La neosporosi del bovino: aggiornamento su una malattia emergente di S. Magnino, C. Bandi, P.C. Vigo, C. Bazzucchi, I. De Giuli, M. Fabbi, C. Genchi Allevamento suini SPF (Specific Pathogen Free) e loro utilizzo nella pratica biomedica di G. Cardeti, G. Lombardi 1 La neosporosi del bovino: aggiornamento su una malattia emergente Da circa un decennio Neospora caninum, un protozoo simile per morfologia e caratteri antigenici a Toxoplasma gondii, è stato riconosciuto come uno degli agenti di aborto infettivo bovino maggiormente diffusi in tutto il mondo. La malattia - denominata neosporosi - si manifesta nelle aziende bovine in forma endemica o epidemica. Nel primo caso, l’anamnesi prossima e quella remota riferiscono il rilievo persistente di una elevata percentuale di aborti in azienda (superiore al 5%), mentre nella forma epidemica la malattia si manifesta con la comparsa di aborti simultanei o in rapida successione per lo più nelle bovine intorno al 4°6° mese di gravidanza, talvolta con mummificazione del feto, senza altra sintomatologia nell’animale adulto; talvolta la percentuale di bovine gravide che abortiscono nell’ambito del focolaio può arrivare perfino al 2030%, nel giro di qualche settimana. Raramente, qualche vitello delle aziende infette può presentare decubito e paralisi del treno posteriore senza compromissione del sensorio, ma il più delle volte gli animali neonati e giovani, benché infetti, non manifestano alcun sintomo di malattia. Altre specie animali nelle quali è nota l’infezione naturale da N. caninum sono il cane, la pecora, la capra, il suino, il piccione. Si discute invece se soltanto una specie correlata, denominata Neospora hughesii, sia in grado di infettare il cavallo. La trasmissione della neosporosi bovina avviene in larga prevalenza per via verticale, dalla madre al feto, attraverso la placenta; questa modalità è particolarmente efficiente, in quanto permette di spiegare più del 95% dei casi degli aborti nei quali è dimostrabile la presenza del protozoo. Appare invece decisamente minoritaria (inferiore al 5%) la quota di infezione postnatale, ad opera probabilmente di oocisti sporulate presenti nell'ambiente poiché eliminate dal cane. Il ruolo del cane nella trasmissione della neosporosi è stato peraltro accertato solo in laboratorio e non ancora verificato in situazioni di campo; rimane inoltre da indagare la possibilità di infezione del bovino tramite ingestione di altri stadi vitali infettanti del parassita, da fonti non identificate (altre specie animali ospiti?). Come conseguenza di queste modalità di trasmissione, in azienda si vengono quindi a costituire nel tempo alcune linee familiari di bovine persistentemente infette, nelle quali l'infezione si trasmette da una generazione (madri) alle successive (figlie e nipoti). L'identificazione di queste linee familiari costituisce la premessa per l'allontanamento dei capi infetti e la ricostituzione di un gruppo indenne costituito da famiglie non infette. L’attuazione di piani di risanamento nei confronti della malattia è giustificato, se si considera che le bovine infette da N. caninum presentano un rischio di abortire almeno triplo rispetto a bovine non infette. Diagnosi In presenza dunque di un eccesso di aborti in azienda e una volta avanzato il sospetto diagnostico di neosporosi sulla base dell’anamnesi, dell’epidemiologia e degli aspetti clinici rilevati, sono necessari accertamenti specifici di laboratorio sul feto abortito, sui campioni di sangue della bovine che abortiscono, e sui vitelli eventualmente affetti da patologia neurologica. Per la diagnosi diretta occorre visualizzare il protozoo nei tessuti sospetti di infezione (feti abortiti) tramite esame istologico e immunoistochimico, o rilevarne la presenza con la coltivazione in laboratorio o con il rinvenimento di parti del suo genoma tramite metodiche di