Università degli Studi di Milano - Bicocca Facoltà di Psicologia Corso di Laurea in Discipline della Ricerca Psicologico-Sociale La terapia di gruppo nei disturbi del comportamento alimentare Relatore Dott.ssa Monica Colombo Prova Finale di Marco Bassoli Matricola n. 061421 Anno Accademico 2009 – 2010 Indice Riassunto 3 Abstract 3 Introduzione 4 Capitolo 1: I Disturbi del Comportamento Alimentare 5 1.1) Anoressia, Bulimia e Binge Eating Disorder 5 1.2) La Valutazione: Anamnesi e Strumenti psicometrici 11 1.3) La Terapia 17 Capitolo 2: La Terapia di Gruppo 23 2.1) Caratteristiche generali 23 2.2) Ruolo del Terapeuta e Formazione del Gruppo 27 2.3) Tipologie e confronto con la Terapia individuale 31 Capitolo 3: Trattamento di un Gruppo “Binge Eating Disorder” 34 3.1) Progetto di percorso 34 3.2) Esperienza Terapeutica di Gruppo 37 3.3) Risultati 39 Conclusioni 51 Bibliografia 52 Appendice 55 2 Riassunto Il presente lavoro illustra un’esperienza Terapeutica di Gruppo per il trattamento dei Disturbi del Comportamento Alimentare. Tali disturbi costituiscono l’insieme di tutte le sindromi psichiatriche che si manifestano attraverso un comportamento alimentare disturbato. La multifattorialità nella genesi di tali patologie, l’elevata percentuale d’insuccessi, ricadute e cronicizzazione, spingono ad implementare interventi rivolti al corpo, alla mente, al contesto famigliare ed all’ambito sociale e culturale nel quale il soggetto è inserito. Molte delle caratteristiche tipiche dei Disturbi Alimentari, quali le idee errate circa la nutrizione e l'immagine del corpo, i sentimenti di bassa autostima e di profonda solitudine che questi soggetti sperimentano, si prestano bene ad essere affrontate in un contesto gruppale, il quale facilita il confronto e concorre a creare un'atmosfera di mutuo supporto che rende più efficaci gli interventi terapeutici. Abstract This paper presents an experience of Group Therapy for the treatment of Eating Disorders. These disorders are the set of all psychiatric syndromes that are manifested through a disturbed eating behavior. The multifactorial nature in the genesis of these pathologies, the high percentage of failures, relapses and chronicity, make it necessary to implement interventions aimed at the body, mind, family background and social and cultural sphere in which the person is embedded. Many of the typical Eating Disorders characteristics, such as misconceptions about nutrition and body image, feelings of low self-esteem and profound loneliness which these individuals experience, are well suited to be dealt with in a context group, which facilitates comparison and helps create an atmosphere of mutual support that makes therapeutic interventions more effective. 3 Introduzione Questo lavoro presenta un’esperienza che illustra l’uso della Terapia di Gruppo nei Disturbi Alimentari, in specifico per la patologia Binge Eating Disorder. Tra i Disturbi Alimentari si distinguono tre categorie: Anoressia Nervosa, Bulimia Nervosa e Disturbo dell’Alimentazione non Altrimenti Specificato (la cui forma più studiata è il Disturbo da Alimentazione Incontrollata o Binge Eating Disorder). L’Anoressia Nervosa è una malattia complessa caratterizzata da un'immagine distorta del proprio corpo e dal rifiuto del cibo; si parla di Bulimia Nervosa quando un individuo ingurgita enormi quantità di cibo per poi liberarsene tramite condotte compensatorie (vomito, abuso di lassativi/diuretici, clisteri, digiuno ed esercizio fisico eccessivo); il Binge Eating Disorder è caratterizzato dai ricorrenti episodi di abbuffate tipici della bulimia nervosa senza regolari condotte compensatorie. La Terapia di Gruppo, nata negli anni Quaranta, ha subito da allora una serie di adattamenti per potersi adeguare all'evoluzione della pratica clinica. La molteplicità delle forme è oggi così evidente che non è corretto parlare di Terapia di Gruppo, ma si deve piuttosto parlare di Terapie di Gruppo. Tale approccio terapeutico, con l’ausilio di varie tecniche psicologiche, fornendo ai pazienti uno spazio dove interagire liberamente con gli altri ed aiutandoli ad individuare e comprendere ciò che non va nel loro modo di entrare in relazione, permette di ottenere importanti risultati anche nei Disturbi Alimentari. Gli strumenti psicometrici per lo studio dei Disturbi Alimentari sono diventati sempre più numerosi negli ultimi anni. Essi trovano larga applicazione a livello di screening diagnostico (clinico ed epidemiologico), valutazione degli indici di gravità, studi di follow-up, storia naturale dei disturbi e loro risposta a vari tipi di trattamento. Nel lavoro presente, i test psicometrici utilizzati sono il Binge Eating Scale (BES), il Body Uneasiness Test (BUT) ed il Sympton Chek List 90 Revised (SCL-90R); che nell’ambito della Terapia Gruppale, hanno permesso di valutare i sintomi delle abbuffate, il disagio relativo alla propria immagine corporea e lo stato psicopatologico generale. Vedremo come tali test, insieme ai verbali degli incontri e soprattutto all’osservazione, ci abbiano fornito utili indicazioni sull’impatto della terapia proposta. 4 Capitolo 1: I Disturbi del Comportamento Alimentare 1.1) Anoressia, Bulimia e Binge Eating Disorder I Disturbi del Comportamento Alimentare, costituiscono l’insieme di tutte le sindromi psichiatriche che si manifestano attraverso un comportamento alimentare disturbato. All’interno di questa definizione, il DSM-IV (American Psychiatric Association, 1994) distingue tre categorie patologiche: • Anoressia Nervosa • Bulimia Nervosa; • Disturbo dell’Alimentazione non Altrimenti Specificato (NAS). Essi non sono secondari a nessuna condizione medica o psichiatrica conosciuta ma riconoscono la loro origine in situazioni biologiche, psicologiche e sociali. In merito alla Diagnosi, nonostante l'introduzione dei sistemi classificatori dell'International Classifìcation of Diseases (ICD – la cui prima edizione risale al 1948, mentre l’ultima del 1994 è l’ICD-10) e del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM) (dell'American Psychiatric Association o APA), abbia ampiamente rimaneggiato e ridefinito negli ultimi vent'anni la nosografia dei Disturbi Alimentari, e la decima edizione del primo e la quarta del secondo, con i nuovi criteri proposti abbiano rappresentato un’evoluzione nella comprensione delle caratteristiche cliniche di queste patologie attraverso una specifica definizione e distinzione dei due più importanti disturbi, l'Anoressia Nervosa e la Bulimia Nervosa, rimangono a tutt'oggi molti problemi irrisolti. Tuttavia l'aver stabilito dei confini più netti tra le due patologie ha avuto un effetto sostanziale oltre che sulla clinica anche sulla cura e sulla ricerca (Walsh e Garner, 1997). Per quanto concerne il DSM, la prima versione redatta dall’APA risale al 1952 (DSM-I), successivamente nuove edizioni sono state pubblicate nel 1968 (DSM-II), nel 1980 (DSM-III), nel 1987 (DSM-III-Revised), nel 1994 (DSM-IV) e nel 2000 (DSMIV-Text Revision o DSM-IV-TR, quella attualmente in vigore. Il DSM IV del 1994, tra le altre novità, ha avuto il merito di aver individuato un'altra categoria diagnostica, il Disturbo dell’Alimentazione non Altrimenti Specificato (NAS), di cui fa parte il Disturbo da Alimentazione Incontrollata (o Binge Eating Disorder - BED), che affligge 5 individui che presentano alcuni ma non tutti i criteri diagnostici dell'Anoressia o della Bulimia ed il cui quadro clinico può presentarsi spesso altrettanto grave e complicato. Tra i Disturbi Alimentari, Anoressia e Bulimia sono patologie ad esito potenzialmente infausto, se non curate con attenzione. Gli anoressici possono lasciarsi letteralmente morire di fame, mentre fra i bulimici è elevato il tasso di suicidio. Le alterazioni metaboliche o di altra natura causate dall'irregolarità del loro comportamento alimentare fanno aumentare, inoltre, il rischio di malattie cardiache. Allo scopo di fornire delle categorie inerenti il peso ponderale, alla metà degli anni ottanta si è fatta largo una formula per calcolare il Body Mass Index “BMI” (o Indice di Massa Corporea – IMC), calcolato come rapporto tra peso in chilogrammi e il quadrato dell'altezza espressa in metri. In base al valore di BMI, l’Organizzazione mondiale della sanità, ed in parte anche la medicina generica, usa delle categorie per definire termini da “magrezza” fino ad “obesità” in diverse sfumature: • < 16,0: denutriti • tra 16,0 e 18,4: sottopeso • tra 18,5 e 24,9: normopeso • tra 25,0 e 29,9: sovrappeso • tra 30,0 e 34,9: obesità di I° grado (leggera) • tra 35,0 e 39,9: obesità di Il° grado (media) • ≥ 40,0: obesità di III° grado (grave) Qual è la definizione di Anoressia Nervosa? È una malattia complessa caratterizzata da un'immagine distorta del proprio corpo e dal rifiuto del cibo. Secondo il DSM-IV (American Psychiatric Association, 1994) tale patologia è caratterizzata da: A. Rifiuto di mantenere il peso corporeo al livello o al di sopra del peso minimo normale per l'età e l’altezza (ad esempio perdita di peso che porta a mantenere il peso corporeo al di sotto dell'85% rispetto a quanto previsto o incapacità di raggiungere il peso previsto durante il periodo della crescita in altezza, con la conseguenza che il peso rimane al di sotto dell'85% rispetto a quanto previsto). B. Intensa paura di acquistare peso o diventare grassi, anche quando si è sottopeso. C. Alterazione del modo in cui il soggetto vive l’aspetto ed il peso corporeo, eccessiva influenza del peso e la forma del corpo sull’autostima, rifiuto di ammettere la gravità della condizione di sottopeso. D. Nelle femmine dopo il menarca, amenorrea, cioè assenza di almeno tre cicli mestruali consecutivi (una donna viene considerata amenorroica se i suoi cicli si 6 manifestano solo a seguito di somministrazione di ormoni, per esempio estrogeni). Nel DSM-IV è prevista una sottoclassificazione in due sottotipi di Anoressia Nervosa: • con restrizioni: nell'episodio attuale il soggetto non ha presentato regolarmente abbuffate o condotte di eliminazione; • con abbuffate e/o condotte di eliminazione (binge eating / purging type): nell'episodio attuale il soggetto ha presentato regolarmente abbuffate e/o condotte di eliminazione (per esempio vomito autoindotto, uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi). Il due sottotipi di Anoressia, con restrizioni e con abbuffate e/o condotte di eliminazione, si differenziano, inoltre, per differenti caratteristiche di personalità. In particolare i soggetti del primo sottotipo mostrano caratteristiche ossessive di personalità, più ansia sociale e sono normalmente più isolati, mentre quelli del secondo gruppo mostrano più problemi nell'area del controllo degli impulsi. In merito al limite di peso ponderale che indica la probabile presenza di Anoressia, è possibile fare riferimento, come peraltro nei criteri diagnostici dell’ICD-10 per la ricerca (1992), ad un valore di BMI minore od uguale a 17,5 Kg/m2 (De Giacomo, Renna, Santoni Ragiu, 2005). Quando si parla di Bulimia Nervosa? Quando un individuo ingurgita enormi quantità di cibo per poi liberarsene tramite condotte compensatorie. Anche per la diagnosi di quest’ultima si fa riferimento al DSM-IV (American Psychiatric Association, 1994): A. Ricorrenti episodi di abbuffate compulsive. Un'abbuffata è caratterizzata da: • mangiare in un definito arco di tempo, in genere due ore, un quantitativo di cibo significativamente maggiore di quello che la maggior parte delle persone consumerebbe nello stesso tempo e in circostanze simili; • sensazione di perdere il controllo durante l'episodio, cioè di non riuscire a smettere di mangiare o a controllare cosa e quanto si sta mangiando. B. Ricorrenti e inappropriate condotte compensatorie volte a prevenire l'aumento del peso corporeo, quali vomito autoindotto, abuso di lassativi, diuretici, enteroclismi o altri farmaci, digiuno o esercizio fisico eccessivo. C. Le abbuffate e le condotte compensatorie incorrono con una frequenza minima di due volte a settimana, per tre mesi. 7 D. I livelli di autostima sono indebitamente influenzati dalla forma e dal peso corporei. E. L'alterazione non si manifesta esclusivamente nel corso di episodi di anoressia nervosa. Anche per la Bulimia Nervosa, il DSM-IV prevede due sotto-tipi: • con condotte di eliminazione (purging type): nell'episodio attuale il soggetto ha presentato regolarmente vomito autoindotto o uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi; • senza condotte d'eliminazione (non purging type): nell'episodio attuale il soggetto ha utilizzato regolarmente altri comportamenti compensatori inappropriati, quali il digiuno o l'esercizio fisico eccessivo, e non si è dedicato regolarmente al vomito autoindotto o all’uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi. La suddivisione della Bulimia, con condotte di eliminazione e senza condotte di eliminazione, sottende una differenza non solo di tipo comportamentale ma anche di tipo psicopatologico e prognostico. I soggetti del primo sottotipo che sono stati i più studiati, generalmente presentano un peso più basso, più sintomi depressivi e maggiore grado di insoddisfazione per la forma del corpo e il peso. Più frequentemente presentano, inoltre, disturbi idroelettrolitici. Poco si sa ancora delle caratteristiche dei soggetti appartenenti al secondo sottotipo. Non è affatto semplice fare diagnosi di Bulimia perché alcuni soggetti possono essere in sovrappeso, altri possono avere un peso normale ed altri possono addirittura avere un peso inferiore alla norma. Il DSM-IV ha avuto il merito di introdurre una nuova categoria diagnostica il Disturbo dell'Alimentazione non Altrimenti Specificato (NAS), la cui diagnosi è riservata ad una larga quantità di soggetti che hanno un Disturbo Alimentare che non soddisfa tutti i criteri per l'Anoressia o per la Bulimia Nervosa. La definizione NAS non deve farci pensare che sono disturbi meno importanti. Alcuni tra questi si presentano con quadri clinici piuttosto seri e complicati. Inoltre, i disturbi dell'alimentazione NAS sono la categoria diagnostica di più frequente riscontro e che spesso rappresenta l'esito di altri disturbi quali l'Anoressia Nervosa e la Bulimia Nervosa. Tuttavia sono i meno studiati e non sono ancora stati condotti studi significativi sul loro trattamento (Fairburn e Bohn). 