EFFETTI DELLO “SPLAFONAMENTO” NELLE ESPORTAZIONI SOMMARIO: 1. Premessa – 2. Acquisti in sospensione d’imposta – 3. Esportazioni – 4. Prova dell’esportazione – 5. Determinazione del plafond IVA – 6. Tipologie di plafond – 7. Passaggio dal plafond fisso a quello mobile – 8. Le dichiarazioni di intento – 9. Le novità della legge finanziaria 2005 – 10. Lo splafonamento – 11. La giurisprudenza di legittimità nel pregresso regime – 12. Sanzioni per l’utilizzo del plafond in eccesso – 13. L’art. 7 del D.Lgs. n. 472/1997 e la specificità delle sanzioni attuali in materia di plafond – 14. Splafonamento e ravvedimento – 15. Regolarizzazione dell’eccedenza – 16. Superamento del plafond e detrazione IVA. 1. Premessa Con l’art. 8, primo comma, lett. c), e secondo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, il legislatore ha consentito ai c.d.
“esportatori abituali” di effettuare acquisti di beni e servizi nello Stato e importazioni di beni dall’estero senza applicazione
dell’imposta, a condizione che i beni acquistati siano destinati ad essere esportati come tali o previa trasformazione, lavorazione e
simili (restando quindi esclusi dall’ambito applicativo della norma i beni strumentali non destinati all’esportazione) e che i servizi
siano inerenti a tali operazioni. Peraltro, le importazioni e gli acquisti di cui trattasi possono essere effettuati senza applicazione
d’imposta, su dichiarazione scritta del cessionario o committente, entro un limite d’importo, denominato “plafond”, pari
all’ammontare complessivo dei corrispettivi delle esportazioni da lui effettuate, anche tramite commissionari, nel corso dell’anno
solare precedente o, se trattasi di soggetti che in tale anno non hanno effettuato esportazioni, entro il limite dei corrispettivi delle
esportazioni poste in essere nei precedenti dodici mesi.
Le ragioni di tale regolamentazione, anche di ordine sovranazionale, vanno cercate nella circostanza che i contribuenti che
effettuano cessioni all’esportazione, cessioni intracomunitarie ed operazioni assimilate possono accumulare rilevanti crediti di IVA
nei confronti dell’erario. Dette cessioni, infatti, sono non imponibili ai fini IVA e quindi i contribuenti che le pongono in essere, non
percependo imposta a titolo di rivalsa dai propri clienti esteri, non possono abbattere il credito di imposta che hanno conseguito
all’atto dell’effettuazione di acquisti. Un rimedio – talvolta parziale – a tale situazione è costituito dalla facoltà, ricorrendone talune
condizioni, di effettuare acquisti di beni e servizi ed importazioni senza l’applicazione dell’IVA. I contribuenti che possono avvalersi
di tale facoltà sono quelli definiti correntemente “esportatori abituali”. Tale status, ai sensi dell’art. 1 del D.L. 29 dicembre 1983, n. 746
(convertito, con modificazioni, dalla legge 17 febbraio 1984, n. 17), si acquisisce quando le operazioni che creano plafond nel periodo
di riferimento (anno solare o dodici mesi precedenti a seconda che il contribuente utilizzi, rispettivamente, il metodo solare o il
metodo mensile) sono superiori al 10% del volume d’affari determinato a norma dell’art. 20 del D.P.R. n. 633/1972, al netto delle
cessioni di beni in transito o depositati nei luoghi soggetti a vigilanza doganale. Ad esempio, se il contribuente ha realizzato un
volume d’affari (determinato come sopra indicato) pari a 1000, lo status sarà acquisito se l’ammontare delle operazioni che
costituiscono plafond è pari o superiore a 101 (superiore al 10% del volume d’affari). Al contrario, detta qualifica non sarà acquisita
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se l’ammontare delle operazioni che costituiscono plafond è uguale o inferiore a 100 (uguale o inferiore al 10% del volume d’affari) .
Le disposizioni di base in materia di plafond sono costituite:
– dagli artt. 8, 8-bis e 9 del D.P.R. n. 633/1972;
– dall’art. 1, limitatamente alle disposizioni non abrogate, del D.L. n. 746/1983;
– dall’art. 2, commi 2 e 3, della legge 18 febbraio 1997, n. 28, che ha recepito la Direttiva comunitaria 95/7CE del 10 aprile 1995;
– dall’art. 10 del D.P.R. 7 dicembre 2001, n. 435.
2. Acquisti in sospensione d’imposta Passando ad una sintetica descrizione della disciplina degli acquisti in sospensione d’imposta, si osserva che secondo il richiamato
art. 8, comma 1, lett. c), del D.P.R. n. 633/1972, si considerano non imponibili, ai fini IVA, le cessioni di beni, diversi dai fabbricati e
dalle aree edificabili, e le prestazioni di servizi, rese a soggetti che, avendo effettuato cessioni all’esportazione od operazioni
intracomunitarie, si avvalgono della facoltà di acquistare o importare, anche tramite commissionari, beni o servizi senza pagamento
dell’imposta. La finalità della disposizione è quella di realizzare il principio della detassazione delle operazioni rese nei confronti dei
soggetti che svolgono prevalentemente la loro attività verso l’estero, prevedendo per gli stessi la possibilità di usufruire del regime di
acquisto senza il pagamento dell’imposta, in luogo del normale sistema delle detrazioni.
Riguardo all’ambito di applicazione della norma sotto il profilo oggettivo, sono ammessi al regime di non imponibilità sia le
cessioni di beni (con le eccezioni prima indicate) sia le prestazioni di servizi, nonché le importazioni e gli acquisti intracomunitari,
compreso l’acquisto di beni strumentali (anche in leasing).
Sotto l’aspetto soggettivo, le operazioni indicate non sono soggette all’imposta quando sono realizzate nei confronti di coloro che
hanno effettuato nell’anno precedente cessioni all’esportazione od operazioni intracomunitarie, con l’utilizzo del plafond riservato
agli esportatori abituali, nel rispetto del detto rapporto minimo (10%) tra l’ammontare delle esportazioni ed il volume d’affari
complessivo.
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Cfr. circ. 27 febbraio 2003, n. 8/D, in Boll. Trib. On­line.
Si precisa che le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate senza applicazione dell’imposta, a seguito di dichiarazione di
intento ricevute, non sono comprese tra quelle che possono fare acquisire la qualifica di esportatore abituale e che le operazioni
intracomunitarie non danno luogo alla costituzione di un plafond autonomo, ma concorrono con le operazioni di esportazione e
assimilate ai fini della formazione del plafond.
3. Esportazioni Com’è noto, le esportazioni di beni sono considerate non imponibili ai fini IVA, in quanto, per finzione giuridica, si ritengono
operazioni prive di uno dei presupposti (essenziali) dell’imposta, ossia la territorialità disciplinata dall’art. 7 del D.P.R. n. 633/1972.
