I Sofisti
La ragione in una strada senza
uscita
Il contesto storico
• I sofisti sono un gruppo di filosofi assimilabili per
dottrina, atteggiamento complessivo di fronte
alla realtà e contesto storico-geografico in cui
agiscono.
• La fioritura del movimento sofistico è da
collocarsi nell’Atene del V secolo, appena uscita
vittoriosa dalle guerre contro i Persiani e
governata, non senza discussioni, ripensamenti
e conflitti interni, da un regime democratico, il cui
maggior esponente è Pericle (495-429 a.C.).
Il termine “sofista”
• La parola deriva dal greco “sophistés” che significa
“sapiente”.
Quindi
possiede
una
connotazione
decisamente positiva. Tuttavia, anche a causa delle
reazioni dei filosofi successivi (soprattutto Platone e
Aristotele), il termine assunse un significato spregiativo.
Infatti nei sofisti vennero indicati coloro che utilizzavano
il sapere per il proprio vantaggio personale, adattandolo
alle esigenze di coloro da cui venivano pagati, con una
sostanziale indifferenza per la verità delle cose, cui
associavano un’elevata competenza retorica, in grado
di elaborare discorsi convincenti, belli, apparentemente
giusti quanto capziosi e sottilmente ingannevoli.
Una rivalutazione?
La critica filosofica si è da tempo
emancipata dai giudizi di condanna
espressi da Platone e Aristotele (e da molti
contemporanei), cercando di valutare con
più equilibrio la loro filosofia. Di essa oggi
viene
rivalutata
la
componente
“illuministica” particolarmente affine ai temi
della riflessione moderna.
Illuminismo 1
• A che cosa si allude con la locuzione “componente illuministica”? Si
allude alla consonanza della riflessione dei sofisti con
l’atteggiamento di un movimento filosofico nato nel secolo XVIII che,
insistendo sul primato assoluto della ragione umana, le affidava il
compito di emancipare l’uomo da tutte le credenze religiose, da
tutte le tradizioni civili, sociali e culturali provenienti da un passato
considerato preda della superstizione e dell’ignoranza. Il tutto
per costruire un mondo umano e politico più a misura d’uomo,
finalmente capace di riconoscere l’autonomia di ogni individuo,
l’uguaglianza universale tra gli uomini e la possibilità di una
grande impresa associata dell’umanità nel progresso tecnico
finalizzato al dominio su tutte le forze della natura.
• Di tale movimento bisogna sottolineare certo gli aspetti positivi della
promozione della critica razionale delle idee tradizionali e dei
luoghi comuni, cosa che peraltro è una caratteristica della filosofia di
tutti i tempi.
Illuminismo 2
• Nondimeno non si può tacere la sua componente
prometeica: cioè l’atteggiamento di orgoglio e superbia verso
tutte le produzioni delle diverse tradizioni culturali e civili che
non avessero con loro una sufficiente affinità. A ciò si
aggiunga l’ambizione di dominio nei confronti della natura,
considerata come il luogo di libera azione della volontà
umana, non trattenuta da una verità superiore, non limitata da
nulla se non da se stessa e dai propri scopi, ritenuti di per sé
razionali.
• Questo generale atteggiamento di superbia, tramutatosi in
azione politica, generò il Terrore durante la Rivoluzione
francese e l’arrogante imperialismo napoleonico che, tra le
altre cose, senza liberare nessuno dalla tirannia dell’autorità,
depredò l’Italia di innumerevoli tesori d’arte e di civiltà.
Illuminismo sofistico
• L’illuminismo dei sofisti, influenzò molti personaggi della politica
ateniese, anche se non determinò un grande rivolgimento sociale,
civile e, diremmo, epocale, come la Rivoluzione francese della fine
del XVIII sec. L’analogia con il periodo dei philosophes si deve
pertanto prudentemente limitare
1) all’ esaltazione dell’autonomia della ragione umana;
2) alla critica serrata delle credenze religiose e delle filosofie che
ambivano a giungere ad un concetto univoco di verità;
3) all’idea, presente solo in alcuni filosofi, di un’uguaglianza
universale degli uomini fondata sul possesso del logos, in
grado di superare le differenze culturali tra le varie civiltà e le
differenze sociali all’interno di ciascuna di esse.
