Federazione Lavoratori della Conoscenza
Il mestiere del delegato RSU
Il mestiere del delegato RSU a cura della FLC Cgil
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PREMESSA
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IL DELEGATO RSU
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PARTE 1 IL NEGOZIATO
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LA PIATTAFORMA E IL MANDATO A TRATTARE
7
L’ARTE DI NEGOZIARE
10
PREPARARE IL NEGOZIATO
14
IL COSTO DEL MANCATO ACCORDO
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AL TAVOLO DELLE TRATTATIVE
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PARTE 2 LA COMUNICAZIONE
25
COMUNICARE. COME?
26
COMUNICARE IN ASSEMBLEA
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Premessa
La Rsu è un organismo, ma è fatto di persone. In questo libretto viene esaminato il
mestiere del delegato Rsu, cioè le competenze che deve avere una persona che, insieme
ad altre, svolge il ruolo di rappresentare i colleghi nel negoziare con il dirigente scolastico il
contratto di ateneo e nel controllarne l’applicazione.
Prima ancora che conoscere norme, il delegato deve avere competenze relazionali e
comunicative. Deve cioè esercitare competenze che possiede ogni persona ma in un
contesto particolare che è il luogo di lavoro.
Giugno 2007
Il mestiere del delegato RSU a cura della FLC Cgil
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Il delegato Rsu
Nel linguaggio corrente si dice la “Rsu Cgil”, la “Rsu Cisl”, ecc. Come se la Rsu non
fosse un organismo, si privilegiano le sigle sindacali. Ma chi è eletto nella Rsu non ha un
potere individuale. E’ la Rsu, l’organismo di cui fa parte, che ha la capacità giuridica di
firmare accordi con la Parte Pubblica (Rettore e Direttore amministrativo o loro delegati) o
di decidere come esercitare i propri diritti sindacali, quando convocare l’assemblea, come
usare la bacheca e i permessi. Ogni eletto deve quindi fare squadra con gli altri colleghi,
discutere e trovare un accordo per lavorare assieme.
Chi è eletto nella Rsu, che da ora in avanti chiamiamo delegato Rsu, non è una
funzionaria o un funzionario del sindacato. E’ una persona che è stata eletta per
rappresentare con altri colleghi (da un minimo di tre, nei piccoli atenei, ad oltre 50 nei
grandi atenei) le esigenze dei lavoratori della sua università. È un ruolo a tempo. La Rsu,
infatti, rimane in carica 3 anni; alla scadenza decade automaticamente e se ne elegge una
nuova.
Fare il delegato è svolgere un ruolo che non è in contrasto con il ruolo professionale.
Un delegato deve continuare ad essere un amministrativo, un bibliotecario, un tecnico per
essere anche un delegato. Ma nello stesso tempo deve rappresentare tutti i lavoratori
dell’ateneo, non solo il personale della categoria cui appartiene.
Il delegato RSU non deve occuparsi di tutto quel che accade in ateneo. La sua
attività consiste nel:
– negoziare con la Parte pubblica il contratto di ateneo, il cuore della sua attività;
– controllare l’applicazione del contratto e degli accordi che la Rsu stipula.
Il delegato Rsu non deve conoscere tutte le norme che regolano la vita dell’ateneo.
Gli basta un sapere minimo, relativo alle materie su cui negozia con la Parte pubblica.
La Rsu non contratta con gli organi collegiali, ma solo con il Rettore e/o con il
direttore amministrativo, attraverso specifici incontri, chiamati relazioni sindacali. Ciò non
vuol dire che la Rsu è indifferente a quello che deliberano gli organi collegiali, soprattutto
se ha effetto sull’organizzazione del lavoro. In tal caso la Rsu può chiarire, facilitare,
influenzare le decisioni degli organi collegiali.
Un delegato Rsu ha un rapporto di collaborazione con il sindacato di appartenenza,
ma non riceve dal sindacato la legittimazione. E’ stato eletto dai colleghi per rappresentarli
tutti. Può accadere che il delegato decida di firmare un accordo che il proprio sindacato
non condivide.
Il delegato deve essere aiutato dal sindacato, almeno per noi della Cgil è un impegno
primario. Ed il delegato deve aiutare il sindacato, informandolo sulla situazione della sua
Università.
Il delegato viene visto dai colleghi come una sorta di Robin Hood, che li difende dai
soprusi. Ma il delegato non potrà farsi carico di tutte le vertenze individuali. Rischia di
logorare il rapporto con il Rettore o con il direttore con cui deve negoziare. C’è il sindacato
per la tutela.
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Se un collega chiede aiuto, il delegato non se ne lava le mani, ma può chiarire la
fondatezza della sua pretesa, oppure può indirizzarlo alla persona giusta del sindacato. Se
è in grado, può anche farsi carico di una prima tutela, cercando di chiarire o anche
risolvere il problema con il direttore amministrativo. Poi la tutela passa al sindacato e ai
legali.
La Rsu, in quanto organismo, tutela i lavoratori collettivamente, trasformando un
particolare problema in una vertenza di ateneo, negoziando una soluzione e
controllandone l’applicazione.
Il delegato viene anche visto dai colleghi come uno sportello informazioni, sempre
aperto. Non rientra tra i compiti istituzionali della Rsu dare consulenza, c’è il sindacato.
Però se il delegato è in grado almeno di chiarire alcuni aspetti semplici del rapporto di
lavoro ha più credibilità. Per il resto deve sapere indirizzare alla persona giusta del
sindacato che possa chiarire il problema.
La forza del delegato non dipende dal suo sindacato. Dipende dai poteri assegnati
alla Rsu dal contratto e dalle leggi. Ma non basta, perché la Rsu cammina con i piedi dei
delegati. Cioè costoro devono esercitare questi poteri. Per farlo occorre che ogni delegato
abbia:
– la competenza di risolvere problemi
– la capacità di raccogliere consenso su quello che propone.
I voti ricevuti alle elezioni sono una misura di questa capacità, che viene poi migliorata con
l’esercizio del ruolo.
Per esercitare il ruolo, il delegato deve avere soprattutto una competenza
relazionale, perché entra in contatto con i lavoratori, con il Rettore, con il D.A., con il
sindacato, con gli organi di gestione dell’ateneo. E gli servono anche competenze
comunicative. Il delegato infatti deve comunicare con i lavoratori che rappresenta, con
volantini o riunioni, o contatti informali, o in assemblea. Lo scopo è informarli non di quello
che fa il sindacato, ma di cosa fa la Rsu, di cosa negoziare con la Parte pubblica, degli
accordi stipulati.
Vi è il rischio, che il delegato deve aver sempre presente, che i lavoratori
preferiscano delegare, ma non assumersi la responsabilità di fare qualcosa. Così la Rsu,
ed il delegato con essa, rischiano di essere isolati.
Il modo in cui il delegato svolge il suo ruolo dipende dalla sua competenza, ma
anche dal modello organizzativo del sindacato provinciale, che oltre l’assistenza agli iscritti
deve creare una rete per sostenere i propri delegati.
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Parte 1
il negoziato
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La piattaforma e il mandato a trattare
La Rsu rappresenta i lavoratori. Uno degli aspetti fondamentali del “rappresentare” è
il rapporto con i “rappresentati”. Essere stati eletti non significa aver ricevuto un mandato
in bianco per 3 anni, anche se il delegato Rsu lavora ogni giorno a contatto con chi deve
rappresentare.
Quindi costruire la relazione con i rappresentati è più importante che conoscere le
norme. Spesso ce lo dimentichiamo, sopraffatti dai commi, dagli accordi e dalle circolari
che ci tocca di leggere.
Non è semplice mettere d’accordo le persone. Chi non pensa con orrore alle riunioni
di condominio? Lo strumento usato nel mondo del lavoro è costruire la piattaforma, che
significa raccogliere bisogni e problemi dei lavoratori e trasformarli in obiettivi rivendicativi.
Operazione non facile che implica fare scelte, perché non sempre le richieste sono
realistiche, o chiare, o pertinenti.
COME COSTRUIRE LA PIATTAFORMA
Un metodo
La costruzione della piattaforma si sviluppa attraverso alcune riunioni, da preparare
bene, in modo che siano produttive, che non si concludano con il rinvio ad un’altra
riunione.
La Rsu, nel suo insieme:
- raccoglie sia le esigenze dei lavoratori (con riunioni e/o agili questionari, appunti presi
via via …) sia le informazioni utili per la trattativa (dati quantitativi, altri accordi di
ateneo, normativa, …)
- presenta un documento di lavoro, in cui fa un bilancio dell’accordo scaduto ed
individua nuove esigenze da soddisfare o nuovi problemi da risolvere.
Ogni delegato Rsu può inoltre consultare sia la sezione sindacale sia lo stesso
sindacato di riferimento. Fare un documento solo Cgil può servire per chiarirsi le idee, non
per farne una bandiera. L’identità è un bisogno che va soddisfatto senza perdere la
capacità di ascoltare le ragioni degli altri e tenerne conto. Se nella Rsu vi sono divisioni tra
le sigle sindacali, è bene non accentuarle, ma cercare soluzioni comuni.
Alla fine le proposte devono confluire in una ipotesi unitaria di piattaforma che
riassume il lavoro fatto ed indica le scelte. Ciò non vuol dire che si devono tacere i
dissensi, ma che alla fine si deve trovare un accordo. I problemi irrisolti all’inizio si
presenteranno tutti alla fine, al momento della trattativa. Maggiore è il grado di unità
raggiunto, migliori i risultati della trattativa.
L’ipotesi di piattaforma viene varata con una decisione formale della Rsu e viene
quindi presentata all’assemblea. La Rsu deve anche decidere come gestire la trattativa,
come coinvolgere i lavoratori. L’accordo su questi aspetti è decisivo per ottenere un buon
risultato.
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Se, nella fase di costruzione della piattaforma, si registra un disaccordo tra i delegati
della Rsu su qualche rivendicazione, non è il caso di votare, ma è preferibile rimettere la
decisione all’assemblea sindacale. Perché ciò sia possibile è bene limitare i punti di
dissenso a pochi ed essenziali, preparando formulazioni alternative da discutere con i
lavoratori.
Trasformare le esigenze in obiettivi
La piattaforma non è un cahier des doléances ma un elenco di obiettivi
(rivendicazioni) legati tra loro in modo che abbiano un “senso” per i colleghi, ma anche
per la Parte pubblica con cui devono essere negoziati. Gli obiettivi devono essere
pertinenti, chiari, realistici, condivisi.
1. Pertinenti
Bisogna avere chiara l’area del negoziato. Per stabilire se una certa proposta possa
essere inserita nel contratto di ateneo occorre farsi tre domande:
1. riguarda il rapporto di lavoro? Se sì, occorre chiedersi
2. è in contrasto con il Ccnl? Se non lo è, occorre chiedersi:
3. comporta oneri non previsti? Solo se la risposta è no, la proposta è pertinente.