Premesso che per “esportazioni” – che è concetto squisitamente doganale – si intendono fondamentalmente le cessioni verso Paesi
extracomunitari (viceversa, in ambito UE, si deve parlare di cessioni intracomunitarie non imponibili), il comma 1 dell’art. 8 del
D.P.R. n. 633/1972 definisce le seguenti operazioni cessioni all’esportazione:
– le cessioni che hanno per oggetto beni inviati all’estero;
– le cessioni cosiddette “triangolari”, ovvero quelle cessioni che avvengono fra tre soggetti, due nazionali e uno extra UE;
– le cessioni che vengono perfezionate dall’operatore non residente entro 90 giorni dal ricevimento dei beni;
– le cessioni effettuate all’interno dello Stato a operatori che provvederanno successivamente all’esportazione (trattasi, in pratica,
dell’agevolazione riconosciuta a quei soggetti che operano acquisti in funzione della loro condizione di esportatori).
Le esportazioni di beni non sono imponibili nel territorio dello Stato, ciò significando che non scontano l’IVA in Italia, ma
rientrano comunque nel volume d’affari (art. 20 del D.P.R. n. 633/1972), sono soggette a tutti gli adempimenti previsti in ordine alla
fatturazione, registrazione, dichiarazione e danno diritto alla detrazione o al rimborso dell’imposta che normalmente assolvono
sugli acquisti.
Le transazioni che concorrono alla determinazione dell’ammontare delle cessioni all’esportazione tuttavia non sono soltanto
quelle previste dall’art. 8 del D.P.R. n. 633/1972, ma sono anche quelle indicate negli articoli 8-bis (operazioni assimilate alle
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esportazioni), 9 (servizi internazionali) e 72 (cessioni a sedi diplomatiche, comandi militari Nato, ecc.) , nonché le cessioni
intracomunitarie di cui agli artt. 40 e 41 del D.L. 30 agosto 1993, n. 331 (convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993,
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n. 427) .
4. Prova dell’esportazione Al riguardo si impone la necessità di chiarire che, al fine di acquisire la non imponibilità dell’esportazione agli effetti dell’IVA
(artt. 8, 8-bis e 9, del D.P.R. n. 633/1972), occorre dimostrare l’avvenuta uscita fisica delle merci dal territorio comunitario, attività di
esportazione che – secondo il sistema tradizionale – si realizza con la presentazione della dichiarazione doganale, costituita dal
formulario fondamentale chiamato DAU (Documento Amministrativo Unico), all’Ufficio doganale competente, che è quello dove è
situato l’esportatore. Tale dichiarazione rappresenta una manifestazione di volontà diretta a vincolare le merci al regime doganale di
esportazione, al quale sono collegati i rilevanti effetti giuridicamente che andiamo oggetto della presente disamina.
Al fine di cui sopra sono solitamente utilizzati tre esemplari del modello DAU:
– esemplare n. 1 (matrice), che rimane presso l’Ufficio doganale competente;
– esemplare n. 2, per i dati statistici da spedire all’ISTAT;
– esemplare n. 3 (figlia), destinato all’esportatore da conservare agli atti per eventuali controlli.
Registrata la dichiarazione, l’Ufficio doganale competente procederà all’ispezione della merce per accertarne la conformità alla
dichiarazione prodotta e, allorché la merce lascerà il territorio comunitario, la Dogana di uscita provvederà ad apporre
sull’esemplare n. 3 del DAU il cosiddetto “visto uscire” (con procedure diverse a seconda del mezzo di trasporto impiegato: treno,
nave, aereo, camion, ecc.). Il visto è di fondamentale importanza nella procedura in quanto fa acquisire la non imponibilità
dell’esportazione agli effetti dell’IVA, al cui riguardo è necessario che l’azienda esportatrice detenga il possesso del modulo e lo
custodisca assieme agli altri documenti di vendita, senza il quale – si ribadisce – le aziende non possono acquisire la non
imponibilità ai fini IVA.
Dal 1° luglio 2007, l’entrata in vigore del Regolamento CE 1875/2006 del 18 dicembre 2006, ha semplificato talune procedure
riguardanti le operazioni di esportazione: in particolare, le bollette doganali non scortano più le merci fino al confine comunitario,
ma restano ferme presso la Dogana emittente.
In sostanza, con la nuova procedura informatizzata – nell’ambito del sistema comunitario ECS (Export Control System), che
prevede la comunicazione elettronica del “visto uscire” – l’esemplare n. 3 del DAU è sostituito dal DAE (Documento di
Accompagnamento all’Esportazione) sul quale verrà riportato il codice MRN (Movement Reference Number), per cui non sarà più
necessario che la Dogana di uscita provveda all’apposizione del “visto uscire” (in una secondo momento è prevista l’introduzione
dell’obbligatorietà della trasmissione telematica anche delle dichiarazioni doganali di esportazione).
In pratica, le fasi operative della nuova procedura informatizzata possono così sintetizzarsi:
a) l’operatore presenta la dichiarazione all’Ufficio doganale di esportazione;
b) la Dogana di esportazione concede l’autorizzazione allo svincolo delle merci, consegna al dichiarante il DAE completo di codice
MRN e trasmette un messaggio elettronico di esportazione alla Dogana di uscita;
c) la Dogana di uscita, all’arrivo delle merci, effettua i dovuti controlli sulla base del messaggio di esportazione ricevuto, ed entro il
giorno successivo all’effettiva uscita invia un messaggio elettronico denominato “risultati di uscita” alla Dogana di esportazione;
d) la Dogana di esportazione provvederà a certificare l’uscita delle merci tramite un messaggio detto “notifica di esportazione” che
verrà inviato al dichiarante.
Qualora la merce non lasci il territorio doganale della Comunità entro 90 giorni, l’Ufficio di esportazione procederà
all’annullamento della dichiarazione doganale (in tal caso sarà necessario ripresentare la dichiarazione all’Ufficio di esportazione
competente che effettuerà nuovamente gli adempimenti previsti).
Esemplificando, mentre in precedenza la prova dell’uscita delle merci dal territorio comunitario era costituita dall’esemplare n. 3
del DAU, opportunamente munito di visto doganale, ora detta prova rappresentata ad ogni effetto normativo dal messaggio
elettronico della Dogana di esportazione, nominato “risultati di uscita”. In tal modo, in base al nuovo sistema informatizzato,
l’esportatore potrà verificare in tempo reale l’avvenuta esportazione, collegandosi all’apposito sito internet dell’Agenzia delle dogane.
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Cfr. circ. 19 dicembre 1984, n. 73/E, in Boll. Trib., 1985, 153.
Cfr. circ. 23 febbraio 1994, n. 13/E, in Boll. Trib., 1994, 377.
È appena il caso di precisare, infine, che sono escluse dal nuovo sistema le operazioni di transito (che saranno accompagnate dal
documento di transito) e le esportazioni di prodotti soggetti ad accisa (che saranno scortate dal documento di accompagnamento
DAA), per le quali il DAU non scorta la merce fino alla Dogana di uscita, ma viene vistato direttamente dalla Dogana di esportazione.
5. Determinazione del plafond IVA Il meccanismo del “plafond” IVA (termine inglese che letteralmente significa “soffitto”) consente ad un soggetto (contribuente), che
ha le caratteristiche di “esportatore abituale”, di acquistare beni e servizi senza applicazione dell’imposta entro un determinato limite
costituito dall’ammontare delle operazioni non imponibili registrate in un precedente periodo di riferimento fisso o mobile
(operazioni registrate nell’anno solare ovvero nei dodici mesi precedenti l’operazione).
L’operatore che intende avvalersi della facoltà di acquistare in sospensione di IVA beni e servizi utilizzando il suo plafond, è tenuto
ad emettere apposite richieste dette “dichiarazioni di intento” (valide per una o più operazioni o per periodi temporanei) nei confronti
dei suoi fornitori o della Dogana, specificando la sua qualità di esportatore abituale.
