IL N ATALE con i mosaici di M.I. Rupnik e dell’Atelier del Centro Aletti a cura di Nataša Govekar INTRODUZIONE Per ciascuno di noi, l’immaginario del Natale è legato ai canti, alle tradizioni familiari, alle immagini e alle sensazioni che, fin da bambini, hanno arricchito la celebrazione di questa festa. La stalla, la neve, i pastori, i re Magi, tutto ha contribuito a creare un clima da favola. Eppure, il Natale non è una favola. È un fatto storico. Lo conosciamo dal racconto degli evangelisti Luca e Matteo, che però non scrivono alla maniera di una cronaca, ma cercano di narrare il senso spirituale delle cose accadute nell’infanzia di Gesú. Il loro scopo non è di raccontare la biografia terrena di Cristo, ma di presentare la sua origine divina e la sua missione. Cosí troviamo subito, fin dall’inizio, tutte le coordinate essenziali per conoscere Gesú Cristo come vero Dio e vero uomo, nella sua missione di Redentore universale: il tema dell’Emanuele – “Dio con noi” –, della teofania, del rifiuto da parte dei suoi e dell’apertura ai pagani, del sangue innocente, della gloria... Tutto il mistero della salvezza viene visitato già all’inizio, tanto che i capitoli sull’infanzia di Gesú vengono chiamati anche il “Vangelo in miniatura”. Molti elementi della storia del Natale, che erano conosciuti dai primi cristiani, non si trovano tuttavia nel Vangelo di Matteo o in quello di Luca, ma sono custoditi dalla tradizione che trova espressione nell’arte e nella letteratura cristiana. In queste pagine, con l’abbinamento di immagini e brevi commenti, cercheremo di recuperare qualche perla nascosta di questa ricchissima tradizione artistica e patristica, che l’Atelier dell’Arte spirituale del Centro Aletti cerca di rivisitare in un modo nuovo. A questo percorso di commenti e immagini viene allegata una riflessione sull’incarnazione come dogma essenziale della nostra fede, che si riflette anche nella festa del Natale e nell’icona della Natività. Ci auguriamo che questo nuovo libricino della collana “Immagini” possa essere un aiuto per tessere insieme tutto ciò che ci viene rivelato sull’incarnazione del Figlio di Dio, per rivisitare i brani biblici ai quali queste immagini e poesie invitano, e magari possa servire anche come spunto di meditazione e preghiera, personale o comunitaria, nella preparazione e nella celebrazione della festa del Natale. L’ATTESA DELL’INCONTRO 4 Elisabetta, parente della Madre di Dio, era sterile e ormai in età avanzata. In un contesto in cui diventare madre significava partecipare in modo attivo all’attesa del Messia, l’infecondità significava la dichiarazione del completo fallimento delle capacità umane per quanto riguarda la vita. Cosí in Elisabetta si esplicita la tragica verità dell’umanità che ha abbandonato Dio e si è staccata dalla fonte della vita. Con lei si compie il lungo tempo vetero-testamentario che precedeva e preparava l’incarnazione del Signore, l’unico Datore della Vita. La sterilità di Elisabetta renderà evidente il segno della verginità feconda di Maria. Infatti, con Maria Vergine, l’umanità è finalmente pronta a non pretendere, a ritirarsi, a non riservare piú a sé il primo posto, ma a cederlo consciamente a Dio, affinché lui possa agire. L’effusione di amore di Dio assume e feconda l’energia di accoglienza della Vergine. Ecco allora che il Signore della Vita può far fruttificare il grembo vergine, che cosí diventa un grembo materno. Vergine e Madre: una novità assoluta e unica, che esprime tutto il mistero del rapporto tra Dio e il genere umano. E, per confermare il prodigio, lo stesso Signore della Vita riapre anche il grembo ormai chiuso dell’anziana. Sarà proprio Elisabetta, grazie al sussulto del proprio figlio nel grembo e nella potenza dello Spirito Santo (cf Lc 1,41), a riconoscere per prima la venuta di Cristo e ad accogliere il Salvatore come ospite nella sua casa. Sarà proprio il saluto di Elisabetta – “Benedetto il frutto del tuo grembo!” – a suscitare nel cuore di Maria il piú bel canto di lode che l’umanità possa rivolgere a Dio. E sarà proprio suo figlio, il Precursore, che, gridando la verità sul peccato (cf Mt 3,1-6), ci aiuterà a