LA SICILIA
8.
DOMENIC A 17 GIUGNO 2012
i FATTI
REPORTAGE
antichi mestieri
ALFIO DI MARCO
NOSTRO INVIATO
IL LUOGO.
Il faro di Cozzo
Spadaro a
Portopalo.
Costruito nel
1864, è uno dei
44 punti di
segnalazione
attivi in Sicilia. E’
alto 36 metri
GIOVANNI LUPO
57 anni è il
guardiano del
faro di Portopalo.
Prima era stato di
guardia in quello
di Ustica. Di
quell’esperienza
ha ancora brutti
ricordi
ANTONIO
TACCONE, 82 anni,
è il vecchio
reggente del faro
di Cozzo Spadaro
a Portopalo dove è
stato «reggente»
per 29 anni
Foto MICHELE
CASTOBELLO
PORTOPALO. «In 30 anni, milioni di occhi
mi hanno guardato senza vedermi. Occhi
grati per quel fascio di luce che nel buio
della notte è un’ancora di salvezza per chi
va per mare»: è orgoglioso del suo lavoro Giovanni Lupo, 58 anni il mese prossimo, mentre dalla cima della torre in pietra che governa in qualità di “reggente”
osserva il Canale di Sicilia increspato dal
vento di maestrale.
Giovanni Lupo di mestiere fa il guardiano del faro. E’ uno degli ultimi rimasti,
visto che da 20 anni non viene più bandito un concorso pubblico: «Nell’80, quando ho fatto l’esame – dice – eravamo in
500; oggi in Italia siamo rimasti in 120
circa. E via via il numero è destinato a calare. Fino all’estinzione perché la tecnologia si va sempre più sostituendo all’uomo…».
Un mestiere antico quello
di guardiano del faro, un mestiere duro che Giovanni, come tutti quelli come lui, ha
sempre fatto con passione. Osserva con occhio esperto gli
ingranaggi perfettamente funzionanti, poi volge lo sguardo
sulla lanterna che racchiude
la piccola lampada da mille
watt da cui si sprigiona la luce che alimenta il sistema, riflettendosi sulle mille sfaccettature delle lenti che compongono il cuore del faro di Cozzo Spadaro,
uno dei più grandi e importanti d’Europa.
«Questo faro – racconta – è stato costruito nel lontano 1864 e da allora, con
i suoi tre lampi ogni quindici secondi,
guida le navi che passano al largo. Da
qui si domina uno degli snodi marini più
importanti del Mediterraneo. Non a caso
oltre a questo faro, il cui fascio luminoso
è in grado d’arrivare a una distanza di
34,5 miglia marine (circa 70 chilometri
terrestri), sono attivi altri cinque “segnalamenti”: quello della fortezza di Capo
Passero, quello dell’Isola delle Correnti,
quello dell’isolotto di Porri e i due fari di
Pozzallo. Tutti e sei li gestiamo in due: io
e il mio secondo, Corrado Cammisuri».
Giovanni Lupo guarda la strada, 36
metri più in basso. «Questa torre – riprende – è tutta costruita in pietra. Quando c’è stato il terremoto non ha neanche
vibrato. Sono arrivato qui 26 anni fa, dopo essere stato a Ustica. Qui mia figlia è
cresciuta, qui mia moglie Corradina si è
trovata subito a suo agio. E non è stato
difficile dopo i quattro anni trascorsi a
Ustica, in quel faro sperduto sulla scogliera, a quattro chilometri di distanza dal
centro abitato. Dio, che esperienze…
Quando arrivava la tempesta, dovevamo
scappare nelle grotte vicine perché il faro non era schermato a dovere e attirava
i fulmini che si scaricavano sulla torre».
«In quei frangenti ripensavo a quando,
da ragazzo, guardando la tv, mi misi in
testa di fare questo mestiere. Allora, era il
«La mia vita
da guardiano
del mare»
A Portopalo uno degli ultimi “faristi”
GIOVANNI LUPO CONTROLLA IL FARO
«Nel 1980 eravamo in 500, oggi
siamo in 120. Scelsi questo mestiere
vedendo uno sceneggiato tv»
1967, andava in onda uno sceneggiato, I
racconti del faro, con Fosco Giachetti e Roberto Chevalier. I protagonisti erano un
vecchio guardiano che viveva nel faro
dove aveva la compagnia del nipote. Lì i
due si imbattevano nei pirati, salvavano
i naufraghi e a volte scoprivano un tesoro».
