A Enrico Tiozzo Luciano Zuccoli e la narrativa della vita elegante Copyright © MMXI ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, /A–B Roma () ISBN –––– I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: febbraio Indice Capitolo I Narrativa e vita elegante Capitolo II La formazione di un narratore Capitolo III Un romanzo pionieristico Capitolo IV Lo studio di una nevrosi Capitolo V L’analisi psicologica del rapporto sentimentale Capitolo VI L’occulto Capitolo VII Un contesto europeo Capitolo VIII Una nuova fase narrativa Capitolo IX Lo studio del mondo femminile Capitolo X Il formato breve Capitolo XI Lo studio dell’adolescenza Luciano Zuccoli e la narrativa della vita elegante Capitolo XII Un controllo critico Capitolo XIII Il romanzo piú felice Capitolo XIV Il romanzo epico Capitolo XV Un testo frainteso Capitolo XVI La saga famigliare e la ricerca della felicità Capitolo XVII Dalla parte dei deboli Capitolo XVIII Il mal d’Africa Capitolo XIX L’ultimo romanzo blu Capitolo XX La filosofia della vita elegante Capitolo XXI Il declino Bibliografia Indice dei nomi Capitolo I Narrativa e vita elegante Non esiste a tutt’oggi una biografia critica di Luciano Zuccoli, la cui vita non fu certamente priva di passaggi importanti né di frequentazioni di altissimo livello nel panorama letterario italiano tra l’ultimo quarto dell’Ottocento e il primo del Novecento. Se questa grave lacuna riguarda altre figure centrali della nostra narrativa postunitaria, nel caso di Zuccoli l’oblio biografico incuriosisce maggiormente a causa del risveglio d’interesse (sia pure in una decisa connotazione negativa) di cui lo scrittore di Calprino fu oggetto, all’inizio dell’ultimo quarto del XX secolo, per la trasposizione cinematografica di uno dei suoi romanzi piú conosciuti e per il rinnovato furore polemico nei suoi confronti di cui vollero gratificarlo alcune studiose di area femminista. Affronteremo questi passaggi con la dovuta attenzione nel corso della nostra ricerca, comparatistica, tematica e stilistica, che si propone di caratterizzare la narrativa di Zuccoli per quanto di personale e di innovativo essa seppe introdurre nel romanzo e nella novella italiani tra Otto e Novecento, e per quanto di essa è passato in alcuni autori italiani molto apprezzati da . L. Z, Luciano Zuccoli raccontato da Luciano Zuccoli, Milano, , p. :«Se queste pagine avessero l’intenzione ambiziosa di una autobiografia, mi sarei soffermato più a lungo intorno alla vita politica di Modena e di Venezia; vita animosa, feconda di osservazioni, di dolori, di sconfitte e di vittorie. Ma questo è un semplice profilo, un fugace autoritratto; e se mai avrò un biografo, toccherà a lui riandare quei tempi e gli episodii della mia strada, sempre che li giudichi divertenti». A distanza di quasi novant’anni da queste parole, la biografia, che Zuccoli ipotizzava, non ha ancora visto la luce. . Non consideriamo una biografia critica, anche se tale voleva forse essere nelle intenzioni, il piacevole e leggibile studio di Enzo Magrì su Guido da Verona, Guido da Verona, l’ebreo fascista, Cosenza, , perché l’opera non dà realmente conto della vita dello scrittore, ma si ferma a metà strada tra la consultazione delle carte contenute nel suo archivio e le recensioni coeve all’uscita delle sue opere. Il volume di Magrì ha comunque l’indiscutibile merito di una riattualizzazione della figura di da Verona attraverso l’esame di alcune vicende della sua vita. Mancano invece del tutto opere biografiche recenti su Lucio d’Ambra, su Mario Mariani, su Michele Saponaro, ecc. La vita di Pitigrilli è stata invece studiata, anch’essa da Magrì, in un’opera soddisfacente dal punto di vista del lavoro condotto sui documenti disponibili, Un italiano vero: Pitigrilli, Milano, . Luciano Zuccoli e la narrativa della vita elegante critica e storiografia nella seconda parte del XX secolo (pensiamo soprattutto a Moravia). L’accenno che abbiamo appena fatto alla mancanza di una biografia critica dello scrittore va interpretato invece nel senso della voluta mancanza, nel nostro lavoro, di ogni tentativo tendente a ricostruire, con la necessaria accuratezza scientifica, le vicende della vita dello scrittore. Il campo rimane dunque aperto a ricerche future e possiamo solo augurarci che venga coltivato da studiosi competenti e motivati. Che molto infatti vi sia da scoprire per chi voglia studiare, con i moderni strumenti di ricerca, la vita di Zuccoli ma soprattutto i rapporti che egli intrattenne con le personalità di spicco del Novecento letterario italiano, è provato dalla recente pubblicazione (passata — crediamo — inosservata anche agli ‘addetti ai lavori’) di un corpus di lettere di Zuccoli ad Amalia Guglielminetti, testimonianza di una relazione sentimentale e letteraria tutt’altro che insignificante e nella quale passano, con qualche rilevanza, anche le figure di Gozzano e di Pitigrilli. Le lettere costituiscono un affascinante terreno di studio e si sarebbero potute giovare di un ampio ed approfondito commento critico–letterario, nel caso specifico invece del tutto assente eccezion fatta per un breve ma significativo intervento del direttore della Biblioteca Statale Isontina di Gorizia, il professor Marco Menato, dal momento che la trascrizione delle missive è stata effettuata da un volenteroso dilettante, la cui estraneità al mondo della ricerca viene evidenziata, talora in modo imbarazzante, dall’ingenuità delle note e dei commenti aggiunti alle stimolanti pagine zuccoliane. Ciò che a noi sembra importante rilevare, attraverso le lettere di Zuccoli alla Guglielminetti, non è infatti il significato o la consistenza della relazione sentimentale tra due figure di primo piano della letteratura italiana del primo Novecento (con riferimenti peraltro anche alla presenza di altri personaggi letterarî di assoluta preminenza nel privato della poetessa), . Studi Goriziani, Rivista della Biblioteca Statale Isontina di Gorizia, direttore responsabile M. M, Gorizia, , pp.