biologia molecolare. Le comuni colorazioni istologiche non permettono di rilevare con certezza il parassita nei tessuti infetti, anche se le lesioni infiammatorie di tipo necrotico non suppurativo osservabili in diversi organi fetali (soprattutto nel cervello, nel cuore, nella muscolatura striata e nel fegato) possono risultare sospette. L’esame immunoistochimico del cervello è invece conclusivo, ma viene ritenuto poco sensibile poiché le lesioni sono focali e non si localizzano in regioni encefaliche particolari; l’esame di altri organi, nei quali le lesioni tendono a essere diffuse (p.es. il cuore fetale) può tuttavia aiutare a definire la diagnosi. L’isolamento di N. caninum in coltura cellulare è invece un metodo di diagnosi diretta molto indaginoso e che non trova applicazione routinaria in laboratorio poiché spesso il parassita perde la propria vitalità in seguito all’autolisi degli organi fetali. Ne è prova l’esiguo numero di ceppi del protozoo che sono stati finora isolati nel mondo in laboratori specializzati degli Stati Uniti, Svezia, Gran Bretagna, Giappone e Italia. Molto promettenti appaiono invece alcune metodiche diagnostiche di biologia molecolare che si basano sul rilievo di segmenti del genoma del protozoo distinti da quelli di altri agenti possibili causa di aborto nel bovino; si tratta peraltro di accertamenti che non richiedono la vitalità del parassita nei tessuti. Tra le diverse metodiche sviluppate, molte prevedono una preliminare amplificazione in vitro di parti del genoma del protozoo, tramite PCR (polymerase chain reaction, reazione a catena della polimerasi), a cui segue una elettroforesi che permette di visualizzare in un gel – in caso di positività - un frammento specifico del genoma del parassita. 2 Per la diagnosi indiretta della neosporosi, il sangue o altri liquidi corporei (liquor, versamenti cavitari, latte) degli animali infetti vengono esaminati per ricercarvi anticorpi specifici verso N. caninum. La prima metodica messa a punto è stata l’immunofluorescenza indiretta (IFI), una tecnica caratterizzata da buona sensibilità e specificità e che non rileva anticorpi diretti verso altri protozoi che possono infettare il bovino (Sarcocystis spp., Toxoplasma gondii); a questa hanno fatto seguito diverse metodiche immunoenzimatiche (ELISA) che si differenziano tra loro per la tecnica di preparazione dell’antigene. Tra metodiche ELISA e IFI si osserva una buona concordanza in termini sia di sensibilità sia di specificità, anche se la prova IFI appare più affidabile; in ogni caso la praticità delle metodiche ELISA potrebbe farle preferire sempre più in futuro per l’applicazione routinaria. Per un significativo risparmio di tempo e di costi di esecuzione e ai fini dell’identificazione delle aziende infette, è stato inoltre proposto l’utilizzo di una metodica ELISA anche per l’esame del latte di massa: in questo caso, la prova riesce a rilevare gli anticorpi nei confronti di N. caninum se alla costituzione del campione esaminato ha concorso il latte di bovine sieropositive in una proporzione di almeno il 10-15% del totale dei soggetti munti. Un terzo tipo di metodica proposta per la diagnosi sierologica della neosporosi è l’agglutinazione diretta, che per l’ottima sensibilità e specificità e per la praticità di esecuzione potrebbe in futuro divenire una metodica di largo utilizzo in laboratorio. Situazione del Nord Italia Dall’autunno 1996 presso la Sezione Diagnostica di Pavia dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna (IZSLER) vengono eseguiti esami specifici diretti e indiretti per la diagnosi della neosporosi bovina. Gli accertamenti consistono nell'esame sierologico con metodica IFI per la ricerca di anticorpi verso N. caninum e nella ricerca diretta del protozoo con metodica PCR e occasionalmente tramite isolamento in coltura cellulare. Metodiche diagnostiche