Il percorso clinico-diagnostico della coppia infertile
Analisi morfo-funzionale degli ovociti
De Santis L., Gismano E., Calzi F., Brigante C., Candiani M.
Centro Scienze Natalità, Fisiopatologia della Riproduzione, H San Raffaele, Università Vita-Salute,
Milano.
I progressi nella medicina della riproduzione hanno reso evidente, in maniera incontrovertibile, che
il più importante fattore nel determinare l'esito dello sviluppo embrionale è la qualità dell'ovocita.
La capacità di definire la qualità degli ovociti è perciò di fondamentale importanza. Nonostante
trent’anni siano trascorsi dall’introduzione della fecondazione in vitro (IVF) per il trattamento dell’
infertilità umana, tuttavia i criteri oggettivi di selezione degli ovociti competenti continuano ad
essere difficili da definire. Questo non è sorprendente, nel caso dell'umano, in cui gli ovociti sono
raramente disponibili per scopi di ricerca; tuttavia nel modello animale, pur essendo rilevante il
numero di ovociti disponibili per la sperimentazione, i dati sulla qualità degli ovociti sono utili solo
di riflesso e non sono sempre universalmente applicabili per le differenze sostanziali legate alla
biologia dello sviluppo nelle diverse specie. Nonostante ciò è generalmente accettato che la qualità
degli ovociti si riflette in caratteristiche facilmente rilevabili, come ad esempio il grado di
espansione della massa del cumulo, l’estrusione del globulo polare, e l'assenza di evidenti anomalie
citoplasmatiche e della zona pellucida (Veek, 1999). Tuttavia, queste caratteristiche non sono
sufficienti per stabilire criteri oggettivi ed affidabili di selezione e per definire se un ovocita abbia
realmente la capacità di sostenere una gravidanza a termine.
L'acquisizione di competenza degli ovociti è un processo ancora poco conosciuto che si verifica
durante l’oogenesi (Albertini et al., 2003). In particolare, subito prima dell'ovulazione entrambi i
compartimenti - nucleare e citoplasmatico - sono coinvolti in una serie di cambiamenti coordinati.
L’estrusione del 1° globulo polare (1st polar body o PBI) è il punto di riferimento cellulare della
realizzazione di maturazione meiotica (pur non essendo univocamente vero, come vedremo più
avanti). Benché il PBI non partecipi al processo di sviluppo, è stata comunque ipotizzata una
possibile correlazione tra la morfologia del PBI e la competenza degli ovociti. Ad esempio, nel
topo, l’incapacità del fuso meiotico di acquisire una morfologia normale migrando verso la corticale
dell’uovo porta alla definizione di un piano di clivaggio anomalo e alla formazione di un PBI
atipicamente grande. I report clinici presenti in letteratura sono controversi. Alcuni autori hanno
riferito che gli ovociti con un PBI intatto di dimensioni normali si fecondano con un tasso
paragonabile a quello di ovociti con PBI frammentato, ma producono un’incidenza
significativamente minore di embrioni frammentati al Giorno 2, un più alto tasso di formazione di
blastocisti e una maggiore frequenza di impianti e gravidanze evolutive (Ebner et al., 2000 e 2001).
Queste correlazioni non sono state peraltro confermate da altri studi in cui la capacità di sviluppo di
ovociti - che presentavano morfologia differente di PBI - non si è dimostrata diversa in termini di
tasso di fecondazione, embrioni di buona qualità, numero relativo di blastomeri e capacità di
sviluppo a blastocisti.
