiuto, anche se purtroppo in forme frammentarie e discontinue. Penso alle battaglie (vinte) contro l’inceneritore, alla denuncia ed alle mobilitazioni contro le speculazioni legate alle celebrazioni di Colombo nel 1992, che hanno regalato alla città lo splendido grattacielo monco dell’ex Renzetti, alla grande esperienza sviluppatasi attorno all’area delle ex Caserme del Prino ed ai Cantieri sociali Riuniti, alle lotte per gli spazi sociali ed alla capacità di mantenere aperti e vivi luoghi che sono tra i pochi che esistono per l’aggregazione e lo scambio culturale, politico e sociale nel territorio. Ci sono stati dunque anche ad Imperia soggetti capaci di immaginare e prefigurare modelli differenti di città; sono mancati in continuità e sono stati a volte dispersivi e frammentari ma soprattutto è loro mancata, nell’opposizione e nei partiti politici tradizionali, salvo rare e apprezzabili eccezioni, una sponda in grado di dialogare e di interagire. Temo che le cose non cambieranno radicalmente nel prossimo futuro: c’è una resistenza insensata ma coriacea degli 27 novembre / dicembre 2003 apparati politici a mettere in discussione se stessi, tanto più penosa quanto più si traduce nel più tradizionale e gattopardesco passo indietro per fare avanzare tra le società civili possibili quella più mansueta e manovrabile. Viceversa si nota sempre più spesso che proprio a partire da chi ha svolto il proprio ruolo di opposizione all’interno delle istituzioni è cresciuta e si è rafforzata una tendenza ed un’attitudine a porsi in sintonia con i progetti, i programmi, le critiche e gli immaginari dei movimenti: anche come scoperta di un nuovo senso dell’essere opposizione. È una tendenza positiva, che i cittadini elettori sembrano gradire, come dimostrano le esperienze recenti di Genova, Roma, Milano, Venezia… e che può, forse, contribuire alla costruzione di nuove interessanti sperimentazione e sinergie. * del Centro sociale “La talpa e l’Orologio” ISCRIVITI ALLA ASSOCIAZIONE PER IL RINNOVAMENTO DELLA SINISTRA - Imperia Versa € 35,00 (trentacinque euro) sul conto postale N° 23607419 intestato all’Associazione Gli iscritti riceveranno il bimestrale Pagine Nuove del Ponente 28 novembre / dicembre 2003 Appunti per un’alternativa di Pasquale Indulgenza * Su quali basi è possibile definire un programma alternativo alla destra? Se ci soffermiamo sulla visione della città che emerge netta dal recente bilancio dell’amministrazione esibito dal sindaco uscente, una prima, fondamentale risposta al nostro interrogarci prende corpo quasi da sola. La direzione di marcia di un credibile programma alternativo deve essere senz’altro opposta, giacché, per dirne una, la stessa idea del rapporto tra spazio urbano e fattore umano, nella filosofia dell’attuale compagine di destra, rappresenta tutto quello che non vogliamo che diventi la nostra città. La destra al governo, infatti, nel riconoscersi il merito di aver messo le cose a posto e di aver persino dato nuovo, decisivo impulso ad uno sviluppo dinamico di Imperia, impone in realtà una lettura asettica, un’elencazione (apparentemente) puntigliosa di aspetti manageriali e contabili, che disegna una città senza persone, uno spazio geometrico dietro una luccicante vetrina, definito al proprio interno, in misura preminente, dalle funzioni che disciplinano l’assetto amministrativo, gli affari economici, la logistica, la sicurezza. In buona sostanza, essa fa l’operazione - in cui è maestra - di neutralizzare i rapporti sociali e di potere ed occultare gli squilibri esistenti, allo scopo di consolidare e rilanciare, sotto la maschera di un rinnovato efficientismo, gli interessi forti che rappresenta, anzitutto nel campo della rendita. Si tratta di smascherare, quindi, la natura ideologica di questo preteso buon governo della destra, imposto ai cittadini con martellante potenza mediatica, ma anche grazie - bisogna dirlo alla particolare vischiosità della rete di rapporti clientelari purtroppo presenti in città, ai significativi elementi di consociativismo e trasversalismo politico sussistenti. E di ricondurre con chiarezza la suddetta natura al blocco di potere da cui proviene. Occorre, nel contempo, saper proporre alla collettività imperiese una città altra, fatta e abitata da persone in carne ed ossa, da cui non sia espunto artatamente il conflitto per rappresentare una ipocrita tranquillità sociale, ma nella quale si riconoscano le contraddizioni e i problemi che quotidianamente incidono sulla vita dei cittadini, che ne fanno la condizione materiale. Una città capace di ritrovarsi nel primato dei bisogni e nell’espansione dei diritti. E, pertanto, un programma che parta dalla consapevolezza del carattere prioritario della difesa delle fasce deboli, dei soggetti sociali più gravemente subalterni, puntando ad una vera e propria riscrittura in progress del patto di cittadinanza regolativo della convivenza. Gli assi di una simile iniziativa di rilancio dell’alternativa sociale e politica, di una adeguata proposta di nuova cittadinanza, dovrebbero essere costituiti, a nostro parere, dalle seguenti priorità: • Rappresentanza e cittadinanza: allargamento degli spazi di democrazia partecipativa in un contestuale riconoscimento di diritti sociali; • Lotta all’impoverimento sociale e culturale e al bisogno di lavoro: impegno contro i processi di precarizzazione incalzanti e lo sfruttamento del lavoro nero e irregolare; introduzione di forme di reddito di cittadinanza; difesa del patrimonio occupazionale; sostegno ai progetti e agli investimenti per lo sviluppo con serie ricadute in termini di sbocchi occupazionali di utilità sociale; • Difesa del territorio dalle speculazioni, con la contestuale assunzione del valore prioritario della tutela dell’ambiente; • Riconsiderazione degli esiti dei processi di privatizzazione intervenuti nelle aziende pubbliche operanti sul territorio e riaffermazione piena dell’interesse collettivo nella gestione e nella fruizione dei servizi e della effettiva esigibilità della proprietà pubblica; • Promozione dei diritti dei bambini e dei minori quale valore cardinale della nuova città sociale; • Definizione di una seria politica dell’accoglien29 novembre / dicembre 2003 za e riconoscimento del diritto di voto ai cittadini immigrati; • Benessere della popolazione anziana e potenziamento della rete pubblica di protezione sociale; • Rivendicazione e riappropriazione di spazi sociali essenziali per il soddisfacimento dei bisogni sociali e culturali, con precipua considerazione delle opportunità di autogestione di strutture, servizi e progetti. Siamo consapevoli, naturalmente, del fatto che tali indicazioni presuppongono la volontà di segnare per davvero una discontinuità, anche rispetto ad una storica tendenza locale di taglio moderato, rassicurante e minimalistico. Tuttavia, a fronte dello strapotere della destra (evidente in tutta la provincia) e del netto peggioramento delle condizioni di vita degli imperiesi, è il caso di dirsi con franchezza che le cose non cambiano di punto in bianco o con semplici aggiustamenti: Imperia, che pure non si merita un’amministrazione come quella attuale, è arretrata enormemente in questi anni, oltre che sul piano economico ed occupazionale, in termini di qualità delle relazioni sociali e dei rapporti civili e democratici. La costruzione di un’alternativa sarà necessariamente un