indirette Per l'esame sierologico, vengono esaminati campioni di siero di sangue di bovine adulte e di vitelli e campioni di versamento toracico di feti abortiti, prelevati in corso di autopsia. I campioni relativi ad animali adulti devono essere prelevati entro pochi giorni dall'aborto poiché è noto il declino degli anticorpi via via che ci si allontani dall'episodio patologico. I prelievi di sangue vengono eseguiti in provetta semplice senza anticoagulante per permettere la separazione del coagulo dal siero. I campioni in toto non vanno mai congelati a meno che non sia stato asportato il coagulo, mediante trasferimento del siero in altra provetta. Per l'esecuzione della metodica IFI, si è seguito il protocollo di alcuni ricercatori americani (Conrad, Barr e colleghi) utilizzando il ceppo di N. caninum NC-1 isolato negli Stati Uniti da J.P. Dubey e gentilmente fornito da A. Uggla dell'Università di Uppsala. La reattività dei campioni di siero viene valutata a partire dalla diluizione 1:640, mentre per i campioni di versamento toracico la prima diluizione considerata significativa nella prova è 1:25; entrambi i valori soglia di riferimento sono stati proposti sulla base di studi di diversi ricercatori. Nei primi due anni di indagine, sono stati esaminati campioni prelevati in aziende in prevalenza della Lombardia, Emilia Romagna e Piemonte e occasionalmente del Veneto, Lazio, Puglia e Sardegna, provenienti da allevamenti nei quali venivano osservati aborti per lo più a carattere ricorrente. Il riepilogo degli esami è riportato in Tabella 1 e nei Grafici 1 e 2. Tabella 1. Riepilogo degli esami sierologici per la ricerca di anticorpi verso Neospora caninum in aziende bovine Tipologia di prelievo Sangue Versamento toracico fetale Numero di campioni esaminati Numero di campioni positivi % positivi Numero di aziende esaminate Numero di aziende positive % positivi 10.684 2.596 24,3 838 498 59,4 525 130 24,8 376 108 28,7 Metodiche diagnostiche dirette 3 Per la ricerca diretta del parassita, è stata utilizzata una metodica PCR applicabile su tessuti di feti abortiti e di vitelli affetti da patologie neuromuscolari, secondo un protocollo messo a punto in collaborazione tra la Sezione Diagnostica di Pavia dell’IZSLER e l’Istituto di Patologia Generale Veterinaria dell’Università di Milano. La metodica PCR allestita è diretta all'amplificazione di una parte del gene che codifica la subunità 18S del ribosoma di N. caninum, un gene del quale è nota la bassa variabilità intraspecifica, con l'intento di poter rilevare qualsiasi ceppo riferibile alla specie N. caninum. Il prodotto della reazione PCR, nel caso di presenza di coccidi nel campione esaminato, è un frammento di DNA che viene rilevato agevolmente mediante una elettroforesi su gel di agarosio. Successivamente all’amplificazione, la digestione enzimatica del prodotto della reazione ad opera dell'endonucleasi BseDI permette di identificare i protozoi del genere Neospora differenziandoli nel contempo da altri protozoi di interesse veterinario (T. gondii e Sarcocystis spp.) che possono essere rilevati nei feti bovini. Dei 349 campioni di organi fetali e di vitello esaminati in un anno con metodica PCR, 103 (pari al 29,5 %) sono risultati positivi per N. caninum, uno per Sarcocystis spp. e nessuno per T. gondii. Considerando tutte le aziende esaminate, la positività con metodica PCR è stata rilevata nel 39,2 % di esse (65 aziende positive su 166) (Grafico 3). L’isolamento in coltura cellulare di Neospora è stato attuato in alcuni casi in cui i campioni conferiti si presentavano in buono stato di conservazione, per poter operare nelle condizioni che garantissero ragionevolmente le maggiori possibilità di successo. Un ceppo di Neospora è stato così isolato dal cervello di un vitello di 45 giorni di vita affetto da opistotono e paralisi (Fig. 1). Ulteriori analisi