Il “germinal vesicle breakdown” (GVBD) altrimenti definito stadio di Metafase I (MI) - benché
temporalmente i due eventi siano in rapida successione - costituisce un momento cruciale nella
ripresa della meiosi e, insieme all'emissione del PBI, definisce un momento funzionale essenziale
all’intero processo meiotico. Tuttavia GVBD ed estrusione del PBI non garantiscono che l'apparato
meiotico ovocitario sia effettivamente progredito correttamente allo stadio di Metafase II (MII) in
preparazione per la fecondazione. Vari fattori, come ad esempio inappropriate condizioni di
maturazione in vitro, possono turbare l'organizzazione del fuso e del citoscheletro (EichenlaubRitter et al., 2002; Sanfins et al., 2003) con la conseguenza che la segregazione in meiosi II ed i più
ampi eventi fuso-mediati possono essere compromessi. Contemporaneamente, durante la
maturazione finale, in ambiente citoplasmatico si svolgono vari eventi in grado di consentire
all'ovocita di sostenere un ulteriore sviluppo. Questi eventi sono essenziali per generare oscillazioni
periodiche intracellulari di Ca2+ in risposta al fattore di attivazione dello spermatozoo, e permettere
così la fecondazione monospermica, la decondensazione della testa dello spermatozoo e la
formazione del pronucleo e così fino a determinare lo sviluppo pre- e post-impianto (Cheung et al.,
2000). L'acquisizione di questa competenza citoplasmatica dipende da fenomeni che sono solo
parzialmente noti. Esempi di questa attività sono la re-distribuzione del reticolo endoplasmatico
dalla regione centrale a quella sub-corticale (Mehlmann et al., 1995) e l’up-regolazione dei recettori
inositolo trisfosfato (Mehlmann et al., 1996), necessari per le oscillazioni di Ca2+ intracellulare, la
migrazione periferica dei granuli corticali e dei mitocondri ed infine per l'accumulo di glutatione
necessario a ridurre i legami disolfuro delle protamine, al fine di eliminare queste ultime molecole
dal nucleo dello spermatozoo (Perreault et al., 1988).
Quando nel laboratorio di fecondazione assistita si procede con il recupero ovocitario si identificano
inizialmente dal fluido follicolare i “complessi cumulo-corona-ovocita”. Questi complessi
(dall’acronimo inglese detti COCs), a seconda dell’espansione della massa del cumulo e della
presenza o meno di inclusi (Ebner, 2008 c) possono fornire indicazioni piuttosto precise sul grado di
maturità dell’ovocita in essi contenuto.
Ogni altra valutazione morfologica accurata può, invece, effettuarsi solo dopo la rimozione delle
cellule del cumulo e della corona radiata e pertanto, in genere, è riservata agli ovociti destinati a
cicli di ICSI o sottoposti a crioconservazione. Pertanto alla decumulazione gli ovociti possono
presentarsi allo stadio di vescicola germinale (GV – Profase I), GVBD (MI - Metafase I) o già in
seconda divisione meiotica (MII – Metafase II). Una percentuale compresa tra il 30 e il 70% degli
ovociti recuperati in MI matura in vitro e raggiunge in alcune ore lo stadio di MII. Questi ovociti
maturati in vitro hanno ridotte percentuali di fecondazione ma simile qualità embrionaria rispetto
agli ovociti MII. Tuttavia, utilizzando embrioni provenienti da tali ovociti maturati in vitro (ma in
realtà “aged”) sono riportate solo sporadiche gravidanze (Coetzee et al., 1996; Ubaldi et al., 1997).
Altre invece le considerazioni sugli ovociti provenienti da cicli IVM (In Vitro Maturation) che non
sono oggetto di questa trattazione.
Per quanto riguarda la valutazione del citoplasma, un ovocita MII di buona morfologia dovrebbe
averne uno chiaro, moderatamente granulare, con un piccolo spazio perivitellino, un primo globulo
polare intatto e una zona pellucida non troppo spessa e priva di colore (De Sutter et al., 1996; Xia et
al., 1997).
Tuttavia, circa la metà degli ovociti recuperati presentano almeno una anomalia morfologica. Tali
anomalie possono essere distinte in citoplasmatiche ed extracitoplasmatiche. Le prime possono
essere rappresentate da citoplasma scuro, da eccessiva granularità diffusamente omogenea o
aggregata nel centro, inclusioni, vacuoli o “refractile bodies”. In alcuni casi tali caratteristiche
citoplasmatiche, isolate o associate tra loro, possono essere espressione di difetti ovocitari intrinseci
che possono influenzare negativamente la competenza ovocitaria (Van Blerkom and Henry, 1992).
