I poeti crepuscolari La poetica crepuscolare: l'origine del termine, le caratteristiche, i temi, le forme stilistiche e i suoi maggiori rappresentanti Copyright ABCtribe.com 1. 2. Il Crepuscolarismo 1.1 Le caratteristiche 1.2 Le scelte stilistiche 1.3 I temi e gli ambienti 1.4 Il paesaggio e lo spazio 1.5 Il linguaggio I crepuscolari Copyright ABCtribe.com 2.1 Tito Marrone 2.1.1 Le opere 2.1.1.1 Dialogo di giovedì grasso 2.2 Corrado Govoni 2.2.1 La poetica 2.2.2 Il periodo crepuscolare 2.2.3 Il periodo futurista 2.2.4 Oltre il periodo futurista 2.2.5 Le opere 2.3 Giulio Giannelli 2.3.1 Le opere 2.3.1.1 Olocausto 2.3.1.2 Buio 2.4 Sergio Corazzini 2.4.1 La poetica 2.4.2 Le opere 2.4.2.1 Poemetti in prosa 2.5 Guido Gozzano 1. Il Crepuscolarismo Iniziamo la nostra dissertazione sul Crepuscolarismo dall’analisi del termine “crepuscolare”. Il suddetto termine fu usato per la prima volta il 10 settembre del 1910, quando Giuseppe Antonio Borgese pubblicò sul quotidiano "La Stampa" un articolo, intitolato Poesia crepuscolare, nel quale delle liriche di Marino Moretti, Fausto Maria Martini e Carlo Chiaves. Fu così che venne usato per la prima volta il termine "crepuscolare" per indicare una categoria letteraria. L’aggettivo "crepuscolare" alludeva ad una presunta insufficienza della loro poesia, che chiudeva in tono sbiadito la grande stagione della tradizione ottocentesca, quella dannunziana e pascoliana. Borgese scrive: "Poiché son giunti al levar delle mense, devono contentarsi delle briciole. Che c’è da far dopo le «Odi barbare» di Carducci, dopo l’«Otre», dopo «La morte del cervo», dopo quella dozzina di liriche dannunziane, nelle quali la nostra lingua mostrò veramente tutto il suo potere? Dovranno passare molti anni prima che quell’eco si spenga o dovrà sorgere un altro temperamento di quella forza". La metafora del crepuscolo voleva indicare una situazione di spegnimento, dove predominavano i toni tenui e smorzati, di quei poeti che non avevano emozioni particolari da cantare se non la vaga malinconia, come scrive appunto il Borgese, "di non aver nulla da dire e da fare". Il termine "crepuscolare" cominciò così ad essere usato dalla critica per delineare quel gruppo di poeti che, pur non costituendo una vera scuola, si trovavano concordi nelle scelte tematiche e linguistiche e che, soprattutto, rifiutavano qualsiasi forma di poesia eroica o sublime. Tale metafora sta ad indicare la fine di un'ideale parabola della poesia italiana, che si spegne in un «mite e lunghissimo crepuscolo» dopo il mattino (Dante Alighieri, Francesco Petrarca, Boccaccio), il mezzodì Copyright ABCtribe.com (Matteo Maria Boiardo, Ludovico Ariosto, Torquato Tasso), il primo meriggio (Carlo Goldoni, Giuseppe Parini, Vittorio Alfieri) e il vespro (Ugo Foscolo, Alessandro Manzoni, Giacomo Leopardi). Oggi definiamo «crepuscolare», senza alcuna intenzione negativa, un modo particolare di sentire la vita e di scrivere poesia. La definizione di Borgese ebbe fortuna, ma non fu mai accettata dai poeti a cui si riferì, poiché essi non costituirono mai un gruppo o una corrente, rimanendo ciascuno isolato nella propria individualità. Il termine «crepuscolare» servì piuttosto a indicare uno stato d'animo di ripiegamento e di abbandono ed una lirica dai toni languidi e malinconici che registrava fatti e volti della realtà quotidiana, anche la più comune e banale. Alle antiche gerarchie di valori, ormai venute meno, i poeti «crepuscolari» sostituiscono una visione malinconica della vita, spesso autoironica, che tende a mettere in crisi ogni certezza. La poesia crepuscolare è piena di cose, avvenimenti, personaggi modesti, di «buone cose di pessimo gusto» come le