del genoma sono attualmente in corso per poter verificare le analogie e le differenze dell'isolato nei confronti di ceppi rinvenuti in aziende bovine di altri Paesi. Considerazioni L'accertamento diagnostico per neosporosi è ormai entrato nel novero degli esami di laboratorio che vengono routinariamente eseguiti per la ricerca di agenti infettivi e parassitari possibili causa di aborto nel bovino. L’analisi dei risultati di attività del laboratorio di Pavia dell'IZSLER evidenzia la considerevole diffusione della neosporosi nelle aziende bovine da latte del Nord Italia, una condizione che con tutta probabilità si verifica anche per le aziende del Centro e Sud Italia, considerando gli esami eseguiti anche in soggetti provenienti da quelle regioni. Il rilievo di sieropositività nei confronti di N. caninum è certamente considerevole nelle aziende dove si sono verificati aborti a carattere ricorrente, mentre non è possibile ricavare il dato generale di sieroprevalenza nella popolazione bovina, poiché la definizione di questo dato richiederebbe il campionamento e l'esame anche di soggetti appartenenti ad aziende dove non si verifichino focolai di aborto clinicamente sospetti di neosporosi. Per informazione, in Gran Bretagna il dato generale di sieroprevalenza per neosporosi si attesta intorno al 6 %. E' noto che i titoli anticorpali nei confronti di N. caninum sono soggetti a fluttuazioni nel tempo, ma è stato osservato come siano più facilmente rilevabili in corso di gravidanza e in particolare in corrispondenza dell'aborto, senza tendenza a ulteriori rialzi. Per questo motivo, l’esame sierologico eseguito su campioni prelevati in occasione di un focolaio di aborto ha valore pressoché diagnostico se le sieropositività vengono rilevate in più animali che hanno abortito. In particolare, è consigliabile utilizzare l’esame sierologico per una diagnosi aziendale piuttosto che limitarlo a singoli animali, e conviene quindi prelevare alcuni campioni di sangue anche da soggetti non coinvolti nell’episodio di aborto: il confronto dei risultati degli esami eseguiti sui due gruppi permetterà di giudicare se il parassita è veramente coinvolto nell’episodio di malattia osservato. Nel caso infine ci si proponga di rilevare i soggetti sieropositivi in azienda indipendentemente dall’occorrenza di focolai di aborto, è opportuno sottoporre a indagine sierologica le bovine gravide che si trovino all’ultimo trimestre di gravidanza. Questo accorgimento garantirebbe l'informazione più corretta, poiché è stato osservato che gli animali infetti presentano comunque un rialzo anticorpale rilevabile – indipendentemente dal verificarsi dell’aborto – nella seconda parte della gestazione. Si eviterà così di classificare tra i sani alcuni animali in realtà infetti, che rischierebbero di essere trascurati in un eventuale piano di risanamento e eradicazione dell'infezione dalle aziende. Nell’esperienza del laboratorio di Pavia, talvolta l'esame sierologico ha anche assunto un significato predittivo dell'evento aborto: alcune bovine che risultavano infatti sieropositive ad alto titolo all'inizio del focolaio, abortivano nel corso del focolaio stesso, mentre bovine sieronegative gravide portavano a termine regolarmente la gravidanza; l'utilità di questa osservazione è peraltro modesta, anche se in linea teorica potrebbe servire per tentare un trattamento farmacologico - la cui efficacia è peraltro negata da molti studiosi - con l’intento di garantire per così dire in extremis il buon esito della gravidanza. Anche la ricerca degli anticorpi nei versamenti toracici dei feti abortiti è risultata spesso positiva nelle aziende esaminate. Si tratta di un rilievo particolarmente significativo perché espressione diretta dell’infezione del feto in utero, dato che in condizioni normali gli anticorpi materni non oltrepassano la barriera placentare. D’altro