IL MITO DELL’ALBERO COSMICO L’ALBERO DEI FRUTTI E DELLA VITA Biodiversità da salvare Tuti i ram i vanta la sò foia Ognuno vanta la sua arte, la sua professione o la propria identità “L’angelo mi mostrò un fiume d’acqua viva, splendido come cristallo, che usciva dal trono di Dio e dell’Agnello. In mezzo alla sua piazza e di qua e al di là dal fiume c’è l’albero della vita che fa dodici frutti, dando ogni mese il suo frutto; e le foglie dell’albero servono per le guarigioni delle genti” (Giovanni, Apocalisse) Stàa a l’umbra de na früsca Stare all’ombra di un’ osteria Anticamente le osterie improvvisate o “maci” erano segnalate con una frusca Fausto Scalvini - L’albero dell’Ecomuseo, acquarello Viga al còo én sò la früsca Avere la testa tra le nuvole 154 Il folklore legato all’albero è tuttora presente nel territorio dell’Ecomuseo: una tradizione così forte che ha contribuito non solo allo sviluppo di un antico sistema produttivo, ma al persistere di ritualità e miti. Numerose sono le cerimonie e le rappresentazioni legate all’albero: lo sposalizio dell’albero, l’albero di maggio, l’albero della cuccagna, l’albero della vita e l’albero delle Libertà. L’albero, nel passato era pure considerato «asse del mondo, pianta immortale, fermo sostegno dell’universo, legame di tutto, sostegno di tutta la terra abitata, legame cosmico, che comprende in sé tutta la complessità della natura umana». La forza simbolica dell’albero sta nella sua verticalità, nella sua appartenenza a tre livelli (quello sotterraneo con le radici, quello della superficie terrestre con il fusto e quello dell’aria con la chioma) e nella sua facoltà di rigenerazione. In tutta la cultura indoeuropea, l’albero è simbolo di forza, lo rivela il vocabolo latino “robur” attribuito all’albero più rappresentativo della nostra area: la quercia. Anche nell’iconografia cristiana l’albero è simbolo della vita e della resurrezione; il giardino del nuovo paradiso è pieno di alberi. Numerosi sono gli alberi simbolici nella chiesa dei Morti o Santa Croce di Canneto. È una simbologia botanica che ritroviamo nell’agrifoglio, considerato l’albero della luce, nell’alloro albero solare, nel biancospino metafora della purificazione, nell’olmo segno dell’amicizia e della fedeltà, nella quercia tramite tra la terra e il cielo e simbolo della libertà, nel salice che evoca nostalgia e ricordo, nel mirto rappresentante il sacrificio di Cristo e la sua resurrezione, nella rosa segno di Maria che è tramite tra la terra e il Paradiso e poi nella vite frutto dell’amicizia e dei legami tra l’uomo e la donna, nell’edera metafora dell’immortalità e del cosmo ecc. Simbologie che ritroviamo non solo nella tradizione popolare, ma anche nelle relazioni tra uomo e natura, nell’esercizio costante del miglioramento della qualità della vita, nell’eterna lotta per la sopravvivenza, che si confondeva con l’eterna lotta tra il bene e il male. Nella storia dell’agricoltura padana, una delle forme più rilevanti di organizzazione delle colture era la cosiddetta piantata. Attorno al campo, coltivato prevalentemente a cereali, c’era la vite, sostenuta da alberi da frutto, e spesso, tra la vite e il campo trovavamo le coltivazioni di verdure. Una varietà che permetteva un raccolto distribuito nel corso delle stagioni. Il campo accoglieva la maggiore varietà possibile di piante da frutto, ovviamente da consumare nel territorio. Un esempio di quest’organizzazione lo ritroviamo nel sistema orticolo, diffuso nel territorio tra Volongo, Canneto e Acquanegra sul Chiese. Nel catalogo delle piante n. 28, redatto dai Premiati Vivai Cooperativi di Canneto nel 1939-1940, le varietà di albero da frutto in vendita erano circa 200. Dieci varietà