processo lungo e difficile, direi doloroso, che dovrà affrontare e superare, in primo luogo, le trappole del trasformismo; certamente, non sarà un processo riducibile alla logica dello schieramento, per candidarsi sic et simpliciter a sostituire un personale politico con un altro, illudendosi di occupare la macchina amministrativa (la stanza dei bottoni di nenniana memoria) e assicurare un autentico buongoverno. Occorre ricominciare, piuttosto, un cammino di riprogettazione comune con i cittadini, con i diversi soggetti sociali, nella prospettiva di autentico rinnovamento sociale e culturale della città. Questa è per noi la scommessa che conta; su questa possibilità si misurerà la volontà dei diversi attori politici. Si vorrà metter mano ad un impegno così grande? Lo verificheremo a partire dai prossimi giorni, con la campagna elettorale di fatto ormai iniziata. È importante, e costituisce una novità di grande interesse, il fatto che le forze politiche cittadine che si dicono alternative alla destra abbiano sviluppato una serie di incontri dai quali sono sortite ipotesi programmatiche che giudichiamo, in buona misura, coerenti con la piattaforma sopra illustrata e corrispondenti ad un terreno più avanzato nel confronto politico. Ed è da apprezzare il laboratorio di idee che stiamo animando. Ma occorre che questo primo, parziale sforzo di riflessione incontri positivamente la realtà delle esperienze di movimento e dell’associazionismo democratico operanti localmente, come pure il mondo del lavoro, in acuta sofferenza anche perché privo di una adeguata rappresentanza sociale. Senza questi inneschi, la proposta di alternativa non potrà in alcun modo camminare e svilupparsi. * Segretario provinciale del P.R.C. 30 novembre / dicembre 2003 Prospettive di sviluppo della nostra città di Giovanni Trucco Nei prossimi mesi di maggio o di giugno a Imperia si voterà per l’elezione del sindaco e il rinnovo del consiglio comunale. A questo appuntamento elettorale sarà importante che il centrosinistra si presenti unito sia per l’importanza anche politica di queste elezioni amministrative, sia perché è ormai ampiamente dimostrato come il nostro elettorato premi l’unità. Fondamentale sarà la capacità di proporre ai cittadini imperiesi un progetto di sviluppo della città che si dimostri alternativo a quello del centrodestra. Infatti in questi anni di amministrazione Sappa è emersa una visione della città basata su due scelte strategiche: il turismo come principale opzione di sviluppo e la politica urbanistica interpretata come possibilità di sfruttamento del territorio. Urbanistica e turismo sono diventati sinergici con una visione distorta di quest’ultimo in funzione della seconda casa: una simile opzione già in passato (anni ‘60 e ‘70) ha dimostrato gli aspetti negativi del danno ambientale senza creare sviluppo economico, se non portando benefici solo alla speculazione edilizia. Le scelte urbanistiche degli ultimi cinque anni hanno fatto perdere un’occasione alla città: il piano regolatore è stato gestito non come strumento progettuale ma come una semplice opportunità edificatoria. In questo senso l’amministrazione è stata uno strumento per rafforzare il potere economico delle forze vicine al centrodestra e in particolare a Forza Italia. Se il centrosinistra vorrà essere credibile come forza di governo a Imperia dovrà presentare un progetto alternativo più articolato per la nostra città che tragga impulso dalla tradizione e sappia stimolarne le potenzialità. Già in questi anni di opposizione, sia in consiglio comunale che nel dibattito politico cittadino, è emersa una nostra visione di sviluppo multivalente della città in cui l’opzione turistica si integra con quella industriale e commerciale. Un momento fondamentale sarà la costruzione del nuovo porto che veda superato l’ antico antagonismo tra il porto turistico e quello commerciale. I due progetti dovranno realizzarsi di pari passo e per quanto riguarda il porto turistico le opere a mare dovranno avere la precedenza sull’ edilizia residenziale. Il potenziamento del porto commerciale dovrà essere l’ occasione per il rilancio dell’industria alimentare: Imperia dovrà identificarsi come riferimento per l’alimentazione mediterranea. L’offerta turistica non può limitarsi al posto barca ma dovrà essere multipla: turismo sportivo, culturale, gastronomico. A tal fine l’amministrazione comunale dovrà svolgere un ruolo di regia pubblica per la realizzazione delle opere necessarie come il museo navale, il palazzetto dello sport, il centro dei cetacei, il polo fieristico: l’amministrazione Sappa non si è occupata di nulla di tutto questo. In questa progettualità bisognerà favorire forme di collaborazione con i privati, privilegiando gli imprenditori che garantiranno una volontà di investire in città e che non saranno interessati ad intervenire nella speculazione edilizia o ad impossessarsi dei marchi industriali per utilizzarli altrove. Per essere credibile nel proporre questo progetto, il centrosinistra dovrà confrontarsi con le associazioni di categoria, i sindacati, con il volontariato, con le associazioni giovanili: con tutto quel mondo che è rimasto ai margini delle scelte dell’amministrazione Sappa. * Segretario unione comunale DS Imperia 31 novembre / dicembre 2003 32 novembre / dicembre 2003 Gli 80 anni del Comune di Imperia Una manifestazione ufficiale dove è mancata la pluralità politica di Carla Nattero * Nel corso delle celebrazioni per gli ottanta anni della città ci sono stati momenti di polemica spicciola nei confronti dell’amministrazione Sappa. Sono stati contestati i centomila euro spesi per il calendario delle manifestazioni, di cui molte sono state di poco spessore e altre prettamente propagandistiche. L’opposizione ha criticato soprattutto la manifestazione ufficiale che si è svolta in Consiglio comunale: una celebrazione del tutto autarchica nelle forme e nella sostanza politica,in cui Forza Italia ha assunto il monopolio del compleanno, con il sindaco Sappa,il presidente del Consiglio Varaldo nella vesti di maestri di cerimonia e il ministro Scajola come unico oratore. Il Ds per protesta con queste iniziative a senso unico che rivelavano scarso rispetto istituzionale e soprattutto scarso senso della pluralità di voci e di espressioni politiche che hanno fatto la storia della città, ha richiesto una convocazione di Consiglio esclusivamente destinata all’argomento per promuovere un dibattito che coinvolgesse i consiglieri comunali di maggioranza e di opposizione e quindi le diverse sensibilità politiche presenti nella città. Nel prepararmi al Consiglio comunale da noi richiesto, che si è tenuto alla vigilia di Natale del 2003, ho letto i testi della celebrazione ufficiale tenutasi dieci anni prima, in occasione del 70esimo, e soprattutto ho riletto l’orazione ufficiale pronunciata nel 1993 da Alessandro Natta. Come lui stesso confessa era emozionato nel ritrovarsi in quell’aula dopo trent’anni. Natta infatti è stato eletto consigliere comunale nella lista del Pci il 31 marzo 1946, rimanendo in Consiglio per quindici anni. Rieletto nel ‘51, nel ‘56 e nel ‘60, darà le dimis- sioni nel 1961, a causa di incarichi nazionali. Il discorso di Natta mi ha molto colpita per tanti aspetti: per l’amore verso Imperia, vero e non retorico, che traspare da tutto il suo ragionamento; per la efficacia e la originalità