definì Gozzano, «povere piccole cose» come le chiamò Corazzini (corsie di ospedali, monachelle, fiori finti, animali imbalsamati, amori adolescenziali). L'assenza di un programma poetico unico spiega la diversità degli atteggiamenti dell'uno e dell'altro dei crepuscolari (Sergio Corazzini, Giudo Gozzano, Marino Moretti, Carlo Chiaves, Corrado Govoni, Aldo Palazzesci...) e il passaggio di alcuni di essi ad esperienze d'arte di altro tipo, per esempio al futurismo o all'ermetismo. Le loro composizioni sono accomunate da un tenue pessimismo, da una malinconia senza scosse e senza ribellioni, da una stanchezza di vivere che in alcuni, come Corazzini e Gozzano, è connessa con malattie fisiche. Negli stessi anni in cui si assisteva allo spirito di rivolta fondato sul vitalismo e l'individualismo, propenso a vedere nell'intellettuale e nello scrittore il protagonista della storia e il creatore delle forze dell'avvenire, vengono fatte esperienze poetiche differenti, svalutando la funzione del poeta che considera la sua opera in linea con i grandi disegni collettivi. Queste esperienze partono da un rifiuto totale della concezione di poesia intesa come impegno Copyright ABCtribe.com sociale, civile e pubblico quale era stato affermato, seppure in modi differenti, da Giosuè Carducci, Gabriele D'Annunzio e Giovanni Pascoli. I crepuscolari si contrappongono al Pascoli e al D'Annunzio del "Poema paradisiaco" e risentono dell'influsso di Paul Verlaine e di alcuni poeti decadenti fiamminghi e francesi, come Maurice Maeterlinck e Jules Laforgue, e hanno ormai preso coscienza del logoramento di quella tradizione classica alla quale essi rimanevano fedeli. Questi poeti hanno un repertorio comune, cantano la sonnolenta e monotona vita di provincia. E su tutto questo e all'interno di tutto questo aleggia la stanchezza del vivere, il disilluso ripiegamento su se stessi, l'incapacità di stabilire un rapporto armonioso col mondo, la voluttà della sofferenza e dell'autocompatimento, la banalità del quotidiano e l'antieroismo. La P.C è un movimento o piuttosto un atmosfera poetica caratterizzata da un'intenzione di rottura con la poesia tradizionale ed ufficiale per sostituirvi un più sommesso discorso, tramato di tristezza e melanconia, che prende spesso lo spunto dalle "piccole cose di pessimo gusto"(Gozzano) e dalle "povere piccole cose" (Corazzini). Anche il materiale poetico, caro a questi poeti (organetti di Barberia, le corsie d'ospedale, le beghine, le povere suore malinconiche, gli amori adolescenti, le domeniche tristi, la "morta vita" della provincia), finì per caratterizzarli in modo evidente ed inequivocabile. 1.1 Le caratteristiche I poeti crepuscolari evitano la proiezione verso il e non intendono magnificare le forze del mondo, ma elevano a materia della loro poesia la vita quotidiana nei suoi più dimessi e banali aspetti, priva di ogni ornamento e libera dal peso della tradizione. Essi sono accomunati dal bisogno di compianto e di confessione, dal rimpianto per i valori tradizionali persi e da una perenne insoddisfazione che non si sfoga in ribellione ma cerca solamente tranquilli angoli del mondo e luoghi conosciuti dell'anima in cui rifugiarsi. I crepuscolari esprimono tutto ciò in un linguaggio nuovo. La loro poesia, in esplicito contrasto con quella di D'Annunzio, rifiuta il superomismo, il panismo, l'estetismo, il lussureggiante abuso delle parole, assumendo, invece, un andamento prosastico e discorsivo, quando non consapevolmente ironico. ABCtribe.com L'ambiente non è più l'alta borghesia dannunziana, ma diventa l'ambiente della media e piccola borghesia, con le buone cose di cattivo gusto (il salotto buono, i busti di