di ciliegie, (mareni e càlem), con maturazioni del frutto da maggio a luglio; ventidue varietà di susine (maribulan e brügni), bianche, rosse, gialle e viola, rotonde e ovali, precoci e tardive, con maturazioni da giugno a settembre; otto varietà di albicocche (remignaghi), con maturazioni da giugno ad agosto; dieci varietà di pesche (pèrsech), maturazione da giugno a agosto; trentadue varietà di pere (pér o piir) di- L’albero del Maggio Pieve della Malongola Fontanella Grazioli Paolo Salvaterra Il Santuario della Beata Vergine della Malongola Ed. Sometti, Mantova 2000 155 Fausto Scalvini L’albero della Cuccagna, acquarello Ogni vida la ga bisögn del sö pal Ogni vite ha bisogno del suo sostegno, per dire che ogni sposa ha bisogno del suo uomo Silvio Uggeri Il Maggio della Malangola, Quaderni Cannetesi n° 2 Ed. Eurograf, Canneto sull’Oglio 1988 156 sponibili da giugno a tutto l’autunno; trentacinque varietà di mele (póm) con maturazioni diverse da luglio a maggio dell’anno successivo. Gli alberi da frutto erano innestati sul selvatico oppure sul “dolcino” o sul pirus. Nell’elenco è presente una varietà locale di Canneto chiamata Rosa Mantovana, usata anche per la mostarda: matura a dicembre e si conserva sino all’estate. Seguono cinque varietà di fichi, melagrane, giuggiole, quattro varietà di cachi, nespole comuni e del Giappone, quattro varietà di cotogni, nocciole, noci, ribes, uva spina, sorbi, castagne, cinque varietà di fragole. Altrettanto abbondanti erano le varietà di viti: ben ventinove le specie coltivate. Quelle da vino erano: barbera, berzamino, freisa, lambrusco maestri, montecchio, raboso, sangiovese e uva d’oro. Uve bianche da vino erano: albana, invernenga, bresciana e trebbiano. Per le uve da tavola invece si coltivavano: albana invernenga, Italia, luglienga, moscato Canelli, moscato di Alessandria, regina, sultanina, zibibbo. Le uve nere da tavola erano: isabella, moscato. In dialetto: aliadega, primum, clinto, rusera, uva d’ora, muscatèl, malvasia, bersamen, muntec, merlot, barbera, pinot, düragüsa, invernesca, fraga, americana. La produzione delle barbatelle era diffusa in particolare nel territorio di Canneto, Acquanegra sul Chiese e Calvatone. La Cooperativa di Canneto era in grado anche di fornire i porta innesti e i selvatici (franco), il tutto integrato con frutti selvatici: prugnoli, mirabolani ed altri. Un vero calendario di profumi, colori e gusti. Nel nostro tempo, l’agricoltura intensiva ha abbandonato l’antica organizzazione del campo preferendo, per ragioni commerciali e produttive, la monocultura. L’agricoltura iper produttiva non ha sfamato il pianeta, spesso lo ha inquinato, cancellando identità culturali di interi popoli. In quasi un secolo si sono estinte trecentomila varietà vegetali e continuano a estinguersene altre giorno dopo giorno. Si è al contempo modificato il nostro rapporto con la natura. Cogliendo un frutto al momento giusto, si determinava un contatto con l’albero e con l’ambiente, dove era nato e vissuto, con l’aria che aveva respirato, con la terra che lo aveva nutrito e modellato, con il ciclo stagionale della vita. Di questo abbiamo ormai persa la nozione, abituati come siamo ad acquistare i prodotti al supermercato, magari spruzzati con finta rugiada o addirittura cerati per apparire attraenti e supercolorati. In realtà, quando acquistiamo questi frutti, spesso sono privi di profumo, portatori solo d’ingannevoli stimoli visivi. I frutti sono raccolti nei paesi di produzione acerbi, per durare nel tempo, e spesso devono affrontare lunghi viaggi, seguendo le strade complesse o semplici del mercato, per soddisfare le pretese (indotte) del consumatore di avere a disposizione primizie o