ferruccio de bortoli Il «cortile dei Gentili» è il luogo del dialogo, della tolleranza, ma soprattutto dell’ascolto. Nell’antica Gerusalemme era uno spazio concesso dagli ebrei ai pagani, da loro considerati non credenti. Gli uni potevano vedere gli altri, ma un muro divisorio li separava. Questo muro ha resistito a lungo e anche oggi è fatto di pregiudizi e di incomprensioni. Benedetto xvi ha affidato la missione del moderno «Cortile dei Gentili» al Pontificio Consiglio della Cultura, le cui iniziative in questi anni sono state come sapete molteplici e apprezzate. L’ultima 31 Ravasi_testo.indd 31 28/01/13 10.02 giorgio napolitano · gianfranco ravasi nella più secolarizzata delle democrazie, la Svezia. La circostanza del tutto eccezionale nell’anno della Fede, che un incontro del Cortile si svolga ad Assisi – il luogo dello spirito e del messaggio francescano, la cattedra del dialogo interreligioso, il cenacolo della pace tra i popoli –, aggiunge un significato particolare: il segno di un evento che resterà nella memoria di molti. Il tema dell’incontro è Dio, questo sconosciuto. Un dialogo fra credenti e non credenti. Lo spirito del Cortile e lo spirito di Assisi si fondono nell’esaltazione della virtù e dell’umiltà del dialogo aperto a tutti, senza distinzioni, senza gradi e senza gradini, e nella città umbra è come essere spogliati dei rispettivi ruoli, tutti. Quest’anno ricorre poi il cinquantesimo anniversario del Concilio Vaticano ii, che aprì la Chiesa alla modernità e al dialogo tra le fedi e soprattutto tra credenti e non credenti. 32 Ravasi_testo.indd 32 28/01/13 10.02 il dio ignoto Giovanni xxiii indicò nel dialogo ecumenico una prassi attraverso la quale ricomporre le asperità e le fratture di un mondo in rapido cambiamento. Quel metodo, che consisteva e consiste nel ricercare ciò che ci unisce, mettendo da parte senza ovviamente rinnegare quello che divide credenti e non credenti, conserva una grande attualità. Possiamo dire che è un metro che misura la saggezza e che non sente l’usura del tempo e agevola il costante incontro tra due tradizioni culturali che si rispettano e si ascoltano nel solco della comune radice giudaico-cristiana e non si rifugiano nell’affermazione gridata e talvolta assurda delle diverse identità. Il cortile non è un’arena, non è uno studio televisivo e nemmeno una variopinta blogosfera. Il filosofo francese Luc Ferry, che è stato anche un poco fortunato ministro dell’Istruzione del governo francese, 33 Ravasi_testo.indd 33 28/01/13 10.02 giorgio napolitano · gianfranco ravasi ha scritto, naturalmente sul versante laico, che «dopo la morte delle grandi utopie che inserivano le nostre azioni nell’orizzonte di un vasto disegno», spesso sbagliato e sanguinoso, aggiungiamo noi, «la questione del senso non trova più un luogo dove esprimersi e resta confinata nell’intimità più stretta della vita privata, spesso sfociando nell’individualismo più sfrenato e nell’egoismo più cieco». Un controverso scrittore italiano del Novecento, Giovanni Papini, inizialmente ateo così convinto e tenace da indirizzare parte dei suoi studi filosofici alla negazione di Dio e alla irrilevanza della Fede, a un certo punto riconobbe di non avere la pietra di una certezza su cui posare il capo. Bene: queste espressioni laiche, molto diverse per parole e per tempi, esemplificano a mio avviso la condizione dell’uomo moderno nel suo rapporto, in qualunque 34 Ravasi_testo.indd 34 28/01/13 10.02 il dio ignoto modo esso avvenga, con il trascendente e con Dio. Senza apparire irriverenti vorrei richiamare, in conclusione, anche un piccolo libretto di Paolo De Benedetti dal titolo La memoria di Dio, in cui si ricorda la presenza nell’antico tempio degli «svegliatori», figure in seguito abolite, che avevano il