Tuttavia non esiste univocità di vedute sul significato prognostico di una o più di queste anomalie
morfologiche rispetto all’outcome clinico. Le anomalie extracitoplasmatiche, infine, sono
rappresentate da irregolarità nella forma ovocitaria, aumentato spazio perivitellino con o senza
presenza di detriti nel suo interno, frammentazioni del primo globulo polare, alterata consistenza
dell’oolemma o della zona pellucida.
Vari autori hanno cercato di correlare l'aspetto morfologico del citoplasma e la generale morfologia
dell'ovocita con lo sviluppo preimpianto dell'embrione e con i risultati clinici, ma le conclusioni
proposte da differenti studi non sono del tutto coerenti (De Sutter et al., 1996; Xia et al., 1997);
infatti, al di là dei dismorfismi evidenti che sono chiaramente incompatibili con lo sviluppo
normale, sembra difficile immaginare come semplici attributi morfologici possano riflettere i
processi che si verificano a livello biochimico e subcellulare. In uno studio di oltre un decennio fa
Balaban et al.(1998) non hanno trovato alcuna correlazione tra la morfologia degli ovociti e i
risultati di cicli ICSI, mentre Serhal et al. (1997) e Loutradis et al. (1999) sono giunti a conclusioni
opposte. Ancora un decennio dopo queste osservazioni, la pubblicazione di lavori, anche molto
accurati, che hanno considerato e valutato numerosi parametri morfologici non sono giunti a
conclusioni chiare, risultando, come già dimostrato, che siano le anomalie e i dismorfismi più
accentuati gli unici parametri che posseggano una correlazione statisticamente significativa con
l’outcome clinico (Rienzi et al., 2008 e 2010; Balaban et al., 2008; Ebner et al., 2006 e 2008 a,b,c).
Si è discusso molto, ed ancora non ci sono risultati univoci, sull’effetto dei vari tipi di
gonadotropine utilizzate per quanto riguarda il reclutamento follicolare, la qualità ovocitaria, la
competenza embrionaria e quindi i tassi di gravidanza.
A partire dalla metà degli anni ’90, subito dopo l’introduzione delle gonadotropine ricombinanti,
sono stati condotti numerosi studi che hanno confrontato l’efficacia dell’FSH ricombinante con
l’FSH urinario o con la combinazione FSH-LH urinario (HMG). I risultati sono stati conflittuali,
verosimilmente a causa di fattori quali la variabilità etnica delle pazienti arruolate in studi
multicentrici che potrebbe determinare una diversa distribuzione delle varianti alleliche dei recettori
per l’FSH o alle possibili differenti caratteristiche delle pazienti arruolate (Huang et al., 2004) o ad
altri fattori confondenti come l’età, il fumo di sigaretta, il polimorfismo dei recettori dell’FSH, il
tipo di protocollo ed il dosaggio di gonadotropine utilizzato, il timing dell’induzione della
maturazione ovocitaria finale e l’intervallo di tempo tra quest’ultimo e il prelievo ovocitario
(Sherins et al., 1995; Greenblatt et al., 1995; Zenzes et al., 1997).
