GIORNALE DI FISICA
DOI 10.1393/gdf/i2004-10015-5
VOL. XLV, N. 4
Ottobre-Dicembre 2004
Analisi critica della termodinamica formulata da Carnot, Clausius e
Kelvin
L. Capuozzo, A. Drago e M. Grilli
Gruppo di Storia della Fisica - Dipartimento di Scienze Fisiche Università di Napoli
1.
Introduzione
Nel seguito si indicheranno alcuni
punti critici presenti nella formulazione
di Carnot, Clausius e Kelvin della teoria
che generalmente si insegna nelle scuole e nelle università, allo scopo di attirare l’attenzione degli studiosi su questi
punti e di suscitare una riflessione ampia che possa rendere la termodinamica
più coerente e rigorosa; e in definitiva
consentire un buon insegnamento della
termodinamica.
La termodinamica di Carnot, Clausius e Kelvin ripete i risultati ottenuti
da Sadi Carnot nel 1824 con alcune variazioni e generalizzazioni che riguardano
principalmente i seguenti due punti [1].
a) La teoria del calorico
S. Carnot ottenne i suoi risultati aderendo alla teoria del calorico, oggi non
più accettata; egli considerava cioè il
calore come un fluido imponderabile e
indistruttibile—la cui quantità in una data sostanza è determinata univocamente
dallo stato della sostanza stessa. Quindi
il calorico Q era da lui considerato una
funzione di stato del sistema. (In realtà
S. Carnot dubitava di questa teoria e lo
scrisse in una nota a piè di pagina. Nei
manoscritti inediti, risalenti al 1824 ma
pubblicati nel 1878, egli ha espresso varie affermazioni parziali del 1◦ principio).
Il primo principio fu poi introdotto nel
1851 sia da Kelvin che da Clausius come
equivalenza (o interconvertibilità) di calore e lavoro; e con esso fu introdotta la
funzione di stato energia interna U come
somma di tutte le energie del sistema.
b) La formulazione del secondo principio
S. Carnot ha ottenuto il teorema che
oggi è indicato con il suo nome, mediante
un ragionamento su una macchina reversibile che realizza un ciclo diretto e poi un
ciclo inverso con lo stesso fluido termico.
Nel complesso dei due cicli la macchina
non produce lavoro utile, perché il lavoro
prodotto nel ciclo diretto è interamente
impiegato nel ciclo inverso per restituire
il calore utilizzato. Carnot può affermare allora che il rendimento delle macchine
termiche non dipende dal fluido termico
utilizzato; se infatti non fosse cosı̀, sarebbe possibile realizzare una macchina a ciclo diretto avente un rendimento maggiore di quello inverso. Ma in questo modo
si perviene all’assurdo che si potrebbe ottenere lavoro senza assorbire calore dall’esterno, cioè il moto perpetuo (di prima
specie), che Carnot dichiara giustamente
essere impossibile.
208
L. Capuozzo, A. Drago e M. Grilli
Clausius, invece, riformulò il teorema ottenendo l’assurdo che il calore passa
spontaneamente da una temperatura più
bassa ad una più alta. Da qui l’enunciato
di Clausius del secondo principio. Kelvin, a sua volta, giunge all’assurdo che
una macchina ciclica produce lavoro assorbendo calore da una sola sorgente; da
qui il suo enunciato del 2◦ principio.
Successivamente (1865) Clausius, come chiarificazione del teorema di Carnot,
introdusse
la funzione entropia, definita
.
da dQ
T
2.
La definizione di energia e di calore
Nella maggior parte dei libri di testo
è riportata la seguente definizione: “L’energia è la capacità di compiere lavoro”.
Ma, come nota M. Iona [2], questa definizione è ambigua e deviante, perché la
fisica ci dice che non tutta l’energia può
essere trasformata in lavoro. Qui sembra prevalere una visione meccanicista,
secondo cui un qualsiasi processo fisico
che realizzi una trasformazione di energia, pur avendo una efficienza inferiore al
100%, può tendere a questo valore limite
con il miglioramento dei processi di conversione. E invece sappiamo che le efficienze delle trasformazioni del calore in
lavoro sono teoricamente limitate a valori
ben minori del 100%.
Iona suggerisce che in effetti la definizione da dare in termodinamica sarebbe: “L’energia è ciò che può produrre calore”; ma poi osserva che ciò contrasta
con il pregiudizio secondo cui la meccanica sarebbe la teoria basilare della fisica
e quindi il calore è un concetto meno basilare del lavoro. È probabilmente per questo motivo che tale definizione non viene
mai considerata.
Iona dichiara di preferire la seguente definizione: “L’energia è la potenzialità di compiere lavoro”. Ma cosı̀ la fisica sembra occuparsi di vaghe “potenzialità”, per definire un concetto astratto (energia), che non potrebbe mai essere
misurato direttamente.
Perciò sembra preferibile la precedente definizione, anche se ciò va contro il
pregiudizio precedente.
Se allora la definizione di energia deve fondarsi sulla capacità di produrre
calore, è necessario riflettere su questo
concetto (calore), che generalmente non
risulta chiaro agli studenti, se non attraverso il richiamo ad una sensazione
antropomorfa.
Nella teoria del calorico il concetto
di calore e quello di temperatura risultano più intuitivi; dal momento che si
può, in modo abbastanza immediato, stabilire un’analogia tra le “macchine termiche” e quelle “idrauliche”; cosı̀ fa lo stesso
S. Carnot nelle “Riflessioni sulla potenza
motrice del fuoco” quando paragona il lavoro ottenibile dal calore a quello ottenibile da una cascata d’acqua (p. 28) (vedi
fig. 1).
Il lavoro fornito dalla turbina dipende
dal dislivello ∆h dell’acqua, cosı̀ come il
lavoro ottenibile dal calore dipende dalla
differenze di temperatura. Ma le espressioni matematiche sono diverse nei due
fenomeni
L = mg(h2 − h1 ) e
L=Q
T2 − T1
;
T2
l’analogia non può andare oltre. Per di
più nella moderna teoria il calore non è
funzione di stato, quindi non appartiene
ai corpi e quindi non si conserva “cadendo” da T2 a T1 . L’analogia perciò non
può essere riproposta oggi.
Analisi critica della termodinamica formulata da Carnot, Clausius e Kelvin
209
Fig. 1. – Schema di turbina idraulica.
Un autore si è espresso dicendo: “Calore e lavoro sono come uccelli di passaggio: non li troviamo mai a casa” [3] cioè
non sono legati a degli oggetti che ne siano la sede. Ma se il calore non sta di casa
nei corpi, come fa a trapassare le superfici
di passaggio? Se è una forma di energia,
come mai non ha sede?
Notiamo di passaggio che su questo
punto la matematica non ci aiuta. Anzi la transizione storica dalla teoria del
calorico alla teoria moderna del calore fu
drammatica perché rappresentò una “regressione” verso teorie aventi un carattere “primordiale” rispetto al “progresso”
teorico-matematico realizzato da Cartesio e da Newton. Laplace, Poisson, Clapeyron e gli altri caloristi avevano usato
ampiamente ed adeguatamente la matematica superiore delle equazioni differenziali. Invece S. Carnot, Clausius e Kelvin, usarono una matematica molto elementare e rinunciarono cosı̀ alla analisi
infinitesimale; per di più la teoria risultante non ha una metrica, una geometria;
né il tempo è una grandezza fondante la
teoria [4].
