12 Martedì 5 Gennaio 2010 Corriere del Mezzogiorno BA Cultura Il Molière di Malosti Una prestigiosa anteprima nazionale da venerdì a domenica al teatro Piccinni, nell’ambito della stagione di prosa del Comune di Bari (direzione artistica Carlo Bruni): Valter Malosti presenta Molière / La scuola delle mogli. Un grande classico del repertorio comico riletto in chiave di partitura musicale, sottolineando le rime e le assonanze del testo di Molière e inserendo nella colonna sonora citazioni e frammenti che vanno dalla musica barocca al contemporaneo, dai Beatles a MC Solaar. Venerdì e domenica in scena alle ore 21, domenica alle 18. Spettacoli&Tempo libero Mediterraneo Fenomeni Al Teatroteam Il mondo di Patty e la carica delle giovanissime Conflitti di civiltà? No, guerre ed errori politici I Da Laterza due saggi di Goodman e Pagden di FELICE BLASI C on la fine della guerra fredda la politologia e la storiografia angloamericane hanno trovato conferma al paradigma del conflitto come lettura degli eventi internazionali, specie a partire dalla prima guerra del Golfo e dopo l’11 settembre 2001, nell’idea dello «scontro di civiltà» formulata da Samuel Huntington (1927-2008) nel 1993 nell’omonimo saggio per la rivista Foreign Affairs, sviluppato in volume nel 1996. Due tra i migliori libri di storia del catalogo Laterza pubblicati lo scorso anno sono dedicati a questo tema: Roma e Gerusalemme. Lo scontro delle civiltà antiche di Martin Goodman (pp. 740, euro 35) e Mondi in guerra. 2500 anni di conflitto tra Oriente e Occidente (pp. 616, euro 28), di Anthony Pagden. Entrambi gli autori sono meno huntigtoniani di quanto a prima vista si potrebbe pensare leggendo i titoli dei loro libri, né cercano nella storia conferme alla tesi per cui Oriente e Occidente sono destinati a restare in contrasto. Tra l’altro Pagden, nell’unico punto in cui cita Huntington, lo fa quando ricorda che Osama bin Laden, al quale fu chiesto nell’ottobre 2001 se condividesse la categoria di «scontro di civiltà», rispose: «Assolutamente sì. Il Libro Sacro lo afferma chiaramente. Ebrei e Americani hanno inventato il mito della pace in terra. È una favola…». Nei due libri, tra l’altro scritti con un gusto avvincente per la narrazione storica e una meticolosa ricerca di informazioni, oltre alla guerra c’è molto incontro di culture, scambio di civiltà, intreccio di economie: e c’è molto Mediterraneo, nel senso che entrambi riportano al centro dell’attenzione geopolitica quest’area, una delle conseguenze spesso trascurate della tesi generale dello scontro di civiltà. Di questa «rimediterraneizzazione» del discorso stori- «I nodi del Mediterraneo», un’opera di Studio Azzurro co e politico vorremmo provare a definire i tratti attraverso Goodman e Pagden. Il primo, ricostruendo gli eventi che portarono nel 70 d.C. alla distruzione di Gerusalemme e del suo tempio giudaico, descrive «un mondo mediterraneo in cui molti elementi incoraggiavano un sentimento di unità tra i popoli che lo abitavano». Per economia, sistema amministrativo, caratteristiche ambientali e culturali, le differenze delle popolazioni riuscivano a trovare un equilibrio: «il mondo romano era quello che oggi chiameremmo un mondo multiculturale, riconosciuto come tale sia dai governanti sia dai governati». Goodman spiega molto bene le ragioni per cui non c’era alcun destino per il quale il conflitto giudaico-romano del I secolo fosse inevitabile, ma che esso fu il risultato di una serie di intemperanze politiche ed errori militari. Le differenze di civiltà, che pure esistevano, non furono determinanti: al contrario, la generale tolleranza religiosa romana permet- te all’autore di parlare di «continuum culturale» attraverso tutto l’impero mediterraneo. Anche Pagden sposta sul Mediterraneo il