con cui colloca l’unità di Porto e Oneglia nelle idee risorgimentali e socialiste nel passaggio tra Ottocento e Novecento, per la intuizione sintetica ma del tutto felice con cui mette in risalto le speranze di sviluppo economico legate alla nuova città ma anche i limiti storici di questa previsione( la crisi economica degli anni 30). Ma ancora più importante è l’attualità e la preveggenza della sua impostazione politica. Nel momento presente,in piena epoca di revisionismo e cancellazione della memoria storica da parte dei berlusconiani, nei giorni in cui vediamo il presidente del Senato, Pera, che dice tranquillamente che l’antifascismo è un mito di cui occorre liberarsi, fa particolarmente riflettere il forte richiamo di Natta ai principi della Repubblica, all’antifascismo, ai valori del lavoro e della libertà. Come ricorda Natta ai cittadini imperiesi: «E per noi i principi stanno in quel messaggio etico-politico della Resistenza che è scritto nella costituzione: la repubblica che ripudia la guerra, che si fonda sul lavoro,che tutela ed assicura l’eguaglianza e la certezza dei diritti di cittadinanza civile e sociale». E il richiamo ai principi assume ancora più forza perché Natta con il caratteristico tratto di libertà intellettuale che lo ha sempre contraddistinto, mentre ancora saldamente la storia della nostra città nel quadro costituzionale, dà un riconoscimento diretto al ruolo del fascismo nella realizzazione definitiva della unità cittadina. 33 novembre / dicembre 2003 Sono ben consapevole che, sia per la diversa statura dei personaggi in questione, sia per il mutamento della realtà politica, non è possibile un confronto tra la relazione di Natta del 1993 e quella di Scajola dieci anni dopo, ma alcuni aspetti li voglio ricordare. Per sottolineare come è cambiato in peggio il mondo. Come «quella asprezza e acutezza dei pericoli che assediano e insidiano la vita del nostro paese» cui fa riferimento Natta nel suo discorso, sia arrivata ad approdi reazionari. Nella parte storica del suo discorso, molto dettagliata, il ministro di FI tosa la storia con un esercizio di equilibrio reticente. Il fascismo è, secondo la definizione dell’on. Scajola, un governo dirigista; nel lungo elenco dei personaggi illustri cittadini non sono ricordate le medaglie d’oro della Resistenza Cascione e Bonfante, gli stessi che Natta aveva definito «simboli luminosi di questa nostra comunità». Soltanto nel testo stampato un mese dopo dal comune di Imperia, dopo una polemica pubblica, ricompaiono le medaglie d’oro non nominate nel suo discorso. Ma ancora più asfittica nel discorso di Scajola è l’interpretazione della storia cittadina. La borghesia imperiese ne è la esclusiva protagonista e Forza Italia, come prima la Democrazia cristiana, è il partito che la interpreta. Una visione storica totalmente autosufficiente e mistificante se solo si pensa alle responsabilità delle famiglie imprenditoriali locali nella dismissione del patrimonio industriale cittadino. Ritornando all’orazione di Natta, vorrei sottolineare un altro aspetto importante: la riflessione istituzionale. Natta qui richiama un punto importante, purtroppo estremamente attuale, sostenendo che il regionalismo è articolazione non smembramento dello stato. Come ben dice Natta: «la sinistra e la Democrazia cristiana rivendicavano entrambe quell’idea nuova del regionalismo, dell’articolazione dello stato, del sistema delle autonomie, ma al fine di un potenziamento dell’unità del popolo e della nazione, e per l’obiettivo di una più forte solidarietà e di una maggiore efficienza dello stato». Questa riflessione nasce dal dibattito che toccò Imperia nell’immediato dopoguerra. Entrare a fare parte della Regione Liguria o dare vita con la provincia di Cuneo a una piccola Occitania? Pubblichiamo in queste pagine una parte dei verbali del dibattito del Consiglio Comunale di Imperia cui si riferisce Natta. Dai testi emerge la miopia della Dc che optando per Cuneo si riferiva a territori in cui poteva avere maggiore riscontro elettorale. Però nello stesso tempo risulta evidente quella collocazione eccentrica della nostra città che è sempre presente nella nostra cultura. Anche lo stesso concetto di unità cittadina è ormai affermato ma presenta ancora alcuni elementi di fragilità. Pubblichiamo la delibera del 1947 in cui il Consiglio comunale di Imperia approva a larga maggioranza la costituzione di Montegrazie in comune autonomo. Soltanto motivi tecnici posti dal Ministero dell’Interno lo impedirono. Ma anche questo è un punto rimasto aperto fino a oggi: le frazioni di Imperia sono rimaste in alcuni casi separate rispetto al territorio cittadino. Rimane una differenza che l’attività amministrativa non è riuscita a colmare. Sappiamo che in questi mesi richieste di autonomia sono nuovamente arrivate da diverse frazioni: Montegrazie, Torrazza, Piani, Borgo d’Oneglia. È perciò ancora attuale il suggerimento di Natta che ci ricorda che i problemi di Imperia debbono essere affrontati anche con sapienza istituzionale, coniugando articolazione e maggiore efficienza e solidarietà dello Stato. Anche su questo punto il suo insegnamento è vicino e ci ammonisce a non cadere nei pasticci istituzionali del presente. * Consigliere comunale di Imperia 34 novembre / dicembre 2003 Documento Imperia, ottobre 1993, settantesimo di Imperia Centralità del Comune, solidarietà, unità del popolo e della nazione Orazione ufficiale di Alessandro Natta Signor sindaco, consiglieri, autorità, signore e signori, miei concittadini Sono grato di questo incarico, che considero un onore, e vi prego di scusarmi se non riuscirò a nascondere del tutto l'emozione di tornare a parlare, dopo più di trent'anni, in quest'aula che è stata per me la sede del primo e aperto cimento politico, nel 1946, e - poi - di tante e appassionate battaglie. Ma, oggi, l'occasione è fausta e felice: ricordiamo e celebriamo, senza ombra - penso di pentimento, di dissenso, di riserva, l'unione di Oneglia e Porto Maurizio e degli altri nove comuni: Piani, Caramagna, Castelvecchio, Sant'Agata, Costa, Poggi, Torrazza, Moltedo, Montegrazie, che il 21 ottobre 1923 costituirono la nuova Città che prese il nome di Imperia. L'idea, e il nome - voi lo sapete - hanno ben più di settant'anni. In una lettera del 15 marzo 1908, Benito Mussolini scriveva da Oneglia a Menotti Serrati: «… Quando non ho nulla da fare, la sera, passo il tempo nella farmacia “Imperia”, del compagno Ravotto». Imperia, appunto, a segnare l'impegno e l'augurio per quel progetto di unione che i socialisti di Oneglia e di Porto Maurizio tentavano di realizzare, anche con l'aiuto di Mussolini, proprio in quell'anno. Progetto che già era stato auspicato e perseguito più volte, ma invano, dopo l'unità d'Italia. La storia ha percorsi imprevedibili e stupefacenti. Quella rivendicazione che era sorta all'alba del risorgimento tra i patrioti più illuminati e moderni, gli amici di Mazzini e Garibaldi, potremo dire, e che mirava a scuotere il peso gravoso di incomprensioni e conflitti secolari tra due terre che avevano obbedito prima alla ragione di due stati, la Repubblica di Genova e la monarchia di Savoia, in costante e sordo contrasto, e che poi, dal 1796 al 1870, da Buonaparte a Cavour, avevano vissuto la gara, tenace e spesso angusta, persino un poco meschina, per la supremazia del ponente della Liguria. Nei primi decenni