In caso contrario occorre aver presente che la proposta incontrerà la resistenza, sia
da parte della delegazione pubblica, che non può firmare accordi che siano in contrasto
con il Ccnl, sia da parte dei sindacati provinciali, i quali, essendo firmatari del Ccnl, hanno
titolo ad obiettare alle richieste non pertinenti.
Una proposta può essere pertinente, ma non rientrare nelle materie che sono
esplicitamente oggetto di contrattazione (art. 4). Allora è possibile incontrare la resistenza
del rettore e del D.A., o perché hanno paura, o perché non sono d’accordo, o per altri
motivi. La Rsu deve prevedere come superare queste resistenze: argomentando,
mettendo in luce gli aspetti positivi per l’organizzazione del lavoro, usando forme di
pressione se necessario e se hanno il consenso dei lavoratori, offrendo uno scambio.
2. Realistici
Bisogna chiedersi cosa è possibile ottenere. Vale la pena inserire nella piattaforma
richieste popolari, ma poco realistiche? Lo scopo potrebbe essere tattico, per successivi
eventuali scambi durante la trattativa; o per ottenere facilmente il consenso dei lavoratori,
e poi addossare alla Parte pubblica la responsabilità per non aver ottenuto quanto chiesto.
Occorre però valutare gli effetti:
– se le richieste sono improbabili, la Parte pubblica potrebbe scoprire facilmente il bluff,
facendo svanire lo scambio;
– i lavoratori potrebbero prendere sul serio le richieste. Lo scarto tra accordo e
piattaforma sarebbe però pagato poi, in termini di credibilità, dalla Rsu.
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3. Chiari
La piattaforma viene presentata ai lavoratori per ottenerne il consenso e deve quindi
chiarire le motivazioni, il senso delle richieste.
4. Condivisi
La Rsu tratta a nome di lavoratori. Deve quindi chiedere un mandato a trattare,
facendo approvare la piattaforma dalla assemblea sindacale. E poi deve chiedere un
mandato a concludere, a firmare l’accordo, attraverso l’approvazione della ipotesi di
accordo.
Il coinvolgimento dei lavoratori non è un adempimento burocratico. È un passaggio
necessario per verificare se le proposte della piattaforma hanno il consenso necessario,
che costituirà la risorsa fondamentale durante la trattativa.
Una piattaforma condivisa non vuol dire, approvata all’unanimità, ma con un largo
consenso.
Il voto vincola, ma rafforza la Rsu. Il grado di consenso è un punto di forza della Rsu
al tavolo delle trattative. La Parte pubblica sa il grado di consenso raccolto; se è basso
potrà mettere in difficoltà la Rsu. Ad esempio: se non è stata fatta un’assemblea per
spiegare la piattaforma, o se poche persone hanno partecipato all’assemblea o se la
piattaforma ha ottenuto pochi voti, la Rsu è in difficoltà nel sostenere che una certa
richiesta è voluta dai lavoratori. Il Rettore e il D.A. potrebbero minare la credibilità delle
richieste.
La Rsu deve quindi convocare l’assemblea sindacale di ateneo, in orario di lavoro,
per l’approvazione della piattaforma. Così ottiene il mandato a trattare.
Il consenso deve essere continuamente alimentato informando i lavoratori
dell’andamento delle trattative. Non occorre fare un’assemblea dopo ogni incontro, basta
un semplice comunicato che accompagni il contatto individuale, il passaparola. Il
consenso è decisivo per il negoziato.
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L’arte di negoziare
Le competenze negoziali non sono esclusive del delegato Rsu o della Parte
pubblica. Le esercita ogni persona in molti contesti: per comprare o vendere qualcosa, per
stabilire con amici la meta di un viaggio, per decidere una spesa nel condominio. Gli
esempi si sprecano. Con il negoziato io cerco di ottenere dagli altri il risultato che voglio.Si
tratta quindi di particolari competenze relazionali.
Esaminiamo il negoziato in ateneo.
Il negoziato può essere bilaterale o multilaterale. La trattativa sindacale è bilaterale,
almeno formalmente, tra la parte pubblica e la parte sindacale. La parte sindacale è così
numerosa che potrebbe svolgersi anche una parallela trattativa multilaterale.
La trattativa è una relazione tra persone con ruoli formali, portatori cioè di interessi
collettivi:
-
il Rettore è il rappresentante dell’ateneo ad ogni effetto di legge, garantisce il
perseguimento dei compiti istituzionali ed esercita le funzioni di indirizzo politico
dell’ateneo;
-
il direttore amministrativo è il responsabile dei risultati del servizio che offre l’ateneo
agli utenti; il suo interesse è (dovrebbe essere) di utilizzare al meglio le risorse a sua
disposizione per perseguire le linee di indirizzo dell’ateneo e raggiungere gli obiettivi
assegnati, coordinando le attività del personale;
-
la Rsu rappresenta (parla a nome di) le persone che lavorano in ateneo; il suo
interesse è (dovrebbe essere) rappresentare le loro esigenze relative alla
organizzazione del lavoro;
-
i sindacati territoriali rappresentano ognuno il loro sindacato nazionale che ha firmato il
CCNL; il loro interesse è che il contratto integrativo sia vantaggioso per i lavoratori, nel
rispetto del CCNL.
Il negoziato si svolge nel mondo giuridico del diritto civile. Ma sappiamo quanto sia
dominante il mondo del diritto amministrativo, che regola il funzionamento degli organi
collegiali. E’ probabile che, in particolare le persone della parte pubblica (il Rettore, il
direttore, …) abbiano la tendenza a vedere il contratto di ateneo come un procedimento
amministrativo, come se il contratto fosse in fondo una delibera che si chiama contratto.
Talvolta infatti i contratti di ateneo iniziano come se fossero un atto amministrativo:
Visto…Considerato. Ma il contratto è un atto di diritto civile.
Le parti del negoziato non devono “applicare” una norma ma dovrebbero esplorare le
soluzioni per la migliore utilizzazione delle persone, il che implica un’attenzione maggiore
ai problemi e alle possibili soluzioni che alle norme.
Il negoziato, qualunque esso sia, si svolge sui contenuti cioè sui punti della
piattaforma Rsu, sulle proposte della parte pubblica, dei sindacati
provinciali, i
compromessi; ma anche sulle regole della trattativa, il metodo o la strategia con cui
ottenere risultati.
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E poi c’è il livello delle relazioni interpersonali. Come ogni partecipante vive la
trattativa, come tiene a bada (o non tiene a bada) i propri sentimenti, se evita che il
conflitto degeneri nel duello personale, se migliora le relazioni tra i partecipanti.
La trattativa è anche una relazione tra persone, con proprie convinzioni, con proprie
rappresentazioni del conflitto e del negoziato sindacale. Occorre aver presente che un
conto sono le norme e un conto sono le rappresentazioni del negoziato e del conflitto del
Rettore e del dirittore amministrativo, ma anche dei componenti della Rsu. E questi
modelli influenzano il modo di affrontare il conflitto ed il negoziato.
Nell’ateneo infatti si usano modelli diversi per descrivere l’organizzazione ed il
conflitto. Molti sono inadeguati al nuovo contesto dell’autonomia e della riforma del
rapporto di lavoro. Vediamone alcuni.
Modello burocratico
L’organizzazione è vista in modo gerarchico, dipendente da un centro che decide
tutto. E’ regolata solo da norme; ciò che non è previsto è vietato. Il dirigente si limita ad
applicare le norme, quando ha dubbi, ovvero non intende assumere responsabilità pone
un quesito al Ministero o all’Avvocatura dello stato. L’attenzione è rivolta alla forma degli
atti. Il conflitto dipende da una cattiva formulazione o interpretazione della norma.
Modello famiglia
L’organizzazione è informale, regolata da norme non scritte, applicate
discrezionalmente. Il direttore è come un buon padre. L’attenzione è agli affetti. Il conflitto
è un tradimento. Chi dissente è la pecora nera della famiglia.
Modello comunità educante
L’organizzazione è vista come “partecipata”, i vari interessi si compongono
armonicamente. L’attenzione è alla didattica e alla ricerca. Il conflitto è rimosso.
Modello azienda
Il dirigente sogna di essere libero da vincoli. Il conflitto è vissuto come peste ed il
delegato è l’untore. Il conflitto è guerra che si può concludere solo con la resa o la morte
del nemico.
In questi modelli il conflitto o è negato, o è rimosso o è visto nei termini di “io vinco, tu
perdi”.
Il direttore, che è spesso parte del conflitto, talvolta reagisce, per scarsa
preparazione nella gestione delle persone, alimentando il conflitto. E se anche il delegato
cerca il conflitto per il conflitto, come per celebrare un rito, il conflitto tende a diventare
irriducibile e senza fine. Un duello tra persone che si affrontano, con un solo esito: la
sconfitta dell’altro. La sindrome dei duellanti, come nel racconto omonimo di Joseph
Conrad dove due ufficiali napoleonici si contrappongono in un conflitto senza fine, di cui
hanno smarrito le ragioni.
Per evitare che il conflitto diventi un duello, occorre rappresentarselo come un fatto
normale in una organizzazione, come un problema da risolvere. Per cui occorre
individuare gli interessi in gioco e negoziare una soluzione che li soddisfi.
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Nel negoziato per il contratto nazionale l’Aran e i sindacalisti, concluso l’accordo, non
si rivedono per molto tempo. In ateneo dirigente e Rsu si vedono ogni giorno. E questo
non è indifferente. Le parti considerano (dovrebbero considerare) importante il clima dei
rapporti interpersonali.
Vi sono diversi modi di affrontare una (qualunque) trattativa, che possiamo
riassumere in uno stile morbido e in uno stile duro, descritti nelle prime due colonne della
tabella che segue, tratta dal classico Fisher Ury Patton L’arte del negoziato 2005
Corbaccio. Alla domanda “quale sia lo stile migliore da usare” gli autori rispondono “né
l’una, né l’altra” consigliando un negoziato centrato sui principi, cioè sui criteri e non sulle
posizioni, cioè sulle proposte delle parti.
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Stile morbido
Stile duro
Per un negoziato efficiente
che non peggiori le
relazioni
Negoziare sui criteri
Le parti sono amici.
Le parti sono avversari.
Le parti sono persone che
risolvono un problema.
Lo scopo è accordarsi.
Lo scopo è vincere.
Lo scopo è un buon esito
raggiunto con efficienza e
amichevolmente.
Fare concessioni per
coltivare il rapporto.
Chiedere concessioni come
una condizione per il
rapporto.
Scindete le persone dal
problema.
Essere morbidi con le
persone e con il problema.
Essere duri con il problema
e con le persone.
Siate morbidi con le persone,
duri con il problema.
Fidarsi degli altri.
Diffidare degli altri.
Procedete indipendente
mente dalla fiducia.
Cambiare posizione
facilmente
Trincerarsi sulla propria
posizione.
Concentratevi sugli interessi,
non sulle posizioni.
Fare offerte.
Fare minacce.
Esplorate gli interessi.
Svelare fin dove potete
scendere
Nascondere fin dove potete
scendere.
Evitate di avere un limite
invalicabile.
Pretendere guadagni
unilaterali come prezzo
dell'accordo.
