Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
LE ORDINANZE ANTICIPATORIE IN CORSO DI CAUSA.
PRESUPPOSTI, CONTENUTI ED EFFICACIA.
Piacenza, 23 febbraio 2008.
Introduzione.
Tratti comuni degli istituti in oggetto: natura anticipatoria, ma non cautelare.
Pur nella consapevolezza della diversità di caratteristiche, presupposti, efficacia e regime
processuale delle ordinanze oggetto della presente relazione, trattandosi di istituti che non
appartengono ad un corpus normativo unitario e sistematico, ma sono stati introdotti
nell’ordinamento da diverse disposizioni di legge, tra loro distanti nel tempo e rispondenti ad
esigenze di volta in volta differenti 1 , se ne possono tuttavia delineare alcuni caratteri comuni.
In particolare, possono individuarsene due caratteristiche strutturali e funzionali, una
positiva ed una negativa.
La prima è la loro natura anticipatoria (si ripete, sia sotto il profilo strutturale, sia
funzionale), nel senso che si tratta di provvedimenti aventi il medesimo contenuto della
sentenza definitiva (con la sola possibile differenza sul piano quantitativo), e con la chiara
funzione di anticipare la soddisfazione del diritto in via esecutiva, attenuando i disagi della
eccessiva durata del processo ordinario, nonché con il perseguimento di un intento deflattivo
del carico di lavoro dei tribunali.
E già tale prima caratteristica li differenzia – per lo meno in parte – dai provvedimenti
cautelari veri e propri, i quali, a volte, hanno una funzione meramente conservativa del diritto
tutelato e, da un punto di vista strutturale, spesso hanno un contenuto diverso o, comunque,
1
Le ordinanze di cui all’art. 423 c.p.c. sono
state introdotte dalla L. 11 agosto 1973, n. 533; la provvisionale nei giudizi per sinistri stradali fu inizialmente
prevista nell’art. 24 della L. 24.12.1969, n. 990 e successivamente, dall’art. 147 del D.L.vo 7.09.2005, n. 209
(Codice delle Assicurazioni Private), mentre la nuova figura di condanna in assenza di stato di bisogno, è
prevista dall’art. 5 della L. 21.02.2006, n. 102; le ordinanze anticipatorie nel giudizio di cognizione civile (artt.
186 bis, ter e quater c.p.c.) sono state introdotte dalla L. 26.11.1990, n. 353 e poi modificate (sia pur non in
senso sostanziale) dalla L. 28.12.2005, n. 263.
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non corrispondente a quello della sentenza eventualmente resa al termine del giudizio
ordinario di merito 2 .
La seconda caratteristica comune ai provvedimenti in esame, cioè quella negativa, è la
esclusione della loro natura cautelare, poiché non necessitano del requisito del periculum in
mora, ovvero dell’urgenza, dettato dalla esigenza di evitare pregiudizi irreparabili (con la sola
problematica eccezione della provvisionale per stato di bisogno di cui all’art. 24 L. 990/69,
ora 147 D.L.vo 209/05 su cui vedi infra); in sostanza, se è vero che tali istituti sono stati
introdotti nell’ordinamento essenzialmente allo scopo di evitare che la soddisfazione di un
diritto subisca un eccessivo ritardo, a causa della durata del processo ordinario, è pur vero che
tale urgenza – che pure ne costituisce la ratio giustificatrice – non è stata presa in
considerazione dal legislatore come elemento strutturale di tali provvedimenti, la cui
emissione prescinde quindi da qualsiasi valutazione in ordine ad un periculum in mora.
La appena indicata esclusione della natura cautelare dei provvedimenti in commento,
lungi dal restare una sterile classificazione istituzionale puramente teorica, ha una serie di
conseguenze sul piano pratico: in primo luogo, come si è già detto, l’assenza, tra i presupposti
per la pronuncia delle ordinanze de quibus, del pregiudizio irreparabile o di un danno grave ed
attuale (con la sola e già ricordata eccezione dello “stato di bisogno” di cui all’art. 147 Codice
delle Assicurazioni); in secondo luogo la non reclamabilità ex art. 669terdecies c.p.c. di tali
provvedimenti, che, peraltro, deriva anche dalla loro tendenziale modificabilità e revocabilità
in corso di causa; ancora – proprio perché tali provvedimenti non presuppongo un pericolo
attuale – non è prevista la loro emissione inaudita altera parte (che, anzi, è stata ora
esplicitamente esclusa, quanto meno per le ordinanze 186bis e ter c.p.c., dalla recente novella
del 2005); infine, e più in generale, dall’esclusione della loro natura cautelare consegue
l’inapplicabilità di tutte le norme sul procedimento cautelare uniforme di cui agli artt. 669bis
e ss. c.p.c. 3 ; da ultimo, si ritiene che l’esclusione della natura cautelare dei provvedimenti de
2
Si pensi, oltre ai sequestri (artt. 670, 671 e
687 c.p.c.), alla sospensione in via cautelare di un amministratore di società a responsabilità limitata, in caso di
azione di responsabilità promossa nei suoi confronti (artt. 2476 c.c.), laddove il giudizio ordinario si concluderà,
generalmente, con un’azione di condanna al risarcimento dei danni, sicché il contenuto precettivo del
provvedimento cautelare (rimozione dalla carica) non corrisponderà a quello della emananda sentenza di merito.
3
Inapplicabilità
che,
peraltro,
era
già
desumibile dal dettato dell’art. 669quaterdecies c.p.c., il quale rinvia espressamente ai procedimenti cautelari di
cui alle sezioni II, III e V del capo III del codice (sequestri, procedimenti nunciatori e 700) ed agli altri
provvedimenti cautelari previsti dal Codice Civile e dalle leggi speciali, non, invece, agli eventuali altri
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quibus escluda anche la necessità di una loro trattazione e pronuncia in costanza di
sospensione feriale dei termini ex L. 7.10.1969, n. 742, a meno che non siano richiesti
nell’ambito di uno dei procedimenti di cui all’art. 92 R.D. 30.01.1041, n. 12 (ordinamento
giudiziario).
Altra caratteristica comune a quasi tutti gli istituti in esame, con la sola eccezione
dell’ordinanza post istruttoria ex art. 186quater c.p.c., è la loro sommarietà; sommarietà che è
ottenuta, non già tramite la tecnica della esclusione o posticipazione del contraddittorio (come
avviene nel procedimento monitorio) – trattandosi di provvedimenti emessi in corso di causa
e, quindi, a contraddittorio già instaurato – bensì tramite la limitazione della cognizione del
giudice, che è solo parziale o, allo stato degli atti, o fondata su prove “qualificate”.
1. L’ordinanza di pagamento di somme non contestate ex art. 186bis c.p.c.
Art. 186-bis.(1)
(Ordinanza per il pagamento di somme non contestate)
«Su istanza di parte il giudice istruttore può disporre, fino al momento della precisazione
delle conclusioni, il pagamento delle somme non contestate dalle parti costituite. Se l’istanza
è proposta fuori dall’udienza il giudice dispone la comparizione delle parti ed assegna il
termine per la notificazione.(2)
L’ordinanza costituisce titolo esecutivo e conserva la sua efficacia in caso di estinzione
del processo.
L’ordinanza è soggetta alla disciplina delle ordinanze revocabili di cui agli articoli 177,
primo e secondo comma, e 178, primo comma»
(1)
Articolo aggiunto dall'art. 20, Legge 26 novembre 1990, n. 353.
(2)
Periodo aggiunto dalla legge 263/2005, con decorrenza dal 1 marzo 2006.
Natura e funzione. L’ordinanza de qua è stata introdotta nell’ordinamento dalla riforma
processuale del 1990, come trasposizione generale dell’istituto speciale già introdotto nel rito
del lavoro, dall’art. 423 c.p.c. (sul quale v. infra § 5).
La ratio e la funzione di tale provvedimento sono chiare e facilmente comprensibili: non
vi è alcun interesse (né delle parti, né dell’ordinamento) a mandare avanti un giudizio su
provvedimenti cautelari previsti dallo stesso codice di procedura civile; sicché, laddove anche si volesse
riconoscere una natura latamente cautelare dei provvedimenti in esame, si dovrebbe in ogni caso escludere
l’applicazione del procedimento cautelare uniforme.
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questioni che non sono oggetto di reale controversia tra le parti e che, quindi, non necessitano
di essere risolte da un regolamento giudiziale.
Ciò, ovviamente, in estrema semplificazione, mentre ben più complessa è la
individuazione della natura e del fondamento teorico di tale istituto, sui quali la dottrina si è
ampiamente soffermata.
La questione in questa sede merita solo un breve cenno, in quanto, a modesto avviso dello
scrivente, non ha rilevanti ricadute pratiche, poiché la disciplina normativa regola pressoché
tutti i presupposti, le condizioni e gli effetti dell’ordinanza in parola, a prescindere dal suo
inquadramento teorico.
In estrema sintesi, si ricorda, da un lato, la tesi (maggioritaria) che individua il
fondamento dell’ordinanza nel principio dispositivo del processo civile – per cui è nella piena
facoltà delle parti stabilire quali siano il thema decidendum ed il thema probandum della
causa e, in caso di mancata contestazione di alcuni fatti, questi devono considerarsi pacifici ed
incontrovertibili – e, dall’altro lato, la tesi che ravvisa, invece, nell’ordinanza de qua, un
fondamento negoziale; a seconda dell’opzione sostenuta, poi, viene configurato diversamente
l’oggetto della non contestazione, sostenendosi, dai fautori della prima tesi, che questa debba
riguardare i fatti costitutivi della domanda, mentre, per gli assertori della teoria negoziale,
essa deve concernere il diritto, concretandosi in un vero e proprio riconoscimento del
medesimo 4 .
Senza entrare nel merito della validità teorica dell’una o dell’altra tesi, si deve rilevare
come la teoria del fondamento negoziale sia espressamente contraddetta dal dato normativo;
infatti, in primo luogo, non è prevista alcuna limitazione della pronuncia dell’ordinanza anche
in materia di diritti indisponibili (che sarebbe preclusa in caso di fondamento negoziale), in
secondo luogo la norma non vincola il giudice alla pronuncia dell’ordinanza, concedendogli
un margine di discrezionalità, ed infine sancisce esplicitamente la revocabilità e modificabilità
dell’ordinanza stessa ed esclude, dal richiamo contenuto nell’art. 186bis c.p.c. all’art. 177
4
Nel primo senso, tra gli altri, PROTO PISANI
Lezioni di diritto processuale civile, Napoli 2002, VERDE Profili del processo civile, Napoli 2005, ATTARDI Le
nuove disposizioni del processo civile, Padova 1991, CARRATTA Ordinanze anticipatorie di condanna, Roma
1995, CONSOLO Spiegazioni di diritto processuale civile, I, Padova 2006, CIVININI Le condanne anticipate, in
Foro It. 1995, I, 332; in giurisprudenza Trib. Trani 19.11.2004, in www.giurisprudenzabarese.it 2005 e Trib.
Trani, 30.09.1996, in Giur. It 1997, I, 2, 150; per la tesi negoziale, MERLIN L’ordinanza di pagamento di somme
non contestate, RDP 1994, 1009 e TARZIA Lineamenti del nuovo processo di cognizione Milano 1996.
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c.p.c., il terzo comma di tale ultima disposizione, che riguarda, appunto, le ordinanze
pronunciate sull’accordo delle parti.
Ambito di applicazione. L’ambito di applicazione oggettivo di tale pronuncia è stato
espressamente ristretto dal legislatore alla condanna al pagamento di somme. Di conseguenza
non possono essere oggetto dell’ordinanza ex art. 186bis c.p.c., in primo luogo, la condanna
ad obblighi di fare o non fare ed anche alla consegna o al rilascio di beni (come avviene,
invece, per le altre due ordinanze anticipatorie previste nei due articoli successivi); inoltre, ne
restano escluse le domande di mero accertamento e quelle costitutive.
È dubbio, però, se l’ordinanza in esame possa essere pronunciata in relazione alla
condanna al pagamento di somme, che derivi da un accertamento (non incidenter tantum) o
da una pronuncia costitutiva (come ad es. gli obblighi restitutori conseguenti alla pronuncia di
annullamento, nullità o risoluzione di un contratto). Nella pratica, l’ipotesi sarà di difficile
verificazione, poiché in tal caso la non contestazione, prima ancora che le somme richieste,
dovrà riguardare tutti i presupposti giuridici fondanti la pronuncia costitutiva pregiudiziale
alla condanna 5 .
L’ordinanza, poi, deve riferirsi, secondo alcuni autori, alle sole somme da imputarsi a
capitale e non agli interessi 6 ; tale interpretazione restrittiva, tuttavia, non appare in linea con
le finalità anticipatorie dell’istituto, né con la sua ratio ed i suoi presupposti, laddove la
mancata contestazione riguardi anche gli interessi. Peraltro, come è stato acutamente
osservato da un autore, occorrerebbe distinguere tra interessi legali, che seguono
automaticamente la sorte del capitale, e per i quali, quindi, non vi sono ostacoli tali da
escludere che l’ordinanza ne faccia menzione, e gli interessi convenzionali e il maggior
danno; per quanto attiene a questi ultimi, infatti, se non vi è contestazione specifica da parte
5
In
giurisprudenza,
si
segnalano
due
pronunce di ammissibilità dell’ordinanza ex art. 186bis c.p.c. in caso di azione revocatoria fallimentare (Trib.
Milano 6 marzo 1995, in Il Fallimento 1995, 774 con nota di PATELLI) e di azione revocatoria fallimentare o di
inefficacia ex art. 44 l.fall. (Trib. Messina 31.05.2000, in Il Diritto Fallimentare 2000, II, 1057), anche se si
osserva che in questo secondo caso, la pronuncia ha natura meramente dichiarativa; entrambi gli arresti
richiedono comunque una non contestazione “chiara ed inequivoca”.
6
COMOGLIO, in Le riforme della giustizia
civile, a cura di TARUFFO, Torino, 1993; in giurisprudenza, ma formatasi in relazione all’art. 423 c.p.c., v. Cass.
17 settembre 1991, n. 9668.
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del debitore, non sussiste alcuna ragione per negare che il provvedimento possa disporre il
pagamento di tali accessori 7 .
Presupposti sostanziali. Presupposto per la concessione dell’ordinanza de qua è la non
contestazione delle somme di cui si chiede la condanna.
Preliminarmente la norma chiarisce espressamente (fugando così un dubbio sorto in
relazione all’ordinanza ex art. 423, 1° comma, c.p.c., che non conteneva una simile
precisazione), che la non contestazione deve provenire dalle «parti costituite», così
escludendo la possibilità di pronuncia dell’ordinanza de qua nei confronti del contumace; e
tale soluzione appare pienamente coerente con il principio di “neutralità” della contumacia
vigente nel nostro ordinamento, secondo cui all’inerzia della parte non può essere attribuito
alcun significato implicito di riconoscimento delle ragioni avversarie, né può conseguire una
sorta di meccanismo sanzionatorio o punitivo di carattere processuale che determini una ficta
confessio a carico del contumace 8 .
Coerentemente con i princìpi appena ricordati, dottrina e giurisprudenza sono concordi
nell’affermare che la non contestazione non può coincidere con la mera inerzia, ma deve
concretarsi in un comportamento processuale rilevante o comunque desumersi da un
atteggiamento difensivo del debitore 9 , nel senso che il fatto debba essere o esplicitamente
ammesso o, comunque – come più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità in
materia di onere della prova e fatti pacifici – che l’impostazione difensiva avversaria si fondi
su argomentazioni incompatibili con la negazione dei fatti costitutivi 10 . In quest’ultimo caso
7
FABIANI,
I provvedimenti a funzione
prevalentemente deflattiva, in Foro It., 1993, I, 2001.
8
Principio di recente ribadito, sia pur in via
incidentale, dalla Corte Costituzionale – sentenza n. 340 del 12.10.2007 – che ha sancito l’illegittimità dell’art.
13 D.L.vo 5/03, nella parte in cui, appunto, stabiliva che, in caso di mancata o tardiva costituzione del
convenuto, i fatti affermati dall’attore dovevano ritenersi pacifici.
9
Tra
gli
altri,
v.
MANDRIOLI Diritto
Processuale Civile, vol. II, Torino, secondo il quale la non contestazione non sarebbe rilevante se non avviene
nell’ambito dello svolgimento di un ruolo difensivo, come consapevole rinuncia a contestare, anche implicita.
10
Ex multis, v. Cass., sez. Lav. n. 344 del
13/01/1995; sez. II, n. 5643 del 23/05/1995, n. 7189 del 4/08/1997, n. 1213 del 13/02/1999, n. 4604 del
7/05/1999, n. 2699 del 12/02/2004; sez. III, n. 4687 del 12/05/1999, n. 5149 del 6/04/2001, n. 2959 del
28/02/2002, n. 5488 del 14/03/2006.
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(cioè quello di non contestazione implicita) si è posto l’accento, da parte della giurisprudenza,
sulla non equivocità e chiarezza della non contestazione 11 .
Sempre in linea con i princìpi sopra ricordati, deve escludersi che il mero silenzio
(ovvero la mancata presa di posizione sui fatti dedotti ex adverso) possa integrare la non
contestazione, nonostante voci contrarie in dottrina ed in giurisprudenza 12 ; la ratio di tale
assunto è infatti coerente, sia con la irrilevanza della contumacia, che, sostanzialmente,
equivale al silenzio su tutta la domanda avversaria, sia con l’affermazione, più volte ribadita
dalla giurisprudenza, in ordine all’assenza di un onere di contestazione specifica nel nostro
ordinamento (v. la giurisprudenza di legittimità citata in nota 10) e, soprattutto, all’assenza di
una sanzione collegata al mancato adempimento di tale onere.
Tuttavia riesce difficile nella pratica coordinare tale assunto con l’onere di contestazione
imposto al convenuto dall’art. 167 c.p.c., nonché con il più generale principio del
contraddittorio (ormai sancito anche dalla Costituzione, art. 111), che impone alle parti di
“scoprire le carte” e prendere posizione chiara e non ambigua sulle domande avversarie, in
maniera da consentire alla controparte una idonea impostazione difensiva; la soluzione, a mio
avviso, va cercata nel potere-dovere del giudice di sollecitare il contraddittorio tra le parti e,
in particolare, di richiedere alle parti «i chiarimenti necessari» (art. 183, comma 4° c.p.c.),
potere che potrà essere esercitato in sede di interrogatorio libero, di udienza di trattazione o
all’udienza appositamente fissata per la discussione sull’istanza anticipatoria, in base alla
nuova formulazione dell’art. 186bis.
Analoga soluzione, a mio avviso, deve applicarsi in caso di contestazione generica 13 ; se,
infatti, si ritiene che il mero silenzio non integri il presupposto della non contestazione, a
maggior ragione ciò va affermato in caso di contestazione generica, tanto più a fronte
dell’assenza nella disciplina del processo ordinario di cognizione, di una norma – quale è
quella dell’art. 416 c.p.c. dettata per il rito del lavoro – che impone una contestazione
11
V. Trib. Roma 20 dicembre 1995, in Giur.
merito 1997, 761 con nota di PICOZZA, nonché Trib. Milano 6.03.1995 e Trib. Messina 31.05.2000, citt. in nota
5.
12
In
dottrina,
v.
CIACCIA-CAVALLARI,
SASSANI-TISCINI e VERDE; in giurisprudenza, Trib. Trani, 30.09.1996, in Giur. It. 1997, I, 2, 150, con nota
adesiva di CARRATTA.
13
Secondo Trib. Trani 30.09.1996 cit. anche
una simile contestazione non è idonea ad impedire la pronuncia di ordinanza ex art. 186bis c.p.c.; contra Trib.
Trani 1 febbraio 1996, in Giur. It. 1997, I, 2, 754.
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specifica e circostanziata, o meglio, vieta espressamente una contestazione generica. Anche in
tal caso, sarà opportuno che il giudice eserciti il suo potere di controllo e direzione sul
procedimento, sollecitando i chiarimenti necessari ad eliminare le eventuali ambiguità
presenti nelle difese delle parti ed invitando chi ha svolto una contestazione di mero stile e
generica, a precisarne i contenuti, magari nell’ambito delle memorie di cui all’art. 183 c.p.c.
(5° o 6° comma, a seconda del rito applicabile) e allora, in caso di inottemperanza anche a tale
invito, potrà ritenersi integrato il presupposto della non contestazione.
Non occorre, invece, che la contestazione sia fondata, o meglio, il giudice in questa sede
non può valutarlo, nel senso che deve limitarsi a prenderne atto onde ravvisare l’assenza del
presupposto per l’emanazione dell’ordinanza.
La contestazione idonea ad impedire la pronuncia ex art. 186bis c.p.c. potrà riguardare,
oltre che i fatti costitutivi del credito fatto valere ex adverso, anche eccezioni di diritto (fatti
impeditivi, estintivi o modificativi del credito), o di rito14 ; in pratica, non sarà sufficiente che
la parte non contesti le circostanze fattuali poste a fondamento del credito, ma sarà necessario
che non ne contesti nemmeno la debenza, perché, ad esempio, impedita dalla prescrizione,
dalla compensazione con un controcredito o da altre eccezioni; nel caso di eccezioni di rito
(quali l’incompetenza, il difetto di giurisdizione o l’inammissibilità della domanda), il giudice
dovrà preliminarmente vagliare la sussistenza dei presupposti processuali perché egli si possa
pronunciare nel merito 15 ; in tale ultima ipotesi, a mio avviso, sarebbe possibile una pronuncia
di natura meramente incidentale sulla infondatezza dell’eccezione di rito, con contestuale
emissione dell’ordinanza di condanna ex art. 186bis c.p.c., sussistendone gli altri presupposti.
Sicuramente, la non contestazione non può mai essere condizionata o subordinata e deve,
pertanto, essere esclusa quando una parte neghi in via principale il proprio debito, chiedendo,
in via meramente subordinata, il riconoscimento di una somma in misura minore rispetto a
quanto richiesto dalla controparte (si pensi al caso di un compratore convenuto per il
pagamento del prezzo di acquisto, che eccepisca vizi della cosa venduta, chiedendo, in via
principale, la risoluzione del contratto ed il risarcimento dei danni e, in via meramente
subordinata, la riduzione del prezzo in ragione dei vizi).
14
Trib. Roma, 5.04.2000, in Giur. Romana
2000, 332, in caso di eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c.; Pretura Macerata 17.12.1996, in caso di
domanda di risoluzione contrattuale e compensazione; sulle eccezioni di rito, v. Pretura Salerno, 29.03.1995, in
Foro It. 1996, I, 1104.
15
Pretura Salerno, 20.12.1994, in Giur.
Merito 1995, 715.
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Proprio perché la non contestazione deve concretarsi in un comportamento processuale,
non assume alcuna rilevanza, ai fini dell’art. 186bis c.p.c., una non contestazione
stragiudiziale seguita da una contestazione in giudizio 16 .
La non contestazione, a stretto rigore, potrebbe anche essere totale, dal momento che la
norma non pone alcuna limitazione al riguardo; tuttavia, l’ipotesi appare meramente di scuola,
poiché – nel caso in cui il convenuto non abbia nulla da contrastare alle pretese avversarie –
difficilmente si costituirebbe in giudizio solo per aderire alle sue domande e, quindi, la
situazione si risolverebbe molto probabilmente in una conciliazione stragiudiziale tra le parti;
in ogni caso, laddove l’ipotesi si verificasse – stante la già ricordata assenza di limiti
normativi sul punto – non può astrattamente escludersi una pronuncia da parte del G.I. ex art.
186bis c.p.c. che riguardi l’intera somma, anche se, nella pratica una situazione simile si
tradurrebbe in una determinazione del giudice di andare immediatamente a sentenza,
ritenendo la causa matura per la decisione, ex art. 187 c.p.c. e, quindi, stante la speditezza di
decisione, verrebbe anche meno ogni esigenza anticipatoria; chiaramente la soluzione è
lasciata alla valutazione del giudice, nell’esercizio di quel potere discrezionale che la norma
in commento espressamente gli riconosce («il giudice … può disporre», v. meglio infra).
Un problema particolare si pone in caso di processo litisconsortile e, soprattutto, in caso
di obbligazioni solidali, qualora solo alcuni degli obbligati siano costituiti e gli altri siano
rimasti contumaci, oppure, pur essendo tutti costituiti, vi sia una diversità di posizioni
difensive; la soluzione, a mio avviso, va trovata nell’applicazione analogica dei principi
dettati dagli artt. 1292 e ss. c.c. in tema di obbligazioni solidali e, in particolare, dall’art. 1309
c.c., secondo il quale il riconoscimento di debito da parte di uno dei condebitori solidali non
ha effetto nei confronti degli altri condebitori, sicché l’ordinanza potrà essere emanata solo
nei confronti del coobbligato costituito “non contestante”, ma non avrà effetti nei confronti
degli altri che siano rimasti contumaci, o si siano costituiti, ma contestando il credito;
ovviamente, trattandosi di obbligazione solidale, l’ordinanza potrà essere emessa per l’intero
ammontare del credito, salvi i rapporti interni tra i condebitori solidali.