I motivi della “semplicità” matematica della termodinamica nella formulazio-
ne di S. Carnot, Clausius e Kelvin devono ricercarsi nell’impostazione originaria
data alla teoria da S. Carnot. Già nell’introduzione del suo lavoro Riflessioni sulla potenza motrice del fuoco (1824) egli
assegna alla scienza una preminente funzione sociale, consistente nel promuovere
e guidare il progresso tecnologico; egli ha
come suoi naturali interlocutori i tecnici
e la gente in genere: ecco dunque la scelta
di un linguaggio accessibile e poco formalizzato. La rinuncia di Carnot all’analisi matematica è conseguenza di una scelta ideologica, non certo di una personale
difficoltà nell’utilizzare l’analisi, che anzi,
è ormai accertato dalle ricerche storiche,
egli conosceva bene essendo stato allievo
della Scuola Politecnica. Torniamo allora
a riflettere sul calore senza aiutarci con la
matematica.
Il concetto di calore non è ben distinto da quello di energia interna U . Infatti U viene caratterizzata come l’energia
contenuta nel sistema, e Q come calore
scambiato con l’esterno. Ci sono però casi in cui i due ruoli si sovrappongono: per
esempio, quando si considerano gli scambi di calore attraverso una sostanza intermedia. Ciò che viene trasportato da
210
un corpo all’altro è calore, ma viene detto energia interna quando lo si considera collocato nel corpo che effettua il trasporto. Quindi l’ente fisico energia non
sembra avere un’esistenza autonoma, ma
l’assume in dipendenza di dove la colloca
l’osservatore (se nel corpo del trasporto o
nei corpi che si scambiano calore).
Si potrebbe chiarire questa confusa
divisione dei ruoli, evitando di parlare di
diverse “forme di energia”: è quello che
propongono Falk, Herrmann e Schmid [5].
Il loro termine “forma di energia” induce
a considerare le differenti forme di energia
come differenti quantità fisiche, in contrapposizione all’enunciato del 1◦ principio, in cui si afferma che l’energia è un
qualcosa di inalterabile che semplicemente fluisce nello spazio. Basandosi sulla loro concezione, si può sostituire il concetto
“forma di energia” con un altro più adatto, e cioè “portatore di energia”; ossia
mettere in rilievo il trasferimento dell’energia da un luogo ad un altro. Infatti
un processo energetico ha luogo non perché l’energia è trasformata da una forma
ad un’altra, ma perché cambia il suo portatore. Utilizzando tale concetto nuovo,
sostengono gli autori, si ha un’immagine chiara di come l’energia è trasformata,
scambiata e immagazzinata, e si potrebbe riformulare concettualmente tutta la
termodinamica.
Si noti che seguendo questa concezione diminuisce la distanza culturale della
termodinamica moderna dalla teoria del
calorico. Questa teoria, tanto esorcizzata
dai testi di storia, in effetti è quella moderna nei solidi e liquidi incompressibili
perché allora L = 0 e quindi Q = ∆U .
Si noti che prima del 1820 i corpi erano
stati sempre idealizzati mediante i corpi
solidi rigidi; fu poco dopo che le leggi dei
gas furono ritenute sostanzialmente vali-
L. Capuozzo, A. Drago e M. Grilli
de ed allora i gas acquistarono un ruolo
teorico.
Il passaggio dalla teoria del calorico a
quella moderna può anche essere presentato cosı̀: prima avevamo solo una funzione di stato, il calorico C; pure oggi
abbiamo una funzione di stato U , l’energia interna; però abbiamo in più una funzione, il calore Q; come dire, oggi abbiamo diviso il vecchio concetto di calorico
in due: abbiamo aggiunto al “calorico interno” il “calorico di scambio”, che non è
più funzione di stato.
Ma poi la moderna teoria fa un lungo
giro per passare da Q ad S, che altro non
è che il “calorico di scambio” inteso come
un’altra funzione di stato. Si noti che,
sotto questa luce, il 1◦ principio è solo
una formula di passaggio verso la seconda funzione di stato S, che è la funzione
cruciale della termodinamica. In definitiva, la teoria moderna non ha fatto altro
che passare dai solidi ai gas e da una sola funzione di stato C a due funzioni di
stato U e S [6].
Sadi Carnot ha il grande merito di essere stato il primo a ragionare mediante
funzioni di stato, introducendo l’equazione P V = RT [7]. Kelvin e Clausius hanno potuto cambiare la teoria, pur mantenendo gran parte dei risultati di Carnot,
proprio perché seguirono il suo ragionamento per funzioni di stato e lo fissarono
introducendo le funzioni di stato U e poi
S.
3.
La definizione di energia interna
L’energia interna U viene generalmente definita come una grandezza che
include tutte le forme di energia, anche
quelle che conosceremo nel futuro; il che è
al di là delle verità sperimentali; e quindi
la definizione è platonica (non operativa)
Analisi critica della termodinamica formulata da Carnot, Clausius e Kelvin
rispetto alle esperienze odierne. Con questa definizione non c’è da meravigliarsi
che non venga misurata l’energia interna
U , ma solo la sua variazione ∆U .
Possiamo anche dire che U è platonica perché prescinde dalle particolari macchine che sono necessarie per passare da
una forma di energia in un’altra; il che
significa considerare le macchine termiche come pure applicazioni e non come
strumenti per un ragionamento creativo,
cosı̀ come invece fu per tutta la storia della termodinamica. O anche, si può dire
che U esprime soprattutto un progetto,
quello di considerare uguali tutte le forme
di energia, salvo poi dopo ridimensionare
tale progetto a causa della convertibilità
solo parziale del calore in altre forme di
energia. Cioè l’introduzione dell’energia
interna U è un tentativo di prolungare
anche al calore quanto vale per le altre
forme di energia, offrendo cosı̀ una prima rozza soluzione al problema di quale
sia l’equivalenza del calore in lavoro; ma
poi il secondo principio dovrà correggere questa prima approssimazione. Inoltre ∆U non viene misurata direttamente,
ma in genere attraverso la stessa formula
∆U = Q+L, questa volta posta come definizione. Cosı̀ la formula del primo principio svolge un duplice ruolo logico; essa
si presenta nello stesso tempo come equazione e come definizione. Non c’ è da gridare allo scandalo, perché anche f = ma
svolge questo duplice ruolo (è equazione
ed è definizione della massa e/o della forza) [8]. Evidentemente qui c’è un problema più grande, che riguarda la stessa maniera di presentare dei princı́pi-assiomi in
fisica.
Un altro punto oscuro è il seguente.
Come osserva Erlichson [9], la definizione
dell’energia interna di un sistema termodinamico cosı̀ come è data dalla maggior
211
parte dei testi, implica che l’energia cinetica del centro massa del sistema non
faccia parte dell’energia interna U . Infatti i testi definiscono l’energia interna dal
punto di vista microscopico, come la somma dell’energia sia cinetica che potenziale
delle singole particelle, confermando cosı̀
l’uso dell’aggettivo “interna” attribuito
all’energia U . Ciò però è inconsistente
con la formulazione della prima legge della termodinamica: ∆U = Q + L come
espressione di tutte le forme di energia.
Vediamolo: se abbiamo un sistema
di particelle (un sistema termodinamico)
che subisce un processo, il lavoro compiuto da tutte le forze è uguale alla variazione dell’energia cinetica di tutte le
particelle,
(1)
L = ∆K.
Qui L è la somma del lavoro delle forze esterne, Lest , e del lavoro delle forze
interne, Lint ; K è la somma dell’energia cinetica del centro di massa Kc.m. , e
dell’energia cinetica “interna”, Kint . Cosı̀
(2) ∆Kc.m. + ∆Kint = Lest + Lint .