Così, se da una parte non esiste la certezza che un determinato trattamento farmacologico assicuri
oociti di qualità migliore, d’altra parte è certo che, indipendentemente dal tipo di gonadotropina
utilizzato, la qualità ovocitaria è influenzata negativamente dall’ambiente endocrino creato
farmacologicamente, il quale induce la maturazione anche di quei follicoli che fisiologicamente
sarebbero andati incontro ad atresia. Verosimilmente nel pool di follicoli che arrivano al prelievo
ovocitario alcuni hanno un’insufficiente vascolarizzazione e questo induce soprattutto un’asincronia
tra maturità nucleare e maturità citoplasmatica dell’ovocita corrispondente (Van Blerkom et al.,
1997). Una corretta ossigenazione infatti sembra essere un fattore fondamentale per un’adeguata
formazione del fuso meiotico, con conseguente aggregazione cromosomica e maturità
citoplasmatica (Van Blerkom et al., 1997; Gaulden, 1992) e alcuni autori hanno riportato
un’associazione tra riduzione della flusso ematico follicolare, alterazioni del fuso meiotico e
anomalie cromosomiche (Van Blerkom et al., 1997). Evidenze scientifiche generate dal confronto
di ovociti maturati in vivo e in vitro hanno inoltre suggerito che la formazione del PBI possa essere
coinvolta in fenomeni in grado di spiegare la generazione di ovociti di qualità mediocre in
condizioni di maturazione insufficienti. In particolare è stato osservato che, in ovociti di topo
maturati in vivo, alcune componenti del citoscheletro, quali i centri di organizzazione dei
microtubuli (MOTCs) sono esclusi dal PBI e segregano interamente all'interno del citoplasma
dell'ovocita, mentre quando si verifica la maturazione in vitro, anche questi elementi segregano nel
PBI (Sanfins et al., 2003). Pertanto, i modelli sperimentali sostengono l'idea che alcune anomalie
nella formazione del globulo polare PBI possano sottolineare perturbazioni importanti dei processi
con cui viene acquisita la competenza ovocitaria (Cooke et al., 2003). Tuttavia un globulo polare di
questo tipo si osserva in un numero relativamente limitato di casi e pertanto non può essere
considerato un criterio di selezione dell’ovocita. Nonostante tali limitazioni, lo sforzo di individuare
criteri affidabili per la valutazione della qualità ovocitaria resta una priorità. Sulla base del fatto che
l’estrusione del PBI segna un passaggio importante per l'acquisizione della competenza meiotica,
diversi autori hanno considerato la possibilità che la morfologia di questa struttura possa esprimere,
almeno in parte, la competenza del gamete. Eichenlaub-Ritter et al. (1995) per primi hanno
proposto che un’elevata frammentazione del PBI possa riflettere l’invecchiamento post-ovulatorio
dell'ovocita. Un possibile legame tra morfologia del PBI e qualità ovocitaria è supportata anche da
studi condotti sui topi in cui le femmine geneticamente modificate sono infertili e generano ovociti
con globuli polari anomalmente grandi (Choi et al., 1996).
In una serie di studi, Ebner ha esteso l'ipotesi di una correlazione tra morfologia del PBI e qualità
degli ovociti, descrivendo che un PBI senza segni di frammentazione, con una superficie liscia e di
dimensioni normali rappresenta un fattore prognostico favorevole per la fecondazione e per la
generazione di embrioni di qualità elevata (Ebner et al., 2000), per la capacità di sviluppo a
blastocisti e per aumentati tassi di impianto (Ebner et al., 1999; Ebner et al., 2002). Alcuni autori
hanno contestato questi studi. In particolare, Verlinsky (2003) non ha trovato alcuna correlazione
tra morfologia del PBI e tassi di fecondazione, numero medio di blastomeri al Giorno 2 e tassi di
formazione di blastocisti. Lo stesso Autore ha esteso poi questi risultati, concludendo che
l'incidenza delle aneuploidie al Giorno 3 di sviluppo embrionario valutata attraverso la diagnosi
pre-impianto (PGD) non è associata
alla morfologia del PBI. Qualche anno fa, Ciotti e
collaboratori (2004) e De Santis et al. (2005) hanno ulteriormente messo in dubbio le prove
prodotte da Ebner, riferendo che la qualità degli embrioni e dei risultati clinici non sono connessi
alla frammentazione del PBI.
In uno studio pubblicato su una rivista minore Fancsovits (2006) ha analizzato un numero piuttosto
elevato di globuli polari di ovociti recuperati da cicli IVF, definendoli Metafase II, e dividendoli in
5 gruppi in base alla morfologia del PBI considerando fra questi anche quelli che emettevano il
globulo polare dopo il recupero. Tuttavia, sembra discutibile che un ovocita nel processo di
estrusione del proprio PBI possa essere confrontato con quelli che hanno già completato il processo.