canto, il mancato 4 rilievo di anticorpi nel versamento toracico fetale va interpretato con attenzione: poiché il feto è immunocompetente a partire dai 4-5 mesi di vita endouterina, i feti abortiti prima di questa età possono risultare sieronegativi anche se infetti e ugualmente gli anticorpi non saranno rilevabili nel caso che il decorso dell’infezione sia breve e porti rapidamente a morte il feto. Un’ulteriore evenienza di falsa sieronegatività dei feti è dovuta alla degradazione degli anticorpi in rapporto all’autolisi del feto. Considerazioni di opportunità e praticità hanno condizionato la scelta della PCR come metodica routinaria per la diagnosi diretta dell’infezione: l’esame può essere eseguito anche su campioni di tessuti fetali congelati e consente di disporre di un esito in tempi brevi (l’esecuzione completa della prova richiede 2 giorni) più vantaggiosi rispetto ad altri esami. I materiali che è opportuno esaminare di preferenza - quelli dove gli esami immunoistochimici hanno rivelato che più spesso è rinvenibile il protozoo - sono il cervello, il cuore e il fegato fetale. Anche il rilievo di positività per N. caninum tramite metodica PCR è risultato consistente nelle aziende interessate da episodi di aborto. Per esperienza diretta del laboratorio e dei colleghi che operano in campo, il rilievo di N. caninum nei feti e nelle bovine che abortiscono è risultato spesso l'unico accertamento positivo tra tutti quelli eseguiti per agenti infettivi e non infettivi (tra cui le più comuni micotossine o altri fattori tossici nell'alimentazione). Questo induce a sospettare che il protozoo sia causa primaria della patologia osservata o che possa comunque concorrere all’induzione degli aborti. Il rinvenimento del protozoo in azienda dovrebbe essere in ogni caso occasione di un controllo generale della situazione igienica e manageriale; in particolare sarebbe opportuno avviare una ricerca attenta di possibili fattori di rischio o cause scatenanti dell'episodio e attuare gli eventuali interventi correttivi; in studi condotti in altri Paesi, la somministrazione di alimenti contaminati da micotossine, la presenza di cani in allevamento le cui feci possano contaminare gli alimenti somministrati ai bovini e le infezioni intercorrenti con virus BVD sono apparsi tra i fattori di rischio maggiormente correlati con l'insorgenza di gravi episodi di aborto. Per il momento, la combinazione dell'esame sierologico e della ricerca diretta del parassita si è dimostrata una strategia utile per identificare gli allevamenti infetti e ha permesso di rivelare l'ampia diffusione di N. caninum nelle aziende bovine italiane; questi strumenti applicati su larga scala potranno permettere di definire ancor meglio la prevalenza della neosporosi bovina nel patrimonio zootecnico del nostro Paese e offriranno il necessario supporto diagnostico per il controllo dell'infezione una volta che ci si orienti al risanamento delle aziende. Possibilità di controllo Un cenno va a questo punto fatto alle possibilità di terapia farmacologica e di profilassi vaccinale della neosporosi. E’ stata osservata in vitro la sensibilità del parassita a diversi principi attivi, quali tra l’altro i sulfamidici potenziati con gli inibitori della diidrofolato reduttasi e alcuni farmaci anticoccidici (ionofori e non); occorre però ricordare che il ciclo vitale del protozoo in vivo prevede lo sviluppo di stadi parassitari (le cisti tissutali) resistenti - dati i loro caratteri fisici - all’azione dei farmaci. I presidi farmacologici potrebbero dunque rivelarsi efficaci solo nei confronti delle forme circolanti del parassita, quando esso è in fase di mobilitazione prima di infettare il feto e prima di raggiungere i tessuti nervosi dove si insedierà in forma di cisti; a questo proposito, non si dispone però di rilievi oggettivi in base ai quali sia possibile