Il lavoro delle forze esterne è la somma del lavoro delle forze macroscopiche
esterne Lest,macro e il lavoro delle forze
microscopiche esterne Lest,micro . Il lavoro delle forze microscopiche esterne è ciò
che comunemente chiamiamo calore Q ed
il lavoro delle forze macroscopiche esterne
è indicato con L, cosicché
(3) Lest = Lest,macro +Lest,micro = L+Q.
Sostituendo la (3) nella (2) abbiamo
(4) ∆Kc.m. + ∆Kint = L + Q + Lint .
Passiamo Lint all’altro membro dell’equazione e identifichiamo ∆Kint − Lint
212
L. Capuozzo, A. Drago e M. Grilli
con la variazione dell’ energia interna,
∆U :
(5)
∆Kint − Lint = ∆U.
Allora l’eq. (4) diventa
∆U + ∆Kc.m. = Q + L.
Otteniamo cosı̀ la formulazione corretta del 1◦ principio. Con questa chiarificazione si vede che non c’è alternativa:
se la (5) venisse sostituita da
∆U = ∆Kint − ∆Lint + ∆Kc.m. ,
noi avremmo la solita formula, ma al
prezzo di dover cambiare ∆U a seconda dell’ osservatore; infatti ∆K non è
invariante per trasformazioni galileiane,
perché
V 2 − v 2 = (V + a)2 − (v + a)2 =
= V 2 − v 2 +2(V − v)a.
Invece se l’energia cinetica del centro
massa non è parte di U , la prima legge dovrebbe essere espressa secondo la
seguente formula:
∆U + ∆Kc.m. = Q + L.
4. Carattere non operativo del primo
principio
L’uso della matematica in termodinamica comporta, invero, anche difficoltà
“intrinseche”, che sanciscono una diversità sostanziale tra questa teoria e le teorie matematicamente progredite sviluppate nel XVIII secolo. Generalmente il
primo principio si scrive nella forma
∆U = Q + L
in cui L è il lavoro scambiato tra sistema
ed ambiente, positivo se il lavoro è fatto
dal sistema e negativo se invece il lavoro
è fatto sul sistema; Q è la quantità di calore scambiata tra sistema ed ambiente,
per la quale esiste una convenzione opposta a quella precedente: è positiva la
quantità di calore fornita al sistema e negativa quella ceduta dal sistema; ∆U è la
variazione di energia interna del sistema.
Nell’ambito della termodinamica, il
primo principio giunge a porre (in un
ciclo) l’uguaglianza tra il lavoro L ed
il calore Q in quanto forme diverse di
energia.
Ora l’uguale che compare nell’espressione del primo principio, non è, come osserva Theobald [10], l’uguale matematico
(cosı̀ come è in f = ma o in divD = ρ;
laddove un membro dell’uguaglianza è
convertibile nell’altro membro); ma è, diciamo cosı̀, un “uguale termodinamico”;
più precisamente è, come dicono alcuni testi, un “equivalente”; e noi sappiamo bene che il senso di questo aggettivo è specificato casomai dal secondo
principio. Aver scritto l’uguale matematico per “equivalente” in effetti risponde alla necessità di utilizzare la formula
del primo principio nei calcoli matematici, che si basano sull’uguaglianza (infatti
non si saprebbe esprimere altrimenti l’equivalenza in termini matematici); ma,
nello stesso tempo, introduce una ambiguità nella formula, che si manifesta anche a livello didattico quando non è possibile “nascondere” la natura “eccentrica”
dell’equazione scritta.
Inoltre si noti che una formula fisica
esprime, di solito, una legge fisica; cioè
un legame tra le grandezze inerenti il fenomeno considerato; essa perciò possiede
un carattere predittivo; per cui, noti i valori di alcune di queste grandezze, si possono determinare i valori di quelle correlate. Generalmente, se le grandezze note
Analisi critica della termodinamica formulata da Carnot, Clausius e Kelvin
assumono valori fisicamente possibili, anche i valori delle grandezze correlate, cioè
le soluzioni, corrisponderanno a stati fisici effettivamente realizzabili nel fenomeno. Solo in alcuni casi limiti, le cosiddette “singolarità” della formula, le variabili
correlate assumono valori fisicamente impossibili (“soluzioni non fisiche”). Ma se
intendessimo cosı̀ il primo principio, esso avrebbe innumerevoli soluzioni “non
fisiche”. Infatti se, per comodità, consideriamo una qualsiasi trasformazione ciclica, per cui ∆U = 0, il primo principio
ci dà l’uguaglianza L = Q; il che include
la realizzazione di processi ciclici in cui
si ha trasformazione di calore Q in lavoro L con efficienza del 100%, o comunque con efficienze superiori a quelle fisicamente realizzabili. Invece sappiamo dal
secondo principio che tali trasformazioni
non sono affatto possibili e che, se vogliamo produrre ciclicamente lavoro dal
calore, dobbiamo avere a disposizione almeno due termostati; e quindi non ci si
può limitare a prendere in considerazione solo il calore estratto dal termostato
caldo, ma bisogna tener conto anche di
quello ceduto dal sistema al termostato
freddo; e perciò anche per un ciclo occorre scrivere: Qc − Qf = L, dove Qf è
sempre diverso da zero; il che però non
viene affatto specificato dalla formula del
primo principio. Anzi spesso vi compare solo un termine generico dQ. Questo
dQ si potrebbe intendere come la differenza tra il calore assorbito dal termostato caldo, Qc e quello ceduto al termostato
freddo, Qf ; ma solo se il dQ fosse inteso
come ∆Q, cioè un incremento preciso in
corrispondenza ad un ∆T , non un dQ infinitesimo. Troviamo qui una confusione
settecentesca tra infinitesimo e variazioni
finite. Quindi, non solo l’uguale del primo principio vale platonicamente e poi
213
viene corretto dal secondo principio, ma
appare chiaro che c’è anche un’ambiguità
nella notazione matematica dQ.
Un’altra conseguenza matematica del
fatto che non esiste completa interconvertibilità tra calore Q e lavoro L è che dal
punto di vista matematico, ad essere pignoli, le grandezze Q e L non dovrebbero
essere sommate, giacché due grandezze si
possono sommare solo se sono omogenee;
ed esse a rigore non lo sono, perché sono
convertibili solo parzialmente. Questi ultimi rilievi sono presentati anche da Gillispie, che in proposito scrive delle frasi
molto chiare [11].
Il problema si complica se passiamo
ai differenziali. Intanto perché se l’uguaglianza L = Q non è ben posta, tanto
meno lo è l’uguaglianza tra i differenziali
di queste grandezze. In più dL non è un
differenziale esatto e dunque non è una
funzione di stato; e anche dQ non lo è; ed
infatti il differenziale di questa quantità
viene indicato con un simbolo specifico:
δQ.
In particolare notiamo che il calore
scambiato nelle trasformazioni termodinamiche dipende dalle modalità con cui
avviene la trasformazione del sistema.
D’altra parte sappiamo che l’introduzione del secondo principio della termodinamica e dell’entropia S evidenzia che
l’uguaglianza dL = dQ non è vera; e che
essa va intesa solo come un’equivalenza,
che dipende dalla modalità con cui avviene la conversione. In effetti essa dipende dal fattore integrante 1/T ; da qui la
definizione dell’entropia S come rapporto
δQ/T , la quale consente di utilizzare differenziali esatti legati direttamente alle
quantità di calore scambiato.
Ma questo, se rimette la termodinamica in linea con le teorie più formalizzate preesistenti, non può far dimenticare
214
L. Capuozzo, A. Drago e M. Grilli
che la relazione differenziale dS = δQ/T
è valida solo per trasformazioni ideali,
quelle che si chiamano reversibili. Quando invece si avesse una trasformazione irreversibile, il calcolo delle quantità di calore scambiato mediante il computo delle
variazioni di entropia e della temperatura a cui lo scambio avviene, richiederebbe
che alla trasformazione irreversibile data
si sostituisca una serie di processi reversibili, che facciano evolvere il sistema tra
gli stessi stati iniziali e finali.