dell'Italia unita, in quel disegno di fare una sola città di Porto Maurizio e di Oneglia restava ben presente un dato della cultura e del sentire risorgimentale: quello della comprensione, dell'amicizia, della fratellanza, da instaurare fra due popolazioni che avevano tanto sofferto il travaglio della divisione, e che erano pur così vicine e uguali. Oneglia e Porto unite, ecco: era quasi un'immagine e un simbolo della nuova Italia. Ma, più a fondo, in quel disegno premeva un'ispirazione e un fine politico, lungimirante ed ambizioso: quello di costruire una base più solida per lo sviluppo economico e sociale della provincia; di dar vita ad un polo più robusto per il traffico marittimo, e di offrire, infine, uno sbocco al mare adeguato per il Ponente. Non valsero, però, allora, deliberazioni solenni di Consiglio comunali e provinciali, né manifestazioni di popolo. Quell'idea fu realizzata, invece, in regime di pieni poteri, da un uomo che aveva già dato colpi durissimi alle libertà politiche e civili, e che si apprestava a stabilire un regime autoritario. Ma la scelta di Imperia, ed altre successive, di accorpamento di Comuni e di decentramento di province si inscriveva in una visione giusta e valida di organizzazione del territorio e di revisione della pubblica amministrazione. Lo dico senza impaccio e senza alcun timore che si creino equivoci. Sappiamo bene che non tutto, nel ventennio fascista, fu errore, stoltezza, abiezione. Sia chiaro, però: non c'è stata Auschwitz, 35 novembre / dicembre 2003 Documento in Italia, ma la vergogna della persecuzione razziale e delle deportazioni, sì. E la distruzione delle libertà, anche quelle comunali, e le strettezze nella cultura e nell'economia, e le distruttive follie bellicistiche, tutto ciò l'abbiamo sofferto e pagato. A cinquant'anni dal crollo rovinoso del regime fascista e dall'avvio - arduo e sanguinoso della rinascita dell'Italia a nazione libera e unita, è giusto ricordare: non tanto per ribadire condanne e rifiuti, ma per essere vigili, attenti e non ripetere. Al suo sorgere, nel 1923, Imperia si faceva naturalmente erede - e li inscriveva nel programma del suo avvenire - di un complesso di idee e di propositi: il porto unico, la ferrovia per il Piemonte, la derivazione delle acque del Tanaro, che avrebbero dovuto assicurare il decollo della città, e farne un centro vivo e competitivo in una Liguria a prevalente vocazione industriale e marittima. Bisogna onestamente riconoscere che, forse, era già un po' tardi. Scelte decisive, compiute in passato, a Genova, a Savona, ponevano un freno, ormai, a quella prospettiva di sviluppo per Imperia. E, poi, facevano ostacolo i dati oggettivi della perifericità, dell'angustia impervia del territorio, e gli errori gravi del passato, tra i quali resta memorabile - lo dico, perché tornato di attualità l'ostinato e miope rifiuto degli onegliesi e dei portorini di decidere per un unico scalo ferroviario, e soprattutto l'insorgere della grande depressione economica, che all'inizio degli anni trenta travolse un cardine della struttura industriale, quale l'acciaieria, ed infine l'indirizzo politico ed economico del regime fascista, ispirato alle borie nazionalistiche, alle grettezze autarchiche, alle sospettosità oppressive, che tarparono ogni possibilità per la nostra riviera di uno sviluppo turistico pari a quello, già allora su scala di massa, della vicina Costa Azzurra. L'unione di Oneglia e di Porto Maurizio non riuscì, dunque, ad essere il volano di una crescita rapida e rilevante, e nemmeno di una saldatura urbanistica - non voglio dire: fortunatamente, in quanto ha difeso tanto verde - e tuttavia un aspetto importante c'è stato, sotto questo profilo, non divenuto ancora in pieno, ma auspicabile sarebbe auspicabile oggi: di avere qui il centro amministrativo e direzionale della città. Il fatto positivo e vincente, invece, fu l'integrazione delle diverse genti, attraverso la scuola e il lavoro, le manifestazioni della cultura e dello sport, l'apertura all'immigrazione; fu il prendere corpo, via via, di una nuova comunità. Cadono, già in quegli anni lontani, a poco a poco, le vecchie scorie delle diffidenze e delle barriere campanilistiche: impariamo che si può stare assieme restando se stessi; che la diversità delle radici e delle tradizioni, degli usi e dello stile di vita, dello stesso dialetto, può essere la base d'un patrimonio comune, più ricco e fecondo. Ci rendiamo conto, gli uni, che Porto Maurizio è bella - e non solo vista da Oneglia, come si diceva - e gli altri che Oneglia sa essere ospitale anche per i foresti di Porto. Ci si unisce, e ci si divide, ora, più chiaramente, per altre ragioni che non l'attaccamento a memorie lontane o l'appartenenza ad un territorio: per la comunanza o la differenza delle sorti sociali, delle idee politiche, delle visioni del mondo e dell'uomo (come, del resto, era già accaduto in passato, che i nostri antenati si collegassero o si contrastassero, al di là dei confini delle città e dei borghi, per essere monarchici o repubblicani, liberali o democratici, socialisti o popolari). A me è accaduto molte volte di ricordare che nella mia giovinezza, quando si giunse alle scelte di campo e di vita, gli amici forse più che stretti che io ebbi, nella fede e nella lotta, erano di Porto: il maggiore dei fratelli Serra, liberalsocialista, scomparso nell'abisso di Mauthausen; Cascione, comunista, caduto da partigiano su queste nostre montagne. Di Cascione e di Bonfante è stato giusto fare, già nel corso della guerra di liberazione, i simboli luminosi di questa nostra comunità, l'espressione più autentica e pura dei giovani di Oneglia, di Porto e degli altri antichi Comuni, della maggioranza - voglio dire - della gioventù di Imperia, che rappresentava anche la maggioranza della nostra gente, che seppe scendere in campo in un impegno di lotta e di morte per riscattare l'Italia, per rifondare in libertà e unità la nostra nazione. Anche Imperia l'abbiamo allora rifondata con un patto democratico e con il vincolo dei diritti e dei doveri comuni ai cittadini di un'unica città. 36 novembre / dicembre 2003 Documento Lo so: già tanti anni orsono, Ferruccio Parri, ripetendo che la Repubblica è fondata sulla Resistenza, temeva di rischiare un rituale banale e retorico. Ma oggi, di fronte ai mali d'Italia, a quale bussola di salvezza dobbiamo affidarci? Non è il momento, qui, di richiamare l'acutezza e l'asprezza dei pericoli che assediano e insidiano la vita del nostro Paese: il blocco del sistema democratico, la commistione corruttrice tra politica, amministrazione, affari, l'inefficienza disastrosa dei grandi servizi pubblici, e, più a fondo, una dura repressione economica, un'eclissi paurosa della legalità, un offuscarsi di valori essenziali della moralità. L'esigenza di una rigenerazione, di un rinnovamento morale e politico è indubitabile. A me pare che sarebbe saggio obbedire a un antico insegnamento del Machiavelli: che di tempo in tempo è bene richiamare la Repubblica ai suoi principi. E per noi i principi stanno in quel messaggio etico-politico della Resistenza che è scritto nella costituzione: la Repubblica che ripudia la guerra, che si fonda sul lavoro, che tutela ed assicura l'eguaglianza e la certezza dei diritti di cittadinanza civile e sociale; la Repubblica che deve realizzare l'eguaglianza delle possibilità, per i cittadini, ad