Famiglia e conoscenza condivisa Psicoanalisi con Genitori e Bambini: la Consultazione Partecipata Dina Vallino (Psicoterapeuta, Membro Ordinario con funzioni di training della SPI e dell’IPA) Come dal titolo, Vi parlerò del piccolo gruppo, costituito da padre madre, figlio o figlia, quello che arriva al mio studio, quando i genitori mi chiedono una consulenza che li aiuti a comprendere e ad affrontare la schietta sofferenza o l’indefinibile disagio o la vera e propria ineducabilità dei loro figli. Nella mia relazione, cercherò di mostrarvi le varie fasi della Consultazione partecipata, prima nei suoi termini generali poi con alcune esemplificazioni. E' dal 1984 che ho cominciato a praticare una consultazione per i bambini diversa da quella che mi era stata insegnata. Nel modello di consultazione da me proposto ho iniziato a chiedere ai genitori e ai bambini di divenire, insieme a me analista, protagonisti essi stessi di un lavoro psicoanalitico di breve durata. Sottolineo che l'innovazione concerne il rapporto con i genitori, che vengono invitati, nella stanza di consultazione, con i loro figli, a dare un contributo, laddove in passato, l'analista pretendeva di incontrare il bambino da solo. Malauguratamente, infatti e per troppi anni, la psicoanalisi dei bambini ha imitato la psicoanalisi degli adulti, considerando il lavoro clinico col bambino alla luce di una privacy che generava nei genitori un potente senso di esclusione e di conseguenza nei figli un forte disagio. Spesso quest'atteggiamento degli analisti, applicato rigidamente, conduceva a un'interruzione precoce delle terapie, per l'incomprensione da parte dei genitori del lavoro dell'analista. Il progetto di impostare una consultazione che restituisca ai genitori la responsabilità nella cura dei loro figli è stato accolto con attenzione da un nutrito numero di colleghe e colleghi, psicoterapeuti, neuropsichiatri infantili, ma anche psicologi, assistenti sociali, fisioterapisti, tanti operatori di varie professionalità che nelle istituzioni nei loro ambulatori o negli studi privati hanno messo alla prova l' efficacia della CPP come intervento preventivo precoce. L’idea di Consultazione Partecipata nasce in me dall’esperienza di Infant Observation in cui mi sono cimentata per più di trent'anni personalmente e in gruppi di studio. E' una formazione che mi ha consentito di conoscere la famiglia di numerosi neonati, così da entrare in contatto con la relazione della madre con il bambino piccolo, avvertendo anche l’importanza della presenza del papà, dei fratelli e delle sorelle. Questa conoscenza ravvicinata delle dinamiche familiari che, essendo Osservatore, non avevo possibilità di modificare, mi ha portato a ri-conoscere nell’intimità delle case frequentate alcuni tipi di difficoltà che le madri incontrano con i loro bambini nella crescita, difficoltà che sintetizzo in una parola: fraintendimento della comunicazione del bambino, dei suoi sentimenti, dei suoi vissuti. Il sintomo del bambino spesso deriva dalla mancata risposta dei genitori alla sua comunicazione e dunque dall'ecquivocare i suoi stati mentali. La parola Fraintendimento significa interpretare travisando (anche solo per disattenzione) il valore di una o più parole, od anche un gesto, un atto, un comportamento. Nella parola "fraintendere" il <fra> è preposizione nel senso di ostacolo interposto. Per alcune accezioni fraintendimento si incrocia con malinteso ed equivoco (espressione verbale che si presta ad essere interpretata in più modi). Considerazioni analoghe sulla <frattura> relazionale generata dal Atti del 4° Convegno Operatori Psicosociali, ottobre 2012 Associazione Medicina&Persona – www.medicinaepersona.org 55 fraintendimento, mi hanno indotto a realizzare un tipo di Consultazione in cui, invece di lasciare i genitori fuori dalla stanza riproducevo, nel mio studio, una relazione tra mamma- bambino- padre in cui diventasse visibile, ai genitori, il loro fraintendimento. In pratica, la Consultazione partecipata permette di indicare ai genitori in difficoltà educative, che il sintomo del bambino deriva dalla mancata loro risposta alla sua comunicazione. 