–. . Ivi, p. . . Ivi, p. : «L’epistolario di Luciano Zuccoli è presentato con un gusto talmente spontaneo da farlo apparire come una delle sue opere più vere ed intense in grado di regalare l’ultima immagine di un uomo — ormai in veste d’amico — votato a consolare la poetessa ed a comprenderne la morbosa sensibilità». Non solo appare difficilmente sostenibile l’affermazione secondo cui una manciata di lettere (importanti ma chiaramente scritte currenti calamo da Zuccoli) possa rappresentare «una delle sue opere più vere ed intense», ma risulta incomprensibile come le lettere, datate –, possano «regalare l’ultima immagine» di uno scrittore che sarebbe rimasto attivo per altri quindici anni e avrebbe pubblicato ancora una ventina di libri fra cui figurano La divina fanciulla, Le cose più grandi di lui e Kif tebbi, solo per citare qualche titolo. . Narrativa e vita elegante quanto invece quelle notazioni che ci permettono di cogliere l’attività di Zuccoli come scrittore, il suo autobiografismo, la sua personalità, il suo atteggiamento nei confronti della società italiana negli anni antecedenti la prima guerra mondiale, e di entrare nella sua ‘officina’ d’instancabile narratore e giornalista. Ne esce cosí quell’immagine dell’uomo e dello scrittore che — parallelamente — ci è sembrato si possa efficacemente cogliere anche attraverso l’analisi dell’opera narrativa. È l’immagine di un vero conservatore, tanto ostinatamente deciso quanto acutamente illuminato, come Zuccoli effettivamente fu, che non può non ricordare posizioni similari, chiaramente avvertibili in autori ed opere prestigiosi della letteratura non solo italiana, ma anche europea, della prima . Ivi, p. : «Credi molto facile scrivere un romanzo? Se ti ci provi, cambi presto d’opinione. Romanzo o poesia, se una cosa è bella, costa sempre fatica, te lo assicuro. E la coscienza e la incontentabilità dell’artista crescono col nome e col senso della propria responsabilità». La lettera di Zuccoli è datata gennaio . . Ivi, p. : «Le mie memorie fanno parte d’un volume che forse non pubblicherò mai. La parte letta da Orvieto racconta come da una passione carnale per una ragazza che moralmente non valeva nulla nascessero I lussuriosi, il mio primo romanzo. Ma quei ricordi hanno la forma di diario, raccontano crudamente, selvaggiamente la mia giovinezza [...]. Orvieto assicura che tali note di vita non si possono pubblicare nemmeno in volume. [...] Ed è un peccato, perché si avrebbe finalmente il libro vero, il cuore aperto, sanguinante, palpitante, ansante, d’un uomo che, come te, prima vive e poi scrive. Triste privilegio, amica mia! Noi dobbiamo invidiare i mostri dal cervello tutto letterario, dalla vanità vuota, dalla curiosità libresca, mentre noi nelle nostre esperienze ci lasciamo sempre un brandello di cuore, una fibra del cuore, e siamo ormai sensibili all’aria e al vento come vivessimo coi nervi scoperti e scattanti». La lettera di Zuccoli è datata novembre . . Ivi, p. : «Io voglio essere chic, in mezzo a una folla di plebei, siano essi titolati da più secoli o no». La lettera di Zuccoli è datata gennaio . . Ivi, p. : «Il soldato fa il soldato, il poeta il poeta, e una nazione sarà grande quando ciascuno lavorerà nel suo campo gagliardamente e da quella vita diversa e simultanea, serena e chiara, le diverse manifestazioni dell’ingegno, dalla lirica alla guerra, dal romanzo alla pittura, dalla politica alla scienza si affermeranno tutte, indipendenti e armoniche, libere e concatenate. Ciascuno al suo solco». La lettera di Zuccoli è datata dicembre . . Ivi, p. , «Ma lavoro; lavoro accanitamente, con gioia e con fede, e questi sei mesi che mi separano ancora dal giugno, non saranno stati inutili, come non è inutile un tòcco di [?] a un buon corsiero». La lettera di Zuccoli è datata gennaio . . L. Z, Luciano Zuccoli raccontato da Luciano Zuccoli, cit., p. : «Dal al la storia del partito costituzionale o liberale o moderato o conservatore, — (vestiteli come volete, scapperanno sempre lo stesso! — diceva il Re Bomba dei suoi soldati) — è un incessante trascinio nell’impotenza e nell’insipienza, fino al complotto anarchico del teatro Diana a Milano, fino all’occupazione delle fabbriche, fino al discorso d’un lodato ministro, il quale dichiara che il sequestro di persona degli ingegneri non riveste che il carattere di contravvenzione, fino all’amnistia pei disertori, fino all’elezione dell’On. Misiano... E fin dove? Mi fermo. Ho il diritto di criticare quel partito perché gli ho dato parecchio del mio tempo, parecchie delle mie fatiche, parecchio del mio personale rischio, in tempi e in luoghi nei quali a non esser del mio parere c’era da guadagnar molto e da non perdere nulla». Luciano Zuccoli e la narrativa della vita elegante metà del Novecento. Ciò che colpisce, nello stesso tempo, è come a questi fratelli spirituali di Zuccoli, anch’essi assertori di quella che, in estrema sintesi servendoci di un titolo dello scrittore, abbiamo definito come «la vita elegante», la storiografia critica dei Paesi d’origine (pur saldamente democratici al pari dell’Italia) abbia tributato e continui a tributare ogni sorta di omaggio, mentre in Italia la posizione conservatrice, l’occasionale culto delle armi, e l’atteggiamento antidemocratico hanno costituito (e continuano a costituire), a partire dal secondo dopoguerra, un decisivo elemento di squalifica letteraria, talmente resistente e invincibile, da impedire perfino l’intenzione di un nuovo esame critico — senza preventive prese di distanze politiche o addirittura partitiche — della produzione di uno scrittore come Luciano Zuccoli. In qual modo dovremmo infatti