In realtà, la maggior parte degli autori che hanno affrontato questa tematica (Ebner et al., 2000,
Ciotti et al., 2004, Verlinsky et al., 2003 e De Santis et al., 2005) si riferiscono sempre a 4 classi di
PBI. Inoltre, un aspetto molto importante da non trascurare in questo tipo di osservazioni è
rappresentato dalla finestra temporale in cui è stata effettuata la valutazione dell’ovocita rispetto
alla somministrazione di hCG; ciò può anche spiegare perché l’apparente assenza del fuso non
coincida in ogni singolo caso con l’incapacità dell’ovocita di andare incontro a fecondazione. In
altri termini, al momento dell’osservazione gli ovociti possono trovarsi in stadi precedenti la
Metafase II (MII), tipicamente Telofase I o Pro-metafase II, circostanza che non è compatibile con
l’osservazione di un fuso ben organizzato. Tale condizione può infatti introdurre un certo grado di
variabilità tra ovociti (Cohen et al., 2004). Infine si deve considerare come un PBI estruso nello
spazio perivitellino non corrisponda necessariamente ad una piena competenza ovocitaria (MII),
dato che è ben noto dalla letteratura e supportato anche dall’analisi in microscopia a luce polarizzata
(De Santis et al., 2005, Montag et al., 2006), dove si evidenziano chiaramente immagini di ovociti
che in luce trasmessa appaiono in MII ed in luce polarizzata si rivelano in Telofase I.
Oltre al globulo polare, nell’ultimo decennio si sta facendo sempre più strada la convinzione che
informazioni utili alla determinazione della qualità ovocitaria possano derivare dall’osservazione
del fuso meiotico. Questa struttura altamente dinamica, sul cui piano equatoriale sono disposti i
cromosomi, è costituita da microtubuli ed è localizzata alla periferia dell’ovocita. Il fuso meiotico è
responsabile della corretta segregazione cromosomica dopo l’attivazione e la sua integrità è
necessaria per la sequenza di eventi che portano al completamento della meiosi e della
fecondazione. La struttura del fuso meiotico risulta essere altamente sensibile a modificazioni
chimico-fisiche che si possono verificare durante la manipolazione (Pickering et al., 1990; Almeida
et al., 1995; Zenzes et al., 2001; Wang et al., 2001 a,b) Inoltre anche parametri fisiologici come
l’età materna avanzata sono associati ad una alterazione della sua architettura (Battaglia et al.,
1996). La più drammatica conseguenza di un danneggiamento fisiologico o indotto del fuso
meiotico è la formazione di embrioni aneuploidi. Quindi, l’integrità della sua struttura, deputata al
controllo dei movimenti dei cromosomi durante la meiosi, rappresenta un punto di fondamentale
importanza nelle potenzialità di sviluppo. La visualizzazione del fuso meiotico e la sua
localizzazione in rapporto al primo globulo polare sembrano essere fattori predittivi per la qualità e
la potenzialità di sviluppo ovocitario.
Da un punto di vista operativo in laboratorio ed in modo non invasivo, l’analisi del fuso meiotico
è stata resa possibile da un sistema di microscopia (di cui il primo e più noto è stato lo Spindle
View
-
detto anche Polscope- seguito dalle successive versioni “Oosight” o dall’innovativo
Octax) che, utilizzando la luce polarizzata, permette l'osservazione delle strutture subcellulari
altamente ordinate, come i microtubuli, nel fuso negli ovociti di mammifero. L’uso del Polscope
non pregiudica la vitalità cellulare, consentendo osservazioni ripetute e soprattutto offrendo
l’opportunità di selezionare e impiegare per il trattamento terapeutico gli ovociti sottoposti ad
analisi. Il Polscope offre il vantaggio unico di essere totalmente non invasivo, preservando la
vitalità dell'ovocita (Keefe et al., 2003). La funzione biologica del fuso meiotico è ampiamente
riconosciuta per quanto riguarda la segregazione dei cromosomi durante la meiosi, mentre non è
sempre apprezzato il fatto che questa struttura sia fondamentale anche per la fecondazione e lo
stabilirsi di una polarità ovocitaria in previsione del futuro sviluppo. Se da un lato il Polscope non
è in grado di fornire informazioni accurate sulla struttura fine del fuso, dall’altro l’analisi del fuso
può essere condotta quantitativamente, in quanto la “ritardata propagazione del segnale” - detta
retardance e che rappresenta la quantità fondamentale misurata dallo strumento - è direttamente
proporzionale alla densità dei microtubuli organizzati nelle strutture fortemente ordinate
(Oldenbourg et al., 1998).