Se poi vogliamo tornare a considerare
più generalmente la relazione, essa allora
è data dalla disequazione: dS ≥ δQ/T .
La meccanica di Newton invece non usa
disequazioni.
Tenendo presente tutte queste difficoltà matematiche non c’è da sorprendersi se poi, come osserva Buchdahl [12],
qualsiasi libro di termodinamica è diverso a vista dagli altri libri di fisica; perché usa il δ per indicare un differenziale non
∂P esatto e perché usa la notazione ∂t v con sottoscritta la variabile fissa per indicare una derivata parziale di una funzione su più funzioni. E
in effetti Truesdell ha documentato dettagliatamente che la storia della termodinamica è una tragicommedia di errori banali, e alle volte madornali, nell’uso della matematica, benché da almeno un secolo i contemporanei meccanici
usassero correntemente e correttamente
la matematica superiore [13].
Ora esaminiamo l’espressione matematica del 1◦ principio nell’ambito della
logica matematica; in essa ogni legge fisica può essere espressa da un predicato
doppiamente quantificato
∀x∃y : A(x, y).
In logica matematica si può trasfor-
mare l’attuale enunciato del 1◦ principio, di carattere idealistico e platonico,
in un enunciato di carattere costruttivo,
e quindi operativo, per mezzo di una tecnica detta “relativizzazione”. Tale tecnica è nata in seguito alla polemica tra
logici idealisti e logici costruttivisti ed è
una tecnica specifica appunto per passare da proposizioni idealistiche come la
precedente, alla proposizione costruttiva
∀x∃A(x, α(x)),
α ∈ Fα ,
dove α(x)è una funzione costruttiva, cioè
tale che esiste un algoritmo per definirla
(o anche: appartiene alla classe Fα delle
funzioni costruttive).
Il primo principio può essere scritto
come
B
∀A&∀B∃U :
dL(x, y) + Q =
A
= U (B) − U (A).
Ora si può relativizzare l’enunciato
logico matematico del 1◦ principio se si
sa introdurre un algoritmo che definisca
in maniera costruttiva la funzione U (x, y)
dalla conoscenza degli stati A e B e dei
loro paramenti definitori (P, V, T ). Cioè
dalla conoscenza dei soli stati A e B (generici!) dovrei dare un algoritmo per definire α = (A, B) tale che valga quella
proprietà. Tutto quello che si dice di solito nei libri di testo è che siccome Q ha
le unità di misura di L (J = 4, 2) allora deve esistere una funzione U, somma
di tutte le energie; ma non si dice come
la si costruisce; tanto è vero che la si dà
solo come differenza ∆U . Quindi la relativizzazione a partire dalla conoscenza
dei due soli stati A e B non può riuscire, perché la conoscenza di base è troppo
Analisi critica della termodinamica formulata da Carnot, Clausius e Kelvin
povera per arrivare ad una conclusione
cosı̀ ampia come l’esistenza della funzione di stato U . In passato questa difficoltà
è stata certamente percepita da qualcuno, perché di fatto una versione particolare del 1◦ principio cerca di risolverla in
maniera direttamente idealistica: “Esiste
sempre una grandezza di stato energia interna” [14]. Però cosı̀ si è rimediato con
un’affermazione più chiara ma che non
ha alcun fondamento operativo. Questa
soluzione può essere chiamata “assolutista”, perché è del tutto analoga alla soluzione di Newton per il sistema di riferimento nei princı́pi della meccanica: egli
ne ha assunto uno come sempre utilizzabile, quello dello spazio assoluto, indipendentemente dal fatto che ci fosse o no una
tecnica operativa per individuarlo.
Una conferma ci è data da uno studioso che si è chiesto se il 1◦ principio sia
un’affermazione rifiutabile sulla base dei
dati sperimentali [15]. “In effetti la legge
di conservazione dell’energia non può mai
essere falsificata; basta invocare la possibile esistenza di una forma, finora sconosciuta, di energia tale che la convalidi di
nuovo. Infatti la legge nacque nella forma che la somma dell’energia cinetica e
potenziale è costante. Poi venne inclusa
l’energia del calore; e per conservare la
sua costanza, poi sono state fatte varie
altre aggiunte, come quella dell’energia
elettrica. Ogni volta che la conservazione dell’energia sembrava perduta, è stato
possibile ritrovarla in una nuova forma.
Il concedersi questa possibilità, di introdurre sempre nuove forme di energia, lascia infinitamente aperto il campo delle
conferme: quindi la legge è irrefutabile.
Però una caratterizzazione specifica della
legge è refutabile; e infatti diverse caratterizzazioni sono state refutate. Quando una caratterizzazione è stata refutata,
215
è stata rimpiazzata da una nuova forma.
Allora tutto ciò che sopravvive è la forma
non specifica. . . . Quando un principio, o
qualcosa che somigli ad un’ipotesi refutabile, ha questo carattere, esso ha per lo
più una funzione programmatica; qualunque altra funzione possa avere, esso prescrive un programma di ricerca. Perciò
il non specifico principio di conservazione dell’energia ci dice che, se una forma
specifica è refutata, occorre cercarne una
forma nuova. Ma in effetti esso fa anche
di più: prescrive dei limiti per il tipo di
teoria che si tenterà di costruire. Quindi
esso ha la funzione di un principio regolativo, che non governa alcun fenomeno,
ma piuttosto le teorie; ovvero prescrive
una struttura su cui la teoria da costruire
si deve adattare.”
5. Alla ricerca di una nuova versione
dei princı́pi della termodinamica
Da tutte queste considerazioni nascono alcuni suggerimenti per enunciare più
chiaramente il 1◦ principio.
Sia Carnot che Mayer, nell’enunciare
il 1◦ principio, si sono espressi in termini generali, senza formulare una relazione
matematica che pretendesse di essere valida per qualsiasi trasformazione termodinamica. Più precisamente Carnot lo
enuncia cosı̀ nei manoscritti postumi che
sono databili poco dopo il 1824:
“Ovunque si ha distruzione di potenza motrice nelle particelle dei corpi, si ha
al tempo stesso produzione di calore in
quantità precisamente proporzionale alla
quantità di potenza motrice distrutta; reciprocamente, ovunque si ha produzione
di potenza motrice....”.
Analogamente, il principio di equivalenza di Mayer afferma che l’energia termica si può trasformare in meccanica e
216
L. Capuozzo, A. Drago e M. Grilli
viceversa; e in un processo ciclico il rapporto tra l’energia termica che si trasforma e l’energia meccanica che si produce
è costante.
Carnot, in particolare, scriveva L =
F (t) solo nel caso di cicli di Carnot (se il
ciclo in questione era effettuato tra 1◦ C
e 0◦ C, impiegando l’unità di calore); e
dL = F (t)dt · q,
se il ciclo in questione era effettuato tra
due termostati con differenza infinitesima
di temperatura, impiegando q unità di calore del termostato caldo. È da notare
che nelle formule di Carnot non compare
l’energia interna; esse sono riferite solo a
casi particolari, e cioè a macchine cicliche
reversibili che operano tra due termostati; inoltre esse non propongono la somma
algebrica fra le grandezze L e Q, che non
sono necessariamente omogenee; infine la
presenza dei fattori F (t) e F (t) precisano la convertibilità incompleta del calore
in lavoro. In questo senso, allora, queste formule storiche potrebbero essere ritenute una descrizione matematica della
realtà fisica più fedele del successivo primo principio. Però esse hanno il difetto
di restringersi a un caso molto particolare, quello dei cicli reversibili, e quindi di
non poter estendere il calcolo dei fattori
di conversione tra calore e lavoro alle singole trasformazioni termodinamiche. Ma
la possibilità di generalizzare viene suggerita con precisione dalla logica matematica di cui si è detto in precedenza; come
pure dalla successione storica dei princı́pi
della termodinamica.