un pieno sviluppo della persona umana e ad una effettiva partecipazione all'organizzazione politica, economica e sociale del paese senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali; e la Repubblica che si costruisce una e indivisibile sul fondamento del pluralismo, delle autonomie, del decentramento delle funzioni politiche e amministrative. Nessuno - badate - negli anni della Resistenza e della Liberazione pensò che fosse auspicabile, o possibile, ritornare allo stato elitario, accentratore, burocratico, che era stato tipo dell'Italia anche prima del fascismo. Ma guai se, oggi, si ritenesse davvero che il rimedio può trovarsi nel rompere il patto, nel decidere di non stare più insieme, nell'obbedire allo spirito della separazione, alle presunzioni ed alle intolleranze delle etnie, delle stirpi, dei territori e delle risorse economiche. Io ho vivo il ricordo di un grande dibattito in questa aula. Nel 1946, quando all'Assemblea Costituente si definiva l'assetto territoriale ed amministrativo dello stato, dove avrebbe dovuto collocarsi Imperia? Continuare a far parte della Liguria, o dar vita - unendosi a Cuneo - ad una sorta di piccola Occitania? Il confronto affrontò questo tema e fu accesissimo. Ma i fautori dell'una e dell'altra tesi, e, in termini più espliciti, la sinistra e la Democrazia cristiana, rappresentanti di classi e di culture che nel vecchio Stato, avevano avuto condizioni subalterne e ruoli di opposizione antistatale - sia i cattolici che i socialisti ed i comunisti rivendicavano entrambi, nel 1946, quell'idea nuova del regionalismno, dell'articolazione dello Stato, del sistema delle autonomie, ma al fine di un potenziamento dell'unità del popolo e della nazione, e per l'obiettivo di una più forte solidarietà e di una maggiore efficienza dello Stato. Il guaio - diciamolo con schiettezza - è che, poi, l'ordinamento regionale è stato realizzato con un ritardo inaudito, soltanto nel 1970, ed è stato realizzato male, con una serie di timidezze, di riserve, di vincoli, per un'assurda paura politica: ed il guaio è che anche nei confronti dei Comuni è spesso mancato il rispetto delle funzioni e dei poteri che ad essi affida la costituzione. Richiamare la Repubblica ai suoi principi vuol dire che si può e si deve tornare anche a discutere dell'assetto territoriale dello Stato. Certamente. Del rapporto fra Stato e cittadini; del rapporto, anche, fra Stato, Regioni Provincie e Comuni. Che si può discutere, anche, della configurazione delle facoltà e dei poteri delle Regioni, avendo chiaro, però, che, sia per l'Italia, sia per l'Europa, c'è una struttura-cardine: quella della nazione, che sarebbe un errore e un rischio gravissimo tentare di spezzare. Che si miri ad un orizzonte più vasto è giusto; è necessario. Ma guai se si pensasse di poter costruire una nuova comunità di popoli restringendo o frantumando quella che, con lunga fatica, abbiamo edificato e fatto vivere in Italia. Anche dell'esperienza del governo della nostra città, in questi decenni di vita democratica, a me preme sottolineare come vi sia stato, in generale, un rapporto equilibrato tra il sentimento unitario di appartenenza e la dialettica politica e programmatica. Forse questo carattere risulta più evidente e chiaro - o almeno, a me pare - nelle due prime 37 novembre / dicembre 2003 Documento amministrazioni; quella Alterisio e quella Scajola, che ebbero, entrambe, una spiccata fisionomia politica - diciamo pure di parte: due amministrazioni fortemente caratterizzate - e che operarono tuttavia costantemente in un confronto infuocato ma senza alcuna venatura o concessione al particolarismo - ch'io ricordi - perché al centro, e dominanti, erano, per tutti, i grandi temi della ricostruzione e delle prospettive di sviluppo di Imperia. I progetti, le scelte delle amministrazioni, i dibattiti e gli scontri del Consiglio comunale, furono in quegli anni elemento essenziale, preminente, della vita cittadina: perché si avvertiva che in campo, e al confronto, erano indirizzi e programmi di portata generale. Per questo tratto di progettualità, per questa caratteristica di confronti tra visioni alternative, era così acuta l'attenzione, così partecipe l'interesse - e non solo perché gli imperiesi, come tutti in Italia, vivevano ancora nell'accensione esaltante della riscoperta della democrazia e della politica. E per queste affermazioni, vi prego di non mettermi nella schiera dei lodatori del passato: non credo affatto che quei momenti, ed altri, nella vita di Imperia, che sono stati positivi per capacità di elaborazione, per impegno di operosità, per schiettezza di rapporti fra le forze politiche, debbano considerarsi irripetibili. Una centralità del Comune deve, e può essere riaffermata. Nella società civile e nello spirito di civica solidarietà è essenziale una centralità del Comune. E, se a questo proposito un'opinione è consentito di esprimere, magari un po' controcorrente, voglio dire che certamente importanti sono le nuove regole, i nuovi compagni elettorali, che, del resto, si sono già apprestati: ma prima, prima, viene la politica, che resta decisiva per una rinascita. Intendo la politica in senso lato, quella che si affida alle idee ed ai progressi, e che si esprime e si afferma nella moralità degli uomini, nella limpidezza delle alleanze, nella serietà dei propositi, le nostre radici, la conoscenza ed il rispetto del nostro passato, quello più lontano e favoloso dei nostri antenati e quello dei settant'anni di Imperia - che abbiamo voluto oggi richiamare - ci diano vigore di intelligenza e audacia di determinazione nel perseguire per la nostra città una nuova e feconda stagione. 38 novembre / dicembre 2003 Ottantesimo anniversario della città di Imperia Considerazioni sul passato, proponimenti per l’avvenire di Mauro Torelli * La gran parte degli anniversari, specialmente nella ricorrenza della nascita di una città, diventa occasione festivo-ludica e di riflessione. Ottant’anni non sono molti nella vita di Imperia, ma sufficienti per formulare considerazioni utili per il futuro. I decennali hanno stimolato la pubblicazione di libri e articoli e offerto risultati di ricerche le più diverse sui Comuni, e principalmente Oneglia e Porto Maurizio, poi confluiti nella nuova città capoluogo. Non credo che la memoria mi tradisca nel ricordare che nelle precedenti ricorrenze (ormai la mia partecipazione ai decennali ufficiali ha superato il numero di quattro) avevo colto un interesse e un dibattito più ampi. La perdita di interesse deriva dalla caduta della partecipazione e della pratica politica di massa e ciò deve preoccupare tutti i sinceri democratici e trarre da ciò un primo insegnamento. Il messaggio che il centro-destra vuole trasmettere, e non mi riferisco solo ai consiglieri comunali, assessori, sindaco e ministro, ma al complesso del sistema di potere che in esso si riconosce, è che si è aperto un fulgido destino per la città potendo essa contare su due pilastri: la classe industriale, che ne ha guidato la crescita, e gli amministratori, che interpretano creativamente le intuizioni della borghesia nostrana. Ma la realtà non è quella che viene dipinta dagli attuali governanti. La tesi che mi riprometto di esporre è che la borghesia cittadina non abbia le capacità di evitare alla città il rischio di decadenza, e che non possegga cultura e proposte programmatiche