8 Riportiamo qui di seguito i criteri previsti dal DSM-IV (American Psychiatric Association, 1994): 1. Sono presenti tutti i criteri dell'Anoressia Nervosa tranne l'amenorrea. 2. Sono presenti tutti i criteri dell'Anoressia Nervosa tranne la significativa perdita di peso. 3. Sono presenti tutti i criteri della Bulimia Nervosa ma le abbuffate e le condotte compensatorie hanno una frequenza inferiore a due episodi a settimana per tre mesi. 4. Sono presenti condotte compensatorie anche dopo l'ingestione di piccole quantità di cibo in soggetti con peso nella norma. 5. I soggetti masticano e sputano ripetutamente grandi quantità di cibo senza deglutirle 6. Sono presenti ricorrenti episodi di abbuffate in assenza delle regolari condotte compensatone tipiche della Bulimia Nervosa (Disturbo da Alimentazione Incontrollata). L'ultima condizione viene definita Disturbo da Alimentazione Incontrollata e rappresenta uno dei più frequenti e importanti Disturbi Alimentari NAS, che sempre più spesso è individuato negli studi clinici e sulla popolazione generale come disturbo distinto, che necessita di un approccio specifico comportando differenti problemi medici oltre che psicopatologici. Il Disturbo da Alimentazione Incontrollata o Binge Eating Disorder (BED), attualmente diagnosticabile quale disturbo alimentare non altrimenti specificato (NAS), è riportato nell’Appendice B del DSM-IV tra le nuove manifestazioni cliniche proposte per ulteriori ricerche. Questo disturbo, seppur caratterizzato dai ricorrenti episodi di abbuffate tipici della Bulimia Nervosa, non contempla le regolari condotte compensatorie inappropriate quali vomito, abuso di lassativi/diuretici, clisteri, digiuno ed esercizio fisico eccessivo. Riportiamo i criteri proposti per la ricerca dal DSM-IV (American Psychiatric Association, 1994): A. Ricorrenti episodi di abbuffate compulsive. Un'abbuffata si caratterizza per: 1) il consumare in un periodo di tempo definito, in genere 2 ore, un quantitativo di cibo significativamente maggiore a quello che la maggior parte delle persone consumerebbe nelle stesso tempo ed in circostanze simili; 9 2) la sensazione di perdere il controllo, cioè di non riuscire a smettere di mangiare o controllare cosa e quanto si sta mangiando. B. Gli episodi di alimentazione incontrollata si associano ad almeno tre dei sintomi che seguono: 1) mangiare molto più rapidamente del normale; 2) mangiare fino a sentirsi spiacevolmente pieni; 3) mangiare grandi quantitativi di cibo anche se non ci si sente fisicamente affamati; 4) mangiare da soli per l'imbarazzo causato dalla quantità di cibo ingerito, 5) sentirsi disgustato verso se stesso, depresso o in colpa dopo gli abusi di cibo. C. Presenza di disagio marcato relativo al mangiare incontrollato. D. L'alimentazione incontrollata occorre almeno due volte a settimana per un periodo di sei mesi. E. L'alimentazione incontrollata non risulta associata ad uso regolare di condotte compensatorie, e non si verifica esclusivamente nel corso di anoressia nervosa o bulimia nervosa. In sostanza, i criteri diagnostici del DSM-IV individuano soprattutto nell'assenza di utilizzazione sistematica di comportamenti compensatori inappropriati l'elemento che permette di distinguere il BED dalla Bulimia Nervosa. Inoltre nella maggior parte dei casi il comportamento alimentare incontrollato viene scatenato da depressione, ansia e tensione. 10 1.2) La Valutazione: Anamnesi e Strumenti psicometrici La Valutazione, che deve comprendere un’indagine approfondita degli aspetti organici, psichiatrici, psicologici, familiari e sociali è un momento complesso ma fondamentale che oltre a consentire di fare diagnosi, consente una prima presa di contatto empatico col paziente e la sua famiglia, e prepara il vero e proprio intervento terapeutico. Nonostante non vi sia un protocollo di valutazione dei Disturbi Alimentari universalmente accettato, tutti concordano sulla necessità di un assessment ampio, data la natura eterogenea e multideterminata di queste patologie (Garner, 1995). Diagnosi, Valutazione, e Misurazione, devono riguardare il comportamento alimentare disturbato, gli aspetti organici, la psicopatologia specifica e aspecifica, la motivazione e l'ambiente familiare e sociale. Un'Anamnesi approfondita deve mirare a raccogliere le seguenti informazioni: la storia del peso corporeo oltre che il peso attuale, la storia del ciclo mestruale e gli atteggiamenti del soggetto nei confronti del ciclo mestruale, la presenza di abbuffate, la storia della dieta, il tipo e la frequenza dei comportamenti volti all'ottenimento della perdita di peso utilizzati, la storia della famiglia nucleare e allargata, la motivazione al cambiamento. Contestualmente vanno valutate le condizioni fisiche e la presenza di comorbidità organiche tramite l'espletamento di esami clinici, chimico-fisici e strumentali. A proposito della psicopatologia specifica relativa al peso ed all'immagine corporea vanno indagate: la ricerca della magrezza, la paura di ingrassare, l'insoddisfazione per il peso e la forma del proprio corpo, la percezione alterata della propria taglia corporea, le pressioni socio-culturali alle quali il soggetto è esposto. Deve essere allo stesso tempo rilevata la presenza di alterazioni psicopatologiche più generali descritte in soggetti con disturbo dell'alimentazione: sentimenti d’inefficacia, bassa autostima, mancanza di autonomia, ossessività, ipersensibilità interpersonale, introversione, abilità relazionali scarse e cattivo funzionamento sociale, ansia sociale, dipendenza, perfezionismo, paura della maturità psicobiologica, scarso controllo nell'area degli impulsi, sensazione di essere controllati da forze esterne, evitamento del conflitto, patologia dello sviluppo, fallimento del processo di separazioneindividuazione, vulnerabilità all'abuso di sostanze, deficit nel riconoscimento degli stimoli enterocettivi, pattern di pensiero disfunzionali, depressione, reazioni ad abuso sessuale. Inoltre, bisogna cercare di stabilire quanto della sofferenza psicologica, le alterazioni cognitive e i sintomi comportamentali, siano attribuibili ad un disturbo emozionale di base, o invece, non siano una conseguenza della malnutrizione (Keys e coll., 1950). Diagnosi, Valutazione e Misurazione psicopatologica vengono effettuate mediante colloquio clinico, interviste cliniche (semistrutturate e strutturate) e la somministrazione di questionari di self-report e self-monitoring (auto-somministrati quindi strutturati). Gli Strumenti psicometrici per lo studio dei Disturbi dell'Alimentazione trovano applicazione nello screening diagnostico (clinico ed epidemiologico), nella valutazione degli indici di gravità e negli studi di follow-up, sulla storia naturale dei disturbi e sulla loro risposta a vari tipi di trattamento (Cuzzolaro e coll. 1997). Secondo la teoria classica della misura, al test come strumento di misura, si richiede che siano verificate (Boncori, 2006): • l’attendibilità: se un test dichiara di misurare una data caratteristica, la misura ottenuta applicandolo dovrebbe risultare sempre la stessa, chiunque sia l’operatore, qualunque sia il momento in cui il test viene somministrato, qualunque forma alternativa del test sia somministrata; • la validità: capacità di un test di misurare la caratteristica che dovrebbe misurare e per la quale è stato progettato e costruito. La somministrazione di strumenti psicometrici assicura innegabili vantaggi quali l'oggettività della valutazione, la condivisibilità dei risultati tra diversi operatori, la possibilità di seguire nel tempo l'andamento del disturbo, attribuendo peso specifico differenziato all'azione di interventi terapeutici di varia natura; forniscono, inoltre, una guida per la pianificazione degli interventi e per gli adeguamenti successivi. I risultati psicometrici, avulsi dal contesto del processo diagnostico hanno un significato limitato, inoltre, una somministrazione impropria ne riduce drasticamente il valore. Anche i processi psicologici sottostanti alla comprensione delle domande e alle risposte dei test sono di fondamentale importanza. Infatti vari tipi di response bias, come desiderabilità sociale, risposte estreme, tendenza sistematiche a favore del sé. Le scale psicometriche possono consentire una valutazione diretta da parte dell’operatore mediante interviste semistrutturate, oppure è il soggetto a rispondere ad interviste strutturate. Si distinguono, pertanto: • Scale di eterovalutazione (Observer-Rated Measures, O-RM); 12 • Scale di autovalutazione (Self-Report Inventories, S-RI). Le Scale di eterovalutazione (De Giacomo, Renna, Santoni Ragiu, 2005) vengono somministrate da un intervistatore. Il vantaggio è di evitare la sopravalutazione, spesso derivante dagli strumenti di auto-informazione, in quanto l'intervistatore in qualità di esperto clinico è capace di una definizione più accurata e affidabile del quadro psicopatologico. A livello di Scale di eterovalutazione (De Giacomo, Renna, Santoni Ragiu, 2005), negli u l t i m i anni sono state sviluppate numerose interviste strutturate e semistrutturate che trovano applicazione per i Disturbi Alimentari, quali il Clinical Rating Disorder Rating Instrument (CEDRI, Palmer e coll., 1987), l’interview for Diagnosis of Eating Disorders (IDED, Williamson, 1990), la Structured Interview for Anorexia Nervosa (SIAN, Fichter e coll., 1991), l’Eating Disorder Examination (EDE, Fairbum e Cooper, 1993), Structured Interview far Anorexic and Bulimic Disorders (SIAB, 3a revisione, Fichter e coll., 1999). Le Scale di autovalutazione (De Giacomo, Renna, Santoni Rugiu, 2005), cioè auto-somministrate, hanno i pregi della facilità e della rapidità d'impiego. Il paziente stesso fornisce e registra dati riguardanti il suo disturbo. Vi è però la possibilità di risposte false, involontarie o deliberate. Un caso particolare è il rischio di response sets, cioè di risposte seriali: il soggetto in esame risponde in modo relativamente indipendente dal contenuto specifico dei singoli items e, per esempio, tende a privilegiare in modo sistematico le risposte affermative oppure quelle negative o, ancora, quelle socialmente più gradite. Tuttavia le scale di auto-valutazione hanno il vantaggio di essere economiche, minimizzano gli errori dovuti all'intervistatore e ad altre minacce potenziali alla validità, che possono essere determinate dall'interazione tra intervistatore e soggetto. Ora ne vediamo brevemente alcune impiegate per i Disturbi Alimentari. Il Binge Eating Scale (BES, Gormally e coll., 1982 – Appendice: Allegato 1) è fra gli strumenti più utili e diffusi nello studio psicometrico dei soggetti affetti da disturbo da alimentazione incontrollata per verificare la presenza di sintomi legati alle abbuffate. E' un test diretto alla valutazione del comportamento alimentare e, in particolare aiuta a valutare la gravità del sintomo abbuffata compulsiva (binge eating scale). 13 La sua compilazione deve essere effettuata selezionando l'affermazione che sembra più adatta a descrivere la propria condizione emotiva. Per ciascuno dei 16 gruppi di affermazioni è necessario selezionare una sola tra quattro possibilità. I risultati sono interpretati nel seguente modo: la presenza di “sintomi di binge eating” è improbabile se il punteggio complessivo è < 17, è possibile se il punteggio complessivo è compreso tra 17 e 27, è probabile se il punteggio complessivo è > 27 Il Body Uneasiness Test (BUT, versione italiana di Cuzzolaro e coll., 1999 – Appendice: Allegato 2) è un test che esplora il disagio relativo all’immagine del proprio corpo. È composto da 71 item con risposta a scelta multipla (scala Likert), ed è diviso in due parti: • “BUT a”: composta da 34 item che esplorano atteggiamenti verso il corpo. Risultati: GSI (Indice globale di gravità), WP (paura morbosa-fobia dell'aumento di peso), BIC (preoccupazioni eccessive per il proprio aspetto fisico), A (evitamento collegato all’immagine del corpo), CSM (controllo compulsivo della propria immagine), D (depersonalizzazione ovvero i vissuti di distacco e di estraneità rispetto al proprio corpo). • “BUT b”: composta da 37 item che indagano su specifiche parti e funzioni del corpo. Risultati: PST (numero di item con punteggio ≥1), PSDI (media dei punteggi degli item con punteggio ≥ 1, cioè degli item contati da PST ≥1 diviso per il numero di risposte date). Come interpretare il risultato finale del BUT? la presenza di un disagio del corpo clinicamente significativo è improbabile se il punteggio GSI è < 1,2, mentre la presenza di un disagio del corpo clinicamente significativo è probabile se il punteggio GSI è >1,2. Gli altri punteggi e le risposte ai singoli item possono essere d’aiuto per individuare aree problematiche sulle quali soffermarsi nel dialogo clinico e nel lavoro terapeutico e per seguire l’andamento dei fenomeni nel corso del tempo. Altre scale di autovalutazione utilizzate nei Disturbi Alimentari sono: Eating Attitudes Test (EAT, Garner e Garfinkel, 1979); Eating Disorders Inventory e Eating Disorders lnventory-2 (EDI, Garner, Olmsted e Polivy, 1983; EDI-2, Garner, 1991); Bulimia Test e Bulimia Test-Revised (BULIT, Smith e Thelen, 1984; BULIT-R, Theien, 1991); Tree Factor Eating Questionnaire (TFEQ, Stunkard e Messick, 1985); Setting Condition Anorexia Nervosa Scale (SCANS, Slade e Dewey, 1986); Bulimic Investigatory Test of Ediburgh (BITE, Henderson e Freeman, 1987); Structured Interview for Anorexic and Bulimie Disorders (SIAB-S, 3a rev., Fichtere coll., 1998). 