Sofisti in politica
• I sofisti in politica usufruirono dei vantaggi del clima aperto alla
discussione offerto dall’ordinamento democratico. Essi quindi in
gran parte appoggiarono scelte politiche democratiche, quando i
loro interessi non furono orientati più direttamente da una vicinanza
a uomini politici di diversa estrazione. In tal caso i sofisti, (per
esempio Callicle) non ebbero remore a stabilire che la legge di
natura alla quale far riferimento nell’organizzazione dello Stato
doveva identificarsi con il “diritto del più forte” e che le leggi civili
non erano altro che stratagemmi inventati dai deboli per
salvaguardarsi dai potenti.
• In ogni caso essi furono oggetto di una severa accusa: l’aver
favorito la decadenza di Atene con la loro educazione amorale, che
avrebbe creato le condizioni per il successo di demagoghi senza
scrupoli, ammaliatori del popolo, senza una precisa linea politica e
senza valori di riferimento (sul modello, per esempio, di Alcibiade).
Caratteristiche teoretiche e culturali
del movimento sofistico
•
•
•
•
Al di là delle diversità tra filosofo e filosofo, possiamo individuare ulteriori
caratteristiche comuni alla speculazione dei sofisti:
Lo spostamento dell’asse della riflessione filosofica dalla PHYSIS
all’UOMO. Consapevoli delle diverse e inconciliabili soluzioni che i fisici
avevano proposto al problema fisico-cosmologico, i sofisti lo
abbandonarono in quanto privo di reale interesse, per dedicarsi alle
questioni ANTROPOLOGICHE, ETICHE e POLITICHE
Coerentemente con la loro critica del sapere e delle usanze tradizionali,
ritennero che la cultura potesse essere appannaggio di chiunque avesse
ascoltato con seria applicazione i loro discorsi. Ebbero dunque a cuore il
problema educativo, dedicandosi all’insegnamento e alla ricerca di allievi
ai quali comunicare la loro prospettiva filosofica.
L’insegnamento era per loro una «professione» nel senso che essi
richiedevano un compenso ai loro allievi, con il quale potevano condurre
la loro vita itinerante di città in città, al servizio di chiunque avesse voluto
ascoltarli. Anche tale abitudine fu aspramente stigmatizzata da Platone e
Aristotele, che li accusarono, non senza una qualche ragione, di offrire al
committente di turno la verità che egli voleva sentirsi dire e gli strumenti
tecnici migliori per difenderla.
Il metodo argomentativo dei sofisti
• I sofisti sono considerati gli inventori delle
tecniche di persuasione, cioè di un
metodo atto a rendere ogni discorso
convincente e affascinante ossia di un’arte
della retorica.
• Essa
anzitutto
si
qualifica
come
un’eristica.
L’eristica
• Eris=contesa. I sofisti prediligevano la discussione con
l’avversario. Cercavano il contrasto per far prevalere la
propria tesi contro una tesi contraria. Il loro
atteggiamento era dunque dialettico (cioè fondato sul
confronto di argomenti contrari) e polemico. La finalità
particolare e occasionale di far prevalere una tesi
sull’altra indicava che l’atteggiamento dei sofisti non
ambiva alla ricerca di una verità comune, ma
semplicemente, grazie all’uso di specifiche tecniche del
discorso, alla vittoria nei confronti dell’avversario. Per
questo motivo, in Platone e Aristotele, l’eristica diverrà
sinonimo di arte di ingannare, cioè di affermare una
qualsiasi opinione a prescindere dalla sua verità.
Macrologia e brachilogia
• Il discorso a seconda delle circostanza poteva
essere lungo e articolato, per fornire un
adeguato sostegno ad una tesi e per anticipare
le possibili obiezioni (discorso macrologico da
macròs = lungo, grande + logos = discorso).
• Oppure poteva essere breve e pungente, per
far cadere con una battuta penetrante la tesi
avversaria (discorso brachilogico da brachýs =
breve + logos = discorso).
L’antilogia
• Molto spesso di fronte ad un’affermazione di qualsiasi tipo,
i sofisti opponevano l’esatto contrario, per evidenziare
l’inconciliabilità tra i due opposti. Se ciò era possibile,
diventava sufficiente sostenere la tesi preferita, per
escludere necessariamente l’altra, oppure dimostrare
l’inconsistenza della tesi avversaria per affermare
automaticamente la propria (come già aveva fatto Zenone).