valutare l’opera di prestigiosi autori della letteratura del Novecento, come P. G. Wodehouse, o Evelyn Waugh, se dovessimo adattare il singolare criterio critico–storiografico italiano della conventio ad excludendum sulla base delle origini famigliari e, soprattutto, delle posizioni aristocratiche ed antidemocratiche espresse da questi scrittori nelle loro opere narrative? Un confronto, anche a volo d’uccello e senza entrare in dettagli biografici, fra gli ambienti in cui si formarono Zuccoli e Wodehouse (nati — com’è noto — entrambi nell’ultimo terzo dell’Ottocento, l’inglese nel e l’italiano nel ) presenta notevolissime somiglianze, che potrebbero richiamare alla mente anche la formazione di Rudyard Kipling. Se Zuccoli era di nobile famiglia e poteva vantare il titolo di Conte Luciano von Ingenheim, l’alto–borghese Wodehouse discendeva da antenati legati alla tradizione piú aristocratica e conservatrice di una . R. MC, Wodehouse. A Life, London, , pp. –: «In the generation since his death, the name Wodehouse has become attached to two kinds of headline: first, a medley of ill–informed stories recycling aspects of his wartime disgrace; and secondly, some equally uncritical celebrations of his silly ass heroes and the charmed, lost world of upper–class Edwardian England. Between the cacophonies of these two fictions, the enemies and the cult, the man himself has quietly slipped away, as he liked to do when he was alive. In the process, the range and complexity of his achievement, and the importance of his contribution to English and American literature, has been overlooked, even neglected. [. . . ] In Britain and across the English–speaking world, his fans range from the idolatrous to the merely obsessed. In the past hundred years, his admirers have included T. S. Eliot, Kaiser Wilhelm, W.H. Auden, Dorothy Parker, Arthur Balfour, Hilaire Belloc, Evelyn Waugh, Ludwig Wittgenstein, Eudora Welty, Ogden Nash, John le Carré, H.L. Mencken, Cardinal Basil Hume, Salman Rushdie, and two contrasting Adamses, Douglas and Gerry». . Ivi, p.: «Despite the age difference (Kipling was sixteen years older), there are some superficial simmetries». . Narrativa e vita elegante Gran Bretagna allora dominatrice del mondo. Tutto ciò, peraltro sempre rivendicato con non nascosta fierezza e mai rinnegato dai due scrittori, sarebbe passato con grande forza, non solo nel loro stile di vita e nella loro visione del mondo e della società, ma soprattutto, senza mai rinunciare al tocco moderatrice dell’ironia, nelle rispettive opere letterarie. Se infatti l’indimenticabile personaggio wodehousiano di Bertie Wooster esprime, con un taglio ironico ma in maniera molto netta, le simpatie elitarie dell’autore per l’alta società dell’Inghilterra vittoriana ed edoardiana e il suo evidente compiacimento nei confronti di uno stile di vita improntato al lusso spensierato dell’aristocrazia, anche Zuccoli non fa mistero di aver modellato sulle figure dei propri genitori la coppia di nobili del romanzo . Ivi, pp. –: «If, like Wodehouse, you were born into a good family of colonial administrators, you were joining perhaps the most stable and most conservative part of British society. Here the brushed calm of everyday life was broken only by the ticking of grandfather clocks, the rattle of crockery on trays, and the occasional booming of a distant dinner gong. Encompassed by near–feudal attitudes, servants waited at table, clergymen preached sermons and schoolmasters disciplined ebullient younger sons, families like the Wodehouse were the people who ran the country, and who served as MPs, admirals and District Officers. As boys, they went to the public schools which had been set up for their preparation in the duties of empire. As grown men, they enlisted in regiments and the imperial civil service, and joined clubs in Pall Mall where they read The Times, and relaxed over coffee, cigars and copies of Punch, the Victorian magazine which perfectly expressed the mandarin hierarchy in which they were so comfortably at home. [. . . ] Wodehouse himself had no title [. . . ] but he came from a family of long–established Norfolk knights with centuries of royal service. One branch was directly descended from Lady Mary Boleyn, the unfortunate sister–in–law of Henry VIII. Further back, Sir Constantine Wodehouse, knighted by Henry I, held land at Kimberley, outside Norwich, which remained the family seat until recently». . Ivi, p. : «In a tight situation, Bertie Woster always alludes to his heritage: “One doesn’t want to make a song and dance about one’s ancient lineage, of course, but after all the Woosters did come over with the Conqueror and were extremely pally with him: and a fat lot of good it is coming over with Conquerors, if you’re simply going to wind up by being given the elbow by Aberdeen terriers”». . P.G. Wodehouse, Right Ho, Jeeves (), London, , p. : «I went to Cannes — leaving Jeeves behind, he having intimated that he did not wish to miss Ascot — round about the beginning of June. With me travelled my Aunt Dahlia and her daughter Angela. Tuppy Glossop, Angela’s betrothed, was to have been of the party, but at the last moment couldn’t get away. Uncle Tom, Aunt Dahlia’s husband, remained at home, because he can’t stick the South of France at any price. [. . . ] We stayed at Cannes about two months, and except for the fact that Aunt Dahlia lost her shirt at baccarat and Angela nearly got inhaled by a shark while aquaplanning, a pleasant time was had by all. On July the twenty–fifth, looking bronzed and fit, I accompanied aunt and child back to London. At seven p.m. on July the twenty–sixth we alighted at Victoria. And at seven–twenty or thereabouts we parted with mutual expressions of esteem — they to shove off in Aunt Dahlia’s car to Brinkley Court, her place