14 Un’altra scala di autovalutazione, non specifica, ma impiegata spesso anche nei Disturbi Alimentari è il Sympton Chek List 90 Revised (SCL-90R, Derogatis, 1997 – Appendice: Allegato 3), uno strumento diagnostico e di screening che misura lo stato psicopatologico generale (quindi dei sintomi psichiatrici). È formato da 90 items con risposta a scelta multipla (scala Likert), che compongono le seguenti dimensioni sintomatologiche: • somatizzazione (riflette disturbi che sorgono dalla percezione di disfunzioni corporee); • ossessione e compulsione (pensieri, impulsi e azioni sperimentate come incoercibili e non volute dal soggetto); • sensibilità interpersonale (sentimenti di inadeguatezza e inferiorità nei confronti di altre persone); • depressione (riassume un ampio spettro di sintomi concomitanti ad una sindrome depressiva); • ansietà (insieme di sintomi e comportamenti correlati ad un'ansia manifesta); • ostilità (pensieri, sentimenti e azioni caratteristici di uno stato di rabbia, irritabilità e risentimento); • fobia (persistente risposta di paura irrazionale e non proporzionata nei confronti di persone, luoghi ed occasioni specifici che conduce a comportamento di evitamento/fuga); • psicoticismo (pur includendo alcuni sintomi primari della schizofrenia, come allucinazioni, estraneità del pensiero, è da intendersi come una dimensione continua dell'esperienza umana caratterizzata da ritiro, isolamento e stile di vita schizoide); • ideazione paranoide (disturbo del pensiero caratterizzato da sospetto, paura di perdita di autonomia misto ad ostilità ed idee di riferimento); • disturbi del sonno (insonnia, sonno disturbato, risveglio precoce). Inoltre si ottengono anche i seguenti risultati: • GT = somma di tutti i 90 item; • Indice Globale di Gravità (GSI) = somma di tutti i 90 item (GT)/90, quindi è il punteggio medio; • Totale Sintomi Positivi (PST) = somma del numero di sintomi autoriferiti (quindi ≥ 1); • Indice del Distress dei Sintomi Positivi (PSDI) = GT/PST. 15 Il test S.C.L. 90/R si prefigge di indigare la sintomatologia in una popolazione apparentemente normale, valutare i cambiamenti nella sintomatologia sia per parametri specifici che per indici generali, favorire la predisposizione delle basi cliniche per fare la prognosi sul paziente, formulare una diagnosi psichiatrica (con riferimento al DSM IV) utilizzando la valutazione ottenuta. Altri questionari, che possono essere utilizzati per la valutazione della personalità o la presenza di psicopatologia generale (De Giacomo, Renna, Santoni Rugiu, 2005), sono: Minnesota Multiphasic Personality Inventory (MMPI, Hathaway e McKinley, 1940); Beck Depression Inventory (BDI, Beck e coll., 1976); Dissociation Questionnaire (DIS.Q, Vanderlinden e coll., 1993); Self Esteem Inventory (SEI, versione italiana di Cuzzolaro, 1996). La valutazione e la misurazione dovrebbero comprendere sempre i familiari quando possibile (De Giacomo, Renna, Santoni Rugiu, 2005). Possono essere somministrati ai familiari l’SCL-90, il MMPI, il Five Minutes Speech Sample (FMSS, Gottschalk e Gleser, 1969) e il Family Adaptability and Cohesion Evaluation Scales III (FACES-III, Olson, 1985). È necessario tenere presente che il processo diagnostico non può esaurirsi con la somministrazione di test e questionari, ma deve sempre essere affiancato da un approfondito Colloquio clinico con il paziente (Giovanni, 2007). Il colloquio clinico è una tecnica di osservazione e di studio del comportamento umano per raccogliere informazioni (fine diagnostico), motivare (fine terapico), ed informare (orientamento). Il colloquio clinico è un caso particolare della vita di relazione del soggetto: la personalità dell’esaminatore entra attivamente in questo rapporto condizionandolo. È importante che l’esaminatore sia consapevole di influire attivamente sugli atteggiamenti assunti dal soggetto anche quando il suo ruolo non è di intervento attivo. Soprattutto nel colloquio, è fondamentale essere consapevoli dell’esistenza di “meccanismi di difesa” (Trentini G., 2004), e cioè delle operazioni mentali messe in atto dall’Io, a livello inconscio, per proteggersi dai movimenti affettivi dolorosi legati a qualche situazione spiacevole e per risolvere i propri conflitti. I più conosciuti sono: introiezione, proiezione, identificazione, interiorizzazione, identificazione proiettiva, fissazione, regressione, sublimazione, negazione, rimozione, repressione degli affetti, formazione reattiva, asceticismo, razionalizzazione, traslocazione, isolamento, intelettualizzazione, perfezionismo, ritiro emotivo, autismo. 16 1.3) La Terapia Nel diciannovesimo secolo le terapie proposte per la cura dell'Anoressia Nervosa (gli altri disturbi dell'alimentazione non erano ancora giunti all'evidenza clinica) si basavano essenzialmente su interventi di tipo morale e nutrizionale. All'inizio del novecento, in seguito alle ricerche di Simmonds che riteneva l'anoressia causata da un'insufficienza pituitaria, ci si rivolse alle terapie somatiche. Negli anni successivi, con lo svilupparsi delle teorie psicoanalitiche, prese il sopravvento l'approccio psicologico. Negli anni Ottanta iniziarono a comparire in letteratura studi controllati sull'efficacia delle diverse forme d’intervento, psicofarmacologiche e psicoterapiche, che hanno accreditato alcune terapie piuttosto che altre. È universalmente riconosciuta ad esempio l'efficacia della terapia cognitivo-comportamentale nei Soggetti Bulimici (Fairburn, 1986, Fairburn e coll., 1993) e in quelli affetti da Disturbo da Alimentazione Incontrollata, così come l'efficacia della psicoterapia interpersonale. Mentre è acclarata una maggiore validità dell'approccio familiare per i Soggetti Anoressici in particolare in età adolescenziale (Minuchin e coll., 1978; De Giacomo e coll., 1992; Dare e Eisler, 1997; Selvini Palazzoli e coll., 1998; Fishman, 2004). Le linee guida dell'American Psychiatric Association (2000, 2005), nel DSM-IVTR (American Psychiatric Association, 2002), a proposito del trattamento dell'Anoressia Nervosa suggeriscono che gli interventi siano scelti ed integrati sulla base del raggiungimento dei seguenti obiettivi: • il peso del soggetto deve tornare nella norma; • il soggetto deve essere motivato al trattamento che deve contemplare sempre il ripristino di un'alimentazione adeguata, la correzione dei pensieri, atteggiamenti e comportamenti disfunzionali relativi al cibo, al peso ed alle forme del corpo; • devono essere trattati il deficit dell'autostima, le complicanze fisiche e le comorbidità psichiatriche; • si deve intervenire sulla famiglia li dove sia possibile; • ci si deve occupare della prevenzione delle ricadute. Per la Bulimia Nervosa le stesse linee guida propongono quali obiettivi: • la normalizzazione dell'alimentazione, che prevede la scomparsa di comportamenti quali l'abbuffata, i metodi di compenso ed il ricorso alla dieta restrittiva; 17 • la correzione dei pensieri e le attitudini disfunzionali relativi al cibo, al peso ed alle forme del corpo; • il trattamento del deficit dell'autostima, le complicanze fisiche, le comorbidità psichiatriche; • lo sviluppo di una identità personale. Quando necessaria l'Ospedalizzazione può avvenire a seconda del quadro clinico in ambiente internistico, in ambiente psichiatrico o in strutture residenziali specificamente dedicate alla cura di queste patologie. Tuttavia, deve essere finché possibile evitata in quanto essa stessa rappresenta un fattore prognostico negativo (Gowers e coll., 2000). Il Day hospital (o Ospedalizzazione parziale) è una modalità di erogazione del trattamento indicata per coloro che avendo ricevuto interventi, seppure intensivi, in regime ambulatoriale non ne hanno tratto alcun giovamento, oppure come primo intervento in coloro che presentano una forma grave, ma non a rischio della vita, del disturbo dell'alimentazione. Generalmente le attività vengono svolte in gruppo. Il trattamento viene condotto in Regime ambulatoriale nei casi meno gravi, dove non ci sia un rischio per la vita del soggetto. Tale regime richiede, secondo Yager (1988): che il soggetto sia fortemente motivato, che vi sia la disponibilità della famiglia a collaborare, infine che siano presenti criteri prognostici positivi come la giovane età ed una breve durata della sintomatologia e l'assenza di comorbidità psichiatriche importanti. Negli ultimi tempi si è andata sviluppando l'idea della Comunità residenziale per soggetti affetti da Disturbo dell'Alimentazione con patologia di lunga durata o con famiglie problematiche non in grado di sostenere i figli nel percorso di cura e riabilitazione. In merito alle Terapie farmacologiche, negli ultimi anni si è assistito ad un proliferare di studi farmacologici controllati e non, al fine di individuare dei medicamenti che avessero una qualche efficacia terapeutica. La ragione del diffondersi di tale ricerca è dovuta allo sviluppo delle ipotesi di alterazioni a livello neurochimico e del SNC, che potrebbero svolgere un ruolo importante nella eziopatogenesi dei Disturbi Alimentari, e dal riscontro sempre più frequente in questi soggetti di altri sintomi psichiatrici suscettibili di trattamento con psicofarmaci. Tuttavia, la loro funzione specifica sia nell'Anoressia Nervosa, sia nella Bulimia Nervosa, sia nel Disturbo da Alimentazione Incontrollata deve essere considerata marginale anche se spesso utile (Mitchell, 2001). È tuttavia comune ritenere che la terapia farmacologica abbia una sua 18 importanza, a patto che sia combinata con una forma di psicoterapia adeguata. L'uso del farmaco, dunque, va inserito all'interno di un progetto terapeutico più ampio che tenga in considerazione la sofferenza del soggetto e la necessità di formazione e di espressione del sé (Montecchi, 2002). Nell’ambito della Riabilitazione nutrizionale, la gestione degli aspetti nutrizionali dell'Anoressia e della Bulimia, è stata fino a poco tempo fa trascurata nonostante il comportamento dietetico di questi soggetti e la denutrizione o le alterazioni metaboliche che ne derivano, possano condurre a morte. L'idea era che la risoluzione dei problemi psicologici, che sono alla base di queste patologie, avrebbe fatto cessare i sintomi. Ma molti studi clinici hanno dimostrato che, finché non siano stati ridotti i sintomi provocati dal digiuno e dalla malnutrizione, una psicoterapia non può avere efficacia in quanto le ossessioni relative al cibo e al peso, la depressione spesso elevata, la confusione e l'ansia, impediscono ai soggetti il lavoro di introspezione e di insight tipico del percorso psicoterapico. A livello d’Interventi nutrizionali, la nutrizione parenterale (infusione di sostanze nutritive in soggetti mediante un catetere posizionato nella vena cava superiore) ed enterale (tramite sondino naso-gastrico, che può essere tenuto in loco per più mesi o tramite gastrostomia endoscopia percutanea) sono giustificate solo nei casi in cui il soggetto è in reale ed imminente pericolo di vita. Gli Interventi psicologici, inizialmente di tipo motivazionale, solo successivamente alla correzione della denutrizione e delle malnutrizione, possono trasformarsi in una vera e propria psicoterapia, questo perché la denutrizione e la malnutrizione compromettendo le funzioni cognitive, contrastano il processo psicoterapico (Garner e Garfmkel, 1997). L'Approccio motivazionale ha lo scopo di aiutare i soggetti a riconoscere i propri problemi legati alla persistenza di un comportamento disadattivo e costruire quel coinvolgimento necessario affinché il soggetto possa scegliere autonomamente il cambiamento e, dunque, intraprendere un trattamento. In psicologia, la motivazione è l'espressione dei motivi che inducono un individuo a una determinata azione. Inoltre, essa può essere definita come l'insieme dei fattori dinamici aventi una data origine che spingono il comportamento di un individuo verso una data meta; ogni atto che viene fatto senza motivazioni rischia di fallire. La motivazione svolge fondamentalmente due funzioni: attivare e orientare comportamenti specifici. Nel primo caso si fa riferimento alla componente energetica di attivazione della 19 motivazione. Nel