adeguate. Voglio rivisitare, anche attraverso le esperienze personali, gli avvenimenti più significativi nel tentativo di coglierne gli aspetti ancor oggi attuali e riproporli alla riflessione della sini- stra e delle forze democratiche. Tra i Comuni che hanno concorso a formare Imperia, capoluogo di una provincia geograficamente periferica ma straordinariamente capace, Oneglia in particolare, tra la seconda metà dell’ottocento e i primi venti anni del secolo scorso, ha saputo esprimere la modernizzazione dell’epoca assommando le capacità di un’avanguardia della borghesia imprenditoriale (erede della miglior tradizione giacobina), capace di coniugare sviluppo industriale, globalizzazione e cultura, con quelle di coloro che diedero vita al movimento organizzato dei lavoratori, dal Psi al successivo Pci. Penso specialmente a Mario Novaro, l’imprenditore, l’intellettuale progressista, e alle centomila copie della sua La Riviera ligure, che accompagnavano la produzione olearia dei Sasso conosciuta in tutto il mondo; ho in mente, sull’altro versante, la realtà che ha saputo esprimere, nel corso del novecento, dirigenti di livello internazionale come Giacinto Menotti Serrati e Alessandro Natta. Lo sviluppo dell’economia portuale, simbolo di autogestione dei lavoratori che ci ricorda l’esperienza viva delle società operaie, la crescita dell’industria alimentare, di quella siderurgica e dei relativi indotti sono stati il risultato di un progetto lungimirante sostenuto da borghesi illuminati che accettavano, ritenendola positiva, la normale dialettica con la nascente classe operaia. Ancora oggi stupisce la dimensione dell’attività portuale ad Oneglia che in un ventennio quintuplica il suo traffico1. Si può ben dire che i portuali costituiscano il nerbo della giovane Camera del lavoro di Oneglia, la più importante da Finale Ligure al 1 - Nel 1911 nel bacino di Oneglia si sono movimentate 97.912 tonnellate e in quello di Porto Maurizio 17.402. Nel 1891 a Oneglia la movimentazione aveva riguardato merci per 21.485 tonnellate, mentre a Porto Maurizio il tonnellaggio era stato di 8.104. Nel 1916, anche per gli effetti della guerra nell’Adriatico, a Oneglia si ebbe il record assoluto di movimentazione nel bacino con 220.663 tonnellate e, analogamente, a Porto Maurizio con 67.725. Come utile raffronto, si ricorda che i due bacini portuali complessivamente nel 1979 hanno movimentato 214.442 tonnellate (fonti: direzione generale ministero Industria e Commercio; Istituto centrale di statistica; Consorzio Imperia-Piemonte). 39 novembre / dicembre 2003 confine, della quale due anni or sono si è celebrato il secolo di vita. I maggiorenti cittadini del centro-destra non ricordano in nessuna occasione le molte centinaia di portuali che operavano anteriormente alla prima guerra mondiale: forse che Leonardo Dulbecco, il console dell’epoca e primo dirigente del neonato partito comunista d’Italia nel 1921, non aveva dimostrato più capacità imprenditoriale di qualche presunto industriale ripetutamente ricordato tra i protagonisti della crescita cittadina, ma che non è riuscito a difendere l’esistenza della propria azienda? Purtroppo la prima guerra mondiale ha dato un colpo grave all’economia del Paese e quindi i lavoratori e le classi più umili sono stati coloro che più hanno pagato la follia bellicista con la penuria alimentare, le ristrettezze economiche, il mancato sviluppo, aspetti negativi ulteriormente accentuati dall’avvento del fascismo. Nel 1915 Oneglia è stata una delle zone dove più forte è stata l’opposizione alla guerra. La città può essere orgogliosa di quei cittadini che bloccarono il 7 maggio la partenza dalla stazione di Oneglia dei treni con i militari diretti ai confini nord orientali in previsione del conflitto. Quel movimento di massa fu particolarmente ampio perché supportato nella campagna contro la guerra dal giornale socialista La lima e dal Giornale ligure del cattolico onorevole Giacomo Agnesi. È pur vero che l’importante scelta pacifista dell’onorevole Agnesi si era intrecciata con la sua tiepidezza verso l’unificazione della città, come anche l’aperta opposizione dei conservatori della provincia che frapposero ostacoli al percorso unitario scelto nel 1908 dalle due amministrazioni comunali socialiste di Oneglia e Porto Maurizio. L’abbattimento della democrazia si è manifestata con la brutalità del manganello, del confino e degli imprigionamenti, ma ha comportato anche la compressione di energie vitali espresse dalla presenza organizzata del sindacato nell’azienda e dall’apporto, anche economico, che scaturisce dalla libertà culturale. Non viene ricordato a sufficienza il prezzo pagato dal nostro turismo e dal nostro commercio a causa delle barriere doganali alzate in omaggio alla politica autarchica del fascismo e alle conseguenti avventure coloniali. Intere generazioni di nostri concittadini sono state sottratte al lavoro produttivo e alle loro famiglie e mandate a morire e a uccidere in paesi lontani. Il riscatto è venuto ancora una volta dal mondo del lavoro e dalle minoranze giacobine della borghesia illuminata. Imperia è stata il fulcro della lotta antifascista. Durante il ventennio mussoliniano non è mai venuta meno la presenza organizzata comunista e socialista che ha capitalizzato le esperienze di lotta nell’esilio e nella guerra di Spagna. La nostra città, capoluogo di una provincia decorata con la medaglia d’oro per la lotta resistenziale contro i nazisti e i fascisti, ha pagato il suo impegno per ritornare alla democrazia con decine di caduti (sono stati circa milleduecento i civili e i partigiani uccisi nella prima zona ligure), con internati nei campi di concentramento. Imperia è anche la città con quattro suoi figli decorati di medaglia d’oro alla memoria (tre delle quali attribuite a comunisti): ho trovato increscioso che nelle celebrazioni ufficiali non sia stato dato specifico rilievo al ricordo di questi nostri concittadini, che invece devono comparire in cima all’elenco dei benemeriti cui essere riconoscenti. L’unità della Resistenza, una forte componente in essa della sinistra socialcomunista, il protagonismo della gioventù partigiana, in cui si espressero significativamente anche le ragazze, e i partigiani che, tra l’altro, impedirono ai tedeschi di far saltare il porto minato, furono il terreno fertile su cui si innestò la rinascita della città. L’elezione del Consiglio comunale, il voto che indicò la maggioranza di sinistra con il comunista Alterisio sindaco della città, la scelta della Repubblica nel referendum sono stati gli emblemi della rinascita della città nel secondo dopoguerra. Un nuovo inizio fatto di entusiasmo e difficoltà: fino ai primi anni cinquanta la città ha convissuto con la disoccupazione di massa e i lavoratori, con il loro sindacato hanno dovuto lottare duramente per ottenere che le fabbriche, gli uffici e il porto riprendessero a operare a pieno regime. L’aspetto più importante di quell’esperienza è stato il tirocinio di massa alla democrazia: la costruzione dei partiti, il ritorno di un sindacato autonomo, la formazione di una nuova leva di amministratori, di dirigenti politici e sindacali hanno segnato la vera rinascita della città. Anche su Imperia si sono riflesse le vicende politiche generali e gli anni cinquanta e sessanta sono stati assai difficili per i lavoratori. La seconda e la terza