confessare il bisogno della salvezza e a prepararci cosí – oggi come allora – a riconoscere Cristo come nostro Salvatore e nostro Signore. Grazie a Elisabetta, Maria / fu riconosciuta innocente in giudizio. / La sterilità dimostrò / che la volontà [divina], che aveva potuto / chiudere la porta aperta, / aveva aperto quella chiusa. / Aveva privato [di figli] il grembo coniugato, / e aveva fatto fruttificare il grembo vergine. / Poiché il popolo era infedele / aveva reso chiusa / la maritata di fronte alla pura. Colui che può umettare / le mammelle sterili e morte / – le aveva inaridite quand’erano giovani / e le fece sgorgare quando diventarono vecchie – / ha forzato e cambiato la natura, / nel suo tempo e contro il suo tempo. / Il Signore delle nature ha cambiato / la natura della vergine. / Poiché il popolo era sterile / fece dell’anziana / una bocca a favore della giovane (Efrem il Siro, Inni sulla Natività, XXI, 17-18). UN MONTAGNA NELLA GROTTA 6 Da sempre l’uomo ha percepito la montagna come luogo della rivelazione di Dio. Inoltre, per noi cristiani, il monte – il Calvario – è anche il luogo della morte del Figlio di Dio. La massima rivelazione dell’amore di Dio, avvenuta sul Calvario, è stata possibile grazie alla sua incarnazione nel grembo di una donna, Maria di Nazaret. Su questo scenario, il mosaico fa vedere la Madre di Dio come cima del monte grazie al quale Dio si è potuto rivelare al mondo. Ma questa montagna si trova dentro ad una grotta, che è il simbolo dell’abisso, del vuoto, delle tenebre, del peccato, della morte... La grotta è la “terra aperta” che accoglie la kenosi divina e annuncia la sua discesa agli inferi dopo la morte sulla croce. Gesú nasce dentro una grotta scavata nella montagna o, viceversa, su una montagna che si innalza nella grotta. Abbiamo cosí un’antinomia molto ricca: negli abissi dell’umanità, dove l’uomo ha trovato il nulla e la morte come salario del peccato, lí c’è la montagna suprema della rivelazione di Dio, che si manifesta proprio dove c’è il peccato dell’uomo e la morte. Infatti, Dio è sceso fin lí ed è proprio lí che lo possiamo incontrare. Allora, salire sulla montagna per incontrare Dio significa paradossalmente scendere nell’abisso del proprio cuore, dove riconosciamo la nostra miseria e incontriamo la sua misericordia. Sotto il nostro fallimento, peccato, vuoto, sotto la nostra inconsistenza, troviamo lui, poiché lui è sceso per caricare su di sé il nostro male e la nostra morte. Noi conosciamo Dio nel suo redimerci, e il perdono dei nostri peccati è la rivelazione piú sicura di Dio, poiché solo Dio perdona i peccati. La conoscenza di Dio è fondata sull’esperienza della nostra redenzione e il suo gusto rimane impresso in noi in modo inconfondibile. In questa nascita si è adempiuto anche il cantico di Isaia: “Si apra la terra e produca la salvezza, e faccia spuntare la giustizia” (Is 45,8). Difatti, la terra della carne umana, maledetta già in chi per primo peccò, in questo solo parto della santa Vergine germogliò un rampollo benedetto (Leone Magno, Quarto discorso sul Natale del Signore, 3). Se lei ti poteva portare / era perché il tuo grande monte / aveva alleggerito il suo peso. / Se ti poteva dare cibo, / era perché tu avevi assunto la fame. / Se poteva darti da bere, / era perché avevi voluto aver sete. / Se lei ti poteva abbracciare, / era perché il carbone ardente d’amore / custodiva il suo grembo (Efrem il Siro, Inni sulla Natività XI, 5). Betlemme ha aperto l’Eden: venite, vediamo! Abbiamo trovato la nostra gioia nascosta! Venite, prendiamo possesso del paradiso dentro la grotta! Lí è apparsa la radice non innaffiata che fa germogliare il perdono. Lí si trova il pozzo non scavato da cui Davide un tempo desiderava bere. Là è la Vergine che ha partorito il bambino e subito ha estinto la sete di Adamo e di Davide. Affrettiamoci dunque a questo luogo, dove è stato partorito piccolo bambino il Dio che è prima dei secoli! (Ikos della Natività del Signore, liturgia bizantina). Come bimbo neonato è uscito infatti il Verbo dalla montagna della Vergine per riplasmare i popoli (Tropario della Natività del Signore, liturgia bizantina).