1) Nella Consultazione partecipata è la durata del setting e la sua modulazione che permette di selezionare eventi affettivi inconsci che ristabiliscono una comunicazione tra genitori e figli. Quando ricreo nella stanza d’analisi una situazione familiare per mamma - bambino-padre, è facile notare come reagisce un bimbo piccolo, trattato bruscamente o semplicemente in modo disattento dalla madre (o dal padre): ecco che inibisce la sua capacità di comunicazione, abbassa la testa, distoglie lo sguardo, si guarda le mani o i piedi oppure comincia a piangere, si agita in braccio alla madre e così via. Possiamo inoltre osservare come i genitori, a loro volta, a fronte dell’ essere il loro bimbo divenuto insofferente, si allarmano ulteriormente per non riuscire a confortarlo, con il risultato di confusione tra il disagio del bambino e il disagio dei genitori. Tale confusione è la matassa intricata che il lavoro della consultazione è in grado non solo di rivelare, ma di modificare. Talvolta può essere sufficiente una sola seduta . Consultazione Partecipata relativa a Ludovico 4 mesi La consultazione è richiesta per una malformazione alla manina sinistra e il problema è inerente all’applicazione di una protesi. Vengono proposte diverse possibilità e i genitori, in grande incertezza, mi chiedono di essere aiutati a pensare in modo ordinato sul da farsi. La mamma arriva col bimbo in braccio, accompagnata dal padre. Lodovico è un magnifico neonato con una testolina bionda, appena pelurie, che mi guarda fissamente seguendomi con gli occhi, forse azzurri e spalancati, mentre lo faccio accomodare. Noto con difficoltà la malformazione alla manina, tanto il suo aspetto è piacevole e armonioso. Subito all’inizio della consultazione la madre enumera i diversi tipi di diagnosi e prognosi per questa malformazione. Con tono molto lamentoso la madre passa in rassegna le visite dai chirurghi che hanno dato pareri contrapposti sull’ applicazione della protesi (fare subito l’intervento o invece al compimento dei due anni). La protesi comunque è stata ordinata per il compimento dell’anno. (Dunque è già deciso il da farsi, penso). Rivolgendomi al bimbo e parlando a bassa voce, come in conversazione con lui, brevemente sottolineo che Ludovico ha subito molte visite e gli chiedo se col suo guardami fisso sta studiando che cosa voglio fare e se ha timore di essere visitato ( “avrai forse paura di un’altra visita”?) Lo rassicuro. 1 Sin dagli anni 50 del secolo scorso pur tra scuole di pensiero differenti, come quella di Anna Freud e quella di Melanie Klein, espressa anche dal lavoro di Donald Meltzer, vi fu un accordo implicito sul fatto che i genitori dovessero essere lasciati fuori dalla stanza d'analisi dei loro figli, oppure dovessero essere convinti essi stessi o a farsi analizzare o a fare con altri psicoterapeuti un lavoro di sostegno. (cfr. Melzer 1967) Atti del 4° Convegno Operatori Psicosociali, ottobre 2012 Associazione Medicina&Persona – www.medicinaepersona.org 56 La madre mi dice che ha difficoltà a capire che cosa va bene per il bambino e per questo si sono rivolti a me dietro consiglio del Prof. X, per poterne discutere insieme. Parla in tono di voce lacrimevole e il bambino che prima mi guardava fisso, adesso comincia ad agitarsi in braccio a lei sino a mettersi a piangere in modo sconsolato. Intervengo rivolgendomi al padre e alla madre per dire che Ludovico adesso piange e che mi sembra che il suo pianto sia in risonanza con la voce preoccupata della mamma. Forse avverte che c’è qualcosa che non va. Aggiungo che ha una sensibilità