compito di svegliare Dio perché, dice sul versante ebraico De Benedetti, anche Dio può dormire e qualche volta, davanti alle tragedie del Novecento, persino i credenti possono averlo sospettato. La metafora o la provocazione di De Benedetti serve a ricordare che il rapporto è bilaterale, che chi crede sa di essere ascoltato e sa di non essere solo, e ciò lo impegna a cercare costantemente questo rapporto, ogni giorno; ma ci richiama anche all’esigenza di avere, in una dimensione più modesta e terrena, altri «svegliatori» delle nostre coscienze, 35 Ravasi_testo.indd 35 28/01/13 10.02 giorgio napolitano · gianfranco ravasi senza l’arrogante pretesa di rivolgersi a Dio, ma con la missione terrena di parlare al cuore dei propri simili. giorgio napolitano È da lungo tempo che Assisi è divenuta anche per me luogo-simbolo del dialogo e della pace, offrendomi occasioni d’incontro che ho sempre accolto e accolgo quasi per rispondere a un intimo bisogno di raccoglimento, sfuggendo alla pressione incessante di doveri e di assilli da cui si rischia di non riuscire a sollevare lo sguardo e la mente. Pace tra i popoli, pace come coesione solidale in seno alla società, dialogo interreligioso, dialogo tra credenti e non credenti. In questo spirito, nell’Assisi di Francesco, nel moderno «Cortile dei Gentili», mi sento di poter dare il contributo di 36 Ravasi_testo.indd 36 28/01/13 10.02 il dio ignoto riflessione che sono stato invitato a offrire all’attenzione del cardinale Ravasi – in un rapporto di empatia come quello già stabilitosi tra noi – e all’attenzione di voi tutti. Nel dialogo tra credenti e non credenti – sempre prezioso in vista del bene comune da perseguire in questa così travagliata nostra Italia – io rappresento, nella funzione che attualmente esercito al vertice delle istituzioni, e solo in questo senso non mi spoglio del mio ruolo, gli uni e gli altri, credenti e non credenti, come cittadini, come italiani, e tendo a unirli. A ciò corrisponde il mio mandato, così come lo interpreto e lo vivo. È d’altronde dalla schiettezza del dialogo, e da un suo esito fruttuoso, che possono venire stimoli e sostegni nuovi per una ripresa di slancio ideale e di senso morale, della quale ha avuto bisogno la nostra comunità nazionale oggi come in pochi altri 37 Ravasi_testo.indd 37 28/01/13 10.02 giorgio napolitano · gianfranco ravasi momenti, da quando ha ritrovato, con la democrazia, la sua libertà. Ed è giusto che il dialogo affronti anche temi complessi e ardui attorno ai quali i punti di vista dei credenti e dei non credenti possono presentare più difficoltà a incontrarsi. A me naturalmente sarà consentito di esprimermi qui a titolo più strettamente personale, richiamando espressioni di cultura e di pensiero che ho trovato, in diversi periodi della mia vita, più congeniali alla mia ricerca di risposte. Voi conoscete il mio percorso e il suo punto di partenza, da giovane che si guardava attorno e si apriva al futuro negli anni Quaranta dello scorso secolo, e non vi stupirete quindi dell’approccio storico-politico di questo mio intervento. Ricomincio da un dato fondamentale, che è questo: l’Italia risorse, sulle rovine del fascismo, a libertà e democrazia in uno 38 Ravasi_testo.indd 38 28/01/13 10.02 il dio ignoto straordinario moto di avvicinamento tra ispirazioni ideali e politiche diverse e apparentemente inconciliabili, ma in effetti già incontratesi nel crogiuolo dell’antifascismo. E così, nel porre le basi – princìpi e regole condivisibili – di una nuova convivenza e crescita civile e sociale, nessun muro tra posizioni dei credenti e dei non credenti sbarrò la strada alle forze politiche rappresentative delle une e delle altre posizioni, come testimonia la storia dell’Assemblea Costituente. Ciò fu possibile perché si