L’art. 2 della legge n. 28/1997 ha introdotto all’istituto del plafond IVA una serie di misure di semplificazione e razionalizzazione con
effetto dal 14 marzo 1997, le quali possono sintetizzarsi come di seguito:
1) istituzione di un plafond “unico” in sostituzione della pluralità dei plafonds (artt. 8, 8-bis e 9 del D.P.R. n. 633/1972) previsti dalla
previgente normativa, con la conseguenza che in virtù di tale modifica concorrono globalmente alla costituzione del plafond le
cessioni all’esportazione di cui agli artt. 8, primo comma, lett. a) e b), le operazioni di cui agli artt. 8-bis, 9, 71 e 72 del D.P.R.
633/1972, le operazioni intracomunitarie, nonché le cessioni a viaggiatori previste rispettivamente agli artt. 40, comma 9, e 52 del
D.L. n. 331/1993;
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2) introduzione di un nuovo criterio in ordine al momento costitutivo del plafond, non più legato alle operazioni “fatte” , bensì a
quelle “registrate” a norma dell’art. 23 del D.P.R. n. 633/1972, con riferimento al momento della data di emissione della fattura
ovvero a quella di consegna o spedizione per le fatture differite. L’adozione del criterio della registrazione contribuisce a
semplificare gli adempimenti dei contribuenti in quanto, diversamente da come avveniva nel passato, il plafond disponibile coincide
con le risultanze contabili e con i dati evidenziati in sede di dichiarazione annuale IVA; detto criterio comporta, inoltre, che nelle
ipotesi di emissione anticipata di fattura o di pagamento anticipato dei corrispettivi, tali importi concorrono non solo alla
determinazione dello status di esportatore agevolato ma anche a quella del plafond.
Tuttavia quanto detto non esclude, ai fini dell’acquisizione dei benefici fiscali di cui trattasi, che, nell’ipotesi di esportazione, sia
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comunque necessario comprovare, con idonea documentazione , l’effettiva uscita del bene dal territorio doganale della Comunità
europea (nei sensi sopra specificati). Ed infatti, in mancanza di tale prova, gli importi delle cennate operazioni riducono del
corrispondente ammontare la disponibilità del plafond, con il conseguente obbligo di regolarizzare gli eventuali acquisti e/o
importazioni effettuati senza pagamento dell’imposta con utilizzo del plafond;
3) ampliamento dell’utilizzazione del plafond a tutti gli acquisti di beni e servizi ed importazioni di beni con la sola esclusione dei
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fabbricati e delle aree edificabili. Poiché nelle attuali disposizioni – secondo quanto precisato dall’Amministrazione finanziaria –
non si riscontra più alcun riferimento all’intento, da parte dell’operatore economico, di esportare i beni o di inviarli in altro Stato
comunitario, ne consegue che, rispetto al passato, l’agevolazione si rende applicabile anche ai beni ammortizzabili, ai beni acquisiti
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in leasing ed all’acquisto delle spese generali, a nulla rilevando, per queste ultime, la loro inerenza o meno con l’attività agevolata .
Permane, in ogni caso, il divieto di utilizzare il plafond per l’acquisizione di fabbricati, in dipendenza di contratti di appalto aventi
per oggetto la loro costruzione o di leasing, né possono, altresì, essere acquistati senza applicazione dell’imposta i beni ed i servizi
per i quali l’IVA è indetraibile ai sensi degli artt. 19 e seguenti del D.P.R. n. 633/1972. Infine, rimane confermato l’obbligo per
l’operatore interessato, in presenza di un pro-rata di indetraibilità, di decurtare del corrispondente ammontare la parte di plafond
utilizzabile;
4) possibilità di annotazione delle dichiarazioni di intento, emesse o ricevute, in apposita sezione di cui agli artt. 23 e 24 del D.P.R.
n. 633/1972, anziché nel registro istituito dall’art. 1, comma 2, del D.L. n. 746/1983.
6. Tipologie di plafond L’art. 8, secondo comma, del D.P.R. n. 633/1972, consente ai contribuenti che rivestono la qualifica di esportatore abituale di
acquistare beni e servizi senza applicazione dell’IVA nei limiti delle esportazioni od operazioni assimilate registrate nell’anno solare
precedente (plafond fisso o solare) o nei dodici mesi precedenti (plafond mobile o mensile), esclusi gli acquisti in sospensione
d’imposta.
L’importo delle operazioni di esportazione registrate nel periodo di riferimento costituisce il plafond nel cui limite l’esportatore può
acquistare o importare senza applicazione dell’IVA. Si precisa, inoltre, che, nel caso di emissione anticipata di fattura o di pagamento
anticipato dei corrispettivi, tali importi concorrono non solo alla determinazione dello status di esportatore agevolato, ma anche a
quello del plafond.
Per quanto attiene all’utilizzazione del medesimo, per le imprese che effettuano congiuntamente attività di esportazione (art. 8 del
D.P.R. n. 633/1972), attività assimilate all’esportazione (art. 8-bis del D.P.R. n. 633/1972) e servizi internazionali (art. 9 del D.P.R. n.
633/1972), esso è considerato unitariamente e cumulativamente, nel senso che tutti i ricavi delle operazioni effettuate verso l’estero
concorrono a formare l’unico plafond, il quale è spendibile, in caso di plurime attività svolte dal soggetto passivo, anche in settori
diversi da quello in cui i ricavi stessi sono stati conseguiti. Infatti, l’art. 2, comma 2, della legge n. 28/1997, ha uniformato le regole
per la qualificazione di esportatore con quelle della costituzione del plafond: in entrambi i casi si fa riferimento alle operazioni
registrate ex art. 23 del D.P.R. n. 633/1972, rimanendo, invece, irrilevante la data di conclusione dell’operazione ai fini doganali.
Pertanto l’ammontare del plafond disponibile coincide con le risultanze contabili e con i dati evidenziati nella dichiarazione annuale
IVA.
La scelta tra il sistema di determinazione del plafond con il metodo fisso o con il metodo mobile è rimessa alla discrezionalità del
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contribuente e può essere modificata all’inizio di ciascun anno solare .
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Su tale significato ved. le citate circ. n. 73/E/1984 e n. 13/E/1994.
Cfr. circ. 13 febbraio 1997, n. 35/E, in Boll. Trib., 1997, 313.
Con circ. 10 giugno 1998, n. 145/E, in Boll. Trib., 1998, 1132.
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Cfr. circ. 9 aprile 1981, n. 12/E, in Boll. Trib., 1981, 722.
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Cfr. ris. 6 marzo 2002, n. 77/E, in Boll. Trib., 2002, 616.
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Si ricorda che per i contribuenti che adottano il metodo fisso, il plafond è determinato per l’intero anno solare in misura pari ai
corrispettivi delle cessioni all’esportazione od operazioni assimilate registrate nell’anno solare precedente.
Per i contribuenti che adottano il metodo mobile, invece, nella determinazione del plafond mensile si procede all’inizio di ogni
mese a rideterminare il plafond disponibile in misura pari all’ammontare delle cessioni registrate nei dodici mesi precedenti al netto
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degli acquisti in sospensione effettuati nello stesso periodo. In particolare, l’Amministrazione finanziaria
ha precisato che
dall’ammontare complessivo delle cessioni sarà detratto l’importo delle cessioni relative al tredicesimo mese precedente, ed un pari
importo sarà detratto dal totale degli utilizzi effettuati, sino a concorrenza degli stessi.
