12. Sempronia e Lesbia Ritratto di «signora» Cicerone presenta Clodia, vera e sola accusatrice di Celio. [32] Sed intellegis pro tua praestanti prudentia, Cn. Domiti, cum hac sola rem esse nobis. Quae si se aurum Caelio commodasse non dicit, si venenum ab hoc sibi paratum esse non arguit, petulanter facimus, si matrem familias secus quam matronarum sanctitas postulat nominamus. Sin ista muliere remota nec crimen ullum nec opes ad oppugnandum M. Caelium illis relinquuntur, quid est aliud quod nos patroni facere debeamus, nisi ut eos qui insectantur repellamus? Quod quidem facerem vehementius, nisi intercederent mihi inimicitiae cum istius mulieris viro – fratrem volui dicere; semper hic erro. Nunc agam modice nec longius progrediar quam me mea fides et causa ipsa coget: nec enim muliebris umquam inimicitias mihi gerendas putavi, praesertim cum ea quam omnes semper amicam omnium potius quam cuiusquam inimicam putaverunt. [32] Ma nel tuo grande acume tu comprendi perfettamente, o Cneo Domizio, che la causa è tutta e soltanto con lei. Se essa non dirà di aver prestato l’oro a Marco Celio, se essa non lo accuserà di aver preparato per lei il veleno, noi saremmo veramente indiscreti se parlassimo di una madre di famiglia diversamente da quel che convenga alla onorabilità delle matrone. Ma se, per contro, liquidata costei, nulla rimanesse in piedi né dell’accusa, né dei mezzi a cui si appoggia, che altro dovremmo fare noi, avvocati di Celio, se non respingere chi ci aggredisce? Ed io lo farei anche con maggior forza, se non mi trattenesse la mia inimicizia col marito... volevo dire col fratello: sempre lo stesso errore! Parlerò dunque con moderazione, e non andrò oltre quel che mi impongono il mio dovere e le necessità della causa. Non è mai stato nei miei desideri di 1 crearmi inimicizie femminili; specialmente con colei che tutti hanno sempre considerato piuttosto l’amica di tutti, che la nemica di qualcuno. [32] pro tua praestanti prudentia: «per il tuo eccezionale buon senso». Nota l’allitterazione. • Cn. Domiti: Cneo Domizio Calvino era il presidente del tribunale. Aveva presieduto anche il processo in cui Calpurnio Bestia era stato accusato de ambitu, cioè di brogli elettorali per la carica di edile del 57, da Celio e, difeso da Cicerone, era uscito assolto. Fu tribuno della plebe nel 59 e console nel 53 e poi una seconda volta nel 40. Cesariano nella guerra civile, combatté a Farsalo nel 48 a.C. e a Tapso nel 46. Tenne il governo della Spagna come proconsole dal 39 al 36. • si … commodasse (= commodavisse) non dicit: «se non dice (come testimone) di aver prestato». • si … non arguit: «se non accusa». • petulanter facimus: «ci comportiamo con insolenza». • matrem familias: «una madre di famiglia»; sta qui a indicare una persona degna di rispetto, come sottolinea l’espressione seguente matronarum sanctitas postulat («l’onestà delle matrone richiede»). • Sin ista muliere remota: «se invece, tolta di mezzo questa donna»; ista ha valore fortemente spregiativo; si contrappone la figura di Clodia, meritevole di disprezzo in quanto non ha le qualità di pudore e costumatezza richieste alle donne romane. • illis: «a quelli», cioè agli accusatori. • nos patroni: «noi difensori». • cum … erro: «con il marito di questa donna – fratello volevo dire; mi sbaglio sempre a questo punto». Cicerone, con una forma di autocorrezione (correctio o reprehensio) carica di malizia, finge di sbagliare chiamando Clodio marito prima e, correggendosi subito, fratello: allude così a rapporti incestuosi, di cui correvano voci insistenti e a cui fa riferimento più volte anche in altre orazioni (De har. resp. 18, 38; 20, 42; 27, 59; Pro Sest. 17, 39) e nelle epistole (Ad Att. II 