Le misurazioni di tale parametro può avere rilevanza clinica (Wang et al., 2001 a) perché è
probabile che la densità dei microtubuli possa influenzare la funzione del fuso, con ovvie
conseguenze sull’allineamento e la segregazione dei cromosomi durante la meiosi II.
Poiché l’analisi sul significato della morfologia del PBI e l’osservazione qualitativa (in termini di
presenza/assenza) del fuso in relazione alla qualità dell'ovocita restano controverse, al fine di
stabilire criteri alternativi per la selezione degli ovociti, si è cercata una correlazione fra valori di
retardance ed età delle pazienti. Essendo l’età materna avanzata uno dei fattori prognostici che più
pesano negativamente sulla buona riuscita di un ciclo di PMA è ipotizzabile che la qualità degli
ovociti e quella degli embrioni che ne derivano possa correlare con l’intensità di segnale del fuso
inteso come riflesso dell’ordine e della densità dei microtubuli che lo costituiscono. Nelle pazienti
di età più avanzata (35-39 e ancor più ≥40 anni), è stata osservata una tendenza tra bassi livelli di
retardance e scarsa qualità degli embrioni, anche se in generale l'associazione tra valori di
retardance dell’ovocita e performance dello sviluppo non ha raggiunto la significatività statistica
(De Santis et al., 2005).
Inoltre, l’utilizzo del Polscope ha consentito di osservare che in una proporzione consistente di
ovociti il fuso meiotico non si trova esattamente nella zona subcorticale corrispondente al PBI.
Poiché si ritiene che il fuso, una volta formatosi non sia soggetto a spostamenti significativi, questa
osservazione lascia supporre che il PBI possa essere dislocato a causa dell’azione meccanica
normalmente impiegata per la rimozione delle cellule del cumulo. Pertanto il Polscope potrebbe
essere adoperato anche per stimare il grado di stress meccanico a cui sono sottoposti gli ovociti
durante le normali manipolazioni di laboratorio. I dati relativi al valore predittivo della
localizzazione del fuso meiotico in rapporto alla posizione del primo globulo polare sono anche in
questo caso discordanti. Moon e collaboratori (2003) non hanno osservato differenze significative
in termini di percentuale di fecondazione e di sviluppo embrionario a seconda delle differenti
localizzazioni del fuso meiotico in rapporto al primo globulo polare. Al contrario, altri autori hanno
osservato tassi di fecondazione significativamente più bassi quando l’angolo formato tra le due
strutture supera i 90° (Rienzi et al., 2003).
Infine, recentemente, l’utilizzo della microscopia in luce polarizzata ha dimostrato l’esistenza di una
correlazione tra la birifrangenza della zona pellucida e l’outcome clinico (Shen et al., 2005). La
zona pellucida è costituita da tre strati di glicoproteine che cambiano conformazione dopo
l’estrusione dei granuli corticali e la fecondazione. La sua funzione è meccanica, di separazione
fisica dell’oocita dalle cellule follicolari, ma anche trofica grazie alla presenza di proiezioni
citoplasmatiche che attraversano la zona durante la fase di accrescimento e maturazione dell’ovocita
e consentono lo scambio di molecole con le cellule somatiche. E’ stato dimostrato che l’assenza di
questi scambi, a causa di irregolarità nella zona, determina subfertilità. La struttura è fondamentale
per la fecondazione dell’oocita e l’impianto dell’embrione, previene la polispermia e protegge
l’embrione dagli stress meccanici prima dell’impianto. Anormalità della zona pellucida sono
associate a problemi di fecondazione e a difetti dello sviluppo (Liu et al., 1996; Rankin et al.,
2001).