attinse – mi approprio di un’espressione del cardinale Ravasi in un nostro recente scambio di opinioni – a «un’antropologia di base», a valori da essa ricavabili, e nello stesso tempo si attinse a un’evoluzione convergente di molteplici scuole di pensiero e dottrine politiche. Comune divenne – nel serissimo impegno di elaborazione e di confronto che an39 Ravasi_testo.indd 39 28/01/13 10.02 giorgio napolitano · gianfranco ravasi cora ci rende ammirati e riconoscenti verso l’opera dei nostri padri costituenti – il valore e l’obiettivo del «pieno sviluppo della persona umana». A esso, e ai «diritti inviolabili» – è l’articolo 3, prima era l’articolo 2 della Costituzione – e ai «diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità», si ancorò l’edificio della Costituzione repubblicana. Eloquente sintesi di quell’evoluzione convergente di cui ho detto, resta questa pagina di Leopoldo Elia, non dimenticato grande costituzionalista e Presidente della Corte Costituzionale. Scrisse Elia: «Si ritiene» – il riferimento è alla posizione che emerge nell’Assemblea Costituente – «di poter sostituire all’homo oeconomicus dell’economia liberale una figura di uomo, la persona umana appunto, qualificata dalla sua disponibilità a solidarizzare con le 40 Ravasi_testo.indd 40 28/01/13 10.02 il dio ignoto altre persone per il bene della comunità e, soprattutto, della comunità nazionale. A questo fine» – proseguiva Elia – «è abbastanza indifferente che all’atteggiamento personalista si pervenga partendo da basi dottrinali cattoliche, dal liberal-socialismo o da una cultura liberal-democratica più matura, o dal ripensamento delle esperienze del New Deal e del movimento laburista Nordeuropeo. Ciò che conta è l’affermarsi di un’ideologia costituente in nuce, che trova maggiori consensi nella cultura cattolica e in alcuni ambienti della cultura laica, ma che si presenta con formulazioni tali da valorizzare punti di convergenza, e non di antitesi, con la cultura della sinistra marxista». Così Elia, e ho voluto citare questo suo bellissimo brano per mettere in luce convergenze ideali, di principio, emerse e affermatesi nel dibattito del 1946-47. Perché 41 Ravasi_testo.indd 41 28/01/13 10.02 giorgio napolitano · gianfranco ravasi invece, tra le convergenze di grande significato di cui è ricca la storia dell’Assemblea Costituente, si ricorda soprattutto quella, essenzialmente politica, dell’articolo 7.3 Ma in materia di valori fondamentali si parlò, per esempio, di incontro tra due solidarismi, quello cristiano e quello socialista. Peraltro, a mio avviso, va anche ricordato, e invece raramente lo si fa, un momento di improvvisa tensione che insorse a conclusione del lungo processo di elaborazione della Carta Costituzionale. Quando si era ormai concluso l’esame di tutti gli articoli e non restava che procedere all’approvazione finale della Carta, l’onorevole La Pira chiese di parlare – era il 22 dicembre del 1947 –4 per proporre all’Assemblea che il testo fosse preceduto da «una brevissima formula» – egli disse – «di natura spirituale»: «In nome di Dio il popolo italiano si dà la presente Costituzione». 42 Ravasi_testo.indd 42 28/01/13 10.02 il dio ignoto Apparve subito chiaro che la proposta non avrebbe ottenuto il consenso, immaginato o sperato da La Pira, della grande maggioranza, se non dell’unanimità, dell’Assemblea. Lo fecero intendere gli interventi dell’onorevole Togliatti e dell’onorevole Calamandrei, se pur diversamente motivati. A sua volta, Francesco Saverio Nitti, uomo dell’Italia liberale prefascista, rilevò con accenti accorati il delinearsi di una divisione profonda: «Perché» – si chiese – «ci dovremmo dividere sul nome di Dio? Il nome di Dio è troppo grande e le nostre contese sono troppo piccole». L’onorevole La Pira, confermando la nobiltà della sua iniziativa, d’altronde tutt’affatto personale, comprese che potevano prodursi «motivi di screzio profondo, di disunione tra gli animi», aggiunse che ciò sarebbe andato «contro il punto di vista dal quale era partito» e finì per desistere. 