1, 4; Ad fam. I 9, 4). • agam modice: «procederò con moderazione». • fides: «lealtà» (verso il cliente); fides presso i Romani indica il rapporto di reciproca lealtà e l’impegno assunto tra patronus e cliens, nel matrimonio, nei trattati fra popoli. • muliebris (= muliebres) … inimicitias mihi gerendas (sott. esse) putavi: «mai ho ritenuto opportuno farmi nemiche delle donne». • amicam omnium … 2 cuiusquam inimicam: «amica di tutti piuttosto che nemica di qualcuno». Nota il chiasmo. Cicerone parla apparentemente modice, ma in realtà usa espressioni fortemente ambigue pronunciate con tono terribilmente ironico. Riassunto 33-34 L’oratore si rivolge a Clodia e introduce a parlarle (prosopopea) il suo antenato Appio Claudio Cieco, incarnazione dell’antica virtù ed austerità romana; egli le parla aspramente, le rimprovera la vita corrotta che conduce e le rinfaccia di essere un’indegna discendente, immemore delle virtù degli avi e delle donne della sua famiglia e dimentica dei doveri verso la sua nobile famiglia d’origine e quella del marito morto, Q. Metello. Una donna senza dignità La testimonianza di Clodia, donna di facili costumi, non merita credito. [35] Sed quid ego, iudices, ita gravem personam induxi ut verear ne se idem Appius repente convertat et Caelium incipiat accusare illa sua gravitate censoria? Sed videro hoc posterius atque ita, iudices, ut vel severissimis disceptatoribus M. Caeli vitam me probaturum esse confidam. Tu vero, mulier (iam enim ipse tecum nulla persona introducta loquor) si ea quae facis, quae dicis, quae insimulas, quae moliris, quae arguis, probare cogitas, rationem tantae familiaritatis, tantae consuetudinis, tantae coniunctionis reddas atque exponas necesse est. Accusatores quidem libidines, amores, adulteria, Baias actas, convivia, comissationes, cantus, symphonias, navigia iactant, idemque significant nihil se te invita dicere. Quae tu quoniam mente nescio qua effrenata atque praecipiti in forum deferri iudiciumque voluisti, aut diluas oportet ac falsa esse doceas aut nihil neque crimini tuo neque testimonio credendum esse fateare. 3 [35] Ma perché, o giudici, ho io chiamato alla ribalta un personaggio di tanta austerità, da farmi quasi temere di vederlo improvvisamente rivolgersi a noi, e farsi lui stesso nella sua gravità censoria, accusatore di Celio?... Ma questo lo vedremo più tardi: e avverrà, ne sono certo, che la vita di Celio ne uscirà integra anche al giudizio dei più severi esaminatori. Ma tu, o donna – ecco, ora ti parlo senza nessun intermediario, – se ti proponi di giustificare ciò che stai facendo, e dicendo, e inventando, e macchinando, e imputando, tu dovrai per prima cosa dar ragione e rendere conto di quella tua eccezionale familiarità e intrinsechezza e intimità con Celio. Gli accusatori hanno costantemente sulla bocca i piaceri, gli amori, gli adulteri, e Baja e le spiagge, e i conviti, le gozzoviglie, i canti, i concerti, le gite in barca (e non pare che dicano nulla che sia contro la tua volontà). Ma poiché tu hai voluto, per non so quale improvvisa follia, rovesciare tutta questa roba nel foro e in giudizio, di qui non sfuggi: o la sconfessi e smentisci; o dovrai riconoscerti indegna d’esser creduta, come accusatrice e come testimone. [35] quid … ita gravem personam induxi ut …: «perché ho introdotto a parlare un personaggio austero così da …». Il riferimento è ad Appio Claudio che Cicerone finge di temere possa con la sua severità rimproverare anche Celio per il tipo di vita che conduce (ut verear…). • illa sua gravitate censoria?: «con la sua ben nota austerità da censore?». • videro: «videro è formula sola o accompagnata da avverbi temporali (qui: posterius), con la quale si rimanda