ottobre 2006 SUPER OMNIA CHARITAS Primo Piano I padri di fronte alla disabilità dei figli Iniziamo questo viaggio all'interno dell'identità e del ruolo paterno rispetto alla nascita di un bambino disabile con Eleonora Maino, referente per l'Associazione La Nostra Famiglia del Servizio di psicologia della famiglia, IRRCS "E. Medea", che fa il punto sugli studi effettuati sulla genitorialità maschile di fronte a un figlio disabile. Ma prima sottolineamo l'intervento emblematico (pubblicato sulla rivista Ombre e Luci) di Gilles Le Cardinal, professore di Comunicazione all'Università di Compagne, autore del libro Vivere la paternità edito da Desclée de Brouwer, in cui lo studioso afferma che il padre, a differenza della madre che ha portato il bambino nel suo grembo, non diventa d'un tratto solo "il padre di un figlio disabile ma si trova scosso nella sua profonda identità. Il bambino tanto atteso delude le speranze, e il mondo interiore e l'immagine di sé crollano insieme a tutti i punti di riferimento di sposo e di padre". Un'immagine, quella che emerge nelle parole dello studioso, illuminante per comprendere quanto sia destabilizzante per un uomo l'ingresso di un figlio disabile all'interno di un nucleo familiare. Gli uomini soffocano le loro angosce II focus dell'attenzione, parlando di disabili, soprattutto in passato, veniva posto sulla persona affetta da disabilità. A partire dagli anni '50 si è cominciato a considerare anche la famiglia della persona disabile e, al suo interno, le madri sono sempre state le persone più indagate. Questa particolare attenzione al ruolo materno era dovuta in parte alla maggiore accessibilità delle madri rispetto ad altri componenti della famiglia, in parte al fatto che sono le madri a partorire i figli e quindi sono anche I'epicentro di tale evento sconvolgente, a maggior ragione quando si dà alla luce un bambino con una disabilità. Infine, perché tradizionalmente le madri sono considerate più di chiunque altro le naturali caregivers ed educatrici della prole. II ruolo del padre viene considerato con maggiore attenzione tra gli anni '60 e '70 quando si comincia a pensare alla famiglia come a un sistema all'interno del quale tutti i membri sono importanti e hanno una reciproca influenza gli uni sugli altri. Ancora, quando la tradizionale divisione dei ruoli in base al sesso (che vedeva I'identificazione delle donne con il ruolo materno e di cura, e gli uomini con il ruolo di sostegno economico del nucleo familiare) è diventata meno rigida e, infine, si è posta maggiore attenzione ai papà, quando si sono introdotti cambiamenti legislativi che hanno condotto all'aumento del numero dei padri che ricevono la custodia dei figli in caso di separazione della coppia. In ogni caso, sebbene gli studi che prendono in considerazione il ruolo paterno siano ancora esigui e le loro conclusioni spesso non siano univoche, uno dei dati riportati con maggior frequenza è quello relativo alle differenti SI PARLA DI: IRCCS "E. MEDEA" reazioni dei due genitori alla notizia di aver generato un figlio disabile. I padri tenderebbero a mettere in atto comportamenti pragmatici, cercando soprattutto la soluzione ai problemi pratici e concreti connessi al crescere un bambino con difficoltà, mentre le madri sarebbero più inclini a manifestare in modo più immediato i loro vissuti emotivi e le loro angosce, o peggio, i sensi di colpa. I ricercatori ipotizzano che la spiegazione di tali risultati possa trovarsi nel fatto che agli uomini, sin da bambini, viene insegnato che occorre avere il controllo delle proprie emozioni ed è poco PAG.1 SUPER OMNIA CHARITAS ottobre 2006 > Primo Piano maschile mostrare il proprio dolore e la propria tristezza. Inoltre, nel fatto che i padri si sentirebbero in dovere di essere forti per sostenere le mogli che appaiono invece visibilmente sofferenti. I ricercatori sottolineano altresì le implicazioni psicosomatiche che emergono nei padri che si trovano ad affrontare la disabilità: in sostanza per soffocare le proprie emozioni, avvengono