eccezionale. A questo punto la madre scoppia in un pianto dirotto e mi spiega che lei ha avuto l’informazione (sulla malformazione) alla nascita del figlio e esclama con una certa esasperazione: “io l’ho fatto rotto… io l’ho fatto rotto ! Io glielo dico a volte e piango spesso con lui, io piango per te –gli dico- per la tua manina- non posso accettarla, lui mi guarda, a volte mi sorride” E' qui che vedo intervenire il fraintendimento: il lattante non dimostra affatto di sentirsi rotto, è la madre che sente che lui è oppresso da infelicità. La infelicità è invece della madre che, senza volerlo, la attribuisce al figlio (identificazione proiettiva patologica). Purtroppo il lattante di quattro mesi già introietta il vissuto disperato materno e si dispera a sua volta; non sappiamo in quale forma precisamente tale introiezione (identificazione introiettiva) potrà incidere in lui. La madre continua a piangere dicendo che ha fatto un bambino rotto ma aggiunge che una sua conoscente che non ha potuto avere figli lo avrebbe voluto anche rotto un figlio, certo non sa cosa vuol dire! meglio sarebbe stato non averlo, piange. L’ha saputo dopo il parto, ha avuto uno choc! Intanto il pianto di Ludovico si è fatto disperato. Lo prende in braccio il papà che, assentendo con la moglie, stava sino a quel momento in silenzio. Il papà lo porta alla finestra come per distrarlo. Ludovico si calma istantaneamente e quasi subito si addormenta. Mentre dorme c’è come un piccolo sospirosinghiozzo nella vocina: hmmh. La madre ricomincia a parlare, travolta dal suo problema della protesi mentre insistentemente mi chiede : "Gli devo parlare, gli devo dire della manina? Che ne facciamo una nuova? Devo chiedergli cosa preferisce?"Mi si confermava l’impressione iniziale che la madre era sconvolta e non aveva nessuna idea di come fosse un lattante: lo vedeva avanti negli anni, capace di prendere decisioni e intanto trascurava l’angoscia e la disperazione del suo piccolo, lì, nel momento presente, da lei provocata. Cerco di tradurre questa mia impressione con qualche commento sul fatto che è importante che lei parli col bambino, ma è opportuno che lo conforti, parlandogli con un tono di voce tranquillo; cerco di riportarla alla realtà del bambino, piccino così bisognoso di conforto. Le mostro come il bambino tra le braccia del papà si è subito tranquillizzato. La madre a questo punto fa qualche osservazione sulle difficoltà di capire un bimbo così piccolo. Aggiungo che era importante che lei si rendesse conto di che cosa provava il suo bambino, guardandolo poteva accorgersi di cosa provava. La invito ad ascoltare insieme a me il sonno del lattante con quel leggerissimo ma costante lamento. Facciamo silenzio. Cerco con questa esortazione al silenzio di conquistare un momento di osservazione in favore di Ludovico. Atti del 4° Convegno Operatori Psicosociali, ottobre 2012 Associazione Medicina&Persona – www.medicinaepersona.org 57 Per sollevare il velo del fraintendimento occorreva restituire alla madre un'immagine diversa da quella del bambino " rotto". Dopo uno o due minuti perciò commento qualcosa sul come Ludovico è davvero un bambino bellissimo, vivace, lo sguardo penetrante e parlando anche al neonato addormentato gli dissi quanto lui sembrava capire dalla voce della madre che cosa lei provava e mostrava di avere già un forte legame affettivo con la sua mamma. Riassumendo: nelle due ore di questa prima ed unica consultazione non si è affatto parlato su ciò che i genitori avevano chiesto, ma, potremmo dire, la consultazione partecipata ha imposto la sua propria regola: la madre si è lasciata andare a mostrare tutta la angoscia e mancanza di speranza. La risposta risonante di analoga angoscia del lattante ha permesso a me terapeuta di intuire il fraintendimento costitutivo in quel periodo della relazione della mamma col figlio ed il possibile, alla lunga, effetto patologico su di lui. Aprendo un tempo di osservazione sul bambino ho potuto mostrare ai genitori in modo diretto e vivo che il loro bambino diventava infelice se la madre era infelice ma che poteva essere confortato, come avveniva col padre e che, è sensibilissimo, legato alla madre affettivamente e insomma bellissimo. 