ad altro tempo o ad altra persona una questione che al presente non interessa» (Traina); tradurre con il futuro semplice. • vel: «perfino». • me probaturum esse: «che giustificherò». • Tu vero, mulier: dopo aver parlato di Clodia con malizia e ironia, presentandola come un personaggio indegno, Cicerone passa ad apostrofarla direttamente (ipse tecum loquor): il tono non è più falsamente bonario, ma diventa violento e accompagna le parole con cui l’oratore le getta in faccia la vita che conduce. • nulla persona introducta: «senza chiamare in causa alcun personaggio»; l’oratore invita cioè la donna a non nascondersi dietro ad alcuno, ma a giustificare 4 personalmente i motivi delle sue accuse. Si può tradurre anche, con il Cavarzere, «senza bisogno di maschere». • quae insimulas: «le cose che inventi contro (in-), le calunnie». • rationem … reddas atque exponas necesse est: «è necessario che tu renda conto e dia spiegazione». • Baias actas: «le spiagge di Baia». • comissationes: «gozzoviglie, baldorie»; comissatio è propriamente un «banchetto seguito da una passeggiata notturna al chiaror delle fiaccole e a suon di musica». • navigia: «gite in barca». • iactant: «fanno spesso menzione di»; nota il valore del frequentativo. • idemque … dicere: «e contemporaneamente (gli accusatori) fanno capire che non dicono nulla contro il tuo volere». Ancora una volta Cicerone sottolinea che è Clodia che, da dietro le quinte, tira le fila del processo. • mente … praecipiti: «con non so quale intenzione sfrenata e sconsiderata»; l’immagine presente in effrenatus è quella del cavallo che va senza freno (ex e frenum), a briglia sciolta; quella di praeceps è di chi si getta col capo all’ingiù (prae e caput), a capo fitto, quindi di chi opera sconsideratamente. • diluas … doceas … fateare (= fatearis): cong. retti da oportet. Un’immagine indefinibile Perfino il fratello, con cui Cicerone insinua che Clodia abbia rapporti incestuosi, se parlasse rimprovererebbe a Clodia di aver messo in piazza i suoi costumi e di volere a tutti i costi un rapporto con chi non la vuole. [36] Sin autem urbanius me agere mavis, sic agam tecum. Removebo illum senem durum ac paene agrestem; ex his tuis sumam aliquem ac potissimum minimum fratrem qui est in isto genere urbanissimus; qui te amat plurimum, qui propter nescio quam, credo, timiditatem et nocturnos quosdam inanes metus tecum semper pusio cum maiore sorore cubitabat. Eum putato tecum loqui: «Quid tumultuaris, soror? Quid insanis? Quid clamorem exorsa verbis parvam rem magnam facis?». Vicinum adulescentulum aspexisti; candor huius te et proceritas voltus oculique pepulerunt; saepius videre 5 voluisti; fuisti non numquam in isdem hortis; vis nobilis mulier illum filium familias patre parco ac tenaci habere tuis copiis devinctum. Non potes; calcitrat, respuit, repellit, non putat tua dona esse tanti. Confer te alio. Habes hortos ad Tiberim ac diligenter eo loco parasti quo omnis iuventus natandi causa venit; hinc licet condiciones cotidie legas; cur huic qui te spernit molesta es? [36] Se tu, poi, preferisci che io ti tratti con maggior riguardo, lo farò. Allontanerò quel vecchio arcigno e quasi selvatico. Prenderò invece .... sì, qualcuno tra questi e precisamente il tuo fratello minore, che in questa materia è così pieno di garbo, che ti ama più di ogni altro, e che, non so per quale (credo io) timidezza di vani terrori notturni, ha sempre usato dormire con te, come un fanciullo con la sorella maggiore. Immagina che egli ora parli con te: «Perché mai, o sorella, smanii in questo modo? Che pazzia è la tua? Perché con tanto chiasso di parole, una piccola cosa ingigantisci?». Tu hai adocchiato un giovinetto, tuo vicino di casa; il