43 Ravasi_testo.indd 43 28/01/13 10.02 giorgio napolitano · gianfranco ravasi Colpisce, nel rileggerlo ancora oggi, l’intervento che pronunciò, nel corso di quel breve dibattito, Concetto Marchesi, illustre uomo di cultura e in quella legislatura deputato del Partito Comunista. Togliatti aveva parlato, intervenendo prima di lui, in termini che possiamo definire del tutto inappropriati, di un «solco ideologico» che, con il voto sulla formula, La Pira si sarebbe scavato, in quanto essa «si richiamava a determinate ideologie». Furono queste, invece, le parole di Marchesi: «Ho sempre respinto nella mia coscienza la ipotesi atea, che Dio sia un’ideologia di classe. Dio è nel mistero del mondo e delle anime umane. È nella luce della rivelazione per chi crede; nell’inconoscibile e nell’ignoto per chi non è stato toccato da questo lume di grazia. Ho detto testé al collega La Pira che questo mistero, questo supremo mistero dell’universo, non può essere risolto in 44 Ravasi_testo.indd 44 28/01/13 10.02 il dio ignoto un articolo della Costituzione, in un articolo della Costituzione che riguarda tutti i cittadini, quelli che credono, quelli che non credono, quelli che crederanno». Quando, dieci anni dopo, Marchesi morì e fu commemorato alla Camera – nel 1957, io ero allora già deputato –, mi colpì il fatto che proprio Togliatti riconoscesse e sottolineasse nel suo discorso commemorativo che Marchesi «non negava il mistero», tanto da affermare che «oltre la realtà tangibile e sperimentabile, c’è l’ignoto e l’inconoscibile». In realtà, la professione di marxismo che pure veniva da Marchesi era mediata dal suo umanesimo di sommo interprete della classicità latina e di finissimo studioso, tra l’altro e in modo particolare, del pensiero di Seneca, della sua dottrina morale e del suo rapporto con il cristianesimo. Ma è anche alla luce di altre testimonianze di 45 Ravasi_testo.indd 45 28/01/13 10.02 giorgio napolitano · gianfranco ravasi pensiero laico che il riferimento alla dimensione del mistero mi è parso, sempre di più, collocarsi su una linea di confine nella distinzione e nel dialogo tra credenti e non credenti. Le testimonianze si trovano talvolta in scritti di particolare intimità, piuttosto che in trattazioni sistematiche di certi autori. Penso per esempio alle parole delle ultime volontà di Norberto Bobbio, scritte nel 1999 e rese pubbliche nel gennaio del 2004 all’indomani della sua morte. Cito: «Vorrei funerali civili. Credo di non essermi mai allontanato dalla religione dei padri, ma dalla Chiesa sì. Me ne sono allontanato ormai da troppo tempo per tornarvi di soppiatto all’ultima ora. Come uomo di ragione e non di Fede, so di essere immerso nel mistero, che la ragione non riesce a penetrare sino in fondo, e le varie religioni interpretano in vari modi». 46 Ravasi_testo.indd 46 28/01/13 10.02 il dio ignoto Riconoscimento, dunque, della dimensione del mistero, e dell’inadeguatezza della ragione a penetrarlo sino in fondo: vedo qui un senso del limite che aiuta nell’intento – dichiarato da Benedetto xvi nel complesso e profondo discorso di Regensburg – di «superare la limitazione autodecretata della ragione a ciò che è verificabile nell’esperimento», di «dischiudere a essa nuovamente tutta la sua ampiezza», così che possano «ragione e Fede ritrovarsi unite in modo nuovo». Tornando a quelle scarne, così essenziali «ultime volontà» di Bobbio, possiamo cogliere anche un altro spunto che ci interessa: il modo in cui personalità portatrici di una