Inventate soluzioni
vantaggiose per ambo le
parti.
Cercare una sola risposta:
quella che essi
accetteranno.
Cercare una sola risposta:
quella che voi accetterete.
Sviluppate molte opzioni fra
le quali scegliere; deciderete
più tardi.
Insistere sull'accordo.
Insistere sulla propria
posizione.
Insistete su criteri oggettivi.
Cercare di evitare la prova di Cercare di vincere la prova
forza.
di forza.
Cercate di raggiungere un
risultato che si basi su criteri
indipendenti dalla volontà.
Cedere alla pressione.
Ragionate e siate aperti al
ragionamento; inchinatevi ai
principi, non alle pressioni.
Far pressione.
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Preparare il negoziato
Lo scopo del negoziato è stipulare il contratto integrativo di ateneo.
La piattaforma contiene proposte, ma dietro ad esse vi sono degli interessi, degli
obiettivi. Un esempio: la trattativa per l’acquisto di una casa si svolge attorno al prezzo, c’è
la proposta di chi vende e quella di chi acquista. Dietro le proposte ci sono gli interessi,
che guidano la trattativa. Chi compra è interessato ad una casa più grande perché….
oppure più vicina al lavoro oppure ….. Sono gli interessi a guidare la trattativa.
Individuare la zona di accordo
In vista di una trattativa sindacale è normale definire i propri punti irrinunciabili della
piattaforma. Ma anche la Parte pubblica ha i suoi punti irrinunciabili. Per evitare di arrivare
allo stallo o ad una soluzione insoddisfacente per entrambi è bene tenerlo presente.
Per negoziare in modo efficace occorre guardare sempre tutti e due i lati del tavolo e
non solo il proprio. Occorre aver chiari quali siano gli interessi della Rsu, ma anche
chiedersi quali siano quelli della Parte pubblica. Occorre aver chiari quali sono i punti i
forza e i punti debolezza della Rsu, ma anche quelli dell’altra parte.
Durante la trattativa può accadere che si riveli più utile adottare una proposta diversa
da quella prevista all’inizio per raggiungere lo stesso scopo, per soddisfare gli stessi
interessi.
Occorre quindi individuare una zona di accordo che dipende:
- dagli obiettivi che si intende raggiungere;
- dai risultati al di sotto dei quali non si ritiene conveniente un accordo;
- dalla zona di accordo della Parte pubblica.
E’ decisivo anche individuare come ogni parte valuta il costo del mancato accordo
che viene esaminato nel capitolo successivo.
Elaborare una strategia
Individuata la zona di accordo, occorre elaborare una strategia:
– prefigurare tutti i risultati possibili, anche quelli indesiderati,
– immaginare comportamenti adeguati (cosa faccio se …?),
– inventare soluzioni vantaggiose per entrambi
– pensare alla mossa di apertura e alle offerte possibili.
Una bozza di contratto
La piattaforma raccoglie le rivendicazioni e ne esplicita le motivazioni. E’ rivolta
soprattutto ai lavoratori. E’ uno strumento di comunicazione. Lo stile con cui è scritto è
quello normale, quindi approssimativo, ambiguo. Il risultato della trattativa è un contratto.
Lo stile deve essere preciso, perché sia interpretabile da tutti, lavoratore e direttore
amministrativo, senza l’ausilio di esperti sindacali.
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È meglio quindi che la trattativa avvenga su un testo che prefiguri il risultato, che
abbia cioè la forma dell’articolato, strutturato per articoli come il contratto, che traduce le
richieste in clausole, ed è rivolta soprattutto alla Parte pubblica e a chi si siede al tavolo
delle trattative.
Differenziare la piattaforma dall’articolato ha alcuni vantaggi:
- serve a distinguere:
– la clausola che si vuole inserire nel contratto, che crea diritti delle persone,
– dal motivo, l’esigenza per cui viene inserita, che porta a scrivere frasi che non hanno
alcun effetto giuridico.
- serve a verificare se la richiesta è formulata in termini che consentano una applicazione
facile e condivisa da entrambi le parti, Rsu e Parte pubblica.
– consente di tenere sotto controllo tutte le richieste, evita il rischio che ogni partecipante
privilegi alcuni aspetti rispetto ad altri o ne dia una lettura parziale;
– favorisce una discussione concreta: si tratta per modificare o inserire clausole.
Sulle questioni di stile si rimanda al sito www.flcgil.it/rsu “Come scrivere il contratto”.
Raccogliere informazioni
Per sostenere una richiesta occorre argomentare in termini di principi, di criteri
oggettivi. E’ utile poter dire: lo hanno fatto nell’università … Quindi è utile raccogliere altri
contratti di ateneo che contengono la norma che si intende adottare.
Anche se i dati necessari alla trattativa (ad esempio la dimensione del fondo di
ateneo, il numero degli addetti, …) deve fornirli il direttore amministrativo, è importante
avere proprie fonti.
E’ utile anche raccogliere le poche norme relative alle materie oggetto della trattativa
e che si possono ricavare dal sito www.flcgil.it/rsu
Una volta raccolte le informazioni utili, devono essere ordinate in relazione alle varie
richieste della piattaforma, in modo da usarle non tutte in una volta, ma in relazione alla
trattativa, per giustificare le richieste o per controbattere obiezioni.
Individuare i vincoli
Aiuta la trattativa sapere che ci sono dei vincoli per entrambe le parti che delimita
l’area negoziale, anche se con confini mobili. Non si può trattare tutto. Vedi Lo spazio
negoziale nel libretto “Rsu Le relazioni sindacali”
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Curare il rapporto con i lavoratori
Il consenso si costruisce con la piattaforma. Se manca, non è possibile usare in
modo credibile gli strumenti di pressione.
Inoltre durante la trattativa occorre informare i lavoratori sul suo andamento, sulle
difficoltà e sugli eventuali scarti tra piattaforma ed accordo.
Avere alleati
La Rsu deve cercare una alleanza soprattutto con i rappresentanti del personale
tecnico–amministrativo in Consiglio di amministrazione ed in Senato accademico, ma non
confondere i ruoli. La Rsu rappresenta gli interessi di chi lavora in ateneo. Le categorie di
personale organizzano i propri interessi direttamente, attraverso le loro rappresentanze di
ateneo.
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Il costo del mancato accordo
Prima di iniziare una trattativa, qualunque essa sia, è importante immaginare quale
sia il “costo del mancato accordo” per le due parti, perché i costi possono essere molto
diversi.
Per il Rettore rifiutarsi di aprire le trattative, di fronte all’iniziativa della Rsu o del
sindacato provinciale, ha costo alto: può essere denunciato per condotta antisindacale.
Vedi Condotta antisindacale in Rsu e Relazioni sindacali
Anche per la Rsu il costo del mancato accordo è alto: se non conclude il contratto di
ateneo il suo ruolo diventa marginale.
Ma, tra i due costi è maggiore quello della RSU. Visto che c’è uno squilibrio teorico,
per la Rsu è importante che la Parte pubblica abbia una percezione del costo del mancato
accordo maggiore di quella che potrebbe avere in astratto. Come?
Argomentando:
- che l’accordo è preferibile al non accordo per chi vuole gestire le persone;
- che vi sono comunque dei vincoli in caso di mancato accordo: i compensi accessori,
ad esempio, non possono essere dati unilateralmente; non possono essere
assegnate le risorse per lo straordinario alle strutture, né possono essere adottati
provvedimenti non conformi alla politica sull’orario di lavoro diversi da quelli
concordati precedentemente in contrattazione. Se ciò accadesse la Rsu dovrebbe
informare i revisori dei conti.
Minacciando di ritirare la collaborazione, di usare gli strumenti sindacali di agitazione e di
pressione.
Perché la minaccia sia credibile occorre avere ottenuto il consenso dei lavoratori e
costruito una rete di alleati. La minaccia ha lo scopo di rendere maggiore per la
controparte il costo del mancato accordo, perché comporta un clima che avrebbe effetti
negativi sul servizio.
La Rsu è un organismo: quindi la valutazione del costo del mancato accordo è il
risultato di una discussione tra i suoi componenti. Non sempre è chiaro in ateneo che, in
genere, per un sindacato non “portare a casa nulla” è una sconfitta: ha un costo. Può
accadere che anche la Rsu, o la sua maggioranza, pensi che il mancato accordo non
abbia un costo, perché si ritiene preferibile il nobile gesto della rottura o si abbonda nella
retorica invece di trovare una soluzione condivisa.
Lo stallo
I momenti di stallo della trattativa possono essere ricondotti a due tipologie, che è
bene tener distinte perché gli strumenti che si possono adottare sono diversi.
1. le trattative non si avviano o languono perché la Parte pubblica non vuole (o teme di)
trattare.
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E’ importante capire se il comportamento è imputabile al Rettore o al Direttore
amministrativo e, in quest’ultimo caso se sia dovuto ad una inconfessabile paura di
affrontare situazioni critiche o di sbagliare o sia il risultato di una strategia dilatoria
impostagli dal Rettore.
Nel primo caso sarebbe sufficiente che il Rettore si occupasse della formazione alle
nuove competenze richieste ai dirigenti. Purtroppo non avviene di rado. Tuttavia anche la
Rsu può fare la sua parte, rassicurando il direttore, esplicitando i propri obiettivi.
Se viceversa è il Rettore a mettere in atto atteggiamenti dilatori, si può ricorrere al
giudice. Avviata la trattativa, le parti sono tenute a condurle con correttezza e buona fede.
Impedire lo svolgimento di una attività (contratto integrativo di ateneo) prevista dalla legge
(Dlgs 165/01) e dal contratto nazionale è comportamento antisindacale.
È auspicabile che in sede di valutazione dell’attività del Rettore rientri anche il
comportamento nelle relazioni sindacali, sia come titolare della parte pubblica, sia come
responsabile del raggiungimento dei risultati del servizio. Questo avrebbe l’effetto di
aumentare per il Rettore il costo del mancato accordo.
2. Vi è un disaccordo su un contenuto.
Un giudice non può imporre un contratto, che è un accordo tra parti. È quindi compito
delle parti trovare una soluzione condivisa. Hanno un ruolo decisivo in queste occasioni
sia la valutazione che ognuna delle parti ha fatto del costo del mancato accordo, sia la
capacità di riconoscimento dell’altro e la capacità di ascolto.
Forme di lotta o di pressione
Che fare nei momenti di stallo, se lo deve chiedere la Rsu prima di trovarsi in questa
situazione, quando prepara la trattativa. E ciò non vuol dire affrontare la trattativa con un
atteggiamento pregiudizialmente ostile nei confronti della Parte pubblica, ma immaginare
tutti i possibili sviluppi della trattativa.
La via giudiziaria è l’ultima chance. Prima di affrontarla la Rsu dovrebbe usare i
normali strumenti a disposizione per fare pressione sul Rettore che non intende
concludere il contratto.
Per indire uno sciopero occorre avere il consenso dei colleghi. Altrimenti è farsi del
male da soli. È quindi il consenso l’elemento decisivo di una trattativa sindacale, il vero
strumento di pressione. Maggiore è il consenso, minore la probabilità di rimanere bloccati
in una situazione di stallo.