tardizie. I FRUTTI SELVATICI Genere e specie: Biancospino - Grataegus monogina - Rosaceae Nome locale: Chegapoi - cagabosoi Periodo di raccolta: i fiori si raccolgono in primavera, quando sono in boccio, per farne infusi; i frutti si colgono in settembre-ottobre prima della completa maturazione, Uso in cucina: il decotto di fiori è un ottimo antiinfiammatorio per bocca e gengive, vasodilatatore e curatore di insonnia, ipertensione e palpitazioni; i frutti, colti maturi, si mangiano piacevolmente e sono utili contro la diarrea o per aiutare la ritenzione dell’urina. Curiosità: i Celti dedicavano il periodo tra metà maggio e metà giugno a questa pianta, mentre i Romani lo chiamarono in latino “spina bianca”. In passato le bacche, dette in dialetto Chegapoi, erano molto apprezzate, sia dai ragazzi sia dagli uccelli che ne facevano grandi scorpacciate. Genere e specie: Pruno selvatico, Prugnolo - Prunus spinosa L - Rosaceae Nome locale: Brugéen selvadèch Periodo di raccolta: i fiori si colgono in primavera, mentre i frutti, fortemente aciduli, si raccolgono in settembre, a maturazione completa. Graditi dai ragazzi erano utilizzati con moderazione. Uso in cucina: i frutti sono utilizzati per produrre marmellate e un particolare liquore detto bargnolino, oppure distillati per grappe. La corteccia è usata come astringente e febbrifugo, e se ne fanno decotti per la pelle, per le mucose per la bocca e per le estremità sudate. I fiori sono usati come digestivo, mentre dalle foglie essiccate si ricava un gradevole tè. Genere e specie: Rosa canina - Rosaceae Nome locale: Peterlenghi Periodo di raccolta: in primavera, durante la fioritura, si raccolgono i petali, in estate le foglie, in autunno i frutti. Uso in cucina: i petali della rosa canina hanno proprietà astringenti, le foglie essiccate si utilizzano per tisane, i frutti essiccati, ricchi di vitamina C, erano usati per bevande invernali vitaminizzanti e stimolanti delle funzioni renali. I frutti, un tempo molto ricercati dai ragazzi, si usano anche per ottime conserve e marmellate e i fiori per un gradevole liquore. 157 Genere e specie: Sambuco - Sambucus nigra - Caprifoliaceae Nome locale: Sambüc Periodo di raccolta: i fiori si colgono da aprile a giugno, i frutti in agosto e settembre. Uso in cucina: con i fiori si preparano tè e tisane, aperitivi con vini spumanti e persino frittelle. I frutti si possono aggiungere a marmellate, gelatine e torte; con le bacche si prepara anche il vino di sambuco. Ha proprietà diuretiche, lassative, antireumatiche ed emollienti. Curiosità: il midollo dei fusti tagliato è usato in botanica durante la sezione di esemplari, il suo legno era usato per fare giocattoli, pettini e cucchiai di legno. I rametti svuotati del midollo servivano per fare fischietti, cerbottane e il famoso “schioppo di sambuco”. Un tempo si diceva che tagliarlo portasse male, anzi se ne teneva un esemplare nel giardino purché preservasse la casa dalle streghe. Si pensava inoltre che non potesse essere colpito dai fulmini. Genere e specie: Rovo - Rubus ulmifolius - Rosaceae Nome locale: Móra selvadèga, spén Periodo di raccolta: i frutti si colgono in luglio e agosto a piena maturazione. Uso in cucina: i frutti si consumano freschi o si trasformano in marmellate e gelatine. Ha proprietà aromatizzanti, astringenti, antiinfiammatorie e coloranti per alimenti e preparati medicinali. È un frutto pregiato per macedonie di frutti di bosco. Curiosità: il nome del genere deriva dal latino ruber o dal celtico rubus che in entrambe le lingue significa rosso per il colore delle sue more. Secondo una tradizione popolare, le more non vanno mangiate dopo il 29 settembre, giorno di San Michele, perché in questo