Lo spessore della zona e l’aspetto dei singoli strati cambia in base allo stadio di maturazione
dell’oocita e allo sviluppo post-fecondazione dell’embrione. Qualcuno ha suggerito che la
morfologia della zona possa essere influenzata dall’omeostasi ormonale e dall’età riproduttiva della
donna (Bertrand et al., 1996) e che lo spessore della zona di embrioni diversi di una stessa paziente
possa correlare con la loro capacità di sviluppo e col tasso di impianto (Gabrielsen et al., 2001). La
maggior parte delle tecniche per l’osservazione della zona si basano su meccanismi standard di
contrasto che consentono la semplice misurazione dello spessore di quella che appare come una
struttura a singolo strato. Il sistema Spindle View, invece, produce automaticamente un’analisi
quantitativa della densità, dell’orientamento e dello spessore di ciascuno dei tre strati glicoproteici,
e questi dati possono contribuire a fornire un’analisi comparativa della qualità ovocitaria. Con
questa tecnica, infatti, Pelletier e colleghi hanno dimostrato che il valore di ritardanza della zona
pellucida negli oociti cambia in modo dipendente dallo stadio di maturità (Pelletier et al., 2004), in
accordo con le osservazioni precedenti sull’aumento di spessore che si verifica progressivamente
durante la maturazione e l’assottigliamento dopo la fecondazione e prima dell’hatching (Dirnfeld et
al., 2003; Pelletier et al., 2004). Shen e colleghi, infine, hanno dimostrato con uno studio
retrospettivo che gli oociti delle pazienti che hanno portato a termine la gravidanza dopo ICSI,
rispetto alla pazienti che non hanno concepito, possiedono una zona pellucida dalla morfologia più
omogenea, dallo spessore maggiore di 1.3 µm e con un valore di ritardanza superiore del 30%
(Shen et al., 2005). Quest’ultimo parametro in particolare sembra essere un buon criterio di
selezione ovocitaria (Montag et al., 2008 a e b).
Un ulteriore enorme dilemma da affrontare nell’analisi morfologica degli ovociti è rappresentato
dalla valutazione degli ovociti da destinare alla crioconservazione o dalla valutazione di quelli
derivanti da cicli di scongelamento/re-warming. Se da un lato il congelamento degli embrioni è
diventato un evento fondamentale e consolidato nella gestione globale dei trattamenti di
procreazione assistita nel mondo, dall’altro la crioconservazione ovocitaria non solleva questioni
etiche, quali la proprietà e il destino degli embrioni e rappresenta una metodica essenziale per la
conservazione del materiale in esubero specialmente nelle realtà in cui la conservazione degli
embrioni è vietata o limitata. Come è noto il vero problema da affrontare, nella criopreservazione
dell’ovocita è rappresentato dal tasso di sopravvivenza ridotto dopo scongelamento (De Santis et
al., 2007 a). Anche piccoli cambiamenti nella durata dell'esposizione al crioprotettore prima del
raffreddamento possono portare a drastici cambiamenti di idratazione cellulare (Paynter et al.,
2005). Tali fattori possono potenzialmente influenzare la capacità della cellula di sopravvivere allo
stress indotto durante le fasi successive del protocollo di crioconservazione (De Santis et al., 2007
b). Sebbene l’introduzione ed il consolidarsi delle tecniche di vitrificazione abbiano in gran parte
superato il bias legato alla sopravvivenza ovocitaria post-scongelamento (correttamente detto
“warming”) (Rienzi et al., 2010), tuttavia i risultati clinici non sono ancora totalmente in favore di
questa metodologia rispetto al “congelamento lento” (Gook and Edgar, 2009). Bianchi et al.,
(2005), hanno anche suggerito che, dopo crioconservazione il fuso meiotico si riorganizzi dopo una
scomparsa transitoria, ma la sua “retardance” risulta notevolmente diminuita nella maggior parte
degli ovociti congelati/scongelati. Questi tentativi preliminari di valutazione quantitativa del fuso
meiotico utilizzando il Polscope non sono conclusivi, ma suggeriscono percorsi alternativi per
l'identificazione di nuovi criteri in grado di predire la qualità degli ovociti (De Santis et al., 2007 c).