Il problema stava tutto nel fatto che i sofisti si vantavano di
possedere una tecnica tale per cui a seconda delle
circostanze potevano far prevalere una qualsiasi delle
due opinioni sull’altra, dissolvendo quindi l’idea che vi
fosse una verità certa da raggiungere e su cui fondare il
proprio modo di vedere le cose.
Il pregio dell’antilogia
Se utilizzata come metodo di confutazione dell’avversario,
l’antilogia appare come uno strumento retorico senza
ulteriore significato.
Tuttavia esso può essere estremamente utile al
ragionamento filosofico in generale. Infatti attraverso
l’antilogia noi siamo chiamati ad uscire dalla nostra
usuale opinione, per porre attenzione all’altra faccia
delle cose, al lato nascosto che all’inizio non avevamo
considerato. Allora, lungi dal concludere che le cose non
hanno né un senso, né una realtà, possiamo conoscerle
in modo più completo ed esaustivo, tenendo
adeguatamente conto di tutti i loro aspetti.
Il linguaggio
• Se era possibile, con consumata abilità, sostenere
qualsiasi tesi e il suo contrario, ciò significa che il
linguaggio, cioè le nostre parole che vogliono descrivere
una realtà, perde la sua stretta correlazione con l’essere. Il
linguaggio non dice più l’essere delle cose, diviene una
convenzione umana, cioè l’invenzione di vocaboli e di
regole grammaticali-sintattiche cui, grazie ad un accordo
collettivo si assegnano, alcuni significati, senza relazione
con la verità di ciò che di volta in volta viene detto e
descritto. Se infatti posso sostenere qualsiasi tesi e il suo
contrario, non vi è alcun rapporto tra quello che dico e
l’unica realtà che ho di fronte. La finalità del linguaggio non
è più quindi quella di “dire” l’essere, come in Parmenide,
ma di convincere l’interlocutore: essa è perciò
persuasiva e non descrittiva.
Protagora
• Nacque ad Abdera ,cittadina situata sulle coste della
Tracia, nel 490 a.C. circa. Subì l’influenza di Eraclito e,
nel corso della sua vita si spostò spesso di città in città
per insegnare, ottenendo notevoli successi. Fu anche
amico di Pericle, capo carismatico dell’Atene
democratica al culmine della sua potenza politica. Ad
Atene, malgrado l’appoggio di Pericle, le sue idee
suscitarono scandalo ed egli dovette abbandonare la
città. Morì in esilio nel 411, probabilmente in occasione
di un naufragio. Tra le sue opere: le Antilogie e Sulla
Verità (o i Ragionamenti demolitori).
L’uomo misura
• L’affermazione fondamentale della filosofia
protagorea è la seguente:
«L’uomo è misura di tutte le cose, di quelle
che sono in quanto sono, di quelle che
non sono in quanto non sono» (fr. 1, in
Platone, Teeteto, 152a).
Che cosa significa dire che
«l’uomo è misura»?
• L’affermazione sostiene che la qualità di
tutte le cose dipende dal modo in cui
l’uomo le vede e le valuta.
• Insomma l’uomo è il metro di tutto ciò che
noi indichiamo con il nome di «cosa».
• Ma che cosa si intende per «uomo»?
• E che cosa si intende per «cosa»?
Secondo Platone
• Secondo l’interpretazione di Platone,
l’uomo cui si riferisce Protagora è il
SINGOLO INDIVIDUO e le cose sono gli
OGGETTI PERCEPITI CON I SENSI.
• Questa è la lettura che ha avuto più
successo nella storia della filosofia e che
ha contrassegnato la filosofia protagorea
come RELATIVISTA.
Il RELATIVISMO
• Il relativismo è quell’impostazione filosofica per la quale «tutto è
relativo» e non vi è dunque un verità assoluta cui far riferimento.
Tutto è relativo vuol dire che tutto dipende dal modo in cui il singolo
individuo interpreta e legge la realtà sensibile.
Per esempio: relativamente a me il gelato è buono; relativamente a
un’altra persona lo stesso gelato è cattivo.
Relativamente a me un corpo è pesante, relativamente ad Hulk Hogan
lo stesso corpo è leggero.