Tale metodologia di calcolo consente di tener conto del fatto che parte degli acquisti effettuati in sospensione d’imposta negli
ultimi dodici mesi sono, comunque, imputabili alle cessioni registrate nel tredicesimo mese precedente.
Di seguito sono classificate le operazioni rilevanti e non per la formazione del plafond:
A) Operazioni che concorrono alla determinazione del plafond annuale:
– Esportazioni:
– dirette a cura del cedente
– dirette a cura del cessionario estero
– triangolari;
– Cessioni verso la repubblica di San Marino e lo Stato della Città del Vaticano;
– Cessioni alle ambasciate, rappresentanze diplomatiche, ecc.;
– Operazioni assimilate alle esportazioni;
– Servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali;
– Cessioni intracomunitarie dirette e triangolazioni comunitarie;
– Cessioni intracomunitarie o esportazioni di beni prelevati da depositi IVA;
– Cessioni intracomunitarie di produttori agricoli;
– Lavorazioni e prestazioni di servizi intracomunitari;
– Triangolazioni nazionali non soggette a IVA;
– Margini non imponibili nel regime dei beni usati.
B) Operazioni che non concorrono alla determinazione del plafond annuale:
– Cessioni di beni extra UE non immessi in libera pratica;
– Cessioni ad esportatori abituali;
– Cessioni a viaggiatori extra-comunitari;
– Cessioni di beni in transito;
– Cessioni di beni destinati a depositi IVA;
– Cessioni ad organismi dello Stato per cooperazione;
– Prestazioni fuori UE per agenzie di viaggio;
– Operazioni in regime del margine per i beni usati per la parte residua a quella non imponibile.
7. Passaggio dal plafond mobile a quello fisso Premesso che il meccanismo del plafond mobile – che consente al contribuente di utilizzarlo già dal mese successivo a quello di
formazione – fa venir meno la correlazione tra le cessioni registrate in un determinato anno e gli utilizzi avvenuti nell’anno
successivo, ed è pertanto possibile che nel corso di un anno sia stato utilizzato il plafond riferibili anche ad operazioni registrate nel
medesimo anno, qualora il contribuente intende transitare dal metodo di determinazione del plafond mobile al metodo fisso o solare,
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ritiene l’Agenzia delle entrate
che egli deve prendere a riferimento il plafond che sarebbe risultato disponibile per il mese di
gennaio se si fosse mantenuto il metodo mobile; «pertanto, egli deve, ancora e per l’ultima volta, seguire il procedimento per il calcolo del plafond mobile partendo dall’ammontare della posta attiva e passiva del mese di dicembre dell’anno precedente, sottraendo da entrambe le operazioni non imponibili del tredicesimo mese, con le modalità e nei limiti sopra precisati».
Infatti, considerato il particolare meccanismo di calcolo che governa il metodo mobile, la risultanza che emerge da tale calcolo
rappresenta l’ammontare del plafond creato ed effettivamente non utilizzato alla data del 1° gennaio dell’anno in cui si intende
transitare al metodo di calcolo fisso o solare.
In sostanza, nel caso di passaggio dal metodo del plafond fisso a quello mobile, all’inizio dell’anno il plafond disponibile
corrisponde alle esportazioni registrate nell’anno solare precedente, mentre nell’ipotesi inversa il plafond è quello che sarebbe
risultato disponibile per il mese di gennaio, se si fosse mantenuto il metodo mobile.
La soluzione esposta, tra l’altro, appare coerente, secondo la citata risoluzione n. 77/E/2002, con lo spirito della norma in quanto
consente, da un lato, di rappresentare la reale quota di plafond non utilizzata e, dall’altro, di evitare utilizzazioni (o addirittura
duplicazioni) di plafond non spettanti, in quanto occorre considerare che il sistema del plafond, sia solare sia mobile, comporta che,
in determinate circostanze, quote di plafond vadano perdute per il loro mancato utilizzo; così, ad esempio, nel caso del plafond fisso,
è perduta la quota di plafond non utilizzata entro l’anno solare; analogamente, anche il meccanismo su cui si basa il metodo mobile
determina la perdita del plafond non utilizzato entro dodici mesi dalla sua formazione.
8. Le dichiarazioni di intento Per quanto attiene, infine, alla determinazione del momento di utilizzazione del plafond dal punto di vista strutturale, è da ritenere
che, per gli acquisti, assume rilevanza il momento di effettuazione dell’operazione, mentre per le importazioni è rilevante il
momento dell’accettazione della relativa dichiarazione doganale.
Sotto il profilo formale, il meccanismo dell’acquisto in sospensione d’imposta è subordinato alla consegna o spedizione, da parte
dell’operatore ai propri cessionari, di un’apposita dichiarazione, denominata “d’intento”, che deve sempre precedere l’effettuazione
dell’operazione agevolata, la quale evidenzia appunto l’intento del soggetto di avvalersi del beneficio fiscale in argomento da parte
dell’interessato (art. 1, comma 1, lett. c), del D.L. n. 746/1983).
La dichiarazione d’intento, redatta in duplice copia su modello conforme a quello approvato con D.M. 6 dicembre 1986 e numerata
progressivamente, deve contenere l’indicazione del numero di partita IVA del dichiarante e l’Ufficio competente nei suoi confronti.
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Con la citata circ. n. 73/E/1984.
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Cfr. ris. n. 77/E/2002, cit.
La lettera d’intento produce l’obbligo per il cedente di annotarla entro i quindici giorni successivi all’emissione, o al ricevimento,
in uno specifico registro ovvero in una apposita sezione del registro dei corrispettivi o delle fatture emesse (art. 2, comma 3, della
legge n. 28/1997).
Gli estremi della dichiarazione devono poi essere indicati sulle fatture emesse in sospensione d’imposta.
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La risoluzione n. 355235 del 27 luglio 1985 , nello specificare che la dichiarazione può riguardare sia una operazione singola che
più operazioni da perfezionarsi tra le stesse parti, ha chiarito che la sua validità può essere ancorata ad un determinato periodo di
tempo (prefissato o fino a revoca), oppure fino a concorrenza di un determinato importo, ma che comunque non può andare oltre il
31 dicembre di ogni anno.
9. Le novità della legge finanziaria 2005 L’art. 1, comma 381, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005), ha integrato l’art. 1, comma 1, lett. c), del D.L.
n. 746/1983, introducendo l’obbligo per i cedenti o prestatori, che emettono fattura senza applicazione dell’IVA nei confronti degli
esportatori abituali, di comunicare in via telematica all’Agenzia delle entrate, entro il giorno 16 del mese successivo, i dati contenuti
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nelle dichiarazioni d’intento ricevute .
Allo scopo di accentuare la rilevanza della comunicazione, il legislatore ha poi previsto ai successivi commi 383 e 384 la
responsabilità del cedente/prestatore in caso di omissione od invio della comunicazione medesima con dati incompleti o inesatti.
In particolare, il comma 383 ha inserito nell’art. 7 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, il comma 4-bis, il quale dispone che il
cedente/prestatore che non invii la comunicazione nei termini prescritti o la invii con dati incompleti o inesatti “è punito con la sanzione prevista nel comma 3” (dal cento al duecento per cento dell’imposta dovuta).