in Worcestershire, where they were expecting to entertain Tuppy in a day or two [. . . ]». Luciano Zuccoli e la narrativa della vita elegante autobiografico La freccia nel fianco, e alcuni dei piú noti personaggi della narrativa zuccoliana, come il duca Daniele di Bagnasco in La divina fanciulla, si fanno chiamare con un tipo di abbreviazione o di nomignolo (qui Dani), secondo una consuetudine di ‘sprezzatura’ cortigiana, cara al bel mondo, come spesso amano fare anche i personaggi di Wodehouse. Senza voler poi approfondire qui, in modo estraneo ai fini di questo studio (che non è di letterature comparate), la somiglianza tra i due scrittori, vale comunque la pena di rilevare come entrambi — pur non avendo bisogno, a stretto rigor di termini, di lavorare per vivere — abbiano esordito con pari precocità in campo letterario esercitandosi poi intensamente, nel corso della loro carriera, sia in campo giornalistico che narrativo, con una prolificità ed una gratificazione economica di assoluto rilievo. Infine — pur concedendo a Wodehouse un’indiscutibile supremazia per quanto riguarda la capacità di escogitare intrighi narrativi molto complessi — va tuttavia sottolineata l’imponente capacità di Zuccoli (nel quadro della narrativa italiana del primo Novecento) di gestire con grande sicurezza la macchina del romanzo dando cosí vita a trame di notevole originalità, ricche di azione, di colpi di scena, di svolte imprevedibili (pensiamo per esempio al romanzo Baruffa, solo per fare un esempio), tali da reggere il confronto con quelle dello scrittore inglese. Permangono ovviamente numerose discordanze in un confronto serrato tra Zuccoli e Wodehouse e ci limitiamo qui a indicare il modo, cosí diverso nei due scrittori, di analizzare la sfera dell’infanzia e dell’adolescenza. La reazione di fronte ai profondi cambiamenti della società europea, innestati dalla Grande Guerra e destinati, secondo un meccanismo inarrestabile di cui non era difficile cogliere gli elementi essenziali già alla fine del secondo decennio del Novecento, ad attenuare o addirittura a cancellare le differenze tra le classi, secondo un processo di evoluzione democratica che, agli occhi degli irriducibili conservatori, poteva presentarsi piuttosto come una pericolosa involuzione verso l’imbarbarimento di società prima felici, accomuna invece l’opera di Zuccoli a quella del notevolmente piú giovane . L. Z, Luciano Zuccoli raccontato da Luciano Zuccoli, cit., p. : «Il conte Fabiano Traldi di S. Pietro è mio padre; la contessa Clara Dolores è mia madre». . Cfr. D.H. G, Who’s Who in Wodehouse, New York, . Pensiamo a nomignoli come Rupert “Beefy” Bingham, Hildebrand o Tuppy Glossop, Arthur “Grandpop” Binns, Jeff G. “Bingo” Bennison, ecc. Wodehouse, nei suoi libri, si riferisce spesso a questi personaggi usando i soli nomignoli di “Beefy”, “Tuppy”, “Bingo”, ecc. . Narrativa e vita elegante Waugh. Lo sgomento con cui lo scrittore italiano reagiva di fronte alla violenza di cui veniva fatta oggetto la fontana della Barcaccia, a Roma, circondata improvvisamente dalle minacciose rotaie del tram, è lo stesso espresso da uno dei personaggi di Ritorno a Brideshead di fronte alla prospettiva della demolizione dell’avito palazzetto londinese per lasciare posto alla costruzione di un edificio di appartamenti. Anche se tra il gentiluomo Waugh, nato nel , e il conte Zuccoli correvano trentacinque anni di differenza, il clima spirituale e la condanna del nuovo, espressi nel celebre romanzo waughiano, pubblicato nel ma ambientato in gran parte nell’Inghilterra del primo dopoguerra e degli anni Venti, riflettono in pieno quel rifiuto, volutamente antidemocratico, della nuova e volgare società dell’appiattimento e del consumo, che rappresenta l’asse portante della concezione zuccoliana della vita elegante. Formatosi a Oxford, in anni ed in ambienti per lui di capitale importanza e passati poi nel suo capolavoro con commossa nostalgia , Waugh, al pari di Zuccoli, non avrebbe, in seguito, fatto mistero delle sue simpatie per i governi forti e per le imprese coloniali di conquista, spingendosi, nel caso specifico dell’Abissinia, fino a parole di aperta ammirazione per il maresciallo Graziani, da lui incontrato . E. W, Preface (), in: E. W, Brideshead Revisited (), London, , p. : «It was impossible to foresee, in the spring of , the present cult of the English country house. It seemed then that the ancestral seats which were our chiefs national artistic achievements were doomed to decay and spoliation like the monasteries in the sixteenth century. [. . . ] And the English aristocracy has maintained its identity to a degree that then seemed impossible. The advance of Hooper has been held up at several points». . E. W, Brideshead Revisited, cit., p. : «‘It’s sad about Marchers, isn’t it? Do you know they’re going to build a block of flats, and that Rex wanted to take what he called a “penthouse” at the top. Isn’t it like him? Poor Julia. That was too much for her. He couldn’t understand at all; he thought she would like to keep up with her old home. Things have all come to an end very quickly, haven’t they? Apparently papa has been terribly in debt for a long time. Selling Marchers has put him straight again and saved I don’t know how much a year in rates. But it seems a shame to pull it down. Julia says she’d sooner that than to have someone else live there’». . S. H, Evelyn Waugh. A Biography, London, , p. : «Both Evelyn’s parents came of Scottish stock. On his father’s side his great–great–grandfather, the Revd Alexander Waugh (–), was descended from several generations of small tenant farmers in Berkwickshire, while his great–great–grandfather on his mother’s side was Henry, Lord Cockburn (–), the distinguished Scots judge, friend of Sir Walter Scott». . E. W, Brideshead