L’isola del “Kaos”: storie, personaggi e luoghi della Sicilia nelle
versioni cinematografiche di testi letterari da Verga e Pirandello
sino agli scrittori contemporanei
MALAVOGLIA (2010)
regia: Pasquale Scimeca; soggetto: liberamente tratto dal romanzo “I
Malavoglia” di Giovanni Verga (1881); sceneggiatura: Pasquale Scimeca,
Tonino Guerra, Nennella Buonaiuto; fotografia: Duccio Cimatti;
montaggio: Francesca Bracci; musica: Alfio Antico; interpreti: Giuseppe
Firullo (Padron ‘Ntoni), Antonio Curcia (‘Ntoni), Omar Noto (Alessi),
Doriana La Fauci (la Longa), Greta Tomasello (Lia), Salvatore Ragusa
(Michele), Giovanni Calcagno (cantastorie); produzione: Amedeo
Bacigalupo; durata: 90’.
Agli inizi del XXI secolo i Malavoglia sono una famiglia di
poveri pescatori di Aci Trezza, una cittadina a nord di Catania. Il
capo-famiglia è Padron 'Ntoni e vive nella casa del Nespolo, con
la figlia Maruzza, suo marito Bastianazzo e i loro tre figli: il
ventenne ‘Ntoni e i più giovani Mena, Lia e Alessi. Il giovane
‘Ntoni, che è generoso e sensibile ai problemi dei tanti immigrati
nordafricani che arrivano in Sicilia, fa amicizia con Alef,
soprannominato “Alfio”, un tunisino sbarcato clandestinamente
da una nave di profughi: il nuovo arrivato entra a far parte della
famiglia e, grazie a ‘Ntoni, trova un lavoro in una serra. si unisce
a loro, grazie alla generosità del giovane 'Ntoni, che lo raccoglie
al momento dello sbarco dalla nave dei profughi e gli trova
lavoro nelle serre. Per la famiglia dei Malavoglia, però, arriva
una sciagura che cambia completamente la loro esistenza: la
barca su cui vanno a pescare, la “Provvidenza”, durante una
tempesta fa naufragio, nel corso del quale Bastianazzo muore.
Maruzza, rimasta vedova, impazzisce dal dolore. Segue un
secondo naufragio che distrugge completamente le poche risorse economiche rimaste ai Malavoglia, che devono vendere
la casa. In più il vecchio padron ‘Ntoni si ammala di cuore e il nipote ‘Ntoni, che non sa più come tirare avanti, si mette a
bere. In questa fase di disperazione proprio il giovane ‘Ntoni ha un’idea che riporterà la sicurezza economica alla sua
famiglia: basandosi sulla voce del nonno che recita alcuni proverbi siciliani, incide un brano di musica rap. Trova il
modo di metterla sul mercato e ne fa un pezzo di successo. Con i soldi ricavati ‘Ntoni può ricomprare la casa del
Nespolo, una nuova barca, chiamata ancora la “Provvidenza”, permettendo così alla sua sfortunata famiglia di ritrovare
serenità e la perduta unità.
Incipit del romanzo “I Malavoglia”
Un tempo i Malavoglia erano stati numerosi come i sassi della strada vecchia di Trezza; ce n'erano persino ad Ognina,
e ad Aci Castello, tutti buona e brava gente di mare, proprio all'opposto di quel che sembrava dal nomignolo, come
dev'essere. Veramente nel libro della parrocchia, si chiamavano Toscano, ma questo non voleva dir nulla, poiché da che
il mondo era mondo, all'Ognina, a Trezza e ad Aci Castello, li avevano sempre conosciuti per Malavoglia, di padre in
figlio, che avevano sempre avuto delle barche sull'acqua, e delle tegole al sole.