Nel comma 384 è poi disposto che chiunque omette di inviare, nei termini previsti, la comunicazione, o la invia con dati
incompleti o inesatti, è responsabile in solido con il soggetto acquirente dell’imposta evasa correlata all’infedeltà della dichiarazione
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ricevuta .
Se non sussiste imposta evasa, perché nonostante la mancata comunicazione dei dati, non vi sono state irregolarità nell’utilizzo
del plafond, non si procederà ad alcun recupero d’imposta.
10. Lo “splafonamento” La facoltà per l’esportatore abituale di acquistare beni e servizi in sospensione d’imposta può comportare degli abusi, nel qual
caso l’utilizzo indebito dell’istituto comporta il formarsi, in estrema sintesi, delle seguenti tipologie di irregolarità:
a) il contribuente non ha le caratteristiche di esportatore abituale ma emette comunque dichiarazioni d’intento acquistando in
sospensione d’imposta;
b) il contribuente ha acquistato in sospensione d’imposta più di quello che avrebbe dovuto rispetto al suo plafond disponibile
(cosiddetto “splafonamento”);
c) il contribuente ha creato un plafond parzialmente irregolare, in quanto ha computato nello stesso anche operazioni che non
concorrevano a formarlo.
In questa sede si prende in considerazione soltanto l’ipotesi dello splafonamento descritta sub lett. b).
Sostanzialmente, lo splafonamento si riferisce, in genere, alla posizione IVA del contribuente, tenuto conto:
– del sistema di determinazione dello status di esportatore abituale;
– della verifica delle operazioni non imponibili ed assimilate che concorrono a delimitare l’importo del plafond disponibile.
A tal fine si osserva che la competenza al recupero dell’imposta non corrisposta all’erario a seguito di riscontro dell’incapienza del
plafond utilizzato o di assenza dei requisiti per lo status di esportatore abituale fa capo all’Agenzia delle entrate, a seguito della citata
unificazione del plafond apportato dalla legge n. 28/1997, significando che l’ordinamento colloca in un procedimento amministrativo
di competenza dell’Agenzia delle dogane i soli versamenti in dogana, il cui importo viene prima accertato, poi liquidato ed infine
riscosso.
Difatti, l’art. 40 del D.P.R. n. 633/1972 dispone al comma 1 che competente a ricevere le dichiarazioni e i versamenti (previsti dalla
normativa IVA) è l’Ufficio provinciale IVA (oggi Ufficio locale dell’Agenzia delle entrate) nella cui circoscrizione si trova il domicilio
del contribuente. L’accertamento doganale è quindi mirato, fondamentalmente, alla verifica della qualità, della quantità, del valore e
origine delle merci, al variare dei quali varierà la tariffa da applicare e l’imponibile IVA.
Inoltre si osserva che l’art. 70, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972, stabilisce che l’imposta relativa alle importazioni è accertata,
liquidata e riscossa per ciascuna operazione, mentre, con specifico riferimento alla competenza in materia di accertamento del
plafond, il secondo comma dispone che «per le importazioni effettuate senza pagamento dell’imposta, di cui alla lettera c) dell’art. 8, all’importatore che attesti falsamente di trovarsi nelle condizioni richieste per fruire del trattamento ivi previsto o ne benefici oltre i limiti consentiti si applica la pena pecuniaria di cui al terzo comma dell’art. 46, salvo che il fatto costituisca reato a norma della legge doganale».
Le previsioni normative contenute nella richiama norma devono oggi essere lette alla luce, da un lato, del richiamato art. 2 della
legge n. 28/1997 e, dall’altro, della riforma delle sanzioni tributarie non penali approvate con i decreti legislativi nn. 471, 472 (e 473)
del 18 dicembre 1997.
Infatti, secondo la tessitura normativa, successivamente all’unificazione del plafond, con l’approvazione dell’art. 7 del D.Lgs. n.
471/1997 il legislatore ha disciplinato unitariamente l’effettuazione di operazioni senza addebito d’imposta in mancanza dei
presupposti previsti.
Nel contempo, l’istituto del ravvedimento operoso introdotto dall’art. 13 del D.Lgs. n. 472/1997 (Disposizioni generali in materia di
sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie) ha trovato ormai una vasta sistemazione organica ed una disciplina
unitaria per tutti i tributi, la cui possibilità di regolarizzazione spontanea da parte del contribuente trova oggi applicazione – in
particolare – in tutti i casi di utilizzo del plafond “oltre i limiti consentiti”, comprese le ipotesi in cui il superamento di detto limite sia
14
avvenuto per effetto di un’operazione di importazione .
Un ulteriore apporto a quanto rappresentato è avvenuto con l’art. 10 del D.P.R. n. 435/2001 (portante semplificazioni alle
registrazioni relative al plafond) con il quale è stato disposto l’obbligo per i contribuenti che si avvalgono della facoltà di acquistare o
11
In Boll. Trib., 1985, 1410.
12
Cfr. circ. 26 settembre 2005, n. 41/E, in Boll. Trib., 2005, 1485.
Cfr. circ. 16 marzo 2005, n. 10/E, in Boll. Trib., 2005, 438.
Cfr. circ. 25 gennaio 1999, n. 23/E, in Boll. Trib., 1999, 189.
13
14
importare beni e servizi senza pagamento dell’imposta in quanto esportatori abituali, di indicare in apposito prospetto della
dichiarazione annuale IVA, distintamente per mese, le informazioni necessarie all’ammontare delle esportazioni al fine di
permettere le attività di controllo amministrativo.
La verificazione dei presupposti della corretta utilizzazione del plafond nei limiti della propria disponibilità è finalizzata al
recupero dell’imposta indebitamente non versata o non esposta in fattura e nel sanzionare i comportamenti illeciti. Infatti, solo a
seguito di tali controlli si rende possibile all’Amministrazione finanziaria territorialmente competente sul soggetto controllato
riscontrare l’imponibilità delle operazioni indebitamente considerate quali costituenti il plafond (come, ad esempio, cessioni
intracomunitarie o all’esportazione che invece costituiscono operazioni interne) e successivamente procedere al recupero
dell’imposta afferente lo splafonamento (analoghe considerazioni valgono per l’assenza dello status di esportatore abituale).
11. La giurisprudenza di legittimità nel pregresso regime Dal punto di vista storico-sistematico degli effetti della disciplina IVA dello splafonamento, con riguardo al sistema sanzionatorio
anteriore alla riforma del 1997, ma i cui riflessi hanno in parte valenza anche nell’attuale regolamentazione della materia, si
15
richiama la sentenza 8 luglio 2005, n. 14435 con la quale la Corte di Cassazione ha stabilito, in termini, che lo sforamento del
“plafond” relativo agli acquisti in sospensione di imposta ex art. 8, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972, comporta, in ogni caso, l’obbligo
di corrispondere l’IVA dovuta sugli acquisti per i quali non opera il plafond stesso quando sia stato superato il limite previsto per
detta esenzione (recte, acquisti in sospensione d’imposta), stabilito nella misura del 10% dall’art. 48, comma 5, del D.P.R. n.
633/1972.