16
Trib.
Trani
19.11.2004,
in
www.giurisprudenzabarese.it, 2005; Cass. sez. III, 22 gennaio 1998, n. 609. Chiaramente, nel caso in cui il
riconoscimento della somma sia stato fatto a mero titolo transattivo, ciò discende dalla impossibilità di
configurare tale dichiarazione come una vera e propria ricognizione del debito; laddove, invece, la dichiarazione
stragiudiziale abbia i requisiti di cui all’art. 1988 c.c. o, addirittura, di una vera e propria confessione e risulti da
atto scritto, ricorreranno, eventualmente, i presupposti per l’emissione di ordinanza ex art. 186ter c.p.c.
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Differente, però, dovrebbe essere la soluzione in ipotesi di litisconsorzio necessario o di
cause inscindibili, nel qual caso sarebbe più corretto presupporre, per l’emanazione
dell’ordinanza, la non contestazione da parte di tutti i litisconsorti 17 .
Come già accennato, distaccandosi rispetto alla formulazione dell’art. 423 c.p.c., la norma
in commento stabilisce che il giudice, a fronte dell’istanza e della non contestazione “può”
disporre il pagamento, così concedendogli un margine di discrezionalità nell’emanazione
dell’ordinanza; tale disposto è stato interpretato in maniera pressoché unanime dalla dottrina
nel senso che il giudice istruttore deve pur sempre valutare (sia pur in via meramente
sommaria) la sussistenza del credito non contestato, con particolare riguardo alla sua
fondatezza in diritto 18 .
Modi e termini di proposizione. L’ordinanza in esame può essere emessa soltanto su
apposita istanza di parte; in assenza di previsione legislativa, deve ritenersi la libertà di forma
di tale istanza, che potrà essere avanzata sia a verbale, sia con separata istanza o ricorso
scritti, anche fuori udienza (ipotesi adesso esplicitamente contemplata dalla novella del 2005);
chiaramente, la richiesta rientra nei poteri del difensore munito di regolare mandato, senza
necessità di procura speciale, dal momento che, avendo ad oggetto lo stesso petitum di causa
(o, addirittura, una parte di esso), non comporta alcuna modifica o novità.
La nuova previsione normativa (introdotta con L. 28.12.2005, n. 263), che impone al
giudice, in caso di istanza presentata fuori udienza, di disporre la comparizione delle parti,
con termine all’istante per la notifica alla controparte, non sembra rivestire una particolare
portata innovativa, tenuto conto che già in via interpretativa e di prassi si riteneva opportuno
sollecitare sempre il contraddittorio tra le parti sull’istanza in questione, soprattutto al fine di
verificare la sussistenza del presupposto della non contestazione (ed anche in ossequio alla
norma generale dell’art. 186 c.p.c., che impone al G.I. di pronunciare ogni suo provvedimento
su istanza delle parti, «sentite le loro ragioni»). La disposizione in commento, semmai,
conferma un dato già indicato, ovvero la impossibilità di pronunciare l’ordinanza in questione
inaudita altera parte (impossibilità che, a sua volta, è conseguenza della sua natura non
cautelare); certo, la presenza di una espressa disposizione legislativa che sancisce
17
Si potrebbe osservare come, vertendosi
necessariamente in materia di obbligazioni pecuniarie, le ipotesi di litisconsorzio necessario sono assai rare, se
non inesistenti (con la sola rilevante eccezione delle cause di risarcimento danni da sinistro stradale).
18
In giurisprudenza v. C. Appello Milano,
29.11.2002, in Giur. It. 2003, 1195.
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
solennemente ciò che prima era solo attuato in via di prassi e, quindi, lasciato alla sensibilità
del singolo giudice, potrebbe portare alla logica conclusione che, in caso di violazione di tale
precetto normativo, l’ordinanza sia affetta da invalidità 19 (che chiaramente, potrà essere fatta
valere nell’ambito del medesimo giudizio, con istanza di revoca della stessa ex art. 177
c.p.c.).
Non ci sembra, invece, che la disposizione normativa in commento possa esplicare una
particolare incidenza innovativa sul momento processuale in cui può essere emessa
l’ordinanza di pagamento delle somme non contestate, cioè, in particolare, autorizzandone la
pronuncia anche in epoca antecedente alla prima udienza.
Invero tale tesi – sostenuta da quasi tutti i commentatori della riforma 20 – appare tanto
coerente e sostenibile teoricamente, quanto difficilmente realizzabile nella pratica: infatti, dal
momento che occorre necessariamente attendere la costituzione della parte e che questa può
avvenire (e di norma avviene) venti giorni prima dell’udienza, tenuto conto del tempo che
necessita all’attore per prendere visione della comparsa di risposta, verificare la non
contestazione, predisporre l’istanza e presentarla al giudice e, poi, del tempo che questi
impiega per ricevere la segnalazione dalla cancelleria e fissare l’udienza, il tutto dovendo
anche concedere un congruo termine che consenta all’istante di notificare il ricorso ed alla
controparte di avere un adeguato spatium deliberandi per esaminarlo, sarebbe già un ottimo
risultato se l’udienza per la discussione sull’istanza ex art. 186bis c.p.c. venisse fissata in
coincidenza con la prima udienza di comparizione (ora di trattazione); il tutto tenuto anche
conto del fatto che l’istanza, in quanto di natura non cautelare e priva del presupposto
dell’urgenza e del periculum in mora, non può giustificare una particolare speditezza di
trattazione.
Per la stessa ragione da ultimo segnalata, non si ritiene che il giudice sia vincolato a
fissare un’udienza ad hoc in caso di istanza proposta nell’intervallo tra due udienze istruttorie,
19
In tal senso v. M. DOMINICI, in Le Recenti
Riforme del Processo Civile – Commentario diretto da CHIARLONI, Bologna, 2007; l’autrice sostiene, inoltre, che
l’obbligo di notifica alla controparte non si applicherebbe nel caso in cui l’istanza sia contenuta nell’atto di
citazione, stante l’onere di notifica di tale atto comunque esistente; tuttavia, ci permettiamo di sottolineare come
l’ipotesi sia quanto meno irrealistica, dal momento che, nell’atto di citazione risulta impossibile sapere se il
convenuto si costituirà e se “non contesterà” le pretese attrici.
20
Tra gli altri, CONSOLO in Il processo civile
di riforma in riforma, Milano 2006 e TRISORIO LUZZI, in La riforma del processo civile, a cura di CIPRIANI e
MONTELEONE, Padova, 2007.
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
qualora la data della udienza successiva sia particolarmente distante (ipotesi che, ahimè, è
assai frequente); la novella normativa, infatti, contrariamente a quanto sostenuto da
autorevole dottrina 21 , non impone al giudice la fissazione di una udienza “apposita” per la
trattazione dell’istanza, sicché questa ben potrà coincidere con altra data già fissata
nell’ambito del procedimento per altri incombenti processuali; tale interpretazione, beninteso,
non esclude che il giudice possa comunque individuare un’udienza ad hoc per la questione,
laddove lo ritenga opportuno.
Con riferimento al momento processuale in cui è proponibile l’istanza, nessun problema
sorge per l’individuazione del termine ultimo (dies ad quem), esplicitamente indicato dalla
legge nella precisazione delle conclusioni, da intendersi, ovviamente, come il momento in cui
le conclusioni vengono effettivamente precisate ed il giudice contestualmente trattiene la
causa in decisione ai sensi dell’art. 190 c.p.c.; l’istanza, pertanto, sarà proponibile anche nella
stessa udienza fissata per la precisazione delle conclusioni, purché prima che i procuratori
abbiano materialmente precisato le conclusioni ed il giudice la abbia trattenuta in decisione,
poiché comunque, in tale ultimo caso, essendo stato avviato il processo decisionale, viene
meno qualsiasi esigenza anticipatoria ed inoltre, essendo la competenza ad emanare
l’ordinanza del giudice istruttore, si osserva come questi non sia più tale (anche nelle cause
monocratiche) una volta trattenuta la causa in decisione.
Nulla, chiaramente, impedisce alle parti di formulare l’istanza nei due anni e mezzo – tre
che intercorrono tra l’ultima udienza istruttoria e quella fissata per la precisazione delle
conclusioni (rendendo in tal caso, peraltro, operativa ed utile la novella del 2005 sulla
presentazione dell’istanza fuori udienza).
Qualche problema in più si è invece posto in ordine all’individuazione del dies a quo di
proposizione dell’istanza e di pronuncia dell’ordinanza; la norma, infatti, nulla dice in
proposito, ma a mio avviso (e ad avviso anche della prassi giurisprudenziale e della dottrina
prevalente), la apparente lacuna può essere facilmente colmata facendo riferimento ai
presupposti stessi dell’ordinanza, ovvero la necessaria costituzione delle parti e la non
contestazione, nonché il rispetto del principio del contraddittorio.
Quindi, in primo luogo, occorrerà come minimo attendere il termine di costituzione del
convenuto e poi, tenuto conto di quanto detto sopra in ordine alla possibile natura delle
contestazioni idonee ad impedire la pronuncia dell’ordinanza de qua (che possono anche
21
CONSOLO, cit.; in senso contrario ed
aderente alla tesi qui sostenuta, M. DOMINICI, cit.
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
consistere in eccezioni di rito o di merito), occorrerà avere riguardo al termine ultimo per la
proposizione di tali eccezioni: di conseguenza, nel rito antecedente alla novella del 2005
(procedimenti già pendenti anteriormente al 1° marzo 2006), l’ordinanza non potrà
pronunciarsi prima della scadenza del termine ex art. 180 c.p.c. ante novella per la
proposizione delle eccezioni di rito e di merito non rilevabili d’ufficio e, per motivi di
opportunità, non prima di aver esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione, quindi, in
sostanza, il termine minimo sarà costituito dall’udienza di trattazione ex art. 183 c.p.c.
vecchio testo (mentre non ritengo che occorra attendere anche l’ulteriore termine ex art. 183,
5° comma, c.p.c. per la eventuale precisazione o modificazione delle domande, che non
influisce comunque sull’onere di tempestiva contestazione e potrebbe prestarsi a strategie
dilatorie).
Nel nuovo rito (per i procedimenti instaurati dal 1° marzo 2006), essendo stato anticipato
il termine preclusivo del vecchio art. 180 c.p.c. alla comparsa di costituzione ed essendo stato
eliminato il tentativo obbligatorio di conciliazione, non si ravvisa alcun ostacolo alla
pronuncia dell’ordinanza già in sede di prima udienza22 , sempre avuto riguardo, ovviamente,
alla salvaguardia del contraddittorio, nel caso in cui l’istanza venga presentata all’udienza
stessa e la controparte chieda un termine per replicarvi.
Si discute in dottrina, se l’ordinanza in questione possa essere richiesta ed emessa anche
quando il giudizio è in stato di quiescenza (interruzione o sospensione), in assenza di una
esplicita previsione analoga a quella contenuta nell’art. 423, 1° comma, e nel successivo art.
186ter c.p.c. («in ogni stato del giudizio»).
Ritengo – d’accordo con la dottrina maggioritaria – che, in questo caso, il dato normativo
non possa essere eluso, poiché l’argomento a contrario (ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit),
è particolarmente fondato, in base al confronto con le altre due norme citate e, soprattutto con
quella dell’art. 186ter c.p.c. introdotta dallo stesso testo legislativo, per cui non può pensarsi
che la mancata previsione sia frutto di mera omissione anziché di esplicita volontà del
legislatore di escludere tale ipotesi per l’ordinanza de qua; deve quindi valere la norma
22
Non
ritengo,
al
proposito,
corretta
l’argomentazione – già espressa sotto il vecchio rito a proposito del primo comma dell’art. 180 (attuale primo
comma dell’art. 183 c.p.c.) – fondata sulla tassatività dell’elencazione dei provvedimenti emanabili dal G.I. in
sede di prima udienza (in tal senso, sia pur a proposito dell’ordinanza 186ter, Trib. Roma 25.01.1996, in Giur.
Mer. 1996, I, 211), sia perché tale asserita tassatività non trova riscontro e ragione nella norma, sia perché la
soluzione frustrerebbe le esigenze anticipatorie dell’istituto, e ciò tanto più nel nuovo rito, dove, a seguito della
crasi realizzata tra le due prime udienze del vecchio rito, la successiva udienza dà già corso alla fase istruttoria.
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
generale dell’art. 298 c.p.c. (richiamata dall’art. 304 c.p.c. in tema di interruzione), in assenza
di una deroga espressa; nemmeno può invocarsi, a sostengo della tesi contraria la regola che
consente, in caso di sospensione, il compimento degli atti urgenti 23 , appunto perché, come già
più volte ribadito, non si tratta di un provvedimento di natura cautelare e, quindi, non può
essergli riconosciuta alcuna urgenza. Si rileva, peraltro, come, in caso di interruzione, il
problema può essere facilmente superato su iniziativa delle parti, tramite la prosecuzione del
giudizio o l’istanza di riassunzione dello stesso, con contestuale richiesta ex art. 186bis c.p.c..
La competenza a decidere sull’ordinanza in questione è del giudice istruttore; trattasi di
competenza funzionale (Cass. sez. III, 22 gennaio 1998, n. 609) e, quindi, anche nelle cause
devolute al tribunale in composizione collegiale si avrà una pronuncia monocratica (ad
eccezione dei riti in cui anche l’istruzione è collegiale, come il rito agrario e quello
societario).
Efficacia. L’ordinanza (ovviamente, di accoglimento) costituisce titolo esecutivo, ma, in
assenza di esplicita previsione normativa (richiesta dall’art. 2818, secondo comma, c.c. per i
provvedimenti diversi dalle sentenze), non dà titolo all’iscrizione di ipoteca giudiziale, a
differenza di quanto avviene per l’ordinanza-ingiunzione ex art. 186ter c.p.c. 24 .
Regime di stabilità. Nell’ambito del procedimento l’ordinanza è assoggettata alla
disciplina delle ordinanze revocabili e modificabili ai sensi dell’art. 177 c.p.c. (con esclusione
del 3° comma, sul cui significato si è già detto sopra).
La revocabilità o modificabilità sono illimitate e non ancorate a particolari presupposti
(quali il mutamento di circostanze o fatti nuovi rispetto a quelli valutati al momento
dell’emissione), sicché possono essere pronunciate per qualsiasi motivo e, in sostanza,
consentono un completo riesame della questione da parte del giudice; l’istanza di revoca o
modifica, quindi, potrà essere utilizzata per far valere, ad esempio, vizi o illegittimità originari
dell’ordinanza, ma anche semplicemente in base a nuove deduzioni, magari in diritto, che
possano influire sulla sussistenza dei presupposti; in astratto, l’ordinanza potrebbe essere
revocata o modificata anche a seguito di una contestazione sopravvenuta, ma l’ipotesi si
scontra, o, quanto meno, trova un forte limite, nel regime delle preclusioni (al massimo,
23
In tal senso PROTO PISANI.
24
La Corte Costituzionale, sia pur con
riferimento all’art. 186quater c.p.c., ma con argomentazione che può trovare applicazione anche al caso di
specie, ha ritenuto conforme al dettato della Carta Fondamentale questa diversità di efficacia tra le due ordinanze
(sent. n. 357 del 25.07.2000).
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
potrebbe essere avanzata una contestazione “tardiva”, basata su una diversa prospettazione
giuridica o su una eccezione di rito o di merito rilevabile anche d’ufficio, salve le ipotesi di
rimessione in termini ex art. 184bis c.p.c.) 25 .
È invece astrattamente ipotizzabile il caso inverso, ovvero quello di una non
contestazione sopravvenuta, che potrebbe ad esempio configurarsi con una rinuncia ad una
domanda o ad una eccezione riconvenzionale; il che consentirebbe una pronuncia
dell’ordinanza, anche laddove in precedenza fosse stata rigettata, proprio sul presupposto
della contestazione fondata sulle domande poi rinunciate.
Dalla revocabilità e modificabilità dell’ordinanza e dal fatto che la stessa è destinata ad
essere assorbita dalla sentenza, non avendo quindi alcuna natura decisoria, deriva la sua non
impugnabilità, nemmeno con il mezzo del ricorso straordinario per Cassazione ex art. 111
Cost.. Per gli stessi motivi (oltre che per l’esclusione della sua natura cautelare) l’ordinanza
non è neanche reclamabile 26 .
Infine, sempre sotto questo profilo, non si ritiene proponibile un giudizio di opposizione
all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. che sia fondato su ragioni di merito del diritto oggetto
dell’ordinanza, o di legittimità e validità dell’ordinanza stessa, essendo queste tutte questioni
da farsi valere necessariamente nell’ambito del giudizio in cui l’ordinanza è stata emessa
(mentre sarà chiaramente ammissibile un’opposizione fondata su questioni attinenti
esclusivamente ai profili esecutivi, quali, ad es. la impignorabilità dei beni, o la inefficacia
esecutiva del titolo, magari sotto il profilo soggettivo).
Particolarmente significativa, soprattutto delle finalità deflattive dell’istituto, è la
disposizione (comune a tutte e tre le ordinanze anticipatorie ordinarie), che prevede la
sopravvivenza dell’efficacia esecutiva in caso di estinzione, in deroga alla norma dell’art.
310, 2° comma, c.p.c. (prima della novella del 2005, tale caratteristica era un ulteriore indice
di differenza rispetto ai provvedimenti cautelari, che, in base al combinato disposto dei vecchi
artt. 669octies e novies c.p.c., perdevano efficacia in caso di estinzione del giudizio di merito).
25
Chiaramente, tali problematiche non si
pongono per i procedimenti regolati dal “vecchissimo” rito, ovvero quelli regolati dalla procedura ante novella
del 1990; in essi, infatti, in base alla previgente formulazione dell’art. 184 c.p.c. è possibile una precisazione e
modificazione delle domande sino al momento della rimessione della causa al collegio per la decisione. Si
ricorda, in proposito, che la norma transitoria di cui all’art. 90 della L. 353/90 rende applicabile l’art. 186bis
c.p.c. anche ai procedimenti pendenti alla data del 1° gennaio 1993.
26
Trib. Milano, 28.02.1994, in Gius 1994,
fasc. 10, 151; Giudice di Pace Bari, 22.07.1996, in Arch. Civ. 1996, 1176.
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
Controversa è la questione dei limiti di tale efficacia, se cioè debba ritenersi una mera
efficacia esecutiva o se, invece, l’ordinanza acquisisca l’attitudine al giudicato.
La scelta tra l’una o l’altra soluzione incide in maniera rilevante sulla effettiva portata
deflattiva dell’istituto (ed infatti è questa la principale considerazione svolta dai sostenitori
della tesi dell’efficacia di giudicato) 27 .
Pur consapevoli che la tesi della mera efficacia esecutiva possa determinare una notevole
riduzione del reale effetto deflattivo dell’ordinanza de qua, riteniamo che questa sia la tesi più
rispondente al dato normativo, sia interpretato in senso letterale, sia tenuto conto del dato
sistematico e dell’inquadramento teorico dell’istituto.
Sotto il profilo letterale la norma, dopo aver detto che l’ordinanza costituisce titolo
esecutivo, sancisce che in caso di estinzione del processo «conserva la sua efficacia», dando
così ad intendere che il provvedimento mantiene la stessa “forza” che aveva in origine, senza
acquisire portata o efficacia più ampie.
Ancora sotto il profilo dell’interpretazione normativa, si rileva l’assenza di una
disposizione che imponga al giudice la pronuncia sulle spese di lite, in caso di emissione di
ordinanza ex art. 186bis c.p.c. (a differenza di quanto avviene, invece, con le ordinanze 186
ter e quater c.p.c.), anch’essa significativo indice della volontà di non riconoscere natura
tendenzialmente definitiva al provvedimento.
Sotto il profilo sistematico, si osserva che, laddove il legislatore ha voluto stabilire
diversamente, lo ha fatto in maniera esplicita, come nel caso dell’efficacia post estinzione
dell’ordinanza ex art. 186quater c.p.c., o, comunque, ha fornito un diverso dato normativo,
27
In dottrina, per la tesi della conservazione
della mera efficacia esecutiva, tra gli altri, MANDRIOLI, COMOGLIO, CONSOLO, BALENA; contra a favore della
efficacia di giudicato sostanziale, quanto meno in termini di preclusione pro judicato, si sono pronunciati PROTO
PISANI, CARRATTA, SASSANI, CIVININI, nonché i colleghi ANDREA MIRENDA, in Giur. merito 1999, 1, 189 ed
ANTONIETTA SCRIMA, in Giur. merito 1998, 1, 137.
Discorso a parte merita il tentativo di
prospettare una soluzione intermedia, fatto dalla MERLIN op. cit. in nota 4, secondo cui, in estrema sintesi,
l’ordinanza dopo l’estinzione avrebbe una efficacia di preclusione esecutiva, comportando un’inversione
dell’onere probatorio in ordine all’accertamento in essa contenuto, ed impedendo che tale contestazione possa
essere esercitata sino alla conclusione del processo esecutivo. Pur apprezzando il notevole sforzo argomentativo
alla base della tesi (qui drasticamente semplificata per motivi di spazio), non la si ritiene condivisibile, per il
semplice motivo che manca di qualsiasi fondamento normativo, non essendo ravvisabile nell’attuale
ordinamento processuale nessuna norma o istituto dai quali trarre questa sorta di effetto solve et repete di natura
processuale.
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
come nel caso dell’ordinanza ingiunzione ex art. 186ter c.p.c., ove è contenuto un rinvio alle
norme degli art. 647 e 653 c.p.c. (su cui vedi infra, § 2); tale confronto appare particolarmente
significativo, tenuto conto del fatto che si tratta di norme inserite nel codice simultaneamente
con lo stesso provvedimento legislativo, sicché non è possibile sostenere che il legislatore non
fosse consapevole di tali differenze di disciplina.
Sempre sotto il profilo sistematico, si rileva, poi, come il nostro ordinamento conosca
altre pronunce dotate di efficacia esecutiva, senza però gli effetti del giudicato, come le
ordinanze presidenziali ex art. 708 c.p.c. nei giudizi di separazione o divorzio (la cui efficacia
esecutiva anche in caso di estinzione del processo, è sancita dall’art. 189, comma 2°, disp. att.
c.p.c.) o l’ordinanza di condanna sommaria emessa ai sensi dell’art. 19 D.L.vo 5/03 nei
processi societari (la cui efficacia di giudicato è espressamente esclusa dal 5° comma della
norma stessa).
Con riferimento all’inquadramento teorico dell’istituto, la sua natura meramente
anticipatoria ed il suo carattere sommario portano ad escludere che lo stesso possa contenere
un accertamento pieno del diritto in esso fatto valere, tale da precludere qualsiasi
contestazione successiva; tale conclusione appare altresì coerente con la già rilevata
esclusione della natura di riconoscimento del diritto attribuita alla non contestazione.
Infine, si osserva come la soluzione che attribuisce all’ordinanza efficacia di giudicato,
anche nella limitata forma della preclusione pro judicato 28 , porrebbe seri problemi di
legittimità costituzionale, a fronte della già indicata non impugnabilità del provvedimento al
di fuori del processo stesso in cui è reso.
La soluzione qui accolta, comporta che il credito oggetto dell’ordinanza ex art. 186bis
c.p.c. pronunciata in un giudizio poi estintosi, possa essere contestato anche in un giudizio di
opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. 29 .
28
Sulla
nozione
della
preclusione
pro
judicato e sulla sua differenza con l’efficacia di giudicato ex art. 324 c.p.c. si rimanda alle pagine di REDENTI
Diritto Processuale Civile, Milano 1957; CARNELUTTI Istituzioni, Roma 1956 e PROTO PISANI Le tutele
giurisdizionali dei diritti, Napoli 2003.
29
Così espressamente, CONSOLO. Certo, la
soluzione qui prospettata si presterebbe a tattiche surrettizie, dato che l’intimato ex art. 186bis c.p.c. potrebbe
avere tutto l’interesse a provocare l’estinzione del giudizio, nel quale ormai gli è preclusa qualsiasi contestazione
tardiva del credito, per poter poi avanzare tale contestazione in sede di opposizione all’esecuzione, aggirando le
preclusioni del procedimento ordinario, con buona pace di ogni intento deflattivo. Si può osservare – a
prescindere dalla ineludibilità dei dati normativi e sistematici sopra evidenziati – che, da un lato, l’estinzione del
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
2. L’ordinanza – ingiunzione ex art. 186ter c.p.c.
Art. 186-ter.(1)
(Istanza di ingiunzione)
«Fino al momento della precisazione delle conclusioni, quando ricorrano i presupposti di
cui all’art. 633, primo comma, n. 1), e secondo comma, e di cui all’art. 634, la parte può
chiedere al giudice istruttore, in ogni stato del processo, di pronunciare con ordinanza
ingiunzione di pagamento o di consegna. Se l’istanza è proposta fuori dall’udienza il giudice
dispone la comparizione delle parti ed assegna il termine per la notificazione.(2)
L’ordinanza deve contenere i provvedimenti previsti dall’art. 641, ultimo comma, ed è
dichiarata provvisoriamente esecutiva ove ricorrano i presupposti di cui all’art. 642, nonché,
ove la controparte non sia rimasta contumace, quelli di cui all’art. 648, primo comma. La
provvisoria esecutorietà non può essere mai disposta ove la controparte abbia disconosciuto
la scrittura privata prodotta contro di lei o abbia proposto querela di falso contro l’atto
pubblico.