Revisited, cit., p. : «Oxford — submerged now and obliterated, irrecoverable as Lyonnesse, so quickly have the waters come flooding in — Oxford, in those days, was still a city of aquatint. In her spacious and quiet streets men walked and spoke as they had done in Newman’s day; her autumnal mists, her grey springtime, and the rare glory of her summer days — such as that day — when the chestnut was in flower and the bells rang out high and clear over her gables and cupolas, exaled the soft airs of centuries of youth». . Cfr. L. Z, Luciano Zuccoli raccontato da Luciano Zuccoli, cit., pp. –. Luciano Zuccoli e la narrativa della vita elegante personalmente in Africa. Vale la pena di sottolineare come l’avallo fornito da Waugh alla conquista mussoliniana dell’Abissinia non abbia in realtà suscitato particolari reazioni di sdegno in quei critici e in quegli studiosi della sua opera che, in anni ormai non piú sospetti, si sarebbero visti costretti a fare i conti con l’atteggiamento antidemocratico e quasi reazionario del grande scrittore inglese e con la tolleranza da lui mostrata non solo nei confronti dell’uso dei gas da parte delle truppe italiane nella guerra d’Etiopia, ma in generale . E. W, Waugh in Abyssinia (), London, , pp. –: «The Viceroy’s apartments were tolerably furnished with the few gilt chairs and imitation French tables that had been salvaged. Graziani was in his Marshal’s field uniform sitting at a desk laden with official papers. The autocratic tradition persisted and he found himself, I was told, responsible for the details of every branch of the administration; every decision, however trivial, was referred to him. He gave me twenty minutes. I have seldom enjoyed an official audience more. His French was worse than mine, but better than my Italian. [. . . ] He was like the traditional conception of an English admiral, frank, humorous and practical. He asked where I had been, what I had seen, what I wanted to see. Whenever my requests were reasonable he gave his immediate consent. If he had to refuse anything he did so directly and gave his reasons. He did not touch on general politics or the ethics of conquest. He did not ask me to interpret English public opinion. How long had I got for my visit? Did that time include my return journey? He knew exactly how long it would take under existing conditions to reach any particular place, what facilities I should find for transport, what accomodation on arrival. [. . . ] He asked about the book I was going to write; said he was sure he would not have time to read it, and dismissed me. I left with the impression of one of the most amiable and sensible men I had met for a long time». . H. Carpenter, The Brideshead Generation. Evelyn Waugh and His Friends, London, , pp. – : «On August , in Addis Ababa, he attended “Fascist meeting in honour of German consul”, where he listened to “speeches in praise of Hitler and the unforgettable friendliness of Germany [to Italy] during the outrageous pro–barbarian sanctionist campaign” — that is, the sanctions against Italy in protest against the invasion of Ethiopia. Again, he made no comment in his diary. After three weeks, he was flown out of Ethiopia, to Tripoli, and was back in England in the second week of September, where he resumed work on the Ethiopian book. [. . . ] Turning briefly to the matter of poison gas and its use by the advancing Italians, he asserts that it “was used but accounted for only eighteen lives”, though he admits that “it is difficult to get reliable figures”. He makes no mention of the reports of gas–blindness he had heard at Harar. (In a article he says of the Italians’ use of gas that they sometimes “allowed themselves to behave as outlaws” because they had been “condemned to outlawry by the world”, though he agreed that “it was an action which all friends of Italy must deplore”). [. . . ] Waugh faithfully reports the depressing situation in Addis Ababa, the “general sense of insecurity” and “illusion of being besieged”, and says it would be “easy to write ironically about the Pax Romana”, but prophesied that a “second decisive campaign” was about to open in Ethiopia, the reconstruction of the country under Italian rule. And he declared: “The new regime is going to succeed”. Waugh in Abyssinia [. . . ] was published [. . . ] in October . The English Catholic press liked it, the Catholic Herald suggesting that the forty–odd nations who had imposed sanctions against Italy “could after all be largely wrong” [. . . ]. The Times Literary Supplement observed that Waugh was “a cynic turned idealist”, and said it hoped he was right in his prophetic conclusion [. . . ]. Writing in Horizon ten years after its publication, Rose Macaulay bluntly judged Waugh in Abyssinia “a Fascist tract”. This in itself (she said) was regrettable enough, yet she regretted even more Waugh’s failure as an artist in the book, and in its immediate predecessor, Edmund Campion: “What has gone from . Narrativa e vita elegante con la decisione italiana — all’origine delle sanzioni decretate contro il Paese — di creare un impero espandendosi in Africa. Senza dimenticare, nel confronto che siamo venuti tracciando tra gli atteggiamenti di Zuccoli e quelli di alcuni grandi narratori britannici del primo Novecento, che — all’epoca della guerra d’Etiopia — Zuccoli era già scomparso da oltre un lustro e che quindi lo scrittore italiano, a differenza di Waugh, non poté in alcun modo prendere posizione sulla politica coloniale mussoliniana, teniamo tuttavia a richiamare l’attenzione su una comune matrice ideale, riguardo a formazione intellettuale e a visione politica, che unisce gli scrittori, di cui abbiamo appena parlato. Il complesso di questi atteggiamenti (l’ammirazione per l’aristocrazia come luogo deputato della vita e dell’arte, il disprezzo