secondo caso si fa riferimento alla componente direzionale di orientamento. I colloqui motivazionali sono strettamente connessi agli stadi del cambiamento, così come descritti da Prochaska e Di Clemente (1983): pre-contempalzione, contemplazione, determinazione, azione. L'Approccio psicoeducazionale applicato nei Disturbi Alimentari, si basa sulla premessa che alcune credenze errate possano generare pensieri e informazioni disfunzionali (Olmsted e coll., 1991). Gli incontri di Terapia psicoeducazionale per i genitori hanno lo scopo di migliorare il livello delle conoscenze dei familiari sulle risorse terapeutiche, insegnare tecniche e abilità per migliorare le difficoltà di ordine relazionale e comunicativo che caratterizzano il funzionamento di queste famiglie, ed infine di offrire un supporto riconoscendo i problemi affrontati e gli sforzi fatti fino ad allora (Renna, 2003; Calò, 2002). L'uso di Tecniche cognitivo-comportamentali nel trattamento dei Disturbi dell'Alimentazione è stato sviluppato a partire dagli anni Ottanta con lo scopo di consentire al soggetto il raggiungimento di un peso adeguato e l'abbandono dei comportamenti binge e purge (Halmi, 1985). Si basa sull'approccio delineato da Beck (Beck e coll., 1979) per la cura della depressione, adattato al fine di lavorare su specifiche caratteristiche riguardanti i Disturbi Alimentari quali: la natura egosintonica dei sintomi, l'interazione tra componenti biologiche e psicologiche, le convinzioni disfunzionali sul cibo e il peso, i sentimenti di inefficienza ed inefficacia. Secondo alcuni autori tuttavia, le tecniche di tipo cognitivo-comportamentale dovrebbero essere seguite o integrate con altre, come quelle individuali psicodinamiche e sistemiche, affinché i risultati possano essere mantenuti costanti nel tempo. Le tecniche comportamentali mirano all'acquisizione dell'autocontrollo e prevedono prima di tutto la formulazione di un contratto e l'assegnazione di compiti che il soggetto dovrà svolgere. Successivamente saranno utilizzati: il rinforzo negativo, il rinforzo positivo, il condizionamento operante, la desensibilizzazione sistematica. La Psicoterapia interpersonale, utilizzata inizialmente per la cura dei disturbi depressivi (Klerman, 1960), è stata adattata da Fairburn (Fairburn, 1993) per la cura di soggetti affetti da Bulimia Nervosa e Disturbo da Alimentazione Incontrollata. Questa terapia non mira a cambiare la personalità del soggetto in trattamento ma a modificare le sue relazioni con gli altri, aiutandolo ad affrontare problemi e a parlare delle sue 20 perdite affettive. L'assunto alla base de trattamento è che l'alterazione del comportamento alimentare altro non è che una soluzione maladattiva ad altre difficoltà sottostanti. Dunque, lo scopo principale del trattamento è quello di aiutare il soggetto a riconoscere e definire queste difficoltà, capire come il Disturbo Alimentare serva a coprirle e in qualche modo a perpetuarle. Prima di introdurre la psicodinamica accenniamo all’Approccio psicoanalitico e cioè alla teoria dell'inconscio, su cui si fondano una prassi e una disciplina psicoterapeutiche, e che ha preso l'avvio dal lavoro di Sigmund Freud. Nell'indagine dell'attività mentale umana essa si rivolge soprattutto a quei fenomeni psichici che risiedono al di fuori della coscienza. In secondo luogo la psicoanalisi è una prassi terapeutica, nello specifico come cura dei disturbi mentali e, all'origine, come cura dell'isteria e successivamente dei fenomeni psicopatologici chiamati nevrosi. In seguito, il suo uso è stato esteso allo studio e trattamento di altri tipi di psicopatologie. L'Approccio psicodinamico ha l’obiettivo di incoraggiare il soggetto nella ricerca della propria autonomia e della propria identità nell'ambito di nuove e più intime relazioni interpersonali. In altri termini, la psicodinamica è l'insieme di meccanismi e processi psichici sottesi al comportamento e più in generale alla personalità di un individuo, preso singolarmente o in relazione ad altri. È ormai impossibile parlare di psicodinamica senza riferirsi all'inconscio, dal momento che, dalla rivoluzione psicoanalitica in poi, i processi mentali legati al comportamento manifesto sono considerati attraverso un'ottica inconscia, vale a dire agenti "sotto" il livello di consapevolezza. Il soggetto ha bisogno di partecipare attivamente al processo terapeutico fìno ad acquisire la capacità di differenziarsi dagli altri e di discriminare le sensazioni provenienti dal proprio corpo e le proprie emozioni. Santonaso e coll. (Santonaso e coll., 1993), propongono un trattamento psicodinamico in tre fasi: 1. la prima fase deve prevedere una valutazione medica e psicologica e la formulazione di un progetto terapeutico; 2. la seconda mirerà a stabilire una solida alleanza terapeutica all'interno della quale il terapista, molto direttivo, utilizzerà tecniche cognitivo-comportamentali al fine di ottenere un aumento del peso corporeo e il cambiamento delle abitudini alimentari anomale; 3. a questo punto potrà avere inizio la terza fase in cui il terapista non sarà direttivo e secondo una tecnica psicoanalitica lavorerà sugli aspetti depressivi, la perdita 21 dell'identità, l'onnipotenza, la negazione dei bisogni, il conflitto tra l'autonomia e la dipendenza. L'Approccio sistemico determina uno spostamento dell'osservazione dalle dinamiche intrapersonali, che erano ritenute essere alla base del disturbo, ai patterns relazionali disfunzionali propri di tutto il contesto in cui il sintomo alimentare faceva la sua comparsa (Minuchin e coll. 1980). L'uso delle Tecniche esperenziali ed espressive nella cura dei disturbi dell'alimentazione, ha lo scopo di comprendere quello che il soggetto affetto da disturbo dell'alimentazione tenta di comunicare con una modalità maladattiva e di aiutarlo ad apprendere nuovi modi più efficaci e soddisfacenti di interagire (Hornyak e Baker, 1989). Sono tipicamente inclusi nelle terapie esperenziali/espressive interventi relativi all'arte, la musica, la danza, la scrittura, l'immaginazione guidata, lo psicodramma, la scultura familiare, l'ipnosi. L’Approccio al corpo (o Terapia psicomotoria), è ritenuto da alcuni autori (Vandereycken e coll., 1992, Probst e coll., 1993) molto importante, ma è stato tuttavia in passato scarsamente praticato. Se è vero, infatti, come sottolineava la Bruch già nel 1962, che un’immagine corporea realistica e la riaccettazione del proprio corpo sono condizioni necessarie per la guarigione, il fallimento di molti programmi terapeutici potrebbe essere addebitato ad uno scarso interessamento nei confronti di questi aspetti della psicopatologia dei disturbi dell'alimentazione, se non addirittura ad una loro completa negazione da parte dei terapeuti. La terapia psicomotoria o orientata sul corpo che può essere condotta mediante l'utilizzazione di varie tecniche, dalla danza, all'uso di video o letture, è diretta ad influenzare l'esperienza del soggetto circa la propria immagine corporea. L'uso di Manuali di auto-aiuto si è andato diffondendo negli ultimi anni in particolare per la cura della bulimia nervosa ed il disturbo da alimentazione incontrollata. A proporli sono stati gli psicoterapeuti cognitivo-comportamentali alla ricerca di metodi di cura più brevi e meno costosi, soprattutto se si pensa che i pazienti possono essere istruiti da personale non medico. Infine per Psicoterapie on-line o E-therapy si intende l'insieme delle modalità di aiuto alla persona disponibili on-line. La comunicazione avviene in modi diversi, a seconda delle tecnologie a disposizione (Calò e coli., 2004): newsgroup e mailing list; internet relay chat; giochi di ruolo (MUD); videoconferenza. 22 Capitolo 2: La Terapia di Gruppo 2.1) Caratteristiche generali La Terapia di Gruppo, nata negli anni quaranta, ha subito da allora una serie di adattamenti per potersi adeguare all'evoluzione della pratica clinica. Sono sorte nuove sindromi cliniche, nuove collocazioni e nuovi orientamenti teorici (e altri sono scomparsi), e vi sono state corrispondenti variazioni nella terapia di gruppo. La molteplicità delle forme è oggi così evidente che non è corretto parlare di terapia di gruppo, ma si deve piuttosto parlare di terapie di gruppo (Yalom, 2002). Esempi di forme di Terapia di Gruppo sono: gruppi per i Disturbi Alimentari, gruppi di sostegno per malati di cancro, gruppi per vittime di abusi sessuali, per malati di AIDS, per anziani affetti da demenza senile, per soggetti con disturbi da attacchi di panico o sintomi ossessivo-compulsivi, per pazienti affetti da schizofrenia cronica, per figli già adulti di alcolizzati, per genitori i cui figli hanno subito un abuso sessuale, per uomini che picchiano, per divorziati, per persone che hanno subito un lutto, per famiglie disturbate, per coppie di coniugi, per pazienti colpiti da infarto al miocardio, da paraplegia, da cecità diabetica, da insufficienza renale, per coloro che hanno subito un trapianto di midollo osseo. Anche le collocazioni ambientali (settings) della Terapia di Gruppo sono diverse: un gruppo di pazienti psicotici cronici o in fase acuta che si riuniscono e in una desolata corsia ospedaliera, oppure un gruppo di individui relativamente ben funzionanti con disturbi nevrotici o del carattere che si incontrano nello studio privato e ben arredato di uno psicoterapeuta. Per non parlare delle tecniche, che presentano differenze più che notevoli: terapia della Gestalt, gruppi di terapia breve, terapia supportiva-espressiva, terapia cognitivocomportamentale, gruppi psicoanalitici, psicopedagogici, dinamici-interazionali, gruppi di psicodramma; tutti questi metodi, e molti altri, sono terapie di gruppo. La famiglia delle Terapie di Gruppo si ingrandisce ulteriormente con la presenza di lontani parenti, come: gruppi esperienziali, gruppi di addestramento (o di processo) e i numerosi gruppi di auto-aiuto (o di mutuo soccorso) come gli Alcolisti Anonimi (e molti altri gruppi di trattamento in 12 fasi), Adult Survivors of Incest, Sex Addicts 23 Anonymous, Parents of Murdered Children, Overeaters Anonymous e Recovery Incorporation. Sebbene non si tratti di gruppi dichiaratamente terapeutici, sono tuttavia molto spesso terapeutici, e i loro obiettivi sono a metà strada tra la crescita personale, il sostegno, l'educazione e la terapia. Irvin D. Yalom (Yalom, 2002), sostiene che il primo passo per dare un ordine metodologico a tutte queste Terapie di Gruppo, è quello di separare ciò che è “facciata” da ciò che è “nucleo” in ciascuna delle terapie di gruppo. La facciata è costituita dalla forma, dalle tecniche, dal linguaggio specializzato e dall'atmosfera che circonda ognuna delle diverse scuole; il nucleo è costituito da quegli aspetti dell'esperienza che sono intrinseci al processo terapeutico, cioè i meccanismi essenziali del cambiamento. Lasciando per un attimo da parte la “facciata” e considerando solo i meccanismi effettivi che portano al cambiamento nel paziente; sottolineiamo che questi meccanismi sono di numero limitato e notevolmente simili in tutti i gruppi. Gruppi Terapeutici con obiettivi simili che, considerando solo la forma esterna, appaiono totalmente differenti possono basarsi su meccanismi di cambiamento identici. Lo stesso autore, sottolinea come uno dei più importanti assunti è che l'interazione interpersonale sia cruciale nella terapia di gruppo. Il Gruppo Terapeutico veramente valido diventa anzitutto un'arena dove i pazienti interagiscono liberamente gli uni con gli altri; poi li aiuta a identificare e comprendere ciò che non va nelle loro interazioni, e infine li rende capaci di modificare questi modelli comportamentali maladattativi. I gruppi che si basano esclusivamente su altri presupposti, come i princìpi psicopedagogici o cognitivo-comportamentali, trascurando il processo interpersonale, non riescano a raccogliere tutti i frutti della terapia di gruppo. In che modo la terapia di gruppo aiuta i pazienti? Una volta identificati, gli aspetti cruciali del processo di cambiamento costituiranno una base razionale su cui il terapeuta potrà fondare la sua strategia e le sue tattiche terapeutiche. Il cambiamento terapeutico è un processo particolarmente complesso che avviene attraverso un'intricata interazione di esperienze umane, a cui faremo riferimento usando l'espressione “fattori terapeutici”. È notevolmente vantaggioso accostarsi a ciò che è complesso partendo da ciò che è semplice, giungere al fenomeno globale iniziando dai processi basilari che lo compongono. A livello di Psicoterapia Gruppale, un interessante approccio è quello di Yalom (Yalom, 2002), che definisce alcune linee naturali di demarcazione che suddividono l'esperienza terapeutica in undici “Fattori Terapeutici” fondamentali: 24 1. Infusione della speranza: infondere e mantenere la speranza è di importanza decisiva in tutte le psicoterapie, addirittura la fiducia in un metodo di trattamento può essere di per sé efficace dal punto di vista terapeutico. 2. Universalità: molti pazienti intraprendono la terapia con la triste convinzione di essere senza uguali nella loro disgrazia, di avere essi soli certi problemi, pensieri, impulsi e fantasie spaventosi ed inaccettabili; in realtà essi scoprono nel gruppo terapeutico che non esistono azioni o pensieri umani totalmente estranei all’esperienza di altre persone. 