La Rsu non è sola nella ricerca del consenso dei lavoratori. In una vertenza di ateneo
anche la Parte pubblica cercherà di acquisirne il consenso e dimostrare che le
rivendicazioni della Rsu non sono condivise, mentre sono più efficaci le sue proposte. Può
farlo in vari modi. Ad esempio potrebbe inviare ai dipendenti, via e-mail, l’informativa sulle
proprie proposte contrapponendole a quelle della Rsu delegittimandola. I lavoratori
potrebbero sentire la pressione della Parte pubblica anche in forma indiretta: il timore di
subire le conseguenze di un conflitto, ad esempio nella gestione dei permessi o altro.
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E’ preferibile allora utilizzare il tentativo obbligatorio di conciliazione, previsto se la
Rsu minaccia lo stato di agitazione. Si tratta di un incontro presso la Prefettura. La
prefettura potrebbe svolgere un uitle ruolo di arbitro. Sul come fare vedi il libretto I diritti
sindacali.
In una vertenza di ateneo la Rsu infatti può utilizzare il ventaglio di forme di
agitazione e di lotta sindacale:
– sciopero dello straordinario o delle attività aggiuntive;
– sciopero breve di un’ora
– sciopero di una giornata.
Sul come la Rsu possa proclamare uno sciopero si parla nel citato libretto “I diritti
sindacali della Rsu”.
Queste forme di sciopero hanno un impatto maggiore in una vertenza di ateneo che
non in una vertenza nazionale, perché l’utenza è più limitata, ma anche più direttamente
coinvolgibile. Inoltre è possibile cadenzare le varie forme di lotta in relazione
all’andamento della vertenza.
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Federazione Lavoratori della Conoscenza
Al tavolo delle trattative
La trattativa è un modello di relazioni tra le parti regolate dal diritto civile e non dal
diritto amministrativo.
L’incontro è tra due parti. Non è una riunione di organo collegiale. Non vi è un
presidente che dà ordine ai lavori, fissa l’ordine del giorno o dà e toglie la parola. Non vi è
un segretario. Non occorre fare il verbale di ogni incontro. Si fa, se tutti lo ritengono utile e
se serve a qualcosa, per esempio per registrare via via le clausole del contratto in
costruzione su cui si concorda.
Non vi sono regole su come svolgere la trattativa, se non quelle concordate da
entrambi. Sulle procedure negoziali vedi il libretto Rsu e relazioni sindacali.
Il punto di partenza è riconoscersi entrambi come parti di un negoziato, anche se
conflittuale. Lo scopo della trattativa è fare un accordo insieme, non vincere una
competizione o fare un duello.
La trattativa si svolge su due piani:
- dei contenuti (le proposte della Rsu e le controproposte della Parte pubblica) e
- della relazione.
Non confondere i due piani, ma tenerli sempre presenti. Esplicitare quando si passa
dal piano dei contenuti a quello della relazione (della meta-comunicazione): creare un
clima di fiducia reciproca è condizione decisiva per negoziare.
Evitare riferimenti alle persone (la colpa è di …, tu sei …), preferire, invece,
identificare i problemi (le esigenze dei lavoratori) e le soluzioni (le clausole da inserire nel
contratto). Concentrarsi sui contenuti e non sulle persone, morbidi con le persone, duri con
il problema. Vedi la tabella del capitolo “L’arte del negoziare”
È possibile, utile, fare concessioni per mantenere la relazione. Finite le trattative i
rappresentanti sindacali vanno via, mentre Rettore, direttore e delegati Rsu continuano a
lavorare nello stesso posto. Se si fanno concessioni, dirlo esplicitamente, in modo che la
controparte lo capisca. Per questo è bene avere preparato soluzioni alternative.
Ascoltare
La trattativa si fa in due, perché l’accordo deve convenire ad entrambi. Per questo
occorre capire gli interessi della controparte. Serve per valutare i punti di forza e di
debolezza propri e dell’altra parte.
Non occorre dire le proprie intenzioni oltre a quello scritto dalla piattaforma se prima
non si è compresa la intenzione della controparte.
Capire quello che sta succedendo, ma capire anche quello che ci sta succedendo:
anche noi possiamo essere parte del conflitto. Durante una discussione è normale non
capirsi. Per evitare equivoci, è utile riformulare le proposte di una parte: “Provo a dire con
parole mie quello che ha detto …”. In tal modo si dimostra che è stato ascoltato ciò che ha
detto l'altra parte. Inoltre serve ad entrambi per controllare l’efficacia della comunicazione.
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Quanti parlano?
Il numero dei partecipanti incide in modo determinante sulle dinamiche della
trattativa. Il tavolo delle trattative può diventare affollato. Le parti in questo caso
dovrebbero mettersi d’accordo su chi parla, tutti o solo un portavoce per ogni soggetto
(giuridico)?
I delegati della Rsu devono (dovrebbero) evitare di sconfessarsi a vicenda. Altrimenti
il rettore da controparte diventa il mediatore tra i componenti della Rsu, imponendo la sua
leadership. Meglio chiedere una pausa di riflessione per chiarirsi le idee.
Il punto di riferimento comune è la piattaforma, che consente anche di evitare che i
rappresentati sindacali parlino sempre, o polemizzino tra loro.
È un problema anche se parlano in tanti dalla parte pubblica e non si capisce se chi
decide è il Rettore o il Direttore o un collaboratore.
Di cosa si discute?
La trattativa ha al centro la piattaforma della Rsu o, in mancanza,
sindacati, che costituisce quindi l’oggetto della discussione.
quella dei
La Parte pubblica interviene nella trattativa con proprie proposte sui diversi punti
della piattaforma, o, in mancanza di questa, sulle materie demandate alla contrattazione
integrativa, inserite all’ordine del giorno. Lo scopo è facilitare i lavori del tavolo. Ciò non
vuol dire che cambia la base di discussione, che la piattaforma sindacale viene espulsa
dalla trattativa. Poi chi ha più filo da tessere…
Chi scrive l’accordo?
La questione non è chi scrive il verbale, ma chi scrive l’accordo o meglio le singole
clausole dell’accordo. Non vi è una regola. Chi lo fa ha un vantaggio, non perché decide
quel che vuole, ma perché vuol dire che ha le idee più chiare.
Se la piattaforma è stata tradotta in articolato, è più facile scrivere l’accordo.
Punti critici
Durante la trattativa si possono verificare diversi momenti critici, è del tutto normale.
Vediamone alcuni.
Il Rettore e il direttore amministrativo:
– sono riluttanti a trattare, perché vedono le relazioni sindacali in ateneo, come
appesantimento delle procedure;
– non si sentono preparati a negoziare, e preferiscono rinviare oppure hanno un
atteggiamento duro;
– non vogliono seccature, non si assumono responsabilità, si trincerano dietro
l’applicazione delle norme;
– non conoscono le norme;
– non vogliono cambiare una procedura applicata da anni perché ha un costo, ad esempio
farebbe aumentare il lavoro degli uffici;
– temono il controllo dei revisori dei conti ai quali avrebbero difficoltà a motivare le ragioni
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delle scelte eventualmente adottate;
– vogliono avere le mani libere; non vogliono regolamentare i loro spazi discrezionali nella
gestione dell’ateneo;
– hanno litigato con un delegato della Rsu o con un responsabile sindacale e gliela
vogliono far pagare;
– ecc.
I delegati della Rsu:
– sono divisi e si fanno concorrenza, con il risultato che non trovano l’accordo;
– sono deboli perché non hanno il consenso e la Parte pubblica lo sa e lo fa pesare;
– non conoscono le norme;
– non stimano il rettore e/o il direttore o li vedono come nemici con i quali non si può
trattare;
– ecc..
Il contrasto tra le parti si può verificare in diverse occasioni o forme. Facciamo
qualche esempio.
Differenti criteri di gestione delle persone e del fondo di ateneo: la Parte pubblica
punta a mantenere un’ampia area di discrezionalità per ottenere la collaborazione del
personale, la Rsu cerca di negoziare criteri certi e trasparenti.
Differenti punti di vista sull’organizzazione del lavoro: la Parte pubblica negozia
avendo presente la gestione complessiva dell’ateneo, la Rsu avendo presente le esigenze
del personale, elencate nella piattaforma. Entrambi sono (dovrebbero essere) interessati,
almeno formalmente, ad un funzionamento efficiente/efficace dell’ateneo, ma questo non
impedisce contrasti durante le trattative.
Diversa valutazione delle materie del contratto di ateneo: il rettore e il direttore danno
una lettura limitata dell’art. 4 del Ccnl. La Rsu ha presente i principi che regolano l’area
negoziale per cui vuole negoziare su aspetti non previsti dall’art. 4 (tutto ciò che non è
vietato, è consentito!), ma non in contrasto con il Ccnl.
In questi casi occorre trovare un punto di accordo che concili i diversi interessi o
punti di vista.
Una rivendicazione della piattaforma contrasta con una delibera del Consiglio di
amministrazione: il Consiglio ha deliberato in merito a certi compensi per una parte del
personale. Il rettore ritiene che la delibera sia intoccabile. La Rsu ritiene (giustamente) che
il Consiglio abbia indebitamente occupato spazi non propri. La Rsu potrebbe anche
valutare se recepire i contenuti condivisi della delibera nel contratto, per chiarire le
competenze ed evitare nel futuro altre invasioni di campo.
La Parte pubblica cita pareri o sentenze a conferma di quel che sostiene. La Rsu
deve sempre chiedere una copia, per valutare di che si tratta. Un parere (del ministero,
dell’Aran, dell’Avvocatura di stato, …) può aiutare a capire il testo di una norma
complicata, ma è solo un parere. Inoltre questi pareri sono rivolti alla stessa
amministrazione, non sono quindi un vincolo per la Rsu che non è amministrazione.
Una sentenza ha altro peso, ma riguarda sempre un caso particolare. Occorre quindi
capire di che si tratta. Ad esempio può riguardare un comparto diverso o un settore del
privato che ha un contratto diverso da quello dell’ateneo. Occorre inoltre valutare se la
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sentenza è innovativa o è nell’alveo di una giurisprudenza consolidata, è di un tribunale o
della Cassazione, che indica quindi una tendenza giurisprudenziale. In questi casi può
essere utile rivolgersi al sindacato per avere consigli o chiarimenti.
Confusione di ruoli
Potrebbe verificarsi una confusione di ruoli, quando non sia chiaro a quale delle due
parti negoziali una persona partecipi o anche all’interno della stessa parte trattante.
Se un collaboratore del rettore o del direttore o il responsabile di un dipartimento e/o
ufficio, ecc. è chiamato a partecipare dal rettore alla trattativa, egli è nella parte pubblica
ma potrebbe tendere a porsi come rappresentante di lavoratori. Oppure all’opposto se il
rettore e il direttore tendono a defilarsi e lasciano parlare solo costoro.