2) Ci rendiamo conto così che il fraintendimento della comunicazione del bambino e l'identificazione proiettiva patologica della madre ( o della figura di riferimento) sono una coppia di processi inconsci, complementari l'uno dell'altro. Infatti l'identificazione proiettiva patologica è l'altra faccia del fraintendimento che accade quando una madre, come la mamma di Ludovico, non è in grado di riconoscere la persona del suo bambino, cioè non è in grado di osservarlo per comprenderlo nelle sue manifestazioni personali, poiché la sua mente si sente spinta in direzione opposta: a impadronirsi e installarsi nella mente del suo bambino. Il fraintendimento da luogo all'obliterazione del bambino come persona, ed è il prodotto di una identificazione proiettiva patologica. La peculiarità della CP è che essa non riguarda solo i bambini 0/2 cioè i piccolini per cui è indispensabile la presenza di papà e mamma, ma può essere estesa a bambini più grandi sino all’adolescenza. Anche per questi bambini si tratta di mostrare ai genitori come il sintomo del bambino deriva da una mancata risposta alla sua comunicazione, da cui il sintomo. La Consultazione Partecipata promuovendo la ripresa dei momenti aurorali di dialogo madre-bambinopadre, rende possibile una ripresa dello sviluppo. Ad es. Arianna, 3anni e mezzo, risolve un ritardo importante nell’educazione degli sfinteri e un’insistenza nel continuare a sporcare nel pannolino, (quasi una forma di encopresi primaria), quando la psicoterapeuta mostrò ai suoi genitori, attraverso la consultazione partecipata, le possibilità di superare con la bambina, nel gioco, una buona dose di fraintendimento circolante tra loro in modo tossico. 2 Sin qui ho indicato soltanto la problematica dei bambini piccoli, dai 0 a 2 anni, per cui è particolarmente idonea e necessaria come sanno tutti gli operatori, la presenza dei genitori, come avrete notato io intendo partecipazione in senso stretto, nel senso che la madre o il padre non rimangono semplicemente a fare compagnia al bambino affinché non si spaventi ma vengono coinvolti nella problematica della consultazione stessa. Atti del 4° Convegno Operatori Psicosociali, ottobre 2012 Associazione Medicina&Persona – www.medicinaepersona.org 58 Insomma occorre cercare di far vivere al bambino e ai genitori, in consultazione, un momento di riavvicinamento. Cercare di far sì che la consultazione sia per il bambino un’occasione di ritrovare un momento di comprensione con i genitori, un accordo che, perdurando il fraintendimento, da molto tempo non si verificava tra loro. Il setting della Consultazione Partecipata (CPP) è di circa 7 incontri, che possono essere prolungati (CPP) secondo il progetto che emergerà da questo lavoro: 1 colloquio (il primo) è con i genitori 2 consultazioni madre e bambino/a (o genitori e bambino/a) 1 consultazione padre e bambino/a 1 colloquio con i genitori in corso d’opera 1 colloquio conclusivo con i genitori 1 colloquio di restituzione al bambino/a. Fa parte del setting chiedere, nel primo colloquio con i genitori, di portarmi, quando verranno col figlio/a, documenti familiari, filmini, foto, i primi disegni, qualche album di scuola. Dico loro che li guarderemo nel primo incontro col bambino per considerare momenti, per lui, significativi della sua vita passata, documenti della sua vita che lo aiutino a sentire di essere ascoltato, che lo facciano sentire nella mente dei genitori ed essere considerato per quello che è e per quello che pensa. Lo scopo è anche costruire