3. Informazione: si intendono sia l’istruzione didattica impartita dai terapeuti sulle dinamiche psichiche, sia i consigli, i suggerimenti o la guida diretta offerti dal terapeuta o da altri pazienti. 4. Altruismo: nel gruppo i pazienti ricevono qualcosa per il fatto stesso di dare, non solo come parte della reciproca sequenza dare-ricevere, ma anche dall’atto intrinseco del dare. 5. Ricapitolazione correttiva del gruppo primario familiare: nel gruppo di terapia, i pazienti ritrovano una sorta di nuova famiglia, visto che la maggior parte di essi hanno alle spalle una storia di esperienze profondamente insoddisfacenti vissute nella famiglia d’origine. 6. Sviluppo di tecniche di socializzazione: l’apprendimento della socialità, ovvero lo sviluppo delle doti essenziali per il vivere sociale, è un fattore terapeutico che agisce in tutti i gruppi. 7. Comportamento imitativo: nei gruppi il processo imitativo consiste nell’assumere a modello alcuni aspetti sia degli altri membri del gruppo sia del terapeuta. 8. Apprendimento interpersonale: è un fattore terapeutico ampio e complesso che rappresenta nella terapia di gruppo l’equivalenete dei fattori terapeutici della terapia individuale quali l’insight, l’elaborazione del transfert, l’esperienza emotiva correttiva, ed è anche costituito da fattori caratteristici della situazione di gruppo. 9. Coesione di gruppo: nella terapia di gruppo il corrispettivo della relazione terapeuta-paziente è un concetto più ampio, che comprende le relazioni del paziente non solo con il terapeuta di gruppo, ma anche con gli altri membri del gruppo. 25 10. Catarsi: liberazione da emozioni represse e soffocate (imparare a sfogarsi, esprimere sentimenti negativi e positivi verso gli altri membri del gruppo e verso il leader). 11. Fattori esistenziali: imparare ad assumersi la responsabilità di come vivere la propria vita indipendentemente da quanto sia guidato e sostenuto dagli altri, riconoscere che a volte la vita è sleale ed ingiusta, riconoscere che non c’è scampo da alcuni dei dolori della vita o dalla morte, riconoscere che è fondamentale affrontare la vita da soli nonostante l’intimità raggiunta con altre persone. Questi costrutti possono costituire parti differenti del processo di cambiamento: alcuni (ad esempio, l'universalità) fanno riferimento a qualcosa che il paziente impara; altri (ad esempio, lo sviluppo di tecniche di socializzazione) si riferiscono a cambiamenti comportamentali; altri ancora (ad esempio, la coesione) possono essere descritti in modo più preciso come condizioni preliminari del cambiamento. Sebbene i medesimi fattori terapeutici operino in ogni tipo di Gruppo Terapeutico, la loro interazione e la loro importanza possono variare ampiamente da gruppo a gruppo. La ricerca ha anche mostrato che i fattori terapeutici valutati dai pazienti possono differire, e di molto, da quelli citati dai loro terapeuti o dagli osservatori del gruppo (Schaffer e Dreyer, 1982; Flora-Tastado, 1981; Bloch e Reibstein, 1980; Cabral, Best e Paton, 1975; Glass e Arnkoff, 1988). Un importante aspetto dei Gruppi di Terapia, è l’Omogeneità (Corbella, Girelli, Marinelli, 2004), la quale riguarda il livello della vita gruppale e d’èquipe in cui le individualità esistono, ma ne vengono valorizzati maggiormente gli elementi di comunanza, lasciando sfumare le differenze all’interno di un progetto comune. Questo livello dell’omogeneità può evolvere verso la tollerabilità delle differenze, oppure verso un funzionamento appiattito su forme ideologiche di collaborazione, da cui in seguito potrebbero scaturire conflitti e disgregazione. Un gruppo che coglie il senso della differenza da sé permette anche di ridimensionare i sentimenti di esclusione dovuti alla condizione di marginalizzazione prodotta dalle diverse situazioni di disagio. In tal modo i membri del gruppo possono recuperare un senso d’identità collettivo, più integro, e non marginalizzato. 26 2.2) Ruolo del Terapeuta e Formazione del Gruppo Ora ci rivolgiamo al ruolo del Terapeuta nel processo terapeutico, sempre seguendo l’approccio di Yalom Irvin D. (Yalom, 2002). Il lavoro del terapeuta di gruppo consiste nel creare il meccanismo della terapia, renderlo operante e mantenerlo in azione con la massima efficacia. Possiamo pensare alla Terapia di Gruppo come a una grossa dinamo: spesso il terapeuta vi è immerso profondamente, e vi lavora, sperimenta, interagisce (e viene personalmente influenzato dal campo energetico); altre volte il terapeuta indossa la tuta da meccanico e armeggia per riparare le parti esterne, per lubrificare, stringere dadi e bulloni, sostituire parti. Alla base di tutte le considerazioni riguardanti la tecnica deve esserci una relazione coerente e positiva fra terapeuta e paziente. L'atteggiamento di base del terapeuta verso un paziente deve essere di sollecitudine, accettazione, spontaneità ed empatia; nessuna considerazione tecnica, ha la precedenza su questo atteggiamento. Secondo Yalom (Yalom, 2002), i tre compiti fondamentali del terapeuta sono: • Formazione e mantenimento del gruppo: il leader è interamente responsabile della formazione e della convocazione del gruppo, la sua offerta di aiuto professionale rappresenta la ragion d’essere iniziale del gruppo, e naturalmente egli stabilisce il tempo e il luogo delle riunioni. • Costruzione della cultura di gruppo: è compito del terapeuta di gruppo costruire una cultura di gruppo che sia il più possibile valida per produrre un’efficace interazione di gruppo. • Attivazione e chiarificazione del “qui e ora”: gli eventi immediati della seduta hanno la precedenza su quelli della vita che scorre all'esterno e sul lontano passato dei membri del gruppo; ma un uso efficace del “qui e ora” richiede che il gruppo sia anche capace di tornare sui propri passi, quindi che esegua un ciclo di autoriflessione ed esamini il comportamento nel “qui e ora” che si e appena manifestato. Qualunque discussione sulla libertà del terapeuta dovrebbe partire dal Transfert (Yalom, 2002), che può essere sia un efficace strumento terapeutico, sia una serie di impedimenti che ostacola ogni movimento del terapeuta. Nel suo primo e pionieristico saggio sulla psicoterapia (Freud S., 1886-1895), Freud segnalò diversi possibili ostacoli alla formazione di una buona relazione di lavoro tra paziente e terapeuta. La maggior 27 parte di questi impedimenti potevano essere risolti facilmente, ma uno aveva radici più profonde, e ha opposto resistenza agli sforzi di eliminarlo dal lavoro terapeutico. Freud lo ha denominato transfert, poiché consisteva di atteggiamenti verso il terapeuta che egli credeva fossero stati “trasferiti” da precedenti atteggiamenti nei confronti di figure importanti nella vita del paziente. Questi sentimenti verso il terapeuta erano “falsi nessi”, nuove edizioni di vecchi impulsi. Dovevano passare solo alcuni anni prima che Freud (1909) comprendesse che il transfert era ben lungi dall'essere un impedimento alla terapia; se usato in modo appropriato, poteva essere lo strumento più efficace in possesso del terapeuta. Quale miglior modo per aiutare il paziente a riappropriarsi del passato che permettergli di sperimentare e agire nuovamente i sentimenti provati un tempo verso i genitori, attraverso la relazione attuale con il terapeuta? Inoltre, la relazione intensa e conflittuale che spesso si sviluppa con il terapeuta, e che Freud chiamò nevrosi di transfert, poteva essere sottoposta ali'esame di realtà; il terapeuta poteva curarla e, ciò facendo, curare simultaneamente il conflitto infantile. Negli ultimi cinquant'anni anche la tecnica psicoanalitica ha subito una notevole evoluzione, ma alcuni principi fondamentali riguardanti il ruolo del transfert nella terapia psicoanalitica sono sopravvissuti fino a poco tempo fa con variazioni relativamente trascurabili. Una buona terapia di gruppo, sempre secondo Yalom (Yalom, 2002), ha inizio con una buona Selezione dei pazienti. I pazienti che vengono assegnati impropriamente a un gruppo terapeutico difficilmente potranno trarre beneficio principio da questa esperienza. Inoltre, un gruppo composto in modo inadeguato può morire appena nato, non avendo l'opportunità di svilupparsi in una modalità di trattamento praticabile per nessuno dei suoi membri. Partiamo dall'interrogativo fondamentale nella selezione dei pazienti: il paziente, in realtà qualsiasi paziente, dovrebbe essere indirizzato alla terapia di gruppo? In altre parole, quanto è efficace la terapia di gruppo? Questa domanda va presa in esame prima di considerare le questioni più sottili legate alla selezione del paziente. Come selezionare i pazienti adatti alla Psicoterapia di Gruppo? In realtà la grande maggioranza dei clinici non selezionano i pazienti per la psicoterapia di gruppo. Compiono piuttosto un'operazione di scarto. A partire da un insieme di pazienti, i terapeuti di gruppo di lunga esperienza decidono che alcuni non sono probabilmente in grado di lavorare in un gruppo terapeutico, e vanno esclusi. E accettano tutti gli altri pazienti. Questa pratica sembra piuttosto primitiva; tutti vorremmo che il processo di 28 selezione fosse più elegante, regolato con maggior finezza. Tuttavia, in pratica, è più facile specificare i criteri di esclusione che quelli di inclusione (un solo elemento è sufficiente per escludere un paziente, mentre per giustificare l'inclusione deve essere delineato un profilo più complesso). Fortunatamente molte ricerche hanno tentato di determinare l'efficacia della terapia di gruppo rispetto a quella individuale, e la risposta è molto chiara: vi sono notevoli prove che la Terapia di Gruppo è almeno tanto efficace quanto quella individuale. Uno studio di Toseland e Siporin (1986), per esempio, si basa sulla rassegna di trentadue ricerche sperimentali ben controllate che paragonano la terapia individuale e quella di gruppo. I risultati indicano che la Terapia di Gruppo è stata più efficace della terapia individuale nel 25% delle ricerche, mentre nell'altro 75% non sono state rilevate differenze significative fra la due forme terapiche. Invece nessuna ricerca ha evidenziato una maggiore efficacia della terapia individuale. Altre rassegne, alcune concernenti un maggiore numero di ricerche (tuttavia meno rigorosamente controllate), hanno ottenuto conclusioni simili (Parloff, 1993; Parloff e Dies, 1977; Smith, Class e Miller, 1980). Esiste un metodo migliore degli altri per la Composizione di un gruppo? Se è possibile stabilire dei principi validi circa la composizione globale di un gruppo, allora i corollari di questi principi costituiranno le direttive per l'inserimento di nuovi membri o la sostituzione di membri che lasciano il gruppo. Brancoleremmo nel buio se cercassimo di sostituire un membro del gruppo che viene meno senza alcuna conoscenza dell'organizzazione del sistema globale. L'intero procedimento della composizione del gruppo e della selezione dei pazienti è quindi basato su un presupposto molto importante: noi possiamo prevedere con una certa precisione il comportamento di gruppo di un individuo in base alla selezione preliminare. Questo presupposto è la base dei principi guida sulla selezione dei pazienti da inserire nel gruppo esposti nel capitolo precedente e in quelli che seguono. Yalom (Yalom, 2002) sostiene che prima di convocare il gruppo, il terapeuta deve prendere alcune importanti decisioni su determinati aspetti: a) Ricerca del luogo adatto per le riunioni: le riunioni del gruppo possono essere tenute in qualunque ambiente purché la stanza sia tale da garantire la riservatezza e da eliminare le cause di distrazione e offra la possibilità di sedere in circolo. Alcuni terapeuti preferiscono che i membri del gruppo siedano intorno a un grande tavolo circolare. Tuttavia la maggior parte dei terapeuti preferiscono che non ci sia nulla al centro, in modo che tutto il corpo del 29 paziente sia visibile e siano più facilmente osservabili le sue risposte non verbali o postulali. b) Durata e frequenza degli incontri: la maggior parte dei terapeuti operano meglio per periodi di tempo che vanno dagli ottanta ai novanta minuti; spesso le sedute più lunghe affaticano il terapeuta rendendolo meno efficiente nelle altre sedute della stessa giornata; sebbene la frequenza degli incontri possa variare da una a cinque volte alla settimana, la grande maggioranza dei gruppi si riuniscono solo una volta alla settimana. c) Dimensioni del gruppo: la dimensione ideale di un gruppo terapeutico interazionale è di sette-otto membri, con un'oscillazione accettabile tra i cinque e i dieci. Il numero minimo dei partecipanti al gruppo è determinato dal fatto che è necessaria una data massa perché un gruppo di individui diventi un gruppo interazionale. Il limite superiore è determinato da considerazioni meramente economiche; con l'aumento delle dimensioni del gruppo c'è sempre meno tempo a disposizione per elaborare i problemi di ciascuno. Poiché è probabile che uno o forse due pazienti abbandonino il gruppo nel corso delle sedute iniziali, è consigliabile cominciare con un gruppo di dimensioni leggermente maggiori; quindi per ottenere un gruppo di sette o otto membri, molti terapeuti cominciano con otto o nove persone. 