Seguiamo l’analogia con la meccanica. Qui qualcuno ha formulato il principio d’inerzia in maniera diversa, sostituendo alla parola “esiste” (un sistema
di riferimento, ecc.) la modesta affermazione “Allorquando”; è la soluzione di L.
Carnot, il padre di Sadi [16]. Il che nel
nostro caso ci dà: “Allorquando è definito un potenziale U , allora.....”. Questa
piccola variazione è della massima importanza, perché cosı̀ la frase non pretende
di fare affermazioni assolute né universali. Qui, in piena analogia con quanto si
fa in matematica costruttiva (operativa),
ci si restringe ai casi particolari nei quali
è possibile definire (con mezzi operativi
specifici per il caso particolare considerato) una funzione energia interna. Infatti,
storicamente, l’umanità ha provato ad assumere l’energia interna per certi sistemi,
ne ha verificato l’efficacia in alcuni casi,
ha poi esteso questa ipotesi in tutta una
nuova serie di casi, fino a che ciò è tornato bene (cosı̀ si è fatto e si fa in meccanica con i sistemi di riferimento inerziali).
In sostanza bisogna ridurre l’affermazione universalistica “esiste” a un “nel caso
in cui...”; cioè la interconvertibilità di calore e lavoro non va postulata a priori per
tutti i casi.
Inoltre osserviamo che l’importanza
del 1◦ principio di solito è sovrastimata. Infatti l’entropia può essere definita benissimo senza di esso [17]. Inoltre
varie leggi (tra le quali quella adiabatica) possono essere ricavate senza questo
principio [18].
Se poi ripristiniamo l’ordine dei
princı́pi secondo il loro ordine cronologico, il nuovo primo principio è il vecchio secondo.
In tal caso il calcolo dell’integrale δQ
T richiede subito la continuità delle variabili e cioè la reversibilità della trasformazione. Questo concetto cosı̀ prende una sua chiara collocazione. A questo punto un successivo
principio di equivalenza di calore e lavoro (la cui forma matematica può esse-
Analisi critica della termodinamica formulata da Carnot, Clausius e Kelvin
re diversa da quella attuale) deve necessariamente essere ristretto alle sole trasformazioni reversibili; salvo riuscire poi
ad estenderlo ad ulteriori casi, sotto opportune condizioni fisiche che restano da
individuare.
Inoltre bisogna restringere l’ex primo
principio a quelle trasformazioni per le
quali Q → L con rendimento minore del
100%; o addirittura alle sole trasformazioni cicliche (per le quali non c’è bisogno
di parlare di una funzione energia interna), per le quali non si può scrivere arbi
trariamente L = Q ma i Li = i Qi ,
dove le Qi sono relative alle rispettive
temperature (o ∆t). Una formula del genere è in Truesdell e Baratha [19]. Comunque tutto questo significa non poter
più usare L = Q come relazione di calcolo. Inoltre se sottoponiamo l’affermazione dell’ex primo principio a quella dell’ex
secondo, allora per precisare il rendimento η effettivo col quale Q → L dovremmo
restringerci al singolo caso.
Un autore, H. L. Armstrong [20], ha
proposto di sostituire il primo principio
con l’affermazione seguente: “Ogni sistema che compie una trasformazione ciclica
e scambia in totale o calore o lavoro con
l’ambiente, deve scambiare ambedue”. In
formule:
δQ = 0 e
dL = 0;
oppure
δQ = 0 e
dL = 0.
Come corollario si può ottenere che:
in un ciclo il calore ha un rapporto
costante con il lavoro.
Ma si può suggerire una seconda alternativa ancora più radicale. Dopo Carnot la termodinamica è stata riportata da
217
una impostazione metodologica che dalle macchine induceva proposizioni universali a quella per princı́pi dello schema
aristotelico-euclideo (quello che è proprio
della teoria meccanica newtoniana e della
sua concezione del rapporto matematicarealtà); ciò è stato fatto al prezzo di confondere l’equivalenza di calore e lavoro
con l’uguaglianza. Allora l’alternativa alla platonicità del 1◦ principio potrebbe
essere costituita non tanto da una nuova formula matematica, quanto dal riportare tutta la termodinamica ad una formulazione fondata su un problema fondamentale di cui trovare il metodo nuovo
per risolverlo. Lo suggerirebbe anche la
vecchia versione del 1◦ principio. Essa
diceva che è impossibile il moto perpetuo (di prima specie). Si noti che questa
affermazione non appartiene alle affermazioni formali della teoria; è solo una guida
metodologica per la ricerca della nuova
teoria. Infatti un enunciato di impossibilità riguarda la metodologia, la quale è
a monte della matematizzazione di una
teoria [21].
Inoltre è da ricordare che a lungo
i due princı́pi sono stati enunciati mediante delle “impossibilità” (moto perpetuo, particolari processi termici, ecc.); il
che ha reso impossibile (o, quanto meno,
molto difficile) soprattutto la traduzione
dei princı́pi in formule matematiche. In
realtà quella affermazione è una maniera distorta per porre un problema come
problema centrale: esiste il moto perpetuo? E tutta la successiva teoria non fa
che rispondere no. Oppure è una maniera
distorta di porre il problema di S. Carnot:
“Qual è l’efficienza massima nelle conversioni calore-lavoro?”. E tutta la teoria
successiva, cosı̀ universale da considerare qualsiasi macchina termica e qualsiasi
fluido, risponde con una formula mate-
218
L. Capuozzo, A. Drago e M. Grilli
matica che precisa l’efficienza massima.
Ciò evidenzia che se cerchiamo l’universalità sulle macchine non l’abbiamo nella calcolistica matematica. E viceversa,
se ci assicuriamo a priori la calcolistica
di ∆U = L + Q non sappiamo più se ci
riferiamo a macchine realmente esistenti.
6.
Le diverse definizioni di reversibilità
La temperatura, come scrive Mach
[22], è la prima grandezza “sconosciuta”
della fisica, nel senso che essa non corrisponde ad una sensazione precisa (quella di “caldo” include almeno tre concetti
fisici: il calore, la temperatura e l’umidità); essa era una grandezza cosı̀ nuova
che si poteva ben sospettare che non fosse
continua.
L’attenzione ad accertarsi della continuità della temperatura crea sin dai
primordi della termodinamica una dissonanza con la meccanica, la quale, invece, assumeva aprioristicamente la continuità delle proprie grandezze implicita
nella geometria euclidea (e analitica), naturale modello di riferimento per la cinematica. La termodinamica approda cosı̀
alla classificazione dei processi fisici in
quasi statici (e cioè con continuità) e non
quasi statici; i primi sono i processi nei
quali le variabili di stato variano per stati di equilibrio. Qui sembra rappresentato al massimo grado il paradosso della
freccia di Zenone: come è possibile nello
stesso tempo variare ed essere in equilibrio in uno stato preciso? In effetti qui lo
stato è rappresentato con il concetto di
infinitesimo: è un numero esatto (come
lo zero) ma è anche minore di ogni altro
numero (tende a zero).
Si noti che dal 1815 Cauchy ha incominciato a rendere rigorosa l’analisi, e
dal 1870 circa ci si è liberati del tutto dal concetto metafisico di infinitesimo.
