La riforma del 2009 Art. 702ter 368 soluzione contraria condurrebbe ad un’ingiustificata restrizione del diritto di difesa dell’attore, fermi restando i dubbi sulla difficile proseguibilità in tal caso con le forme del procedimento sommario [Bove (3)]. Bibliografia: (1) Arieta, Il rito semplificato di cognizione, www.judicium.it; (2) Balena, La nuova pseudo-riforma della giustizia civile, in corso di pubblicazione in GPC 2009; (3) Bove, Brevi riflessioni sui lavori in corso nel riaperto cantiere sulla giustizia civile, www.judicium.it; (4) Briguglio, Il rito sommario di cognizione nel nuovo processo societario, www.judicium.it; (5) Caponi, Un nuovo modello di trattazione a cognizione piena: il procedimento sommario ex art. 702-bis c.p.c., www.judicium.it; (6) Carratta, in C. Mandrioli-A. Carratta, Come cambia il processo civile, Torino 2009, 135; (7) Consolo, La legge di riforma 18 giugno 2009 n. 69: altri profili significativi a prima lettura, CG 2009, 877; (8) Consolo, Una buona novella al c.p.c.: la riforma del 2009 (con i suoi artt. 360 bis e 614 bis c.p.c.) va ben al di là della sola dimensione processuale, CG 2009, 737; (9) Luiso, Il procedimento sommario di cognizione, GI 2009, 1568; (10) Menchini, L’ultima idea del legislatore per accelerare i tempi della tutela dichiarativa dei diritti: il procedimento sommario di cognizione, CG 2009, 1025; (11) Menchini, I provvedimenti sommari (autonomi ed interinali) con efficacia esecutiva, GPC 2009, 367; (12) Olivieri, Il procedimento sommario di cognizione (primissime brevi note), www.judicium.it; (13) Proto Pisani, Contro l’inutile sommarizzazione del processo civile, FI 2007, V, 44; (14) Proto Pisani, La riforma del processo civile: ancora una legge a costo zero (note a prima lettura), FI 2009, V, 223; (15) G. Tarzia, Procedimento sommario e procedimento formale, in I progetti di riforma del processo civile, a cura di TarziaCavallone, Milano 1989, 414; (16) Tiscini, Commento all’art. 19, in La riforma delle società. Il processo, Torino 2003, 184. 702ter Procedimento (1) [1] Il giudice, se ritiene di essere incompetente, lo dichiara con ordinanza. [2] Se rileva che la domanda non rientra tra quelle indicate nell’articolo 702bis, il giudice, con ordinanza non impugnabile, la dichiara inammissibile. Nello stesso modo provvede sulla domanda riconvenzionale. [3] Se ritiene che le difese svolte dalle parti richiedono un’istruzione non sommaria, il giudice, con ordinanza non impugnabile, fissa l’udienza di cui all’articolo 183. In tal caso si applicano le disposizioni del libro II. [4] Quando la causa relativa alla domanda riconvenzionale richiede un’istruzione non sommaria, il giudice ne dispone la separazione. [5] Se non provvede ai sensi dei commi precedenti, alla prima udienza il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione all’oggetto del provvedimento richiesto e provvede con ordinanza all’accoglimento o al rigetto delle domande. [6] L’ordinanza è provvisoriamente esecutiva e costituisce titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale e per la trascrizione. [7] Il giudice provvede in ogni caso sulle spese del procedimento ai sensi degli articoli 91 e seguenti. (1) Articolo inserito dall’art. 51, c. 1, l. 18.6.09, n. 69, che ha inserito l’intero Capo III-bis. Tale disposizione si applica ai giudizi instaurati successivamente al 4.7.09. 369 Codice di procedura civile Art. 702ter Sommario: I. L’udienza o le udienze del procedimento sommario – II. Le verifiche preliminari e l’accertamento dei presupposti processuali generali – III. L’accertamento dell’attribuzione della causa al tribunale in composizione monocratica – IV. L’accertamento della compatibilità della causa con l’istruzione sommaria e la definizione del thema decidendum e probandum – V. La conversione nel giudizio ordinario – VI. La fase istruttoria – VII. La connessione, le vicende anomale e i cautelari in corso di causa – VIII. I provvedimenti di merito. I. L’udienza o le udienze del procedimento sommario Nell’udienza fissata con il decreto previsto dal c. 3 dell’art. 702 bis il giudice deve 1 compendiare tutte le attività tipiche della trattazione a cognizione piena (verifiche preliminari, accertamento dei presupposti processuali, definizione del thema decidendum e probandum), per poi dare ingresso alla (eventuale) istruttoria semplificata. Il legislatore specifica che queste attività sono compiute alla ‘‘prima udienza’’, rivelando la volontà di garantire al procedimento la massima concentrazione possibile. In realtà, l’esaurimento del procedimento in un’udienza è un obiettivo solo tendenziale, non potendosi escludersi, in mancanza di una previsione in tal senso, che il giudice, nell’esercizio del suo potere ordinatorio, frazioni le suddette attività in più udienze, ove ciò si riveli funzionale alla garanzia di un più compiuto esercizio del diritto di difesa o ad una migliore organizzazione della fase istruttoria o decisoria. Nella stessa ottica è ipotizzabile che il giudice, qualora la natura della causa o il diritto di difesa delle parti lo richieda, conceda durante il corso del procedimento un termine (breve) per il deposito di memorie difensive, il cui contenuto peraltro deve essere rapportato alle esigenze di semplificazione del procedimento. D’altra parte, la possibilità di frazionamento delle attività del procedimento somma- 2 rio in più udienze era già stata ammessa con riferimento all’art. 19 del d.lgs. n. 5/03 [Menchini (13)] e, a maggior ragione, deve essere ammessa per il nuovo procedimento sommario, in quanto la gestione dell’attività processuale, per quanto semplificata, deve pur sempre consentire una cognizione piena, tendente al giudicato. Peraltro, l’orientamento restrittivo, invero minoritario, che