giorno il diavolo ci sputa sopra. Al di là della credenza popolare, verso la fine di settembre le more diventano insipide e flaccide. Genere e specie: Corniolo - Cornus mas L. - Cornaceae Nome locale: Curnal Periodo di raccolta: i frutti si raccolgono in agosto e settembre a piena maturazione. Uso in cucina: i frutti si possono mangiare freschi o berne il succo, si possono fare decotti e conserve. La marmellata è gradevole e può essere utile per risolvere manifestazioni diarroiche perché possiede proprietà astringenti e febbrifughe, presenti anche nella corteccia. Ci dicono gli archeologi che nella preistoria si fermentava un vino di corniolo. In latino si chiama cornus, cioè duro come un corno di animale. Con il suo legno si realizzavano aste per giavellotti e frecce. In dialetto si dice san cume èn curnal, cioè sano e longevo come un corniolo, perché il suo legno non viene intaccato dal tarlo. 158 Ricettario La persicata (la persegada) Preparazione Ingredienti: Le noci da usare devono essere ancora tenere, tanto da potere essere forate con un lungo spillo. Strofinare con un tovagliolo le noci, in modo da togliere le tracce di polvere, poi tagliarle in quattro parti e metterle in un vaso a chiusura ermetica, della capienza di circa tre litri. Unire alle noci la scorza del limone, i chiodi di garofano e la cannella, versare l’alcool, chiudere il vaso e porlo al sole per quattro settimane, scuotendolo ogni giorno. Dopo questo periodo, aprire il vaso e unire lo zucchero, scuotere bene e rimettere il vaso al sole per due settimane, sempre agitandolo ogni giorno. Filtrare poi il liquore con carta da filtro, imbottigliarlo e conservarlo in dispensa, lasciandolo riposare per lungo tempo. Con lo stesso procedimento si può realizzare il liquore con le prugne selvatiche. pesche nostrane a pasta bianca, 750 g di zucchero semolato ogni Kg di frutta pulita e sgocciolata. Preparazione Scottare le pesche in acqua bollente, pelarle e privarle dei noccioli, spezzettarle e lasciarle scolare per dodici ore in un panno di lino. Quando saranno colate, pesarle e calcolare 750 g di zucchero per ogni chilogrammo di frutta. Mettere tutto in una casseruola, non d’alluminio, e fare bollire per circa 40 minuti rimescolando. Versare in una terrina: il tutto non dovrà superare i 12 cm. d’altezza. Lasciare asciugare la persicata per sei o sette giorni in ambiente caldo, poi rovesciare il contenuto in un piatto da torta, tagliarlo a fettine, cospargerlo di zucchero e servire. ¸ Il nocino (el nusèn) Ingredienti: trenta noci raccolte con il mallo il giorno di san Giovanni 1 litro e mezzo di alcool a 90° da 500 a 750 g di zucchero (a piacere) 10 chiodi di garofano 2 g di cannella macinata la corteccia di un limone tagliata a pezzi 4 dl di acqua Uva o ciliegie sotto spirito Ingredienti: 1 l. di alcol a 90° 100 g di zucchero 3 chiodi di garofano un pezzetto di cannella chicchi di uva (preferibilmente zibibbo o moscatellone) o ciliegie (duroni o amarene) Preparazione Prendere acini non troppo maturi di zibibbo o moscatellone, oppure ciliegie, avendo l’accortezza di tagliare il gambo lasciando un po’ di peduncolo. Forare gli acini con un ago in due punti e metterli in un vaso di vetro, ricoprirli con alcool da liquori a 90° e aggiungere per ogni litro 3 chiodi di garofano e un pezzettino di cannella. A parte far sciogliere 100 g di zucchero per ogni litro d’alcool in mezzo bicchiere d’acqua, far bollire 2 minuti, lasciare raffreddare e versare nel vaso, quindi tappare. Lasciar riposare almeno 30 giorni prima di consumare. II ricetta: Ingredienti: ciliegie (amarene o duroni) o uva (invernesca da tavola, coriacea) grappa o alcool per uso alimentare zucchero acqua un pezzetto di