In particolare, nella controversia oggetto della vertenza, le Commissioni tributarie di merito avevano ritenuto non imponibili ai
fini IVA gli acquisti effettuati dal contribuente oltre il limite del plafond per l’anno precedente, in regime di sospensione d’imposta,
non essendo l’eccedenza rilevata dall’Ufficio superiore al 10% del consentito, ciò che comportava per il contribuente l’aumento del
credito d’imposta annuale da portare in detrazione.
Con il motivo principale di gravame espresso nel ricorso per cassazione, la ricorrente Amministrazione finanziaria censurava la
sentenza impugnata per violazione degli artt. 8, 46, 48 del D.P.R. n. 633/1972 e dell’art. 2, comma 1, del D.L. n. 746/1983, per avere
ritenuto non imponibile lo sforamento del plafond, in quanto inferiore al 10%, così confondendo – secondo la difesa – la non
sanzionabilità della fattispecie con il necessario assoggettamento ad IVA di tutti gli acquisti eccedenti il plafond. Il motivo è stato accolto
dalla Corte, mentre la stessa ha ritenuto infondata la seconda doglianza con cui l’Amministrazione finanziaria ha denunciato violazione
degli artt. 54 e 58 del D.P.R. n. 633/1972 (il primo tuttora vigente), in relazione all’irrogazione di sanzioni relativamente alla ripresa a
tassazione delle somme eccedenti il plafond.
L’art. 46, comma 3, prima parte, del D.P.R. n. 633/1972 – osserva la Corte – prevede, infatti, per il cessionario o committente che
benefici oltre i limiti consentiti della sospensione di imposta di cui all’art. 8, comma 1, lett. c), del D.P.R. n. 633/1972, la pena
pecuniaria da due a sei volte l’imposta relativa alle operazioni effettuate, mentre il successivo art. 48, comma 5, in tema di
circostanze attenuanti ed esimenti IVA, stabilisce che la sanzione di cui all’art. 46, comma 3, «non si applica qualora la differenza tra i dati indicati nella comunicazione prevista nel comma 2 dell’art. 8 e quelli accertati non sia superiore al 10%», ipotesi ricorrente nella
fattispecie. Pertanto, la ripresa a tassazione, pur corretta, secondo la Corte di Cassazione, va esente da sanzioni.
In senso conforme alla descritta pronuncia si era espressa la Corte di Cassazione con sentenza 17 aprile 2001, n. 5647 (confermata
16
dalla sentenza 6 maggio 2002, n. 6476) , nella quale aveva argomentato che, nel regime vigente all’epoca dei fatti, in tema di IVA, il
cessionario o committente che benefici oltre i limiti consentiti del trattamento di cui alla lett. c) del comma 1 dell’art. 8 (acquisti di
beni o servizi in sospensione d’imposta oltre i limiti consentiti dal plafond), ancorché non sanzionabile ai sensi del comma 3 dell’art.
46 del D.P.R. n. 633/1972, potendo usufruire dell’esimente di cui al comma 5 del successivo art. 48 – applicabile ogni qual volta la
differenza tra i dati indicati nella comunicazione prevista nel comma 2 dell’art. 8 (corrispettivi delle esportazioni fatte nell’anno
solare precedente) e quelli accertati non sia superiore al 10% – è tuttavia tenuto al pagamento dell’imposta dovuta per gli acquisti di
beni o servizi oltre i limiti del plafond, rilevando la prevista tolleranza del 10% esclusivamente agli effetti dell’applicazione o meno
delle sanzioni, e ciò nella ragionevole considerazione che, talora incolpevolmente, possono essere concluse operazioni commerciali
che implichino un contenuto sforamento del limite d’esenzione complessivamente consentito.
17
Con la richiamata sentenza n. 14435/2005 , in particolare, la Suprema Corte è intervenuta ancora una volta sull’interpretazione
delle norme che regolano gli acquisti in sospensione d’imposta, ribadendo, a conferma del consolidando orientamento
sull’argomento, che occorre distinguere nella fattispecie tra norme di carattere sostanziale e norme di tipo sanzionatorio.
Nel primo caso, l’interpretazione delle disposizioni normative previste dall’art. 8 del D.P.R. n. 633/1972 non può che indurre a
ritenere la debenza dell’imposta per lo splafonamento, quale che sia la relativa entità e, quindi, sia che esso resti contenuto nel limite
di tolleranza del 10%, sia che ecceda lo stesso, nel rispetto del generale obbligo, previsto dal regime ordinario, di corrispondere
l’imposta sugli acquisti e sulle importazioni; nel secondo caso, invece, il contenimento dello sforamento entro l’indicata soglia del
10% rileva al diverso fine sanzionatorio, nel senso che resta esclusa l’applicazione di sanzioni ove il detto limite non venga superato.
12. Sanzioni per l’utilizzo del plafond in eccesso Si è sopra accennato che la questione trattata dalla citata sentenza n. 14435/2005 ha perso oggi parte della sua rilevanza in
conseguenza della riforma del sistema delle sanzioni tributarie operata con i richiamati decreti legislativi nn. 471 e 472/1997, entrati
in vigore il 1° aprile 1998.
In argomento si rappresenta che il già citato art. 7 del D.Lgs. n. 471/1997, concernente le violazioni relative alle esportazioni, non
ha più riprodotto la specifica esimente già contenuta nel comma 5 dell’art. 48 del D.P.R. n. 633/1972, nel caso in cui la differenza fra
i dati indicati e quelli accertati fosse contenuta nel limite consentito (tolleranza del 10%). Inoltre, nel previgente regime, l’art. 46,
comma 3, del D.P.R. n. 633/1972, stabiliva, nell’ipotesi di sforamento del plafond, una pena pecuniaria da due a quattro volte
l’imposta relativa alle operazioni effettuate.
Con la riforma del sistema sanzionatorio del 1997 la regolamentazione normativa sopra descritta per le irregolarità commesse è
stata abrogata e la nuova disciplina è oggi rinvenibile nell’art. 7 del D.Lgs. n. 471/1997, dedicato esclusivamente alle “Violazioni relative alle esportazioni”, disposizione che ha privilegiato, a seguito dei ripetuti interventi normativi nello specifico settore delle esportazioni,
15
In Boll. Trib., 2005, 1745.
16
Entrambe in Boll. Trib. On­line. Cass., sez. trib., 8 luglio 2005, n. 14435, in Boll. Trib., 2005, 1745.
17
la fondamentale esigenza di agevolare gli operatori che vendono i propri prodotti all’estero, rispetto all’altra esigenza di evitare che le
18
disposizioni agevolative possano tradursi in un veicolo per facilitare l’evasione d’imposta .
Il comma 4, primo periodo, del D.Lgs. n. 472/1997 (che sostituisce gli artt. 46, terzo comma, primo periodo, e 70, secondo comma,
del D.P.R. n. 633/1972) prevede una sanzione amministrativa dal cento al duecento per cento dell’imposta per chi, in mancanza dei
presupposti richiesti dalla legge, dichiara all’altro contraente o in Dogana di volersi avvalere della facoltà di acquistare o di
importare merci e servizi senza pagamento dell’imposta, ai sensi dell’art. 2, comma 2, della legge n. 28/1997, ovvero ne beneficia
oltre il limite consentito.
Oltre all’eliminazione della specifica esimente di tolleranza sopra specificata, la riforma non ha neppure riprodotto l’ulteriore
esimente già prevista dal comma 8 dell’art. 48 del D.P.R. n. 633/1972, la quale concedeva la possibilità agli organi del contenzioso
tributario di dichiarare non dovute le pene pecuniarie nelle ipotesi di obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di
applicazione delle disposizioni alle quali le violazioni si riferiscono (tale potere è oggi riconosciuto, come già nel precedente sistema
del contenzioso, dall’art. 8 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, alle Commissioni tributarie per la totalità dei tributi di competenza).