sosteneva la necessaria concentrazione dell’attività processuale del procedimento sommario societario in una sola udienza [T Milano 17.3.05, GI 2006, 348], si basava, oltre che sulla formulazione dell’art. 19 c. 2 bis («al termine dell’udienza il giudice ... pronuncia ordinanza immediatamente esecutiva ...»), sulla considerazione della sommarietà della cognizione propria del procedimento. Ma la possibilità di far leva su questo argomento (peraltro, di per sé, non significativo, ove si consideri che la sommarietà della cognizione non viene ritenuta ostativa alla fissazione di più udienze persino nei procedimenti sommari connotati dal requisito dell’urgenza, come i procedimenti cautelari) è definitivamente venuta meno con la sostituzione nell’art. 702 ter del riferimento alla compatibilità con la ‘‘cognizione sommaria’’ con il riferimento, più ampio, alla compatibilità con l’istruzione sommaria [Balena (2), 54]. In particolare, il rinvio della prima udienza si rivela funzionale ad un miglior eser- 3 cizio del diritto di difesa delle parti ogniqualvolta in essa emergano (su iniziativa Art. 702ter La riforma del 2009 370 delle parti o del giudice) profili di novità che richiedono una conseguente modulazione dell’attività difensiva. Il rinvio della prima udienza può poi rivelarsi funzionale ad una più ordinata definizione del thema decidendum e del thema probandum posto che non sono previste preclusioni al riguardo (v. sub art. 702 ter, IV). Più precisamente il giudice, qualora la natura della causa lo richieda, può sollecitare la definizione del thema decidendum e del thema probandum, assegnando a tal fine, all’esito della prima udienza, un termine per il deposito di una memoria difensiva (ed eventualmente un termine successivo per il deposito di una memoria di replica), per poi provvedere fuori udienza sulle istanze delle parti con la fissazione di un’apposita udienza per l’assunzione (deformalizzata) delle prove costituende o per la decisione, secondo uno schema non dissimile da quello previsto dall’art. 183 c.p.c., ma più semplificato. Ovviamente, tanto i rinvii quanto l’assegnazione dei termini per il deposito di memorie difensive debbono rispondere ad una tempistica necessariamente ridotta, al fine di non frustrare le esigenze di celerità del procedimento o l’obiettivo della massima concentrazione possibile. II. Le verifiche preliminari e l’accertamento dei presupposti processuali generali 4 In particolare, nell’udienza fissata con il decreto previsto dal c. 3 dell’art. 702 bis il giudice deve compiere innanzi tutto le verifiche preliminari sulla regolarità del contraddittorio, per poi accertare l’attribuzione della causa al tribunale in composizione monocratica, la sussistenza degli altri presupposti processuali generali ed infine la compatibilità della causa con l’istruzione sommaria. Per ciò che concerne le verifiche preliminari, in primo luogo il giudice, in caso di nullità della notificazione del ricorso introduttivo e mancata costituzione del convenuto, deve far applicazione dell’art. 291 c.p.c. ed ordinare il rinnovo della notificazione nulla, avendo cura di rispettare i termini previsti dal c. 3 dell’art. 702 bis. L’art. 291 c.p.c., peraltro, presuppone l’esistenza di una notificazione, di cui sia accertata la semplice invalidità. Pertanto, in caso di omessa notificazione o di notificazione inesistente, non può essere ordinato il rinnovo della notificazione, ma deve essere dichiarata l’improcedibilità del ricorso [Arieta (1)], potendosi ritenere applicabile nella fattispecie in esame l’orientamento giurisprudenziale affermatosi sul punto in relazione al rito del lavoro [C s.u. 30.7.08 n. 20604, CG 2009, 199 ss., nt. Pilloni]. Nel caso di vizi di rappresentanza, poi, deve essere applicato l’art. 182 c.p.c., nella sua nuova formulazione riguardante anche i vizi della procura [Arieta (1)]. È compatibile con il rito anche l’applicazione dall’art. 164 c.p.c. nelle ipotesi di nullità della domanda o di violazione del termine a comparire previsto dal c. 3 dell’art. 702 ter. Questa conclusione è la logica conseguenza del richiamo all’art. 163 c.p.c per l’individuazione del contenuto del ricorso introduttivo [Consolo (9), 882] e trova ulteriore giustificazione nell’orientamento giurisprudenziale che ha esteso l’applicabilità dell’art. 164 c.p.c. ad altri procedimenti speciali introdotti con ricorso, come il rito del lavoro [C 25.2.09 n. 4557, C s.u. 17.6.04 n. 11353, GI 2005, 322]. 5 Per ciò che concerne invece l’accertamento dei presupposti processuali generali, va ribadito (v. art. 702 bis, III) che la disposizione in esame contempla solo l’ipotesi 371 Codice di procedura civile Art. 702ter della dichiarazione di incompetenza con ordinanza, ma la natura di procedimento a cognizione piena comporta la necessità dell’accertamento anche di tutti gli altri presupposti processuali propri del processo dichiarativo (giurisdizione, legittimazione, esistenza di un precedente giudicato, ecc). Ove il giudice riscontri la carenza (insanabile) di uno tali presupposti, adotta il conseguente provvedimento definitivo in rito, che riveste, anche nelle ipotesi diverse dall’incompetenza, la forma dell’ordinanza e contiene la statuizione sulle spese del procedimento [Balena (2), 59; Menchini (12), 1028]. Il rilievo della sussistenza dei presupposti processuali segue le stesse regole previste per il rito ordinario, per cui, ad esempio, l’incompetenza per territorio derogabile non può essere rilevata d’ufficio. È pur vero che la formulazione del c. 1, nel prevedere la dichiarazione di incompetenza, non fa alcuna distinzione tra i vari criteri di competenza, ma non vi è alcuna ragione per ammettere nel procedimento sommario la rilevabilità d’ufficio di presupposti