suo candore, la figura slanciata, il volto, gli occhi ti hanno colpita; l’hai voluto vedere più di frequente, ti sei talvolta trovata con lui nello stesso giardino; donna dell’alta società, ti sei proposta di avvincere a te, con le tue larghezze, questo figlio di famiglia dal padre avaro e spilorcio. Non ci riesci: egli recalcitra, non ne vuol sapere di te, ti rifiuta, non giudica che i tuoi doni valgano tanto. E cercatene un altro! Hai un giardino sul Tevere, e te lo sei adattato apposta in quel luogo perché tutta la gioventù di Roma ci venga col pretesto del nuoto. Eccoti dove tu puoi ogni giorno scegliere secondo il tuo gusto. Perché tormentare proprio costui che t’ha a noia? [36] urbanius ... agere: «comportarsi, trattare più cortesemente». • illum … agrestem: Appio Claudio, considerato dai giovani del tempo, amanti del lusso e dei divertimenti, «quasi selvatico»; il tono è chiaramente ironico, come del resto in tutto il discorso che Cicerone rivolge a Clodia. • ex his tuis: «da questi tuoi cari», cioè del tuo tempo, contrapposti ad illum (Appio Claudio). • potissimum … fratrem: «preferibilmente il 6 fratello più piccolo»; Clodia aveva due fratelli: Appio e Publio, ricordato spesso nel corso dell’orazione. • propter nescio quam … timiditatem: «per non so quale sentimento di paura». • credo: è evidente che in realtà Cicerone non crede affatto che questo sia il vero motivo… • pusio … cubitabat: «come un piccolo era solito giacere»; nota il valore frequentativo di cubito; pusio è parola del linguaggio familiare. • putato: imper. fut. di puto: è forma solenne per l’imper. pres. • Quid…? Quid…? Quid…?: si immagina che Clodio incalzi la sorella con una serie di domande (nota l’anafora del quid) volte a sottolineare la follia del suo comportamento. La terza interrogativa è in forma di settenario trocaico, probabilmente un verso di un poeta comico ignoto (cfr. Ribbeck, Com. Fragm. 3, p. 145). • exorsa verbis: «avendo cominciato a strillare» (exorsa da exordior). • Vicinum adulescentulum…: la casa che Celio aveva preso in affitto sul Palatino (cfr. par. 19) confinava da un lato, come sappiamo dalla Pro Milone (par. 75), con quella di Clodia; Celio è presentato come un bel giovane, concupito dalle brame di una donna abituata ad avere tutti i giovanotti che desiderava. • candor huius … et proceritas: «la sua radiosa bellezza e la sua figura slanciata». • te … pepulerunt: «ti hanno colpito». • in isdem hortis: «nello stesso giardino», probabilmente della villa di Clodia. • patre parco ac tenaci: abl. ass. con valore causale «dato che il padre è tirchio e attaccato al danaro»; nel linguaggio familiare noi diremmo «non molla, non sgancia». • habere … devinctum: «tenere legato con le tue ricchezze». • tua dona esse tanti: «che i tuoi regali valgano tanto»; tanti è gen. di stima. • confer te alio: «rivolgiti altrove»; alio è avv. di moto a luogo. • diligenter eo loco parasti (= paravisti), quo …: «a bella posta li hai acquistati in quel luogo, dove …». • natandi causa: proposiz. finale. • licet … legas: «ti è possibile scegliere le occasioni di amoreggiare». Un ragazzotto in mano alla mantide Le chiacchiere contro Celio sono solo maldicenze; nessuna passione in realtà lo ha mai deviato dalla retta via. 7 [37] Redeo nunc ad te, Caeli, vicissim ac mihi auctoritatem patriam severitatemque suscipio. Sed dubito quem patrem potissimum sumam, Caecilianumne aliquem vehementem atque durum: «Nunc enim demum mi animus ardet, nunc meum cor cumulatur ira» aut illum: «O infelix, o sceleste! Ferrei sunt isti patres». Egone quid dicam, quid velim? quae tu omnia Tuis foedis factis facis ut nequiquam velim, vix ferendi. Diceret talis pater: «Cur te in istam vicinitatem