• Ciò è particolarmente evidente quando noi ci affidiamo ai nostri
sensi, la cui conformazione cambia da persona a persona (diverso
sarebbe per le verità logico-matematiche, in cui è più difficile dire
«relativamente a me 2+2=4 e relativamente a te 2+2=5).
Una seconda interpretazione
• La stessa affermazione di Protagora sull’ «uomo
misura» potrebbe essere intesa in modo da
attribuire alla parola «uomo» il significato di
«umanità», «razza umana» e alla parola «cosa» il
significato di «realtà in generale».
• In questo caso il relativismo verrebbe meno, perché
ci troveremmo sempre, di fronte alla realtà, ad
essere concordi fra gli uomini, cioè fra tutti coloro
che posseggono la ragione. Le nostre valutazioni
sarebbero allora stabili e non cambierebbero da
individuo ad individuo.
Umanismo
• In quest’ultimo caso ci si troverebbe di fronte
solamente ad una filosofia umanista (e non
come prima umanista e relativista).
• Per umanismo si intende un pensiero che si
concentra sull’uomo, inteso quale centro
primario dell’interesse filosofico, attorno a cui
ruota tutto l’universo delle cose e della realtà.
Ciò avviene in modo tale che senza l’uomo, in
fondo, la realtà non avrebbe alcun senso.
Una terza interpretazione
• Nicola Abbagnano suggerisce anche la possibilità di una
terza interpretazione, quella per cui «uomo» significa
«persona che appartiene ad una data civiltà». In
quest’ultimo senso la frase di Protagora affermerebbe
che la valutazione sulle cose in generale cambierebbe a
seconda dei popoli e delle culture, infatti la cultura di
una data comunità sarebbe «metro» di tutte le cose. Per
esempio (l’esempio non è ovviamente di Protagora) se
per un cristiano mangiare maiale non è un’azione
sbagliata, per un mussulmano lo è. Per gli uni la carne di
maiale va benissimo, per gli altri è «impura».
Relativismo
• In questo caso ci si troverebbe di fronte ad una
diversa
forma
di
relativismo,
che
assumerebbe come criterio di riferimento non il
singolo, ma la collettività. Non vi potrebbero
essere giudizi stabili e veritieri, giacché la verità
cambierebbe da regione a regione a seconda
dei popoli e dei gruppi umani che le abitano. La
terza interpretazione dunque, quanto alle
conseguenze filosofiche, sarebbe del tutto
assimilabile alla prima.
In ogni caso
• Ogni interpretazione della frase protagorea
dovrebbe comunque convenire sul fatto che a
Protagora interessa comprendere come le cose
APPAIONO all’uomo. L’essere delle cose, cioè
la loro verità più profonda, dipende dal modo in
cui le cose appaiono al soggetto che le vede,
le pensa, le soppesa e le valuta. Questa
impostazione si può chiamare FENOMENISTA
(feonomeno=ciò che appare).
L’interpretazione preferibile: il
relativismo
• Due delle tre interpretazioni fornite dagli studiosi insistono sul
carattere relativistico della filosofia di Protagora. Se fosse vera
la rimanente, cioè quella che afferma l’idea che le cose appaiono
all’uomo in quanto «umanità fornita di logos», difficilmente il
pensiero del nostro filosofo avrebbe suscitato le reazioni che ha
prodotto nei contemporanei e nei filosofi immediatamente
successivi e difficilmente la sofistica successiva avrebbe
proseguito su questa strada, radicalizzando addirittura le
impostazione del pensatore di Abdera. Dunque possiamo definire
la filosofia di Protagora umanista, fenomenista e relativista.
L’uomo è il metro di valutazione, le cose hanno una loro
consistenza in quanto appaiono all’uomo che le valuta, ma le
valutazioni divergono da uomo a uomo e quindi non esiste una
verità univoca per tutti.
Conseguenze del relativismo
• Per essere coerente con un’impostazione relativista
bisogna abituarsi a convivere con il caos e il disordine
più assoluto nella propria e nell’altrui vita. Infatti se
tutto è relativo, nulla è propriamente vero, e se nulla è
vero, come debbo regolarmi per agire nella mia vita?
Poiché i giudizi sulle cose dipendono dallo stato
momentaneo di una persona o dalla casualità che lo ha
posto a vivere in una regione della terra piuttosto che in
un’altra, manca un criterio assoluto per agire e
mantenere un comportamento piuttosto che un altro.