insieme i tratti essenziali della sua biografia: come è nato, che giorno era, come stava da piccolo, cosa è successo poi nell’allattamento e allo svezzamento, cosa è avvenuto al primo compleanno, o quella volta che era con i nonni etc. L'uso di questi documenti non è solo finalizzato a iniziare con me terapeuta una conoscenza del bambino, ma è un’occasione per lui stesso per pensare alla sua storia. Il guardare documenti del suo passato, mi pare essere per i bambini un sentire di esistere per i genitori. Se qualcuno pensa alla sua storia insieme a lui e si interessa di lui, ricompare un vissuto analogo a quella curiosità che i bambini felici rivolgono alla madre o al padre: dimmi come ero quando sono nato, come stavate voi quando non c’ero, quando mi avete fatto nascere cosa pensavate ecc. Mi sono accorta nel tempo che la memoria del loro breve passato è per bambine e bambini una parte importante di sé, come è fondamentale prendere consapevolezza sul fatto che Qualcuno, non di famiglia, può interessarsi della loro storia. I genitori sono, durante la CP, sempre invitati a giocare col figlio come fanno a casa e ad aiutarlo a realizzare il suo gioco. Ho notato che alcuni genitori non sanno giocare o ritengono il gioco una perdita di tempo. Qui si apre una parentesi: come sviluppare con padre e madre una <cultura del gioco> come mezzo per facilitare lo scambio affettivo con i loro bambini? Spesso mi trovo a dialogare con loro sulle possibilità di apprendere a giocare, anche come adulti . Nei colloqui con i genitori, (da soli) riguardiamo i miei appunti sulla seduta familiare e dialoghiamo su ciò che abbiamo potuto insieme osservare e sui cambiamenti che potranno iniziare nei confronti del loro figlio evitando il fraintendimento. Illustrerò ora alcuni di questi aspetti riferendomi a un caso in supervisione. Atti del 4° Convegno Operatori Psicosociali, ottobre 2012 Associazione Medicina&Persona – www.medicinaepersona.org 59 Consultazione Partecipata relativa a Silvia di otto anni 3) Silvia una bambina di otto anni soffre di molte paure, di farsi male e di morire. Viene chiesta una consultazione per questo. Che le è accaduto? Silvia vive in una città in cui, quando lei ha quattro anni, avviene una terribile strage, a causa del quale muoiono l’ amico d’asilo di Silvia, la madre di questo bambino e un altro fratellino più piccolo. Nella prima CP in presenza della madre, Silvia mostra di non aver dimenticato quella tragedia, infatti comincia subito a parlare delle sue paure che sono iniziate da quando è morto il suo amico una sera d'estate, lei non sapeva cosa era successo, glielo ha detto la mamma. Nella conversazione, la bambina fa l'adulta, ma la Terapeuta avverte che i suoi sintomi (fobie degli insetti, di cadere ecc.) sono espressione di un grave malessere da lutto. Delle innumerevoli fobie di Silvia la madre appare stufa, annoiata e fraintende totalmente il significato dei sintomi della bambina, prendendoli per una esagerata richiesta d’attenzione. Ma in realtà attenzione la madre ne dà ben poca a Silvia. come rivela questo episodio: qualche giorno prima, Silvia aveva avuto un incidente, cadendo si era fatta male al polso; la mamma che doveva andare alla fiaccolata per l’anniversario della strage non le aveva creduto ed era uscita, ma il giorno dopo a Silvia avevano dovuto ingessare il braccio. C’è nel racconto di Silvia un rimprovero implicito rivolto alla madre, tanto che la madre sente il bisogno di giustificarsi e sottolinea che Silvia ha sempre paura di farsi male e ha paura anche degli insetti. Si noti che la strage avvenuta in quella città è nel campo mentale della consultazione: la madre deve andare a una fiaccolata per la strage, ma non diventa nella mente della madre un evento generatore di sofferenza per la figlia. Nella seconda consultazione Silvia non fa più l' adulta, ma parla con tono di voce