L’ordinanza è soggetta alla disciplina delle ordinanze revocabili di cui agli articoli 177 e
178, primo comma.
Se il processo si estingue l’ordinanza che non ne sia già munita acquista efficacia
esecutiva ai sensi dell’art. 653, primo comma.
Se la parte contro cui è pronunciata l’ingiunzione è contumace, l’ordinanza deve essere
notificata ai sensi e per gli effetti dell’art. 644. In tal caso l’ordinanza deve altresì contenere
l’espresso avvertimento che, ove la parte non si costituisca entro il termine di venti giorni
dalla notifica, diverrà esecutiva ai sensi dell’art. 647.
L’ordinanza dichiarata esecutiva costituisce titolo per l’iscrizione dell’ipoteca
giudiziale.»
(1)
Articolo aggiunto dall’art. 21, Legge 26 novembre 1990, n. 353.
(2)
Periodo aggiunto dalla legge 263/2005, con decorrenza dal 1 marzo 2006.
Natura e funzione. Anche questa ordinanza è stata introdotta dalla novella del ’90 e trova
il suo antecedente istituzionale nel procedimento monitorio, introducendo una sorta di decreto
giudizio non è possibile senza la “collaborazione” di entrambe le parti e che, dall’altro lato, un limite alla
contestabilità dell’ordinanza de qua e del credito in essa intimato in sede di opposizione esecutiva, potrebbe
porsi sul piano probatorio, tenuto conto dell’effetto latamente confessorio rivestito dalla non contestazione.
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
ingiuntivo in corso di causa. A parte la comune natura anticipatoria (che però, a stretto rigore,
spetta solo all’ordinanza che sia dichiarata provvisoriamente esecutiva), la stessa persegue
l’interesse di evitare all’avente diritto di subire un abuso del diritto di difesa da parte del suo
contraddittore; tale esigenza è soddisfatta mediante la tecnica di assicurare tutela immediata
ad un credito fornito di una prova particolarmente qualificata, a fronte di contestazioni, che,
invece, non hanno la stessa pregnanza probatoria.
Ambito di applicazione. Anche in questo caso l’ambito di applicazione è ristretto alla
condanna al pagamento di somme, ma comprende anche la consegna di beni, parallelamente a
quanto stabilito in tema di decreto ingiuntivo (oltre che di ordinanza post istruttoria ex art.
186quater c.p.c.). L’assenza di specificazione dell’oggetto della consegna, può essere
facilmente colmata con il richiamo all’art. 633 c.p.c., per cui la consegna dovrà riguardare una
determinata quantità di cose fungibili o una cosa mobile determinata.
Alla stregua di tale limitazione oggettiva è dubbio – come già rilevato a proposito
dell’ordinanza 186bis – se l’ingiunzione possa essere pronunciata per obbligazioni pecuniarie
o restitutorie che sorgano da pronunce costitutive, dovendosi comunque sostenere che, in caso
di soluzione affermativa, la prova scritta dovrà avere ad oggetto anche i presupposti della
pronuncia costitutiva 30 .
Presupposti sostanziali. I presupposti per la emissione di tale ordinanza sono i medesimi
del decreto ingiuntivo, essendo espressamente richiamati gli artt. 633 e 634 c.p.c., con la sola
esclusione delle ipotesi previste dai nn. 2 e 3 dell’art. 633 e dall’art. 635 (rispettivamente,
crediti per onorari di avvocati o notai e crediti dello Stato e degli enti pubblici).
Ritengo che il mancato richiamo alle fattispecie di cui ai nn. 2 e 3 del primo comma
dell’art. 633 c.p.c. vada correttamente inteso nel senso di impedire la pronuncia
dell’ordinanza-ingiunzione in corso di causa sulla sola base della allegazione delle parcelle di
cui all’art. 636 c.p.c. e non già come esclusione tout court dall’ambito applicativo oggettivo
della norma, dei crediti per onorari di avvocati e notai; in sostanza, la questione, a mio avviso,
30
Trib. Genova, 27.05.1998, in Fallimento
1999, 333, ammette l’ordinanza in caso di azione revocatoria fallimentare; contra Trib. Milano 6.03.1995, in
Fallimento 1995, 774 nota PATELLI; Trib. Pinerolo 25.01.1998, in Fallimento 1998, 1079 osservazione FABIANI
la ammette in ipotesi di azione di inefficacia di pagamenti eseguiti dopo il fallimento ex art. 44 l.fall., ipotesi che
però, come già osservato supra in nota 5, configura una domanda di natura dichiarativa.
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
va affrontata sotto il profilo della idoneità probatoria della documentazione e non sotto quello
della natura del credito fatto valere 31 .
Ciò vuol dire che, qualora il professionista (ma il discorso vale anche per lo Stato e gli
enti pubblici), fornisca prova scritta adeguata dei propri crediti per prestazioni giudiziali o
stragiudiziali, ben potrà ottenere l’emissione di ordinanza ex art. 186ter c.p.c. (si pensi, ad es.,
ad un riconoscimento di debito proveniente dal cliente o alla produzione del mandato ad litem
e degli atti del procedimento per il quale è stata prestata l’opera); diversamente argomentando
si giungerebbe ad una soluzione irragionevolmente discriminatoria nei confronti di
determinati crediti (che rientrano pur sempre nell’ambito delle obbligazioni pecuniarie quali
corrispettivi per una prestazione contrattuale), fondata sulla sola natura delle prestazioni, e
che si porrebbe (questa sì) certamente in contrasto con i principi costituzionali di uguaglianza
e di tutela giurisdizionale dei diritti (artt. 3 e 24 Cost.) 32 .
In pratica il legislatore ha voluto soltanto porre una limitazione della nozione e della
valenza di prova scritta rispetto a quella adottata in materia di decreto ingiuntivo, tenendo
conto della particolare struttura del provvedimento ex art. 186ter c.p.c., il quale si inserisce
necessariamente all’interno di un procedimento a contraddittorio instaurato (a differenza del
procedimento monitorio, in cui la fase in contraddittorio è meramente eventuale), ed
escludendo quindi da tale nozione quei documenti a formazione prettamente unilaterale, privi,
come tali, di una vera e propria valenza probatoria qualora siano contestati (perfettamente in
linea, del resto, con quanto già sancito dalla giurisprudenza consolidata in tema di valenza
31
È
questo
il
senso
ricavabile
dalla
motivazione dell’ordinanza C.Cost. n. 237 del 16.06.2005, che ha dichiarato manifestamente infondata la q.l.c.
della norma in esame, nella parte in cui escludeva appunto, i crediti di cui al n. 2 dell’art. 633 c.p.c.; la stessa
ratio, del resto, emerge anche dalle altre due pronunce della Consulta in materia (ord. n. 545 del 4.12.2000 e
sent. n. 295 del 5.07.1995), con le quali sono state rigettate le q.l.c. della norma stessa in relazione all’esclusione,
rispettivamente, delle ipotesi di cui ai nn. 2 e 3 art. 633 e di cui all’art. 635 c.p.c., sempre sostenendo la
legittimità della scelta del legislatore sotto il profilo della inidoneità probatoria dei documenti e non già della
natura dei crediti.
32
Certo, potrà rilevarsi che la questione ha
scarsa incidenza pratica, dato che, il più delle volte, l’avvocato preferirà avvalersi della più agile procedura
monitoria, o, per gli onorari da processo civile, della procedura speciale di cui alla L. 13.06.1942, n. 794, ma è
pur vero che non è escluso il ricorso all’art. 186ter c.p.c., quando, ad es., il professionista sia stato convenuto in
un giudizio per responsabilità professionale e voglia far valere in via riconvenzionale, il credito per i suoi
onorari.
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
probatoria delle fatture e delle parcelle nell’ambito del procedimento di opposizione a decreto
ingiuntivo, ove vigono le ordinarie regole in tema di onere probatorio) 33 .
Per il resto, con riferimento al concetto di prova scritta, si rimanda alla ormai cospicua e
consolidata elaborazione giurisprudenziale in tema di provvedimento monitorio 34 .
Proprio la peculiare struttura del “procedimento monitorio in corso di causa” porta a
ritenere che il giudice non sia vincolato ad emettere il provvedimento alla ricorrenza dei suoi
presupposti formali, ma debba invece – così come avviene per le altre due ordinanze
anticipatorie – valutare discrezionalmente la prova scritta a supporto dell’istanza di
ingiunzione, alla luce delle complessive difese della controparte (qualora sia costituita) ed
anche, ovviamente, della fondatezza in iure del credito fatto valere (ivi compresa la
valutazione di eventuali eccezioni in rito).
Non si ritiene corretta la tesi contraria35 , sia perché non ancorata ad alcun dato testuale
non equivoco (se è vero che la norma non contiene la medesima espressione degli artt. 186bis
e quater per cui il G.I. “può” emettere l’ordinanza, è pur vero che l’articolo in commento
adotta una formulazione affatto diversa, che non può essere confrontata con quella delle altre
due norme), sia perché contraria alla ratio ed alla struttura stessa dell’istituto, come sopra
delineate. L’impostazione qui accolta, peraltro, ha avuto l’autorevole avallo della Corte
Costituzionale (sent. n. 180 del 22.06.2004) che, nel rigettare la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 186ter c.p.c. nella parte in cui conferisce valenza probatoria anche agli
estratti autentici delle scritture contabili ex art. 634 c.p.c., ha precisato che tali scritti «vanno
33
Ex multis, Cass. sez. I, n. 9685 del
24.07.2000 e sez. III, n. 17371 del 17.11.2003.
34
Non
ritengo
assolutamente
sostenibile
l’ipotesi formulata da parte di una dottrina, che vorrebbe come prova scritta idonea anche il verbale di una prova
costituenda assunta in corso di causa (in particolare, CIRULLI), poiché tale impostazione, a mio parere, confonde
l’aspetto della natura e provenienza della prova con quello del sostrato materiale in cui la stessa è trasfusa; in
pratica la dichiarazione testimoniale, pur quando è contenuta nel verbale di udienza, resta pur sempre una
dichiarazione proveniente da un terzo, che, come tale, non può integrare i requisiti del “documento” vero e
proprio. Diverse sono le ipotesi di confessione giudiziale a seguito di interpello formale o di dichiarazione
confessoria resa in sede di interrogatorio libero (sulle quali v., rispettivamente, CARRATTA e ATTARDI, opp.
citt.), poiché in tali casi si è di fronte a delle vere e proprie dichiarazioni provenienti dal debitore (anche se le
stesse potrebbero, più propriamente, fondare una pronuncia ex art. 186bis c.p.c. o, se richiesta a conclusione
dell’istruttoria, ex art. 186quater c.p.c.).
35
In dottrina sostenuta da BUCCI – CRESCENZI
– MALPICA, Manuale pratico del nuovo processo civile, Padova 1995 e da COMOGLIO, in Taruffo cit..
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
apprezzati dal giudice, inizialmente o nel prosieguo, nel quadro complessivo delle emergenze
processuali» 36 .
Il richiamo, infine, al secondo comma dell’art. 633 c.p.c. rende operante anche in questa
sede l’ulteriore requisito della prova della condizione sospensiva o della controprestazione,
qualora il diritto azionato dipenda da una di esse.
Modi e termini di proposizione. L’ordinanza può essere emessa solo su istanza di parte;
come già visto a proposito dell’art. 186bis c.p.c., in assenza di previsione legislativa, deve
ritenersi la libertà di forma di tale istanza, che potrà essere avanzata sia a verbale, sia con
separata istanza o ricorso scritti, anche fuori udienza (ipotesi adesso esplicitamente
contemplata dalla novella del 2005); chiaramente, la richiesta rientra nei poteri del difensore
munito di regolare mandato, senza necessità di procura speciale, dal momento che, avendo ad
oggetto lo stesso petitum di causa (o, addirittura, una parte di esso), non comporta alcuna
modifica o novità; proprio per questo, peraltro, si ritiene che l’istanza, ove richiesta nei
confronti della parte contumace, non debba essergli notificata ex art. 292 c.p.c. (sulla
questione, anche alla luce della novella del 2005, v. infra).
Quanto al momento processuale nel quale l’istanza è proponibile e l’ordinanza
emanabile, anche qui non sorgono problemi in ordine al dies ad quem, espressamente indicato
dalla norma nella precisazione delle conclusioni; ribadiamo, in proposto, le considerazioni già
svolte sull’ordinanza ex art. 186bis c.p.c. (v. supra pag. 11).
Analoghe considerazioni a quelle svolte a commento dell’art. 186bis c.p.c. vanno poi fatte
anche con riferimento al dies a quo per la pronuncia dell’ordinanza, da individuarsi, per il rito
antecedente alla novella del 2005, nella prima udienza di trattazione e, per i procedimenti
instaurati dopo il 1° marzo 2006, nella prima udienza di cui al novellato art. 183 c.p.c.; ciò
perché, anche se l’ordinanza in esame può essere emessa pure nei confronti della parte
contumace, occorre pur sempre verificare tale presupposto (verifica che può essere fatta solo
alla prima udienza di comparizione), dal momento che la sua sussistenza implica notevoli
differenze di disciplina, in particolare con riguardo alla provvisoria esecutività.
L’unica precisazione da farsi è che, stante la diversità di presupposti, potrebbe ritenersi
che anche nel vecchio rito, l’ordinanza possa essere emanata subito alla prima udienza (quella
di comparizione ex art. 180 c.p.c.), poiché il termine ex art. 180, 2° comma, c.p.c. per la
proposizione delle eccezioni di rito e di merito non rilevabili d’ufficio – mentre è influente
36
Conformi, nel merito: Pretura Salerno,
26.11.1996, in Giur. It. 1997, I, 2, 430 e Trib. Nola, sez. II, 26.07.2005, in Juris Data 2005.
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
sulla configurabilità del requisito della non contestazione – potrebbe, invece, considerarsi non
rilevante in ordine alla concedibilità del provvedimento in questione.
La novella del 2005 ha inserito anche nell’art. 186ter c.p.c. l’inciso, per cui «se l’istanza è
proposta fuori dall’udienza il giudice dispone la comparizione delle parti ed assegna il
termine per la notificazione»; valgono anche qui tutte le considerazioni già svolte sopra
(pagg. 9 e 10) sull’art. 186bis c.p.c..
L’unica questione peculiare alla sola ordinanza ex art. 186ter c.p.c. riguarda il caso di
contumacia della parte nei confronti della quale è chiesta l’ingiunzione, ponendosi il dubbio, a
fronte della nuova disposizione introdotta, se anche in tale ipotesi debba essere fissata udienza
di comparizione delle parti con la previa notifica (al contumace) dell’istanza e del decreto del
giudice. Tale soluzione, pur prospettata in dottrina 37 , non ci sembra condivisibile, poiché
come già sostenuto sotto la vigenza della disciplina precedente, l’istanza ex art. 186ter c.p.c.
non rientra tra gli atti da notificare necessariamente al contumace ai sensi dell’art. 292 c.p.c.,
poiché non introduce nessuna domanda nuova, dovendo avere ad oggetto solo un credito già
dedotto in causa; tale ratio non appare variata dalla modifica legislativa in commento, che,
laddove avesse voluto sancire un obbligo di provocatio ad opponendum anche anteriore alla
emissione dell’istanza nei confronti del contumace (dato che, dopo la sua emissione, ed ai fini
della acquisizione dell’efficacia esecutiva tale provocatio è già prevista dal comma 5°),
avrebbe dovuto farlo, a mio avviso, in maniera più esplicita; peraltro, non si possono
nemmeno invocare ragioni di tutela del contraddittorio (che è già garantito dalla conoscenza
che ha comunque il contumace del provvedimento), anche perché, ragionando in questi
termini, non si spiegherebbe come mai l’obbligo di notifica sia stabilito solo per l’istanza
proposta fuori udienza e non anche per quella avanzata in udienza, dal momento che, agli
occhi del contumace, le due ipotesi si equivalgono perfettamente.
Differente rispetto all’ordinanza per il pagamento di somme non contestate è, invece, la
disciplina dell’ordinanza de qua negli stati di quiescenza del giudizio, dal momento che l’art.
186ter, 1° comma, c.p.c. riporta l’inciso «in ogni stato del processo», sicché l’ordinanza
ingiunzione dovrebbe poter essere richiesta ed emessa anche in fase di interruzione o
sospensione del procedimento.
37
DOMINICI, in Commentario diretto da
Chiarloni, cit. e CEA, L’ordinanza ingiuntiva nei confronti del contumace, in Foro It. 2006, I, 3084; contra, per
l’applicabilità alla sola ipotesi di controparte costituita, BALENA e CONSOLO.
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
Una attenta dottrina ha proposto una soluzione differente, a seconda che il processo sia
solo sospeso o interrotto, ammettendo l’emissione dell’ordinanza solo nel primo caso e non
nel secondo, soprattutto per esigenze di salvaguardia del contraddittorio nei confronti della
parte colpita dall’evento interruttivo 38 . La soluzione è sicuramente apprezzabile, ma si
osserva come la preoccupazione di salvaguardia del contraddittorio risulti ormai superata
proprio dalla disposizione introdotta dalla novella del 2005 (sicuramente applicabile alle
ipotesi in esame, in cui l’istanza deve necessariamente essere avanzata fuori udienza) e,
inoltre, si rileva che l’eventuale ostacolo alla pronuncia in fase di interruzione può essere
facilmente rimosso su iniziativa della parte interessata, mediante la riassunzione del giudizio
ai sensi dell’art. 303 c.p.c. (possibilità che è invece preclusa dalla sospensione, la cui durata
dipende, di solito, da un evento estraneo alla volontà delle parti processuali).
La competenza a decidere spetta sempre al giudice istruttore ed ha natura funzionale,
quindi anche nelle cause collegiali si avrà una pronuncia monocratica (ad eccezione dei riti in
cui anche l’istruzione è collegiale, come il rito agrario e quello societario).
Efficacia. L’ordinanza ex art. 186ter c.p.c., a differenza di quelle ex artt. 186bis e quater,
non è necessariamente dotata di immediata esecutività, dovendo questa essere concessa dal
giudice, al ricorrere di presupposti ulteriori rispetto a quelli necessari per la sua emanazione.
Tali presupposti sono i medesimi in base ai quali può essere concessa la provvisoria
esecutività al decreto ingiuntivo sia ante causam, sia in corso di giudizio di opposizione,
essendo richiamati dalla norma gli artt. 642 e 648 c.p.c.; chiaramente la prima norma è l’unica
applicabile nel caso in cui l’intimato sia contumace (non esistendo, in questo caso, alcuna
opposizione che possa essere fondata su prova scritta o di pronta soluzione), mentre le ipotesi
di cui all’art. 648 c.p.c. saranno valutabili nei confronti della parte costituita.
Sul punto, a fronte dell’ambiguità lessicale della norma (che usa la congiunzione
“nonché” per distinguere le due ipotesi) si è formato un orientamento (peraltro minoritario)
secondo il quale, in caso di parti costituite, debbano ricorrere entrambi i requisiti
cumulativamente 39 ; la tesi appare troppo rigorosamente ancorata al dato letterale ed
38
CONTE, L’ordinanza di ingiunzione nel
processo civile, Padova 2003.
39
Trib. Como 23.02.2000, in Giur. It, 2001,
515 e Trib. Como 21.02.2000, in Foro It. 2000, I, 3645, con nota critica di CEA; in dottrina, BORGHESE e
COMOGLIO.
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
eccessivamente penalizzante per l’istante, che raramente riuscirebbe ad ottenere la esecutività
dell’ordinanza.
È quindi preferibile la tesi, affermatasi nella giurisprudenza di merito, secondo cui i due
presupposti devono essere intesi come alternativi e non cumulativi, nel senso che la
provvisoria esecutività nei confronti della parte costituita potrà essere concessa o al ricorrere
delle ipotesi di cui all’art. 642 c.p.c. o a quelle dell’art. 648 c.p.c. 40 .
Si registra peraltro, in dottrina, un terzo orientamento, che scinde nettamente le due
ipotesi, sostenendo che l’art. 642 c.p.c. sia applicabile solo in caso di contumacia, mentre tra
le parti costituite operi solamente l’art. 648 c.p.c., poiché nel contraddittorio il G.I. non
potrebbe comunque prescindere dalla valutazione delle difese, anche a fronte di credito
fondato su cambiale o assegno 41 .
Appare comunque preferibile l’interpretazione seguita dalla giurisprudenza maggioritaria,
poiché il legislatore ha voluto sostanzialmente introdurre una sorta di decreto ingiuntivo in
corso di causa e, quindi, mancando in tal caso la fase inaudita altera parte, ha voluto
comunque concedere al creditore (fornito di prova scritta) gli stessi strumenti che egli avrebbe
avuto a disposizione ove si fosse avvalso della procedura monitoria, ivi compresa la
possibilità di ottenere l’esecutività in base ai requisiti di cui all’art. 642 c.p.c..
Il problema sollevato dalla dottrina sopra citata (in nota 40) deve essere invece risolto
sotto il profilo della discrezionalità da parte del giudice nel concedere la provvisoria
esecuzione all’ordinanza ingiunzione, discrezionalità che deve sussistere anche nei casi di
credito fondato su cambiale o assegno o su documento proveniente dal debitore (casi che, nel
procedimento monitorio tradizionale, costituiscono ipotesi di automatica concessione
dell’esecutività); ciò risponde alla più volte sottolineata peculiarità strutturale rispetto al
decreto ingiuntivo, dell’istituto in esame, che, in quanto inserito in un procedimento a
contradditorio già instaurato, non può prescindere da una valutazione della prova scritta alla
luce delle difese e delle altre risultanze probatorie di causa.
40
Trib. Catania, 27 gennaio 2004, in Foro It.
2004, I, 1629; Trib. Chiavari, 7 giugno 2003, in Nuova giur. civ. commentata 2004, I, 135; Trib. Firenze, 21
giugno 2001, in Foro toscano 2002, 37; Trib. Chiavari, 13 marzo 2001, in Foro It. 2001, I, 2358; Trib. Torino,
25 giugno 1994, in Giur. It. 1995, I, 2, 89.
41
CONTE, BALENA, PROTO PISANI, TARZIA,
CEA, il quale ultimo rileva, ad esempio, che non potrebbe concedersi l’esecutorietà nel caso di credito fondato su
titolo di credito, ma a fronte di un’eccezione di pagamento o di estinzione del debito, fondate su prova scritta.
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
Viene meno, invece, la discrezionalità del G.I. sulla concessione della provvisoria
esecutorietà, nell’ipotesi espressamente disciplinata dall’ultimo periodo del 2° comma
dell’art. 186ter c.p.c., cioè in caso di scrittura privata disconosciuta o di atto pubblico
querelato di falso 42 , laddove la legge vieta al giudice di concedere la provvisoria esecutività
dell’ordinanza; la formulazione della norma implica che, in tali casi, il G.I. possa comunque
emettere l’ordinanza 43 , pur senza la clausola di provvisoria esecuzione, che eventualmente
potrà essere acquisita in caso di estinzione del giudizio (o di modifica successiva
dell’ordinanza).
Qualora l’ordinanza sia provvista di esecutività, la stessa costituisce, espressamente, titolo
per l’iscrizione di ipoteca giudiziale; in giurisprudenza, si registra un contrasto tra chi sostiene
che l’ordinanza-ingiunzione esecutiva sia idonea a provocare gli effetti di cui all’art. 686
c.p.c. (conversione del sequestro conservativo in pignoramento) e chi lo nega, attribuendo tali
effetti alla sola sentenza 44 .
L’ordinanza-ingiunzione nei confronti del contumace. Si è già detto della possibilità
(rispetto all’ordinanza 186bis c.p.c.) che l’ordinanza in commento possa essere emessa anche
nei confronti della parte contumace e si sono già anche esposti alcuni aspetti relativi a tale
ipotesi (notifica dell’istanza, presupposti per la concessione della provvisoria esecutività).
Merita, però, di essere trattata a parte, stanti le numerose peculiarità che la caratterizzano,
l’ipotesi prevista e regolata dal 5° comma dell’art. 186ter c.p.c., ove è stabilito che
l’ordinanza emessa nei confronti del contumace deve essere notificata nei termini di cui
all’art. 644 c.p.c. (60 giorni se deve notificarsi nel territorio dello stato; 90 negli altri casi) e
42
È stato attentamente osservato come la
norma ometta l’ipotesi della scrittura privata non disconosciuta, ma successivamente querelata di falso
(SASSANI), ipotesi in cui va ricompreso il caso della scrittura privata di cui sia contestato l’abusivo riempimento
del foglio firmato in bianco (v. sul punto Cass. sez. III, n. 5245 del 10/03/2006 e sez. II, n. 18059 del
27/08/2007); la rilevata lacuna è chiaramente colmabile in via interpretativa.