A Giovanni Lupo, non è mai capitato di
salvare naufraghi, ma di avventure ne
ha vissute tante. «Come quella volta
quando proprio a Ustica il faro si spense
durante la tempesta. Il vento soffiava a
150 chilometri orari. D’improvviso una
saetta trafigge la lanterna e fa saltare la
corrente elettrica. Tutto al buio, il telefono muto. L’unica soluzione era accendere il faro di riserva, altrimenti, con quei
marosi, si rischiava che qualcuno andasse a finire sugli scogli. Presi mia moglie e
la portai di corsa nella “grotta delle emer-
genze”. Poi mi affannai sull’accensione
del faro piccolo e mi precipitai di nuovo
da mia moglie che piangeva e mi chiamava».
«Quando la raggiunsi, il fascio di luce
emerse incoraggiante dalla lanterna.
Quella notte capii perché il faro di Ustica
è chiamato “L’omo morto”. E perché intorno a quel faro ci siano un sacco di storie. Basta lo scenario: una torre costruita
sulla scogliera, a picco sul mare che muggisce 100 metri più in basso. I tuoi unici
compagni sono i gabbiani. Per sei mesi
ho avuto con me un collega che scappò
prima dell’arrivo dell’autunno. Mi disse: “Io qui non ci sto, rischio di diventare
matto…”».
«Dopo quattro anni di quell’isolamento – continua Lupo –, finalmente arrivò il
ritorno a casa, a Portopalo, dove mi affiancai al al responsabile di allora, Anto-
nio Taccone. Prima eravamo in tre, ora
siamo solo in due: io e Corrado Cammisuri. E in due gestiamo sei tra fari e segnalamenti. Alcuni di questi, come quelli dell’isola di Porri e dell’Isola delle Correnti sono poco più che scogli che dobbiamo raggiungere con la motobarca:
dobbiamo arrivarci prima delle 6 del
mattino e rientrare prima delle 10, altrimenti rischi che il vento ti crei troppi
problemi».
«Lo stipendio? Quello di un impiegato
statale medio. Certo, non si diventa ricchi
facendo il farista… In compenso devi essere un bravo elettricista, un bravo motorista e avere la patente nautica. Ma, come
dicevo, è un mestiere il nostro destinato
a restare solo sui libri per alimentare la
fantasia di qualcuno».
Sorride Giovanni Lupo mentre ripone
la manovella d’emergenza con la quale si
caricava – e si carica ancora – il sistema di
contrappesi che aziona gli ingranaggi capaci di far ruotare la lanterna. Sorride e si
avvia giù per i 165 gradini della scala elicoidale che ti riporta a terra.
INFORMAZIONE PROMOZIONALE A CURA DELLA PK
ETNAFIERE. Grande successo di pubblico ieri per l’iniziativa organizzata con Coldiretti, Università, Codacons, Fai e Associazione Polena
A Etnapolis la nuova «Agorasofia»
Nel lungolago gli stand di Campagna amica e nel Centro congressi il convegno del Cnr
Quella dell’agorà per il popolo greco fu un’invenzione urbanistica di enorme portata: la piazza principale, dove si svolgeva il mercato, diventava il cuore stesso della vita cittadina. E l’agorà di
Etnapolis, uno dei maggiori centri commerciali
italiani, progettato con soluzioni innovative dall’architetto-poeta Massimiliano Fuksas, è da ieri
localizzata – e lo sarà ogni venerdì pomeriggio, fino all’autunno – nella zona del lungolago, là dove sono stati montati gli stand di Campagna Amica, realizzata con Coldiretti nell’ambito di un più
ampio progetto culturale denominato Agrosofia.
«La gente – ha commentato il direttore della Città
del tempo ritrovato, Alfio Mosca - ha apprezzato
molto questo mercato nel mercato, comprendendo che si tratta di un’iniziativa costruita con
grande attenzione con i nostri partner per dare
supporto da una parte alle famiglie che devono
affrontare la crisi e dall’altra agli agricoltori locali che trovano uno sbocco di vendita importante».