Curiosamente in termodinamica è rimasto il concetto matematico metafisico di
“quasi-statico” da intendere come infinitesimo; per cui il sistema si muove, ma in
ogni posizione resta statico.
Visto operativamente, quel tipo di
processo è il limite (irraggiungibile) di
processi che approssimano quello quasi
statico. Ma tale schematizzazione, mentre si rivela molto utile dal punto di vista
matematico, non è però di alcuna utilità
fisica, in quanto i processi quasi-statici
non hanno alcuna proprietà fisica particolare. E infatti la quasi-staticità non
risulta sufficiente allorché si vogliono introdurre le macchine termiche ideali e il
concetto di entropia: per questi concetti bisogna ricorrere all’ulteriore concetto
di reversibilità [23]. Nei libri di testo i
processi reversibili in genere vengono introdotti successivamente ai processi quasi
statici, oscurando cosı̀ il senso fisico della
reversibilità e la fondamentale divisione
dei processi fisici in reversibili e irreversibili; in qualche caso si arriva addirittura alla ulteriore forzatura di identificare i
processi reversibili con i quasi-statici, per
arrivare a fondere le esigenze fisiche con
le esigenze matematiche [24].
Emerge cosı̀ l’esigenza di approfondire il legame tra il concetto di reversibilità
e quello di processo quasi-statico. Infatti
i processi quasi-statici hanno un contenuto metafisico che, seppur utile per la trattazione matematica dei processi termodinamici mediante l’analisi infinitesimale,
costituisce un’indubbia difficoltà didattica per gli studenti, i quali sistematicamente devono sostituire ai processi fisici reali una serie opportuna di processi
ideali il cui studio quantitativo fornisce,
Analisi critica della termodinamica formulata da Carnot, Clausius e Kelvin
di ritorno, risultati validi per il processo
reale esaminato.
D’altronde le definizioni di reversibilità svincolate dal concetto di processo quasi-statico offrono a loro volta motivi di critica connessi alla loro
non-operatività, cioè hanno un contenuto metafisico come i processi di quasiequilibrio, anche se ora ciò è dovuto a
cause diverse. La definizione di processo reversibile è ancora oggi non univoca
e la situazione è complessivamente molto
confusa [25].
Allo scopo di illustrare la condizione di incertezza interpretativa accennata e allo scopo di fornire uno stimolo
per un ulteriore approfondimento chiarificatore, facciamo il punto della situazione analizzando le principali definizioni di
reversibilità che sono state date. Queste possono essere classificate in due tipi
principali [26]:
1. quelle che definiscono il processo
reversibile mediante gli effetti prodotti,
senza curarsi di come esso avvenga;
2. quelle che definiscono le caratteristiche proprie del processo, cioè con quali
modalità si svolge.
Diamo alcuni esempi di definizioni
di processi reversibili fornite da alcuni
studiosi eminenti.
Tipo 1)
a) Se il processo è seguito dallo stesso
processo nel verso opposto, nessun cambiamento di alcun genere deve risultare
nell’ambiente [26].
b) Il processo può essere, in qualche
modo, completamente invertito, ossia: il
processo è tale che, avendo a disposizione tutti gli agenti in natura, e una volta che il processo abbia avuto luogo, sia
possibile ristabilire ovunque l’esatto stato
iniziale [27].
219
Tipo 2)
a) “Il processo è eseguito mediante fasi infinitamente piccole e con sufficiente
lentezza” [26].
b) È una sequenza di stati di
equilibrio [26].
c) È quasi-statico.
d) É quasi-statico, non deve avvenire
il trasferimento diretto di calore tra corpi a temperature differenti, non devono
far lavoro le forze di attrito e dissipative in genere, non ci devono essere cicli di
isteresi.... [28].
Sommerfeld inoltre aggiunge una definizione che non si può classificare né in
quelle di tipo 1), né in quelle di tipo 2),
e precisamente: “Processi infinitamente
lenti quasi statici, durante i quali la capacità del sistema di sviluppare lavoro è
pienamente utilizzata e non è dissipata
nessuna energia” [26]. Come si vede, gli
stessi autori offrono più definizioni.
In generale nessuna delle definizioni
precedentemente date sembra essere completamente soddisfacente. Quelle di tipo
1), che di fatto si svincolano dal concetto di quasi-staticità, finiscono però per
approdare ad altri contenuti metafisici,
dal momento che coinvolgono enti difficilmente individuabili e delimitabili: l’ambiente, tutti gli agenti in natura, l’esatto
stato iniziale. Cioè per descrivere ogni
tipo di processo reversibile esse finiscono
per far ricorso a concetti talmente estesi,
da diventare non operative.
Per quanto riguarda le definizioni di
tipo 2), si può dire che esse non sono affatto definizioni, ma possono essere considerate soltanto come condizioni necessarie per la reversibilità: cioè un processo che soddisfa le condizioni di tipo 2)
non può essere considerato sicuramente
irreversibile. In più non risulta proficuo
definire un processo reversibile elencando
220
quello che non deve succedere nel corso
di tale processo; anche perché ciò porta a
formulare una lista di condizioni che non
possiamo mai essere certi che sia terminata: non appena si trovasse qualcos’altro
che rende irreversibile un processo, bisognerebbe aggiungerlo alla lista. E poi,
anche se volessimo eliminare di volta in
volta tutti i motivi di irreversibilità, nella
speranza di riuscire ad ottenere un processo reversibile, ciascuna condizione necessaria per la reversibilità costituisce già
una condizione limite difficilmente raggiungibile. Caso mai queste condizioni
possono essere utili all’inverso, per stimare il “grado di irreversibilità” di un processo; per esempio, un processo che non
soddisfi nessuna delle condizioni di tipo
2) è più irreversibile di un processo che
le soddisfi tutte (che non è ancora detto
che sia reversibile). Infine c’è da notare il ruolo teorico mal definito di questa
definizione. Essa è essenziale per stabilire il 2◦ principio, che poi è il fulcro della
teoria. Non è, però, un’affermazione empirica, tale da essere posta all’inizio della
teoria; piuttosto, come abbiamo visto, è
un’affermazione teorica. Ma essa non discende mai dalla teoria (sia pur assiomatica, come è quella di Caratheodory [29]);
potrebbe discendere dal definire reversibile un processo per il quale ∆S = 0; ma
allora il problema si ribalterebbe in quello di definire chi è S e quando sia soddisfatta la condizione ∆S = 0 e non lo
sia ∆S > 0. In altri termini le attuali assiomatiche della termodinamica non sono
complete, perché nessuna di esse riesce a
definire la reversibilità [30].
Si noti che queste confusioni hanno
una parziale spiegazione nell’origine storica del concetto. Theobald [30] dice
che quel concetto “è naturale pensando
il calore nell’ambito della teoria del ca-
L. Capuozzo, A. Drago e M. Grilli
lorico, cioè come un fluido continuo....La
reversibilità implica la continuità e questo ci permette di usare vantaggiosamente l’analisi”. Evidentemente l’eliminazione della teoria del calorico avvenuta nel
1850, non ha fatto rinunciare ai vantaggi
dell’uso dell’analisi, anche se il concetto
di reversibilità non aveva più un sostegno
fisico preciso.
Notiamo che un discorso analogo a
quello sulla reversibilità può essere ripetuto sullo specifico dualismo delle formule termodinamiche, che contengono variabili intensive e variabili estensive: questo dualismo esiste, ma non è giustificato dalla teoria [31]. Eppure comporta
proprietà matematiche interessanti, tanto da essere proposto come 4◦ principio
della termodinamica [32]. Una soluzione al problema di definire con precisione
il concetto di reversibilità è quella allora
di legarla a concetti matematici, ma non
più di analisi degli infinitesimi; invece, tenendo conto che ci sono più matematiche;
che quella usuale ε − δ non suggerisce soluzioni alla definizione di uno stato singolo che nello stesso tempo rappresenta
un processo; è piuttosto la matematica
cosiddetta costruttiva che appare la più
adeguata [33].