30 2.3) Tipologie e confronto con la Terapia individuale Come esposto nel capitolo 2.1, il panorama delle possibili Terapie di Gruppo è molto vasto. Infatti abbiamo visto come le varie tecniche presentano differenze più che notevoli: terapia della Gestalt, gruppi di terapia breve, terapia supportiva-espressiva, terapia cognitivo-comportamentale, gruppi psicoanalitici, psicopedagogici, dinamiciinterazionali, gruppi di psicodramma. La famiglia delle Terapie di Gruppo si ingrandisce ulteriormente con la presenza di gruppi non dichiaratamente terapeutici, ma che in effetti a volte lo sono sono, tra i quali troviamo: gruppi esperienziali, gruppi di addestramento e i numerosi gruppi di autoaiuto come gli Alcolisti Anonimi, Adult Survivors of Incest, Sex Addicts Anonymous, Parents of Murdered Children, Overeaters Anonymous e Recovery Incorporation. Dal punto di vista dell’Orientamento distinguiamo (De Giacomo, Renna, Santoni Ragiu, 2005): • Terapia di gruppo ad orientamento nutrizionale o psicoeducazionale: i soggetti ricevono informazioni sulla nutrizione adeguata e sui disturbi, condividendo le difficoltà e le strategie di problem solving. La durata media è di 1,5-2,5 mesi. • Terapia di gruppo ad orientamento psicodinamico: l'obiettivo principale è quello di coltivare, nutrire il sé (Bruch, 1982, Goodsitt, 1985). I soggetti vengono incoraggiati ad affrontare tematiche quali quelle dell'uso del comportamento anoressico come mezzo per affermare la propria autonomia. Lo stesso vale per l'uso del comportamento bulimico come mezzo per anestetizzare le emozioni, riempire il senso di vuoto interiore, superare l'intolleranza alla solitudine, combattere l'aggressività, i sensi di colpa, il bisogno di approvazione degli altri, in modo da sviluppare una maggiore tolleranza alla frustrazione. La durata media va da 6 mesi a 1-2 anni. Valbak (2001) ha dimostrato l'efficacia di un trattamento gruppo-analitico a lungo termine in soggetti con grave patologia bulimica, non solo rispetto al comportamento alimentare ma anche rispetto ad altre aree di funzionamento psicologico. Secondo gli Autori, inoltre, l'efficacia di questo intervento può essere migliorata mediante l'associazione di un trattamento psicoterapico individuale o psicofarmacologico. • Psicoterapia di gruppo cognitivo-comportamentale: è stata usata da molti autori che ne hanno sostenuto la sua utilità soprattutto nei pazienti bulimici, con lo scopo di interrompere il comportamento alimentare disturbato e affrontare i 31 pensieri e i convincimenti disfunzionali che mantengono il disturbo (Mitchell e coll., 1989; Fairburn e Hay, 1992). • Psicoterapia di gruppo ad orientamento interpersonale: i soggetti vengono incoraggiati ad esplorare le aree problematiche attraverso una revisione del loro passato ed una valutazione dell'attuale funzionamento relazionale perché si possa determinare un cambiamento nel loro modo di porsi nella relazione con l'altro. Confrontiamo ora l’approccio terapeutico individuale diatico con quello gruppale (De Giacomo, Renna, Santoni Ragiu, 2005). Si predilige l’Approccio individuale in caso di: • soggetti affetti da grave disturbo della personalità di tipo borderline, narcisistico, antisociale, che non consentono lo svilupparsi di rapporti interpersonali basati sulla fiducia reciproca, l'empatia necessaria nella relazione d'aiuto e un interesse e un affetto genuino nei confronti dell'altro da sé; • soggetti, soprattutto gli anoressici restricter, affetti da fobia sociale, i quali tenderebbero ad abbandonare il trattamento quando costretti a confrontarsi attivamente con l'altro in tempi brevi, cosa che provoca un'ansia incontenibile; • soggetti affetti da dipendenza da sostanze o alcool, non in fase di remissione, per l'effetto contagioso che potrebbe avere questo comportamento sugli altri componenti del gruppo. Ora vediamo gli aspetti favorevoli all’Approccio di gruppo, sempre più utilizzato negli ultimi anni. L'utilità oltre che di tipo economico, è determinata dal fatto che molte delle caratteristiche tipiche dei Disturbi Alimentari, quali le idee errate circa la nutrizione e l'immagine del corpo, i sentimenti di bassa autostima e di profonda solitudine che questi soggetti sperimentano, si prestano bene ad essere affrontate in un contesto gruppale. Il gruppo fornisce consenso, validazione, feedback, valorizzazione attraverso il supporto reciproco, favorisce il confronto, l'identificazione e l'apprendimento di strategie di coping (Polivy e Federoff, 1997). La Terapia di Gruppo è utile anche quando i soggetti abbiano subito un abuso, in quanto la sua risoluzione può essere facilitata in un setting in cui si possano raccontare le proprie esperienze. In molte occasioni, il gruppo si pone come "terzo elemento" della relazione terapeutica, permettendo ai pazienti di osservare e comprendere meglio i propri pattern relazionali in un contesto più naturale e complesso rispetto alla semplice interazione diadica col terapeuta. L'osservazione delle interazioni altrui, e di quelle del gruppo nel suo insieme, 32 permette inoltre di derivare importanti inferenze su dinamiche comunicative e di ruolo spesso di notevole rilievo clinico. Le dinamiche interattive del gruppo sono infatti in molti casi uno degli elementi fondamentali del materiale clinico utilizzato, assieme alle esperienze passate dei componenti del gruppo ed alle loro esperienze di vita al di fuori del gruppo. Infine, gli approcci terapeutici gruppali permettono di trattare più persone con minori risorse (uno o due terapeuti gestiscono gruppi di 6-12 persone); sono più economiche per i pazienti (che si suddividono la spesa relativa all'onorario del terapeuta); sono costeffective per i Sistemi Sanitari (migliore efficienza della spesa); permettono soprattutto di sfruttare gli specifici processi psicologici di gruppo all'interno della relazione clinica, per migliorare l'efficacia di alcuni tipi di intervento. 33 Capitolo 3: Trattamento di un Gruppo “Binge Eating Disorder” 3.1) Progetto di percorso L’Intervento Gruppale adottato per il trattamento del “Binge Eating Disorder” (BED), è stato svolto all’interno dell’ambulatorio “Disturbi del Comportamento Alimentare” (DCA) dell’AUSL di Reggio Emilia. L’ambulatorio si rivolge alle persone con Disturbi Alimentari, ai loro familiari ed a coloro che, a vario titolo, si occupano dei disagi derivanti da questi disturbi. All’interno dell’AUSL vi è un punto d’accoglienza in grado di fornire tutte le informazioni necessarie per permettere un agevole contatto con il servizio. Vediamo una descrizione dettagliata degli interventi effettuati all’interno delle singole attività: 1. Area prevenzione: prevenzione primaria, secondaria e terziaria verso gruppi a rischio (pre-adolescenti, adolescenti), attività di prevenzione dei DCA in rete con le Agenzie con le quali lavorano e studiano i giovani (scuola, luoghi ricreativi, culturali), prevenzione a livello sanitario (medici di base, pediatri, dietiste). 2. Area diagnosi e orientamento: valutazione multidisciplinare che si avvale di competenze psicologico-psichiatriche, internistiche e nutrizionali, a scopo di diagnosi, rinforzo della motivazione, negoziazione, accompagnamento e orientamento dei pazienti e della famiglia al trattamento. 3. Area Medica tutela della salute fisica: visite mediche e controlli delle patologie correlate ai Disturbi Alimentari, consulenza e riabilitazione nutrizionale. Il reparto di Medicina II dell'Azienda Ospedaliera Santa Maria Nuova di Reggio Emilia costituisce il presidio internistico in tutte le fasi dei trattamenti. 4. Area trattamento: gruppi psico-educativi per i genitori, gruppi motivazionali, gruppi terapeutici, psicoterapia individuale, psicoterapia individuale per fascia adolescenza 14/24 anni, psicoterapie familiari, counselling ai genitori, Atelier di Arte terapia. La Terapia di Gruppo che illustriamo nel presente lavoro, ha riguardato un gruppo di pazienti Binge Eating Disorder (BED – Disturbo da Alimentazione 34 Incontrollata). Come descritto nel capitolo 1.1, è un disturbo caratterizzato dalla presenza di “abbuffate” non accompagnate da strategie per compensare l’ingestione di cibo in eccesso. Tale disturbo è correlato all’obesità (essendo presente nel 30% dei soggetti obesi), anche se tale caratteristica non è necessaria per la diagnosi BED. In tali soggetti è frequente la presenza di un quadro psicologico problematico caratterizzato da depressione, insoddisfazione corporea, e da un comportamento alimentare variamente disturbato. Negli obesi BED i disturbi dell’umore ed altri quadri psicopatologici sembrano essere presenti in circa l’80% dei casi. Il processo terapeutico è lungo e caratterizzato da una forte ambivalenza. Il soggetto BED vorrebbe da un lato liberarsi della propria corazza ma dall’altro boicotta regolarmente ogni processo. La paura è la condizione cronica del paziente; paura di non essere all’altezza, di essere inadeguati, di venire abbandonati, rifiutati. Ricercano sempre l’approvazione dell’altro, se non arriva hanno crisi di amarezza e sconforto che li conduce al craving per l’abbuffata. La capacità di tollerare la frustrazione è molto bassa. Presso il Centro per i DCA dell’AUSL di Reggio Emilia si è pensato ad un Percorso terapeutico specifico per il BED, che è il seguente: a) Colloquio d’accoglienza. b) Valutazione psicologica: colloqui e somministrazione di una batteria di test psicometrici (BES, BUT, SCL-90R – capitolo 1.2) all’inizio ed alla fine del ciclo di 12 incontri. I colloqui approfondiscono la storia personale del paziente, cercando di individuare aspetti ed eventi significativi che hanno contribuito alla formazione del problema. c) Valutazione internistica e nutrizionale: rilevazione dei parametri specifici (peso, altezza, pressione arteriosa) che evidenziano l’eventuale presenza di una sindrome metabolica con richiesta di valutazione cardiologica e richiesta di visita ginecologica per evidenziare un eventuale quadro di ovaio policistico. Il controllo internistico viene effettuato ogni 6-12 mesi, a meno che non si riscontrino problemi in itinere. d) Contratto terapeutico. e) Trattamento di gruppo: vengono inserite in gruppo le persone che presentano i criteri diagnostici per il BED; il gruppo è aperto e le sedute sono settimanali di un’ora e mezza per un ciclo di 12 incontri. Il gruppo è co-condotto dalla psicologa (di indirizzo psicanalitico-psicodinamico che applica tecniche 35 cognitivo-comportamentali e motivazionali), dal medico internista, dalla dietista e dal sottoscritto. Il Trattamento di Gruppo in questione è caratterizzato da un Approccio cognitivocomportamentale che lavora anche sulla motivazione (capitolo 1.3). Il contenimento delle abbuffate e la gestione delle emozioni rappresentano gli obiettivi principali del gruppo. È prevista la possibilità d’inserimento di nuovi partecipanti al termine di ogni ciclo. Le prime 6 sedute, tramite l’uso del diario alimentare e le tecniche del colloquio motivazionale, sono dedicate al contenimento delle abbuffate, all’automonitoraggio, all’individuazione dei fattori scatenanti le abbuffate e le conseguenze delle stesse. Le ultime 6 sedute si orientano alla gestione delle emozioni, al loro riconoscimento e codificazione adeguata, all’aumento della consapevolezza del paziente sugli schemi adottati, alla separatezza ed autonomia nelle relazioni, al senso di esclusione, solitudine e abbandono, ai sentimenti di vergogna. Durante l’ultima seduta, viene effettuato anche un bilancio del lavoro svolto, si ridefiniscono gli obiettivi, si valutano eventuali dimissioni, o invii al trattamento psicologico/psichiatrico su bisogni specifici della persona, o invii ad altri dipartimenti per problematiche di salute emerse. È prevista anche la riammissione di persone che hanno già partecipato al gruppo BED. 36 3.2) Esperienza Terapeutica di Gruppo Il mio apporto principale nei 12 incontri del Gruppo Terapeutico per il trattamento del Binge Eating Disorder (BED), ha riguardato essenzialmente la somministrazione e correzione di una batteria di test psicometrici, BES, BUT, SCL-90 (consultare 1.2 e Appendice), somministrati all’inizio ed alla fine del ciclo e alla stesura dei verbali degli incontri. La terapia di gruppo di dodici incontri è iniziata il 02/10/2009 ed è terminata il 26/01/2010. Il gruppo, inizialmente composto da dieci ragazze, è stato portato a termine da sei, delle quali due erano alla seconda esperienza dello stesso tipo di gruppo condotto pochi mesi prima. Non erano presenti uomini, denotando come il Disturbo da Alimentazione Incontrollata, sia probabilmente più presente nel sesso femminile e/o che le donne abbiano più consapevolezza della problematica e una maggiore predisposizione a richiedere aiuto all’esterno della famiglia. Durante gli incontri veniva discusso il Diario alimentare e la Bilancia motivazionale (vantaggi vs svantaggi nei casi di presenza ed assenza di perdita di controllo con il cibo). Al termine del percorso terapeutico, le Tematiche Comuni riguardanti l’approccio con il cibo, che ho riscontrato nel gruppo di trattamento BED, sono le seguenti: • In un’alimentazione con perdita di controllo (quindi abbuffate ed aumento del peso), le pazienti ritrovano svantaggi comuni: problemi di salute, difficoltà di reperimento vestiti, difficoltà nel rapportarsi con altre persone, senso di vergogna, bassa autostima, poca attraenza estetica, mancanza di senso di libertà (non potendo