generazione della borghesia cittadina protagonista del decollo industriale si sono dimostrate impari alle necessità: non più il gusto della ricerca di nuove strade, dei 40 novembre / dicembre 2003 rischi imprenditoriali calcolati, ma le attenzioni furono dedicate alla speculazione edilizia e alla finanza. Per lunghi anni, al contrario di quanto avveniva nel resto della Liguria, i depositi negli istituti di credito della provincia hanno di gran lunga superato gli investimenti. Anche le maggioranze di centro e di centro-sinistra di quegli anni riflettevano in Consiglio comunale la ritirata della borghesia imprenditoriale. La vicenda del Piano regolatore è emblematica. Le varie amministrazioni succedutesi negli anni ‘50 e ‘60 non sono state in grado di trovare un punto di equilibrio soddisfacente per gli interessi della città. Le mediazioni si risolvevano sempre al rialzo in favore della speculazione edilizia: il primo Piano regolatore fu approvato soltanto nel 1973. L’ingordigia dei potentati locali era enorme: Giovanni Parodi, sindaco Dc di un’amministrazione di centro-sinistra, dovette dimettersi in quanto non gli perdonarono l’adozione di uno strumento urbanistico dimensionato solamente per una previsione di crescita della città del cinquanta per cento (giova ricordare che dopo trent’anni gli abitanti di Imperia non sono aumentati!). Aver ricordato le vicende del Piano regolatore mi ha fatto tornare alla mente una riunione tenutasi nella sala Giunta del Palazzo comunale nell’autunno del 1964, per esaminare il progetto di Piano regolatore presentato dall’allora Giunta centrista nel corso della quale il compagno onorevole Alberto Todros iniziò ai temi dell’urbanistica il gruppo consiliare comunista e altri dirigenti di partito presenti. L’incontro era stato voluto dal compagno Giuseppe Gennari, capogruppo nel consiglio di Imperia. Il capoluogo è cresciuto anche per l’opera di persone come Giuseppe Gennari, amministratore, dirigente politico e sindacale, un giovane della leva resistenziale, figlio di contadini poveri, con un’educazione scolastica elementare che, attraverso la militanza e lo studio autodidatta, ha saputo dimostrare che esistevano nuove forze, per ricostruire la casa comune colpita dalla guerra e dal fascismo e per impedire i guasti che la speculazione e gli incapaci stavano apportando alla città. Le vicende politiche più generali hanno pesato naturalmente sul capoluogo: la rottura dell’unità a sinistra, all’inizio degli anni sessanta, culminata con l’alleanza del partito socialista con la Democrazia cristiana e i partiti laici. Per oltre un decennio Pci e Psi sono stati su fronti contrap- posti. Poi, nel 1975 in occasione delle elezioni amministrative e regionali è accaduto il grande fatto politico della vittoria del Pci e del Psi con l’elezione di una Giunta di sinistra, della quale sono stato eletto sindaco, pur potendo contare solamente su diciannove consiglieri dei quaranta componenti il consiglio comunale. L’importanza di quel lontano avvenimento risiedeva nel segnale di un possibile cambio di fase politica. La tornata elettorale della primavera del 1975 determinò una maggioranza di sinistra nella Regione Liguria: il compagno Carossino ne divenne presidente, mentre il compagno Rum assunse la responsabilità assessorile del turismo e dell’agricoltura. Per completezza di informazione ricordo che in quel periodo i comunisti della provincia di confine potevano contare su due parlamentari, Franco Dulbecco deputato e Nedo Canetti senatore, oltre che su Tito Barbé secondo consigliere regionale. In provincia di Imperia il Pci divenne componente importante per la formazione di maggioranze in molte amministrazioni locali: alla riconferma dei comuni di Perinaldo, Diano San Pietro, Badalucco e Montalto Ligure, si aggiungevano le nuove amministrazioni espressione di larghi schieramenti unitari quali Cervo, Cosio d’Arroscia, Mendatica, Vessalico, Vasia, Soldano, Airole, Rocchetta Nervina, Carpasio e Pigna. Minoranze con la presenza comunista, furono conquistate per la prima volta nei comuni di Seborga, Triora, Molini di Triora, Isolabona, Pontedassio, Dolceacqua. L’elezione della giunta di sinistra nel comune di Imperia avvenne nell’agosto del 1975, nel contesto ricordato. Il ritorno del Pci alla guida del Comune capoluogo sorprese molti, anche il segretario regionale, compagno Montessoro, che dalla località di vacanza in cui si trovava mi telefonò, favorevolmente sorpreso, per conoscere i dettagli della elezione della nuova amministrazione di sinistra e si offrì di interrompere le ferie per le esigenze del caso. Lo rassicurai che, pur non avendo una maggioranza precostituita, per qualche mese non ci sarebbero stati problemi. Il risultato elettorale era la contabilizzazione di lunghi anni di lotte che avevamo condotte contro il centrismo prima e quindi contro il centro-sinistra, una coalizione della quale il Psi non era stato in grado di determinarne un orientamento antispeculativo e per un diverso sviluppo. Le difficoltà del centro-sinistra non risie41 novembre / dicembre 2003 devano solo nei rapporti di forza interni alla coalizione sfavorevoli al Psi, ma nel fatto che il partito socialista non si poneva l’obiettivo di spostare poteri a favore degli strati sociali esclusi, a partire dai lavoratori. Sul finire degli anni sessanta c’era stato un intreccio di lotte locali con quelle più generali. La lotta contro il governo Tambroni nel 1960 segna l’ingresso di un nuova leva di giovani antifascisti che daranno linfa alle battaglie contro il terrorismo nero e contro le trame dei servizi deviati di fine decennio. L’ingresso in politica dei ragazzi e delle ragazze con le magliette a strisce si saldò con i militanti della Resistenza storica e rafforzò le molte iniziative contro il fascismo, in difesa delle istituzioni democratiche, del lavoro e dei diritti. Manifestazioni possenti posero le premesse per la formazione di comitati unitari antifascisti. Si svilupparono lotte per il diritto alla casa, in difesa delle fabbriche imperiesi contro il loro smantellamento, per lo sviluppo dei traffici portuali, per l’acqua, per i servizi sociali. I lavoratori dell’Italcementi in quel periodo in cassa integrazione a zero ore testimoniavano l’agonia di un’azienda in cui solo pochi anni prima lavoravano più di duecento dipendenti. Renzetti, Solerzia, Niggi e Uop, aziende che complessivamente impiegavano oltre centosettanta dipendenti, oscillavano in continuazione tra cassa integrazione e minacce di chiusura. Ridimensionamento e chiusura che aveva riguardato la Berio e i suoi oltre cento dipendenti e difficoltà che non lasciavano tranquille le altre aziende olearie. I dati sono univoci: in dieci anni nel capoluogo si erano persi oltre cinquecento addetti nell’industria. Il 15 marzo 1973 venne dichiarato unitariamente dalle organizzazioni sindacali lo sciopero generale cittadino per rivendicare un nuovo sviluppo economico per Imperia. La spinta sociale era molto forte, come dimostra l’adesione all’iniziativa delle amministrazioni comunale e provinciale, oltre a tutte le più diverse organizzazioni politiche e sociali: l’Unione commercianti e il Pli preferirono prendere le distanze. Fu una grande giornata di lotta, con oltre settecento partecipanti al comizio di chiusura della manifestazione. La crisi energetica dei primi anni ‘70, le errate scelte che avevano favorito