Un sindacato provinciale firmatario potrebbe delegare un lavoratore dell’ateneo a
rappresentarlo al tavolo delle trattative nella parte sindacale, ma potrebbe dar luogo a
dinamiche negative con la Rsu, se ad esempio si è presentato alle elezioni e non è stato
eletto.
Su una certa questione (criteri di utilizzazione del fondo o delle persone) un
partecipante alla trattativa potrebbe difendere un proprio interesse. La Rsu dovrebbe o
chiarire i ruoli delle due parti o richiamare qualche componente della parte sindacale al
rispetto della piattaforma (quindi è importante averla definita) o il Rettore a coordinare la
parte pubblica.
Se un funzionario, eletto nella Rsu, sostituisse il direttore al tavolo delle trattative,
parteciperebbe come parte pubblica e non come Rsu. Deve quindi astenersi in questo
periodo dal partecipare alla Rsu. Se ciò si verificasse sempre o se partecipasse sempre
con il rettore dovrebbe addirittura dimettersi da Rsu.
In un ateneo può capitare che la Rsu non funzioni e che quindi non sia stata
elaborata alcuna piattaforma. In questo caso è il sindacato provinciale, attraverso il
comitato degli iscritti dell’ateneo, che svolge un ruolo di supplenza: elabora una
piattaforma, la illustra e la fa votare dai lavoratori, la sostiene al tavolo della trattativa
Da tutti questi casi emerge chiaramente l’importanza della piattaforma.
Governare il tempo
La trattativa dovrebbe svolgersi in un tempo determinato, ragionevolmente breve,
soprattutto se si tratta di rinnovare il contratto.
Non avere fretta, ma neanche subire rinvii. Darsi dei tempi per la trattativa. Uno o
due incontri dovrebbero bastare. Al termine di un incontro non conclusivo, stabilire quando
fare il successivo. In caso di stallo fissare un termine ultimativo per la trattativa (o l’accordo
entro il giorno tale o la rottura).
Arrivare rapidamente ad avere il quadro dei punti di accordo e di disaccordo. Se si
incontra una certa resistenza su un punto non insistere a trovare subito un accordo, ma
andare avanti per delimitare l’area del disaccordo. Ciò consente di decidere quali
concessioni, quali mediazioni fare, rispetto alla piattaforma, per arrivare all’accordo. Si
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evita così di subire la eventuale tattica del carciofo da parte del rettore, di continue
concessioni solo da parte sindacale senza contropartite. Si può stabilire quando è meglio
chiudere. Ad un certo punto occorre deciderlo. Meglio un accordo rapido non del tutto
soddisfacente, che attendere un accordo perfetto che non arriva.
Chiudere
Ad un certo punto della trattativa, le parti decidono di chiudere la trattativa perché:
– hanno raggiunto un accordo ritenuto soddisfacente
oppure
– prendono atto che non è possibile arrivare ad un accordo.
In questo secondo caso la Rsu deve prendere le opportune iniziative di lotta sia che
abbia deciso di rompere le trattative sia che lo abbia fatto la Parte pubblica.
Anche una sola parte può, ad un certo punto, decidere unilateralmente di
interrompere le trattative.
Anche la Rsu si è trovata o si troverà nella situazione di chiedersi: “Come ottenere
alcune rivendicazioni che il rettore non vuole riconoscere?” oppure “come fare a sbloccare
una trattativa che non va avanti per molto tempo?”. Sono situazioni che ha dovuto
affrontare qualunque sindacato (provinciale o nazionale).
Chi ha partecipato alle trattative può chiedere di mettere a verbale una propria
dichiarazione, che viene allegata al contratto. In questo modo può essere registrata una
riserva importante su un punto del contratto, ma non tale da impedirne la firma. Si
possono anche allegare dichiarazioni di impegni che le parti prendono reciprocamente per
il futuro ma che non fanno parte del contratto. Per avere degli esempi basta leggere i vari
Ccnl.
Il consenso sull’ipotesi di contratto
Concluse le trattative, la Rsu deve consultare i lavoratori. Il testo dell’accordo viene
siglato, con la riserva di firmarlo definitivamente dopo l’approvazione dell’assemblea di
ateneo. Al testo si appongono le firme solo per confermare che si tratta del testo originale.
Solo dopo l’assemblea si stipula il contratto. Da questo momento l’accordo diventa
efficace a tutti gli effetti.
La Rsu può svolgere al termine dell’assemblea anche un referendum sul contratto,
predisponendo uno o più seggi elettorali se la dislocazione delle Facoltà e dei Dipartimenti
lo richiede e decidendo la durata delle votazioni.
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parte 2
la comunicazione
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Comunicare. Come?
Il delegato Rsu deve comunicare con i propri colleghi di lavoro non solo in modo
informale nei corridoi dell’ateneo, nei dipartimenti, nei laboratori, negli uffici, ma anche con
scritti, avvisi, manifesti utilizzando uno spazio apposito, l’albo sindacale.
Non basta però avere uno spazio per essere letti. In ateneo vi sono tanti avvisi. Ogni
lavoratore è sottoposto a tanti messaggi, è quindi importante comunicare in maniera
efficace, per far capire ai nostri interlocutori il senso di quel che vogliamo dire. La
semplicità di linguaggio, la capacità di farsi capire da tutti immediatamente, l’abilità nel
comunicare sono una parte della attività del delegato Rsu.
IL MANIFESTO
Il manifesto è un mezzo a lettura veloce: il suo contenuto deve essere percepito in un
breve tempo: si dice dai 3 ai 5 secondi.
Un manifesto sindacale può richiedere una lettura più lunga. Allora in quei pochi
secondi deve catturare l’attenzione al punto da spingere ad una lettura completa
dell’informazione. I formati più utilizzati sono (base x altezza, in cm): 70 x 100 oppure 100
x 140. Quello che viene detto può essere applicato anche per il formato di carta A3 (cm.42
x 60) disponibile in ateneo.
Nel preparare un manifesto il primo problema è come attrarre l’attenzione sul vostro
messaggio e non sugli altri manifesti: pubblicitari, degli altri sindacati, ecc. Vediamo ora
una corretta impaginazione e cerchiamo di riconoscere i diversi componenti nella loro
funzione.
Il titolo di testa (head-line)
Ad esso è affidato il compito di esprimere in modo sintetico ed attraente il contenuto
del messaggio. In tre secondi, cioè in non più di cinque parole deve dire “la notizia”. Vi
ricordate titoli come: eccoci, basta, pace, ecc., addirittura in una sola parola la forza e la
chiarezza del messaggio.
Per farsi ricordare bisogna occupare l’immaginario di ognuno. Il titolo va scritto con
un carattere senza grazie, bold (neretto), tutto alto (maiuscolo). Deve troneggiare. Da solo
può reggere un manifesto. Una buona impaginazione di una breve frase può risultare
sufficiente ed efficace.
La parte grafica (visual)
Il visual può essere una grafica, un disegno, una foto. Poiché la decodifica del
messaggio è rapida, con la foto è più facile. Non è una regola, ma il frutto dell’esperienza.
Il testo (body)
Se il titolo è efficace ed il manifesto è ben impaginato, potete catturare l’attenzione e
spiegarvi con più argomenti. Il testo ha lo stesso carattere del titolo, ma con formato light
(leggero), alto e basso (minuscolo). È la parte discorsiva, il linguaggio deve essere diretto,
semplice e parlare al cuore.
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Federazione Lavoratori della Conoscenza
IL VOLANTINO
Il volantino, che generalmente annuncia, spiega e invita ad una iniziativa, rimane uno
strumento di comunicazione importante.
La caratteristica di questa comunicazione è il contatto fisico: qualcuno che consegna
il volantino e qualcuno che lo riceve. Attraverso le parole con cui si accompagna la
diffusione del volantino si mette in atto una concreta rappresentazione delle idee che si
sostengono, da esse dipende l’efficacia del risultato.
Il volantino può servire a più scopi:
– intervento su un tema specifico
– invito ad una assemblea
– presentazione della piattaforma
A differenza del manifesto, il volantino è un mezzo a lettura lenta. Si tiene in mano, a
30/40 cm dal naso di chi legge. Deve essere il testo a saltare agli occhi. Non devono
essere gli occhi a cercare nelle righe tutte uguali il senso del messaggio.
Quindi:
– mettere titoli, sottotitoli, organizzare gli argomenti a blocchi
– pensare alle priorità ed ai diversi piani di lettura
– animare la pagina con fondini che separino gli argomenti
– spingere la ricerca della massima chiarezza ed immediatezza
– puntare sulla sorpresa, la denuncia, la comparazione invece che su elaborate
considerazioni
– usare un linguaggio semplice e comprensibile: non ci rivolgiamo a noi stessi, o a pochi
intimi che già ci conoscono; usiamo il linguaggio di chi ci legge
– spezzare le frasi lunghe, andare al sodo. Dirla tutta, ma come in una discussione tra
amici, quando una battuta aiuta la comprensione del problema in discussione.
Il carattere di stampa deve essere di corpo 12/14 (il corpo 8 è piccolo).
I formati sono generalmente:
– A4 (21x 29,7) b/v (bianca e volta, davanti e dietro)
– A3 (42x60) che piegato produce un quartino di due pagine 21x29,7, con quattro facciate
disponibili.
IL COMUNICATO STAMPA
Può accadere che qualche volta sia necessario usarlo. Il comunicato della Rsu non è
l’unico che arriverà al giornale. Dovete quindi convincere il giornalista che gli state
comunicando una notizia utile.
Per essere immediatamente riconoscibile il comunicato stampa deve essere:
– indirizzato ad una persona (meglio se quella giusta)
– scritto su carta intestata
– breve, non più di 20-25 righe (in genere di circa 60 battute a riga)
– scritto in un certo modo. Vediamo come.
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Il titolo
Buona norma, prima di scrivere il testo, è scrivere il titolo. Quando siete riusciti a
scrivere un titolo che riassuma chiaramente il senso del comunicato stampa (la notizia),
avete chiaro in testa cosa volete dire al giornalista.
Il testo
1. Usate un linguaggio privo di termini del politichese o del gergo sindacale o burocratico,
che limitano la possibilità di farvi capire, anche dallo stesso giornalista che contattate, il
quale non è detto che conosca esattamente il problema. Usare termini tecnici non vi
accredita come esperti, o come persone “informate”.
2. Usate la regola che gli inglesi chiamano delle 4 w (who, what, when, why): dire chi, che
cosa, quando, perché. Il vostro lettore (che in prima battuta è il giornalista) deve sapere
tutto quanto gli serve leggendo le prime righe. Scrivete quindi prima la notizia che volete
diramare attraverso la stampa, poi le considerazioni. Ad esempio sciopero di ... il ... per ...
e in fondo spiegate perché è stato inevitabile. È utile mettere qualche dato (quanta gente è
interessata allo sciopero, i servizi che saranno bloccati ...)
3. Spesso, il giornalista non ha molto spazio da destinare alla vostra notizia, per cui il
comunicato stampa deve essere costruito con frasi di importanza decrescente:
concentrate la sintesi nelle primissime righe, e poi man mano che vi avvicinate alla fine del
testo le notizie ed i commenti diventano sempre meno importanti. Così eventuali tagli non
penalizzano il senso della vostra notizia perché sacrificherà messaggi che per voi contano
meno.