A oltre sessant’anni di distanza da “La terra trema” di Visconti, per la seconda volta il cinema italiano si confronta con
l’epos della povera gente narrato da Giovanni Verga ne “I Malavoglia”. Il confronto con il celebre capolavoro del
neorealismo è stato inevitabile e il film di Pasquale Scimeca, che già aveva portato sullo schermo un testo di Verga (la
novella “Rosso Malpelo”), pur nell’originalità di portare le disavventure dei pescatori di Aci Trezza nel XXI secolo, non
riesce a convincere in pieno. Dopo aver già utilizzato il romanzo per un adattamento teatrale andato in scena due anni
prima, Scimeca, come detto, analogamente a quanto aveva fatto Visconti, non vuole semplicemente proporre una
versione cinematografica fedele, quindi non costruisce un film storico, o comunque di ambientazione ottocentesca (come
“La lupa” di Lavia), bensì adatta le sofferenze e le speranze della povera gente di allora con quella dei nostri tempi,
aggiungendo anche un ulteriore elemento di attualità, la questione degli immigrati clandestini che da più di un decennio
sbarcano in Sicilia per tentare la fortuna in Europa. Ecco che il personaggio di “Alfio” (nome italianizzato di profugo
maghrebino), è l’elemento più innovativo nella sceneggiatura: si tratta di ricordare che gli immigrati che arrivano in
Italia oggi sono dei disperati, proprio come lo erano i “Malavoglia” oltre un secolo fa. Altro elemento originale, ma non
del tutto portato a fondo, è lo strumento che avvia la rinascita della famiglia dei “Malavoglia”: i proverbi del vecchio
padron ‘Ntoni, che tanta importanza hanno nel romanzo di Verga, vengono sottratti al loro anacronismo in un’epoca in
cui le comunicazioni, soprattutto all’interno delle famiglie, sono state rivoluzionate, per diventare fonte d’ispirazione per
una moderna forma d’arte, la musica rap. La società dei consumi, che dà una possibilità a tutti, la offre anche al giovane
‘Ntoni, il quale sulla voce del nonno costruisce la propria fortuna con una buona dose di genio artistico e di intuito
imprenditoriale. Anche questo un segno dei tempi. Si può dire che Scimeca è più ottimista, non solo dello stesso Verga,
ma anche di Visconti, per il quale, all’epoca de “La terra trema”, l’unica prospettiva era quella marxista di un’ipotetica
rivoluzione sociale, o comunque di un profondo cambiamento delle strutture economiche della società italiana del
dopoguerra. I giovani disperati di Scimeca, invece, si accontentano di poco e non per questo vanno criticati. Come a dire:
meglio poco che niente. Del neorealismo di Visconti possiamo ritrovare la scelta di alcuni attori: su tutti il tunisino Ben
Hammouda Nacert, un vero profugo, che proprio il regista aiutò nel regolarizzare la sua posizione burocratica di
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L’isola del “Kaos”: storie, personaggi e luoghi della Sicilia nelle
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immigrato clandestino, costretto per anni a lavori di fortuna prima di diventare attore. Mentre gran parte dei personaggi
principali sono impersonati da attori siciliani con altre esperienze alle spalle, molti dei giovani che appaiono in ruoli
secondari erano invece al loro esordio cinematografico.
Da un’intervista a Pasquale Scimeca
Liberamente tratta dal grande romanzo di Giovanni Verga del cosiddetto “ciclo dei vinti”, la pellicola - girata a Porto
Palo, nel siracusano - ha come protagonista ‘Ntoni Malavoglia. Giovane pieno di iniziativa che assiste all’arrivo di un
barcone di clandestini. Tra loro c’è Alfio (interpretano dal tunisino non professionista Naceur Ben Hammouda, che ha
vissuto la stessa esperienza nella vita reale), che finisce per legarsi a quella famiglia di pescatori. Anche se il destino, per
chi è povero e cerca in qualche modo di risollevarsi, può essere molto crudele...
Scimeca, partiamo proprio da Naceur, l’ex clandestino tunisino che lei ha scelto nel ruolo di Alfio: quando lo avete
ingaggiato era irregolare, è riuscito ad avere il permesso di soggiorno?
La sua storia è finita da un lato bene, dall’altro male. Lui è arrivato in Sicilia sedicenne su un barcone gestito dai soliti
sfruttatori, ha fatto tutti i lavori possibili e immaginabili, poi anche grazie al mio interessamento è riuscito ad avere il
famoso permesso. Mi ha telefonato in dicembre, era contentissimo: finalmente, coi documenti in regola, poteva tornare a
trovare i familiari in Tunisia. Ma una volta arrivato lì, è crollato il regime: ed è stato il caos...
Dunque è rimasto bloccato lì?
Proprio così: il paradosso è che in questo momento chi è in regola resta bloccato dalla confusione lasciata dal crollo del
regime, mentre come sappiamo i clandestini continuano a viaggiare, perché i loro arrivi sono gestiti dai criminali. Lui poi
è stato anche ferito, è convalescente: spero proprio che alla fine riesca a tornare.
Lei che è siciliano, e che nel suo film racconta senza fronzoli questo mondo di arrivi per mare e di miseria, cosa pensa
degli avvenimenti delle ultime settimane?
Provo un disagio profondo: non è successo nulla di biblico, sono arrivate nel tempo circa 24-25 mila persone che non si
sa se sono profughi o semplici migranti. Tutto qui. Questo flusso è una costante, non un’emergenza straordinaria. Dove
abbiamo girato il film, a Porto Palo, in ogni tratto di costa c’è un barcone abbandonato. Per non parlare del fatto che
anche noi siciliani siamo stati migranti da terza classe: siamo andati perfino in Tunisia, questo pochi lo ricordano,
durante il fascismo. Quando lì c’erano circa 100 mila miei corregionali.
Lei sostiene con forza che i flussi migratori sono un fenomeno positivo.
Le racconto una cosa che riguarda il mio paesino natale, Aliminusa, nel palermitano: quando io ero piccolo la strada
dove abitavo era piena, c’erano tanti bambini. Negli ultimi anni si è svuotata, sono rimasti solo i vecchi. Un anno fa,
però, vi si è stabilita una famiglia marocchina, con cinque figli: è tornata l’allegria, la vita. Anche mia madre è contenta.
In questo contesto, qual è l’attualità di Verga?
È sorprendente: basta leggere la sua introduzione ai Malavoglia, che io ho ripreso all’inizio del film. Le sue parole sono
di grande profondità umana: ci dicono che in un’epoca di uniformità di sentimenti, di idee, di banalità (proprio come la
nostra) bisogna cercare di posare lo sguardo sulla verità delle cose. È quello che ho cercato di fare anch’io.
(da “Repubblica”, 27 aprile 2011)
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