processuali che non sono rilevabili d’ufficio nel rito ordinario [Bove (4)]. I provvedimenti definitivi del procedimento sommario che dichiarano l’insussistenza dei presupposti processuali sono impugnabili con l’appello, ai sensi dell’art. 702 quater, salvo che la legge non preveda uno speciale mezzo di impugnazione, come il regolamento necessario di competenza, previsto dall’art. 42 c.p.c. per le dichiarazioni di incompetenza o litispendenza [Bove (4); Menchini (12), 1029]. III. L’accertamento dell’attribuzione della causa al tribunale in composizione monocratica Dopo le verifiche preliminari e prima dell’accertamento dei presupposti proces- 6 suali generali il giudice deve procedere all’accertamento della riconducibilità della causa all’ambito di applicazione su delineato (v. sub art. 702 bis, II). Nel caso in cui accerti l’insussistenza di tale presupposto, il giudice dichiara l’inammissibilità della domanda con ordinanza non impugnabile e provvede sulle spese [Arieta (1)]. È dubbio se la previsione di non impugnabilità (con conseguente immodificabilità ed irrevocabilità ex art. 177 c.p.c.) dell’ordinanza escluda anche la ricorribilità per cassazione ai sensi dell’art. 111, c. 7, Cost. La tesi negativa [Luiso (10); Menchini (12), 1029] si basa sulla negazione del contenuto decisorio del provvedimento e sull’esclusione della configurabilità di un autonomo diritto alla tutela giurisdizionale con il rito speciale, analogamente a quanto sostenuto con riferimento al decreto previsto dall’art. 640 c.p.c. La tesi positiva [Balena (2)], invece, muove dal rilievo della mancanza di un’espressa previsione di riproponibilità della domanda (a differenza dell’art. 640 c.p.c) ed evidenzia che si tratta di un provvedimento definitivo di un processo che verte su diritti, richiamando il recente orientamento giurisprudenziale secondo cui la pronuncia sull’osservanza delle norme processuali ha necessariamente la stessa natura del provvedimento cui il processo è preordinato [C s.u. 3.3.03 n. 3073, GI 2003, 2016]. Sicuramente deve ritenersi ammissibile il ricorso per Cassazione in relazione alla statuizione sulle spese contenuta nel provvedimento di inammissibilità [Arieta (1)]. Il vizio derivante dal mancato rilievo di questo presupposto processuale può essere fatto valere con l’impugnazione in appello del provvedimento conclusivo (v. art. 702 quater, III). Art. 702ter La riforma del 2009 372 7 La disposizione prevede che la pronuncia di inammissibilità possa essere adottata anche limitatamente alla domanda riconvenzionale. La stessa statuizione, pur in mancanza di una previsione in tal senso, deve ritenersi adottabile limitatamente alla domanda proposta da o nei confronti del terzo [Menchini (12), 1029]. Il cumulo processuale con le forme del procedimento sommario sembra quindi possibile solo ove entrambe le domande siano proponibili con il rito speciale. Il fine perseguito con tale previsione è probabilmente quello di evitare che la domanda riconvenzionale sia proposta dal convenuto nel procedimento sommario in modo strumentale, al solo fine di determinare la conversione in rito ordinario [Olivieri (14)]. La soluzione prescelta, tuttavia, può comportare alcuni inconvenienti nell’ipotesi in cui la causa riconvenzionale attribuita alla competenza collegiale sia legata da un vincolo di continenza o pregiudizialità alla causa principale attribuita alla competenza monocratica. In questo caso, infatti, in primo luogo è ipotizzabile un significativo pregiudizio per il diritto di difesa del convenuto, soprattutto ove il fatto costitutivo della domanda riconvenzionale (pregiudiziale o continente) non possa essere fatto valere in via di eccezione nel procedimento sommario (si pensi al rapporto tra una domanda principale, fondata su una delibera dell’assemblea di una società, rientrante nell’attribuzione del tribunale in composizione monocratica, e una domanda riconvenzionale di annullamento della delibera, rientrante nell’attribuzione del tribunale in composizione collegiale). In secondo luogo, ove la domanda riconvenzionale dichiarata inammissibile sia immediatamente reintrodotta con le forme ordinarie, si profila la sospensione del procedimento sommario, che nel frattempo non sia stato definito, con la frustrazione delle esigenze acceleratorie ad esso sottese [Luiso (10); Olivieri (14)]. In terzo luogo, ove la sospensione non sia possibile, si profila il rischio del contrasto tra giudicati. 8 Per evitale tali rischi sembra pienamente condivisibile il tentativo di sostenere un’in- terpretazione della disposizione, ragionevole e costituzionalmente orientata (al rispetto del principio del giusto processo e dell’effettività del diritto di difesa), che, nei casi esaminati di ‘‘connessione forte’’, riconduca le domande riconvenzionali del convenuto tra le difese che rendono incompatibile anche la causa principale con la trattazione sommaria e che determini pertanto la conversione di entrambe le domande nel rito ordinario, con l’attribuzione dell’intera causa al tribunale in composizione collegiale, secondo quanto previsto dall’art. 281 nonies [Olivieri (14)]. È stata anche prospettata una soluzione interpretativa che, partendo dal medesimo presupposto, sostiene la dichiarazione di inammissibilità del procedimento sommario per entrambe le cause [Balena (2), 58], ma la prima soluzione appare preferibile, in quanto più rispondente ad esigenze di economia processuale. Nel caso in cui non si ritenga possibile mantenere il simultaneus processus tra la domanda principale monocratica e la domanda riconvenzionale collegiale, nonostante la connessione forte tra di esse esistente, si potrebbe ipotizzare, al fine specifico di evitare il rischio del contrasto tra giudicati, la collocazione sistematica