4. Inserite una dichiarazione (il virgolettato) vostra o di chi è il caso, aiuta l’efficacia del
comunicato: lo rende attuale, ed è apprezzato dai giornalisti che possono inserirlo nel
testo come una dichiarazione.
Ma non basta, bisogna essere tempestivi.
Una dichiarazione, un commento, una notizia destano maggiore o minore interesse nei
giornalisti a seconda del momento in cui sono diffusi.
Occorre essere tempestivi sull’argomento e sull’orario:
– far arrivare alle redazioni un comunicato nella mattinata o nel primo pomeriggio. Il
giornale, ma anche gli altri media, impostano la griglia dei contenuti in tarda mattinata e
chiudono molte pagine attorno alle 19, soprattutto quelle non legate all’attualità urgente.
Se un comunicato stampa arriva in redazione dopo quest’ora, a meno che non tratti di una
notizia sconvolgente, viene messo da parte. Il giorno dopo, la “notizia” rischia di essere già
vecchia, quindi inutile.
È anche importante selezionare i destinatari.
– Trasmettere la notizia richiede tempo per cui è bene valutare a chi farla arrivare. Non
esiste una regola fissa. Se la notizia ha importanza nazionale privilegiate i grandi
quotidiani e le televisioni nazionali. Ma se è più importante raggiungere i lettori della vostra
provincia allora è bene dare la precedenza ai quotidiani, alle radio ed alle televisioni locali.
L’archivio dei giornalisti
Un comunicato stampa, un invito, un contatto con i media non può essere indirizzato
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indistintamente in redazione: si perde sicuramente. Ogni giornalista ha un’area di
interesse specifico: chi si occupa di cronaca locale, chi di sindacato, chi di scuola e così
via. Occorre quindi indirizzare direttamente alla persona (nome e cognome) la cui area di
interesse è più vicina ai contenuti del comunicato stampa o dell’invito. Tenete un archivio
dei giornalisti con cui siete o volete essere in contatto con le informazioni di base: nome,
testata, indirizzo, telefono, fax, area di interesse o di attività.
L’archivio deve essere aggiornato: i giornalisti cambiano incarico o giornale. Fate
sempre una copia dell’indirizzario, così non cadrete in disperazione se lo perdete, o, se lo
avete in forma di file, viene distrutto da un virus o dal guasto del computer.
LA BACHECA SINDACALE
L’uso dell’albo sindacale richiede alcune semplici attenzioni perché la comunicazione
sia efficace.
Il materiale deve essere, prima di tutto, leggibile, meglio se non sovrapposto ad altri
fogli.
Se il testo è molto lungo meglio darne l’annuncio, riassumere i punti essenziali,
indicare dove è reperibile il testo integrale; se è una legge o una circolare può essere
disponibile nella sede Rsu/sindacale.
Se è un documento sindacale lungo e scritto in sindacalese se ne può riassumere i
punti essenziali. Se è una fotocopia evitare che sia un foglio nero o a caratteri
microscopici.
Se è scritto a mano usare lo stampatello
Il materiale in bacheca va aggiornato. Evitate la stratificazione dei fogli che con il
tempo diventano pergamene; togliete i fogli che riferiscono notizie vecchie.
Affiggete un testo chiaro: usare uno stile normale che non sia il sindacalese o il
burocratese; gradevole (perché no?): il gusto visivo è cresciuto e se ne deve tener conto;
in ogni scuola vi sono i mezzi per rendere gradevole un testo: un alunno o un collega che
sa disegnare o che sa usare un programma di grafica con il computer.
INTERNET
Per l’attività di comunicazione il delegato della Rsu può trovare in internet un mare di
informazioni.
Sul sito della Flc Cgil (www.flcgil.it ) sono disponibili ogni giorno notizie, materiali e
documenti di analisi e link ad altri siti, tra cui quello del ministero dell’Università e Ricerca
(www.miur.it ), della Conferenza dei Rettori Università Italiane (www.crui.it ), dell’Agenzia
Rappresentanza Negoziale per le pubbliche amministrazioni (www.aranagenzia.it ).
È possibile ricevere diverse newsletter dando il proprio indirizzo di posta elettronica.
Nel sito vi è anche un’area dedicata alla Rsu, cui si accede con una password che si
chiede al sindacato provinciale. In questa area riservata si possono trovare:
– l’ipertesto sui contratti collettivi nazionali di lavoro dei comparti università, ricerca, Afam,
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Federazione Lavoratori della Conoscenza
Enea e Area dirigenti, con tutta la normativa legislativa e contrattuale;
– i dati elettorali sulle elezioni delle Rsu;
– quaderni di autoformazione
– i quesiti più frequenti (FAQ)
– schede di approfondimento sulle relazioni sindacali e sull’applicazione del CCNL
– la normativa di riferimento
– gli accordi di contrattazione integrativa dei diversi atenei
Altri siti nazionali utili sono:
– Tutti i siti delle università italiane, abbastanza raggiungibili attraverso i links esistenti
nel sito del proprio ateneo;
– Convegno permanente dei Direttori Amministrativi e dei dirigenti delle Università
italiane ( www.codau.it )
– I siti di altre sigle sindacali: cisl università e uil PA-UR
Vi sono numerosi altri siti che si interessano di università. È quindi importante che il
delegato abbia:
– un proprio indirizzo di posta elettronica per ricevere informazioni
– l’accesso alla rete direttamente dal proprio posto di lavoro in ateneo, possibilità che il
ministero riconosce ad ogni lavoratore dell’università, anche se il delegato può
utilizzare il diritto sindacale.
Il mestiere del delegato RSU a cura della FLC Cgil
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Federazione Lavoratori della Conoscenza
Comunicare in assemblea
Il delegato si trova a dover gestire riunioni od assemblee:
– sulla ipotesi di piattaforma da presentare alla Parte pubblica per il contratto;
– sulla ipotesi di accordo;
– per informare della attività o per discutere problemi sentiti dai lavoratori.
TIPI DI RIUNIONE
L’assemblea ha una struttura “uno/molti”, comune ad altri tipi di riunioni (conferenza,
lezione, comizio). Anche la configurazione dello spazio di queste riunioni è uguale: file di
sedie parallele che permettono ai partecipanti di vedere/ascoltare chi parla, ma non di
vedersi e parlarsi tra loro. Il potere è concentrato in chi parla. Vi sono però delle differenze.
Ad una conferenza la partecipazione è passiva. Al più si applaude, come ad un
concerto, per esprimere consenso, o solo cortesia.
Assimilabile alla conferenza, la lezione “ex cathedra”, non ovviamente la lezione
“attiva” alla prof. Keating de L’attimo fuggente, che sale sulla cattedra.
Al comizio la partecipazione è passiva. Il palco rende fisicamente evidente la
distanza tra relatore e partecipanti. Sul palco in genere vi sono più persone, dimostrazione
di forza, ma anche sollievo alla solitudine del relatore. A meno che non sia un “lider
maximo”, allora la solitudine è d’obbligo, essendo caratteristica del divino.
L’assemblea sindacale non è proprietà della Rsu, anche se spetta ad essa
convocarla. Chiunque può partecipare e se lo fa, vuole, giustamente, contare, parlare, e
non solo ascoltare. L’assemblea ha (dovrebbe avere) una struttura comunicativa a due
vie. Il relatore in genere è dell’ateneo. Quando la partecipazione è attiva ed implica la
decisione, il clima della riunione varia, qualche volta è normale, qualche altra è difficile o
addirittura ostile.
PREPARARSI
Ogni riunione, quindi anche l’assemblea, richiede una preparazione. Banale, ma non
sempre si fa. Richiede tempo, sempre meno però, al crescere dell’esperienza. Non è
difficile, si tratta di immaginarsi cosa si aspetta chi partecipa all’assemblea. In fondo il
protagonista è lui, non il relatore. Individuare i bisogni dei partecipanti serve per
distinguerli da quelli del relatore, che sono diversi.
Chi ci ascolta
Il relatore in genere pensa che basti conoscere un argomento per parlarne: rem tene,
verba sequentur (padroneggia l’argomento e le parole verranno). Allora si concentra sui
contenuti. Non è del tutto vero per una lezione, o una conferenza, lo è ancor meno per un
comizio, o per un’assemblea. Chi ascolta non è “vuoto”, ma pieno di aspettative e di
bisogni, di informazioni o “pre-giudizi” sull’argomento.
Chi partecipa può aver paura, ad esempio, di perdere il posto nell’ateneo per
scadenza del suo contratto, o di dovere cambiare il modo di lavorare dopo tanti anni per
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effetto di un’innovazione. Oppure può soffrire l’incertezza per le conseguenze di una
proposta indeterminata. Il bisogno di sicurezza è forte.
Chi partecipa può avere già delle idee sul tema, per averne parlato con colleghi.
Allora non serve imprecare contro la disinformazione e pensare di essere vittime di un
complotto. Chi crede (o vuole credere) ad una certa notizia lo fa, non per mala fede, ma
spesso per soddisfare un bisogno (di rassicurazione, o altro) che è bene tener presente.
Le aspettative dei partecipanti sono diverse, talvolta opposte anche sullo stesso
argomento, perché vi sono differenze tra i lavoratori, non solo tra aree professionali
(personale amministrativo, bibliotecario, tecnico ed ausiliario) e tra le diverse categorie
(elevate professionalità e categorie inferiori), ma anche all’interno della stessa categoria:
differenze culturali, di orientamenti politici e sindacali, ovviamente, ma anche differenze
dovute all’atteggiamento verso il lavoro e al grado di inserimento nell’ateneo (se sono da
pochi giorni o da anni).
Il delegato, a differenza del sindacalista (specie se esterno), ha modo di raccogliere
facilmente e direttamente molte informazioni sulle attese e sulle idee dei partecipanti
perché li incontra, li ascolta, parla con loro sul luogo di lavoro.
Un utile esercizio prima di una riunione è raccogliere ed esaminare i prevedibili punti
di vista di chi parteciperà.
Gli obiettivi
Ogni riunione ha (dovrebbe avere) un tema di discussione e/o di decisione. Può
essere informativa e/o decisionale.
Il relatore deve chiarire i propri obiettivi, analizzare le idee o le attese dei partecipanti,
mettere in relazione i primi con le seconde.
Per rendere più semplice questo lavoro è bene disarticolare il tema in nuclei semplici.
Ad ognuno si associano sia il nostro obiettivo, sia i (previsti) punti vista dei partecipanti, sia
il modo in cui intendiamo trattarli.
Questo lavoro ci consente di preparare ciò che serve per condurre l’assemblea:
la scaletta della relazione;
un elenco di domande che potrebbero essere poste durante l’assemblea e le
eventuali risposte da dare, utile per la gestione della discussione;
- una strategia di comunicazione e di gestione delle fasi dell’asemblea;
- una o più schede sul tema, una o due pagine al massimo da distribuire ai
partecipanti per spiegare punti complessi e non disperdere la discussione in
questioni tecniche o di dettaglio.