43
ATTARDI ha osservato che, in tali ipotesi,
mancherebbero in realtà i presupposti per la stessa emanazione dell’ordinanza, essendo in radice contestata la
stessa valenza del documento quale prova scritta; ritengo che sia preferibile non stabilire automatismi di sorta né
in un senso, né nell’altro, in maniera da lasciare alla discrezionalità del giudice (in base alla apparente fondatezza
o meno del disconoscimento) la scelta se emettere o meno l’ordinanza di condanna non esecutiva, pur con tutte
le perplessità sulla effettiva utilità di un simile provvedimento (solo eventuale, in caso di estinzione).
44
Nel primo senso Trib. Roma, 10.06.2003,
in Giur. Merito 2003, 2424 e Trib. Monza, 30.01.2003, in Giur. It. 2003, 895; contra Pretura Milano,
18.05.1998, in Giur. It. 1999, 2085, nota CONTE.
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
contenere l’espresso avvertimento che, qualora l’intimato non si costituisca entro 20 giorni
dalla notifica, l’ordinanza diverrà esecutiva ai sensi dell’art. 647 c.p.c..
Sotto il profilo procedurale, si nota, in primo luogo, la differenza del termine per la
costituzione, rispetto a quello previsto dall’art. 641 c.p.c. per l’opposizione a decreto
ingiuntivo 45 ; la differenza è giustificata con la diversità di situazioni, poiché da un lato, nel
caso che ci interessa, vi è già un contraddittorio instaurato e l’intimato è a conoscenza
dell’instaurazione del procedimento 46 e, dall’altro, la norma richiede, per impedire l’acquisto
dell’efficacia esecutiva, la mera costituzione e non già l’opposizione.
Sarà, quindi, sufficiente, per il contumace intimato, costituirsi in giudizio entro i venti
giorni per impedire che si perfezioni la fattispecie ai sensi dell’art. 647 c.p.c.; ovviamente, la
costituzione non incide, invece, sul diverso aspetto della provvisoria esecutività
dell’ordinanza, sia che questa sia già stata concessa sulla base dei presupposti di cui all’art.
642 c.p.c., sia se venga pronunciata successivamente alla costituzione del contumace ex art.
648 c.p.c.. Nel primo caso, certamente, il contumace costituitosi potrà chiedere la revoca
dell’ordinanza o, per lo meno, della clausola di provvisoria esecuzione, sulla base delle sue
difese; a tale proposito, però, occorre precisare – come rilevato dalla dottrina pressoché
unanime – che la costituzione del contumace entro i 20 giorni dalla notifica dell’ordinanza, è
tempestiva solo con riferimento alla procedura ingiuntiva, senza che incida sul diverso aspetto
della tempestività all’interno del procedimento di merito, nel senso che, a seconda del
momento in cui avviene la costituzione, saranno operanti le preclusioni già maturatesi sino ad
allora, ai sensi degli artt. 167, 180, 183 e 184 c.p.c. (e salva la possibilità, ove ne sussistano i
presupposti, di ottenere la rimessione in termini ex art. 184bis e 294 c.p.c.); in qualsiasi
momento del processo si costituisca, il contumace potrà però disconoscere le scritture contro
di lui prodotte (art. 293, 3° comma, c.p.c.), in maniera tale da poter chiedere sicuramente la
revoca della provvisoria esecutività dell’ordinanza eventualmente già concessa, ai sensi del 2°
comma dell’art. 186ter c.p.c..
La dottrina concordemente ritiene applicabile un’opposizione tardiva ai sensi dell’art. 650
c.p.c. (del resto richiamato dall’art. 647 c.p.c. e, quindi, indirettamente anche dalla norma in
45
In
realtà i due termini inizialmente
coincidevano, ma poi il D.L. 18.10.1995, n. 432, convertito con modificazioni con L. 20.12.1995, n. 534, ha
modificato il solo termine dell’art. 641 c.p.c. senza toccare quello di cui all’art. 186ter c.p.c..
46
In tal senso Cass. sez. III, 6.06.2006, n.
13252, in motivazione.
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
esame), pena la censura di illegittimità costituzionale della norma sul punto; chiaramente ciò
non vuol dire che l’intimato debba instaurare un autonomo giudizio di opposizione avverso
l’ordinanza, ben potendo costituirsi nel processo di merito nell’ambito del quale la stessa è
stata pronunciata, sia pure oltre il termine di venti giorni di cui al 5° comma art. 186ter c.p.c.
(ovviamente, laddove il giudizio non sia più pendente, l’intimato non potrà che instaurarne
uno autonomo). Anche in questa ipotesi, peraltro, occorrerà pur sempre distinguere i due piani
della tempestività dell’opposizione all’ordinanza da un lato, e della tempestività di
costituzione del giudizio dall’altro, poiché l’applicazione dell’art. 650 c.p.c. presuppone un
difetto della notifica dell’ordinanza e non già dell’atto di citazione e, quindi, consente una
costituzione anche oltre i venti giorni di cui all’art. 186ter 5° comma, c.p.c., ma non sana le
preclusioni processuali maturate sino a quel momento 47 .
La dottrina ritiene altresì applicabile il limite ultimo previsto dall’art. 650 c.p.c. per
l’opposizione tardiva, ovvero il decimo giorno dal primo atto di esecuzione.
Sempre sotto il profilo strettamente processuale, si osserva come la notifica
dell’ordinanza debba essere eseguita «ai sensi e per gli effetti» dell’art. 644 c.p.c., sicché il
rinvio a tale norma non riguarda solo i termini in essa imposti, ma anche le conseguenze della
mancata, inesistente o tardiva notifica dell’ordinanza, che ne comportano l’inefficacia, così
come avviene per il decreto ingiuntivo; alla stessa stregua del decreto ingiuntivo non
notificato, tale inefficacia, però, dovrà essere fatta valere dall’intimato ed anche in questa
ipotesi si ritiene che lo strumento principale sia la costituzione nel giudizio di merito ancora
pendente, anche se non può escludersi il ricorso alla procedura di cui all’art. 188 disp. att.
c.p.c. (si pensi al caso del contumace che non abbia comunque interesse a costituirsi nel
merito, ma voglia solo far valere il vizio di notifica dell’ordinanza).
Ma l’aspetto sicuramente più problematico dell’ipotesi in esame è quello attinente
all’efficacia da riconoscere all’ordinanza non opposta da parte del contumace, problema che
si pone sostanzialmente negli stessi termini per il caso di sopravvivenza dell’efficacia
esecutiva a seguito di estinzione del giudizio (su cui v. infra).
Una parte della dottrina nega che tale efficacia si estenda sino ad avere gli effetti del
giudicato o, quanto meno, di una preclusione pro judicato, ritenendo che si tratti di una mera
efficacia esecutiva (alla stessa stregua dell’ordinanza ex art. 186bis c.p.c.) 48 ; gli argomenti a
47
Così, CEA in Foro It. 2006, cit.
48
In
BORGHESI, COMOGLIO, CIRULLI e CONSOLO.
Pagina 28 di 69
dottrina,
ATTARDI,
CECCHELLA,
Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
sostegno di tale tesi sono ravvisati per lo più nel dato testuale (che rinvia all’art. 647 c.p.c.
solo “ai sensi” e non anche “per gli effetti”), e nella considerazione della natura interinale,
sommaria e provvisoria dell’ordinanza in commento, soprattutto avuto riguardo alla sua
revocabilità e modificabilità, che appaiono incompatibili con l’immutabilità propria del
giudicato; per questa tesi, quindi, anche nel caso in cui l’ordinanza abbia pronunciato
sull’intera domanda oggetto del giudizio, questo dovrà proseguire sino alla sentenza, destinata
comunque ad assorbire il provvedimento ordinatorio.
Viceversa, un altro orientamento dottrinale ritiene che la disciplina dell’ordinanzaingiunzione non opposta dal contumace in termini, debba essere in tutto e per tutto parificata,
quanto agli effetti, al decreto ingiuntivo non opposto 49 , con la conseguenza che si forma il
giudicato interno sul credito oggetto dell’ordinanza (che può o meno coincidere con l’intera
domanda oggetto del giudizio).
Quest’ultima tesi appare preferibile, in quanto più in linea con il testo e la ratio della
norma, nonché più ragionevole e coerente con il dato sistematico.
In primo luogo, infatti, non si vede perché il legislatore avrebbe dovuto rinviare all’art.
647 c.p.c., pur consapevole della portata che a tale norma viene attribuita dalla legge (cfr. art.
656 c.p.c. sui mezzi di impugnazione proponibili contro il decreto non opposto) e dal diritto
vivente, ben potendo, invece, limitarsi a sancire l’acquisizione della efficacia esecutiva tout
court.
In secondo luogo, la soluzione contraria renderebbe sostanzialmente inutile, o quanto
meno, difficilmente spiegabile, l’intero meccanismo previsto dal 5° comma dell’art. 186ter
c.p.c., laddove gli si desse solo il significato di avvisare il contumace che è stato emesso un
provvedimento che può assumere efficacia esecutiva, sia perché, allora, sarebbe stato più
coerente impedire che tale efficacia potesse essere concessa prima della notifica (come può
invece avvenire in base all’art. 642 c.p.c.), sia perché tale cautela non risponde ad una
tendenza normativa riscontrabile nel nostro ordinamento (si pensi alla ordinanza ex art.
186quater c.p.c. che è emessa con efficacia esecutiva ex lege ed ha addirittura la potenzialità a
convertirsi in sentenza, e per la quale non è previsto alcun meccanismo di notifica, né
preventiva né successiva, al contumace); anzi, proprio la considerazione per cui il
meccanismo di cui al 5° comma art. 186ter c.p.c. è previsto anche in caso di ordinanza già
49
Tra gli altri, BALENA, CEA, CONTE, PROTO
PISANI, CARRATTA, LUISO, MANDRIOLI, il quale ultimo, peraltro, riconosce l’efficacia di giudicato solo in questa
ipotesi e la nega, invece, per il caso di estinzione del giudizio.
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
provvisoriamente esecutiva 50 , fa ritenere che il suo perfezionamento tenda a qualcosa di
diverso rispetto alla semplice acquisizione dell’efficacia esecutiva eventualmente già avuta.
Infine, sotto l’aspetto sistematico, non si vedono ragioni per differenziare la disciplina del
decreto ingiuntivo non opposto da quella dell’ordinanza-ingiunzione, tenuto conto che
quest’ultima ha i medesimi presupposti sostanziali (anzi, anche più rigorosi, come visto sopra)
e, per di più, è emanata in un giudizio a contraddittorio pieno.
La tesi qui sostenuta è stata di recente accolta da una sentenza della Corte di Cassazione
(sez. III, 6.06.2006, n. 13252), ampiamente ed articolatamente motivata, la quale ha anche
stabilito alcuni importanti princìpi in tema di prosecuzione del giudizio dopo l’acquisizione
dell’efficacia esecutiva ex art. 647 c.p.c. e di modalità con le quali dichiarare o rilevare
l’acquisizione di tale efficacia e la conseguente formazione del giudicato interno 51 .
Basandosi essenzialmente sul rinvio contenuto nell’art. 186ter c.p.c. all’art. 647 c.p.c., la
Suprema Corte afferma che la immutabilità dell’ordinanza conseguente alla mancata
opposizione del contumace nei termini, comporta il passaggio in giudicato della decisione
sulla domanda (o parte di essa) che ne era oggetto, con la conseguenza che, in primis,
l’ordinanza non sarà più revocabile ai sensi dell’art. 177 c.p.c. e che, ove il giudizio prosegua,
nella sentenza il giudice non potrà che prendere atto del formarsi del giudicato interno sulla
questione oggetto dell’ordinanza non opposta. Sotto questo profilo, la Cassazione ha anche
chiarito che, essendovi un procedimento in contraddittorio già instaurato, non sarà applicabile
de plano il meccanismo previsto per il caso di decreto ingiuntivo non opposto (ovvero
l’istanza del ricorrente ed il decreto che dichiara la acquisita definitività dell’ingiunzione), in
primo luogo perché la forma del decreto è tipica dell’assenza di contraddittorio, dovendosi in
tal caso il G.I. pronunciare con ordinanza; ma, ancor più, la Corte ha precisato che non è
nemmeno necessaria l’istanza della parte intimante, potendo la questione essere rilevata anche
d’ufficio, in quanto trattasi, appunto, di giudicato interno (e purché, ovviamente, risultino in
atti tutti i presupposti per il perfezionamento della fattispecie: regolare notifica dell’ordinanza
e mancata opposizione in termini del contumace).
50
Per la verità, i sostenitori della tesi
dell’efficacia meramente esecutiva, ritengono, coerentemente con tale assunto, che la notifica dell’ordinanza al
contumace vada eseguita solo quando questa sia stata emessa senza la clausola di provvisoria esecutività.
51
La sentenza è pubblicata in Foro It. 2006, I,
3082, con nota adesiva di CEA, cit. Per un precedente in termini, v. Pretura Monza 18.11.1996, in Giur. It. 1997,
I, 2, 728; successivamente alla sentenza in commento, conf. Trib. Moncalieri, 10.10.2006 n. 198, in Guida al
Diritto 2006, 45 51.
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
In pratica, secondo lo schema delineato dalla pronuncia in commento, laddove vi sia una
esplicita istanza dell’intimante, il giudice dovrà pronunciare (con ordinanza) il passaggio in
giudicato dell’oggetto dell’ingiunzione e (a seconda che questo coincida o meno con la
totalità della domanda oggetto di giudizio), dichiarare chiuso il procedimento, oppure
proseguirlo per la sola parte non compresa nell’ordinanza; nel caso, invece, in cui l’intimante
non avanzi alcuna richiesta in tal senso, il giudizio dovrà comunque proseguire, ma in sede di
sentenza, il giudice dovrà prendere atto della formazione (totale o parziale) del giudicato
sull’oggetto dell’ordinanza-ingiunzione non opposta. Va da sé che, in tal caso, la sentenza
avrà come oggetto immediato l’accertamento del formarsi del giudicato e solo come oggetto
mediato il credito ingiunto, sicché la stessa non sarà impugnabile per ragioni attinenti al
merito di tale credito (in quanto divenuto inoppugnabile, con l’eccezione dei casi di cui
all’art. 656 c.p.c.), ma, al più, sulla questione riguardante il perfezionamento della fattispecie
di cui al 5° comma dell’art. 186ter c.p.c. 52 .
Si deve peraltro rilevare, come la sentenza appena illustrata appaia contraddetta da una
successiva pronuncia delle Sezioni Unite (n. 1820 del 29.01.2007), la quale, in motivazione
afferma, testualmente: «la disciplina specifica prevista dalla norma in questione […] per
l’ordinanza anticipatoria di condanna – pur nell’indubbia analogia del provvedimento in
questione con il decreto ingiuntivo – non ha previsto né l’apertura di una fase autonoma di
opposizione, svincolata dal giudizio in corso nel quale essa è stata emessa, né la sua
definitività con gli effetti del giudicato in caso di omessa opposizione». Va precisato, peraltro,
che la sentenza dà per assodato tale principio, senza motivare diffusamente sul punto e che la
decisione a Sezioni Unite era dovuta al fatto che vi era questione di giurisdizione e non già
per dirimere un contrasto delle sezioni semplici.
Regime di stabilità. Anche l’ordinanza-ingiunzione è esplicitamente soggetta al regime
delle ordinanze revocabili e modificabili ex artt. 177 e 178 c.p.c. (a differenza che per l’art.
186bis non è escluso dal richiamo il comma 3° dell’art. 177 sulle ordinanze rese su accordo
delle parti, ma tale ipotesi appare pressoché irrealizzabile nella pratica).
Anche in questo caso la revocabilità o modificabilità non sono legate alla ricorrenza di
particolari presupposti, potendo così fondarsi sia su di una diversa valutazione degli stessi
52
CEA, nella nota a sent. cit., ha osservato
come, nel caso di costituzione del contumace oltre i venti giorni, con contestazione in ordine alla tempestività di
tale costituzione, il giudice debba pronunciare sul punto comunque con sentenza, così come avviene in caso di
opposizione tardiva al decreto ingiuntivo.
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
elementi già esaminati, sia su prove acquisite nel prosieguo del giudizio, sia, anche, su vizi o
illegittimità dell’ordinanza; chiaramente, la revoca o la modifica potranno riguardare anche
soltanto la clausola di provvisoria esecuzione (sia nel senso di concederla laddove era stata
negata, sia, viceversa, di revocarla ove concessa); stante tale ampia modificabilità, non si
ritiene particolarmente utile rendere applicabile anche all’ordinanza ex art. 186ter c.p.c.
l’istituto della sospensione della provvisoria esecuzione ex art. 649 c.p.c., i cui risultati sono
conseguibili tramite un’istanza ex art. 177 c.p.c..
Da tale regime di stabilità precaria (essendo l’ordinanza destinata ad essere assorbita dalla
sentenza di merito), derivano la sua non impugnabilità, nemmeno con ricorso straordinario
per Cassazione 53 e la non reclamabilità 54 .
Analogamente a quanto detto per l’ordinanza 186bis deve ritenersi inammissibile anche
l’opposizione esecutiva ex art. 615 c.p.c. fondata su motivi di merito o di legittimità e
regolarità dell’ordinanza e salva l’ammissibilità di motivi di opposizione fondati sulla
impignorabilità dei beni o sull’inefficacia del titolo esecutivo (perché, ad es. è stata iniziata
esecuzione forzata sulla base di un’ordinanza ex art. 186ter c.p.c. non provvista di clausola di
provvisoria esecutività).
Ovviamente, tutte le considerazioni sopra svolte, non possono valere per l’ordinanza
emessa nei confronti del contumace e divenuta esecutiva ai sensi del 5° comma dell’art.
186ter c.p.c., laddove si aderisca alla tesi (qui preferita) per cui la stessa diventi immutabile
ed acquisisca l’efficacia di giudicato.
Con riferimento alla stabilità extraprocessuale, anche per la presente ordinanza, così come
per quella dell’art. 186bis c.p.c., è prevista la sopravvivenza e la persistente efficacia
esecutiva in caso di estinzione del giudizio; anzi, in questo caso – analogamente a quanto
previsto per il decreto ingiuntivo opposto – l’estinzione conferisce efficacia esecutiva anche
all’ordinanza che non ne fosse già munita, con un espresso richiamo all’art. 653 c.p.c..
Anche qui, come già accennato sopra a proposito dell’ordinanza emessa nei confronti del
contumace e non opposta, si pone la problematica dell’attitudine o meno dell’ordinanza al
giudicato.
53
Cass. sez. I, ord. n. 12623 del 26/05/2006;
Sez. U, sent. n. 7292 del 17/05/2002.
54
Trib.
10.05.2007, (pres. Schiaffino; est. Andretta; inedita).
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Piacenza,
ord.
21.02.2007
–
Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
La questione si pone sostanzialmente negli stessi termini già visti a proposito
dell’ordinanza contro il contumace, non opposta ai sensi del 5° comma della norma in
esame 55 , per cui si ritiene opportuno rimandare alle argomentazioni e considerazioni sopra
svolte, con solo qualche altra precisazione.
Invero, per questa ipotesi non si ravvisano pronunce edite favorevoli 56 , tuttavia ritengo
che le argomentazioni svolte dalla citata sentenza n. 13252 del 2006 possano essere addotte
anche a sostegno della tesi della definitiva esecutività con efficacia di giudicato
dell’ordinanza in caso di estinzione, sostanzialmente per due ragioni: perché anche in questo
caso vi è un rinvio espresso ad una norma (l’art. 653 c.p.c.) per la quale il diritto vivente è
pacificamente orientato nell’affermare l’efficacia di giudicato del decreto opposto a seguito
dell’estinzione del giudizio di opposizione e perché, in secondo luogo, se si ammette che tale
efficacia possa essere acquisita da un provvedimento emesso nel contraddittorio, ma solo
formale, a fortiori tale efficacia andrebbe riconosciuta ad un provvedimento emesso a seguito
di un contraddittorio sostanziale, superando anche le contestazioni e le difese di una parte
costituita e tenuto conto che l’estinzione del giudizio, in caso di parti entrambe costituite, non
può operare se non con la “collaborazione” di entrambe 57 . Inoltre, poiché la discriminazione
tra i due casi (efficacia di giudicato per l’ordinanza non opposta dal contumace ed efficacia
meramente esecutiva per l’ordinanza emessa in giudizio estinto), si fonderebbe sull’unico
dato differenziale della contumacia o meno del convenuto, ciò significherebbe dare alla
contumacia quella valenza positiva (rectius: negativa per il contumace) di implicita
ammissione delle pretese altrui, che è, allo stato del nostro ordinamento, espressamente
esclusa (come già visto a proposito dell’ordinanza 186bis) 58 .
55
Anche le posizioni della dottrina sono le
medesime, con la sola eccezione già rilevata del MANDRIOLI.
56
Per la soluzione negativa: Cass. sez. II,
17.07.1998, n. 6995 e S.U. n. 7292 del 17/05/2002, entrambe in motivazione, Trib. Torre Annunziata,
19.07.2002, in Giur. Mer. 2004, 37 nota FAVI.
57
Sul punto, v. le argomentazioni addotte
dalla Cass. 13252/06, al § 2.3, lett. a2) della motivazione in ordine alla giustificazione della acquisizione di
decisorietà a fronte del mancato esercizio del rimedio previsto dalla legge contro tale acquisizione.
58
In altre parole, quello che si vuol dire, pur
consapevoli della estrema problematicità della questione, è che, qualunque sia la soluzione adottata in ordine
all’attitudine a conseguire efficacia di giudicato, questa dovrebbe essere uguale per entrambe le ipotesi, poiché
non si vede come possano essere discriminate le due fattispecie senza urtare contro il principio costituzionale di
uguaglianza e ragionevolezza (con tutto il rispetto per il MANDRIOLI, che tale distinzione sostiene).
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
Si aggiunga, come ulteriore elemento a favore della tesi dell’acquisizione dell’efficacia di
giudicato, il fatto che sia prevista, in ogni caso, la liquidazione delle spese di giudizio (a
differenza di quanto è stabilito per l’art. 186bis c.p.c.); chiaramente, la portata di tale
disposizione è interpretata differentemente a seconda della tesi sostenuta: chi nega la idoneità
al giudicato dell’ordinanza de qua ritiene che la liquidazione debba riguardare solo il
subprocedimento monitorio, chi, invece, afferma tale idoneità, sostiene che le spese debbano
essere liquidate in relazione all’intero procedimento.
3. L’ordinanza successiva alla chiusura dell’istruzione ex art. 186quater c.p.c.
Art. 186-quater.(1)
(Ordinanza successiva alla chiusura dell’istruzione)
«Esaurita l’istruzione, il giudice istruttore, su istanza della parte che ha proposto
domanda di condanna al pagamento di somme ovvero alla consegna, o al rilascio di beni,
può disporre con ordinanza il pagamento, ovvero la consegna o il rilascio, nei limiti per cui
ritiene già raggiunta la prova. Con l’ordinanza il giudice provvede sulle spese processuali.
L’ordinanza è titolo esecutivo. Essa è revocabile con la sentenza che definisce il giudizio.
Se, dopo la pronuncia dell’ordinanza, il processo si estingue, l’ordinanza acquista
l’efficacia della sentenza impugnabile sull’oggetto dell’istanza.
L’ordinanza acquista l’efficacia della sentenza impugnabile sull’oggetto dell’istanza se
la parte intimata non manifesta entro trenta giorni dalla sua pronuncia in udienza o dalla
comunicazione, con ricorso notificato all’altra parte e depositato in cancelleria, la volontà
che sia pronunciata la sentenza.(2)»
(1)
Articolo inserito dal D.L. 18 ottobre 1995, n. 432.
(2)
Comma così sostituito dalla legge 263/2005, con decorrenza dal 1° marzo 2006.
Natura e funzioni. Tale ordinanza, a differenza delle due precedentemente esaminate, che
avevano un loro più o meno lontano modello in istituti già esistenti nel nostro ordinamento
(l’ordinanza ex artt. 423 c.p.c. per il 186bis ed il decreto ingiuntivo per il 186ter) costituisce
una novità assoluta della novella codicistica del 1990, non trovando alcun riscontro in
precedenti normativi, né analogia in altri istituti vigenti.
Si tratta di un’ordinanza a carattere anticipatorio, per così dire, puro, nel senso che non è
nemmeno caratterizzata dalla sommarietà della cognizione, che è piena perché giunge al
termine dell’istruttoria, ed ha una forte connotazione deflattiva, stante la previsione di sua
convertibilità in sentenza. È un istituto la cui esigenza si può ravvisare nel tentativo di
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
stemperare, almeno per alcuni tipi di cause, gli effetti della eccessiva dilatazione temporale
che intercorre tra il momento in cui si esaurisce la fase istruttoria del procedimento e quello in
cui lo stesso è assunto in decisione 59 .
Ambito di applicazione. La limitazione esplicitamente posta dalla legge alle sole domande
di condanna al pagamento di somme (oltre che a quelle di rilascio o consegna di beni, si badi,
anche immobili), implica la impossibilità di pronunciare la ordinanza in commento, innanzi
tutto, in materia di condanna agli obblighi di fare o di non fare, nonché in caso di domande
costitutive o di mero accertamento 60 (purché con efficacia di giudicato e non incidenter
tantum).