dell’ordinanza sommaria, che si pronunci sulla domanda principale in attesa della definizione della causa riconvenzionale collegiale (continente o pregiudiziale), tra le condanne con riserva [Olivieri (14)]: l’ordinanza sarebbe quindi immediatamente esecutiva ed idonea al giudicato, ma risolutivamente condizionata all’esito del 373 Codice di procedura civile Art. 702ter giudizio collegiale sulla domanda riconvenzionale. Questa soluzione, però, sembra difficilmente sostenibile, in mancanza di previsioni tipiche delle fattispecie normative di condanna con riserva (artt. 35 e 665 c.p.c.), quali l’espresso riferimento alla ‘‘riserva’’, la previsione della possibilità di imporre con l’ordinanza sommaria una cauzione o la previsione della prosecuzione della causa condizionante. IV. L’accertamento della compatibilità della causa con l’istruzione sommaria e la definizione del thema decidendum e probandum Dopo aver accertato la sussistenza dei presupposti processuali tipici della tutela 9 dichiarativa, il giudice deve procedere all’accertamento del secondo presupposto processuale atipico del procedimento sommario: la compatibilità della causa con l’istruzione sommaria (v. art. 702 bis, III). L’accertamento di tale presupposto presuppone ovviamente che sia definito il thema decidendum et probandum. Questa definizione, però, non segue le scansioni rigide del giudizio ordinario a cognizione a piena, ma è modulata dal giudice in ragione delle attività e delle esigenze difensive delle parti. D’altra parte, non sono previste preclusioni o decadenze al di fuori quella contemplate dal c. 4 dell’art. 702 bis per il convenuto. Proprio per questo motivo il procedimento sommario, al pari del procedimento cautelare (al cui modello collaudato si ispira), può essere ricondotto nella categoria dei modelli di trattazione aperta, in contrapposizione ai modelli di trattazione chiusa, fondati rigorosamente su una scansione processuale regolata dalle preclusioni [Maccarone (11)]. L’attore, in particolare, può ampliare il thema decidendum già alla prima udienza nell’esercizio del diritto di replica alla difesa del convenuto, con la proposizione di domande riconvenzionali ed eccezioni o la richiesta di autorizzazione alla chiamata in causa di terzi che siano conseguenti alle difese del convenuto, analogamente a quanto previsto per il rito ordinario dall’art. 183 c.p.c. [Balena (2), 52]. Più in generale, entrambe le parti per tutta la durata del procedimento fino al trattenimento della causa in decisione, e quindi non solo alla prima udienza, possono svolgere nuove attività, quali la precisazione di domande ed eccezioni, le allegazioni di fatti, la formulazione di richieste istruttorie e la produzione di documenti [Menchini (12), 1031]. Per evitare che l’esercizio di tale facoltà delle parti possa frustrare le esigenze acceleratorie del procedimento, è auspicabile che il giudice ordini e solleciti la definizione del thema decidendum e probandum sin dalla prima udienza (v. art. 702 ter, I). La possibile variabilità del thema decidendum e probandum comporta quindi che l’accertamento della compatibilità della causa con le forme semplificate debba essere effettuato alla prima udienza e rinnovato ogni qual volta le parti nel corso del procedimento svolgano nuove attività [Luiso (9)]. Esso poi deve essere effettuato anche durante la fase istruttoria e al termine di essa, poiché è ben possibile che gli elementi di ‘‘difficoltà’’, incompatibili con le forme semplificate, emergano durante l’acquisizione delle prove. In altri termini, il presupposto processuale in esame deve sussistere per tutta la (comunque snella) durata del procedimento sommario e può essere rilevato in ogni momento fino alla decisione. Qualora il giudice accerti l’incompatibilità della domanda dell’attore con il rito 10 sommario, con ordinanza non impugnabile fissa l’udienza ex art. 183 c.p.c. e dispone Art. 702ter La riforma del 2009 374 quindi che il giudizio prosegua con le forme del rito ordinario. Avverso tale provvedimento non è configurabile alcun rimedio, in quanto, per l’espressa previsione di inimpugnabilità, non può essere modificato o revocato (e d’altra parte non è prevista una regressione del rito ordinario a rito sommario: v. art. 702 bis, I), né è ipotizzabile una sua impugnazione in appello unitamente alla sentenza che definisce il giudizio, per le considerazioni già esposte circa l’inconfigurabilità di un diritto alla tutela giurisdizionale con il rito speciale [Consolo (9), 884; Luiso (10)]. Per le medesime considerazioni non è configurabile alcun rimedio anche avverso il provvedimento opposto. D’altra parte, il giudizio di compatibilità con il rito sommario viene espresso con la pronuncia dell’ordinanza definitiva del procedimento nel merito e avverso tale ordinanza l’art. 702 quater prevede un appello ampio aperto ai nova, senza però alcuna possibilità di censurare la scelta in sé di decidere la causa con le forme sommarie (v. art. 702 quater, II). 