Tuttavia, l’art. 7, al secondo periodo del quarto comma (che sostituisce l’art. 46, terzo comma, secondo periodo, del D.P.R. n.
633/1972) ha previsto le seguenti due attenuazioni della stessa circostanza esimente per la mancata esportazione di beni acquistati
senza addebito d’imposta nelle c.d. operazioni triangolari:
1) sanzione base (dal cento al duecento per cento dell’imposta) ridotta alla metà se il superamento del limite consegue a mancata
esportazione, nei casi previsti dalla legge, da parte del cessionario o del commissionario;
2) sanzione che non si applica se l’imposta viene versata all’Ufficio competente entro trenta giorni dalla scadenza del termine per
l’esportazione, previa regolarizzazione della fattura.
13. L’art. 7 del D.Lgs. n. 471/1997 e la specificità delle sanzioni attuali in materia di plafond In particolare, con riguardo agli acquisti o importazioni senza pagamento d’imposta in mancanza dei presupposti, si osserva che il
precitato comma 4 dell’art. 7 prevede l’applicazione della sanzione dal cento al duecento per cento dell’imposta a carico di chi, in
mancanza dei presupposti previsti dalla legge (status di operatore agevolato, ecc.), dichiara all’altro contraente o in Dogana di volersi
avvalere della facoltà di acquistare o importare beni e servizi senza pagamento dell’imposta, ai sensi dell’art. 2, comma 2, della legge
n. 28/1997.
La stessa sanzione si applica anche a chi si avvale della suddetta facoltà oltre il limite consentito dal proprio “plafond” [costituito –
come si è visto – dall’ammontare complessivo delle cessioni e delle prestazioni di cui agli artt. 8, primo comma, lett. a) e b), 8-bis e 9
del D.P.R. n. 633/1972, delle cessioni intracomunitarie e delle prestazioni di servizi nei confronti di soggetti passivi di altro Stato
membro, non soggette ad imposta, a norma dell’art. 40, comma 9, del D.L. n. 331/1993, registrate per l’anno solare precedente o per i
dodici mesi precedenti (rispettivamente, plafond annuale e plafond mensile)].
La misura anzidetta sostituisce la più gravosa pena pecuniaria da due a sei volte l’imposta, prevista dall’art. 46, terzo comma, del
D.P.R. n. 633/1972, richiamato dall’art. 70, secondo comma, stesso decreto.
I cessionari, committenti od importatori, che hanno commesso le violazioni suddette, oltre che la sanzione sono anche tenuti, in
via esclusiva, a norma del secondo periodo del comma 3, al pagamento dell’imposta che avrebbe dovuto essere addebitata nei loro
confronti.
Va rilevato che, in relazione all’infrazione in esame, non è più operante la circostanza esimente prevista dall’art. 48, quinto
comma, del D.P.R. n. 633/1972 (tolleranza del 10% in ordine al superamento del “plafond”), espressamente abrogato dall’art. 16 del
D.Lgs. n. 471/1997.
14. Splafonamento e ravvedimento È opportuno evidenziare, inoltre, che nel nuovo ordinamento sanzionatorio tributario, l’istituto del ravvedimento c.d. operoso ha
trovato ormai una sistemazione organica ed una disciplina unitaria per tutti i tributi.
Difatti, la possibilità di regolarizzazione spontanea secondo le modalità previste dal combinato disposto dei commi 1, lett. b), e 2
dell’art. 13 del D.Lgs. n. 472/1997, riguarda, tra l’altro, tutti i casi di utilizzo del “plafond” oltre i limiti consentiti, comprese le ipotesi
in cui il superamento di detto limite sia avvenuto per effetto di un’operazione di importazione.
Per quanto concerne poi la mancata esportazione dei beni acquistati senza pagamento dell’imposta nelle c.d. operazioni
triangolari, si rileva che secondo quanto dispone l’art. 8, secondo comma, del D.P.R. n. 633/1972, l’operatore che abbia un plafond
costituito dall’ammontare delle “esportazioni triangolari”, ne può usufruire:
– integralmente, per gli acquisti di beni da esportare nello stato originario e nel termine di sei mesi dalla loro consegna (c.d.
plafond vincolato);
– nei limiti della differenza corrispettivi-costi, per gli acquisti di altri beni e servizi attinenti alla sua attività agevolata.
Orbene, se vengono superati i limiti di utilizzazione del plafond a causa della mancata esportazione da parte del cessionario o del
suo commissionario dei beni acquistati per essere esportati nello stato originario entro sei mesi, torna applicabile la sanzione dal
cinquanta al cento per cento dell’imposta relativa alle operazioni effettuate (sanzione prevista dal comma 4, secondo periodo,
dell’art. 7 del D.Lgs. n. 471/1997, in sostituzione della pena pecuniaria da due a quattro volte stabilita dall’art. 46, terzo comma,
secondo periodo, del D.P.R. n. 633/1972).
Nella stessa ipotesi, la sanzione non si applica se il cessionario, entro trenta giorni dalla scadenza del termine di sei mesi,
provvede a regolarizzare la fattura e a versare la relativa imposta.
La sanzione edittale è, invece, ridotta a un sesto del minimo in caso di regolarizzazione eseguita spontaneamente nel termine
19
previsto dall’art. 13, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n. 472/1997 .
È infine da evidenziare che gli operatori che si avvalgono della possibilità di acquistare beni o servizi senza applicazione del
tributo possono incorrere, oltre nella descritta fattispecie degli acquisti effettuati in misura eccedente il plafond disponibile, anche in
diverse ipotesi di violazioni sostanziali quali:
1. Acquisti effettuati senza averne diritto per mancato conseguimento della qualifica di esportatore abituale;
2. Acquisti di beni e servizi per i quali non sussiste il diritto alla detrazione a norma degli artt. 19 e 19-bis1 del D.P.R. n. 633/1972.
18
19
Ved. circ. n. 23/E/1999, cit.
Cfr. circ. n. 23/E/1999, cit.
15. Regolarizzazione dell’eccedenza Ci si domanda quale sia il procedimento di regolarizzazione delle operazioni per le quali sia stata rilasciata la dichiarazione
d’intento oltre il limite del plafond disponibile da parte dell’esportatore abituale.
20
L’Amministrazione finanziaria, con circolare 12 giugno 2002, n. 50/E , ha chiarito che l’acquisto di beni e servizi senza
l’applicazione dell’imposta effettuato utilizzando il plafond disponibile oltre il limite, secondo le indicazioni già fornite con circolare
21
17 maggio 2000, n. 98/E , può essere regolarizzato secondo tre distinte procedure: emissione di nota di variazione; emissione di
apposita autofattura; liquidazione IVA periodica.
In pratica, quindi, lo splafonamento è sanabile attraverso l’utilizzo di una delle procedure di seguito descritte:
1. Richiesta al fornitore (cedente o prestatore) di effettuare, ai sensi dell’art. 26 del D.P.R. n. 633/1972, le variazioni in aumento
dell’IVA non addebitata in fattura. In tal caso resta a carico dell’acquirente (esportatore abituale) l’obbligo del pagamento degli
interessi e delle sanzioni. Qualora la violazione non sia stata constatata o accertata, il contribuente può avvalersi del ravvedimento di
cui all’art. 13 del D.Lgs. n. 472/1997, con conseguente riduzione della sanzione.