cannella 2 chiodi di garofano Preparazione Dopo aver lavato e accorciato il picciolo con le forbici all’uva o alle ciliegie, metterle in un vaso a chiusura ermetica e coprire con la grappa o l’alcool. Aggiungere un pezzo di cannella, due chiodini di garofano e procedere come per la ricetta precedente. In questo caso l’acqua da aggiungere all’alcool deve essere complessivamente il 40%, mentre l’alcool il 60%. Mele cotte (pom cot) Ingredienti: 3 mele 2 o 3 cucchiai di zucchero limone 2 chiodini di garofano buccia di limone Preparazione Sbucciare le mele, tagliarle a pezzi e cuocerle in circa due bicchieri di acqua con l’aggiunta di buccia di limone, zucchero e due chiodini di garofano. A piacere si possono aggiungere anche 2 bacche di ginepro. Si apprezzano calde o tiepide nei mesi invernali, mentre se raffreddate in frigorifero sono otti- 159 Ricettario me dissetanti nei periodi più caldi. Fragole al lambrusco Ingredienti: Torta di mele Ingredienti: 170 g di farina bianca 170 g di zucchero 3 uova intere 170 g di burro 700 g di mele 1 bustina lievito latte q.b., sale Preparazione Sbattere bene 140 g di zucchero con 140 g di burro, aggiungere le uova, la farina, un pizzico di sale e un poco di latte. Mescolare fino ad ottenere un composto cremoso e aggiungere il lievito. Mescolare brevemente e disporne la metà in una teglia imburrata, stendervi sopra le mele sbucciate e tagliate a fettine. Aggiungere 30 g di burro fuso e 30 g di zucchero, quindi coprire con l’altra metà dell’impasto. Cuocere al forno per 30 minuti. Mele al forno Ingredienti: mele un cucchiaio di zucchero per ogni mela marsala secco un goccio d’acqua fragole lambrusco zucchero Preparazione In una terrina sciogliere lo zucchero nel lambrusco, oppure, a seconda dei gusti, in un vino rosso più amabile. Annegarvi le fragole e lasciarle alcune ore a insaporire. Servire fresche. Nella tradizione erano gustate a merenda oppure per la cena inzuppandovi del pane bianco. Marmellata semplice senza zucchero Ingredienti: 1,6 litri di mosto 1,5 Kg di patate 1,5 K. di zucca 1,5 Kg di mele cotogne Preparazione Spellare il tutto e far bollire il mosto con le patate, la zucca e le mele cotogne. Amalgamare bene e invasare ancora bollente. Sigillare e capovolgere il vaso. Cotognata Preparazione Lavare accuratamente le mele, togliere il picciolo e fare un foro dall’alto per togliere il torsolo scavando all’interno senza togliere la buccia esterna; disporre le mele riempiendo la teglia in modo che rimangano diritte, mettere nel foro di ogni mela un cucchiaio di zucchero e completare con il marsala secco. Versare un poco di marsala e di acqua sul fondo della teglia, poi infornare nel forno già caldo. Cuocere, lasciare intiepidire, e servire. 160 lasciare indurire all’aria per alcuni giorni. Avvolgere poi nella carta oleata può durare anche 2 anni. Ingredienti: 1 kg di mele cotogne 1 kg di zucchero Preparazione Sbucciare le mele e tagliarle a pezzetti, unirvi lo zucchero e far bollire sempre mescolando finché il composto non si stacca dalla casseruola. Versare negli stampi e Pere cotte I venditori di pere cotte si aggiravano con la bicicletta per le strade del paese, dall’autunno all’inizio dell’inverno; sul portapacchi avevano legato un canestro contenete una teglia coperta da un panno: sotto c’erano le pere ambrate e profumate, spesso ancora tiepide. Venivano cotte dal fornaio, recuperando il calore del forno da pane che si andava ormai raffreddando dopo la panificazione della giornata. Possiamo ricordare questo sapore del passato cuocendo delle pere a pasta dura intere, ben lavate e con la buccia in una teglia nel forno di casa. Consumarle tiepide tagliate a spicchi con una spolverata di zucchero.