scegliere si sentono schiave del cibo), cibo come ossessione. I vantaggi comuni sono: appagamento con cose gustose, ritagliarsi uno spazio personale, rifarsi della propria insoddisfazione, vivere il momento come coccola, vivere un momento consolatorio. • In un’alimentazione senza perdita di controllo le pazienti indicano i seguenti vantaggi: dimagrire, migliorare la propria salute, più facile reperibilità dei vestiti, miglioraramento relazioni interpersonali, più facilità nella ricerca del peso giusto, riuscire a guardarsi allo specchio, ritrovare sicurezza, esser più felici, riuscire a far sport, riuscire a mangiare con gli altri senza la paura di esser giudicate per quel che si mangia; avere più tempo, sentirsi a proprio agio e più libere mentalmente, sentirsi più energiche, sentire i veri sapori, soffrire meno, 37 riprovare le emozioni, risentire gli odori in cucina. Gli svantaggi sono: paura di non avere una valvola di sfogo e di perdere uno schermo per le paure. • Vi è difficoltà a iniziare a scrivere il diario alimentare per un senso di vergogna a scrivere e a raccontare, perché si ha la sensazione di essere davanti alla realtà. • Vi è difficoltà a riconoscere e a scrivere gli stati d’animo legati al pasto. • Il cibo viene identificato come anestetico per il cervello, calmante dell’ansia. • Tutte si rendono conto che ciò che le porta ad abbuffarsi sono forti emozioni che non riescono a gestire o ad esprimere (rabbia, solitudine, tristezza, delusione, ansia). • Le pazienti affermano di avere molte difficoltà nella gestione delle emozioni, sia positive che negative. • Le pazienti riferiscono di non avere una reale percezione della fame, hanno difficoltà nel riconoscere la fame “biologica” da quella cosiddetta “nervosa”. In generale non riescono ad ascoltare il proprio corpo. • Le pazienti si sentono aiutate ricordando durante la settimana per quello che è stato detto nella seduta precedente. • In merito al tema “emozioni che hanno accompagnato l’ultima perdita di controllo”, nessuna ha provato emozioni positive, al massimo pochi istanti di sollievo, ma per il resto tutte emozioni negative (rabbia, tristezza, delusione), quindi abbiamo sottolineato che come strategia dell’abbuffata non è funzionale al benessere. Abbiamo suggerito alle pazienti, in presenza della sensazione di “perdita di controllo”, di fare attività alternative e piacevoli sostitutive all’“abbuffata”. • Le pazienti dichiarano d’iniziare a prendere consapevolezza che la loro sensazione di “fame” sia spesso di “testa” e non “biologica”. • Le pazienti riportano la sensazione di “sentirsi sole”, di non poter parlare con altri del problema perché si sentono incomprese. Non se ne possono parlare in famiglia per il timore che si creino delle aspettative che temono di non soddisfare. • Le pazienti dicono di aver iniziato a dar regole a se stesse ed ai famigliari. • Le pazienti hanno la consapevolezza che anche incorronendo in perdite di controllo, possono poi riprendere in mano la situazione e migliorandosi successivamente. 38 3.3) Risultati Nel presente capitolo vediamo i Dati Psicometrici, risultanti dalla somministrazione di BES, BUT e SCL-90 (consultare 1.2 e Appendice), all’Inizio ed alla Fine della terapia dopo 12 incontri (circa 4 mesi dopo). L’iniziale del nome contraddistingue i partecipanti. “S” ed “M” ripetono per la seconda volta la terapia di gruppo BED. Innanzitutto, la Tab. 3.1, riporta età, peso e BMI (cap.1.1) delle pazienti, e la Fig. 3.1 visualizza l’andamento del BMI all’inizio ed alla fine della terapia. Età Altezza Peso Inizio BMI Inizio Peso Fine BMI Fine (cm) terapia (kg) terapia (kg) terapia (kg) terapia S 28 168 72 25,5 73 25,9 M 43 158 120 48,1 omesso - R 28 170 122 42,2 125 43,3 L 40 166 120 43,5 120 43,5 B 42 164 109 40,5 98 36,4 E 22 152 117 50,6 116 50,2 Tab. 3.1: Età, Peso e BMI Si può notare che tutti gli individui hanno un BMI superiore a 25 (sovrappeso), e che cinque su sei hanno un valore superiore a 35 (obesità di II° e III° grado – cap. 1.1). Tali valori hanno subito variazioni minime tra l’inizio e la fine della terapia. Questo è normale in quanto che la terapia ha obiettivi di breve-medio periodo per il controllo delle abbuffate ed il riconoscimento delle emozioni, ma di medio-lungo termine per il controllo del peso corporeo. Ad esclusione di “S”, tutte le pazienti, avendo un BMI molto alto e quindi un’obesità grave, necessitano un monitoraggio medico per verificare la presenza di eventuali problematiche di salute. “S” è l’unica ragazza con un valore di poco superiore a 25 (indice di leggero sovrappeso), in effetti è l’unica ragazza “BED” con trascorsi anche bulimici contraddistinti da abbuffate accompagnate da compensazione (vomito autoindotto, lassativi, diuretici, ecc…). Inoltre la paziente ha già partecipato ad un precedente gruppo terapico BED. “M” non ha dichiarato il proprio peso alla fine della terapia denotando un forte autoinganno. “M” è la ragazza che ha evidenziato maggiore gravità e poca consapevolezza emotiva durante gli incontri. 39 “B” è l’unica paziente ad aver ridotto il BMI durante la terapia. Infatti i suoi progressi durante gli incontri sono stati molto significativi, e di conseguenza, la riduzione di peso è uno dei risultati dell’importante mole di lavoro interiorizzato. Fig. 3.1: BMI Ora veniamo alla somministrazione dei test psicometrici, BES, BUT, SCL-90 (consultare 1.2 e Appendice), somministrati all’inizio ed alla fine del ciclo. Essi hanno permesso di valutare i sintomi delle abbuffate, il disagio relativo alla propria immagine corporea e lo stato psicopatologico generale. Iniziamo con il “BES” (cap. 1.2 - Binge Eating Scale - Gormally e coll., 1982 – Appendice: Allegato 1), fra gli strumenti più utili e diffusi nello studio psicometrico dei soggetti affetti da disturbo da alimentazione incontrollata per verificare la presenza di sintomi legati alle abbuffate. La presenza di “sintomi di binge eating” è improbabile se il punteggio complessivo è < 17, è possibile se il punteggio complessivo è compreso tra 17 e 27, è probabile se il punteggio complessivo è > 27. La Fig. 3.2 riporta i valori del BES tra l’inizio e la fine della terapia. Come prevedibile, nella maggior parte dei casi è possibile o probabile la presenza dei sintomi binge eating. Ora vediamo in dettaglio i risultati. “S” essendo al secondo ciclo terapeutico di gruppo per BED, ne risulta influenzata posivamente. Il BES (diminuisce leggermente passando da un valore iniziale pari a 32 ad uno finale di 29 (in entrambi i casi indica una probabile presenza dei sintomi BED). 40 Anche “M” è al secondo ciclo terapeutico di gruppo per BED. Il BES peggiora passando da 12 a 16, (in entrambi i casi improbabile presenza dei sintomi BED). La paziente è quella con la presenza maggiore di tali sintomi, ma il test risulta sottostimato dal forte autoinganno e dalla poca consapevolezza del sè. Il BES di “R” migliora nettamente, passando da un valore iniziale di 31 (probabile presenza dei sintomi BED), ad un valore finale di 20 (possible presenza dei sintomi BED). Questo risultato è effettivamente emerso dai i racconti della paziente che dichiara di aver ridotto sensibilmente le abbuffate. Un punto focale è la condivisione delle problematiche legate al suo rapporto omosessuale conflittivo, che permette di alleviarle un peso emotivo ormai insostenibile, fino ad allora gestito con le modalità compensatorie alimentari. Il BES di “L” rimane sostanzialmente uguale passando da 19 a 18 (in entrambi i casi possibile presenza dei sintomi BED). La paziente, nosostante i progressi, spesso compensa il disagio emotivo con le abbuffate. Il BES di “B” peggiora leggermente passando da 10 a 14 (in entrambi i casi improbabile presenza dei sintomi BED). La paziente ha soltanto incominciato a prendere consapevolezza delle proprie emozioni. Il BES di “E” si riduce passando da 27 a 18 (in entrambi i casi possible presenza dei sintomi BED). Effettivamente nell’arco della terapia, le abbuffate si sono ridotte significativamente. Fig. 3.2: BES 41 Per quanto concerne il “BUT” (cap. 1.2 - Body Uneasiness Test - versione italiana di Cuzzolaro e coll., 1999 – Appendice: Allegato 2), un test che esplora il disagio relativo all’immagine del proprio corpo, i risultati sono: GSI (Indice globale di gravità - la presenza di un disagio del corpo clinicamente significativo è improbabile se il punteggio GSI è < 1,2 mentre probabile se il punteggio GSI è > 1,2), WP (paura morbosa-fobia dell'aumento di peso), BIC (preoccupazioni eccessive per il proprio aspetto fisico), A (evitamento collegato all’immagine del corpo), CSM (controllo compulsivo della propria immagine), D (depersonalizzazione ovvero i vissuti di distacco e di estraneità rispetto al proprio corpo), PST (numero di item con punteggio ≥1 – non riportato nelle Figure del “BES”, in quanto non standardizzato con il numero di risposte date e quindi poco confrontabile), PSDI (media dei punteggi degli item con punteggio ≥ 1, cioè degli item contati da PST ≥1 diviso per il numero di risposte date). Nel BUT di “S” (Fig. 3.3), il GSI, essendo in entrambi i casi > 1,2 (migliora passando da 3,56 a 3,24), indica un forte disagio relativo all’immagine del corporea attenuato di poco durante la terapia. C’è un peggioramento del CSM (controllo compulsivo della propria immagine), ma complessivamente gli altri valori migliorano, indicando come la paziente abbia migliorato l’accettazione del proprio corpo durante la terapia. • Migliorato: GSI, WP, BIC, A, D. • Stazionario: nessun valore. • Peggiorato: CSM, PSDI. Nel BUT di “M” (Fig. 3.4), il GSI, è in entrambi i casi < 1,2 (peggiora passando da 0,38 a 0,74), quindi teoricamente indicherebbe un improbabile disagio relativo all’immagine corporea. In realtà tale valore, insieme a tutti gli altri, è sottostimato. “M” non è consapevole del proprio stato emotivo e delle emozioni esperite e conferma il forte autoinganno. La paziente, pur evidenziando un peggioramento di tutti i valori del test, ha incominciato ad ascoltare le proprie emozioni, e quindi, nel lungo periodo, potrà ambire ad migliorare la sintomatologia fortemente patologica. • Migliorato: nessun valore. • Stazionario: nessun valore. • Peggiorato: GSI, WP, BIC, A, CSM, D, PSDI. Nel BUT di “R” (fig. 3.5), il GSI, essendo in entrambi i casi > 1,2 (peggiora passando da 2,35 a 2,56), indica un disagio relativo all’immagine del corporea. C’è un miglioramento solo del PSDI, valori stazionari di WP e BIC, ed infine un 42 peggioramento di GSI, A, CSM e D. Sostanzialmente la situazione generale, a livello di sintomatologia legata all’immagine corporea, è leggermente peggiorata. Questo è dovuto al fatto che la paziente durante la terapia, ha iniziato per la prima volta a prendere atto seriamente del proprio disturbo alimentare ed alle emozioni latenti. • Migliorato: PSDI. • Stazionario: WP, BIC. • Peggiorato: GSI, A, CSM, D. Nel BUT di “L” (fig. 3.6), il GSI, essendo in entrambi i casi > 1,2 (migliora passando da 2,32 a 2,00), indica un disagio relativo all’immagine del corporea. Il GSI è migliorato, in effetti questo lo si è evidenziato durante la terapia. Infatti la paziente ha migliorato molto la consapevolezza delle proprie emozioni e ridotto le compensazioni alimentari e le abbuffate. Ha peggiorato solo D (depersonalizzazione), probabilmente per via di forti conflitti interiori venuti alla ribalta. • Migliorato: GSI, WP, BIC, A, CSM, D, PSDI • Stazionario: nessun valore. • Peggiorato: D. Nel BUT di “B” (fig. 3.7), il GSI, essendo in entrambi i casi > 1,2 (peggiora passando da 1,97 a 2,32), indica un disagio relativo all’immagine del corporea. Tale valore è peggiorato leggermente. Il test evidenzia un peggioramento di quasi tutti i valori, ma in realtà è un peggioramento “costruttivo” in quanto dovuto ad una presa di coscienza del proprio disturbo e delle proprie emozioni. • Migliorato: BIC. • Stazionario: nessun valore. • Peggiorato: GSI, WP, A, CSM, D, PSDI. Nel BUT di “E” (fig. 3.8), il GSI, essendo in entrambi i casi molto alto e > 1,2 (migliora passando da 3,62 a 3,09), indica un forte disagio relativo all’immagine del corporea. I valori sono quasi tutti diminuiti, evidenziando un miglioramento della propria immagine corporea durante la terapia. Ciò è dovuto principalmente alla giovane età della paziente, ed alla forte motivazione legata all’obiettivo del dimagrimento finalizzato all’abito nuziale da indossare al proprio matrimonio imminente. • Migliorato: GSI, WP, BIC, A, D, PSDI. • Stazionario: CSM. • Peggiorato: nessun valore. 