visione laica si sono venute autodefinendo nel rapporto con Dio e con la Fede. «Né ateo né agnostico», dice di sé il Bobbio che ho citato. E mi torna alla mente, per la particolare consuetudine che ho da 47 Ravasi_testo.indd 47 28/01/13 10.02 giorgio napolitano · gianfranco ravasi lungo tempo con l’opera di un grande, di questo grande della cultura e letteratura europee del Novecento, il modo in cui si definisce Thomas Mann nello scrivere del suo incontro a Roma, nel 1953, con Pio xii: «Il non credente ed erede della cultura protestante piegò senza alcuna difficoltà interiore il ginocchio davanti a Pio xii e baciò l’anello del Pescatore, poiché non era a un uomo e a un uomo politico che io mi genuflettevo, bensì a un idolo candido, il quale, circondato dal più austero cerimoniale sacro e aulico, impersonava con mitezza un poco sofferente due millenni di storia occidentale». «Il non credente ed erede della cultura protestante», già insuperato narratore della saga biblica di Giuseppe e dei suoi fratelli, seppe rendere omaggio, con alto senso storico, alla figura del pontefice romano. Singolare appare invece, per semplicità 48 Ravasi_testo.indd 48 28/01/13 10.02 il dio ignoto colloquiale, anche se letterariamente impreziosita, l’invocazione di Dio da parte del più eminente pensatore laico italiano dello scorso secolo, Benedetto Croce, che in una lettera personale del 1949 scrisse ad Alcide De Gasperi: «Che Dio ti aiuti (perché anch’io credo, a modo mio, “a quel che a tutti è Giove”, come diceva Torquato Tasso): che Dio ti aiuti nella buona volontà di servire l’Italia e di proteggere la sorte pericolante della civiltà, laica o non laica che sia». Non deve scandalizzare quel «credo, a modo mio» del Croce: ne coglierei il senso di misura e di rispetto che ha caratterizzato l’atteggiamento di personalità tra le maggiori del mondo laico italiano verso la sfera della Fede e verso il fatto religioso. E come non cogliere poi la religiosità del Soliloquio che Croce pubblicò un anno prima di lasciarci? Cito: «La morte sopravverrà a metterci in riposo, a toglierci dal49 Ravasi_testo.indd 49 28/01/13 10.02 giorgio napolitano · gianfranco ravasi le mani il compito a cui attendevamo; ma essa non può fare altro che così interromperci, come noi non possiamo fare altro che lasciarci interrompere, perché in ozio stupido essa non ci può trovare. Vero è» – prosegue Croce – «che la preparazione alla morte è intesa da taluni come un necessario raccoglimento della nostra anima in Dio; ma anche qui occorre osservare che con Dio siamo e dobbiamo essere a contatto in tutta la vita, e niente di straordinario ora accade che c’imponga una pratica inconsueta. Le anime pie di solito non la pensano così, e si affannano a propiziarsi Dio con una serie di atti che dovrebbero correggere l’ordinario egoismo della loro vita precedente, e che invece sono l’espressione ultima di questo egoismo.» Come si vede, è in special modo in riflessioni sul tema del rapporto tra vita e morte, o sul tema dell’oltrevita, che riaffiorano tra 50 Ravasi_testo.indd 50 28/01/13 10.02 il dio ignoto i laici atteggiamenti problematici. Così ancora Bobbio, nel suo De senectute, scrive: «Quando dico che non credo alla seconda vita, non intendo affermare nulla di perentorio. Voglio dire soltanto che mi sono sempre parse più convincenti le ragioni del dubbio che non quelle della certezza». Quale considerazione traggo in definitiva da questa mia rapida perlustrazione? La considerazione di un senso del limite e di un’apertura della nostra tradizione laica, che hanno favorito in Italia un clima di dialogo e di comprensione tra credenti e non credenti più che in altri Paesi dell’Europa occidentale. Si tratta, naturalmente, anche di un fattore concorrente all’evoluzione dei rapporti