11 Qualora il convenuto abbia proposto una domanda riconvenzionale ed il giudice non la ritenga compatibile con l’istruzione sommaria, a differenza della domanda principale, dispone la separazione delle cause e fissa per la causa riconvenzionale l’udienza ex art. 183 c.p.c. per la prosecuzione con le forme del rito ordinario. Come per la domanda riconvenzionale inammissibile in quanto attribuita al tribunale in composizione collegiale (v. art. 702 ter, III), vi è una deroga apparente ai principi del cumulo processuale previsti dall’art. 40 c.p.c., con l’obiettivo di evitare che la domanda riconvenzionale sia proposta dal convenuto nel procedimento sommario in modo strumentale, al solo fine di determinare la conversione in rito ordinario. Anche in questo caso, però, ove la causa principale e quella riconvenzionale siano legate da connessione forte (pregiudizialità o incompatibilità), la deroga: a) rischia di pregiudicare il diritto di difesa del convenuto, soprattutto se il fatto costitutivo della domanda riconvenzionale non possa essere fatto valere in via di eccezione (si pensi al rapporto tra una domanda principale ‘‘semplice’’, fondata su un contratto, e una domanda riconvenzionale ‘‘difficile’’ di annullamento di quel contratto); b) può determinare la sospensione del procedimento sommario in attesa della definizione della causa riconvenzionale incanalata nelle forme del rito ordinario, con la frustrazione delle esigenze acceleratorie ad esso sottese; c) crea il rischio del contrasto tra giudicati. Per evitare simili inconvenienti, sembra del pari sostenibile un’interpretazione ragionevole e costituzionalmente orientata che limiti l’applicazione della deroga dell’art. 40 c.p.c. alle sole ipotesi di connessione debole e che invece conduca nelle ipotesi di connessione forte alla conversione di entrambe le domande nel rito ordinario, cosı̀ favorendo il simultaneus processus [Balena (2), 58; Carratta (7), 152; Luiso (10)]: salvo il tentativo (non condivisibile: v. art. 702 ter, III) di ricostruire l’ordinanza sommaria che si pronunci sulla domanda principale ‘‘semplice’’, in attesa della definizione della causa riconvenzionale ‘‘difficile’’ (continente o pregiudiziale), come una nuova fattispecie di condanna con riserva [Olivieri (14)]. V. La conversione nel giudizio ordinario 12 Qualora il giudice ritenga la causa non compatibile con il rito sommario, dispone la conversione nel rito ordinario e fissa l’udienza ex art. 183 c.p.c., che deve tenersi 375 Codice di procedura civile Art. 702ter tendenzialmente in un periodo non troppo distante da quello in cui si sarebbe tenuta la prima udienza di trattazione, se la causa fosse stata radicata sin dall’inizio con il rito ordinario (per evitare che la scelta di velocizzarne la definizione comporti invece un suo significativo rallentamento). La prima conseguenza di tale previsione è che nella fase a cognizione piena si ‘‘trascinano’’ per il convenuto le decadenze già maturate nella fase sommaria in relazione alle domande riconvenzionali, alle eccezioni in senso stretto e alla chiamata in causa del terzo, a norma del c. 4 dell’art. 702 bis. D’altra parte, non è prevista la fissazione di un termine per il deposito di una nuova comparsa nei 20 giorni antecedenti l’udienza di trattazione. Questa soluzione normativa presenta dubbi di costituzionalità, in quanto fa dipendere una significativa compressione dei termini a difesa del convenuto (da settanta giorni, in base al combinato disposto degli artt. 163 bis e 166 c.p.c., a trenta giorni, in base al c. 3 dell’art. 702 bis) da una scelta dell’attore rivelatasi sbagliata, ossia la scelta di instaurare il procedimento sommario per una causa ‘‘difficile’’ [Balena (2), 54; Menchini (12), 1028]. Ciò, peraltro, rende concreto il rischio di un uso distorto del procedimento sommario da parte dell’attore, al solo fine di ridurre i termini di comparizione del convenuto [Arieta (1)]. In attesa che sia esaminata la costituzionalità della disposizione, gli unici due correttivi sembrano essere la fissazione di un termine di notificazione del ricorso introduttivo e del decreto più ampio del minimo previsto dal c. 3 dell’art. 702 bis (v. art. 702 bis, IV), ma, soprattutto, l’applicazione in favore del convenuto, dopo la conversione in rito ordinario, dell’istituto generale della rimessione in termini previsto dal novellato art. 153 c.p.c. [Caponi (5)]. Il rischio evidenziato è ancora più rilevante per le cause soggette al rito del lavoro (nell’ipotesi in cui in procedimento sommario sia ritenuto ammissibile per esse: v. art. 702 bis, II). Il giudice, infatti, in tal caso deve fissare l’udienza ex art. 420 c.p.c., ma non è prevista la concessione di termini per il deposito di memorie integrative, come nell’art. 426 c.p.c., e la definizione del thema decidendum e probandum incontra nell’art. 420 limiti molto più stringenti di quelli previsti dall’art. 183 c.p.c. Oltre ai correttivi su indicati, nel caso di specie si può ipotizzare un esercizio ‘‘ampio’’ a favore del convenuto del potere di autorizzare la modificazione del thema decidendum e probandum, previsto dai c. 1 e 5 dell’art. 420. La seconda conseguenza della soluzione normativa espressa nel c. 3 dell’art. 702 13 ter è che nell’udienza di trattazione fissata in sede di conversione del rito le parti possono, ed il giudice deve, compiere tutte le attività previste dall’art. 183 c.p.c., anche se alcune di esse siano state già compiute od omesse nella fase sommaria. Cosı̀, ad esempio, il giudice può rilevare la carenza di presupposti processuali (come la violazione di criteri di competenza inderogabili) non rilevata nella fase sommaria [Bove (4)], mentre l’attore può proporre domande riconvenzionali, eccezioni in senso stretto e richieste chiamata in causa di terzi, conseguenti alle difese del convenuto, non proposte o richieste nella fase sommaria. Entrambe le parti, poi, possono provvedere alla definizione del thema decidendum e probandum nei termini previsti dall’art. 183 c.p.c., beneficiando anche dell’appendice scritta prevista dal c. 6 di tale articolo. Art. 702ter La riforma del 2009 376 VI. La fase istruttoria 14 Qualora la causa sia compatibile con l’istruzione sommaria, il giudice, sentite le parti e definito il thema decidendum e probandum, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione all’oggetto del provvedimento richiesto, omettendo ogni formalità non essenziale al contraddittorio. La scelta normativa di prevedere espressamente una fase istruttoria nel procedimento sommario evita che si possano porre i dubbi interpretativi che avevano caratterizzato sul punto il processo sommario societario [T Verona 25.10.04; T Salerno 26.10.04; T Verona 26.1.05, GM 2005, 1133 ss.]