2. In alternativa, l’esportatore abituale può regolarizzare l’infrazione, senza coinvolgere il fornitore, utilizzando la seguente
procedura:
– emissione di autofattura in duplice esemplare contenente gli estremi identificativi di ciascun fornitore, il numero progressivo di
protocollo delle fatture ricevute, l’ammontare eccedente il plafond e l’imposta che avrebbe dovuto essere applicata.
L’acquirente quindi deve:
– provvedere al contestuale versamento dell’imposta sugli acquisti eccedenti il plafond, oltre gli interessi e le sanzioni nella misura
ridotta ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. n. 472/1997, utilizzando il modello F24, con indicazione per l’imposta e gli interessi del codice
tributo del periodo in cui erroneamente è stato effettuato l’acquisto senza l’applicazione dell’IVA, e per le sanzioni il codice 8904 Sanzione pecuniaria IVA ravvedimento operoso;
– annotare l’autofattura nel registro degli acquisti, al fine di poter computare in detrazione l’imposta ivi liquidata;
– presentare l’autofattura al competente Ufficio locale dell’Agenzia delle entrate, secondo la procedura prevista dall’art. 6, comma
8, del D.Lgs. n. 471/1997, per regolarizzare gli acquisti senza ricevimento di fattura.
In tal modo, l’imposta regolarizzata confluirà nell’ammontare dell’imposta in detrazione della dichiarazione annuale e
nell’ammontare dei versamenti effettuati.
Tuttavia, al fine di evitare la doppia detrazione dell’imposta regolarizzata è necessario indicare nella dichiarazione annuale
l’imposta regolarizzata anche in una posta di debito (cioè sia tra gli acquisti che tra i versamenti).
3. La regolarizzazione può, infine, essere effettuata in sede di liquidazione periodica mediante la contabilizzazione della maggiore
imposta derivante dall’autofattura emessa e degli interessi dell’IVA a debito. Analogamente a quanto previsto nel precedente punto 2,
il cessionario o committente dovrà versare con il modello F24 la sanzione prevista dall’art. 7, comma 4, del D.Lgs. n. 471/1997,
presentare un esemplare dell’autofattura al competente Ufficio locale dell’Agenzia delle entrate e annotare la stessa nel registro degli
acquisti. Invece non sembra conforme allo spirito del sistema una procedura basata su una mera contabilizzazione in sede di
dichiarazione periodica, trattandosi di una “regolarizzazione” che prescinderebbe dall’emissione di un documento contabile
22
rettificativo dell’originaria fattura .
In definitiva, la dichiarazione annuale dovrà rispettare i risultati contabili derivanti dalle modalità di regolarizzazione.
La descritta procedura ha il pregio di non coinvolgere più il cedente o prestatore nella regolarizzazione dell’operazione, atteso che
la responsabilità circa la regolarità e correttezza della dichiarazione di intento (sulla quale si fonda l’operazione agevolata) e, quindi,
23
anche relativamente alla sussistenza di plafond ancora disponibile, incombe unicamente sull’acquirente del bene o del servizio .
Circa l’ipotesi di regolarizzazione ex art. 26 del D.P.R. n. 633/1972 di cui al precedente punto 1, la Corte di Cassazione ha affermato al
riguardo i seguenti principi:
– Nel caso di un esportatore abituale che abbia effettuato acquisti senza pagamento dell’IVA oltre i limiti consentiti dall’art. 8,
secondo comma, del D.P.R. n. 633/1972, la responsabilità dell’esportatore-cessionario non viene meno per effetto dell’annotazione
nel registro degli acquisti di note di variazione redatte dal medesimo e non collegate a fatture integrative emesse dal cedente, a
norma dell’art. 26, comma primo, del D.P.R. n. 633/1972 (nella specie il cessionario aveva inteso regolarizzare autonomamente la
posizione con l’emissione diretta delle note di variazione che poi aveva annotato nel registro degli acquisti, deducendo la relativa
24
imposta) ;
– In tema di IVA, e con riguardo alle cessioni all’esportazione di cui all’art. 8, primo comma, lett. c), del D.P.R. n. 633/1972,
qualora il contribuente non abbia provveduto alla regolarizzazione della posizione mediante la procedura di variazione di cui al
successivo art. 26, la mancanza di fatture passive registrate preclude il rimborso dell’IVA dovuta e versata a seguito del superamento
del “plafond”, derivando dalla mancanza delle fatture un evidente difetto di prova in ordine alla stessa sussistenza di un’imposta
25
detraibile . 16. Superamento del plafond e detrazione IVA A questo punto è doveroso interrogarsi ancora se, in seguito all’avvenuto superamento del plafond all’importazione denunciato
dallo stesso contribuente, si ritenga detraibile o meno la relativa imposta.
26
Con circolare n. 54/E del 19 giugno 2002 l’Agenzia delle entrate, nella fattispecie prospettata, ha ritenuto detraibile l’imposta in
questione, in quanto costituisce IVA gravante su un’operazione di importazione regolarizzata dal contribuente. Naturalmente, anche
in tale ipotesi dovranno essere osservati i principi che caratterizzano la disciplina del diritto a detrazione e, in modo particolare, i
limiti derivanti da un eventuale pro-rata, in presenza di operazioni esenti effettuate dal medesimo soggetto (art. 19-bis del D.P.R. n.
633/1972) e i limiti di indetraibilità oggettiva per alcune categorie di beni e servizi di cui al successivo art. 19-bis1.
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In Boll. Trib., 2002, 912.
In Boll. Trib., 2000, 826.
Cfr. circ. n. 98/E/2000, cit.
Cfr. circ. n. 98/E/2000, cit.
Cfr. Cass., sez. trib., 16 febbraio 1998, n. 1648, in Boll. Trib. On­line.
Cfr. Cass., sez. trib., 9 febbraio 2007, n. 2939, in Boll. Trib. On­line.
In Boll. Trib., 2002, 991.
L’Amministrazione finanziaria ritiene anche al riguardo che in tutti i casi di autodenuncia di avvenuto utilizzo del plafond IVA
all’importazione in eccedenza si rende applicabile l’istituto del ravvedimento “operoso” di cui all’art. 13 del D.Lgs. n. 472/1997, nella
forma prevista dal comma 1, lett. b), assunto peraltro confortato dal convergente orientamento espresso dalla Corte di Cassazione
27
nella sentenza 3 aprile 2000, n. 3986 , ove è stata ritenuta applicabile, nella fattispecie in esame, la sopravvenuta disciplina organica
28
che regola il sistema sanzionatorio tributario di cui ai decreti legislativi nn. 471 e 472/1997 .
Naturalmente resta fermo il principio che non possono essere acquistati senza applicazione dell’imposta i beni ed i servizi per i
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quali l’imposta IVA è indetraibile ai sensi degli artt. 19 e seguenti del D.P.R. n. 633/1972 .
Dott. Salvatore Servidio
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In Giur. imp., 2000, 991.
Cfr. ris. dell’Agenzia delle dogane 27 dicembre 2001, n. 102985, in Boll. Trib. On­line. Cfr. circ. n. 145/E/1998, cit.
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