Anche per tale istituto si pone la problematica già analizzata con riferimento ai casi in cui
la condanna al pagamento di denaro consegua quale effetto restitutorio di una pronuncia
dichiarativa o costitutiva (ad es. revocatoria fallimentare; risoluzione, annullamento o nullità
di contratto), problema tanto più stringente, attesa la potenzialità dell’ordinanza in questione
ad assumere l’efficacia di sentenza; in generale, deve escludersi – come correttamente
sostenuto dalla dottrina – che l’ordinanza ex art. 186quater c.p.c. possa decidere con efficacia
di giudicato su domande di accertamento o costitutive, salva la loro valutazione incidenter
tantum, ai sensi dell’art. 34 c.p.c. (in tal caso, ovviamente, l’eventuale acquisizione di
efficacia della sentenza impugnabile, ex art. 186quater, 3° e 4° comma, c.p.c., riguarderebbe
solo la pronuncia di condanna e non anche l’accertamento incidentale, come del resto
accadrebbe anche con una vera e propria sentenza); allo stesso modo, si ritiene più corretta la
tesi che impedisce la pronuncia dell’ordinanza nel caso in cui la domanda di accertamento o
costitutiva si ponga in rapporto di pregiudizialità con quella di condanna, in maniera tale che
la pronuncia di quest’ultima non possa prescindere dalla decisione della prima, risultando
viceversa, ammissibile l’istituto quando non vi è connessione tra le domande e l’ordinanza
post-istruttoria possa riguardare la sola domanda di condanna 61 .
59
Le finalità eminentemente deflattive e di
smaltimento dell’arretrato si colgono appieno anche considerando la norma dell’art. 90 L. 353/90, che ha reso
applicabile l’art. 186quater c.p.c. anche alle cause pendenti alla data del 30.04.1995, ovvero a quelle ancora
soggette a vecchio rito.
60
Trib. Torino, sez. III, 23.12.2006, in
JurisData - Redazione Giuffrè 2007.
61
In tal senso MANDRIOLI, Dir. Proc. Civ.
vol. II, cit.; in giurisprudenza, Trib. Messina, 9.12.2003, in Foro It. 2004, I, 1439, Pretura Bari, 17.06.1996, in
Giur. It. 1998, 951; contra Trib. Roma 2.06.1997, in Giur. It. 1998, 951.
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
Sulla base di tali presupposti, si ritiene comunemente ammissibile la pronuncia
dell’ordinanza in questione nei giudizi per risarcimento danni da fatto illecito (in particolare
per i danni da sinistro stradale), in quanto questi presuppongono un accertamento meramente
fattuale dei presupposti (responsabilità, nesso di causalità e danno) 62 , che non comporta,
perciò, una statuizione (pur se meramente dichiarativa) su una situazione giuridica, mentre
dovrebbe escludersi per le azioni revocatorie fallimentari, a mente della loro natura
costitutiva 63 .
Esclusiva di tale ordinanza è la possibilità che sia applicata anche alle domande di
consegna o rilascio di beni immobili (da intendersi sia come azione fondata su
un’obbligazione contrattuale, sia come azione fondata su un diritto reale, ma con i limiti già
esposti in materia di domande costitutive o di accertamento).
Domande cumulate e processi litisconsortili. Particolari problematiche sono state
sollevate in ordine alla proponibilità dell’istanza in casi di processi con pluralità di parti e/o di
domande, previa la considerazione che l’istituto appare modellato dal legislatore per il solo
caso semplice di unica domanda tra due parti.
Un primo orientamento dottrinario, assai rigoroso, ritiene che nel caso di più domande
cumulate, inscindibili o incompatibili, l’ordinanza (e la relativa istanza) sia ammissibile
soltanto laddove abbia riguardo a tutte le domande e, quindi, sia idonea a definire l’intero
oggetto del giudizio, orientamento che si fonda essenzialmente sull’assunto che l’istituto in
esame, essendo rivolto alla anticipazione della decisione ed alla sua semplificazione,
risulterebbe sostanzialmente inutile ove fosse solo parziale (costringendo il giudice a
proseguire il giudizio ed a pronunciarsi comunque su altre domande legate indissolubilmente
alle altre o da esse pregiudicate o ad esse pregiudiziali) ed inoltre, farebbe sorgere rilevanti
complicazioni processuali; tale tesi ritiene ammissibile l’ordinanza parziale soltanto in ipotesi
62
Corte App. Napoli, 15.02.2001, in Nuovo
dir. 2001, 693, Trib. Como, 4.11.1998, in Foro It. 1999, I, 330, Trib. Padova, 26.04.1996, in Giur. It. 1997, I, 2,
614, Trib. Milano, 30.11.1995, in Giur. Merito 1996, 670 nota NEGRO.
63
Trib. Pordenone, 13.03.1998 e 19.05.1998,
in Fallimento 1999, 333, Trib. Milano, 13.11.1995, in Foro It. 1996, I, 1065 nota FABIANI; un orientamento del
Tribunale di Roma, ritiene l’ordinanza applicabile alle domande di inefficacia ex art. 44 l.fall. (5.03.1999, in
Giust. Civ. 2000, I, 575), alle insinuazioni tardive ed alle opposizioni allo stato passivo (20.04.1998, in Giust.
Civ. 1998, I, 2307 ed in Giur. Merito 1998, 895, 5.01.1998, in Giur. Merito 1998, 637 e 2.04.1997, in Dir. fall.
1998, II, 569).
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
di domande autonome e scindibili, previa però, separazione delle stesse ai sensi dell’art. 103
c.p.c. 64 .
Tale orientamento è stato criticato per la sua eccessiva rigidità e si è sostenuto che
l’effetto anticipatorio e di semplificazione può ben avere riguardo ad alcune soltanto delle
diverse controversie presenti all’interno di un unico processo e che, comunque, la separazione
non dovrebbe essere una condizione per l’emissione dell’ordinanza e non dovrebbe
discendere da un provvedimento esplicito del giudice ai sensi dell’art. 103 c.p.c., ma, semmai,
dovrebbe essere una conseguenza automatica della pronuncia di ordinanza 186quater c.p.c. su
alcune soltanto delle domande cumulate e della rinuncia dell’intimato alla sentenza su tale
pronuncia, senza necessità di un provvedimento esplicito di separazione 65 .
La giurisprudenza, anche di legittimità, ritiene ormai senza dubbio ammissibile
l’ordinanza post-istruttoria parziale in ipotesi di cause autonome e scindibili, accogliendo la
soluzione sopra prospettata, nel senso che tale pronuncia, seguita dalla rinuncia alla sentenza
da parte dell’intimato, comporti una implicita separazione delle cause, con conseguente
prosecuzione del giudizio sulle domande non oggetto dell’ordinanza; inoltre, la Suprema
Corte ha anche chiarito che in tali casi la pronuncia sulle spese, prevista dall’art. 186quater
c.p.c. debba essere limitata alla sola domanda oggetto dell’ordinanza 66 . Sempre in seno a tale
orientamento si è altresì sostenuto che la separazione implicita opera anche quando, in caso di
due domande autonome per entrambe le quali sia stata presentata istanza – pur essendosi il
G.I. pronunciato su tutte – ne abbia accolta solo una e rigettata l’altra, sull’assunto che la
pronuncia di rigetto totale non è idonea ad acquistare l’efficacia di sentenza 67 .
Più problematica la questione in ipotesi di cause inscindibili, ovvero di domande tra loro
connesse da un rapporto di pregiudizialità o, comunque, di opposizione ed incompatibilità
(nel senso che l’accoglimento dell’una comporta il rigetto dell’altra, come nel caso di
64
LUISO, PROTO PISANI, SASSANI, VERDE; in
giurisprudenza v. Trib. Torino, sez. III, 23.12.2006 cit. e Cass. sez. III, 6.11.2001, n. 13690; 28.01.2002, n. 983;
Trib. Roma, 15.07.1997, in Foro It. 1997, I, 3399 e 25.06.1997, ibidem, 3400.
65
In tal senso, RICCI, CALIFANO, CIRULLI; in
giurisprudenza Trib. Bari 5.10.2002, in Foro It. 2003, I, 886; Cass. sez. II, 9.09.2003, n. 13148 e 22.01.2004, n.
1007, entrambe in materia di cause scindibili; sez. II, 24.03.2004, n. 5893, in tema di cause inscindibili
(principale e riconvenzionale incompatibili).
66
Cass. sez. I, 3.09.2004, n. 17807; sez. II,
24.03.2004, n. 5893, 22.01.2004, n. 1007, 9.09.2003, n. 13148, 27.06.2002, n. 9379.
67
Cass. 5893/04; 1007/04.
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
domanda di adempimento contrattuale e di riconvenzionale di risoluzione): ad un iniziale
orientamento restrittivo, che negava la possibilità di pronuncia dell’ordinanza, se non avente
ad oggetto l’intero giudizio (v. giurisprudenza cit. in nota 62), se ne è sostituito uno via via
più permissivo, che ormai ammette pacificamente l’istanza (e l’ordinanza) nei giudizi con
cumulo di domande, anche inscindibili o incompatibili.
In tal caso, secondo un orientamento, sarebbe sufficiente l’istanza relativa ad una sola
domanda, per rendere necessaria la pronuncia del giudice su tutte, stante la loro inseparabilità,
ed anzi si è giunti a sostenere che anche la sola pronuncia su una delle domande
incompatibili, comporti un rigetto implicito dell’altra domanda 68 .
Tale orientamento, a mio modesto avviso, non è condivisibile, poiché si pone in aperto
contrasto con il disposto dell’art. 186quater c.p.c. per almeno due aspetti: da un lato, ove la
norma richiede l’istanza di parte per consentire al G.I. la pronuncia dell’ordinanza, mentre la
soluzione accolta da tale filone giurisprudenziale consente la decisione anche su una domanda
per la quale non è stata proposta istanza; dall’altro (e conseguentemente) ove la norma
stabilisce che l’ordinanza si trasforma in sentenza impugnabile “sull’oggetto dell’istanza”,
mentre l’orientamento qui discusso la estende anche a domande non oggetto di alcuna istanza.
Infine, la soluzione qui contestata, pone anche gravi problemi di compressione del diritto
di difesa della parte che subisce il rigetto implicito, la quale si troverebbe in serie difficoltà ad
impostare un’impugnazione ed una difesa in secondo grado, avverso una “non-pronuncia”
(che, si osserva incidentalmente, ove si verificasse in sede di sentenza, darebbe luogo al vizio
di omessa pronuncia).
In senso contrario si è, invece, espressa un’altra sentenza della Cassazione (la già citata
5893/04), secondo la quale, anche in caso di domande incompatibili (nella specie, principale e
riconvenzionale), connesse perché dipendenti dall’accertamento degli stessi fatti, la
presentazione dell’istanza e la decisione con ordinanza su una sola di esse, con successiva
rinuncia dell’intimato alla sentenza, comportano la separazione dei giudizi, pur se
inscindibili 69 .
Analoghi problemi si pongono per i processi con pluralità di parti; data per scontata
l’ammissibilità dell’istanza e della pronuncia separata in ipotesi di litisconsorzio facoltativo,
68
Cass. n. 9379/02, in motivazione; più
diffusamente, la n. 13148/03.
69
Con l’ulteriore conseguenza che il giudice
dell’appello potrebbe sospendere la causa per pregiudizialità ex art. 295 c.p.c..
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
nel caso di litisconsorzio necessario, anche qui, in un primo tempo la giurisprudenza optava
per la soluzione restrittiva, richiedendo la necessaria istanza di tutti i litisconsorti attivi e nei
confronti di tutti i litisconsorti passivi 70 ; successivamente, sempre in base ad una
considerazione di favor per l’applicazione dell’istituto in questione, si è ritenuto che fosse
sufficiente l’istanza di una sola parte, per consentire al giudice la pronuncia dell’ordinanza nei
confronti di tutti (con tutte le perplessità già espresse sopra).
Un caso a parte è costituito dall’ipotesi di frazionamento di un’unica domanda, ovvero di
istanza proposta con riguardo ad una sola domanda, ma solo per parte di essa (ad es., in
ipotesi di domanda di risarcimento danni da sinistro stradale in cui siano chiesti danni
materiali, biologici e morali, l’istanza 186quater c.p.c. avanzata solo in ordine ad alcune voci
di danno); in questa ipotesi, una pronuncia di merito ha ritenuto l’istanza inammissibile, ove
non accompagnata da una corrispondente rinuncia della domanda nel merito (che, anzi, era
stata riproposta per intero), perché non avrebbe senso una pronuncia che non possa comunque
assumere il valore di sentenza su una intera domanda 71 .
Presupposti sostanziali e contenuto della pronuncia. L’unico presupposto sostanziale
richiesto per l’emissione dell’ordinanza in questione è che il giudice ritenga raggiunta la
prova del credito e, quindi, sostanzialmente, poiché la pronuncia avviene ad istruttoria
completa, il presupposto coincide con quello per l’accoglimento della domanda in sede di
sentenza.
Discusso in dottrina (ma non in giurisprudenza) è il problema se al G.I. resti un margine
di discrezionalità nell’emettere la pronuncia, sia pur in presenza di tutti i presupposti di legge:
riteniamo preferibile la tesi affermativa, perché fondata sul dato testuale della norma (come
per l’ordinanza 186bis c.p.c., è detto che il giudice “può” disporre il pagamento), dato che non
può essere “sterilizzato” riferendolo alla possibilità del giudice di valutare liberamente le
prove acquisite, poiché tale facoltà, oltre ad essere propria dell’attività giudicante, è già
prevista, dalla norma stessa, ove afferma che il G.I. pronuncia la condanna “nei limiti in cui
ritiene raggiunta la prova”, sicché all’espressione sopra indicata deve per forza darsi un altro
significato.
70
Trib. Treviso, 14.04.1998, in Resp. Civ. e
Prev. 1999, 194 nota ONNIBONI; Trib. Modena, 4.06.1998, in Giur. Merito 1999, 25, nonché le già citate Cass.
sez. III, 6.11.2001, n. 13690; 28.01.2002, n. 983.
71
Trib. Udine, 24.01.1998, in Riv. Dir. Proc.
1998, 915 nota GASPERINI;
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
La discrezionalità va intesa nel senso che il giudice, pur nella sussistenza di tutti i
presupposti di legge, possa valutare l’opportunità o meno di pronunciare l’ordinanza, laddove
la decisione sia complessa e non si adatti al procedimento semplificato previsto dall’art.
186quater c.p.c. ed alla decisione con motivazione succinta 72 ; ciò senza arrivare agli eccessi
di quella interpretazione (minoritaria) che ritiene l’ordinanza pronunciabile solo in casi di
prova evidente ed incontestabile 73 ; in questo caso, si avrà una pronuncia di non luogo a
provvedere, piuttosto che di vera e propria inammissibilità dell’istanza.
Quello qui sostenuto è, peraltro, l’orientamento espresso e seguito dalla sezione civile del
Tribunale di Piacenza.
Si rileva, del resto, come in tema di domande cumulate e di istanza formulata su alcune
soltanto di esse, la giurisprudenza abbia sostenuto che al G.I. è concessa anche la valutazione
discrezionale sull’opportunità di disporne comunque la decisione unitaria, così rifiutando la
pronuncia con ordinanza parziale.
La formulazione della norma, secondo cui il G.I. pronuncia l’ordinanza “nei limiti” in cui
ritiene raggiunta la prova, si riferisce chiaramente alla possibilità di accoglimento solo
parziale dell’istanza.
È ovviamente possibile una pronuncia di rigetto integrale, ma, in tal caso, secondo
l’orientamento prevalente in giurisprudenza (che qui si condivide), il G.I. non deve
pronunciare sulle spese di lite, dal momento che l’ordinanza di mero rigetto non è idonea ad
acquisire l’efficacia di sentenza, tanto che l’eventuale rinuncia è inammissibile 74 .
Tale interpretazione si fonda sul chiaro assunto che, in caso di domanda ritenuta
infondata, non si ravvisa alcuna esigenza anticipatoria, come emerge dalla complessiva lettura
della norma, che appare evidentemente scritta pensando alla sola ordinanza di accoglimento
72
Pressoché pacifica la giurisprudenza: Trib.
Torino 23.12.2006 cit; Trib. Biella, 14.02.2000, in Giur. It. 2000, 1194; Trib. Matera, 5.08.1997, in Giur. It.
1998, 951; Trib. Torino, 21.12.1995, in Giur. It. 1996, I, 2, 329; contra Pretura Bologna, 17.02.1996, ibidem,
330. In dottrina, LUISO, che rileva anche la necessità di evitare un ingiustificato privilegio di alcune cause
rispetto ad altre, la cui decisione verrebbe dilazionata ove il giudice debba impegnarsi in modo rilevante nel
decidere le istanze 186quater anche nei casi particolarmente complessi.
73
Trib. Roma, 31.01.1996, in Riv. Giur.
Circol. Trasp. 1996, 346; contra Cass. sez. I, 21.03.2003, n. 4145.
74
Cass.
1007/04
cit.;
Trib.
Modena
6.10.1998, in Giur. Merito 1999, 1000; Trib. Roma 17.07.1996, in Riv. Giur. Circol. Trasp. 1996, 789; Trib.
Firenze, 2.11.1995, in Giur. Merito 1996, 446; contra Trib. Milano 4.11.1998, in Foro It. 2000, I, 963 nota CEA.
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(per la quale soltanto ha senso parlare di efficacia esecutiva); in questo senso, peraltro, si è
espressa anche la Corte Costituzionale (sent. 11 dicembre 1997, n. 385), che ha appunto
escluso l’illegittimità costituzionale della norma, nella parte in cui non prevede la condanna
alle spese in caso di provvedimento di rigetto e la sua convertibilità in sentenza.
Modi e termini. Come le altre due ordinanze di cui agli articoli precedenti, anche questa è
pronunciabile soltanto su istanza di parte, sulla cui forma e modalità di proposizione si
rimanda a quanto già detto a proposito di quelle.
Nulla, però, dispone la norma in ordine alle modalità con le quali garantire il
contraddittorio, poiché la novella del 2005 non ha qui inserito il medesimo inciso già
esaminato a proposito degli artt. 186bis e ter; tuttavia, non si dubita in dottrina, e nemmeno
nella prassi giurisprudenziale, sia che si possa proporre istanza anche fuori udienza (come
nell’ipotesi tipica di istanza avanzata tra l’ultima udienza istruttoria e l’udienza di
precisazione delle conclusioni), sia che debba essere comunque garantito un minimo di
contraddittorio sull’istanza medesima 75 .
L’esigenza di garantire una interlocuzione della controparte, peraltro, discende
comunque, oltre che dal principio costituzionale dell’art. 111 Cost., dalla regola generale
dell’art. 186 c.p.c., secondo cui il giudice emette ogni suo provvedimento chiesto dalle parti,
«sentite le loro ragioni»; chiaramente, stante la funzione semplificatrice ed anticipatoria
dell’ordinanza, si dovrebbe evitare di consentire alle parti uno scambio di memorie scritte e
repliche, reiterando il meccanismo di decisione ordinaria di cui all’art. 190 c.p.c., ma non si
può escludere che, oltre alla eventuale fissazione di apposita udienza per la discussione
sull’ordinanza, possa essere concesso alle parti (o alla sola controparte, a fronte di un’istanza
già redatta per iscritto) un termine intermedio per il deposito di memorie scritte ex art. 170
c.p.c..
In assenza di disposizioni sul punto, si ritiene che l’ordinanza possa essere chiesta ed
emanata anche nei confronti della parte contumace 76 ; analogamente a quanto già considerato
a proposito dell’ordinanza ex art. 186ter c.p.c., si ritiene che in tal caso l’istanza non debba
essere preventivamente notificata alla parte contumace.
75
V., in particolare, MANDRIOLI, secondo il
quale la legge lascerebbe alla discrezionalità e sensibilità del giudice di decidere le modalità più opportune per
tale garanzia.
76
Trib. Reggio Emilia, 13.07.1995, in Foro
It. 1995, I, 3308 nota NAPPI; C. App. Campobasso 8.10.1998, in Giust. Civ. 1999, I, 119, che nega la necessità di
notifica; implicitamente Cass. sez. III, 23.07.2002, n. 10748.
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
Il termine iniziale per poter proporre l’istanza e pronunciare l’ordinanza, è individuato
dalla legge nell’esaurimento dell’istruttoria, da intendersi integrato, pacificamente, non solo
quando sono state espletate ed assunte tutte le prove ammesse, ma anche quando non siano
state ammesse le prove richieste, quando siano scaduti i termini perentori per le deduzioni
istruttorie senza che le parti ne abbiano formulate, quando siano state assunte alcune prove ed
il G.I. ritenga le ulteriori (pur già ammesse) superflue, o quando il giudice ritenga da subito la
causa matura per la decisione ai sensi dell’art. 187 c.p.c. 77 (ad eccezione delle ipotesi di
pregiudiziali di rito o preliminari di merito, che non possono formare oggetto dell’ordinanza
186quater c.p.c.). É poi altrettanto pacifico che, per ritenere verificatosi il presupposto, non
sia necessario un formale provvedimento del giudice che dichiara chiusa l’istruttoria, come
previsto dall’art. 209 c.p.c. (provvedimento, del resto, abbastanza desueto nella prassi),
essendo sufficiente che il giudice inviti le parti a precisare le conclusioni 78 .
Nella precisazione delle conclusioni – pur in assenza di previsione normativa – deve
individuarsi poi il termine ultimo per la richiesta e la pronuncia dell’ordinanza de qua; la
conclusione si ricava dal fatto che la norma attribuisce la competenza ad emettere l’ordinanza
al giudice istruttore, che rimane tale fino a che non rimetta la causa in decisione (al collegio o
a sé stesso in funzione monocratica) 79 . Ciò vuol dire che l’istanza potrà essere proposta o
immediatamente all’ultima udienza istruttoria, ove il giudice abbia fissato diversa udienza di
p.c., o alla stessa udienza di precisazione, ma prima che le parti rassegnino le loro conclusioni
ed il giudice trattenga la causa in decisione80 ; in tale ultima ipotesi, si ritiene opportuno che si
blocchi il processo di spedizione a sentenza, poiché potrebbe rivelarsi inutile all’esito della
pronuncia dell’ordinanza (tanto più dopo la novella del 2005, che ha previsto la conversione
in sentenza ex lege, salva espressa richiesta di pronunciare la sentenza).
77
Cass. sez. I, 3.09.2004, n. 17807; Trib.
Milano, 27.11.1995, in Foro It. 1996, I, 1052.
78
Cass. sez. II, 9.09.2003, n. 13148 e 27
giugno 2002, n. 9379.
79
In dottrina vi è un orientamento contrario
(SASSANI e VERDE) basato sull’assunto che il G.I. non si spoglia delle sue funzioni fino a che la causa non sia
effettivamente passata in decisione, ovvero alla scadenza del termine per il deposito delle repliche, sicché
dovrebbe individuarsi in tale momento il dies ad quem per la proposizione dell’istanza 186quater c.p.c..
80
Cass. sez. III, 6.02.2002, n. 1633 e 2084/02
cit.; Trib. Padova, 26.04.1996, in Giur. It. 1997, I, 2, 614; Trib. Voghera, 10.04.1996, in Foro It. 1997, I, 308.
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
Un po’ più complessa appare la questione nelle cause soggette al vecchio rito, laddove si
deve tenere conto della assenza di preclusioni e della conseguente possibilità per le parti di
produrre documenti o chiedere nuove istanze istruttorie sino a che il giudice non abbia
rimesso la causa al collegio (art. 184 c.p.c., nella formulazione anteriore alla L. 353/90),
quindi il dies a quo dovrebbe coincidere con il momento in cui il G.I. invita le parti a
precisare le conclusioni e rimette la decisione al collegio; per il dies ad quem, si registra un
contrasto tra chi sostiene che coincida con la rimessione della causa al collegio, momento in
cui quest’ultimo organo diviene titolare del procedimento81 , e chi, invece, ritiene possibile
presentare l’istanza anche dopo la rimessione al collegio e fino all’udienza di discussione
davanti a questo 82 .
Quest’ultima interpretazione appare più coerente con la finalità anticipatoria e deflattiva
dell’istituto, soprattutto con riguardo alle cause più risalenti nel tempo ed alla prassi invalsa
sotto il vigore del rito ante 1990 di disporre lunghi rinvii tra la rimessione al collegio e la
discussione davanti a quest’ultimo.
Efficacia. Anche questa ordinanza, come quella per il pagamento di somme non
contestate, costituisce titolo esecutivo ex lege, senza necessità di una apposita pronuncia sul
punto ed anche in questo caso non è prevista espressamente (e quindi deve escludersi) la
idoneità ad iscrivere ipoteca giudiziale (che, invece, deve essere riconosciuta all’ordinanza
che si sia convertita in sentenza) 83 .
Regime di stabilità. L’ordinanza post-istruttoria è dichiarata revocabile con la sola
sentenza che definisce il giudizio, con espressa esclusione, dunque, dei rimedi di cui agli artt.