meretriciam contulisti? cur inlecebris cognitis non refugisti?». Cur alienam ullam mulierem nosti? Dide ac dissice; per me licebit. Si egebis, tibi dolebit: Mihi sat est qui aetatis quod relicuom est oblectem meae. [38] Huic tristi ac derecto seni responderet Caelius se nulla cupiditate inductum de via decessisse. Quid signi? Nulli sumptus, nulla iactura, nulla versura. At fuit fama. Quotusquisque istam effugere potest, praesertim in tam maledica civitate? Vicinum eius mulieris miraris male audisse cuius frater germanus sermones iniquorum effugere non potuit? Leni vero et clementi patre cuiusmodi ille est: «Fores ecfregit, restituentur; discidit vestem, resarcietur», fili causa est expeditissima. Quid enim esset in quo se non facile defenderet? Nihil iam in istam mulierem dico, sed, si esset aliqua dissimilis istius quae se omnibus pervolgaret, quae haberet palam decretum semper aliquem, cuius in hortos, domum, Baias iure suo libidines omnium commearent, quae etiam aleret adulescentis et parsimoniam patrum suis sumptibus sustineret; si vidua libere, proterva petulanter, dives effuse, libidinosa meretricio more viveret, adulterum ego putarem si quis hanc paulo liberius salutasset? 8 [37] Ed ora è la tua volta, Celio, e torno a te, assumendomi autorità e severità di padre. Ma quale padre? Quello di tipo Ceciliano violento e duro, che esclama: «Ora ho l’animo in fiamme, ora il mio cuore è gonfio d’ira»? O quell’altro: «O sciagurato! O scellerato!» Sono di ferro, codesti padri. «Ed io che mai dirò? Cosa vorrò? Le gravi azioni tue m’hanno sconvolto, al punto che io non so più quel che vorrei ... »?; appena si possono tollerare. Un tale padre ti direbbe: «Perché ti sei tu creata questa vicinanza con una prostituta? Perché, scoperte le sue lusinghe, non sei scappato? Perché questa relazione con una donna non tua? Spendi e spandi: per me, padronissimo. Ma quando sarai all’osso, prenditela con te stesso. A me basta vivere tranquillo quel tanto di tempo che mi avanza». [38] A questo vecchio amaro e rigido, Celio potrebbe rispondere di non avere mai sviato per nessuna passione. La prova? Eccola: nessun lusso, nessun dissesto, nessun debito. Eppure se n’è parlato. Ma chi può evitare le chiacchiere in una città maldicente come Roma? Può forse sorprendere che fioriscano delle malignità sul vicino di casa di quella donna, quando neppure il suo fratello germano ha potuto sfuggire alle male lingue? Con un padre, invece, più sereno e indulgente, con uno di quelli che dicono: «Ha sfondato le porte? Si aggiusteranno. Ha lacerato la veste? Si riparerà», la causa del figlio è bell’e vinta. Che cosa rimarrebbe, infatti, di cui non gli sia facile scolparsi? Io non parlo ora più di quella donna: ma se un’altra ce ne fosse – diversa da questa – che si conceda a tutti; che faccia bella mostra dell’amante scelto di volta in volta; nel giardino, nella casa, nel bagno della quale abbiano libero ingresso le concupiscenze di tutti; che mantenga qualche giovanotto e compensi le taccagnerie paterne con la prodigalità; se costei, vedova, vivesse in piena libertà; sfrontata, senza sfreni; ricca, con ogni sperpero; libidinosa, a modo di meretrice: dovrei io giudicare adultero colui che trattasse questa donna con una certa confidenza di troppo? [37] Redeo nunc ad te, Caeli: Cicerone rivolge ora un lungo discorso a Celio, mostrandosi incerto su quale atteggiamento assumere, se duro e severo o mite e clemente. 