Per esempio
• Per esempio ci si può domandare:
• È giusto compiere un sacrificio umano ad
un dio?
• Il relativista coerente risponderebbe: «Se
per chi lo compie è giusto, allora è giusto;
se per un altro è sbagliato, allora è
sbagliato»
Come dunque regolarsi ?
Per uscire dall’impasse
• Per tentare di superare questo scoglio,
Protagora
opta
per
una
soluzione
UTILITARISTA. Cioè elegge, in mancanza di
una verità valida per tutti, il criterio dell’utile
come modello per orientare l’azione. Pertanto
quando ci si appresta a compiere un’azione, ci si
domanderà sempre quale sia l’utilità di
quell’azione per chi la compie. Tale utilità i
sofisti, però, agganciavano alla comunità in
modo da ricercare sempre l’utile collettivo più
che quello individuale.
Razionalità debole: il criterio
dell’utile
È tuttavia innegabile che anche il criterio dell’utile o è vero e
giusto per tutti (cioè tutti dovrebbero farlo proprio in quanto
superiore agli altri), e allora contraddice l’impostazione
relativista, oppure non lo è, e allora non può essere assunto
in maniera filosoficamente giustificata. Per questo si parla di
una razionalità “debole”, cioè di un’indicazione di massima,
senza pretese di universalità e validità, ma solo come rimedio
particolare alla mancanza di criteri, data la necessità per gli
individui di prendere comunque delle decisione su che cosa
fare nella quotidianità della vita.
La razionalità debole ha un carattere dunque provvisorio,
locale, limitato nello spazio e nel tempo, non pienamente
giustificato e non giustificabile, senza pretese di verità, di
contro alla ricerca di una verità autentica e stabile propria
della razionalità “forte”.
La religione
• L’atteggiamento di Protagora nei confronti della
religione è fondamentalmente agnostico (agnosis= non-conoscenza; quindi degli dei non
possiamo dire nulla perché non si possono
conoscere):
“Degli dei non sono in grado di sapere né se sono,
né se non sono, né quali sono: molte sono infatti
le difficoltà che si frappongono: la grande
oscurità della cosa e la limitatezza della vita
umana” (fr. 4).
La politica e le leggi
Le leggi civili non hanno una natura divina, bensì
sono esclusivamente convenzioni umane, cioè
norme che l’uomo ha deciso, di elaborare al fine
di poter rendere possibile la convivenza. Ciò è
avvenuto attraverso un accordo dei singoli su
alcuni comportamenti che è necessario
mantenere o evitare. Dunque non possiedono
una verità superiore, ma sono ugualmente da
rispettare, perché altrimenti la società non
potrebbe sussistere, e senza la società non
sarebbe possibile nemmeno la vita del singolo.
Il nichilismo di Gorgia
• Gorgia di Lentini, città situata nelle colonie della
Magna Grecia (in Sicilia, nell’odierna provincia di
Siracusa), nacque nel 485 circa e morì a 109
anni a Larissa in Tessaglia (Grecia). Fu
discepolo di Empedocle e scrisse, tra le altre
opere, Sul non essere e l’Encomio di Elena (di
cui rimangono solo alcuni frammenti). Egli è
l’altra grande personalità del movimento
sofistico, insieme a Protagora.
• La sua filosofia può essere definita nichilistica.
Nichilismo
• Il termine è ovviamente successivo, e
deriva dal latino NIHIL=niente, nulla.
Una filosofia si dice nichilistica quando
giunge a negare la possibilità di conoscere
la realtà da parte dell’uomo. Anzi, quando
tale negazione è associata all’idea che
nulla può esistere, e che l’essere delle
cose in realtà è pura illusione.
Nulla esiste e nulla è conoscibile
né comunicabile
• L’atteggiamento relativistico di Gorgia viene portato
alle estreme conseguenze. Se tutto dipende dal modo
in cui io vedo le cose, e se il mio punto di vista è
diverso da quello degli altri, che pure è ugualmente
sostenibile attraverso un discorso adeguato, ciò
significa che
• 1) Nulla esiste cioè non c’è una realtà univoca a
cui fare riferimento,
• 2)e se anche ci fosse non riuscirei a conoscerla,
• 3)e se anche la conoscessi, non potrei comunque
comunicarla agli altri.