177 e 178 c.p.c..
Tale regime di maggiore stabilità costituisce una rilevante differenza rispetto alle
ordinanze di cui ai due articoli precedenti, ma può trovare facilmente spiegazione sotto due
profili.
81
Trib. Trani, 27.04.1996, in Foro It. 1997, I,
308; C. App. Campobasso 8.10.1998 cit., che ha sostenuto la nullità dell’ordinanza pronunciata dal G.I. dopo la
rimessione al collegio.
82
Trib. Roma, 5.01.1996, in Giust. Civ. 1996,
I, 1473 e Cass. sez. I, 23.05.2000, n. 6694.
83
Per tale ordinanza (non convertita in
sentenza), è stata negata l’idoneità a costituire presupposto per la conversione del sequestro conservativo in
pignoramento ex art. 686 c.p.c. da Trib. Monza, 3.10.2003 in Giur. It. 2003, 2275, il che confermerebbe
l’infondatezza della soluzione contraria applicata all’ordinanza ex art. 186ter c.p.c. (v. pag. 25 e nota 44).
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
In primo luogo, perché vi sarebbe concretamente poco spazio per operare una modifica o
una revoca dell’ordinanza, dal momento che la stessa è stata emanata dopo la chiusura della
fase istruttoria e, quindi, non vi sono più possibilità (salva un’ipotesi di rimessione in
istruttoria) per apportare nuovi elementi di giudizio e di valutazione.
In secondo luogo tale soluzione è finalizzata, probabilmente, anche ad “incentivare”
(almeno sotto il vigore della vecchia disciplina) la rinuncia alla sentenza, poiché – stante
l’immutabilità dell’ordinanza nelle more della chiusura del procedimento – l’unico modo che
avrebbe l’intimato di evitarne l’esecuzione, è quello di proporre appello con la contestuale
richiesta di sospensione dell’esecutività ex art. 283 c.p.c.; sicché il soggetto soccombente
nell’ordinanza, piuttosto che attendere una decisione, ben difficilmente diversa da quella
contenuta nell’ordinanza 186quater, ed essere sottoposto al rischio di esecuzione, dovrebbe
preferire accorciare i tempi e passare subito alla fase d’appello.
Chiaramente tale immodificabilità non impedisce, anzi a maggior ragione impone, la
possibilità di richiedere la correzione di errore materiale ex art. 287 c.p.c. dell’ordinanza
stessa (la soluzione negativa non trova alcuna giustificazione, né normativa, né razionale,
poiché la correzione non comporta alcuna modifica del contenuto della pronuncia e perché,
altrimenti, si rischierebbe di vanificarne l’efficacia immediatamente esecutiva ove, ad
esempio, vi fosse un errore nell’indicazione del nome della parte intimata) 84 .
In caso di mancata rinuncia alla sentenza o di mancata conversione (per il regime
introdotto dalla novella del 2005), l’ordinanza non ha natura decisoria ed è destinata ad essere
assorbita dalla sentenza; di conseguenza, non è impugnabile, nemmeno con ricorso
straordinario per Cassazione ex art. 111 Cost. e non è reclamabile (coerentemente con la sua
natura non cautelare) 85 , né è sindacabile con l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c..
Conversione in sentenza. L’assoluta peculiarità dell’ordinanza in commento, che ne esalta
la funzione deflattiva, più ancora che quella anticipatoria, è la previsione della sua
convertibilità in sentenza impugnabile, al ricorrere di determinati presupposti.
Caratteristica comune a tutte le ipotesi è il fatto che la conversione avviene “sull’oggetto
dell’istanza” e non già dell’ordinanza, con la conseguenza che in caso di accoglimento solo
84
Trib. Reggio Calabria 23.09.1998, in Foro
It. 2000, I, 964; contra Trib. Modena, 22.07.1997, in Giur. Mer. 1997, 907.
85
Cass. sez. I, 29.04.1999 n. 4322; sez. III,
16.12.1998, n. 12609; per la non reclamabilità Trib. Venezia, 16.09.1995, in Giur. It. 1996, I, 2, 20 e 14.09.1995,
in Foro It. I, 3306.
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
parziale dell’istanza e rigetto del resto, la sentenza si formerà comunque su tutta la domanda
che è stata decisa con l’ordinanza, sicché anche la parte istante, parzialmente soccombente,
avrà interesse ad impugnarla. Come già detto, non si ritiene invece convertibile in sentenza
l’ordinanza di rigetto integrale.
A) Per estinzione del giudizio: la prima ipotesi di conversione dell’ordinanza in sentenza
impugnabile è quella di estinzione del giudizio, anche in tal caso senza limitazione tra le
diverse ipotesi di estinzione. Chiaramente, a differenza di quanto visto per le due ordinanze
precedenti, in questo caso non si pone alcun problema in ordine all’individuazione
dell’efficacia da attribuire al provvedimento, essendo lo stesso parificato, in tutto e per tutto,
ad una sentenza, con attitudine al giudicato pieno, sia formale che sostanziale, ex artt. 324
c.p.c. e 2909 c.c..
Il problema principale di tale fattispecie consiste nell’individuazione del termine di
decorrenza per l’impugnazione: alla tesi, prospettata da parte della dottrina, secondo cui, in
applicazione dell’art. 129, 3° comma, disp. att. c.p.c., il termine decorrerebbe dal momento in
cui diviene definitivo il provvedimento che pronuncia l’estinzione, si contrappone quella che
individua il decorso del termine annuale ex art. 327 c.p.c. nel momento in cui si perfeziona la
fattispecie estintiva, indipendentemente da una sua dichiarazione formale, poiché l’estinzione
opera di diritto e può essere verificata incidentalmente in un altro processo 86 .
Per determinare la decorrenza del termine breve, invece, è necessaria la notificazione
dell’ordinanza, possibilmente successiva al perfezionarsi della fattispecie estintiva, poiché,
ove si ammettesse l’efficacia in tal senso di una notifica precedente, sospensivamente
condizionata al completarsi dell’estinzione, si porrebbero seri dubbi in ordine alla conoscenza
o conoscibilità per l’interessato, dell’effettivo dies a quo per l’impugnazione.
La Cassazione ha poi precisato che, seppure l’estinzione del giudizio richiede la
collaborazione di tutte le parti costituite (sia diretta, nel caso di rinuncia agli atti, sia implicita,
nel caso di inattività), tale condotta non può comunque interpretarsi come acquiescenza tacita
all’ordinanza da parte del soccombente, dal momento che può anzi essere manifestazione
della volontà di immediata impugnazione dell’ordinanza convertita in sentenza 87 (anche se
tale volontà meglio sarebbe soddisfatta con una rinuncia espressa, nel vigore della precedente
normativa).
86
Nel primo senso LUISO, PROTO PISANI,
CARRATTA, CONSOLO; nel secondo, BALENA, CALIFANO e Cass. sez. L. n. 11039 del 12/05/2006.
87
Cass. sez. III, 30 marzo 2005, n. 6729.
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
B) Per rinuncia della parte intimata: in coerenza con la funzione deflattiva ed
acceleratoria dell’istituto in esame, la legge consente (per i procedimenti già pendenti alla
data del 1° marzo 2006), alla parte destinataria dell’ordinanza di rinunciare espressamente alla
pronuncia della sentenza, dando così corso immediato alla trasformazione dell’ordinanza in
sentenza ed all’eventuale fase impugnatoria.
La rinuncia va fatta con atto notificato all’altra parte e depositato in cancelleria, sicché
deve avere forma scritta e non può essere tacita o implicita, ad esempio, mediante immediato
appello avverso l’ordinanza (appello da dichiararsi inammissibile, in mancanza della
conversione in sentenza); la rinuncia è tipico atto difensivo che, seppure comporta la
abdicazione di una facoltà processuale, non implica rinuncia al diritto e può quindi essere
fatta dal difensore mandatario senza bisogno di procura speciale; anzi, proprio perché atto di
natura tecnica, compete al solo difensore (nei giudizi ove è obbligatorio il patrocinio legale) e
non è valida la rinuncia fatta dalla parte personalmente, salvo che quest’ultima non sia
contumace 88 .
La norma riserva espressamente alla sola “parte intimata” la facoltà di operare la rinuncia,
anche laddove l’ordinanza abbia accolto solo in parte l’istanza dell’intimante (il quale, quindi,
potrebbe avere un interesse ad impugnare l’ordinanza in parte qua); chiarito che l’espressione
intimata, si riferisce alla parte che risulta destinataria del provvedimento di condanna, a
prescindere dal fatto che sia stato posto in esecuzione e, quindi, sia stato intimato il precetto,
deve precisarsi che solo tale soggetto è legittimato alla rinuncia, non potendo in alcun modo
incidere su tale scelta l’altra parte, nemmeno nel senso di una necessità di sua accettazione
della rinuncia ex adverso manifestata 89 .
Si è però precisato che, se la scelta tra operare o meno la rinuncia e la successiva notifica
dell’atto, sono ad esclusivo appannaggio della parte intimata, non altrettanto può dirsi con
riferimento al deposito dell’atto di rinuncia in cancelleria, poiché quest’ultimo ha come
destinatario il giudice, in modo da metterlo al corrente della necessità di non pronunciare la
sentenza, sicché potrà essere eseguito anche dalla parte intimante che ha ricevuto la notifica
della rinuncia dall’intimato 90 ; la soluzione appare preferibile, tanto più se si pensa, come già
88
Cass. sez. III, 6.03.2002, n. 3194; 23 luglio
2002, n. 10748 sulla rinuncia da parte del contumace.
89
Così Cass. 10748/02 cit..
90
Cass. sez. 22.12.2005, n. 28419, in Giust.
Civ. Mass. 2005, 12.
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
osservato sopra, che anche l’intimante potrebbe avere interesse ad una immediata
impugnazione dell’ordinanza che abbia accolto solo parzialmente le sue domande e che in tal
modo si evita che lo stesso rimanga “appeso” alle determinazioni dell’altra parte sulla
prosecuzione del giudizio.
La norma nulla dice in ordine al termine ultimo entro il quale esercitare la facoltà di
rinuncia, che deve chiaramente essere fatta prima del deposito della sentenza; quest’ultimo,
infatti, renderebbe inammissibile qualsiasi rinuncia successiva (anche se notificata prima, ma
depositata dopo la pubblicazione della sentenza) e l’eventuale conseguente appello avverso
l’ordinanza; nel vigore della precedente disciplina, invero, poiché la conversione in sentenza
era solo eventuale, il G.I. dopo la pronuncia dell’ordinanza doveva comunque dare corso al
procedimento, sicché sarebbe astrattamente possibile una simile sovrapposizione di atti.
Una volta ritenuta ammissibile l’ordinanza 186quater c.p.c. anche nei giudizi
litisconsortili, si pone il problema della efficacia della rinuncia fatta da uno solo o da alcuni
dei litisconsorti: nel caso di litisconsorzio facoltativo e di cause scindibili o autonome,
chiaramente la rinuncia opererà solo per le domande ed in relazione alle parti per le quali è
svolta, con il conseguente e già analizzato effetto di separazione implicita tra le domande; nel
caso di litisconsorzio necessario e/o di cause inscindibili, la giurisprudenza di legittimità,
coerentemente con l’interpretazione adottata a proposito dell’ammissibilità ed efficacia
dell’istanza, ritiene che la rinuncia effettuata da una sola delle parti intimate vincoli anche le
altre, non potendosi determinare una separazione delle cause e ritenendosi prevalenti le
esigenze acceleratorie ed anticipatorie cui la rinuncia sottende, ed argomentando, inoltre, sulla
considerazione che la soluzione contraria comporterebbe una inammissibile compressione del
diritto della parte rinunciante alla impugnazione immediata ed alla connessa facoltà di
richiedere la sospensione dell’efficacia esecutiva dell’ordinanza ex art. 283 c.p.c. 91 .
Tale interpretazione, che deve ormai considerarsi consolidata nella giurisprudenza di
legittimità, desta sinceramente perplessità analoghe a quelle già manifestate in relazione alla
correlativa tesi della ammissibilità dell’ordinanza in cause inscindibili, ovvero per il fatto che
si consente ad una parte di incidere unilateralmente su situazioni processuali di altre parti
91
Cass. sez. III, 19.10.2006, n. 22401;
30.03.2005, n. 6729; 22.06.2004, n. 11611; C. App. Roma 8.07.2003, in Giur. Merito 2004, 67; Cass. sez. III,
8.03.2002, n. 3434; 6.03.2002, n. 3194; 29.10.2001, n. 13397; Corte Appello Napoli, 15.02.2001, in Nuovo dir.
2001, 693.
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(tanto più in questo caso, ove si tratta di una rinuncia ad ottenere il provvedimento che, in
condizioni normali, dovrebbe chiudere il procedimento).
Una volta perfezionatosi l’iter che consente all’ordinanza post istruttoria l’acquisizione
dell’efficacia di sentenza, e se l’oggetto dell’istanza 186quater c.p.c. coincide con l’intera
domanda, il giudice dovrà dichiarare l’intervenuta definizione del giudizio e l’archiviazione
degli atti; qualora, invece, l’istanza aveva ad oggetto solo alcune domande, il giudizio
proseguirà sulle altre (nonché su quelle che l’ordinanza abbia rigettate in toto), ma nella
sentenza si dovrà prendere atto della già avvenuta definizione delle questioni decise con
l’ordinanza anticipatoria convertita.
Anche in questa ipotesi si è posto il problema dell’individuazione del termine di
decorrenza per l’impugnazione; nessuna questione particolare per il termine annuale ex art.
327 c.p.c., concordemente individuato nella data di deposito dell’atto di rinuncia debitamente
notificato, in linea con quanto disposto dal comma 4° dell’art. 186quater c.p.c..
Il termine breve, invece, dovrebbe decorrere dalla eventuale notifica dell’ordinanza,
successiva al deposito dell’atto di rinuncia, anche se si è proposta una soluzione differenziata,
che farebbe decorrere tale termine dalla notifica per il solo intimante, mentre per l’intimato
anche il termine breve decorrerebbe dal deposito dell’atto di rinuncia notificato, dovendosi
ritenere egli a conoscenza del perfezionamento della fattispecie legale di trasformazione in
sentenza 92 .
C) Per mancata dichiarazione di volere la pronuncia della sentenza (novella del 2005): la
modifica apportata dalla legge n. 263 del 2005 ha innovato profondamente il meccanismo
della trasformazione dell’ordinanza in sentenza, invertendolo totalmente e disponendo una
sorta di conversione automatica ex lege, salva una espressa manifestazione di volontà
contraria da eseguirsi entro un termine stabilito in 30 giorni.
Premesso che non risultano pronunce giudiziali edite sul punto, stante la recente entrata in
vigore della riforma, passiamo ad esaminare le questioni di maggior rilievo, con un approccio,
quindi, ancora sperimentale e problematico.
92
Cass. sez. II, 29 settembre 2004, n. 19602,
in Foro It. 2005, I, 94 con nota critica di CEA, che osserva, tra l’altro, sia la disparità di trattamento che si crea
tra le due parti, sia il sostanziale azzeramento per l’intimato del termine lungo, che, a fronte dell’identità del dies
a quo, è destinato comunque ad essere assorbito dalla sicuramente precedente decorrenza di quello breve; a ciò si
aggiunga l’incoerenza di tale proposta con la già rilevata facoltà riconosciuta anche all’intimante di depositare
l’atto di rinuncia.
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
Anche in questo caso la “rinuncia alla conversione in sentenza” può provenire dalla sola
parte intimata e deve essere fatta con atto scritto (la norma parla di “ricorso”), notificato alla
controparte e depositato in cancelleria.
Valgono anche per quest’atto tutte le considerazioni svolte e le soluzioni proposte in
ordine alla facoltà per il difensore di presentarlo senza bisogno di procura speciale, anzi, tale
soluzione appare ancor più valida, dal momento che tale attività non comporta alcuna
rinuncia, ma anzi costituisce manifestazione di volersi avvalere di un diritto riconosciuto dalla
legge.
Con riguardo ai processi a litisconsorzio necessario o con cause inscindibili, seguendo la
ratio dell’orientamento della Cassazione sopra esposto e tenuto conto del ribaltamento della
situazione operato dalla novella, dovrebbe coerentemente ritenersi che la manifestazione di
volere la pronuncia della sentenza fatta da una sola o da alcune delle parti necessarie non
possa impedire la trasformazione dell’ordinanza in sentenza; infatti, con la nuova disciplina,
sono il silenzio e l’inerzia ad equivalere alla previgente rinuncia, pertanto, trasponendo in tale
fattispecie l’interpretazione propugnata dalla Suprema Corte, si deve concludere che il
silenzio (ovvero la mancata dichiarazione di volere la sentenza entro il termine di legge)
anche di un solo litisconsorte, determini la conversione in sentenza dell’ordinanza e che, per
impedire tale effetto, la manifestazione di volontà debba provenire da tutte le parti intimate.
Parte della dottrina ha posto in dubbio che il termine di 30 giorni debba considerarsi
perentorio, con conseguente sua prorogabilità ex art. 154 c.p.c. su istanza di parte (presentata
chiaramente prima della scadenza), argomentando dalla assenza di tale qualificazione nella
norma 93 ; in contrario si osserva, in primo luogo, che, affinché un termine venga considerato
perentorio, non è necessario che la legge utilizzi testualmente tale aggettivo, ben potendo la
perentorietà ricavarsi dalla stessa struttura e funzione del termine, al quale sia legata una
decadenza (come è nel caso di specie, ove non v’è dubbio che la parte perda la sua facoltà di
richiedere la sentenza allo scadere dei trenta giorni) e, in secondo luogo, che potrebbe
determinarsi una situazione di eccessiva incertezza sulla sorte del processo, ove si consentisse
la prorogabilità del termine (anche se l’art. 154 c.p.c. limita la prorogabilità ad una sola volta,
salvi motivi di particolare gravità).
Diverso problema attiene all’individuazione dell’atto il cui compimento può fa ritenere
rispettato il termine, se, cioè, possa ritenersi che entro i trenta giorni l’intimato debba
depositare il ricorso in cancelleria, o se, invece, sia sufficiente la notifica del ricorso entro il
93
CECCHELLA e MANDRIOLI.
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
termine, potendo poi effettuarsi il deposito anche in un secondo momento 94 ; ritengo che la
lettera della norma e la sua ratio facciano propendere per la prima soluzione, nel senso che –
dovendo necessariamente essere portata a conoscenza del giudice la manifestazione di volontà
in questione – la fattispecie possa considerarsi completata soltanto con il deposito del ricorso
in cancelleria. Quanto alle preoccupazioni espresse dalla citata dottrina in ordine alla
difficoltà di compiere tutte le attività necessarie nel termine relativamente breve, si rileva, in
primo luogo, che la notifica deve essere pacificamente fatta ai procuratori costituiti ex art. 170
c.p.c., il che consente un accorciamento dei tempi, tenuto anche conto della possibilità
(introdotta dalla medesima novella del 2005), di eseguire tali notifiche a mezzo fax o posta
elettronica; in seconda istanza, si può pur sempre fare applicazione dei principi espressi dalle
ormai stranote sentenze della Corte Costituzionale (sentt. n. 477 del 2002 e n. 28 del 2004) in
tema di rispetto dei termini per le notifiche e di non imputabilità al notificante dei ritardi
dell’ufficiale giudiziario o dell’agente postale, nonché fare ricorso, ove ne sussistano i
presupposti, all’istituto della rimessione in termini ex art. 184bis c.p.c., che ritengo
pienamente applicabile al caso di specie, trattandosi di termine endoprocessuale.
Per la stessa ragione da ultimo illustrata, ritengo applicabile a tale termine la sospensione
feriale ex L. 742/69 (beninteso, ove si tratti di procedimento non sottratto all’ambito
applicativo di tale norma, ai sensi dell’art. 3).
Un problema particolare con la nuova disciplina si pone, a mio avviso, nel caso di parte
intimata contumace (ipotesi che abbiamo visto pienamente ammissibile); in tale ipotesi,
infatti, poiché il termine di trenta giorni è fatto decorrere dalla data di pronuncia
dell’ordinanza o dalla sua comunicazione, ove emessa fuori udienza, il contumace (al quale la
cancelleria non è tenuta a comunicare l’ordinanza de qua, v. art. 292, comma 3°, c.p.c.), non è
in grado di venire a conoscenza del provvedimento (di cui, si ricorda, non gli deve essere
notificata nemmeno la relativa istanza) e, quindi, rischia di decadere dalla facoltà di richiedere
la sentenza, senza essere stato realmente posto in condizione di valutare se esercitare o meno
tale potere; si avrebbe, quindi, non già una tacita manifestazione di volontà di rinuncia alla
sentenza, ma una vera e propria mancata manifestazione di volontà; il problema potrebbe
risolversi imponendo all’intimante un onere di notifica dell’ordinanza al contumace o, in
alternativa, un onere di comunicazione a carico della cancelleria, al fine di provocare il
contumace ad attivarsi.
94
In quest’ultimo senso TRISORIO LUZZI, in
Cipriani – Monteleone (a cura di) cit.
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
Quanto al termine per impugnare l’ordinanza, quello annuale ex art. 327 c.p.c. decorre
dalla scadenza del trentesimo giorno dalla pronuncia o comunicazione dell’ordinanza (o dalla
notificazione per il contumace), momento in cui si determina la trasformazione del
provvedimento in sentenza, mentre quello breve deve essere fatto decorrere dalla eventuale
notifica dell’ordinanza, successiva allo scadere del termine medesimo.
Si è ritenuto che, alla luce della nuova disciplina, il G.I. a seguito della pronuncia
dell’ordinanza, non sia tenuto a fissare l’udienza per la prosecuzione del giudizio
(propriamente, quella per la precisazione delle conclusioni), che potrebbe probabilmente
rivelarsi inutile, ma debba fissarla soltanto in caso di manifestazione della volontà di
pronuncia della sentenza; il suggerimento, pur se non imposto dalla norma, appare accoglibile
ed opportuno, soprattutto per evitare un’attività potenzialmente inutile e costringere poi il
giudice ad emettere comunque un provvedimento formale che dichiari definito il giudizio, ma
soltanto nel caso in cui l’oggetto dell’istanza 186quater c.p.c. coincida con l’intero oggetto
della causa, poiché, diversamente, il processo deve comunque proseguire sulle altre domande
ed il giudice dovrà quindi fissare ugualmente l’udienza successiva.
Ciò che appare sicuramente opportuno è che, nell’attesa del decorso dei trenta giorni, la
causa non sia trattenuta in decisione e non siano concessi i termini ex art. 190 c.p.c. per il
deposito degli scritti conclusionali.
Da ultimo, preme precisare come nessun dubbio vi sia sul fatto che il giudizio di appello
avverso l’ordinanza 186quater c.p.c. convertita in sentenza, si svolga come un normale
processo di appello; in particolare, il giudice dell’impugnazione dovrà, anche d’ufficio,
verificare se si sia regolarmente perfezionata la fattispecie che ha portato l’ordinanza ad
acquisire l’efficacia di sentenza, trattandosi di presupposto di ammissibilità del gravame; al
contrario, non potrà sindacare la validità dell’ordinanza e la sussistenza dei presupposti di
legge per la sua emanazione, ove la questione non abbia formato oggetto di apposita censura.
Infine, pur rilevata la nullità dell’ordinanza, non potrà rimettere gli atti al giudice del
primo grado, stante la tassatività delle ipotesi di regressione del procedimento previste
dall’art. 354 c.p.c. (così Cass. 2084/02 cit.).
4. L’applicabilità delle tre ordinanze anticipatorie nei diversi gradi di giudizio, nei
riti speciali o differenziati e nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo.
Le tre ordinanze appena esaminate sono istituti di carattere generale, come testimonia
anche il loro inserimento all’interno della parte normativa relativa al giudizio ordinario di
cognizione; pertanto, dovrebbero in linea di massima essere applicabili a tutte le controversie
Pagina 51 di 69
Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
soggette a riti speciali, le cui discipline, del resto, contengono sempre un rinvio alla disciplina
generale del processo ordinario, ove non sia diversamente disposto, e sempre salva la
valutazione di compatibilità.
Pacifica la loro applicabilità ai giudizi davanti al Giudice di Pace, in base al rinvio di cui
all’art. 311 c.p.c. ed all’assenza di qualsiasi profilo di incompatibilità (salvo qualche dubbio
per l’ordinanza 186quater c.p.c., stante la struttura della fase decisoria ai sensi dell’art. 321
c.p.c., che prevede la discussione orale e la decisione entro 15 giorni).
Altrettanto pacifica appare la non applicabilità degli istituti in commento al giudizio di
appello, dal momento che, in primo luogo, in tale fase è ormai scemata qualsiasi esigenza
anticipatoria, essendo già stata emessa una sentenza e, in secondo luogo, proprio perché la
presenza di una sentenza esecutiva non consente che su di essa possa incidere un’ordinanza,
per di più di carattere sommario 95 .