antidemocratico per le masse, l’apprezzamento della guerra come efficace elemento di risoluzione dei problemi politici ed economici di una nazione, l’interesse esclusivo ed egocentrico per le proprie e non sempre significative complicazioni sentimentali, l’attrazione irresistibile per un mondo e una società destinati ad essere parzialmente travolti e comunque profondamente modificati dai due conflitti mondiali, il culto del gentiluomo espressione di una classe aristocratica dominatrice e capace quindi — secondo i precetti del Castiglione — di essere sempre padrone di sé stesso in qualunque circostanza o situazione), trova piena espressione in quella che Humphrey Carpenter ha felicemente definito la «Brideshead Generation» e nei suoi esponenti his view is detachment. . . He is no longer objective: he has come down on a side. In art so naturally ironic and detached as his, this is a serious loss; it undermines his best gifts”.». . Ivi, pp. –: «On February , a few days after fighting had broken out again on the Ethiopian border, an article by him appeared in the Evening Standard on the subject of Italian ambitions in Ethiopia. Headed “We Can Applaud Italy”, it dismissed as mere “sentimentalists” those of the liberal or left–wing persuasion who assumed that Ethiopia was a charming medieval backwater full of picturesque and immemorial folk–customs. In reality it was “capriciously and violently governed”, a nation which practised barbarities towards its neighbours [. . . ]. Italian conquest of such a land, continued Waugh, seemed positively “desirable”. It was “one of the facts of history” that barbarous and civilized nations could not live peaceably side by side: the victor would not necessarily be the possessor of the higher culture, but “the more virile” of the two. In the case of Italy, Ethiopia’s neighbour in East Africa by virtue of its colony in Eritrea as well as Somalia, its triumph over the barbarians could by no means be predicted. Had Mussolini’s programme of military training really produced an effective army, the first that Italy had had since the fall of the Roman Empire? If so, continued Waugh, “no greater triumph has been achieved by a single man, and no more severe test could have been chosen that the conquest of Abyssinia. It is an object which any patriotic European can applaud. Its accomplishment will be of service to the world. . . It will be the supreme trial of Mussolini’s regime. We can, with clear conscience, fold our hands and await the news on the wireless”. It was the sort of thing he had said when posing as a die–hard at the Oxford Union. He may have felt, as a Catholic, that a strong Rome had its attractions [. . . ]». Luciano Zuccoli e la narrativa della vita elegante di spicco come (oltre a Evelyn Waugh) Harold Acton, John Betjeman, Cyril Connolly, Maurice Bowra, Cecil Beaton, Anthony Powell e, per molti aspetti, anche Graham Greene. Di fondamentale importanza in questo gruppo elitario, come già per Wodehouse e Zuccoli, cui inoltre lo accomuna il gusto per l’ironia, è il distacco dalle masse e la presa di distanze dall’incipiente e volgare ascesa della società dei consumi, secondo una linea aristocratica, peraltro tracciata in precedenza da d’Annunzio nel suo piú famoso romanzo. Zuccoli non poteva prevedere che, soltanto una quarantina di anni dopo la sua morte, un gran numero, se non addirittura la totalità, dei pochi valori sopravvissuti al secondo dopoguerra sarebbero stati travolti dalla malaugurata tempesta del ’, aprendo definitivamente la strada alla società dell’ultima parte del Novecento e degli anni Zero del terzo millennio, quella della volgarità dilagante, del turpiloquio, delle apparizioni televisive di massa nei programmi finanziati da una martellante pubblicità, degli assassini gratificati da continui programmi televisivi e dibattiti giornalistici sui loro insensati delitti, dell’uguaglianza a tutti i costi non solo economica ma intellettuale, della pretesa senza condizioni (e senza meriti) di case, stipendi fissi e generi di lusso per tutti, delle violenze devastatrici della piazza sobillate da gruppi estremisti di sinistra e dai cosiddetti ‘centri sociali’, quella che Zuccoli aveva efficacemente chiamato «teppa sovversiva», . Ivi, p. : «All his professional life, he [Waugh] refused to go along with the majority, adopting right–wing views and mannerisms in protest against the decline of English culture into middlebrow trash, and playing Gilbert Pinfold, the barricaded artist contra mundum, as a response to the trivial values of modern society». . G. ’A, Il Piacere (), a cura di F. R, Milano, , pp.–: «Sotto il grigio diluvio democratico odierno, che molte belle cose e rare sommerge miseramente, va anche a poco a poco scomparendo quella special classe di antica nobiltà italica, in cui era tenuta viva di generazione in generazione una certa tradizion familiare d’eletta cultura, d’eleganza e di arte. A questa classe, ch’io chiamerei arcadica perché rese appunto il suo piú alto splendore nell’amabile vita del XVIII secolo, appartenevano gli Sperelli. L’urbanità, l’atticismo, l’amore delle delicatezze, la predilezione per gli studi insoliti, la curiosità estetica, la mania archeologica, la galanteria raffinata erano nella casa degli Sperelli qualità ereditarie. [...] Il conte Andrea Sperelli–Fieschi d’Ugenta, unico erede, proseguiva la tradizion familiare. Egli era, in verità, l’ideal tipo del giovine signore italiano del XIX secolo, il legittimo campione d’una stirpe di gentiluomini e di artisti eleganti, l’ultimo discendente d’una razza intellettuale». . R. G, Che vogliamo fare?, «Il Messaggero», novembre : «I nostri guai e i guai dell’Italia sono di antica data. I primi a convocarli sono stati i contestatori sessantottini che hanno messo in crisi il Paese smantellando le gerarchie