Napoleone, gli animali imbalsamati). Trionfano i buoni sentimenti. Ma anche da tutto ciò i crepuscolari prendono le distanze, non sono persuasi, avvertono che i valori della borghesia tradizionale sono irrimediabilmente superati, impossibili da ripristinare. Riassumiamo adesso, per punti, le caratteristiche del movimento del crepuscolarismo: - La poesia crepuscolare afferma che la vita non è un’opera da plasmare con il gesto eroico, è uno spazio ristretto, angusto, da superare con l’arte, da far rivivere attraverso la mediazione della letteratura, cui l’esistenza comunica le sue tonalità, voci basse, gesti quotidiani e sommesse ironie. - I crepuscolari negano alla poesia ogni ruolo sociale e civile, rifiutano il concetto di poeta vate, promotore del progresso della storia e considerano la tradizione e il Classicismo, cui si ispirarono in modi diversi Carducci, Pascoli e D’Annunzio, un’esperienza completamente conclusa. - I poeti sono accomunati da una malinconica inquietudine che nasce dalla totale sfiducia in ogni ideale religioso, politico e sociale. - Il silenzio dei crepuscolari se ha un significato non è quello di un rifiuto sdegnoso, ma piuttosto di un concreto appartarsi, fatto più di rinuncia e anche un po’ di pigra incomprensione, che di motivato giudizio morale e storico. Ma anche se antidannunziana, la poesia crepuscolare appartiene di diritto al decadentismo. Soprattutto perché esprime quella crisi di certezze, quel vuoto che abbiamo già esaminato e classificato come una delle componenti fondamentali del decadentismo. La frattura tra individuo e società, l'angoscioso senso di solitudine, il ripiegamento sull'interiorità sono gli aspetti più evidenti dell'epoca e nei crepuscolari sono tutti elementi ben ravvisabili. Uno tra i primi poeti crepuscolari, Corrado Govoni, in una lettera del 1904 inviata all'amico Gian Pietro Lucini, offre un esempio dei temi di questa poesia: « le cose tristi, la musica girovaga, i canti d'amore cantati dai vecchi nelle osterie, le preghiere delle suore, i mendicanti pittorescamente stracciati e malati, i convalescenti, gli autunni melanconici pieni di addii, le primavere nei collegi quasi timorose, le campagne magnetiche, le chiese dove piangono indifferentemente i ceri, le rose che si sfogliano su gli altarini nei canti delle vie deserte in cui cresce l'erba... ». Una scuola cosiddetta crepuscolare si può dunque situare nel primo decennio del Novecento. I poeti che vi sono ascritti presentano sensibilità, temi, moduli in certo qual modo simili, arricchiti in ogni singolo poeta da contaminazioni di diversa provenienza. I crepuscolari, insomma, non formarono mai, come invece i futuristi e altre avanguardie di inizio secolo, un movimento veramente formalizzato con terminologie proprie e progetti comuni. Gli esponenti principali della poesia crepuscolare sono: Govoni, Gozzano, Moretti e Corazzini. ABCtribe.com Contro la mitologia dannunziana non si opponeva il solo Benedetto Croce, ma anche quelli che furono definiti poeti crepuscolari. Fu Giuseppe Antonio Borgese che coniò la definizione "crepuscolare", in un articolo apparso su La Stampa il primo settembre 1910, dal titolo Poesia crepuscolare, intendendo definire la collocazione storica di questa poesia, che si svolgeva ormai ai margini, in una zona umbratile di crepuscolo, trascorsa ormai la luce meridiana della grande tradizione dei maestri dell'ultimo Ottocento. Secondo Borgese i crepuscolari esprimevano "la torpida e limacciosa malinconia di non aver nulla da dire e da fare". Ispiratori della P.C possono essere ritenuti il Pascoli ed il Gozzano nel tentativo di reagire alla poesia patriottica del Carducci ed a quella sensuale e