«La filiera corta – ha aggiunto il presidente
della Coldiretti di Catania, Ignazio Belfiore, presente all’inaugurazione con il direttore Pietro
Bozzo - assicura acquisti convenienti e di qualità
e contribuisce anche a sostenere il reddito degli
agricoltori, con immediate, positive, ricadute in
sede territoriale. Inoltre questi prodotti arrivano
dalle aziende locali e quindi non devono subire
intermediazioni prima di giungere sui banchi di
vendita, contribuendo così anche a ridurre l’in-
quinamento causato dai lunghi trasporti».
Quello realizzato a Etnapolis da Campagna
Amica è uno dei più grandi mercati del genere
dell’intera Sicilia, con un trentina di strutture in
cui vengono offerti prodotti di stagione: pesche
albicocche, nespole, zucchine, cetrioli, fagiolini,
oltre a carni, salumi, formaggi, vino, olio, pistacchio, miele, conserve e tanto altro. Com’è ovvio
tutto rigorosamente a chilometri zero, prodotti,
dunque, sul nostro territorio.
«D’altra parte – ha aggiunto Mosca – la filosofia con la quale la famiglia Abate ha concepito e
realizzato Etnapolis è fortemente legata alla Sicilia e prevede il costante sostegno all’economia
territoriale. Agorasofia è soltanto l’ultima delle
iniziative in ordine di tempo ad andare in questa
direzione e conferma che i centri commerciali
possono essere poli di aggregazione e sviluppo
piuttosto che mostri pronti a divorare i piccoli imprenditori locali».
«In questo quadro che vede Etnapolis come
volano per l’economia locale – ha sottolineato
Barbara Mirabella, direttore generale del polo
fieristico – si innesta poi la scommessa di Etnafiere, rinata con la missione di pianificare e lanciare manifestazioni, di grande livello, capaci di dare ossigeno a un’economia territoriale che la crisi ha reso asfittica, esaltando proprio le eccellenze regionali, la piccola e grande imprenditoria locale».
A sinistra il convegno. Nella
foto, da sx, Sergio Argento,
Maria Grazia Melilli,
Antonella Mandalà, Teresa
Sodano, Giuseppe Arena,
Barbara Mirabella, Alfio
Mosca e Luisa Trovato.
Sopra il lungolago di
Etnapolis con gli stand di
Campagna amica; a destra
Barbara Mirabella, Pietro
Bozzo e Alfio Mosca
E negli spazi di Etnafiere, nel periodo autunnale, il mercato di Campagna Amica proseguirà al
coperto. Intanto ieri ha ospitato nel suo centro
congressi uno degli altri punti di forza del progetto Agorasofia, quello legato alla divulgazione. «Se
vogliamo – ha spiegato Luisa Trovato, ideatrice e
coordinatrice di Agrosofia – creare una nuova
coscienza nei consumatori, bisogna lavorare sulla divulgazione, con convegni come questo del
Consiglio nazionale delle ricerche».
Nel corso dell’incontro, i ricercatori del Cnr
Isaform Catania Maria Grazia Melilli e Sergio Ar-
gento, hanno parlato rispettivamente dei poteri
antiossidanti della patata delle nostre zone e delle piante officinali in Sicilia. Al convegno erano
presenti tra gli altri l’on. Giuseppe Arena, i sindaci di Belpasso Alfio Papale e di Giarre Teresa Sodano, Salvatore Raccuia del Cnr Isaform Catania, il
prof. Pietro Pavone, direttore del dipartimento di
Scienze biologiche, geologiche e ambientali dell’Università di Catania, Antonio Magro, presidente della Nuova associazione Ortofrutticola giarrese e Antonella Mandalà capo delegazione del Fai
di Catania.
DOMENIC A 17 GIUGNO 2012
LA SICILIA
i FATTI
In Sicilia 44 fari, ma solo 18 presidiati
Quello di Portopalo uno dei più potenti
«Ma è un mestiere che va scomparendo». Avanza la tecnologia
NOSTRO INVIATO
ALFIO I MARCO
PORTOPALO. In Italia sono 800 i punti di segnalazione che lungo le coste guidano le
rotte delle navi. Di questi, 168 sono fari
(44 in Sicilia) con una portata di luce superiore alle 15 miglia marine.