consigliare tempi e durata di un eventuale trattamento preventivo nei riguardi delle manifestazioni cliniche della neosporosi. Peraltro, nonostante l’efficacia in vitro di alcuni farmaci, occorre anche ricordare che il ciclo vitale di N. caninum non è assimilabile a quello dei coccidi intestinali, che colonizzano le sole cellule dell’intestino e in quella sola sede esplicano la loro azione patogena; in questo senso, soltanto studi clinici accerteranno se i farmaci utilizzati per la terapia e profilassi delle coccidiosi intestinali siano efficaci anche per il controllo della neosporosi. L’orientamento generale della comunità scientifica è peraltro di pronunciato scetticismo, se non addirittura di radicale opposizione, nei riguardi di ogni ipotesi di trattamento farmacologico della neosporosi, anche perché non si ritiene che alcun farmaco possa garantire la completa guarigione degli animali infetti. Per quanto riguarda infine la profilassi vaccinale, è stato già messo a punto un vaccino inattivato, ma non ne è stata ancora valutata l’efficacia nella riduzione delle infezioni fetali e degli aborti in bovine infette né nella prevenzione dell’infezione postnatale di animali non infetti. Stando così le cose, occorre in definitiva orientarsi a interventi di profilassi diretta quali lo smaltimento controllato di feti abortiti e invogli fetali ad evitare l’infezione dei cani, e il divieto di accesso dei cani stessi alle aree adibite al deposito degli alimenti per i bovini ad evitarne la contaminazione, interventi che si devono comunque associare a quelli miranti alla ricostituzione di un effettivo aziendale non infetto, come si è accennato in precedenza. 5 Gragico 1. Esami sierologici per la ricerca di anticorpi verso Neospora Caninum in aziende bovine: riepilogo dei campioni esaminati Grafico 2. Esami sierologici per la ricerca di anticorpi verso Neospora Caninum in aziende bovine: riepilogo delle aziende esaminate Grafico 3. Ricerca con metodica PCR di neospora Caninum in aziende bovine: riepilogo dei campioni e delle aziende Figura 1. Tachizoiti di Neospora Caninum (ceppo NC-PV1) in coltura cellulare Vero. Immagine microscopica in contrasto interferenziale Nomarski 6 Allevamento suini SPF (Specific Pathogen Free) e loro utilizzo nella pratica biomedica La grande diffusione in medicina umana del trapianto come modalità di trattamento, ha determinato paradossalmente un problema legato alla disponibilità di donatori di organi, che è diventato un importante fattore limitante in questo campo. Per questo motivo negli ultimi anni la sperimentazione animale relazionata alla medicina umana ed in particolare proprio ai trapianti d’organo (i cosiddetti xenotrapianti) ha compiuto notevoli progressi e l’interesse verso animali come modelli sperimentali e possibili fornitori di tessuti ed organi per i trapianti ha avuto un notevole impulso. Tra le specie animali, il suino ha assunto un’importanza primaria legata fondamentalmente alle notevoli similitudini (riassunte nella tabella 1) tra questa specie e l’uomo. Tabella 1. Similitudini tra suino e uomo. 1 Dimensioni degli organi 2 Fisiologia Digestiva 3 Struttura e Funzioni Renali 4 Struttura del Letto Vascolare Polmonare 5 Distribuzione delle Arterie Coronarie 6 Indici Respiratori 7 Fisiologia ed Anatomia Cardiovascolare Da Tumbleson (1986) L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna (IZSLER) di Brescia, grazie all’esperienza maturata con la pratica degli allevamenti e degli impianti di produzione industriale alimentare e zootecnica, accanto all’impegno sempre presente nella ricerca scientifica, ha recepito questa esigenza, sviluppando, al suo interno, un tipo di allevamento di suini rivolto alla produzione di organi e tessuti con particolari garanzie sanitarie (le massime possibili in questo momento). Sotto questo impulso sono iniziati i primi tentativi per