tra Stato e Chiesa nel quadro di riferimento offerto dalla Costituzione repubblicana. L’impegno – sancito nel 1984 nell’Accordo di revisione del Concordato – «alla reciproca 51 Ravasi_testo.indd 51 28/01/13 10.02 giorgio napolitano · gianfranco ravasi collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese», ha conosciuto sviluppi concreti, in un’atmosfera fiduciosa, ed è destinato ad assumere oggi contenuti nuovi, a rispondere a nuove sfide. La società italiana sta attraversando una fase di profonda incertezza e inquietudine, nella quale forse sarebbe da rivisitare e più fortemente affermare la nozione di «bene comune» o quella di «interesse generale». E ciò non solo per proseguire, rafforzandola, la collaborazione tra Stato e Chiesa nell’ottica dell’Accordo del 1984, ma per suscitare tra gli italiani una più diffusa presa di coscienza e mobilitazione morale e civile. La profonda incertezza e inquietudine di cui dicevo nasce certamente dall’asprezza delle prove cui l’Italia, al pari di altri Paesi, è sottoposta per effetto della crisi finanziaria ed economica nel contesto di un’Europa non 52 Ravasi_testo.indd 52 28/01/13 10.02 il dio ignoto abbastanza unita, solidale e lungimirante. E quel che in Italia acuisce l’incertezza, e produce grave disorientamento, è l’inadeguatezza del quadro politico a offrire punti di riferimento e prospettive, percorso com’è da spinte centrifughe e tendenze alla frammentazione. Per non parlare dei fenomeni di degrado del costume e di scivolamento nell’illegalità che, insieme con annose inefficienze istituzionali e amministrative, provocano un fuorviante rifiuto della politica. Quel che rischia di perdersi è proprio il senso del «bene comune», dell’«interesse generale», che dovrebbe spingere a una larghissima assunzione di responsabilità, a ogni livello della società, in funzione dei cambiamenti divenuti indispensabili non solo nel modo di essere delle istituzioni, ma nei comportamenti individuali e collettivi, nei modi di concepire benessere e progresso e di cooperare 53 Ravasi_testo.indd 53 28/01/13 10.02 giorgio napolitano · gianfranco ravasi all’avvio di un nuovo sviluppo del Paese nel quadro dell’Europa unita, uno sviluppo sostenibile da tutti i punti di vista. Tutto ciò richiede una straordinaria concentrazione e convergenza di sforzi, a opera di credenti e non credenti, come accadde nel clima dell’Assemblea Costituente. Sforzi tesi soprattutto a rianimare senso dell’etica e del dovere, a diffondere una nuova consapevolezza dei valori spirituali, dei doni della cultura, dei benefici della solidarietà, che soli possono elevare la condizione umana. Concentrazione e convergenza di sforzi che rischierebbero di diventare più ardue, se non compromesse, dall’insorgere di contrapposizioni tra forze che si ponessero come rappresentanti sul terreno politico dei credenti o degli osservanti da un lato, dei non credenti o non osservanti dall’altro, in particolare su questioni controverse e delicate inerenti a 54 Ravasi_testo.indd 54 28/01/13 10.02 il dio ignoto scelte soggettive delle persone e dei rispettivi nuclei familiari. Mi auguro perciò sia possibile affrontare tali questioni fuori di antitetiche rigidità pregiudiziali e forse anche di forzose strettoie normative. Abbiamo bisogno in tutti i campi di apertura, di reciproco ascolto e comprensione, di dialogo, di avvicinamento e unità nella diversità. Abbiamo bisogno, cioè, dello spirito di Assisi. gianfranco ravasi Il muro del Tempio Abbiamo ascoltato dal Presidente Giorgio Napolitano un discorso coerente e carico di passione, straordinario per intensità di cuore e di mente, nonché per singolare finezza umana e intellettuale. Perciò, ho pensato di scegliere due simboli: uno pre55 Ravasi_testo.indd 55 28/01/13 10.02 giorgio