teatro del suo racconto, che comincia con le guerre persiane, passa per Alessandro Magno, Roma, le Crociate, l’Islam, Napoleone in Egitto, il colonialismo, e arriva fino alla guerra del Golfo del 1991 e ai nostri giorni. All’origine dei numerosi conflitti raccontati dall’autore non ci sarebbe un presunto, naturale, conflitto di civiltà, quanto piuttosto esasperazioni di ambizioni personali, politiche aggressive, rigide prese di posizione, atteggiamenti non concilianti, generalmente da parte dei capi politici e religiosi. I fondamentalismi, nota Pagden, si trovano in tutta la storia d’Oriente e d’Occidente, sono animati ad arte dalle classi dirigenti come forme primitive di legittimazione, e servono da giustificazione per le guerre di volta in volta intraprese. Lo storico americano esprime una critica molto dura al connubio tra potere religioso e potere politico, qualcosa che l’Occidente ha pagato molto caro nel suo passato, di cui si è liberato in buona parte, meglio di quanto ancora non accada in Oriente, ma che rischia comunque di riaffacciarsi, come si è visto con il radicalismo religioso di George W. Bush, speculare a quello di Ahmadinejad. Lo sguardo a questo grande laboratorio storico che è stata, e che continua ad essere, l’area del Mediterraneo dimostrerebbe che i conflitti hanno le loro cause nei meccanismi e nei responsabili delle scelte collettive e delle organizzazioni sociali: è come se la ricerca storica, verificando il presupposto del conflitto tra le civiltà mediterranee, stia riportando alla luce una continuità culturale, una base di tolleranza più originaria rispetto alle occasioni scatenanti delle guerre che le hanno separate. l titolo in spagnolo dice già tutto: Patito feo, ovvero «Il brutto anatroccolo». Perché di questo parla Il mondo di Patty, titolo italiano della serie tv più amata dai bambini e soprattutto dalle bambine dai 6 ai 15 anni, quella categoria di consumatori nota nel mondo anglosassone come teen-ager e pre-teens. Patricia Castro, detta Patty, è una bimba tredicenne, una bruttina infelice ma dal cuore d’oro che riuscirà, non tradendo mai i suoi sentimenti e agendo con lealtà, a rappresentare la sua accademia di arti dello spettacolo in un concorso nazionale, a scoprire chi è suo padre (e a farlo riconciliare con sua madre), a far pace con la sua peggior nemica e a conquistare il ragazzo dei suoi sogni. La formula è quella delle telenovelas di una volta (sudamericana, infatti, è la produzione), condita da canzoni accattivanti e da un pizzico di lotta di classe: le due «squadre» di ragazze in competizione si chiamano Las Populares e Las Divinas. C’è tutto quello che serve per conquistare quella fascia di pubblico delle giovanissime molto ben identificata dal marketing contemporaneo: glamour, musica e buoni sentimenti in una versione post-moderna delle antiche fiabe, ma con una presenza femminile molto attiva e caratterizzata. La proposta ha avvinto prima le arPatty Laura Esquivel gentine e poi le italiane, in televisione (Disney Channel, Italia 1), e ora in teatro. Il musical teatrale, ripreso e prodotto per l’Italia dalla Mas (Music, Arts & Show) di Milano, con la Patty originale (Laura Esquivel) affiancata da uno stuolo di giovani cantanti-attori-danzatori italiani capaci di reggere con disinvoltura la scena, è approdato nello scorso weekend a Bari per cinque spettacoli in due giorni in un Teatroteam tutto esaurito. Il pubblico era naturalmente formato da ragazzi (pochi) e ragazze (tantissime) rigorosamente sotto i 15 anni, accompagnate da genitori spaventati e sorridenti. Trasformato in una bolgia urlante e scintillante (di fotocamere digitali, cellulari, e anche stelline luminose fornite dall’efficentissimo e onnipresente merchandising), il Team ha tremato, ballato, vissuto