9 La conclusione comunque sarà la stessa: l’unica e vera responsabile del comportamento del giovane Celio è Clodia che lo ha attirato a sé con ogni seduzione e ogni mezzo: danaro, divertimenti e una vita di bagordi. • quem patrem … sumam, Caecilianumne … durum: «quale modello di padre preferire, se uno di Cecilio collerico e inflessibile». Cecilio è un poeta comico latino, morto nel 168 a.C., delle cui commedie possediamo solo frammenti per circa trecento versi e una quarantina di titoli. Non siamo quindi in grado di stabilire a quali opere Cicerone faccia riferimento, ma dalle sue parole dobbiamo ritenere che il tipo di padre messo in scena da Cecilio (diversamente da Plauto e Terenzio, gli altri due grandi commediografi romani, che presentarono entrambi i tipi, quello severo e quello clemente), sia sempre quello austero e severo. D’altronde nella Roma arcaica era la tipologia più frequente. • nunc … ira: «ora sì che il mio animo è infiammato, ora il mio cuore è gonfio d’ira». Si tratta di un verso (ottonario trocaico) di Cecilio, citato da Cicerone anche in De fin. 2, 14, ma non sappiamo da quale commedia sia tratto. Anche in altre opere Cicerone introduce i vecchi burberi e scontrosi delle commedie di Cecilio (De sen. 36; De am. 99; De nat. deor. III 72; Pro Rosc. Am. 46). • aut illum: le interpretazioni sono due: o le parole che seguono o infelix!, o sceleste! sono in bocca a un altro padre severo (e in questo caso il verso potrebbe essere ancora di Cecilio oppure di Terenzio oppure di un altro commediografo), e allora la traduzione viene ad essere «disgraziato! sciagurato!», oppure la traduzione potrebbe essere «disgraziato! sventurato!»; in tal caso si opporrebbe al padre severo di Cecilio un padre compassionevole e, secondo questa ipotesi, il verso non sarebbe più attribuibile a Cecilio stesso, ma potrebbe essere di altro commediografo o, ancora una volta, di Terenzio, considerato che egli presenta più spesso degli altri il tipo del padre mite e clemente; in tal caso «sarebbe opportuno emendare aut illum in an illum» (Cavarzere). • Ferrei sunt isti patres: «Sono inflessibili (di ferro) questi padri!». Secondo alcuni editori queste parole sono da porre dopo la citazione degli altri due versi che qui invece seguono (così lo Austin). In tal modo la citazione di Cicerone non sarebbe ellittica. A seconda della lettura e degli emendamenti 10 quindi i versi possono risultare due senari giambici (Clark e Cousin) o due ottonari giambici (Baherens e Klotz) o due settenari trocaici (Francken). • Egone … velim?: «Che cosa dovrei dire, io? Cosa volere? Con le tue turpi azioni fai sì che il mio volere sia vano». Dicam e velim sono cong. dubitativi. Nota l’allitterazione foedis factis facis e la figura etimologica factis facis. • vix ferendi: «sopportabili a stento» riferito ai padri. • Cur … contulisti?: ancora una citazione attinta da qualche scena di commedia ceciliana, non sappiamo se di versi interi o di frustuli di versi. «Perché sei andato ad abitare accanto a una donnaccia?»; vicinitatem è astratto per il concreto. Nota l’incalzare delle domande col cur anaforico. • inlecebris cognitis: abl. ass.: «quando ti sei reso conto dei suoi tentativi di sedurti». • alienam … nosti (= novisti): «hai una relazione con una donna non tua?»; nosco indica qui il conoscere carnalmente, quindi avere una relazione intima. • Dide ac dissice; per me licebit: «spendi e spandi pure; per quanto mi riguarda fallo pure». Dido (da dis e do) e disicio (da dis e iacio) in nesso allitterante danno l’immagine di chi getta qua e là e quindi dilapida e sperpera. Il futuro licebit ha qui valore volitivo; quando alterna con l’imperativo presente segna un’opposizione temporale. • Si egebis, tibi dolebit: «Se ti ridurrai in miseria, peggio per te». Dolebit è forma impersonale. • Mihi sat (= satis) est qui aetatis quod relicuom (grafia arcaica = reliquum) est oblectem meae: «A me basta divertirmi per quel che mi rimane della mia vita». [38] tristi ac