. Del resto, la soluzione restrittiva che negava l’ammissibilità di attività istruttoria nel procedimento sommario societario si basava sul riferimento alla compatibilità con la cognizione sommaria previsto dall’art. 19 del d.lgs. n. 5/03, che nell’art. 702 ter è stato sostituito dal più ampio riferimento alla compatibilità con l’istruzione sommaria. La formulazione del c. 5 dell’art. 702 ter riproduce, con adattamenti, il modello collaudato previsto dall’art. 669 sexies c.p.c. per i procedimenti cautelari. Le differenze tra le due disposizioni, peraltro, non sono solo terminologiche. Il legislatore del 2009 ha individuato gli atti di istruzione del procedimento sommario facendo riferimento alla loro rilevanza in relazione all’oggetto del provvedimento richiesto, mentre l’art. 669 sexies c.p.c. individua gli atti di istruzione del procedimento cautelare facendo riferimento alla loro indispensabilità in relazione ai presupposti e ai fini della tutela cautelare. Pertanto, l’istruttoria esperibile nel procedimento sommario è ben più ampia di quella esperibile nel procedimento cautelare ed incontra il solo limite della rilevanza in relazione all’oggetto della domanda, oltre che il limite (a monte) della compatibilità con le forme semplificate. Ciò denota la volontà del legislatore di consentire nel procedimento sommario un’istruttoria completa, anche se semplificata, adeguata alla cognizione piena che lo caratterizza [Balena (2)]. 15 Naturalmente gli atti di istruzione sono compiuti in modo deformalizzato, essendo l’istruttoria sommaria informata al principio di atipicità delle prove utilizzabili e delle relative modalità di acquisizione, al fine di realizzare le esigenze di speditezza e semplificazione che caratterizzano il procedimento [Menchini (12), 1030]. L’unico limite a questa deformalizzazione e all’ampio potere discrezionale del giudice nel determinare le modalità, i contenuti e i tempi dell’istruttoria, è rappresentato dai principi costituzionali del contraddittorio e del giusto processo, che devono essere posti a base di qualsiasi attività istruttoria, anche deformalizzata [Consolo (9), 885; Ricci (15), 409 ss.]. Invero il principio dell’atipicità delle prove ammesse nel procedimento sommario sembra riguardare, cosı̀ come nel procedimento cautelare, più le modalità di acquisizione che l’individuazione dei mezzi di prova in sé. Ed infatti il riferimento agli ‘‘atti di istruzione’’ non può che rinviare agli artt. 202 ss. c.p.c. per l’individuazione della tipologia di atti istruttori espletabili nel procedimento sommario [Ricci (15), 409 ss.]. Ci si è interrogati anche circa la configurabilità di un ampliamento dei poteri istruttori d’ufficio nel rito sommario. La risposta, però, non può che essere negativa, in considerazione della natura di procedimento a cognizione piena del rito sommario e della conseguente operatività del principio dispositivo, in mancanza di deroghe espresse ad esso [Arieta 377 Codice di procedura civile Art. 702ter (1)]. Peraltro, è ipotizzabile (ed anzi auspicabile) che nel rito sommario vi sia un maggiore spazio per l’esercizio dei poteri istruttori officiosi, in considerazione del ruolo ‘‘rafforzato’’ di direzione del procedimento attribuito al giudice e della mancanza di un sistema rigido di preclusioni nella definizione del thema probandum. Troppo spesso, infatti, nel rito ordinario l’esercizio dei poteri istruttori officiosi è stato ingessato dal difficile contemperamento con il principio dispositivo ed in particolare dalla preoccupazione di non aggirare le decadenze in cui siano incorse le parti, nonostante la recente, ma consolidata, affermazione nella giurisprudenza di legittimità circa la necessità di svincolare i poteri istruttori officiosi dalle preclusioni delle parti, quanto meno con riferimento al rito del lavoro [C 10.12.08 n. 29006]. In particolare, un potere istruttorio officioso che potrebbe trovare rinnovata vitalità nel nuovo procedimento sommario è quello previsto dall’art. 281 ter c.p.c., disposizione che affonda le radici storiche nella disciplina del procedimento pretorile e che risponde ad una finalità ‘‘gnoseologica’’, in quanto finalizzata a garantire, nel quadro dell’allegazione dei fatti delle parti, un più puntuale accertamento della verità [Cavallone (8), 90]. Più precisamente, l’esercizio di questo potere deve essere collegato, più che agli atti difensivi, ad un’incisiva audizione delle parti alla prima udienza, nel quadro di quel dovere di collaborazione tra le parti ed il giudice, che nel procedimento sommario assume una valenza persino superiore a quella già riconosciuta nel giudizio ordinario. Sulla base di queste premesse: a) non si pongono particolari dubbi sull’ammissibilità 16 dell’acquisizione di prove precostituite, su istanza di parte o d’ufficio (in quest’ultimo caso nei limiti consentiti dal c.p.c.); b) deve ritenersi ammissibile l’interrogatorio delle parti, sia pure in modo deformalizzato e quindi senza la formulazione di capitoli, e d’altra parte è espressamente prevista la loro audizione già nella prima udienza; c) è altresı̀ ammissibile l’assunzione di testimonianze con tempi ridotti e modalità semplificate (ossia senza la formulazione di capitoli), ma pur sempre sul presupposto del giuramento del testimoni, rispondente al principio costituzionale del giusto processo [Consolo (9), 885]; d) è altresı̀ ammissibile l’espletamento di una CTU, anche in questo caso con tempi ridotti e modalità semplificate (ossia senza la formulazione di veri e propri quesiti), ma