La dimostrazione
• Queste tesi vengono dimostrate con un
abile utilizzo di quella stessa modalità di
ragionamento inaugurata da Zenone e da
Melisso di Samo (seguaci di Parmenide),
consistente, da un lato, nel sostenere
razionalmente le proprie conclusioni,
dall’altro, e soprattutto, nel portare
all’assurdo le opinioni contrarie.
Prima affermazione: l’essere non esiste, ma
se l’essere ci fosse…
• Secondo le testimonianze convergenti di un testo
pseudo aristotelico e di Sesto Empirico, il ragionamento
gorgiano avrebbe il seguente andamento.
• Nulla esiste (tesi di Gorgia, da dimostrare)
• Se qualcosa esistesse (ammissione della tesi contraria)
potrebbe essere (discussione delle conseguenze, fino
all’assurdo):
• 1) Essere (potrebbe esistere l’essere)
O
• 2) Non essere (o potrebbe esistere il non essere).
L’essere che è, è eterno
• …ma
1) Se l’essere è, può essere
a)eterno,
b)generato,
c)oppure eterno e generato insieme.
a) Se l’essere è eterno, non ha principio, cioè non ha un inizio nel tempo. Se non
ha un inizio nel tempo, è illimitato. Questo è il passaggio critico del
ragionamento. Infatti assume come identici il non aver inizio nel tempo e
l’illimitatezza nello spazio, deduzione che appare del tutto arbitraria, ma che
Gorgia intende vera. Dunque se l’essere è eterno e non ha principio, esso è
illimitato nello spazio. Se l’essere è illimitato, non è in alcun luogo, perché
essere in un qualche luogo significherebbe che l’essere è CONTENUTO in quel
luogo. Ma non è possibile che qualcosa di illimitato possa essere contenuto in
qualche luogo.
Ma ciò che non è in nessun luogo, non esiste, quindi, essendo l’essere
eterno inesistente, l’ipotesi in questione è da rifiutare.
L’essere che è, è generato
• B) se l’essere, invece, fosse generato sarebbe
x) generato dall’essere, ma se così fosse,
sarebbe generato da se stesso, e quel se
stesso già c’era prima. Quindi non sarebbe
generato (e si ritorna al punto A);
y) generato dal non essere, ma ciò è impossibile
perché dal nulla non può venire nulla.
Dunque l’essere non è nemmeno generato.
L’essere che è, è generato ed
eterno assieme
• Questo non è possibile perché
generazione ed eternità sono
termini in contraddizione e si
escludono a vicenda.
• Quindi se l’essere, che è, non è
né eterno, né generato, se ne
deduce che non può esistere.
Seconda possibilità: esiste ciò
che non è
• 2) Passiamo ora al secondo punto. Si era detto all’inizio che se
qualcosa esiste, può esistere ciò che è e ciò che non è. Al primo
punto abbiamo dimostrato che non è possibile che l’essere sia
esistente, adesso si dimostra che non è parimenti possibile che il
non essere sia esistente.
• Infatti dire che esiste il non essere significa dire che ciò che è in
realtà non è, cioè attribuire, in palese violazione del principio di non
contraddizione, due predicati contrari allo stesso soggetto nello
stesso tempo e sotto il medesimo punto di vista. Infatti dire «essere»
= dire «ciò che è», e dire che l’essere non è significa dire «ciò che è,
al tempo stesso , non è». Questo è manifestamente assurdo.
• Dunque alla fine si è dimostrato che l’essere non può esistere
perché non è possibile né che sia, né che non sia.
Seconda affermazione: se l’essere esistesse
non sarebbe conoscibile
• Possiamo pensare cose non esistenti: per esempio la
chimera, o il sarchiapone (l’esempio ovviamente non è di
Gorgia … o forse…?)? Evidentemente sì. Ma se è così,
semplificando la complessa deduzione gorgiana, la
conclusione è che ciò che è esistente non lo possiamo
pensare. Infatti Gorgia la mette così:
• SE le cose pensate (P) non sono esistenti (non E)
• ALLORA ciò che esiste (E) non è pensato (non P).