nei papà alcuni disagi sia a livello fisico — frequenti mal di testa, disturbi gastro-intestinali e un sistema immunitario maggiormente vulnerabile — sia a livello psicologico, soprattutto per quanto riguarda l'innalzamento dei livelli di stress, maggiore difficoltà a elaborare i propri sentimenti e a venire a patti con l'handicap del figlio e dunque con l'essere genitore di un bambino disabile. A tutto ciò si aggiunga che alcuni studi, e l'evidenza clinica, mettono in luce come una mancata condivisione emotiva con il proprio partner riguardo gli eventi dolorosi possa, a lungo andare, indebolire il rapporto di coppia. Nelle ricerche in ambito internazionale un dato controverso è legato al fatto che in alcune di queste si afferma che i padri di bambini con ritardo mentale siano più depressi e sperimentino una minor autostima e fiducia nel loro ruolo paterno rispetto ai padri di bambini normodotati. Altri studi però sottolineano che i padri dei bambini disabili non hanno né una maggiore tendenza alla depressione, né più alti livelli di insoddisfazione coniugale, e neppure una maggiore tendenza alla separazione rispetto alla media nazionale. Infine, per quanto riguarda le possibili reazioni dei padri posti di fronte alle caratteristiche del bambino disabile, taluni autori di studi evidenziano come alcuni di questi genitori — a causa delle alte aspettative rispetto ai figli maschi — possano essere particolarmente delusi quando arriva in famiglia un bambino maschio con disabilità. Altri studi riportano invece che il tipo di adattamento e i livelli di stress paterni non sono connessi alle caratteristiche (sesso, età, gravita della disabilità) del bambino, ma ad alcune peculiarità di personalità del padre, al suo grado di istruzione e al suo poter garantire alla famiglia e al bambino disabile un buon tenore di vita. Una ricerca effettuata presso il Polo di Bosisio Parini dell'Istituto Scientifico Eugenio Medea, dell'Associazione La Nostra Famiglia, ha evidenziato la presenza di alcune differenze significative nel modo di percepire la famiglia da parte dei padri di bambini disabili rispetto a SI PARLA DI: IRCCS "E. MEDEA" padri di bambini normodotati. In questa ricerca è stato coinvolto un campione sperimentale costituito da 122 famiglie ciascuna con un figlio disabile (di età compresa tra i 12 e i 35 anni), e un campione di controllo anch'esso costituito da 122 nuclei familiari con caratteristiche socio-culturali analoghe a quelle delle famiglie del campione sperimentale, ma con figli non disabili. Dal confronto dei dati dei due campioni i padri dei bambini disabili sembrerebbero soffrire maggiormente della mancanza di spazi e iniziative individuali meno vincolate alle esigenze della famiglia. Inoltre, i risultati mettono in luce come la presenza di una diagnosi incerta per il figlio, associata a tutto il carico di insicurezze che comporta, sembrerebbe avere delle ripercussioni nella percezione del clima familiare da parte dei padri, ma non da parte delle madri o di altri eventuali figli. Infatti, i padri apparirebbero essere tendenzialmente più pessimisti rispetto alle condizioni di salute del figlio e sembrerebbero percepire la famiglia come un luogo dove è difficile esprimersi sentendosi ascoltati, dove è complicato sentirsi vicini da un punto di vista emotivo, sperimentare la possibilità di realizzarsi e di essere autonomi. Per concludere, in base a questa breve rassegna relativa alle possibili reazioni dei padri in presenza di un figlio disabile, risultano evidenti sia la molteplicità (spesso disomogenea) di risultati a cui sono giunti i ricercatori, sia la necessità di ulteriori studi a livello quantitativo e qualitativo non solo per un fine conoscitivo, ma anche per poter identificare quelli che sono i bisogni più ricorrenti dei padri con un figlio disabile e quindi mettere a punto modalità di intervento utili ad aiutare un numero sempre crescente di genitori. Eleonora Maino, psicologa del Servizio di Psicologia della Famiglia, Associazione La Nostra Famiglia PAG.2