ottenere soggetti tramite derivazione cesarea che potessero dare inizio a colonie di suini SPF (Specific Pathogen Free). Questi soggetti sono allevati in strutture dedicate con caratteristiche impiantistiche ed organizzative tali da mantenere gli animali presenti nello stato di completa assenza di patogeni specifici e presenza unicamente di batteri saprofiti non patogeni, comuni a tutti gli ambienti. Le strutture, isolate dal resto dell’Istituto Zooprofilattico, sono dotate di impianti di condizionamento ambientale con filtrazione dell’aria (filtri assoluti 99,9%) e dell’acqua in entrata e sovrapressione (pressione positiva). La parte più consistente dell’attività riguarda il mantenimento dello stato di indennità da tutti i principali patogeni che richiede, oltre allo sforzo di manutenzione continua degli impianti, anche l’attivazione di procedure rigorose e standardizzate per il continuo controllo dei parametri ambientali. Accanto a queste assume una notevole importanza il controllo dell’accesso in allevamento: il personale che accede è limitato, effettua in entrata il cambio completo degli indumenti e la doccia e utilizza sistematicamente i dispositivi di protezione individuale (guanti, mascherina e cuffia per i capelli), onde limitare qualsiasi contatto diretto con gli animali. Identiche precauzioni sono prese nei riguardi dell’alimentazione in quanto la razione, calcolata sulla base della tipologia dei soggetti cui è destinata, viene preparata e pellettata all’interno dell’Istituto Zooprofilattico di Brescia e sterilizzata prima dell’ingresso in allevamento. Il controllo sanitario degli animali è effettuato secondo protocolli definiti con cadenza programmata: ogni settimana un veterinario effettua la visita clinica di tutti i soggetti che compongono l’allevamento, mentre saltuariamente, su animali accidentalmente venuti a morte, viene effettuato l’esame anatomo-patologico per il controllo dello stato sanitario organico (anche per evidenziare eventuali tecnopatie). Gli animali che vengono utilizzati per il bioreattore epatico sono sottoposti a necroscopia dopo l’espianto con esame anatomo-patologico e esame istologico accurato. Ogni mese tutti gli animali che compongono l’allevamento vengono controllati per escludere la presenza di batteri, virus e parassiti patogeni, utilizzando le attrezzature 7 ed i laboratori presenti all’interno dell’Istituto Zooprofilattico di Brescia. In questo modo gli animali allevati e disponibili per la ricerca e la sperimentazione biomedica (isole pancreatiche, fegato bioartificiale etc.) sono realmente garantiti dall’essere privi dei patogeni più importanti (specific pathogen free) e quindi utilizzabili per gli scopi a cui sono destinati. Sono così iniziati dei progetti di collaborazione tra l’IZSLER e alcuni ospedali Italiani, tra cui grande importanza ha assunto quello riguardante il fegato bioartificiale (FBA), chiamato anche bioreattore epatico, soprattutto per le ripercussioni che questo ha avuto su pazienti umani in pericolo di vita, sopravissuti grazie al suo utilizzo. Questo progetto ha interessato inizialmente due equipe mediche: quella del Prof. Morsiani presso l’Ospedale Sant’Anna di Ferrara e quella del Prof. Calise presso l’Ospedale Cardarelli di Napoli, anche se le collaborazioni attivate dall’IZSLER coinvolgono anche altri ospedali. Il bioreattore epatico viene utilizzato in corso di insufficienza epatica fulminante (IEF), una grave sindrome caratterizzata dalla presenza di ittero ed encefalopatia, che si sviluppa in soggetti che non mostrano precedentemente segni di patologia epatica e causa spesso della morte dei soggetti affetti. In corso di IEF l’insorgenza di edema cerebrale può portare rapidamente al coma irreversibile e alla morte del paziente, per cui c’è la necessità di un trattamento di supporto epatico fino a quando non si renda disponibile un