ore di intensa emozione collettiva. Alla fine, sul palcoscenico vuoto, restavano i peluche e i messaggi d’ogni genere lasciati dalle fans, pegni di un amore totale e a senso unico. «Resti» di uno spettacolo ad altissimo valore aggiunto. © RIPRODUZIONE RISERVATA Fabrizio Versienti © RIPRODUZIONE RISERVATA In un libro di conversazioni il bilancio umano e politico di un grande meridionalista lucano Rocco Mazzarone, il «medico sociale» R occo Mazzarone è stata una delle figure più luminose nella storia della cultura e dell’impegno civile in Lucania. Nato a Tricarico nel 1912 e scomparso nel dicembre del 2005, è stato un medico ed epidemiologo in prima linea, parte attiva di quel meridionalismo «scientifico» che ha accostato, confrontandosi fittamente, il meridionalismo politico e letterario. Amico intimo di Rocco Scotellaro, Carlo Levi, Manlio Rossi-Doria, ha diretto il Consorzio e il Dispensario Antitubercolare di Matera dalla fine degli anni Quaranta e per il suo impegno nella lotta contro la malaria e la tubercolosi ha ricevuto la Medaglia d’oro «Carlo Forlanini». Autore di numerose pubblicazioni, ha condotto indagini epidemiologiche anche all’estero, in Somalia e nel Belucistan iraniano, e ha insegnato Statistica medica all’università di Bari. Mazzarone è stato tra i pionieri della medicina sociale, ma è stato anche un intellettuale laico e democratico, un convinto riformista che credeva nell’importanza di studiare la realtà e le sue complesse strutture per dare una risposta ai bisogni (non solo sanitari) di chi vive in condizioni di estrema miseria. Un intellettuale cosmopolita, di formazione europea, che ha conosciuto e accompagnato in Basilicata Henri Cartier-Bresson e ha collaborato con Friederich Friedmann allo studio delle condizioni di vita nei Sassi. Per chi volesse saperne di più, la casa editrice L’Ancora del Mediterraneo ha da poco pubblicato un libro di conversazioni con il medico di Tricarico, condotte tra gli anni Novanta e l’inizio del nuovo secolo da Pancrazio Toscano. Il libro, dal titolo I confini del possibile, offre una lunga serie di riflessioni, ricordi, aneddoti, analisi tanto da costituire una vera e propria autobiografia «in dialogo». Mazzarone rievoca la Lucania sotto il fascismo e l’occupazione delle terre, «l’importanza del Ddt e del Cristo di Levi» per l’eradicazione della malaria e l’emancipazione della regione, gli esperimenti di comunità, la politica di Colombo, l’emigrazione di massa: «Quando i contadini si resero conto che neanche la riforma fondiaria, con i pochi ettari delle assegnazioni, avrebbe potuto risolvere i loro problemi, scoprirono il passaporto e, con intelligenza e coraggio, se ne andarono». Chi ha avuto il privilegio di conoscere Mazzarone, ritroverà in questo volume le sue parole, le sue pause, il suo continuo interrogare e interrogarsi senza presunzione sulle riforme da attuare, sulle inchieste da fare. Una foto «lucana» di Henri Cartier Bresson e Rocco Mazzarone (a sinistra) con Rocco Scotellaro Chi non lo ha conosciuto scoprirà invece, come scrive Goffredo Fofi nella prefazione al volume, «un italiano di tempra rara, come purtroppo se ne sono avuti pochi», testimone di una pagina importantissima della nostra storia. Le riflessioni raccolte giungono fino al Sud odierno. «La Basilicata», dice Mazzarone, «è ormai irriconoscibile rispetto a quella di cinquant’anni fa. Molte cose sono cam- biate». Il suo problema principale sta forse nella difficoltà di assorbire i giovani all’interno del sistema produttivo regionale, e nel far sì che questo sistema non distrugga l’ambiente. E allora: «La classe dirigente, e quindi la classe politica che emergerà, saprà mettere a punto un modello di sviluppo che dia le risposte giuste?». Alessandro Leogrande © RIPRODUZIONE RISERVATA