Su 168 fari, poi, soltanto 62 (18 in Sicilia) sono presidiati costantemente da
personale civile che si occupa della manutenzione e del buon funzionamento
degli impianti.
Dal 1911, i punti di segnalazione sono
di competenza della Marina militare che
ha suddiviso la gestione in Comandi Zona Fari: a La Spezia il comando del nord
Tirreno, a Venezia quello del nord Adriatico, a Taranto il comando del basso Ionio
e del basso Adriatico, che ha una sezione
staccata a Napoli che, a sua volta, copre
una parte del basso Lazio e parte della
Calabria. Poi c’è un Comando Zona Fari
che si trova in Sardegna (alla Maddalena).
A Messina c’è il Comando Zona Fari Sicilia che – diretto dal capitano di fregata
Francesco Capparucci – copre tutta la
parte che va dalla parte calabra dello Ionio fino a Punta Stilo, la fascia tirrenica
della Calabria che va fino a nord di Paola
e poi tutta la Sicilia. Messina gestisce un
totale 152 segnalamenti.
Tra i 44 maggiori fari siciliani, quello di
Cozzo Spadaro a Portopalo è di sicuro
uno dei più potenti d’Europa, perché ha
una portata luminosa di 34,5 miglia marine (più di 70 chilometri). Il suo fascio di
luce arriva persino a Malta. E’ dotato di
un’ottica rotante a profilo Fresnel dal nome del fisico francese che la inventò guadagnandosi anche il premio Nobel nel
1827. La lente montata a Cozzo Spadaro è
una delle più grandi in assoluto. Francese anche tutta la tecnologia utilizzata.
«Il Comando di Messina – spiega il capitano di fregata Capparucci - ha 78 dipendenti civili (34 assistenti tecnici nautici dislocati sul territorio – cioè faristi –
e il resto personale amministrativo e tecnico) più otto militari. I civili sono statali assunti tramite concorso. Ma oggi non
ci sono più selezioni: quella del farista è
una figura destinata a scomparire. Attualmente si sta procedendo con cambi
interni all’amministrazione dello Stato:
chi vuol mutare profilo professionale fa la
domanda per essere impiegato nel servizio fari. Se si è idonei fisicamente, si passa nel ruolo di assistenti tecnici nautici e
si viene inviati a La Spezia dove c’è un
centro specializzato per la formazione.
Finito il corso, arriva la destinazione in
IL PROGETTO DEL FARO DI PORTOPALO
.9
cui svolgere il servizio».
«Proprio a Messina – spiega a sua volta il maresciallo Bonfiglio - c’è il terzo faro più antico d’Europa: è quello della
Lanterna del Montorsoli che si trova all’interno della base navale. E’ poco conosciuto ma è di vitale importanza: poco al
largo si forma il famoso gorgo descritto
da Omero nell’Odissea, quello di Cariddi.
Già nell’antichità lì di notte si accendevano i fuochi per proteggere i naviganti
dalle forti correnti e dagli scogli».
«Oggi - conclude il maresciallo Bonfiglio – i fari sono tutti dotati di moderne
tecnologie. Anima delle torri di segnalazione è il combustibile. Nei decenni si è
passati dall’olio di paraffina a quello di
colza, ai minerali, al petrolio. Poi è stato
trovato sistema dei minerali di carburo
per produrre acetilene. Un metodo questo utilizzato a lungo, con un vano attrezzato produrre il gas. Poi sono arrivate le
bombole di acetilene che si caricavano in
spalla e si portavano su per le scale».
«Il guardiano allora doveva stare nella
camera di veglia, attigua all’apparato illuminante, per controllare che tutto funzionasse alla perfezione. Il gas a volte
non era puro e si formava la fuliggine. E
così ogni mattina il farista, dopo una notte di lavoro, doveva smontare tutte le
lenti per pulirle e quindi rimontarle al loro posto».
«Quante notti trascorse a osservare
quella fiamma, quante notti passate a
vegliare il fascio di luce che perforava le
tenebre – ricorda l’anziano Antonio Taccone, per 40 anni guardiano del faro –. Il
periodo più pesante è stato quello in cui
si adoperava il petrolio. Si doveva essere
in tre perché il sistema era molto complesso e c’era sempre il rischio che la calza incandescente si spegnesse. Ma oggi
anche quegli anni li ricordo con nostalgia.