pur sempre sul presupposto del giuramento del CTU, rispondente al principio costituzionale del giusto processo [Consolo (9), 885]. Con specifico riferimento alla testimonianza, deve poi ritenersi compatibile con il procedimento sommario, ed anzi rispondente alle sue esigenze di semplificazione, la testimonianza scritta prevista dall’art. 257 bis c.p.c., purché essa sia acquisibile in tempi più brevi dell’assunzione diretta del testimoni. Deve invece escludersi la necessità della citazione dei testimoni indicati dall’attore e dal convenuto negli atti introduttivi già per la prima udienza, in quanto, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità in relazione al rito del lavoro, la necessità della citazione del testimone può sorgere solo dopo il provvedimento di ammissione delle prove, che nel caso di specie, come nel rito del lavoro, è adottato (sia pure con forme sommarie) alla prima udienza o nelle udienze successive [C 16.4.97 n. 3275, FI 1997, I, 2504]. Art. 702ter La riforma del 2009 378 VII. La connessione, le vicende anomale e i cautelari in corso di causa 17 È stata già esaminata l’ipotesi tipica di connessione costituita dalla domanda riconvenzionale. Ci si può interrogare più in generale sull’operatività del meccanismo previsto dall’art. 40 c.p.c. in caso di connessione tra causa sommaria e causa ordinaria pendente dinanzi a tribunali diversi, posto che l’art. 702 ter prevede una deroga alle regole stabilite dai c. 3 e 4 dell’art. 40 c.p.c. per il simultaneus processus tra cause sottoposte a riti differenti (peraltro limitabile alle sole ipotesi di ‘‘connessione debole’’: v. art. 702 ter, III), ma non anche alla regola della trattazione congiunta della cause connesse da parte di un unico giudice, stabilita dal c. 1 dell’art. 40 c.p.c. In particolare, non sembrano porsi dubbi all’applicazione del meccanismo nel caso in cui il giudice della causa principale o preventivamente adito sia il giudice della causa ordinaria, poiché il giudice della causa sommaria può immediatamente definire in rito il procedimento con una pronuncia dichiarativa della connessione (che è pur sempre una pronuncia sulla competenza) e la causa, riassunta con le forme del rito sommario, sarà trattata dal giudice della causa principale, il quale potrà decidere se riunire le due cause con il rito ordinario (soluzione sempre preferibile per le ipotesi di connessione forte: v. art. 702 ter, III) o farle procedere separatamente, ciascuna con il proprio rito [Olivieri (14)]. Teoricamente lo stesso meccanismo può applicarsi anche nell’ipotesi inversa, ma i tempi necessari per la pronuncia dichiarativa della connessione nel rito ordinario (sia pure ridotti con la previsione della forma dell’ordinanza nel novellato art. 40 c.p.c.) e per la riassunzione della causa probabilmente sono sufficienti a consentire la contemporanea definizione del procedimento sommario e quindi riducono i margini di operatività del meccanismo. Anche l’applicazione dell’art. 274 c.p.c., nell’ipotesi in cui le due cause pendano davanti a giudici diversi dello stesso tribunale, non presenta particolari difficoltà, nel senso che l’unico giudice, chiamato a trattare entrambi i procedimenti sulla base del provvedimento presidenziale di riassegnazione può decidere se riunire le due cause con il rito ordinario (ipotesi sempre preferibile per le ipotesi di connessione forte) o farle procedere separatamente, ciascuna con il proprio rito [Olivieri (14)]. 18 Per ciò che concerne le vicende anomale del processo, non si pongono particolari dubbi sull’applicabilità della disciplina dell’interruzione e dell’estinzione, mentre qualche problema può profilarsi in merito all’applicazione della disciplina della sospensione, alla luce dell’orientamento giurisprudenziale restrittivo che in taluni procedimenti sommari ha negato l’operatività dell’istituto [C 22.5.08 n. 13194]. Peraltro, la natura di procedimento a cognizione piena del rito sommario e la sua idoneità a condurre ad un giudicato sostanziale consentono di fugare i dubbi sull’applicabilità quanto meno dell’art. 295 c.p.c., disposizione finalizzata ad evitare proprio il contrasto tra giudicati [Balena (2), 57]. Anche l’art. 309 c.p.c. deve ritenersi applicabile nel rito sommario e, d’altra parte, la giurisprudenza ha affermato l’applicabilità della disposizione anche ad un altro procedimento speciale introdotto con ricorso e caratterizzato da esigenze acceleratorie, quale il rito del lavoro [C 9.3.09 n. 5643]. Infine deve ritenersi ammissibile la proposizione di istanze cautelari nel corso del procedimento sommario, ogniqualvolta le ragioni di urgenza 379 Codice di procedura civile Art. 702ter ad esse sottese non consentano di attendere i tempi (tendenzialmente) brevi di definizione del procedimento sommario. D’altra parte, tale possibilità era già stata ammessa in riferimento al procedimento sommario societario [Capponi (6)] e, come già rilevato, non vi sono ragioni per escludere che il giudizio su un provvedimento sommario, provvisorio o stabilizzato, avvenga con un altro procedimento sommario, soprattutto ove questo si caratterizzi, come il procedimento in esame, per una cognizione piena e l’idoneità al giudicato del provvedimento conclusivo. VIII. I provvedimenti di merito Qualora la causa non sia decisa in rito nei termini esposti (v. art. 702 ter, II e III), il 19 giudice, al termine del procedimento sommario, provvede sulle domande, accogliendole o rigettandole, con la forma dell’ordinanza. La scelta dell’ordinanza quale forma del provvedimento decisorio è coerente con l’esigenza di speditezza e semplificazione del rito. Peraltro la stessa l. n. 69/09 ha ridotto significativamente le differenze strutturali tra la sentenza e l’ordinanza, con la modifica degli artt. 132 e 118 disp. att. c.p.c. L’espressa previsione del rigetto della domanda, quale possibile esito del procedimento, supera i dubbi che si erano posti sotto la vigenza dell’art. 19 del d.lgs. n. 5/03 circa la configurabilità di un provvedimento espresso di rigetto [Barreca (3), 354 ss.]