Rito del lavoro. Il problema principale dell’applicabilità degli artt. 186bis, ter e quater
alle controversie di cui all’art. 409 c.p.c. è costituito dalla presenza della norma dell’art. 423
c.p.c. (su cui vedi, infra, § 5), che si presenta come norma speciale rispetto a quelle in
commento; tuttavia tale rapporto di specialità sussiste soltanto con l’ordinanza per il
pagamento di somme non contestate (1° comma art. 423 c.p.c.) e con l’ordinanza post
istruttoria (2° comma), ma non con l’ordinanza-ingiunzione ex art. 186ter c.p.c. che non trova
alcun omologo nella disciplina lavoristica e, quindi, dovrebbe essere tranquillamente
applicabile. A ben vedere anche l’ordinanza ex art. 186quater c.p.c. ha caratteristiche e
presupposti differenti rispetto ai provvedimenti di cui al secondo comma dell’art. 423 c.p.c.
sicché potrebbe ritenersi ammissibile, salva la verifica della sua compatibilità con un rito che
prevede una decisione contestuale in udienza (art. 429 c.p.c.).
Rito locatizio. Per tali controversie valgono sostanzialmente le considerazioni già svolte
per quelle soggette al rito del lavoro, salva la notazione per cui l’art. 447bis c.p.c.,
nell’elencare le norme lavoristiche applicabili a tali procedimenti, include solo il primo e
terzo comma dell’art. 423 c.p.c., escludendo le ordinanze di cui al secondo comma e fugando
così ogni dubbio circa l’applicabilità (per lo meno astrattamente) delle ordinanze ex artt.
186ter e 186quater c.p.c. (salva sempre la verifica di compatibilità) 96 .
95
Corte Appello Venezia 27.01.1997, in
Responsabilità Civile e Previdenza, 1997, 481.
96
Contra Pretura Terni, 9.03.1998, in Rass.
Giur. Umbra 1999, 781.
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
Rito societario. Nel rito societario la generica applicabilità delle ordinanze anticipatorie
de quibus può fondarsi sul disposto dell’art. 1 comma 4°, D.L.vo n. 5 del 17.01.2003, secondo
cui «per quanto non diversamente disciplinato dal presente decreto, si applicano le
disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili»; esclusa la presenza di
norme speciali che prevedano istituti analoghi alle ordinanze anticipatorie in commento, resta
da analizzare la compatibilità delle stesse con le peculiarità del rito societario, soprattutto in
relazione alla sua struttura ed alla sua (tendenziale) maggiore concentrazione.
Il problema pratico principale deriva dal fatto che, nella fase di scambio delle memorie
difensive, non c’è un giudice titolare del fascicolo a cui possano essere richiesti tali
provvedimenti, poiché il relatore viene nominato dal Presidente solo a seguito del deposito di
istanza di fissazione d’udienza ex art. 8 D.L.vo 5/03; né il problema appare superabile con la
richiesta al Presidente di designare un relatore al solo fine di provvedere su eventuali istanze
anticipatorie, poiché il rito prevede la trattazione collegiale in ogni fase, anche istruttoria
(salva la facoltà di delega dell’assunzione delle prove al giudice relatore, art. 16, comma 4°),
per cui, a stretto rigore, giudice istruttore è lo stesso collegio.
Ulteriore problematica sorge in rapporto all’individuazione del dies ad quem per la
proposizione delle istanze ex artt. 186bis e 186ter c.p.c. (mentre per il dies a quo si deve
attendere quanto meno il termine per la costituzione della controparte, ex art. 5 D.L.vo 5/03),
poiché nel rito societario non è prevista un’udienza di precisazione delle conclusioni ed il
potere delle parti di precisare le proprie domande si esaurisce con il deposito dell’istanza di
fissazione di udienza (art. 10 D.L.vo 5/03); si ritiene, tuttavia, che i due termini non debbano
essere sovrapposti 97 , e che per individuare quale sia nel processo societario l’omologo del
termine di precisazione delle conclusioni, occorre avere riguardo alla funzione dell’atto ed
alla ratio della limitazione normativa. Sotto il primo profilo, per precisazione delle
conclusioni nel rito ordinario, si intende il momento in cui le parti (a preclusioni deduttive ed
istruttorie già maturate) formulano le loro richieste finali prima della decisione della causa,
sicché nel rito societario, tale momento deve essere identificato con la discussione orale della
causa, laddove, ai sensi del comma 3° dell’art. 16 D.L.vo 5/03 «i difensori delle parti
illustrano le loro conclusioni»; la decadenza di cui all’art. 10 D.L.vo 5/03 mi sembra piuttosto
coincidere con il termine (rectius: i termini) preclusivo per le deduzioni di merito ed
istruttorie (vecchi artt. 1835 e 184 e nuovo art. 1836 c.p.c.): in conclusione, il dies ad quem per
97
Come, a mio avviso erroneamente, fa Trib.
Udine 17.12.2004, in Giur. Merito 2005, 5, 1146.
Pagina 53 di 69
Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
avanzare le istanze in questione deve individuarsi nell’udienza collegiale di discussione
(salva, però, l’incompatibilità con la decisione immediata prevista dalla norma, su cui v.
infra).
Quanto all’istanza ex art. 186quater c.p.c., si dovrebbe ritenere ammissibile in sede di
ultima udienza istruttoria, anche se davanti al relatore delegato dal collegio, al quale ultimo
andrà però rimessa la decisione, o anche all’udienza di discussione; ma in tal caso l’ordinanza
appare incompatibile con la struttura della fase decisoria, che prevede la discussione orale
(senza scambio di scritti conclusionali) e la pronuncia di sentenza contestuale ex art.
281sexies c.p.c. o, al più, nel termine di trenta giorni dalla discussione (art. 16, comma 5°).
Opposizione a decreto ingiuntivo. Pur trattandosi di un procedimento di cognizione
ordinaria in tutto e per tutto, per il quale quindi non dovrebbe porsi il problema qui preso in
considerazione, è tuttavia nota la diatriba giurisprudenziale (che, peraltro, sembra di recente
essersi ormai sopita a favore della tesi affermativa), in ordine alla ammissibilità o meno delle
ordinanze anticipatorie con il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.
La tesi contraria a tale ammissibilità si fonda essenzialmente sull’argomentazione del
rischio di duplicazione di titoli esecutivi sul medesimo credito, tenuto conto che in caso di
estinzione del giudizio, ai sensi dell’art. 653 c.p.c., il decreto ingiuntivo che non ne fosse già
fornito, acquisisce comunque efficacia esecutiva, così come avviene per le tre ordinanze
anticipatorie, che conservano la loro efficacia esecutiva anche in caso di estinzione del
giudizio (anche se in alcuni casi è stata espressa anche l’ulteriore motivazione per cui il
decreto ingiuntivo può essere revocato o modificato solo con la sentenza che chiude il
giudizio di opposizione e su di esso non potrebbe incidere un provvedimento di carattere
ordinatorio) 98 .
La tesi che, invece, afferma la piena ammissibilità delle ordinanze anticipatorie anche nel
giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, si fonda essenzialmente sulla già esposta
98
Con riferimento all’ordinanza 186bis, v.
Trib. Biella, 14.02.2000, in Giur. It. 2000, 1194; Trib. Cagliari, 13.02.1996, in Riv. Giur. Sarda 1997, 375; Trib.
Roma, 20.07.1995, in Gius 1995, 3374; Trib. Milano, 16.05.1995, in Foro It. 1995, I, 2588; sull’ordinanza
186ter, v. Trib. Firenze, 17.07.1998, in Giur. It. 1999, 2307; Trib. Bologna, 19.06.1998, ibidem; Trib. Perugia,
8.04.1998, in Foro It. 1999, I, 2554; Trib. Padova, 3.10.1996, in Giur. Merito 1997, 695; Trib. La Spezia,
17.05.1996, in Dir. Economia Ass. 1996, 1023; Trib. Como, 17.04.1996, in Giur. It. 1996, I, 2, 814; Trib.
Mondovì, 25.08.1994, in Foro It. 1995, I, 331; sull’ordinanza 186quater, Trib. Frosinone, 18.04.2002, in Giur.
Romana 2002, 247; Trib. Biella, 14.02.2000, cit.; Trib. Bari, 21.12.1998, in Foro It. 2000, I, 962; Trib. Trani,
2.08.1996, in Giur. It. 1997, I, 2, 374; Trib. Monza, 14.12.1995, in Foro It. 1996, I, 3543.
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
considerazione per cui tale giudizio segue tutte le regole di un ordinario processo di
cognizione, sostenendo che il problema (peraltro eventuale) paventato dalla interpretazione
contraria, ovvero la duplicazione dei titoli esecutivi sullo stesso credito, sarebbe facilmente
risolvibile in sede di opposizione all’esecuzione 99 .
La seconda soluzione (ormai concordemente seguita dalla sezione civile del Tribunale di
Piacenza), sembra decisamente preferibile, in quanto tecnicamente più convincente, in primo
luogo per la già ricordata portata generale delle ordinanze in commento e per la natura
ordinaria del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo; in secondo luogo, perché non
sembra corretto che da una problematica, peraltro meramente eventuale, di sovrapposizione di
titoli esecutivi possa derivare una inammissibilità dell’istanza (che dovrebbe attenere, più
propriamente, ad un suo vizio originario); ed ancora, perché la soluzione negativa
comporterebbe una ingiustificata disparità di trattamento, tra il creditore che agisce
direttamente in via ordinaria e quello che agisce in via monitoria, il quale ultimo non potrebbe
ottenere quelle tutele anticipatorie invece accessibili all’altro.
Processo amministrativo. Dopo l’emanazione della legge n. 205 del 21.07.2000, risultano
applicabili ai procedimenti davanti al TAR ed al Consiglio di Stato le ordinanze ex artt.
186bis e ter c.p.c. (non anche quella post istruttoria di cui all’art. 186quater) come
espressamente stabilito dall’art. 8 della citata legge.
5. Le ordinanze anticipatorie nel rito del lavoro.
Art. 423.
(Ordinanze per il pagamento di somme)
99
Con riferimento all’ordinanza 186bis, v.
Trib. Roma, 20.12.1995, in Giur. Mer. 1997, 761; sull’ordinanza 186ter, v. Trib. Ivrea, 5.11.2004, in D&G 2004,
44, 83 e Giur. Mer. 2005, 3, 572; Trib. Verona, 18.08.2003, in Giur. Mer. 2004, 1118; Trib. Torre Annunziata,
19.07.2002, in Giur. Mer. 2004, 37; Trib. Terni, 21.07.1999, in Giur. Mer. 2000, 833; Trib. Monza, 25.05.1999,
in Foro It. 2000, I, 580; Pretura Salerno, 21.04.1998, in Giur. It. 1999, 2307, Trib. Firenze, 12.03.1998, Trib.
Verona, 22.01.1998 e Trib. Roma, 16.11.1996, ibidem; Trib. Taranto, 19.10.1994, in Foro It. 1995, I, 2588;
sull’ordinanza 186quater, Pretura Terni, 13.12.2000, in Rass. Giur. Umbra 2002, 545; Trib. Bassano Grappa,
2.09.1998, in Giur. It. 1999, 287; Trib. Reggio Emilia, 11.07.1997, in Foro It. 1997, I, 3399; Trib. Matera,
3.07.1996, in Giur. It. 1997, I, 2, 374; Trib. Nocera Inferiore, 26.06.1996, in Giur. It. 1997, I, 2, 13 e Pretura
Bologna 1.04.1996, ibidem; Pretura Bologna, 30.11.1995, in Giur. It. 1996, I, 2, 412 e Trib. Catania 9.10.1995,
ibidem. V. anche C.Cost. ord. n. 350 del 19.11.2004, in un obiter dictum in motivazione.
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
«Il giudice, su istanza di parte, in ogni stato del giudizio, dispone con ordinanza il
pagamento delle somme non contestate.
Egualmente, in ogni stato del giudizio, il giudice può, su istanza del lavoratore, disporre
con ordinanza il pagamento di una somma a titolo provvisorio quando ritenga il diritto
accertato e nei limiti della quantità per cui ritiene già raggiunta la prova.
Le ordinanze di cui ai commi precedenti costituiscono titolo esecutivo.
L’ordinanza di cui al secondo comma è revocabile con la sentenza che decide la causa.»
Natura e funzione. Un accenno assai rapido meritano le ordinanze previste per il rito del
lavoro, sia perché le loro caratteristiche sono simili a quelle delle ordinanze già esaminate (in
particolare, 186bis e 186quater c.p.c.), sia perché trattasi di istituti che, a quanto risulta,
hanno avuto una scarsa applicazione nella prassi.
Non è in discussione la loro natura e funzione anticipatoria, unita, in questa sede, anche
ad esigenze di tutela ed immediata soddisfazione di crediti particolarmente “sensibili”, quale
quello alla retribuzione, tanto che l’ordinanza prevista dal 2° comma dell’articolo in
commento può essere emessa a favore del solo lavoratore 100 .
Tanto meno appare in discussione la loro natura meramente anticipatoria e non cautelare,
dal momento che nessuno dei due provvedimenti in esame presuppone un qualche periculum
in mora per la loro emanazione 101 ; ne deriva l’inammissibilità di reclamo avverso le stesse.
L’ordinanza di cui al 1° comma. Il primo comma prevede un’ordinanza di pagamento di
somme non contestate e, come già detto, ha costituito il modello di riferimento per l’art.
186bis c.p.c., dal quale si differenzia solo per alcuni particolari e per una disciplina
decisamente più scarna e lacunosa.
Quanto al requisito della non contestazione valgono tutte le considerazioni svolte in
precedenza, con la sola avvertenza che, nel rito del lavoro l’onere della contestazione
specifica dei fatti addotti dall’attore è inteso in senso più rigoroso che nel giudizio ordinario, e
tale maggior rigore è giustificato dalla presenza di una norma (l’art. 416 c.p.c.) che vieta
100
Senza che ciò comporti violazione del
principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., così secondo C. Cost. 26.05.1981, n. 76.
101
Cass. sez. Lav., 2.09.1997, n. 8373 e Trib.
Napoli 22.02.1995, in Gius 1995, 1863, entrambe a proposito dell’ordinanza di cui al 2° comma; di “natura
cautelare in senso lato”, ma sostanzialmente escludendola, parla Cass. S.U. n. 2321 del 12.04.1980, in Giust.
Civ. 1980, I, 1884, Foro It. 1980, I,1919 e Giur. It. 1980, I,1,1148.
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
espressamente al convenuto di opporre «una generica contestazione» alle domande
dell’attore 102 .
Nulla precisa la norma in commento per l’ipotesi di contumacia del convenuto; tuttavia,
in base a quanto detto sulla natura della non contestazione come condotta necessariamente
processuale, dovrebbe tendenzialmente escludersi la possibilità di pronunciare l’ordinanza in
questione nei confronti del contumace; questa possibilità è stata, peraltro, affermata da una
parte della giurisprudenza, anche se in modo equivoco. Ci riferiamo, in particolare, ad una
sentenza della Cassazione, secondo la quale la contumacia del convenuto non impedirebbe
l’adozione del provvedimento ex art. 423, 1° comma, c.p.c., ma precisando che la non
contestazione non può essere desunta automaticamente dalla sola contumacia del convenuto,
ma deve risultare «da documenti prodotti dall’attore, da testimonianza etc., una situazione
legittimante l’ordinanza in questione» 103 ; a ben vedere tale statuizione, di fatto, nega che
possa parlarsi di non contestazione nel caso di contumacia, esigendo una prova desunta
aliunde del credito fatto valere.
Altra differenza rispetto al 186bis è costituita dalla apparente assenza di discrezionalità
del giudice, il quale, a fronte della mancata contestazione (e dell’istanza di parte), “dispone” il
pagamento delle somme. Tale dato normativo è stato utilizzato, a conferma delle proprie tesi,
dai fautori della teoria della natura negoziale di tale ordinanza; tale natura, però, sembra
doversi escludere, sia perché l’ordinanza appare comunque revocabile – per lo meno con la
sentenza che definisce il merito – in deroga al disposto dell’art. 177, 3° comma c.p.c., sia
perché, comunque, il suo fondamento può ben ravvisarsi (come per l’ordinanza 186bis)
nell’onere di allegazione e di prova dei fatti, al cui mancato assolvimento consegue la loro
ritenuta pacificità 104 .
Ulteriore differenza, rispetto all’art. 186bis c.p.c., è l’inciso “in ogni stato del giudizio”,
che dovrebbe quindi consentirne l’emissione anche nelle fasi di quiescenza (interruzione e
sospensione).
102
Per tutte, v. Cass. sez. Lav., 24 novembre
1998, n. 11919.
103
Cass. sez. Lav., 4.10.1984, n. 4941; in
motivazione la già cit. S.U. 2321/80 afferma che il contraddittorio non è necessario presupposto dell’ordinanza
de qua, ma la statuizione è assolutamente apodittica ed incidentale.
104
La natura negoziale è stata, del resto,
espressamente esclusa, in motivazione, dalla S.U. 2321/80 cit.
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
L’ordinanza è dichiarata titolo immediatamente esecutivo e null’altro è detto dalla norma
sulle modalità per proporre istanza, sui termini e sul regime di stabilità; in dottrina sembra
assolutamente prevalente la proposta di integrare la disciplina dell’ordinanza in questione con
le norme dettate per l’art. 186bis c.p.c., sicché, ad esempio, nel silenzio della norma (il cui 4°
comma si occupa della sola revocabilità dell’ordinanza di cui al 2° comma), si dovrebbe
ritenere l’ordinanza liberamente revocabile e modificabile dal giudice ai sensi dell’art. 177
c.p.c. (a meno che non si voglia accedere alla teoria del fondamento negoziale della non
contestazione e dell’ordinanza, con conseguente applicazione del 3° comma dell’art. 177
c.p.c. ed irrevocabilità del provvedimento).
Nel silenzio della norma anche sul punto, non sembra possa ritenersi che l’ordinanza in
questione mantenga la propria efficacia e stabilità anche a seguito di estinzione del giudizio, a
meno di non volerla integrare, anche sul punto, con la disciplina del 186bis c.p.c..
L’ordinanza è, in ogni caso, priva di decisorietà, definitività o attitudine al giudicato e,
come tale, non è appellabile o altrimenti impugnabile 105 .
L’ordinanza di cui al 2° comma. Quanto all’ordinanza di cui al 2° comma dell’art. 423
c.p.c. la stessa è stata più volte assimilata all’ordinanza post istruttoria di cui all’art.
186quater c.p.c., ma se ne differenzia per almeno due elementi fondamentali: in primo luogo,
perché è pronunciabile soltanto a favore del lavoratore (e su istanza di quest’ultimo) ed in
secondo luogo, perché non richiede affatto l’esaurimento dell’istruttoria (che, peraltro, nel
modello del rito del lavoro comporterebbe la decisione immediata del giudizio), potendo
essere emessa “in ogni stato del giudizio”, “quando” e “nei limiti” in cui il giudice ritenga
accertato il diritto e raggiunta la prova. Si tratta, chiaramente, di un provvedimento
anticipatorio a carattere sommario, anche se, la terminologia utilizzata dal legislatore (diritto
accertato e prova raggiunta), fanno propendere per una sommarietà, non già derivante da una
prognosi di probabilità o verosimiglianza del credito (fumus boni iuris, come nei cautelari),
ma, piuttosto, dalla parzialità dell’istruttoria, essendo una decisione “allo stato degli atti”.
Il 4° comma prevede espressamente che l’ordinanza de qua sia revocabile solo con la
sentenza che decide il merito, con conseguente immodificabilità nel corso del giudizio;
concorde la giurisprudenza nell’escluderne l’impugnabilità, anche con ricorso straordinario
105
Cass. S.U. 26.09.1997, n. 9479.
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
per Cassazione ex art. 111 Cost. sul presupposto della sua natura non decisoria e definitiva106
(tanto che lo stesso 2° comma dell’art. 423 c.p.c. la definisce esplicitamente provvisoria).
6. La provvisionale nei giudizi di risarcimento danni da sinistro stradale.
a) La provvisionale per “stato di bisogno” di cui all’art. 147 Codice Assicurazioni
(già art. 24 L. 990/69).
Art. 147.
Stato di bisogno del danneggiato
«1. Nel corso del giudizio di primo grado, gli aventi diritto al risarcimento che, a causa
del sinistro, vengano a trovarsi in stato di bisogno, possono chiedere che sia loro assegnata
una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva del danno.
2. Il giudice civile o penale, sentite le parti, qualora da un sommario accertamento
risultino gravi elementi di responsabilità a carico del conducente, con ordinanza
immediatamente esecutiva provvede all’assegnazione della somma ai sensi del comma 1, nei
limiti dei quattro quinti della presumibile entità del risarcimento che sarà liquidato con la
sentenza. Se la causa civile è sospesa ai sensi dell'articolo 75, comma 3, del codice di
procedura penale, l’istanza è proposta al presidente del tribunale dinanzi al quale è pendente
la causa.
3. L’istanza può essere riproposta nel corso del giudizio.
4. L’ordinanza è irrevocabile fino alla decisione del merito.»
Natura e funzione. Preliminarmente si deve precisare che, nonostante nella prassi comune
tale ordinanza venga indicata come “provvisionale”, in realtà nulla ha a che vedere con gli
istituti di cui agli artt. 278 c.p.c. e 539 c.p.p. (già 489 c.p.p. 1930), in quanto tali figure
giuridiche, a differenza di quanto disposto dall’art. 24 (ora 147), presuppongono un
accertamento definitivo, quantomeno sull’an debeatur, vengono adottate con forma di
sentenza e prescindono dall’accertamento in merito alle condizioni economiche del
beneficiario.
L’istituto qui in esame invece, si inserisce – pur con qualche caratteristica e peculiarità
sue proprie – nell’ambito dei provvedimenti di natura anticipatoria a carattere sommario.
106
Cass. sez. lav., 13.02.1989, n. 880 e
27.11.1983, n. 6368; S.U. 22.12.1987, n. 9567 e 9479/97 cit..
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
È infatti evidente la finalità di assicurare al (presumibile) avente diritto al risarcimento di
un danno da sinistro stradale (o nautico), una somma di denaro, atta ad impedire che questi
subisca gli effetti deleteri della eccessiva durata del processo.
La norma in esame, tuttavia, a differenza degli altri provvedimenti anticipatori sin qui
trattati, inserisce quale ulteriore presupposto per la sua emanazione, l’elemento dello stato di
bisogno del danneggiato, che sembra atteggiarsi come un vero e proprio requisito d’urgenza,
alla stregua del periculum in mora di un provvedimento cautelare e che ha fatto, perciò,
dubitare, sia la dottrina che la giurisprudenza, in ordine alla reale natura di tale ordinanza.
I sostenitori della natura cautelare si basano, essenzialmente, proprio sulla presenza del
requisito dello stato di bisogno, che, pur non dovendo raggiungere gli estremi della
irreparabilità di cui all’art. 700 c.p.c., è assimilabile al periculum in mora; inoltre, si è
osservato che l’ordinanza de qua, presenta anche gli altri caratteri propri dei provvedimenti
cautelari, ovvero la necessità di un fumus boni iuris di sussistenza del credito e la
strumentalità rispetto al diritto oggetto dell’azione di merito 107 .
Appare invece preferibile la tesi contraria alla natura cautelare del provvedimento in
questione, fondata su una serie di argomentazioni di natura sostanziale e processuale: sotto il
primo profilo, infatti, si nota che il requisito della strumentalità alla tutela del medesimo
diritto fatto valere nel merito è proprio anche dei rimedi anticipatori; quanto al fumus boni
iuris, a differenza di quanto avviene nei cautelari, il giudice è chiamato ad operare non già
una valutazione di probabile fondatezza, bensì di vero e proprio accertamento (sia pur
sommario, in quanto allo stato degli atti), al ricorrere «di gravi elementi di responsabilità» (si
è parlato di fumus c.d. qualificato); dall’altro lato, il presupposto dello stato di bisogno, oltre a
non avere i caratteri dell’irreparabilità tipici del periculum in mora cautelare, non risponde
all’esigenza di evitare alla parte il rischio di perdere o di compromettere irrimediabilmente il
proprio diritto nelle more del procedimento (rischio che, anzi, deve tendenzialmente
escludersi, avendo tra gli obbligati in solido un’assicurazione), bensì si atteggia piuttosto
come requisito personale e speciale atto a giustificare una soddisfazione anticipata del credito;
in sostanza, si ha, da un lato una forte accentuazione del profilo del fumus boni iuris e,
dall’altro, una attenuazione del periculum in mora.
107
In tal senso, PROTO PISANI in Foro It. 1991,
V, 57 e MAMMONE I provvedimenti d’urgenza (a cura di Dini), Milano 1991; in giurisprudenza Trib. Foggia 15
giugno 2001, in Giur. Merito 2003, 921; Trib. Milano 30 aprile 1997, in Giur. It. 1997, I, 2, 630; Trib. Roma 8
febbraio 1995, in Riv. giur. circol. trasp. 1995, 1037 e Pretura Roma 10 aprile 1992, in Cass. Pen. 1993, 199.