-
Tutto questo richiede tempo, ma garantisce una maggiore efficacia dell’assemblea.
Non dobbiamo far da soli. Un aiuto sugli obiettivi e sulla strategia possono darlo i
colleghi o il sindacato provinciale. Per i materiali una risorsa è internet, il sito del sindacato
in particolare. È utile infatti raccogliere e valutare non “tutto quello che gli altri hanno detto”
(materiale di altri sindacati, la stampa…), ma l’informazione essenziale e rilevante.
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La scaletta
Il tempo è una risorsa scarsa. Le cose da dire sono tante. Occorre quindi preparare
una scaletta della relazione: selezionare gli argomenti da inserire nella relazione e quelli
da discutere nel dibattito o nelle conclusioni; e distribuirli in una successione di importanza
in base ad una strategia di comunicazione, all’idea che abbiamo attorno alle informazioni e
le attese dell’uditorio, e non solo in base alle esigenze di chi fa la relazione.
Non sempre l’impostazione migliore è quella della sequenza “logica”, di tipo deduttivo (dal
generale al particolare).
Le domande difficili
Quelle che potrebbero essere poste durante l’assemblea e le eventuali risposte da dare. È
bene decidere che strategia adottare per le domande difficili. Ve ne sono di diversi tipi.
– Una domanda è difficile perché non si conosce la risposta o l’argomento (ad esempio
sulla normativa). Allora è meglio ammettere di non sapere, ma promettere di informarsi e
di dare la risposta il giorno dopo. Essere informati va bene, ma non si può essere
onniscenti. I colleghi apprezzano non solo chi sa (o mostra di sapere) tutto, ma anche chi
si fa carico di un problema.
– Una domanda è difficile se la risposta è difficile: implica dare un giudizio o decidere che
fare. In questo caso, in genere, la risposta deve essere trovata collettivamente proprio in
assemblea.
–
Una domanda difficile può anche essere un gesto di ostilità. Chi lo fa vuole mettervi in
difficoltà. Per questo si rinvia al paragrafo dedicato a gestire l’ostilità.
Quali parole per dirlo?
Chi parla ha a disposizione in genere diversi linguaggi: giuridico, sindacale,
professionale, comune. Ognuno ha una sua ragion d’essere. Un delegato è portato
naturalmente a parlare come i colleghi di lavoro. Ed è bene. Ciò vuol dire mettersi dalla
parte chi ascolta. Non deve imitare il linguaggio sindacale.
Quanti relatori?
La Rsu è composta di più persone. Occorre quindi mettersi d’accordo su come
condurre l’assemblea e quali proposte fare. È preferibile che vi sia un solo relatore se il
tema è unico. Se i temi sono più d’uno, può essere utile che i delegati se li dividano tra
loro. La strategia da adottare cambia se si è l’unico relatore o si parla con altri che, magari
sui punti da discutere hanno anche posizioni molto differenti.
Una strategia
A seconda che l’assemblea sia informativa o decisionale, a secondo del clima che si
prevede, occorre stabilire una modalità di gestione. Vi sono due modelli estremi.
– Tradizionale: tipo relazione/dibattito/conclusioni, adottabile nella gran parte dei casi. È
consigliabile (ma difficile da praticare) destinare poco tempo alla relazione e molto agli
interventi e alle conclusioni. È più facile ottenere il risultato utilizzando qualche strumento
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di comunicazione (vedi più avanti) e distribuendo la scaletta o del materiale informativo per
illustrare aspetti secondari o troppo tecnici.
– Botta e risposta, come fosse un’intervista o una conferenza stampa, con
domande/risposte invece della relazione. Il modello è adottabile se prevediamo un uditorio
già preparato sull’argomento che potrebbe quindi annoiarsi a sentire una relazione.
Dall’esperienza possiamo elaborare più modelli di conduzione da adoperare nelle diverse
situazioni. Ciò permetterà anche di modificare il modello scelto nella fase di preparazione
quando risulta non adeguato alla situazione reale.
Il materiale
Le parole non bastano per comunicare. Occorre anche del materiale scritto che deve
essere preparato. Spesso per motivi di tempo vengono fotocopiati testi integrali di circolari
o di leggi che interessano solo gli addetti ai lavori, mentre i colleghi preferiscono
informazioni strutturate e chiare, e semmai l’indicazione della fonte. È bene quindi
dedicare del tempo a questa attività curando, anche in un gruppo, l’informazione da dare.
Il materiale deve poi essere distribuito. Se l’argomento è semplice il materiale si può
distribuire direttamente in assemblea. Se il tema è complesso, a seconda che l’assemblea
sia informativa o decisionale, è bene distribuire il materiale qualche giorno prima. Occorre
anche pensare a come distribuirlo. Non basta lasciarlo negli ingressi delle strutture in
mezzo a montagne di altre carte.
Il luogo
Il luogo dove si tiene l’assemblea influenza lo svolgimento. Essere 50 in un’aula
magna da 500 persone è angosciante, ma essere 50 in aula da 30 è soffocante. Perché
soffrire? Il luogo dell’assemblea può essere concordato con il direttore amministrativo.
In alcuni casi è bene anche strutturare lo spazio.
Se possibile è bene evitare di fare una riunione lasciando la struttura dell’aula, con i
banchi allineati di fronte alla cattedra. Ad esempio se si tratta di un’incontro di poche
persone è possibile disporre le sedie e i tavoli in modo da consentire a tutti di vedersi,
invece di costringere tutti a guardare il relatore.
CONDURRE L’ASSEMBLEA
Il relatore è solo, alle prese con l’assemblea e con se stesso. Sono due i problemi
che danno le maggiori preoccupazioni. Vediamoli.
1. Gestire l’ansia
Parlare in (e con il) pubblico produce ansia, per il timore di non essere capace, o di
fare cattiva figura (non saper rispondere ad una domanda difficile o ostile). Fino ad un
certo livello l’ansia è inevitabile, anzi positiva, perché aiuta, migliora la prestazione. È
naturale essere ansiosi, non occorre preoccuparsi di esserlo, per non accrescere l’ansia
inutilmente. Se il livello d’ansia è eccessivo, potremmo perdere il controllo della situazione.
Avere un livello d’ansia normale dipende dal grado di sicurezza di sé, che si può
raggiungere in diversi modi (la conoscenza degli argomenti, ma anche fare un respiro
profondo). Facile a dirsi.
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Preparare l’assemblea o la riunione, cercare di prevedere cosa potrebbe accadere e
decidere cosa fare è anche un buon modo per tenere a bada l’ansia. Purché si dia per
scontato che non è possibile prevedere tutto.
2. Gestire l’ostilità
Un altro timore è essere attaccato da un intervento ostile. In questo caso non perdete
la calma. In fondo sono solo parole. Anche questo è facile a dirsi.
L’ostilità è meno probabile di quello che si teme. Il clima di una riunione o
dell’assemblea è molto differente a seconda che sia condotta da un delegato, che è
collega dei partecipanti, e viene quindi percepito come una persona, o sia condotta da un
sindacalista esterno, che viene visto come un ruolo soprattutto se interviene su un tema
che è sottratto alla possibilità di intervento da parte del lavoratore.
L’assemblea è anche un mettersi in mostra, un teatro delle “maschere”, un gioco di
ruoli ma anche di emozioni. Può accadere che l’ostilità sia solo parte di questo gioco.
Attenzione a non confondere un intervento critico, o divergente, o anche radicale, ma
argomentato, con una ostilità che tende ad attaccare la persona del relatore.
L’ostilità potrà emergere ma si esprimerà come in qualsiasi riunione in ateneo, in
forme note al relatore e comunque con toni contenuti. È raro imbattersi in un intervento
decisamente provocatore, fatto di false domande o invettive velenose. Per le invettive si
spera solo che non durino troppo. Il silenzio è spesso l’arma più efficace. È più probabile
avere a che fare con un intervento disfattista, di chi non gli va bene nulla. Allora può
essere utile chiedergli di fare proposte concrete: “tu come faresti?” “come risponderesti?”.
La sindrome del duellante
Può accadere che qualcuno attacchi in modo diretto il relatore oppure usi argomenti
pretestuosi per metterlo in difficoltà. Allora scatta naturalmente nel relatore l’istinto di
difendere il proprio io, così direttamente colpito. Ma ogni tentativo di difesa eccita
l’interlocutore a rispondere e il relatore è tirato in un duello verbale da cui gli altri sono
esclusi. Possono assistere stupiti, divertiti o irritati.
La posta in gioco è in genere il controllo del tempo. Il relatore, se non vuole essere
sconfitto (perdere il tempo), deve rifiutare il duello. Si può sperare che qualcuno venga in
soccorso e interrompa il duello. Per evitare questi casi avere eletto un presidente si rivela
prezioso.
In ogni caso è meglio evitare di rispondere subito a chi vi attacca, dicendo “sentiamo
altre opinioni”.
LE FASI DELL’ASSEMBLEA
È meglio andare qualche minuto prima rispetto all’ora prevista, non solo per
educazione, che non guasta, ma per controllare che:
– il locale dove si tiene l’assemblea sia disponibile; che sia accettabile il rumore di fondo
dovuto alla attività didattica che si svolge in altre aule;
– ci siano gli strumenti che ci servono (microfono, lavagna luminosa, ecc.). Non c’è nulla di
più divertente (per chi partecipa) e imbarazzante (per il relatore) che cercare di far
funzionare un’apparecchiatura a relazione iniziata.
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Il patto sulle regole
Ogni assemblea o incontro deve avere uno scopo e un tempo. Prima di iniziare la
relazione occorre esplicitare le regole:
– ricordare l’ordine del giorno
– proporre i tempi per le varie fasi dell’assemblea (relazione, interventi, conclusione). Il
relatore non è il padrone del tempo
– eleggere il presidente della riunione. E’ necessario in una assemblea; meno in una
riunione di lavoro tranquilla. Può anche essere un altro delegato della Rsu, diverso da chi
fa la relazione; sarebbe meglio che poi non intervenisse.
È infatti importante che vi sia il garante delle regole dell’assemblea. Il relatore non
può svolgere questo compito, se è impegnato a dimostrare una tesi, ad argomentare. Non
può essere giocatore ed arbitro. Il dare o non dare la parola, potrebbe infatti essere
interpretato come un intervento di parte, fazioso, ecc. Può accadere che in assemblea una
persona parli molto tempo. Se lo interrompesse il relatore anche nella forma più gentile
(“facciamo intervenire anche gli altri”) sembrerebbe che voglia impedire la critica. Allora è
utile che vi sia chi è legittimato a farlo.
È bene farlo all’inizio. Farlo dopo, quando siamo in difficoltà, è spesso inutile per
riportare un clima sereno.
1.La relazione
Iniziare elencando i punti della relazione. “Parlerò di 5 punti che sono: 1 ..., 2 …”. Al
termine riassumerli: “Ho parlato di 5 punti: 1 ..., 2 ...”.