abbattuto, dice che è <stanca> e la terapeuta genialmente comprende che sono le sue fobie a stancarla, le generano una serie di impedimenti: nello stare in spiaggia e nel giocare con gli altri bambini, per esempio, deve stare attenta a tante cose, a non cadere, agli insetti,alle mosche, alle api che possono pungerla. Di nuovo la madre appare sorpresa del malessere della figlia come fosse una rivelazione e questa volta non la critica . E’ una seduta in cui Silvia inizia a dare forma al suo senso di solitudine e al suo malessere di bambina fobica. Lo fa disegnando un gattino Minù solo in mezzo a un foglio e raccontando la storia di questo gattino che è scappato fuori dal giardino e piange e piange per farsi sentire, ma nessuno lo trova. La sofferenza di Silvia, il suo sentirsi sola, comincia a trovare una rappresentazione nel piccolo gattino Minù disegnato tutto solo in mezzo al foglio. La terapeuta ha l’impressione che Silvia avverta un forte senso di solitudine. Nel successivo colloquio con i genitori, la Terapeuta cercherà di mostrare loro che Silvia manca di fiducia nel fatto che gli adulti possano aiutarla; l’evento-Strage -ha forse prodotto in lei il sentimento di essere completamente senza protezione, alla mercè di qualsiasi catastrofe? Con questa domanda la Terapeuta chiede ai genitori di riflettere sulla propria disattenzione. Nella terza consultazione, finalmente un cambiamento! la madre abbandona l’atteggiamento di distacco e dice di dover aiutare Silvia a dire una cosa che Silvia non riesce a dire. E’ la prima volta che la mamma sembra rendersi conto che la sua bambina non è solo noiosa, ma una bambina sofferente. Aiuterà la figlia a dire che ha molta paura di morire giovane e questo dà alla Terapeuta l'occasione di intervenire chiedendole di nuovo da quando sono iniziate queste paure. Silvia potrà allora per la prima volta parlare di quello che 3 Ringrazio la dr.ssa Monica Tomagnini per avermi consentito di riferire il suo lavoro con questa bambina. Atti del 4° Convegno Operatori Psicosociali, ottobre 2012 Associazione Medicina&Persona – www.medicinaepersona.org 60 ha provato quando è morto il suo compagno Luca. con cui era tanto amica . Condivide con la Terapeuta i suoi ricordi di Luca. Si prolunga nella stanza un silenzio pieno di dolore. Si è potuto entrare nel tema del dolore del lutto per la strage e la madre interviene per dire che lei quando era successo il tutto, aveva ritenuto giusto farle cambiare asilo per farle cambiare aria. Silvia siede accanto alla mamma strusciandosi a lei con una ricerca di tenerezza, ma la mamma appare di nuovo bloccata e un po’ annoiata. Silvia sembra scuotersi e prendere coraggio, parla del mare, del fatto che non si diverte per le troppe cose da cui deve guardarsi, paura di cadere, insetti, mosche etc. un vero repertorio di fobie! Ma la mamma dice che Silvia sta volentieri con gli amici e al mare gioca tanto e lei deve sempre aspettarla. Il fraintendimento è molto evidente tra madre e figlia: appena la madre appare distaccata Silvia comincia a elencare le sue paure. In un colloquio separato con i genitori, la Terapeuta chiede loro come hanno vissuto il tragico incidente della loro città e li fa riflettere sull’impatto e la risonanza affettiva che quel lutto ha avuto sulla loro bambina. La CP permetterà alla terapeuta di mostrare ai genitori la sofferenza della bambina, il loro averla fraintesa come una bambina noiosa e li metterà sull’avviso rispetto al lavoro terapeutico che resta da fare nei prossimi mesi. La consultazione può essere un’occasione per ridare al bambino il valore di persona, il che diventa possibile mettendo in pratica interesse ed attenzione per i suoi diritti, per le sue domande che non hanno ricevuto risposta, per le sue comunicazioni che sono state fraintese. Bisogna pensare che tra queste tre persone (madre, padre, figlio/a) c’è