napolitano · gianfranco ravasi sente nello stesso discorso di Napolitano in maniera esplicita, l’altro, invece, solo evocato dal direttore Ferruccio de Bortoli. Due immagini che stanno al centro dell’esperienza del «Cortile dei Gentili», che ormai sta crescendo sempre di più e ottiene risultati sorprendentemente positivi, nonostante i timori che ci assalgono a ogni nuova tappa. Penso, per esempio, all’evento di Stoccolma dell’ottobre 2012, in un Paese, la Svezia, profondamente e radicalmente secolarizzato, di matrice luterana e, nello stesso tempo, di tradizione assolutamente interetnica. Una «logistica» culturale molto delicata, quindi, soprattutto quando penso al momento in cui sono dovuto intervenire nell’austera e solenne Accademia Reale delle Scienze, sede della cerimonia del premio Nobel, in cui si respira una laicità lontana anni luce da quella che attraversa, fungendo quasi da 56 Ravasi_testo.indd 56 28/01/13 10.02 il dio ignoto habitat privilegiato, il discorso del nostro Presidente. Ora, il «Cortile dei Gentili» ha un simbolo di base da identificare: è paradossalmente un muro. Il «cortile», in realtà, farebbe pensare a uno spazio dove si incrociano volti e sguardi, si intrecciano in libertà persone, relazioni e scambi. Infatti, come ricordava il direttore de Bortoli, nel tempio di Gerusalemme gli ebrei guardavano negli occhi tanti altri volti, diversi tra loro e differenti da quelli ebraici, eppure accomunati dal tratto umano. In quel luogo così aperto, però, era stato eretto un muro di separazione, scoperto nel 1871 da un archeologo francese, Charles Simon Clermont-Ganneau, che lo ha identificato grazie a due targhe di marmo rinvenute su quel muro divisorio. Una, conservata nel Museo archeologico di Istanbul, riporta una scritta in greco che comminava la pena 57 Ravasi_testo.indd 57 28/01/13 10.02 giorgio napolitano · gianfranco ravasi di morte a tutti i pagani che avessero osato varcare quel confine ed entrare nello spazio sacro. In questo modo, la separatezza tra il palazzo e il tempio era totale e assoluta. Ci si guardava e si ascoltavano le parole gli uni degli altri ma, alla fine, le mani non potevano assolutamente stringersi, come avviene, invece, nel nostro «Cortile». Questo incontro è, invece, un frutto maturo colto dall’albero del cristianesimo. Infatti Cristo è rappresentato, direi quasi «sceneggiato», da Paolo (cfr Ef 2,11-18)5 nell’atto di abbattere il muro di separazione esistente tra i due popoli, «facendo dei due un solo popolo». Credo sia il compito principale affidatoci: ricordare che esiste una base comune infinitamente superiore alle distinzioni, pur necessarie. Siamo tenuti ad affermare l’identità delle culture e delle prospettive, senza negare la comune radice umana. Einstein, alle soglie della 58 Ravasi_testo.indd 58 28/01/13 10.02 il dio ignoto morte, diceva agli scienziati: dimenticate pure tutte le formule matematiche, non temete se scordate i moduli più complessi della scienza, quello che non dovete mai trascurare è l’umanità, componente indispensabile affinché tutte le voci possano interloquire in modo armonioso nel dialogo universale del genere umano. La parola «dialogo», un termine quasi «magico», ha, sia in greco sia in italiano, almeno due accezioni. Da un lato, il dialogo è soprattutto l’incrocio (dià-) tra due lógoi diversi, tra due discorsi con articolazioni e sfumature proprie. Dall’altro lato, vuol dire scendere in profondità (dià-) nel discorso (lógos), attraverso un confronto serio e rigoroso che, purtroppo, ai nostri giorni è sempre più latitante. In proposito, richiamo una battuta molto ironica, della tradizione giudaica, che troviamo spesso declinata all’interno dell’esperienza della comunica59 Ravasi_testo.indd 59 28/01/13 10.02 giorgio napolitano · gianfranco