7.
La logica della termodinamica
Una prima considerazione di carattere generale sugli aspetti logici della termodinamica riguarda il contrasto tra la
sequenza logica con cui sono presentati
i princı́pi della teoria ed il loro sviluppo
storico.
Una prima caratteristica che distingue nettamente la seconda legge rispetto
alla prima è che essa ha avuto un’unica
origine storica: l’interesse tecnico per le
Analisi critica della termodinamica formulata da Carnot, Clausius e Kelvin
macchine termiche; ciò in netto contrasto con le molte strade che condussero
al principio dell’energia. Ma soprattutto è stato il secondo principio ad essere
affermato per primo: esso ha inizio nettamente e indiscutibilmente con S. Carnot e culmina, venticinque anni più tardi,
nella trattazione sistematica di Clausius
e Thomson. Il primo principio ha invece avuto uno sviluppo successivo e molto
più vario e contrastato; di conseguenza
la serie di scoperte e di enunciati, che costituiscono la storia della prima legge, è
estremamente difficile da esporre.
Ma questa storia difficile non giustifica il fatto, sorprendente per ogni logica,
di aver invertito l’ordine di scoperta nella
esposizione logica della teoria.
Inoltre è da notare che, partendo da
∆U = Q + L, si va dai princı́pi alle macchine, secondo la concezione della meccanica di Newton del rapporto teoria-pratica (e quindi del rapporto
matematica-realtà). Ma S. Carnot aveva
impostato una fisica teorica che seguiva
proprio il percorso logico inverso: dalle
macchine induceva proposizioni universali; e ragionando cosı̀, egli era riuscito a
produrre una teoria cosı̀ generale, da costituire una teoria alternativa alla secolare, generalissima, teoria di Newton. Evidentemente Kelvin e Clausius non hanno creduto a questa possibilità (Kelvin
era l’antesignano del meccanicismo: diceva di capire i fenomeni solo se ne poteva
ricondurre la descrizione a quelli meccanici); e, di fatto, la attuale versione del
primo principio disconosce in maniera essenziale la concezione che S. Carnot aveva
della termodinamica.
Come mai l’ordine logico dei princı́pi,
stabilito da Clausius e da Kelvin, procede al contrario della sequenzialità con
cui si sono storicamente affermati i due
221
princı́pi? Perché la formulazione di Clausius e Kelvin non parte dal secondo principio, cosı̀ come aveva fatto Carnot nella
sua opera?
Notiamo che nella teoria di CarnotClausius e Kelvin il primo principio è posto a fondamento della teoria mentre il
secondo ed il terzo rappresentano restrizioni del primo. Inoltre la intera coordinazione dei tre princı́pi in termodinamica
è strana, del tutto diversa da quella della
dinamica. In quest’ultima i princı́pi sono
organizzati in modo da rispondere a domande di generalità crescente. In termodinamica vale l’esatto contrario, essi restringono sempre più l’oggetto teorico: si
parte in pratica da un principio platonico, lo si restringe con il secondo principio,
chiarendo cosa significa “equivalente”; ed
infine, con il terzo, si delimita la gamma
dei valori possibili dell’entropia, la grandezza tipica del secondo principio. Se
non altro, questa organizzazione va contro quella usuale bimillenaria (inaugurata da Euclide e confermata nella scienza
moderna dalla meccanica di Newton) la
quale va dal particolare al generale.
Fa risaltare ancor più la novità logica della fondazione della termodinamica l’osservare che essa sorprendentemente usa in modo essenziale il ragionamento
per assurdo. A parte l’uso che ne fecero
pochi fisici per dimostrare qualche legge
particolare, è la prima volta che una teoria fa uso essenziale di questa modalità di
ragionamento.
Inoltre c’è un problema generale che è
cruciale, perché riguarda il modo con cui
storicamente si è giunti al 1◦ principio.
Vediamolo.
L’affermazione che lo ha originato è
l’impossibilità del moto perpetuo. Stevino, che la usò per primo in meccanica, la enunciò cosı̀: “È assurdo che un
222
moto non abbia fine”. In termodinamica
la si può enunciare dicendo che “Non è
possibile produrre energia dal nulla”. In
realtà occorre aggiungere anche un’altra
impossibilità: “Non è possibile annichilire l’energia”. Infatti tutto il contenuto fisico della formula del 1◦ principio è
proprio la congiunzione delle due impossibilità suddette; cosı̀ come Clausius lo ha
espresso: “L’energia dell’universo non si
crea, né si distrugge”. Però la sua frase
è metafisica, perché spinge a considerare
un ente fisico indistruttibile e invisibile,
la “energia”; per non esserlo, essa deve
essere collocata nei corpi; e ciò porta alla funzione di stato U , energia interna;
che, per esprimere una legge di conservazione, deve includere tutte le forme di
energia, anche quelle oggi sconosciute; e
poi, per essere messa in relazione matematica con processi di produzione e di
scomparsa di forme particolari di energia (Q ed L), deve usare una espressione
matematica che risulta inadeguata; tutto
ciò proprio perché siamo passati da due
affermazioni sperimentali ad un concetto
astratto U e ad un’affermazione platonica
sulla convertibilità senza verifiche.
In termodinamica c’è da chiedersi se
vale la logica classica; nella quale vale
la legge ∼ ∼ p → p, mentre nella logica intuizionistica non vale (e sicuramente
non vale neanche nella pratica); perché
in questa seconda logica l’affermare p significa costruirla, e una doppia negazione
non è una costruzione della sua verità.
Allora analizziamo la parola “impossibilità” detta prima due volte. Questa
parola esprime un concetto logico, ma di
logica modale, cioè di quella logica che ha
la “possibilità”, oltre la “verità” e la “falsità”. Ora, la logica modale non è equivalente alla logica classica. Ciò sta ad indicare che il contenuto logico originario del
L. Capuozzo, A. Drago e M. Grilli
1◦ principio è diverso da quello che viene
espresso con la formula usuale. Ma si può
supporre che l’uso della parola “impossibile” sia un fatto linguistico e che quindi ci siano altre parole, più adatte alla
matematizzazione. Allora, per cercare di
rimettere le cose a posto, esprimiamo le
due affermazioni senza la parola “possibile”: “Non esiste la produzione di energia
dal nulla”; “Non esiste la riduzione dell’energia a nulla”. Ora ognuna di queste
è un’ affermazione che contiene due negazioni (in corsivo). Se pensiamo di essere
in una logica (come la classica) dove la
doppia negazione è uguale ad una affermazione, da ambedue ricaviamo l’affermazione positiva equivalente: “Esiste la
produzione di energia da qualcosa”. Essa
però è un’affermazione del tutto astratta;
quindi dovrebbe essere specificata ulteriormente, anche per poter affermare poi
l’equivalenza delle forme di energia, cioè
il 1◦ principio. Tutto questo sta a sottolineare che in realtà nella formulazione dei princı́pi della termodinamica una
doppia negazione (come negli enunciati di
impossibilità) non è equivalente ad un’affermazione (quella del 1◦ principio). Che
su questo passaggio logico si giochi molto della concettualizzazione della termodinamica è confermato da un altro fatto. La famosa “equivalenza” tra calore
e lavoro vuole stabilire una proposizione
affermativa a partire da un’altra proposizione che in realtà è doppiamente negata,
e cioè dalla seguente: “Non è vero che il
calore non sia uguale al lavoro”. È questa
la effettiva affermazione che Joule ha stabilito con i suoi famosi esperimenti, cioè
l’ affermazione di base per il 1◦ principio. Ma da quella affermazione non è lecito passare alla proposizione affermativa
“È vero che il calore è uguale al lavoro”
(come molti testi sembrano fare, quan-
Analisi critica della termodinamica formulata da Carnot, Clausius e Kelvin
do fanno pensare che le trasformazioni di
calore e lavoro dipendono solo dal rapporto J). Allora per non negare la logica classica e per mantenere la proposizione nell’ affermativo si è inventata la
parola “equivalente”, che va a sostituire
la parola “uguale” della proposizione falsa (ma lascia in sospeso l’ effettivo significato della proposizione, fino a che non
giunga il 2◦ principio a chiarirlo). Ciò dimostra che c’è da chiedersi seriamente se
la logica della termodinamica non esca da
quella classica [34].