. L’ordinanza è provvisoriamente esecutiva, ovviamente negli stessi casi in cui l’ordinamento riconosce la provvisoria esecutorietà delle sentenze di primo grado, e quindi limitatamente alle statuizioni di condanna, anche se accessorie e concernenti solo le spese di lite [Balena (2), 59; C 3.8.05 n. 16262, GI 2006, 85; C 26.3.09 n. 7369]. L’ordinanza costituisce anche titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale e per la ‘‘trascrizione’’. Peraltro, come giustamente osservato, il provvedimento definitivo del giudizio, nel caso in cui pronunci su una delle domande previste dagli artt. 2652 ss. c.c., è per lo più destinato ad essere annotato, in quanto la trascrizione della sentenza è un’ipotesi poco frequente, prevista dall’art. 2651 c.c. [Luiso (10)]. Non è prevista la possibilità di una pronuncia non definitiva su questioni di merito o 20 di rito e, del resto, il frazionamento della decisione appare poco coerente con la semplificazione che deve caratterizzare il procedimento e con la ‘‘semplicità’’ che deve caratterizzare la causa introdotta con esso. Oltre alla mancanza di una previsione espressa, ulteriori argomenti interpretativi, a sostegno della negazione dell’ammissibilità di una pronuncia non definitiva, possono trarsi dal fatto che il legislatore ha previsto solo la declinatoria di competenza, e quindi considerato solo provvedimenti definitivi in rito, ed ha previsto che l’ordinanza di accoglimento o di rigetto riguardi le ‘‘domande’’ delle parti, cosı̀ presupponendo una decisione necessariamente unica [Balena (2), 59]. Ciò non toglie che l’accertamento incidentale delle questioni preliminari di merito e di rito non ritenute idonee a definire in giudizio possa avvenire in provvedimenti interlocutori (primo, tra tutti, l’ordinanza di ammissione delle prove). L’art. 702 quater prevede che «l’ordinanza emessa ai sensi del c. 6 dell’art. 702 ter 21 produce gli effetti di cui all’art. 2909 c.c. se non è appellata» nei termini ivi La riforma del 2009 Art. 702quater 380 previsti, e quindi prevede l’idoneità del provvedimento al giudicato sostanziale, con conseguente esclusione della possibilità di ridiscutere il relativo contenuto in un successivo giudizio avente ad oggetto la stessa situazione giuridica soggettiva o situazioni giuridiche soggettive dipendenti o incompatibili [Menchini (12)]. Invero la norma, nel richiamare il c. 6 dell’art. 702 ter, che prevede la provvisoria esecutorietà e l’idoneità alla trascrizione dell’ordinanza definitiva, sembra riferirsi ai soli provvedimenti di accoglimento. Tuttavia non vi è alcuna ragione per escludere l’idoneità al giudicato dei provvedimenti di rigetto nel merito, per cui è sostenibile un’interpretazione della disposizione, ragionevole e costituzionalmente orientata (artt. 3 e 24 Cost.), che estenda anche ad essi gli effetti di cui all’art. 2909 c.c. [Caponi (5)]. Bibliografia: (1) Arieta, Il rito semplificato di cognizione, www.judicium.it; (2) Balena, La nuova pseudo-riforma della giustizia civile, in corso di pubblicazione in GPC 2009; (3) Barreca, Procedimento sommario societario e pronuncia di rigetto, GI 2006, 2, 354; (4) Bove, Brevi riflessioni sui lavori in corso nel riaperto cantiere sulla giustizia civile, www.judicium.it; (5) Caponi, Un nuovo modello di trattazione a cognizione piena: il procedimento sommario ex art. 702-bis c.p.c., www.judicium.it; (6) Capponi, Interferenze tra procedimento sommario societario e cautelare conservativo, www.judicium.it; (7) Carratta, in Mandrioli-Carratta, Come cambia il processo civile, Torino 2009, 135; (8) Cavallone, Un tardo prodotto dell’art de´co (il nuovo art. 281 ter c.p.c.), RDP 2000, 99; (9) Consolo, La legge di riforma 18 giugno 2009 n. 69: altri profili significativi a prima lettura, CG 2009, 877; (10) Luiso, Il procedimento sommario di cognizione, GI 2009, 1568; (11) Maccarone, Contraddittorio e modelli di trattazione fondati sul principio della preclusione, www.judicium.it; (12) Menchini, L’ultima idea del legislatore per accelerare i tempi della tutela dichiarativa dei diritti: il procedimento sommario di cognizione, CG 2009, 1025; (13) Menchini, Il giudizio sommario per le controversie societarie, bancarie e finanziarie, CG 2004, 1097; (14) Olivieri, Il procedimento sommario di cognizione (primissime brevi note), www.judicium.it; (15) Ricci, Atipicità della prova, processo ordinario e rito camerale, RTDPC 2002, 2, 409. 702quater Appello (1) [1] L’ordinanza emessa ai sensi del sesto comma dell’articolo 702ter produce gli effetti di cui all’articolo 2909 del codice civile se non è appellata entro trenta giorni dalla sua comunicazione o notificazione. Sono ammessi nuovi mezzi di prova e nuovi documenti quando il collegio li ritiene rilevanti ai fini della decisione, ovvero la parte dimostra di non aver potuto proporli nel corso del procedimento sommario per causa ad essa non imputabile. Il presidente del collegio può delegare l’assunzione dei mezzi istruttori ad uno dei componenti del collegio. (1) Articolo inserito dall’art. 51, c. 1, l. 18.6.09, n. 69, che ha inserito l’intero Capo III-bis. Tale disposizione si applica ai giudizi instaurati successivamente al 4.7.09. Sommario: I. I termini e il procedimento – II. I nova – III. Gli esiti. I. I termini e il procedimento 1 L’ordinanza definitiva del procedimento sommario può essere ‘‘appellata’’ entro 30 gg. dalla sua comunicazione o notificazione. La previsione della decorrenza del