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
Infine, dal punto di vista strutturale e procedurale, vi sono una serie di elementi che
contrastano nettamente con la disciplina (e la stessa ratio) dei provvedimenti cautelari: invero,
l’ordinanza in esame può essere emessa – per esplicita previsione normativa – soltanto in
corso di causa e non ante causam, e nemmeno inaudita altera parte; l’istanza può essere
riproposta ad libitum nel corso del giudizio (contrariamente a quanto previsto dall’art.
669septies, comma 1°, c.p.c., che limita la riproposizione dell’istanza cautelare rigettata,
conferendole una sia pur minima stabilità) ed inoltre il provvedimento può essere revocato
unicamente con la decisione di merito (così escludendosi implicitamente pure la revocabilità o
modificabilità ai sensi dell’art. 669decies c.p.c.) 108 ; la tesi, dalla quale consegue la non
reclamabilità dell’ordinanza ex art. 669terdecies c.p.c., sembra essersi affermata nella più
recente giurisprudenza di merito.
Ambito di applicazione. La norma è ovviamente applicabile alle sole cause in materia di
danni da circolazione dei veicoli e natanti.
Non sembra ci possano essere problemi di incompatibilità con l’assoggettamento di tali
controversie al rito del lavoro, ai sensi della L. 102/2006, dal momento che l’istituto in
questione ha un carattere di specialità, anche rispetto alle ordinanze di cui all’art. 423 c.p.c.
(delle quali, peraltro, dovrebbe ritenersi applicabile solo quella per il pagamento di somme
non contestate, dato che quella del 2° comma è riferita espressamente ai soli crediti del
lavoratore) e, comunque, può tranquillamente convivere con le altre ordinanze anticipatorie,
stante la diversità di presupposti.
La norma è ritenuta applicabile anche nei procedimenti davanti al Giudice di Pace
(applicazione che risulterebbe problematica, se non esclusa, in caso si qualificasse come
ordinanza cautelare), tanto più nella nuova formulazione contenuta nell’art. 147 Cod. Ass. che
ha eliminato il riferimento al “giudice istruttore”, parlando più genericamente di “giudice
civile”.
108
Per la tesi della natura non cautelare, in
dottrina v. GIANNINI-POGLIANI, L’assicurazione obbligatoria dei veicoli e natanti, Milano 1994; CIMINOCOCOCCIA, La tutela dell’assicurato nel nuovo codice delle assicurazioni private, Torino 2006; COLOMBINI
Anticipazione giudiziale ex art. 24 legge n. 990, provvisionale, provvisoria esecuzione di sentenza, in Arch. Giur
Circol., 1995, 378; in giurisprudenza Trib. Modena sez. I, 1.02.2006, in Giurisprudenza locale - Modena 2006;
Trib. Milano 17.04.2003, in Giur. Milanese 2003, 409; Trib. Venezia 28.03.2002, in Gius 2002, 1644; Trib.
Napoli 12.03.2001, in Riv. Giur. Circol. Trasp. 2002, 387; Trib. Latina 21.12.1996, in Giur. It. 1997, I, 2, 630 e
15.10.1996 in Riv. Giur. Circol. Trasp. 1998, 505; Trib. Bologna 7.10.1994, in Arch. Giur. Circol. 1995, 546, ed
in Foro It. 1995, I, 348.
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
Come stabilito espressamente dalla legge, l’ordinanza può essere emessa anche dal
giudice penale (la nuova formulazione, come detto, ha eliminato il riferimento all’istruttore,
non più esistente), ovviamente nel caso in cui il danneggiato si sia costituito parte civile.
Mentre nel vigore del codice di procedura del 1930, l’ordinanza poteva essere emessa dal
giudice istruttore, con la procedura introdotta dalla riforma del 1988, è stato escluso che la
provvisionale possa essere concessa dal G.I.P., in quanto non rientrante nella sua competenza
funzionale 109 ; la soluzione ha ricevuto anche l’avallo della Corte Costituzionale, che ha
rigettato la questione di legittimità della norma, nella parte in cui, appunto, non prevedeva la
possibilità di assegnazione della somma nella fase delle indagini preliminari, sull’assunto che
il danneggiato avrebbe comunque a disposizione la tutela in sede civile, non risultando perciò
violato il principio di tutela giurisdizionale dei diritti (sent. 2 maggio 1991 n. 192).
Qualche dubbio si è posto, invece, in relazione alla competenza del G.U.P.,
propendendosi, da una parte, per la soluzione negativa, dal momento che la norma, facendo
riferimento al “giudizio” di primo grado, sarebbe applicabile alla sola fase dibattimentale, con
esclusione di quella precedente, e, dall’altra, per la tesi affermativa, fondata sull’assenza di
limitazioni normative e sulla sussistenza di poteri decisori in capo al g.u.p. 110 . Questa seconda
interpretazione appare preferibile, soprattutto alla luce della possibilità del g.u.p. di decidere
la causa in via definitiva con il rito abbreviato e con efficacia anche sulla domanda
risarcitoria, ove il rito sia accettato dalla parte civile (artt. 441 e 651 c.p.p.).
Corretta appare, invece, l’esclusione della possibilità di emettere la provvisionale in caso
di applicazione di pena su richiesta delle parti (c.d. patteggiamento), stante la conseguente
improcedibilità dell’azione civile ed il divieto del giudice di pronunciare su di essa ex art.
444, 2° comma, c.p.p. 111 .
109
Trib. Roma 25.07.1990 Arch. Giur. Circol.
1991, 676; Pretura Catania 23.05.1991 in Cass. Pen. 1993, 194; Trib. Roma 25.07.1991 Arch. Nuova Proc. Pen.
1992, 90; Cass. sez. IV pen., 7.07.1995 n. 2661.
110
Nel primo senso Uff. Indagini Prel. Milano
23.02.2007, in Foro Ambrosiano 2007, 1, 74; contra Id. 19.02.2007, ibidem, 70 e Uff. Indagini Prel. Bari
8.04.2003 Giur. Merito 2004, 105.
111
Uff. Indagini Prel. Bari 28.11.2006, in
Giurisprudenzabarese.it 2007; Cass. sez. IV pen. 19.10.1993; contra Pretura Roma 10.04.1992 in Cass. Pen.
1993, 199, nota Saraceni.
Pagina 62 di 69
Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
A fronte della esplicita formulazione normativa in tal senso, l’ordinanza può essere
concessa solo nel giudizio di primo grado e non anche in appello, né, come già accennato, può
essere richiesta con ricorso ante causam (l’articolo dice, infatti: «nel corso del giudizio»).
Presupposti. Due sono i presupposti per l’emanazione della ordinanza in commento: lo
stato di bisogno ed i gravi elementi di responsabilità a carico del conducente.
Quanto al primo, la giurisprudenza ormai consolidata esclude che lo stesso debba
interpretarsi in senso rigoroso, ovvero come vero e proprio stato di povertà o indigenza,
potendo bensì consistere in una situazione obbiettiva di impossibilità o difficoltà economica e
finanziaria da parte del danneggiato nel far fronte alle primarie esigenze dell’individuo, quali
alimentazione, abitazione, abbigliamento, istruzione e relazioni sociali, e precisandosi,
chiaramente, che la situazione deve essere valutata caso per caso (sicché anche la eventuale
percezione di rendite o indennità a seguito del sinistro, non possono costituire di per sé,
motivo di rigetto dell’istanza) 112 .
La suddetta situazione di difficoltà deve essere conseguenza del sinistro, non potendosi
perciò addurre a fondamento della richiesta provvisionale una condizione preesistente
all’evento lesivo; si ritiene, peraltro, che l’ordinanza possa essere emessa anche nel caso in
cui il sinistro abbia anche soltanto aggravato la già difficoltosa condizione precedente,
ponendosi così come mera concausa dello stato di bisogno.
Rientrano in tale nozione, quindi, sia la situazione di impossibilità a sostenere le spese
mediche necessarie per la cura delle conseguenze lesive del sinistro, sia anche le conseguenze
derivanti dai danni meramente materiali (come la necessità di contrarre un finanziamento per
l’acquisto di un nuovo veicolo, essendo il precedente andato distrutto nel sinistro) 113 .
Tale situazione dovrà poi essere valutata non in senso statico, come esistente al momento
del danno (o della richiesta di provvisionale), ma in una prospettiva dinamica, in
considerazione della prevedibile evoluzione delle esigenze e delle capacità di guadagno del
112
Trib. Palermo 12.04.2002, in Gius 2003,
867; Trib. Belluno 7.05.1990, in Arch. Giur. Circol. 1990, 962. e in Resp. civ. e prev. 1990, 1067; Corte App.
Milano 6.04.1982, in Assicurazioni 1983, III, 25 e in Arch. Giur. Circol. 1982, 503; Trib. Ariano Irpino
16.03.1982, in Giur. Mer. 1983, 5 e in Assicurazioni 1983, II, 102; Trib. Venezia 14.02.1980, in Giur. Merito
1982, 399.
113
Pretura Castellammare G. 7.03.1988, in
Giur. Merito 1989, 687; Pretura Foligno 16.11.1984, in Assicurazioni 1985, 103 e Arch. Giur. Circol. 1985, 213.
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
soggetto danneggiato (tenendo quindi conto anche della età di quest’ultimo e del prevedibile
aumento delle esigenze di vita al crescere della persona) 114 .
Quanto ai «gravi elementi di responsabilità a carico del conducente», si è già detto come
tale espressione faccia pensare a qualcosa di più di un semplice fumus boni iuris, inteso come
probabile o verosimile fondatezza del credito azionato, dovendosi invece intendere come una
raggiunta prova, allo stato degli atti, della responsabilità del sinistro, fondata su concreti
elementi istruttori.
Chiaramente, il riferimento al danno che verrà liquidato con la sentenza, impone che
venga considerato dal giudice l’eventuale concorso di responsabilità del danneggiato, con la
conseguente riduzione proporzionale del risarcimento.
Non si vedono, però, ragioni per negare il ricorso alla presunzione di responsabilità di cui
all’art. 2054, 2° comma, c.c., sicché, in caso di pacificità o raggiunta prova in ordine alla
sussistenza del sinistro come fatto storico ed alla esistenza di un danno dal medesimo
derivato, l’istante potrà avere diritto – ove ricorrano gli altri presupposti – alla liquidazione
della metà del danno (rectius: dei 4/5 della metà). La tesi contraria non appare sostenibile,
poiché, trattandosi di una presunzione ex lege, che può ben operare in sede di sentenza
definitiva, non si spiegherebbe la sua inutilizzabilità tanto più in sede di delibazione
sommaria.
Nonostante l’espressione legislativa, che sembra limitare l’accertamento al solo elemento
soggettivo della fattispecie lesiva, si ritiene che il giudice debba valutare anche la sussistenza
del danno e del nesso di causalità tra questo e il sinistro.
Altro problema di interpretazione, riguardava l’individuazione dei legittimati passivi
dell’ordinanza in oggetto, poiché si riteneva, da parte di alcuni, che la condanna potesse
essere emessa solo nei confronti dell’assicuratore, trattandosi di norma inserita nel corpus
disciplinante l’assicurazione obbligatoria sulla circolazione dei veicoli e natanti; la
giurisprudenza di legittimità si è espressa in senso contrario, sostenendo che la norma ha
carattere autonomo e generale e consente pertanto la pronuncia anche nei confronti del
danneggiante 115 ; tale soluzione appare oggi rafforzata dalla formulazione dell’art. 5 L. 102/06
114
Così Trib. Palermo 12.04.2002 cit. e
Pretura Castellammare G. 7.03.1988, cit..
115
Cass. sez. IV pen., n. 1332 del 4/12/1981
(dep. 12/02/1982) in Resp. Civ. e Prev., 1983, 2, 230.
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
(su cui v. infra), che indica come possibili destinatari della provvisionale «una o più delle
parti civilmente responsabili».
Procedimento. La norma è abbastanza scarna quanto ad indicazioni procedurali, essendo
pertanto demandata al giudice la concreta modulazione del subprocedimento relativo
all’istanza provvisionale.
Gli elementi minimi imposti dalla legge sono due: in primo luogo l’istanza di parte
(comune, del resto, a tutte le ordinanze anticipatorie sin qui esaminate), che esclude una
pronuncia d’ufficio e che, in assenza di specificazioni, deve ritenersi a forma libera
(proponibile anche a verbale d’udienza, o all’interno di un atto processuale tipico o con
ricorso separato) e presentabile anche dal difensore non munito di procura speciale
(trattandosi di mera attività difensiva di carattere processuale, nell’ambito di una domanda già
svolta, senza alcuna modifica della stessa); in secondo luogo, la norma richiede l’audizione
delle parti, che – oltre ad escludere la possibilità di emissione del provvedimento inaudita
altera parte – impone di garantire un contraddittorio minimale; si deve pertanto ritenere, in
analogia con quanto già osservato a proposito delle ordinanze ex artt. 186bis e ss. c.p.c., che
in caso di istanza presentata fuori udienza, il giudice debba disporne la notifica alla
controparte e fissare udienza (ad hoc o coincidente con altra udienza istruttoria già fissata,
compatibilmente con la tempistica del provvedimento).
L’art. 147 Cod. Ass. (così come l’art. 24 L. 990/69) fa poi un cenno ad «un sommario
accertamento» che il giudice può compiere per verificare «i gravi elementi di responsabilità a
carico del conducente», senza tuttavia precisare modalità, limiti ed effetti di tale
accertamento. La disposizione potrebbe, perciò, far pensare ad un accertamento incidentale di
natura sommaria, analogo a quello previsto dall’art. 669sexies c.p.c. per i procedimenti
cautelari, quindi senza formalità e con la problematica dell’utilizzabilità degli esiti di tale “sub
istruttoria” nel prosieguo del giudizio di merito; a mio avviso, però, occorre tener conto che
l’istanza in questione si inserisce necessariamente in un giudizio di cognizione ordinaria già
incardinato e che, per ragioni di economia processuale, sarebbe opportuno acquisire elementi
istruttori con tutti i crismi e le regole procedurali, in modo da consentirne il successivo
utilizzo nel merito.
Chiaramente le esigenze di speditezza che stanno alla base dell’istituto, possono
giustificare un’anticipazione dell’assunzione delle prove rispetto alle scansioni processuali
tipiche e, quindi, ad esempio, consentire un CTU disposta già in sede di prima udienza;
assumeranno, poi, fondamentale importanza (ove presenti) le prove di natura documentale (i
rilievi ed il verbale degli agenti di P.G. o P.S. intervenuti sul posto; consulenze mediche di
Pagina 65 di 69
Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
parte etc.). Detti problemi, peraltro, tenderanno ad essere attenuati in forza dell’applicazione
del rito del lavoro, improntato ad un minor formalismo e ad una maggiore concentrazione.
La generica formulazione normativa («nel corso del giudizio») e l’assenza di precisazioni
sul punto, portano a concludere che la proponibilità dell’istanza in questione non trovi limiti
temporali all’interno del procedimento, per lo meno con riferimento al dies a quo, potendo
essere svolta sin dall’atto introduttivo, nel corso dell’istruttoria o al termine della stessa
(quest’ultima ipotesi, peraltro, è di difficile verificabilità nella pratica, potendo a questo punto
il danneggiato ricorrere anche all’ordinanza ex art. 186quater c.p.c., che non presuppone lo
stato di bisogno e non ha i limiti quantitativi dell’ordinanza 147 Cod. Ass.); ritengo, invece,
che debba individuarsi un limite massimo (dies ad quem) entro il quale presentare l’istanza,
da far coincidere con la rimessione della causa in decisione, sempre sull’assunto che in tale
momento vengono meno le esigenze anticipatorie, e ciò, tanto più, a seguito dell’applicazione
del rito lavoristico alle controversie di infortunistica stradale, ove è prevista la decisione
contestuale in udienza (art. 429 c.p.c.).
Efficacia e stabilità. L’ordinanza ex art. 147 Cod. Ass. è immediatamente esecutiva
(coerentemente con la sua finalità anticipatoria) ed è dichiarata esplicitamente “irrevocabile”
sino alla decisione del merito. A tale ultimo proposito si nota come la nuova formulazione
della norma, pur riportando sostanzialmente il contenuto della previgente, abbia voluto fugare
ogni dubbio in ordine alla impossibilità che l’ordinanza potesse essere revocata o modificata
nel corso del giudizio, da parte dello stesso istruttore, dubbio che era stato prospettato da
alcuni, sotto il vigore del vecchio art. 24 L. 990/69, che recitava testualmente: «l’ordinanza
può essere revocata con la decisione del merito»; si era pensato, infatti, che tale espressione
volesse solo sancire che l’ordinanza era destinata ad essere assorbita dalla sentenza definitiva
del giudizio, senza incidere sul suo normale regime di revocabilità e modificabilità ex art. 177
c.p.c.; pur non ritenendo corretta tale interpretazione neanche sub art. 24 L. 990/69, come
detto, la nuova norma risolve senza alcun dubbio la questione.
L’ordinanza, peraltro, pur dotata di una certa stabilità nel corso del giudizio, non assume
comunque natura decisoria né idoneità al giudicato, sicché non è impugnabile, nemmeno con
il ricorso straordinario per Cassazione ex art. 111 Cost. 116 ; sulla sua reclamabilità o meno, si
rimanda a quanto detto a proposito della sua (denegata) natura cautelare.
116
Cass. sez. III civ. 28.12.1991 n. 13968 e
1311.1984 n. 5731.
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
Quanto alla sancita reiterabilità dell’istanza, si ritiene comunemente che la disposizione si
riferisca alla sola istanza rigettata, non ravvisandosi, peraltro, alcuna concreta utilità nella
riproposizione di un’istanza già accolta, a meno che non si voglia ritenere che, nel caso di
accoglimento parziale, il danneggiato possa riproporre la domanda per la somma non
assegnata, ma sempre, in tal caso, rispettando il limite dei 4/5 della somma liquidabile in
sentenza.
Nulla dice la legge sulla sorte del provvedimento in esame in caso di estinzione del
giudizio; si dovrebbe pertanto concludere, in ottemperanza al disposto dell’art. 310, 2°
comma, c.p.c., che l’ordinanza perda efficacia.
Laddove, invece, si accedesse alla tesi della sua natura cautelare e della conseguente
applicabilità delle norme sul procedimento cautelare uniforme, se ne dovrebbe dedurre, alla
luce della novella del 2005, la sopravvivenza dell’ordinanza, in base al nuovo combinato
disposto degli artt. 669octies, 6° comma e 669novies c.p.c. (ovviamente, senza alcuna
efficacia di giudicato, nemmeno nella forma più attenuata della preclusione pro judicato).
Si registra, peraltro, in dottrina, una ricostruzione volta a conservare al provvedimento
una sua immutabilità e stabilità anche a seguito dell’estinzione del giudizio, pur partendo
dalla sua natura anticipatoria e non cautelare: anzi, proprio fondandosi su tale natura e sul
presupposto che tali provvedimenti sono revocabili o modificabili solo in corso di giudizio ad
opera del giudice che li ha emessi (o, come nel caso di specie, addirittura con la sola
sentenza), tale interpretazione sostiene che, venuto meno il procedimento, verrebbe meno
anche qualsiasi possibilità di modifica e revoca dell’ordinanza 117 .
b) La provvisionale in assenza di stato di bisogno di cui all’art. 5 L. 102 del 2006.
Art. 5.
(Liquidazione anticipata di somme in caso di incidenti stradali)
1. All’articolo 24 della legge 24 dicembre 1969, n. 990, è aggiunto, in fine, il seguente
comma:
«Qualora gli aventi diritto non si trovino nello stato di bisogno di cui al primo comma,
il giudice civile o penale, su richiesta del danneggiato, sentite le parti, qualora da un
sommario accertamento risultino gravi elementi di responsabilità a carico del conducente,
117
Così CARRATTA, Profili sistematici della
tutela anticipatoria, Torino 1997 e, Idem, in Le recenti riforme del processo civile, Commentario diretto da
Chiarloni, Tomo II, Bologna 2007.
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
con ordinanza immediatamente esecutiva provvede all’assegnazione, a carico di una o più
delle parti civilmente responsabili, di una provvisionale pari ad una percentuale variabile tra
il 30 e il 50 per cento della presumibile entità del risarcimento che sarà liquidato con
sentenza».
Con una norma che ha sorpreso e sconcertato non poco per la sua struttura e formulazione
(avendo aggiunto un comma ad un articolo abrogato da una legge dell’anno prima!), il
legislatore del febbraio 2006 ha introdotto una nuova fattispecie di provvisionale nelle cause
di sinistro stradale, in tutto e per tutto uguale a quella già prevista nel nostro ordinamento, ma
disancorata dal presupposto dello stato di bisogno del danneggiato e con la conseguente
ulteriore limitazione nel quantum (dal 30 al 50% del danno liquidabile con sentenza).
Il primo problema che si è posto all’interprete è quello della effettiva vigenza della
norma, appunto perché riferita ad una disposizione già abrogata; tuttavia, è facile risolvere la
questione riferendo l’aggiunta del comma ultimo all’art. 147 Cod. Ass., che costituisce
sostanziale riproposizione del vecchio articolo 24 L. 990/69118 ; soluzione dettata, oltre che dal
buon senso e dalla logica giuridica, dallo stesso legislatore del 2005 (forse inconsciamente
presago della futura clamorosa svista), che, all’art. 354, comma 3° Cod. Ass., testualmente
dispone: «il rinvio alle disposizioni abrogate fatto da leggi, da regolamenti o da altre norme
si intende riferito alle corrispondenti disposizioni del presente codice e dei provvedimenti ivi
previsti».
La seconda questione attiene ai profili di applicabilità intertemporale, in assoluta assenza
di disciplina transitoria; tralasciando in questa sede la più generale problematica
dell’applicabilità dell’art. 3 L. 102/06 (che ha sottoposto le controversie di infortunistica
stradale al rito del lavoro) ai procedimenti già pendenti, i primi orientamenti espressi dalla
giurisprudenza di merito affermano l’applicabilità dell’istituto de quo anche ai processi già
pendenti alla data di entrata in vigore della norma, sul presupposto che trattasi di norma che
regola un singolo atto processuale ed è quindi governata, in assenza di diversa disposizione,
dal principio tempus regit actum, con il solo ovvio limite, dunque, della proposizione
dell’istanza dopo il 1° aprile 2006 119 .
118
Trib. Alba 19.10.2006, in Giur. Merito
2007, 3, 714 (nota di Masante).
119
Trib. Mantova 13.06.2006, in Giur. Merito
2007, 3, 692, Arch. giur. circol. e sinistri 2007, 2, 175 e Trib. Alba cit. alla nota precedente; conforme è la prassi
accolta presso il Tribunale di Piacenza.
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Le ordinanze anticipatorie in corso di causa
Non credo, invece, che la norma in commento possa subire la stessa limitazione oggettiva
contenuta nell’art. 3 e nella rubrica della L. 102/06, la quale si riferisce ai soli procedimenti
«conseguenti ad incidenti stradali», così apparentemente escludendo dalla sua applicazione i
casi di sinistri cagionati da natanti; infatti, a prescindere dalla necessità di interpretare con
assoluta cautela il dato testuale di un atto normativo chiaramente deficitario sotto il profilo
tecnico, si deve stabilire che, essendo la norma in esame inserita come nuovo comma dell’art.
147 Cod. Ass., che si applica (come la precedente L. 990/69) anche ai sinistri nautici, tali
fattispecie rientrino pienamente nell’ambito di applicazione dell’istituto in esame.
Appare ovvio che, assente anche il requisito dello stato di bisogno, debba nel modo più
assoluto escludersi la natura cautelare dell’ordinanza ex art. 5 L. 102/06, con conseguente
inammissibilità del reclamo avverso la stessa 120 .
Per il resto, la norma richiama i medesimi presupposti validi per l’emissione della
provvisionale in stato di bisogno (cioè i gravi elementi di responsabilità a carico del
conducente), per cui si rimanda a tutto quanto osservato in proposito; si è poi già detto della
formulazione più chiara rispetto ai possibili destinatari del provvedimento («una o più delle
parti civilmente responsabili»), che dissipa ogni dubbio sulla possibilità di chiedere
l’assegnazione della somma anche a carico del danneggiante o in solido nei confronti di tutti i
responsabili.
Con riferimento ai requisiti ed alle modalità processuali per la proposizione dell’istanza e
l’emissione dell’ordinanza, non vi è alcuna precisazione nella norma in commento; pertanto,
tenuto conto della sostanziale analogia dei due istituti e del fatto che la disposizione in esame
si inserisce quale ultimo comma dell’art. 147 Cod. Ass., si deve ritenere richiamata la
disciplina processuale dettata per la provvisionale “tradizionale”, rimandando a tutte le
considerazioni già svolte al riguardo; sicché anche tale ordinanza deve essere limitata al
giudizio di primo grado, presuppone l’istanza e la previa audizione delle parti ed è revocabile
con la sentenza che definisce il giudizio.
Analoghe considerazioni, infine, devono svolgersi con riferimento al suo regime di
stabilità in caso di estinzione del processo.
Dr. Coderoni Mario
120
Trib. Reggio Emilia 15 giugno 2006, in
JurisData, Redazione Giuffrè 2006.
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Dr. M. Coderoni