ravasi zione quotidiana: «Lo stolto dice quel che sa, il sapiente sa quel che dice». Per questo motivo, quando un discorso è articolato e proposto con sapienza e autorevolezza, e non con l’unico scopo di emettere dei suoni, lo stare insieme acquista un sapore diverso. Perciò, il consenso tributato al Presidente Napolitano non dipende soltanto dal fatto che egli rappresenta un simbolo dei valori attorno ai quali ci ritroviamo in tanti (la Costituzione italiana, per esempio, in particolare nella sua matrice profonda, intessuta su identità diverse), ma soprattutto perché si vuole manifestare l’apprezzamento di trovarsi finalmente di fronte a un discorso che ha in sé una carica profonda, un messaggio, un lógos riconoscibile e riconosciuto. Gli «svegliatori» della coscienza Il secondo simbolo è collegato all’introduzione del direttore de Bortoli, e mi consen60 Ravasi_testo.indd 60 28/01/13 10.02 il dio ignoto te di richiamare alla memoria l’immagine degli «svegliatori», shomrîm in ebraico, figura tipica del mondo biblico, in particolare della preghiera dei Salmi. Essa è riconducibile al ruolo di chi, nella notte, aveva il compito di vegliare e svegliare, un impegno proprio sia della sentinella sia dei sacerdoti oranti nel Tempio. Lo stesso termine lo ritroviamo nelle parole di Cristo e nei testi di Paolo. Cristo, infatti, invita a vegliare e a essere svegli, «perché non sapete quando è il momento» (Mc 13,33). Dovremmo, quindi, essere abitati da una sorta di tensione, che ai nostri giorni, purtroppo, si è di molto allentata, così da non smarrire la categoria di futuro e il principio della speranza, riducendoci a guardare esclusivamente all’immediato. Gesù, poi, conclude il suo monito, dopo averlo spiegato con una parabola, in modo perentorio: «Quello che dico a voi, lo dico a tut61 Ravasi_testo.indd 61 28/01/13 10.02 giorgio napolitano · gianfranco ravasi ti: vegliate! («state svegli», letteralmente)» (Mc 13,37). Anche san Paolo, nella Lettera ai Romani (13,11-13),6 evoca la medesima immagine, parlando di un’alba che sta per sorgere e che non consente più di dormire. Il richiamo forte e coraggioso del Presidente alla moralità e al bene comune ci spinge a riscoprire le grandi domande, a ravvivare una sana inquietudine interiore. A questo proposito cito spesso una frase di Oscar Wilde, scrittore inglese nato a Dublino, dal profilo morale un po’ discutibile, ma dotato di una incisività quasi chirurgica, soprattutto con i suoi motti: «A dar risposte sono capaci tutti, ma a porre le vere domande ci vuole un genio». Effettivamente, le domande sul senso dell’esistenza, sulla vita e sulla morte, sulla verità, sull’amore, sul male, sul dolore, sono radicali e reclamano il loro legittimo spazio e il loro irrinunciabile ruolo di «risvegliatrici» delle coscienze. 62 Ravasi_testo.indd 62 28/01/13 10.02 il dio ignoto Settant’anni fa, per esempio, eravamo sotto un cielo plumbeo, da cui si vedevano cadere più bombe che stelle, l’Europa presentava il suo volto striato di sangue, mentre due personaggi folli, inquietanti e immorali, Hitler e Stalin, dominavano il mondo. La guerra dilagava, trascinando con sé, in una corrente di miseria e di dolore, milioni di persone. Oggi non siamo più a quel livello, però abbiamo contratto una malattia peggiore, l’amoralità, la totale indifferenza verso tutti e verso tutto, condita da dosi industriali di superficialità e banalità, che tinge ogni cosa di grigio, avvolgendoci in una fitta nebbia e ottundendo la capacità di distinguere il bianco e il nero, il bene e il male, il giusto e l’ingiusto, il vero e il falso. L’approdo verso cui conduce l’assenza totale di moralità è la deriva estrema dell’orgoglio, dell’arroganza sprezzante nel mostrarsi immorali, 63 Ravasi_testo.indd 63 28/01/13 10.02