derecto: «arcigno e rigido»; derectus è propriamente chi segue la via diritta, qui in senso morale. • se … de via decessisse: de via decedere = deviare dalla retta via, in senso proprio e figurato; qui in senso figurato, quindi «essere traviato». • Quid signi?: espressione propria del linguaggio familiare: «Che prova c’è?». • Quotusquisque … civitate?: «Quanti potrebbero evitarla in una città così incline alla maldicenza?». Quotusquisque indica piccolo numero. Oggetto di effugere è istam (famam). L’uso di iste è dovuto al fatto che si riferisce alle chiacchiere (fama ha l’etimo di for, faris, fatus sum, fari = parlare) di cui parla ipoteticamente l’interlocutore. • 11 Vicinum … male audisse (= audivisse): «… che si sia sentito parlar male del vicino», «abbia una cattiva reputazione …»; male audire è contrapposto, quale naturale conseguenza, al male dicere. • Leni … et clementi patri: «A un padre mite e indulgente» contrapposto al tristis ac derectus senex. • Fores … resarcietur: «Ha sfondato la porta? Si riparerà; ha strappato la veste? Si ricucirà»; sono parole tratte da una commedia di Terenzio, gli Adelphoe (v. 120 ss.). • expeditissima: «facilissima» (a vincersi); expeditus = senza bagagli, non gravato da alcun peso, e quindi da alcuna difficoltà. • Nihil … dico, sed …: Cicerone finge di non voler più parlare di Clodia, ma di un’altra che abbia gli stessi comportamenti. • si … istius: protasi del periodo ipotetico dell’irrealtà, la cui apodosi è adulterum ego putarem; nota la presenza di aliquis in frase eventuale (a indicare che l’oratore pensa che questo qualcuno può esistere) e l’uso insistente di iste con valore spregiativo. Tutta la frase è pronunciata con tono ironico. • quae … pervolgaret: «si offrisse a tutti (si prostituisse)». • haberet … decretum: «avesse uno (cioè un amante) fisso». Decretum = stabilito, fissato e quindi fisso. • in … Baias: cfr. par. 35. • iure suo libidines omnium commearent: «tutti gli scapestrati andassero e venissero a proprio piacere»; «libidines omnium non è solo l’astratto per il concreto (= omnes libidinosi), ma questi uomini che andavano e venivano dalla casa di Clodia sono spogliati di ogni qualità tranne la libido fatta persona» (Maggi). • vidua … effuse: nota il parallelismo nell’uso di quattro sostantivi, seguiti rispettivamente da quattro espressioni indicanti un modo di vivere (meretricio more = come una meretrice), con il verbo in comune, e l’allitterazione proterva petulanter: la petulantia (sfrontatezza) è uno dei semantemi con cui Cicerone caratterizza l’atteggiamento di Clodia (cfr. par. 30 iurgi petulantis). • si quis … salutasset (= salutavisset)?: «se l’avesse corteggiata con un po’ troppa confidenza?»; paulo è abl. di misura dinanzi a comparativo. Saluto indica il visitare qualcuno per salutarlo, il far visita per omaggio e quindi anche corteggiare. Il discorso di Cicerone mira a porre Celio nella parte di chi viene adescato da una donna di facili costumi e quindi, se pure ha avuto una relazione, non può essere considerato colpevole di ciò. 12 Un curriculum impeccabile La vita di Celio è dedicata allo studio e alle fatiche forensi; ciò è testimonianza della sua serietà di fondo, anche se, giovane com’è, prova piacere nei passatempi propri della sua età. [39] Dicet aliquis: «Haec igitur est tua disciplina? sic tu instituis adulescentis? ob hanc causam tibi hunc puerum parens commendavit et tradidit, ut in amore atque in voluptatibus adulescentiam suam conlocaret, et ut hanc tu vitam atque haec studia defenderes?» Ego, si qui, iudices, hoc robore animi atque hac indole virtutis ac continentiae fuit ut respueret omnis voluptates omnemque vitae suae cursum in labore corporis atque in animi