fondate sul merito, irridendo i valori, insinuando in un popolo che non crede in niente il germe dell’intolleranza, del più falso egualitarismo». . L. Z, Luciano Zuccoli raccontato da Luciano Zuccoli, cit., p. . . Narrativa e vita elegante che piú volte ha dimostrato di poter agire liberamente all’insegna della devastazione e del cieco vandalismo. Si tratta di evidenti fenomeni di imbarbarimento della società (non solo italiana), che la letteratura della vita elegante di Wodehouse, Waugh e Zuccoli aveva implicitamente intuito, pur senza poterne in alcun modo immaginare la straordinaria espansione di lí a pochi decenni, e aveva cercato decisamente di contrastare proponendo, all’opposto, un ideale di vita basato sul reciproco rispetto, sulla separazione (che non è e non vuole essere segregazione) delle classi sociali e dei destini individuali, secondo criteri di nascita, di censo e di merito. Incomprensibile ormai per l’emergente classe sociale ‘unica’ del terzo millennio, desiderosa soltanto di essere appiattita ed indistinta in una sorta di gratificante ‘uguaglianza’ livellatrice a tutti i costi (vale a dire nella cancellazione a priori del merito, dell’individualismo, dell’eleganza e dell’intelligenza), e incline troppo spesso a esprimersi con la violenza, la lezione di «vita elegante», impartita da Zuccoli e dalla generazione di Brideshead, potrà forse essere nuovamente recepita ed apprezzata soltanto in un futuro (che appare per ora assai lontano) in cui si torni coraggiosamente a mettere al centro i criteri del valore individuale e della disuguaglianza. Si metterà cosí freno al distruttivo egualitarismo, avanzante e trionfante sotto quasi . P. V, Il finanziere con la pistola:«Uscita dalla fondina mentre mi picchiavano», «Il Messaggero», dicembre : «Guerriglia urbana nel cuore di una Roma impaurita il giorno della fiducia al governo Berlusconi tra scontri, feriti, assalti e barricate di fuoco. E il bilancio è pesante, fermati, quasi i feriti tra manifestanti e uomini delle forze dell’ordine, auto distrutte, blindati incendiati, palazzi imbrattati, bancomat distrutti e vetrine infrante. Tra i manifestanti finiti negli uffici della Questura ci sono minorenni, studenti universitari, un francese e giovani dei centri sociali fra i e i anni, arrivati anche da Genova, Orvieto, Todi, Chieti, Pescara, Forlì, Trento, Bari, Teramo, Napoli ed Asti [...]. Le accuse vanno dalla violenza, alla resistenza, alla devastazione e all’uso di armi improprie. [...] In alcuni casi i manifestanti hanno usato picconi ed altri oggetti contundenti per danneggiare i veicoli blindati posti a presidio delle sedi istituzionali, e a piazzale Flaminio sulle auto della polizia è stato versato liquido infiammabile». . L. G, Palermo, sassi contro la Questura, «Il Messaggero», dicembre : «Protagonisti delle violenze sono stati un migliaio di studenti con caschi e “book bloc”, pannelli di polistirolo che riproducono copertine di libri famosi. Sono stati loro a scontrarsi con i poliziotti in tenuta anti–sommossa quando hanno cercato di entrare a palazzo d’Orleans. [...] Gli studenti — travisati con caschi e con sciarpe — hanno lanciato petardi, sassi, uova e arance e scandito slogan contro il governo e la riforma Gelmini. [...] Sono state approntate barricate fumanti al centro della strada raggruppando cassonetti di rifiuti ai quali è stato dato fuoco. Sono continuati i lanci di pietre ed una giornalista dell’Ansa è stata raggiunta ad un braccio, riportando una seria contusione». . M. C, «Movimento nuovo e creativo, sopravviverà», «Il Messaggero», dicembre : «Una prognosi fausta è quella formulata dai “padri”, da alcuni degli esponenti piú in vista della generazione precedente: quella che costruì immense mobilitazioni fra il G genovese del e la campagna contro la guerra in Iraq. [...] “Questa è una generazione nuova sul serio, forse la prima Luciano Zuccoli e la narrativa della vita elegante tutte le latitudini e strettamente imparentato alla singolare convinzione che la sicurezza economica, il lavoro e la casa siano di colpo divenuti — per qualche imperscrutabile motivo — un ‘diritto’ inalienabile per tutti, da ricevere senza alzare un dito, anziché un faticoso obiettivo da perseguire in competizione con altri e grazie all’impegno e allo studio, ma anche per merito di un’intelligenza individuale che nessuna manifestazione di piazza potrà mai livellare. davvero post–novecentesca. Non sono più i figli dei sessantottini, ma i nipoti. [...] Sono come fari puntati su drammi e inquietudini che non sono solo loro, ma della società: il lavoro, la precarietà, il futuro”». Capitolo II La formazione di un narratore Sembra conveniente inserire nel discorso critico su Luciano Zuccoli una felice frase di Lucio d’Ambra, che unisce — in un abbraccio ideale, ma anche in un’accorta sintesi — tre dei quattro maestri del romanzo blu. Da Verona e Zuccoli, dunque, incoronati da d’Ambra come i due dominatori del romanzo italiano e, soprattutto, come padroni assoluti delle simpatie dei lettori del loro Paese nei primi due decenni del Novecento. Ed effettivamente il conte Zuccoli, notevolmente piú anziano di da Verona, anche se i due per un lungo periodo frequenteranno gli stessi ambienti milanesi, e giunto al successo quando Guido era poco piú che dodicenne, offriva non solo agli . L. ’A, La partenza a gonfie vele, Milano, , p. : «E furono, al Corriere della Sera, nell’anteguerra, gli anni migliori, quelli che fecero di Luciano Zuccoli, spartendo egli il reame librario con Guido da Verona, il romanziere più letto dal pubblico italiano». . Cfr. E. T, Il romanzo blu. Temi, tempi e maestri della narrativa sentimentale del primo Novecento, vol I–V, Roma, –. . G. P, Dizionario letterario Bompiani degli autori di tutti i tempi e di tutte le letterature, volume terzo, Milano, , p. : «Zuccoli, Luciano (conte von Ingenheim). N. a Calprino (Canton Ticino) il dicembre , m. a Parigi il novembre . Di famiglia aristocratica e aristocratico nello stile di vita e di costume, si lanciò giovanissimo nell’arringo letterario e pubblicistico: collaborò al fiorentino Marzocco, dal al diresse il giornale La provincia di Modena e, dal al , la Gazzetta di Venezia; più tardi i redditi della sua attività di narratore gli permisero di praticare in forme più indipendenti il giornalismo: fu collaboratore, tra l’altro, del Corriere della sera e della Illustrazione italiana. Trascorse a Parigi gli ultimi anni della vita. Fu romanziere fecondissimo, e gradito a un certo pubblico per la elegante seppur superficiale misura del suo stile, e anche per una diffusa coloritura di snobismo visibile nell’ambientazione della vicenda dei suoi romanzi. Partito da posizioni veristiche e dannunzianeggianti, lo Z., sotto l’influsso del Bourget, venne via via affinando la sua tecnica in quella che in un certo senso fu la sua ‘specialità’: l’analisi dell’anima femminile nei suoi primi confusi turbamenti erotici. Della lunga serie dei suoi racconti e romanzi, dal all’anno della morte, pubblicati con ritmo costante, si possono ricordare: I lussuriosi (), Il designato (), Roberta (), Il maleficio occulto (), Ufficiali, sottufficiali, caporali e soldati (), L’amore di Loredana (), Farfui (), La freccia nel fianco (), L’occhio del fanciullo (), Baruffa (), Le cose più grandi di lui (), e Lo scandalo delle Baccanti ()». . E. G, Notizia biografica in: P. V, La folla, a cura e con introduzione di E. G, Napoli, , p. : «Oltre i circoli politici dell’Estrema, Valera frequenta i luoghi di ritrovo degli intellettuali, come il caffè–ristorante Savini sotto la Galleria, dove incontra letterati, artisti, giornalisti, fra i quali F. T. Marinetti, Umberto Notari, Sem Benelli, Enrico Annibale Butti, Luciano Zuccoli, Marco Praga, Guido da Verona, Arrigo Boito, Arturo Colautti, Lina Cavalieri». Luciano Zuccoli e la narrativa della vita elegante appassionati della narrativa sentimentale, ma anche alla critica saccente e spocchiosa del primo Novecento italiano, una variante del romanzo blu e, contemporaneamente, del modo di atteggiarsi nella vera vita da parte dell’autore, piú convincenti e tali da soddisfare anche alcuni di quei giudici severi che, nell’opera di da Verona — non sempre giustamente — avevano trovato un eccesso di lirismo, una tendenza troppo facile alla canzonetta, un’esagerata esterofilia, un tono turgido da decadente imitatore a tutti i costi di d’Annunzio, e, nella sua vita, quell’insopportabile sregolatezza (le continue avventure amorose, i soggiorni nei grandi alberghi, il vizio del gioco, ecc.) tanto ostentata da offendere una classe critica ed accademica segnata da una vita grigia e mediocre, foriera di invidie e di frustrazioni. Luciano Zuccoli (attivissimo nel giornalismo, portato alla vita sobria, marito felice per oltre anni della stessa donna ) si presentava infatti — fin dal libro dell’esordio e pur nel pieno rispetto delle regole del romanzo blu — come scrittore asciutto, essenziale, elegante ma tutto cose dietro il velo della sua aristocratica ironia, stringato e sintetico nello stile, tanto lonta. L. Z, In cerca di una barba, Roma, , pp. –: «Non più tardi di ieri l’altro, un critico milanese, per dar conto d’un mio recente volume di novelle, diceva: “Novelle di amore con intrecci di cacce e di belve feroci; non mancano i soliti suicidi e le scene veriste”. Ebbene, in quel mio volume, non c’è né amore, né cacce, né suicidi, né scene veriste. Un altro mi osserva, a proposito di quelle novelle medesime che “una fanciulla di diciannove anni non può essere così ingenua”. Ha ragione, ma non s’è accorto che nella novella la fanciulla ha quindici anni e mezzo, e lo ripeto tre volte. La fanciulla di diciannove anni se l’è inventata lui, o è una sua vicina di casa. A proposito di un mio romanzo, un critico che scrive in un giornale di Siena, esclama: “quanto più complesse ed enimmatiche le anime di alcuni romanzi di Maeterlinck!”. Enimmatiche senza dubbio, aggiungo io, perché il Maeterlinck non ha mai scritto romanzi... Tutto il resto va bene. [...] Intanto a me è toccato, in quella classifica generale delle conoscenze vecchie, il titolo di mondano. E questo non mi piace. A me piacerebbe essere giudicato per uno di quegli scrittori originali e irsuti, che non lascian mai intravedere quel che faranno o diranno domani». . R. S, Le lettere (), Roma, , pp. –: «Zuccoli [...]. Anzi tutto sa raccontare. [...] le cose di Zuccoli hanno un taglio e uno spicco proprio: un interesse più di racconto che di trovata». . L. ’A, cit., p. : «Chiari e amichevoli pomeriggi della bella villetta fiorentina nel sol d’inverno e nel tepor delle stufe, mentre versava il tè agli ospiti la squisita e intelligente gentildonna russa, Olga de Buscen, consorte dello scrittore, tutta bontà e sacrifizio, sensibilità acuta e timidezza ritrosa, esempio di devozione e collaborazione spirituali, Olga de Buscen morta ancor giovane due anni or sono a Roma, dopo essere stata per trent’anni l’ammirevole compagna di Luciano Zuccoli... Impressionabile per ogni arte, poesia, pittura, musica, sottile, delicata, raffinata, variamente colta, intelligenza squisita d’associée nella casa e nella vita di un artista, Olga Zuccoli–de Buscen avrebbe voluto costringere lo scrittore sui precisi binarii che l’ingegno gli aveva assegnati: — “Romanzi... Romanzi...”. Ma il romanziere voleva invece deviare: — “Non ne posso più, diceva, di quiete bozze di stampa... Basta coi romanzi! Ah, il giornale, il giornale, la polemica, l’attrito quotidiano, il combattimento continuo scatenando con un solo articolo l’ira di Dio...” ». . A. G e A. A, La letteratura italiana, Bologna, , p. : «Luciano Zuccoli [...]