Gran parte delle metodologie, quali la microscopia confocale o lo studio dell’espressione genica,
tendenti a stabilire criteri oggettivi di qualità ovocitaria, richiedono trattamenti che non preservano
la vitalità cellulare e pertanto non possono essere applicate per la selezione diretta dei gameti. Per
questa ragione, al di là dell’osservazione morfologica in luce trasmessa e delle inferenze che si
possono fare tramite l’applicazione della luce polarizzata, hanno suscitato grande interesse e
rinnovate speranze le indagini più strettamente funzionali quali quelle che valutano lo stato
metabolico delle cellule in coltura.
In conclusione, le osservazioni collettive sembrano confermare la difficoltà di determinare la qualità
degli ovociti da un punto di vista strettamente morfologico. I dati non supportano l'ipotesi che la
morfologia del PBI sia indicativa del potenziale di sviluppo. Tuttavia, non si può escludere che
un'analisi più ampia possa rivelare che gli ovociti con grandi PBI – pur rappresentando un evento
infrequente - siano evolutivamente compromessi. Sono necessari ulteriori studi per determinare se
la valutazione quantitativa della birifrangenza del fuso meiotico sia in grado di prevedere la capacità
dell'ovocita di svilupparsi in un embrione vitale. I risultati ottenuti con studi in immunofluorescenza
e microscopia confocale sembrano mettere in dubbio che la reale struttura del fuso possa
rispecchiare quella osservata in luce polarizzata poiché l’analisi quantitativa non è in grado di
predire l’esatta configurazione del fuso e la distribuzione dei relativi cromosomi (Coticchio et al.,
2010)
Nella nostra esperienza la selezione ovocitaria basata su criteri esclusivamente morfologici non si è
dimostrata sufficiente a controbilanciare i limiti di operare in conformità alla legge 40/2004 almeno fino al pronunciamento della Corte Costituzionale del Maggio 2009 - né si è dimostrata in
grado di selezionare positivamente gli ovociti di pazienti di età avanzata. L’applicazione della
microscopia in luce polarizzata può fornire informazioni sia qualitative che quantitative sul fuso
meiotico e sulla zona pellucida anche se il suo potere di selezione positiva appare ancora parziale.
L’analisi così condotta si è altresì rivelata utile sia su ovociti freschi che criopreservati ma solo in
termini di “selezione negativa”, per identificare i non idonei al trattamento.
L’analisi del “secretoma” (Botros et al., 2008; Seli et al., 2010) , che tante speranze ha dato nel
potere predittivo degli embrioni con maggiori possibilità di sviluppo ed impianto attende ancora una
risposta certa sull’applicazione effettiva dell’analisi dei profili metabolici dell’ovocita competente.
Le maggiori limitazioni di questa tecnica applicata agli ovociti (precisamente alla valutazione delle
cellule del cumulo che lo circondano) risiede infatti nella breve permanenza del gamete femminile
nel terreno di coltura prima dell’inseminazione/iniezione e alle basse concentrazioni di secreto
rispetto all’embrione metabolicamente attivo.
Complessivamente, come suggerito dal titolo di questo capitolo, tenendo presente la vasta
panoramica di osservazioni ed analisi non invasive a disposizione e considerando che ogni
manifestazione morfologica è l’esito di uno stato funzionale, l’approccio valutativo moderno nel
laboratorio di embriologia clinica dovrebbe essere sempre di carattere morfofunzionale.
BIBLIOGRAFIA
Albertini DF, Sanfins A and Combelles CM 2003. Origins and manifestations of oocyte maturation
competencies. Reprod Biomed Online 6: 410-415.
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