paganeggiante di D'Annunzio: onde la poesia crepuscolare appare come un'eco del decadentismo francese. Si accettano n tal modo nel clima poetico parole e ritmi attinti dal linguaggio quotidiano e compaiono immagini il cui bisogni fiorisce dalla loro stessa modestia: perciò "crepuscolo" non significa tramonto della poesia maggiore, ma piuttosto clima di penombra in quanto s tenta di trovare oltr'alpe quella nuova scala di valori, che alla poesia avevano dato i poeti simbolisti francesi: si tratta infatti di rinunciare al sublime e ritrovare una propria identità. Per questo il crepuscolarismo non è una scuola o una corrente, ma uno stato d'animo che nasce da una condizione di ambiguità, di crisi sia storica che esistenziale con la coscienza di una dolorosa mediocrità. Tutto ciò permette di affermare che proprio nella poesia crepuscolare è lecito vedere il primo sintomo di una nuova condizione psicologica del '900, se è vero che il secolo continua a trascinare i segni di quella crisi in cui è nato. 1.2 Le scelte stilistiche A questi contenuti corrisponde una coerente scelta linguistica. I crepuscolari tendono a ridurre la poesia a prosa e cercano un verso che, pur mantenendo il ritmo poetico, rompa con la metrica tradizionale e rimanga nell'ambito della prosa. Questo desiderio di un linguaggio prosastico e privo di ogni forma aulica e classicistica conduce alla piena affermazione del verso libero. 1.3 I temi e gli ambienti Il repertorio crepuscolare utilizzò, a livello spaziale, i viali solitari, i giardini incolti, le piazze vuote, i giardini polverosi, le cianfrusaglie delle soffitte, luoghi in cui si celebrava il rito della noia di domeniche sempre uguali e della prosaicità del quotidiano e dello squallore. Strettamente legata all’ambientazione risulta la scelta della tematiche: Gli stati d’animo privilegiati sono quelli della tradizione decadente, che si traducono nella malinconia, nel rimpianto di un ‘800 ormai naufragato, assieme ai miti del progresso e della scienza; Stanchezza e solitudine, che porta ABCtribe.com alla "chiusura" in un mondo provincialmente ristretto sono la traduzione dello smarrimento decadente; Su tutta la produzione crepuscolare aleggia un senso diffuso di morte: "Sono un fanciullo triste che ha voglia di morire". (Sergio Corazzini) La poesia, rifiutata la vita come spettacolo, si riempie delle povere piccole cose di cui è fatta l’esistenza. 1.4 Il paesaggio e lo spazio Il paesaggio non è più l’intenso luminoso paesaggio di San Martino o quello solare e maestoso di Mezzogiorno alpino di Carducci, né tanto meno quello silvestre dannunziano de La pioggia nel pineto, in cui l’artista si sente immerso panicamente e al quale partecipa vivendo le suggestive e magiche atmosfere di seduzione della natura; il paesaggio crepuscolare si smorza nei toni, nei colori, soffoca la luce, si restringe all’interno di perimetri ben delimitati, recintati, che solo apparentemente chiudono l’orizzonte all’uomo e al poeta; gli orti delle case, dei conventi, i giardini, i parchi delle ville, i solai, i salotti sono il nuovo spazio entro cui il poeta si muove e nei quali scopre e ricorda l’universo intorno; per Moretti l’orto diventa un deposito di cari ricordi, mentre per Corazzini il piccolo giardino addormentato di provincia è il custode di teneri amori, di sogni, di desideri puri e grandi malinconie: Ricordare è più dolce, ogni filo d’erba potrebbe ricordare ché molto sa. Quante memorie care questo stretto recinto anche ci serba. Hortulus O piccoli giardini addormentati in un sonno di pace e di dolcezze, o piccoli custodi rassegnati di sussurri, di baci e di carezze Giardini 1.5 Il linguaggio Copyright ABCtribe.com