contentione conficeret, quem non quies, non remissio, non aequalium studia, non ludi, non convivium delectaret, nihil in vita expetendum putaret nisi quod esset cum laude et cum dignitate coniunctum, hunc mea sententia divinis quibusdam bonis instructum atque ornatum puto. Ex hoc genere illos fuisse arbitror Camillos, Fabricios, Curios, omnisque eos qui haec ex minimis tanta fecerunt. [39] Ma qui ci sarà chi mi dice: «Questa è dunque la tua scuola? Così tu educhi la gioventù? Per questo il padre ti ha rimesso e affidato il suo ragazzo, perché dissipi la sua giovinezza negli amori e nei piaceri, e tu ti affanni a difendere una tale vita e queste inclinazioni?» Ecco: se c’è qualcuno che abbia tanta forza d’animo, che sia di un’indole così virtuosa e temperante, da disprezzare ogni voluttà e da logorare tutto il corso della propria vita nella fatica fisica e nell’applicazione intellettuale: qualcuno a cui non sorridano il riposo, lo svago, gli interessi dei coetanei, i giochi, i conviti, e che stimi desiderabile nella vita solo ciò che s’accompagni alla lode e al decoro: io lo giudicherò come formato e ornato di qualità divine. Io credo che fossero di una siffatta tempra i Camilli, i Fabrizi, i Curi, tutti coloro insomma che fecero questa nostra Roma, da così piccola, così grande. 13 [39] tua disciplina: «il tuo insegnamento» (cfr. disco = insegno). Cicerone aveva già parlato (par. 9) del fatto che Celio gli era stato affidato dal padre appena presa la toga virile e da giovane quindi aveva frequentato la sua casa. Presso i Romani il cittadino poteva fare il servizio militare e sollevare accuse in giudizio solo dopo aver preso la toga virile, il che avveniva verso i 16-17 anni con una solenne cerimonia che segnava il passaggio dall’infanzia all’adolescenza. • adulescentis (= adulescentes): «i giovani». Ricorda che l’adulescentia andava dai 16-17 anni ai 30. • ob hanc causam: espressione prolettica della proposizione finale ut … conlocaret. • haec studia: «queste inclinazioni, tendenze». • Ego: nota l’uso del pron. pers. in posizione enfatica. • si qui: qui (= quis) è pron. indef. • hoc robore … hac indole: abl. di qualità. • continentiae: «di temperanza, autocontrollo»; i gen. epesegetici virtutis e continentiae possono essere tradotti anche con degli aggettivi come «virtuosa e temperante». • ut respueret … atque ... conficeret: proposiz. consecutiva. • in animi contentione: «in un’intensa attività intellettuale»; propriamente contentio (cum + tendo) indica «tensione». • quem: relativo riferito all’indef. qui, oggetto di delectarent, cong. caratterizzante. • remissio: «svago». • aequalium studia: «le occupazioni predilette dei compagni». • expetendum: «desiderabile». • cum … dignitate: «con gloria e prestigio». • divinis quibusdam bonis: «doti veramente divine». • illos … Camillos, Fabricios, Curios: «i famosi Camilli, Fabrizi, Curii»; il plurale dei nomi propri sta ad indicare «uomini che avevano le caratteristiche, le qualità di…». Più volte Cicerone (e in seguito diverranno topoi nelle scuole di retorica) ricorda questi personaggi dell’antica storia di Roma come esempi di vita integra. Marco Furio Camillo, celebre dittatore, conquistò Veio nel 396 a.C. e liberò Roma dai Galli tra il 390 e il 387 a.C. (autore della famosa frase «Non con l’oro, ma col ferro si salva la patria»). Caio Fabrizio Luscino, console nel 282 e nel 278 a.C., ambasciatore presso Pirro, ne respinse i tentativi di corruzione; Manio Curio Dentato, dopo aver vinto i Sanniti, i Sabini e Pirro, trascorse gli ultimi anni della sua vita dedito all’agricoltura. • haec … fecerunt: «queste cose da piccolissime resero così grandi», cioè resero potente lo stato con la loro virtus. 14