Concludendo, notiamo che la termodinamica comprende in sé alcune aporı́e
e complessità concettuali di cui la didattica corrente non si fa un gran problema
e che al massimo sono notate e accettate come inevitabili. È possibile ritrovare un riflesso di queste difficoltà nei vari
libri di testo; essi presentano delle differenze, anche profonde, relative ai concetti chiave. Questo fatto rende l’insegnamento un’arte, più di quanto sia effettivamente necessario e spinge l’insegnante
a ricercare incessantemente un testo più
qualificato che gli risolva i problemi.
Bibliografia
[1] Maffioli C., Una strana scienza (Feltrinelli, Milano) 1979.
[2] Iona M., What is energy?, Phys. Teacher,
22 (1984) 6.
[3] Nash L. K., Chemthermo (Addison Wesley,
New York) 1976, pag. 54.
[4] Alcuni autori si chiedono perché sia cosı̀.
Ad esempio, P. W. Bridgman: The Nature of Thermodynamics (Cambridge U. P.
Cambridge) 1941, pag. 185.
[5] Falk G., Hermann F. e Schmid G. B.,
“Energy forms or energy carriers?” Am.
J. Phys., 51 (1983) 1074-1076. Si veda anche la discussione di H. A. Buchdahl e
B. Schmid in Am. J. Phys., 56 (1988)
853-855. Anche autori precedenti hanno posto questa analogia a guida dell’interpretazione della termodinamica. Si veda ad
[6]
[7]
[8]
[9]
[10]
[11]
[12]
[13]
[14]
[15]
[16]
[17]
[18]
[19]
223
esempio M. K. Barnett “Sadi Carnot and
the Law of Thermodynamics”, Osiris 13
(1958), 327-357. C’è un elenco di autori in W. L. Scott: The Conflict between
Atomism and Conservation Theory (16441869) (Elsevier, Amsterdam) 1970, pag.
234.
Mendoza E., A Sketch for Hystory of
Early Thermodinamycs, Phys. Today, 14
(1961) 32-42.
Drago A. e Vitiello O., L’evoluzione dell’idea di ciclo in Sadi Carnot, in F. Bevilacqua (curatore): Atti del VII Congresso
Nazionale Storia Fisica, Padova, 1986, (La
Goliardica, Pavia) pag. 161-166.
Ellis B., The Origin and Nature of Newton’s Laws of Motion, in R. G. Colodny
(curatore): Beyond the Edge of Certainty (Prentice-Hall, Englewood) 1965, pag.
29-68.
Erlichson H., Internal energy in the first
Law of Thermodynamics, Am. J. Phys., 52
(1984) 623-625.
Theobald D. W., The Concept of Energy
(Spon, London) 1966.
Gillispie C. C., Il criterio dell’oggettività
(Il Mulino, Bologna) 1985, pag. 378.
Buchdahl H. A., The Concepts of Classical Thermodynamics (Cambridge U.P.
Cambridge) 1966.
Truesdell C., The Tragicomedy of Classical Thermodynamics (Springer, Berlin)
1980.
Ad esempio, Duhem P., Traité d’Energétique (Gauthier-Villars, Paris) 1911,
pag. 4: “Questi princı́pi sono dei puri
postulati ”.
Wisdow J.O., Refutability of “irrefutable”
laws, Brit. J. Philos. Sci., 13 (1963) 303306.
Carnot L., Principes fondamentaux de
l’équilibre e du mouvement (Deterville, Paris) 1803, p. 49. Si veda anche A. Drago,
S. D. Manno: Le ipotesi della meccanica
secondo Lazare Carnot, Epistemologia, 11
(1988) 305-330.
Ad esempio, col metodo di Buchdahl H.
A., Remarks on a proposed up-to-darte approach to physics in Am. J. Phys., 56
(1988) 853-55.
Ad esempio, Shanks D., A Study of Postulates: The Termodynamics Derivation of
the Adiabatic Gas Law, Am. J. Phys., 24
(1956) 352-354.
Truesdell C. e Bharatha S., The Concept and Logic of Classical Thermodyna-
224
[20]
[21]
[22]
[23]
[24]
[25]
[26]
[27]
L. Capuozzo, A. Drago e M. Grilli
mic as a Theory of Heat Engines (Springer,
Berlin) 1977.
Armstrong H. L., Statement of the Second
Law of Thermodynamics, Am. J. Phys., 28
(1960) 564.
Ancora nel 1908 (seconda edizione) H.
Poincaré iniziava la sua Thérmodynamique
((Carré et Naud, Paris) 1892) con questo principio, sviluppandolo poi nella
conservazione matematica dell’energia.
Mach E., Principles of the Theory of
Heat (1986) (Reidel, Dordrecht) 1986, cap.
V; Nash L. K.: Chemthermo, (Addison
Wesley, New York) 1976, pag. 54.
Tipler P. A., Fisica (Zanichelli, Bologna)
1980, pag. 445-446.
Landsberg P. T., Thermodynamics (Interscience) 1961, p. 94.
Si veda ad esempio Landsberg P. T., op.
cit., p. 94-95, 382-383, e Rechel E. R.: The
reversible process in Thermodynamics, J.
Chem. Ed, 24 (1947) 298-303.
Sommerfeld A., Thermodynamics and
Statics (Accademic Press, New York) 1964,
pag. 22-23.
Planck M., Thermodynamics (Dover, New
York) 1960, pag. 84-86.
[28] Zemansky M. W., Kelvin and Cara[29]
[30]
[31]
[32]
[33]
[34]
théodory: A Reconciliation, Am. J. Phys,
34 (914) 1966.
Carathéodory C., Untersuchungen über
die Grundlagen der Thermodynamik, Math. Ann., 67 (355) 1909.
Landsberg P. T., Is Thermodynamics an
axiomatic discipline?, Bull. Inst. Phys.
Phys. Soc., June (1964), pag. 150-156.
Theobald D. W., op. cit., pag. 66.
Landsberg P. T., Main Ideas in the Axiomatics of Thermodynamics, Pure Appl.
Chem., 22 (1970) 215-227.
Drago A., The alternative content of thermodynamics: Constructive mathematics
and problematic organization of the theory in K. Martinas, L. Ropolyi, P. Szegedi
(curatori): Thermodynamics: History and
Philosophy, (World Scientific, Singapore)
1991, pag. 329-345.
Per una introduzione alla logica non classica in funzione di questi problemi vedasi A.
Drago: “Il ruolo della logica non classica
nei fondamenti e nella didattica della scienza”, A. Repola Boatto (curatore): Pensiero
scientifico, Fondamenti ed Epistemologia
(IRRSAE Marche, Ancona) 1997, 191-209.
Scarica

Analisi critica della termodinamica formulata da Carnot, Clausius e