Il ragionamento sembra tenere. Proviamo a metterlo in forma di
equazione:
P= -E dunque E= -P, tutto fila, nevvero?
Il problema
•
Il guaio è che il ragionamento contiene anche qui un piccolo inganno.
Infatti se io dico che POSSO pensare qualcosa di non esistente, come
la chimera e il sarchiapone, non significa che tutto ciò che penso sia
inesistente. Ma il ragionamento di Gorgia dà per scontato, quando dice
«se le cose pensate non sono esistenti», che TUTTO ciò che penso sia
inesistente. Solo così il ragionamento funziona. Infatti solo se tutto ciò
che penso non esiste, ciò che esiste non lo penso. Ma in realtà
bisognerebbe metterla così: qualche cosa che penso non esiste,
allora…con questa premessa il ragionamento di Gorgia non funziona.
Inoltre un parmenideo direbbe comunque che ciò che non esiste e che
tuttavia si pensa non è altro che una composizione di ciò che esiste, se
infatti lo descriviamo nei particolari, chiedendoci che cosa è,
descriveremmo particolari tratti da cose realmente esistenti: nel caso
della chimera la testa di leone, la testa di capra, il corpo di leone e la
coda di serpente…
Terza affermazione: se anche l’essere fosse
conoscibile non sarebbe comunicabile
• Se l’essere fosse e fosse conoscibile non sarebbe comunicabile.
Infatti quando io pronuncio una parola, essa manifestamente
non è la cosa che io intendo comunicare con la parola. Infatti la
parola «ruota», non è la ruota della mia Opel corsa, poiché la
auto non vanno su quattro parole, ma su quattro ruote. Vi è cioè
una differenza ontologica fondamentale tra le parole e le cose.
Le parole non sono le cose e le cose non sono le parole.
Questo secondo Gorgia rende impossibile alle parole significare
le cose, cioè essere usate per dire le cose nella loro vera
consistenza di cose.
• Il problema è che le parole, non essendo le cose, nascono come
SEGNI per indicare le cose e questo è tutt’altro che impossibile,
come non è impossibile che una freccia indichi la direzione in cui
andare per raggiungere una meta.
Le affermazioni gorgiane…
• Nonostante i problemi che si sono
sottolineati in questo breve percorso,
Gorgia sostiene, dunque, e ritiene di aver
dimostrato il suo triplice assioma
nichilistico.
• Esso va soggetto ad un altro più generale
problema che è proprio anche del
relativismo protagoreo:
…sono assai problematiche
•
•
•
•
In Protagora dire che tutto è relativo significa dire: «è vero che tutto è
relativo», con un evidente contraddizione tra ciò che si dice nella prima
parte della frase (qualcosa è vero in senso assoluto), e ciò che si dice nella
seconda (tutto è relativo e quindi non esiste una verità assoluta).
In Gorgia dire che nulla esiste, implicherebbe l’inesistenza di colui che
parla, delle parole che dice, dei significati che esse esprimono…cosa che
renderebbe inutile ogni affermazione e ogni idea.
Inoltre dire che nulla è conoscibile implica che almeno una cosa è
conoscibile: il fatto che nulla è conoscibile…siamo ancora in palese
contraddizione.
Infine dire che se qualcosa fosse conoscibile non sarebbe comunicabile,
analogamente implicherebbe che almeno una cosa sia comunicabile: il fatto
che nulla è comunicabile (altrimenti per quale ragione si dovrebbe dire che
«nulla è comunicabile»)…terza e finale contraddizione! Così la dialettica
sofistica entra in un vicolo cieco e si autodistrugge.
Scetticismo
• Il nichilismo che dice «nulla esiste» possiamo considerarlo
come una diretta conseguenza dello scetticismo, cioè del
dubbio sulle possibilità che l’uomo ha di dire realmente
come stanno le cose.
• Se da un lato tale impostazione lascia grande libertà
all’uomo di dire e fare quello che vuole, dall’altro lo
consegna ad una disperata consapevolezza della sua
fragilità e nullità.
• Il destino umano è di conseguenza assolutamente privo di
un senso superiore, senza alcuna via d’uscita oltre la
semplice morte dell’individuo, che è la fine di tutto, la
cancellazione di ogni speranza e desiderio, di ogni bellezza
e verità, nell’abisso del nulla in cui tutte le cose sono
condannate a scomparire.
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