la politica della seconda casa, lo scempio del territorio, l’inquinamento ambientale, in sostanza la terziarizzazione dell’economia, avevano portato a una crisi pagata anche dagli artigiani e dai commercianti (nel solo 1974 avevano chiuso i battenti ottanta esercizi commerciali del settore alimentare). Il Pci seppe intercettare la delusione e le preoccupazioni dei settori colpiti dalle contraddizioni capitalistiche e dalle errate scelte, in favore della speculazione e dal parassitismo, dei diversi governi centrali e locali incentrati sulla Dc, ora alleata con la destra, ora con i socialisti. La maturità politica del mondo del lavoro era stata aiutata dalle grandi lotte per l’acqua, iniziate nel 1967 (occupazione per ventiquattro ore del Comune da parte del gruppo Pci) e culminate nell’estate del 1970 con l’enorme manifestazione cui parteciparono migliaia di persone di fronte al palazzo comunale e che ottenne significative conquiste (non pagamento delle bollette dell’acqua all’Amat, acqua minerale a prezzo politico, accelerazione nelle scelte per la razionalizzazione della rete idrica cittadina e individuazione delle nuove fonti di emungimento idrico). Da quella lotta nacquero i Comitati di quartiere che per alcuni anni (fino all’approvazione della legge sull’istituzione dei Consigli di circoscrizione) promossero una nuova leva di cittadini alla partecipazione politica, pesarono nella definizione delle linee del Piano regolatore generale adottato nel 1973 e organizzarono impegnative battaglie per ottenere nuovi servizi sociali, tra le quali merita una menzione particolare quella condotta nel quartiere Primavera (ex ferriere). Furono anni di lotte per il posto di lavoro, per un diverso tipo di sviluppo, lotte antifasciste e in difesa dei diritti civili che hanno avuto, queste ultime, la massima espressione nella campagna referendaria in difesa del divorzio. Ed è il risultato enormemente positivo in favore del NO all’abrogazione della legge sul divorzio ottenuto ad Imperia che segnalava ulteriormente come il clima politico stava cambiando anche in una realtà governata da molti lustri dalla Dc e dalle forze del moderatismo.2 2 - La provincia di Imperia con il 72,7% di NO (ricordiamo che a livello nazionale i NO ottennero il 59,3%) si collocava tra le prime dieci province, addirittura terza provincia d’Italia sui potenziali NO, con un incremento di quasi il 20 per cento. La Liguria è stata la regione d’Italia con la più alta percentuale di NO e la nostra provincia la seconda della regione. Nella nostra città la percentuale di NO è stata ancora più eclatante con 20.174 NO (75.65%) e punte oltre l’ottanta per cento dei suffragi nelle zone popolari. 42 novembre / dicembre 2003 Nel febbraio del 1975 si svolse a Imperia l’XI Congresso provinciale del Pci. In quella occasione il partito comunista aveva valutato il miglioramento dei rapporti con il Psi, anche se non mancavano i motivi di frizione, rispetto ai tre anni precedenti e sulla base di un giudizio complessivo si era posto l’obiettivo di ottenere, con la tornata elettorale di primavera, una nuova direzione politica della Regione Liguria e negli enti locali più rappresentativi. A testimonianza del migliorato clima a sinistra si ricordava come dopo il 1972 a Cipressa, Costarainera e San Lorenzo Pci e Psi uniti si erano affermati nelle elezioni amministrative, in contrapposizione alla Democrazia cristiana e alle forze moderate. È in tale contesto, pertanto, che ci si avviava alle elezioni amministrative nel capoluogo3 dove Pci e Psi avanzarono in voti, percentuale e seggi. L’amministrazione di sinistra non aveva la maggioranza precostituita nel Consiglio comunale di Imperia; ma non ricordo, sicuramente non in Liguria, una esperienza dove il movimento di massa sia riuscito per oltre sei mesi (tale è stata la durata del mandato), con continuità, ad esercitare influenza sulle decisioni del Consiglio comunale, che approvò sempre le proposte della Giunta, interprete delle aspettative dei cittadini in lotta. In quel tempo confidavamo che lo sviluppo della situazione politica nazionale contribuisse a sbloccare anche quella nel capoluogo. Pensavamo possibile uno spostamento a sinistra dei partiti socialdemocratico e repubblicano locali: del resto, senza l’aiuto indiretto di alcuni loro consiglieri non sarebbe neppure iniziata la nostra esperienza amministrativa. Dovevamo conciliare la politica del compromesso storico proposta dal Pci nel 1972, dopo i tragici avvenimenti del Cile, con il contemporaneo mantenimento a livello locale della priorità dell’alleanza tra Pci e Psi e in alcune realtà possibilmente anche con il Pri e il Psdi. La segreteria nazionale del Psi condotta dal compagno De Martino, l’unità della Cgil, la comune presenza di socialisti e comunisti nel movimento cooperativo, nelle organizzazioni professionali e di massa, ci facevano sperare bene. Il nostro ottimismo poggiava, soprattutto, sulla presenza di un forte movimento di cittadini e lavoratori che viveva la partecipazione politica nella quotidianità. Purtroppo gli sviluppi successivi sono stati diversi. In un differente contesto mi riprometto di riflettere sugli errori e le contraddizioni, non esplorati a sufficienza, che hanno segnato i vari passaggi nei lustri successivi. Ricordo comunque quella esperienza come parte di una grande stagione politica. La nostra generazione è in debito con i giovani d’oggi per non essere stata in grado di sviluppare, o almeno difendere, gli spazi di democrazia. La nostra speranza è fornire, anche in misura ridotta, un aiuto ai nuovi militanti affinché essi trovino i modi e le forme per poter assaporare il piacere, che abbiamo provato noi, di vivere la passione politica che invera, anche parzialmente, i progetti. L’augurio è che essi siano più capaci di noi e la stagione delle auspicate future conquiste politiche non sia di breve momento, ma con radici tali che ne impediscano l’estirpazione. * Presidente ARS di Imperia 3 - Risultati elezioni comunali a Imperia 1970 % PCI 6703 PSIUP 692 PRI 843 PSI 2652 PSDI 2913 PLI 1819 DC 10510 MSI-DN Voti validi 26132 25,65 2,65 3,23 10,15 11,15 6,96 40,22 seggi 1975 % 11 1 1 4 4 2 17 9762 33,91 14 1347 3510 1667 979 10470 1057 4,68 12,19 5,79 3,40 36,36 3,67 2 5 2 1 15 1 40 28792 seggi 40 v. diff. + 3059 - 692 + 504 + 858 -1246 - 840 - 40 +1057 + 2660 43 novembre / dicembre 2003 % 8,26 - 2,65 1,45 2.04 - 5,36 - 3,56 - 3,86 3,67 seggi +3 -1 +1 +1 -2 -1 -2 +1 ?@ ?O2@fW26X @@@@e?W&@@)X??@6KO@ @@e?7@??@1??@@@@5 @5e?3@??@5??@@@0Y @He?N@@@@H??@@X @?e?J@@@@e?@@)X? @?e?7@@@@f?S1? @?e?@e?@e@@?*@? @@@@@??@e?@e@@?V'? ?I4@@??@@@@@ ?@@?@@@@@@@@f@@6?2@6?@?f?O26KO2@6KgO@?@eO@K?e@K?O@Kg?O@K J@@?3@@@@@@@f@@@@@@@@@?f@@@@@@@@@@@6X?@@@@@@W2@@@@@?@@@@@@@?f@@@@@@@@@@?@?2@?@@@@@6?2@?W-X?@6T2@@ 7@@LN@e@?@@f@@@@@@@@@?f@@e?@(M?@@@)X@?@@?@@@@?@@@?@@@@V'@Lf@@V4@@(?'@?@@@@?@@@@@@@@@?7@1?@V'@@5 @@@)X@?J@?@@f@?@@@@@@@Lf@@e?@Y??@@@@@@?@@@@@@@@@@@?@@@@?V@1f@@e?@Y?V@@@@@@?@@@@@@@@@?@@@?@?N@(Y @@@@@@?'@?@5f@@@@@@@@@1f3@@@@@@@@@@@V'@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@5f@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@??@Y? @?4@@@?V'?(Yf@@0?4@@@@@fV4@0MI4@0?4@?V4@@@@0?4@@@@@@@@@@@@0Yf@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@0?4@@@@@@@@@@@@ I@M? @@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@? @? @? ?W26X? 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