Talvolta per motivi di tempo è necessario tagliare un punto che avevate detto di
svolgere. Se non avete distribuito del materiale informativo, fare la premessa all’inizio e
l’indice al termine della relazione è un obbligo.
Non è efficace invece mantenere comunque i 5 punti tenendo un ritmo più veloce. Si
rischia un effetto da film comico ai tempi del muto.
Controllare il tempo
l tempo mentale del relatore è diverso da quello dell’orologio e di quello di chi
ascolta. L’esperienza ci aiuterà ad avvicinare il nostro tempo mentale a quello reale. In
attesa di diventare perfetti, è bene tener sott’occhio l’orologio. Il relatore non è il padrone
del tempo altrui. È più importante lasciare il tempo per fare parlare gli altri e concludere,
che usarlo per la relazione. Essere severi con se stessi e chiudere quando il tempo è
scaduto.
Talvolta fare una lunga relazione è un espediente per evitare la discussione. È un
atteggiamento miope per un delegato che ha bisogno di conoscere quel che pensano i
lavoratori. È sempre meglio affrontare i problemi che eluderli. Ed è molto più importante, e
più facile, fare delle convincenti conclusioni che una lunga relazione. Mettiamo più
passione quando abbiamo interlocutori precisi.
Controllare l’attenzione
Il brusio dei partecipanti misura il livello dell’interesse. E il relatore non è il padrone
dell’attenzione altrui. Non può costringere alcuno a seguire il filo del suo discorso. Ma può
intervenire per modificare l’interesse.
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Il brusio può essere temporaneo, commenti provocati dalle sue parole. È facile
annullarlo, rinviando i commenti al dibattito, augurandosi anzi che sia interessante.
Se il brusio è costante o vi sono interruzioni frequenti è un segnale di pericolo: i
partecipanti non seguono più la relazione. Non serve alzare la voce perché si ottiene
l’effetto opposto, di alzare il livello del brusio. Non serve aggrapparsi alla relazione, come
fa un naufrago con la ciambella di salvataggio. La soluzione si rivela spesso infelice,
perché è proprio tentare di terminare ad ogni costo la relazione che rende sempre più
difficile la situazione.
È meglio cambiare rapidamente strategia. Altrimenti si annaspa e ogni tentativo di
salvarsi fa bere più acqua. Le cose che rimangono da dire possono essere recuperate in
seguito, durante la discussione.
Si possono provare altri espedienti:
– interrompersi; stare in silenzio. Così si riconquista l’attenzione che poi occorre
mantenere adottando una delle altre soluzioni
– passare ad un altro punto della relazione che si ritiene possa interessare maggiormente
– concludere rapidamente per riprendere i punti non svolti durante il dibattito o nelle
conclusioni.
2. La discussione
In questa fase occorre ascoltare e capire: quello che viene detto e quello che non
viene detto. Non è facile. Non tanto dire o pensare “quello non ha capito”, quanto cercare
di comprendere perché noi non siamo stati compresi: siamo stati poco chiari? non
abbiamo risposto ad esigenze? È male non ascoltare, peggio dimostrare di non ascoltare.
Attenzione al tempo. Fate in modo che ve ne sia per le conclusioni.
In questa fase potete verificare se gli obiettivi individuati durante la preparazione
dell’assemblea sono stati raggiunti oppure no.
3. La conclusione
L’assemblea non si deve concludere per caso, per sfinimento. Occorre mantenere il
tempo per concludere, per due motivi:
1. dare risposte, chiarire incomprensioni;
2. riconfermare un patto con i partecipanti o almeno con una parte, raccogliendone critiche
ed osservazioni, senza con ciò condannare gli altri, quelli inesorabilmente (per noi) critici.
Non occorre tracciare la linea di confine, da una parte i buoni e dall’altra i cattivi.
STRUMENTI DELLA COMUNICAZIONE
Si ricorda poco quello che si ascolta, molto di più quello che si vede. Quindi per
migliorare l’efficacia della nostra comunicazione in assemblea occorre usare uno
strumento visivo. Uno è lo stesso relatore, i suoi gesti, il tono della voce, ma non
trattandosi di un venditore non è il caso enfatizzare questo aspetto. È bene però riflettervi.
Schede
Riassumere in uno o due fogli le questioni oggetto dell’assemblea. Potete farvi
riferimento durante la relazione per i punti che non trattate o per quelli in cui vi sono calcoli
o tabelle complesse (se possibile sostituirli con grafici) oppure schemi.
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Lavagna
In ateneo non manca quella tradizionale (di ardesia) o di plastica bianca. Richiede
condizioni tecniche minime.
Si può usare quando l’assemblea si svolge in un’aula in cui la distanza tra
partecipanti e lavagna non supera una decina di metri.
Aspetti positivi:
– se scrivete mentre parlate coinvolgete l’uditorio in quello che dite, come se partecipasse
alla creazione di un pensiero
– costringe i partecipanti a occupare le prime file, che in genere sono le ultime ad essere
occupate.
Aspetti negativi:
– dover cancellare, se serve altro spazio
– richiede una certa sicurezza nel relatore, che può comunque sempre utilizzare i propri
appunti. Le prime volte è utile preparare su un foglio il testo da scrivere alla lavagna per
organizzarlo in modo chiaro.
Se avete deciso di usarla, accertatevi prima di iniziare che vi siano gesso o
pennarello (assicuratevi che sia del tipo cancellabile) e cancellino.
Lavagna a fogli
Rispetto alla lavagna tradizionale ha il vantaggio che non si deve cancellare quello
che viene scritto e consente di poter tornare indietro nei fogli. È indicata per riunioni di
lavoro di una ventina di persone al massimo. Serve sia per comunicare meglio quel che
volete dire, sia per raccogliere e sistemare le idee e le proposte che emergono, per
concentrare l’attenzione su quello che la riunione deve produrre.
Purtroppo non è ancora molto diffusa negli atenei, per cui occorre controllare che ci
sia e che vi siano fogli a sufficienza.
Scrivere a stampatello e a grandi caratteri per tener conto di quelli che sono a una
certa distanza. Usare il nero/blu per scrivere e il rosso/verde per sottolineare. Parlare
rivolti al pubblico.
Anche in questo caso è bene, le prime volte, preparare su un foglio il testo da
scrivere alla lavagna per organizzarlo in modo chiaro.
Lucidi
Croce e delizia dei corsi di formazione, ma anche delle assemblee.
Aspetti positivi:
– attirano l’attenzione (se sono pochi e ben fatti)
– danno sicurezza al relatore, perché forniscono anche la traccia della relazione
– trasmettono la sensazione che il relatore ha lavorato alla relazione e quindi è preparato
– si possono riutilizzare
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Aspetti negativi:
– maggiori condizioni tecniche della lavagna
– può dare l’impressione di cibo precotto
– può distogliere l’attenzione se la lavagna rimane accesa a lungo su un lucido che non si
usa più
– richiede tempo per prepararli
Quando si prepara un lucido si commette spesso l’errore di scrivere pensando ad un
foglio che viene poi letto dagli altri come un normale foglio di carta (formato A4). Invece
sarà letto, proiettato su una parete, da persone che saranno ad una certa distanza.
Quindi...
– Il testo deve essere di 20/30 parole in 6/7 righe, stampate o scritte a stampatello.
Se i lucidi sono scritti male meglio non usarli, perché amplifica l’effetto di sciatteria. Questo
problema ci aiuta a selezionare ciò che è veramente importante da comunicare
visivamente. Il resto sarà detto con parole.
– Distribuire il testo sul foglio pensando che l’area illuminata è quadrata e quindi non è
disponibile tutta la larghezza e la lunghezza del foglio A4. Altrimenti siamo costretti a
spostare il lucido sulla lavagna luminosa.
– Non esagerare. Farne pochi ma essenziali. Se fa paura un relatore che inizia con una
pila di fogli in mano, ancora di più terrorizza uno che ha una pacco di lucidi da proiettare.
Può fare l’effetto delle diapositive di viaggio di un amico.
Per non sprecare lucidi si può scrivere su fogli normali e fotocopiarli su lucidi adatti.
Se poi usate il computer siete al top: vi sono lucidi adatti per le stampanti a getto di
inchiostro o laser.
Se avete deciso di usare i lucidi, verificate prima che:
– la lavagna luminosa funzioni (non è ovvio)
– nella sala dell’assemblea vi sia un telo o una parete bianca su cui proiettare
– la zona dove proiettare sia in penombra; se dovete spegnere le luci anche in sala tutto si
complica
– vi sia posto sufficiente per appoggiare i lucidi che avete proiettato e quelli che dovete
ancora proiettare, per non rimpiangere il giorno in cui avete deciso di usare i lucidi mentre
li raccogliete da terra
– il filo di alimentazione sia lungo abbastanza per mettere la lavagna dove volete voi
– la presa sia quella giusta.
L’uso dei lucidi richiede anche alcune attenzioni durante la gestione dell’assemblea:
– controllate che il lucido sia a fuoco e leggibile sullo schermo
– spegnete la lavagna quando non viene usata;
– non eccedete nello strip-tease. Calma. Si tratta della tecnica che consiste nel coprire il
lucido con un foglio e scoprirlo riga per riga secondo le esigenze della relazione
– guardate l’uditorio e non lo schermo mentre parlate.
L’alternativa al mancato funzionamento della lavagna è distribuire la fotocopia dei
lucidi.
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Powerpoint
I lucidi sono caduti in disgrazia dopo la comparsa di Powerpoint, il programma che
consente di preparare facilmente diapositive da proiettare sullo schermo. Ogni ateneo
dispone ormai di computer ma non sempre del proiettore da collegare al computer.
Aspetti positivi:
quelli dei lucidi, ed in più si può rapidamente cambiare il testo.
Aspetti negativi:
quelli dei lucidi
Un consiglio: non eccedere con gli effetti speciali.
ESERCITARSI
S’impara a nuotare nuotando. Per migliorare le proprie capacità di comunicazione
occorre esercitarle. Preparare una assemblea, condurla e verificare come sono andate
effettivamente le cose.
Per rendere più facile la riflessione è bene scrivere una sorta di diario dove registrare
strategia prevista, risultati, punti di difficoltà.
Inoltre, può essere utile le prime volte fare l’assemblea con una persona amica che
osserva il vostro comportamento in base agli obiettivi che avete dichiarato di voler
raggiungere e che avete concordato con lei. In tal caso è possibile anche mettere a fuoco
la comunicazione non verbale. Chi partecipa ad un’assemblea ne è influenzato in modo
preponderante. Se avverte uno scarto tra comunicazione non verbale e verbale è portato a
credere più alla prima che non alla seconda. Quindi è bene riflettere sul nostro
comportamento.
Il massimo è farvi riprendere da una telecamera, per poi commentare assieme al
vostro osservatore. Non temete se il vostro (naturale) narcisismo potrebbe soffrirne, o
goderne.
Per garantire una efficace comunicazione è importante avere un buon livello di
agibilità sindacale, cioè di accesso a fotocopie, lucidi ed altro che può essere regolato con
il contratto di ateneo. Vedi Contratto di ateneo nel libretto I diritti sindacali.
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