fegato per il trapianto o si abbia la regressione spontanea del quadro clinico per rigenerazione del fegato: il paziente necessita quindi del cosiddetto trattamento di bridging cioè a “ponte”, tra una situazione in cui la funzionalità epatica è completamente compromessa ed una nuova situazione in cui è ripristinata la funzionalità epatica. A causa della gravità del quadro clinico, sono stati effettuati numerosi tentativi per sviluppare sistemi atti a fornire al paziente con IEF un adeguato supporto metabolico. In passato si sono sperimentati sistemi artificiali di supporto epatico basati sulla rimozione emodialitica delle sostanze tossiche ma questi sistemi non hanno dimostrato un significativo aumento della sopravvivenza nei pazienti con IEF ed in particolare, scarso o nullo è stato l’effetto terapeutico sull’encefalopatia e sull’edema cerebrale. Successivamente discreti successi si sono ottenuti con la perfusione extracorporea in circolazione crociata di un fegato isolato, ma tale metodica si scontra oggi con la scarsità di fegati umani a disposizione per il trapianto, con l’impossibilità di utilizzare organi di primati e, qualora si utilizzi un organo di maiale, con le limitazioni legate al rigetto iperacuto. Per queste ragioni, l’orientamento più moderno prevede l’utilizzo di sistemi di supporto bioartificiali, od ibridi, in cui cioè la cellula epatica isolata viene utilizzata insieme ad altre componenti artificiali, sia attive che non attive. Questi sistemi bioartificiali di supporto epatico si basano sull’ipotesi che solamente la cellula epatica può sostituire le molteplici funzioni del fegato, primariamente quelle cosiddette di biotrasformazione, agendo efficacemente sulla encefalopatia e sull’edema cerebrale. In questo modo è nato il bioreattore epatico in cui cellule epatiche di origine suina, precedentemente isolate da un processo di digestione enzimatica e perfuse in vitro grazie a sistemi di circolazione extracorporea del sangue intero o del plasma, sono utilizzate in associazione a componenti artificiali vari, come sistemi di supporto per la coltura cellulare, membrane semipermeabili o colonne per plasma assorbimento. All’Istituto Zooprofilattico di Brescia, una volta arrivata dall’ospedale la segnalazione di un paziente con IEF, inizia la procedura d’emergenza: viene prelevato l’animale donatore (ibridi prevalentemente di sesso femminile provenienti dall’allevamento suini SPF dell’IZSLER, di circa 3 mesi di età e 20 kg di peso), che viene trasportato, all’interno di un idoneo contenitore (un isolatore avente le stesse caratteristiche di filtrazione degli impianti di origine), direttamente in loco (cioè all’ospedale dove con l’aiuto di medici veterinari liberi professionisti viene effettuato l’espianto) o alla Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Bologna, dove Medici Chirurghi Veterinari effettuano l’espianto dell’organo, che messo immediatamente a contatto con un liquido di sopravvivenza, viene inviato all’Ospedale richiedente. In questo modo nel giro di poche ore dalla segnalazione dell’Ospedale è pronto un fegato bioartificiale che potrà permettere la sopravvivenza del paziente colpito da IEF per un massimo di circa 36 ore, che sono comunque fondamentali nell’attesa della ricerca di un donatore idoneo per effettuare il trapianto. Si capiscono quindi i motivi per cui questi animali vengono continuamente monitorati, proprio per diminuire al minimo il rischio di passaggio di patogeni dall’animale al paziente; a questo proposito l’Istituto Zooprofilattico di Brescia ha già attivi e intende attivare ulteriori progetti di ricerca per migliorare ulteriormente le caratteristiche sanitarie di questi animali, al fine di ridurre continuamente i margini di rischio, anche se solo teorico, che possono essere presenti nell’utilizzo di organi e di tessuti animali nella pratica medica. 8