43 Fig. 3.3: BUT “S” Fig. 3.4: BUT “M” Fig.3.5: BUT “R” 44 Fig. 3.6: BUT “L” Fig. 3.7: BUT “B” Fig 3.8: BUT “E” 45 Infine vediamo l’”SCL-90R” (cap. 1.2 - Sympton Chek List 90 Revised Derogatis, 1997 – Appendice: Allegato 3), uno strumento diagnostico e di screening che misura lo stato psicopatologico generale (quindi dei sintomi psichiatrici). Indaga le seguenti dimensioni sintomatologiche: somatizzazione, ossessione e compulsione, sensibilità interpersonale, depressione, ansietà, ostilità, fobia, psicoticismo, ideazione paranoide, disturbi del sonno. Inoltre si ottengono anche i seguenti risultati: GT (somma di tutti i 90 item); GSI (Indice Globale di Gravità = somma di tutti i 90 item GT/90, quindi è il punteggio medio), PST (Totale sintomi positivi = somma dei sintomi ≥ 1), PSDI (Indice del Distress da Sintomi Positivi = GT/PST). Di seguito GT e PST non verranno menzionati in quanto molto più utili per la nostra analisi sono gli indici GSI e PSDI. Nell’SCL-90R di “S” (fig. 3.9) si evidenzia quello che si era notato anche per il BUT e per il BES, e cioè un miglioramento generale. Si nota un peggioramento solo dei disturbi del sonno e della fobia. • Migliorato: somatizzazione, sensibilità interpersonale, depressione, ansia, ostilità, fobia, psicoticismo, ideazione paranoide, PSDI, GSI, GT. • Stazionario: ossessione e compulsione. • Peggiorato: ansia fobica, PST, disturbi del sonno. Nell’SCL-90R di “M” (fig. 3.10) si nota, come ad esclusione dell’ideazione paranoide, tutti i valori siano peggiorati, a conferma dei risultati del BUT. Durante la terapia il peggioramento dei sintomi è probabilmente dovuto ad un minor controllo emotivo attraverso la modalità delle abbuffate, dovuto all’emergere delle emozioni negative latenti. Quindi nonostante i valori del test, ed all’importante sofferenza psicologica, la paziente ha incominciato ad essere un minimo consapevole delle proprie emozioni. • Migliorato: ideazione paranoide. • Stazionario: nessun valore. • Peggiorato: somatizzazione, ossessione e compulsione, sensibilità interpersonale, depressione, ansia, ostilità, fobia, psicoticismo, ideazione paranoide, PSDI, PST, GSI, GT, disturbi del sonno. Nell’SCL-90R di “R” (fig. 3.11) si nota come migliorino tutti i sintomi psicopatologici. Questo dimostra che se dal punto di vista dell’immagine corporea la paziente ha solamente iniziato un percorso di cambiamento (BUT), dal punto di vista psicopatologico generale essa dimostra già un tangibile miglioramento della 46 sintomatologia. La condivisione delle problematiche legate al suo rapporto sentimentale, l’ha aiutata nel processo di contenimento della sofferenza psicologica. • Migliorato: somatizzazione, ossessione e compulsione, sensibilità interpersonale, depressione, ansia, ostilità, fobia, psicoticismo, ideazione paranoide, PSDI, GSI, GT, disturbi del sonno. • Stazionario: nessun valore. • Peggiorato: nessun valore. Nell’SCL-90R di “L” (fig. 3.12) si evidenzia come siano migliorati quasi tutti i sintomi psicopatologici a dimostrazione di un miglioramento durante la terapia. Sono peggiorati solo i valori relativi alla fobia ed all’ideazione paranoide. Nonostante la paziente abbia ridotto le abbuffate durante la terapia, è riuscita a contenere le emozioni risultanti, senza peggiorare il quadro psicopatologico. • Migliorato: somatizzazione, ossessione e compulsione, depressione, ansia, ostilità, psicoticismo, PSDI, PST, GSI, GT, disturbi del sonno. • Stazionario: sensibilità interpersonale. • Peggiorato: fobia, ideazione paranoide. Nell’SCL-90R di “B” (fig. 3.13) si nota come siano migliorati solo la somatizzazione e l’ansia, mentre tutti gli altri valori siano peggiorati. Vale lo stesso detto per il BUT, infatti la paziente durante la terapia ha mostrato un peggioramento psicopatologico “costruttivo” dovuto all’emergere del disturbo alimentare ed alla maggiore consapevolezza emotiva. • Migliorato: somatizzazione, ansia. • Peggiorato: ossessione e compulsione, sensibilità interpersonale, depressione, ostilità, fobia, ideazione paranoide, PSDI, PST, GSI, GT, disturbi del sonno. • Stazionario: psicoticismo. Nell’SCL-90R di “E” (fig. 3.14) si nota come dal punto di vista psicopatologico ci siano risultati altalenanti, la maggior parte dei sintomi sono migliorati ma tanti altri sono peggiorati. La situazione per la paziente è molto in evoluzione soprattutto per via della giovane età e dagli ampi margini di miglioramento. • Migliorato: ossessività, ostilità, ansia fobica, ideazione paranoide, PST, disturbi del sonno • Peggiorato: somatizzazione, depressione, ansia, psicoticismo, PSDI. • Stazionario: sensibilità interpersonale, GSI, GT 47 Fig. 3.9: SCL-90R “S” Fig. 3.10: SCL90-R “M” 48 Fig. 3.11: SCL90-R “R” Fig. 3.12: SCL90-R “L” 49 Fig. 3.13: SCL-90R “B” Fig. 3.14: SCL-90R “E” 50 Conclusioni Nel presente lavoro, ho approfondito il tema della Terapia di Gruppo nei Disturbi del Comportamento Alimentare, con l’ausilio della presentazione di un’esperienza Terapeutica Gruppale con pazienti Binge Eating Disorder. L’approccio di gruppo proposto affronta la cura dei Disturbi Alimentari secondo una prospettiva diversa da quella individuale, lavorando sulla condivisione e su aspetti emotivi di gruppo, che hanno lo scopo principale di aiutare i pazienti a riconoscere le proprie emozioni affinchè si interrompa la compulsione alimentare. Infatti molti aspetti peculiari di tali disturbi si prestano bene ad essere affrontati in un contesto gruppale, che attraverso il confronto, l’identità di gruppo, ed il mutuo supporto, permette di ottenere importanti risultati terapeutici. Durante il percorso terapeutico esposto, gli strumenti psicometrici utilizzati, il Binge Eating Scale (BES), il Body Uneasiness Test (BUT) ed il Sympton Chek List 90 Revised (SCL-90R), si sono rivelati un supporto molto utile ed interessante nella fase diagnostica e valutativa. Essi, nel contesto gruppale, hanno permesso di valutare i sintomi delle abbuffate, il disagio relativo alla propria immagine corporea e lo stato psicopatologico generale. Tali strumenti, insieme all’osservazione ed ai verbali degli incontri, hanno dimostrato come il cambiamento si possa già apprezzare a breve termine, ma che una serie di incontri limitata nel tempo non è sufficiente a modificare aspetti profondi di personalità e di consapevolezza emotiva. Al fine di ottenere un miglioramento dell’approccio nutrizionale e soprattutto esitenziale nel medio-lungo periodo, al termine della terapia proposta, è fondamentale indirizzare i pazienti verso una successiva partecipazione ad altre attività, che possono essere un’altra psicoterapia gruppale, una psicoterapia individuale, laboratori di arte creativa, e tutto ciò che migliori la lettura e l’elaborazione delle emozioni. Concludendo, nel gruppo condotto, anche se con risultati diversi, tutti i pazienti hanno evidenziato un deciso cambiamento di rotta grazie ad un empowerment individuale e sociale, e soprattutto l’inizio di un percorso che possa portare ad una sempre maggiore consapevolezza emotiva. 51 Bibliografia De Giacomo P., Renna C., Santoni Rugiu A. (2005). Manuale sui disturbi dell’alimentazione. FrancoAngeli. Yalom I.D. (2002) [prima pubbl. 1974]. Teoria e pratica della psicoterapia di gruppo. Bollati Boringhieri. Marinelli S. (2004). Il gruppo e l’anoressia. Raffaello Cortina editore. Corbella S., Girelli R., Marinelli S. (2004). Gruppi omogenei. Borla. Di Petta G. (2006). Gruppanalisi dell’esserci. FrancoAngeli. Giovannini D. (2007) [prima pubbl. 1998]. Colloquio psicologico e relazione interpersonale. Carocci. Zammuner V.L. (2004) [prima pubbl. 1998]. Tecniche dell’intervista e del questionario. Il Mulino. Trentini G. (2004) [prima pubbl. 1995]. Manuale del colloquio e dell’intervista. 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Penso molto al mio peso e provo spesso forte vergogna e disgusto per me stessa/o. Perciò evito per quanto possibile di incontrare altre persone Domanda 2. 1. Non ho difficoltà a mangiare lentamente, seduta/o in maniera corretta 2. Mi sembra di trangugiare il cibo ma alla fine non mi sento troppo piena/o per aver mangiato eccessivamente 3. A volte mangio velocemente e dopo mi sento troppo piena/o 4. Di solito ingollo il cibo quasi senza masticarlo e poi mi sento scoppiare perché ho mangiato troppo Domanda 3. 1. Quando voglio, sono capace di controllare i miei impulsi verso il cibo 2.Penso di avere minor controllo sul cibo rispetto alla maggior parte delle persone 3. Mi sento totalmente incapace di controllare i miei impulsi verso il cibo 4. Mi sento totalmente incapace di controllare il mio rapporto con l’alimentazione e cerco disperatamente di combattere i miei impulsi verso il cibo Domanda 4. 1. Non ho l’abitudine di mangiare quando sono annoiata/o 2. Qualche volta mangio quando sono annoiata/o, ma spesso riesco a distrarmi e a non pensare al cibo 3. Spesso mangio quando sono annoiata/o, ma talvolta riesco a distrarmi e a non pensare al cibo 4. Ho l’abitudine di mangiare quando sono annoiata/o e niente riesce a farmi smettere Domanda 5. 1. Di solito, quando mangio qualcosa è perché ho fame 2. Talvolta mangio d’impulso, senza avere veramente fame 3. Mi capita spesso di mangiare per soddisfare una sensazione di fame anche se fisicamente non ho bisogno di cibo; in queste occasioni non riesco nemmeno a gustare quello che mangio 4. Anche se non ho fisicamente fame, avverto il bisogno di mettere qualcosa in bocca e mi sento soddisfatta/o solo quando riesco a riempirmi la bocca (per esempio con un pezzo di pane). Qualche volta, quando questo succede, risputo il cibo per non ingrassare Domanda 6. 1. Non mi sento per nulla in colpa, né provo odio per me stessa/o dopo aver mangiato troppo 2. A volte mi sento in colpa o provo odio per me stessa/o dopo aver mangiato troppo 3. Quasi sempre provo un forte senso di colpa o odio per me stessa/o se ho mangiato troppo Domanda 7. 1. Quando sono a dieta non perdo mai del tutto il controllo sul cibo, anche in momenti in cui mangio troppo 2. Quando sono a dieta e mangio un cibo proibito, sento che ormai ho trasgredito e mangio ancora di più 3. Quando sono a dieta e mangio più del dovuto mi dico spesso: “Ormai hai trasgredito, perché non vai fino in fondo?” Quando questo succede, mangio ancora di più 4. Mi metto regolarmente a dieta stretta, ma poi interrompo la dieta con un’abbuffata. La mia vita è fatta di abbuffate e digiuni 55 Domanda 8. 1. È raro che io mangi così tanto da sentirmi sgradevolmente piena/o 2. Circa una volta al mese mangio così tanto da sentirmi sgradevolmente piena/o 3. Ci sono periodi regolari durante il mese in cui mangio grandi quantità di cibo, ai pasti o fuori dai pasti 4. Mangio così tanto che di solito, dopo aver mangiato, mi sento piuttosto male e ho nausea Domanda 9. 1. La quantità di calorie che assumo è abbastanza costante nel tempo 2. Qualche volta, dopo aver mangiato troppo, cerco di mangiare pochissime calorie per compensare l’eccesso del pasto precedente. 3. Ho l’abitudine di mangiare troppo di sera. Di solito non ho fame la mattina e mangio troppo la sera 4. Da adulto ho avuto periodi di circa una settimana in cui mi sono imposto diete da fame, a seguito di periodi in cui avevo mangiato troppo. La mia vita è fatta di abbuffate e digiuni Domanda 10. 1. Di solito riesco a smettere di mangiare quando lo decido. So quando è ora di dire basta 2. A volte avverto un impulso a mangiare che non riesco a controllare 3. Spesso avverto impulsi a mangiare così forti che non riesco a vincerli, mentre altre volte riesco a controllarmi 4. Mi sento del tutto incapace di controllare i miei impulsi a mangiare. Ho paura di non farcela a smettere di mangiare con un atto di volontà Domanda 11. 1. Non ho problemi a smettere di mangiare quando mi sento piena/o 2. Di solito riesco a smettere di mangiare appena mi sento piena/o, ma talvolta mangio così tanto da sentirmi piena/o in modo sgradevole 3. Per me è un vero problema smettere di mangiare una volta che ho iniziato e di solito, alla fine, mi sento piena/o in modo sgradevole 4. Per me è un vero problema smettere di mangiare e qualche volta devo provocarmi il vomito per avere sollievo Domanda 12. 1. Quando sono con gli altri (incontri familiari, occasioni sociali) mi sembra di mangiare come quando sono da sola/o 2. Quando sono con gli altri a volte non mangio quanto vorrei, perché sono consapevole dei miei problemi con il cibo 3. Quando sono con gli altri spesso mangio poco, perché mangiare di fronte ad altri mi imbarazza molto 4. Mi vergogno così tanto di mangiare troppo, che per farlo scelgo i momenti in cui nessuno mi vede. In effetti, mangio di nascosto Domanda 13. 1. Faccio tre pasti al giorno e occasionalmente uno spuntino 2. Faccio tre pasti al giorno e di solito anche degli spuntini 3. Quando faccio molti spuntini salto i pasti regolari 4. Ci sono periodi in cui mi sembra di mangiare continuamente, senza pasti regolari Domanda 14. 1. Non penso molto a controllare gli impulsi a mangiare che non vorrei avere 2. A volte la mia mente è occupata dal pensiero di come controllare l’impulso a mangiare 3. Spesso passo molto tempo pensando a quanto ho mangiato o a come fare per non mangiare 4. La mia mente è occupata per la maggior parte del tempo da pensieri sul mangiare. Mi sembra di essere continuamente in lotta per non mangiare Domanda 15. 1. Non penso molto al cibo 2. Mi capita di avere un forte desiderio di cibo, ma solo per brevi periodi di tempo 3. Ci sono giorni in cui non penso ad altro che al cibo 4. La maggior parte delle mie giornate è occupata da pensieri sul cibo. Mi sembra di vivere per mangiare Domanda 16. 1.Di solito so se sono affamata/o oppure no. Prendo la porzione giusta per saziarmi. 2. A volte non so bene se ho fisicamente fame oppure no. In questi momenti, mi è difficile capire quanto cibo ci vorrebbe per saziarmi. 3. Anche se sapessi quante calorie dovrei mangiare, non avrei un’idea chiara di quale sarebbe, per me, una normale quantità di cibo 56 ALLEGATO 2: Body Uneasiness Test (BUT, versione italiana di Cuzzolaro e coll., 1999) 57 58 ALLEGATO 3: Sympton Chek List 90 Revised (SCL-90R, Derogatis, 1997) 59 60