stato un perdersi, ma esse sono lì sono in attesa di potersi ritrovare. Affinché ciò avvenga, spesso si tratta, per il terapeuta, di tollerare un’atmosfera plumbea di silenzio e a volte di ostilità del bambino e anche dei genitori e andare avanti per aprirli alla speranza. Nel mezzo di una difficile silenziosa seduta di consultazione, dopo aver guardato con me foto, disegni e quant’altro, una bambina di dieci anni, Serena, può dirmi, senza che io abbia mai nominato il sintomo per cui i genitori hanno chiesto la consultazione," io sono venuta qui perché non voglio vestirmi da femmina, e lei (indicando la madre) mi sgrida sempre, ma io mi sento un maschiaccio". Dunque Serena entra nel merito della consultazione rapidamente, forse proprio perché facilitata a pensare a se stessa. Un’altra Albertina di otto anni dirà sofferente di una forma anoressica esclama dopo un lungo silenzio: “io sono venuta qui perché ho sempre paura di soffocare e di morire soffocata” Conclusione Rispetto al periodo storico in cui ho iniziato a praticare la Consultazione partecipata sono avvenuti dei mutamenti culturali che la rendano ancor più utile e necessaria. Mi riferisco alla comparsa nel campo familiare di una complessità nuova, con cui i bambini devono fare i conti, alle nuove configurazioni di famiglie entrate in scena: famiglie adottive, affidatarie, le famiglie di immigrati, del divorzio, ricostituitesi, allargate, le famiglie sorte dalla procreazione assistita ecc. E' una tipologia assai varia, all’interno della quale gli elementi di instabilità nella relazione tra genitori appaiono più frequenti e gravi che non nel passato. Penso ad es. al bisogno di sostegno che hanno i genitori dei bambini adottati o in affidamento. Penso ai figli dei separati e divorziati con lo zainetto pronto per andare da mamma o da papà, mentre intanto sanno, non solo di aver perso la famiglia, ma anche di non avere più la loro casa come rifugio sicuro. Pensiamo ai figli delle famiglie extracomunitarie a quanti problemi di adattamento, di lingua, di esclusione devono affrontare. Il problema del fraintendimento attraversa tutte le famiglie odierne come una concausa del disagio familiare. Atti del 4° Convegno Operatori Psicosociali, ottobre 2012 Associazione Medicina&Persona – www.medicinaepersona.org 61 Persino nelle famiglie “più tradizionali” c’è un sollecitare i figli con richieste e aspettative a volte incompatibili con i ritmi infantili. Quelli che possiamo definire “bambini campioni o bambini manager”, affollati di impegni per tutta la settimana, spesso eccellenti almeno in un campo, intenti a realizzare le attese dei genitori nei loro confronti, sono frequentemente tra i nostri pazienti. Infatti, quando le attese dei genitori non possono essere più corrisposte per il malessere che generano, il figlio inizierà a presentare sintomi di vario tipo, a seconda dell’età e del tipo di “rottura” dell’identificazione inconscia con madre e padre. Paradossalmente, se i figli riescono a esprimersi con un sintomo abbastanza inquietante per i genitori, si potrà ristabilire, già nella Consultazione, una comunicazione in famiglia. BIBLIOGRAFIA e RIFERIMENTI: - Anderloni A.(2011), Essere bambini con paralisi cerebrale. In (a cura di D. Vallino e M.Macciò) Quad.Psicoter.Inf. 63. Artoni Schlesinger C.(2005), Adozione ed oltre. Borla, Roma. Badoni M. (2004), La psicoanalisi dei figli: paradossi .In (a cura di N. Neri e S.Latmiral)Quad.Psicoter.Inf48. Bick E. (1964), Note sull’osservazione del lattante nell’addestramento psicoanalitico. In Bonaminio V. e Iaccarino B. (a cura di), L’osservazione diretta del bambino. Torino, Boringhieri 1984. Bion W.R.(1976), Seminari Clinici Cortina Milano. Boffito S (2011), Nel giardino di Nina Coltart. In (a cura di D. Vallino e M.Macciò) Quad.Psicoter.Inf. 63. Borgogno F. 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