Malgrado tutte le notti trascorse con la finestra aperta per controllare che il fascio
di luce non si smorzasse mai».
LA SICILIA
34.
DOMENIC A 17 GIUGNO 2012
SIRACUSA
IL QUADRO
Speciale
Lungo le coste italiane – isole comprese - vi sono più di 800
“segnalamenti” luminosi di supporto alla navigazione. Di
questi, 168 sono fari (44 quelli in funzione in Sicilia). Di
questi 168, solo 62 sono presidiati dai guardiani e dalle loro
famiglie (18 in Sicilia). I “segnalamenti” luminosi sono di
due tipi: il faro e il fanale: il fanale è dotato di un luce che al
livello del mare arriva a una distanza inferiore alle 15 miglia;
il faro è invece la struttura dotata di un fascio di luce capace
di superare le 15 miglia.
(FOTOSERVIZIO DI MICHELE CASTOBELLO)
PORTOPALO. Costruita 148 anni fa, la torre è alta 36,5 metri dalla base. Il suo segnale arriva fino a Malta
Quel lampo di luce che guida le navi
Giovanni Lupo, guardiano del faro di Cozzo Spadaro: «E’ dura ma resta il mestiere più bello»
ALFIO DI MARCO
NOSTRO INVIATO
PORTOPALO. Quel lampo ogni quindici secondi, che corre sull’acqua trafiggendo le
tenebre e arrivando lontano, sino a Malta, 93 chilometri più a sud. Quel lampo
ogni 15 secondi che dal 1864 è punto di
riferimento per chi solca i flutti nel cuore del Mediterraneo. Si sprigiona, quel
lampo, dal cuore della lanterna posta in
cima al faro di Cozzo Spadaro, sul cocuzzolo più alto della costa, alle spalle dell’abitato di Portopalo.
Da qui l’11 agosto del 1718 i siciliani
avevano visto fronteggiarsi la flotta spagnola agli ordini del vice-ammiraglio
don Antonio de Castaneta e del contrammiraglio don Ferdinando Chacon, e
quella inglese agli ordini dell’ammiraglio
sir George Byng.
Qui, 148 anni or sono, furono gettate
le fondamenta di questa torre che, una
COS’E’
Il faro di Cozzo Spadaro (nelle
foto) è uno dei più potenti
d’Europa, perché ha una
portata luminosa di 34,5
miglia marine (più di 70
chilometri). Ha un’ottica
rotante costruita in Francia, a
profilo Fresnel. Si tratta di un
sistema basato sulla
proprietà delle lenti
convesse. Disponendo una
sorgente luminosa
puntiforme nel fuoco di una
lente convergente si ottiene,
all’uscita dalla lente, un
fascio di raggi luminosi
paralleli all’asse ottico e
diretti all’infinito. La
scoperta fu fatta nel 1800 dal
fisico francese Fresnel che per
questo vinse il premio Nobel
nel 1827. Nell’immagine a
destra, Giovanni Lupo
volta ultimata, avrebbe raggiunto un’altezza di 36,5 metri dalla base e 82 metri
dal livello del mare. Un punto strategico,
quello di Cozzo Spadaro, utilizzato già
nell’antichità per lanciare segnali, con i
fuochi, alle navi in transito.
Si dovrà arrivare, però, al 1911 quando,
con decreto dell’allora capo del governo
Giovanni Giolitti, il «Servizio di segnalamento marittimo» passò ufficialmente
alla Regia Marina che istituì per la prima
volta l’Ispettorato dei Fari e dei segnalamenti marittimi.
Da allora, migliaia di uomini hanno
percorso le lunghe scale a chiocciola che
si snodano all’interno dei 168 fari d’Italia, per mantenere sempre in perfetto
stato i congegni. A Portopalo oggi l’ultimo «guardiano» si chiama Giovanni Lupo, ha 58 anni, e da 30 lavora per la Marina.
«Da quando ho cominciato - racconta
- anche i fari si sono evoluti. Oggi le
strutture più grandi come questa funzionano grazie alla corrente elettrica; altre,
più piccole, sono completamente autonome grazie all’energia solare. Ma c’è
stato un tempo in cui ci si doveva caricare le bombole di acetilene sulle spalle e
portarle lassù, 164 scalini più in alto. E
prima dell’acetilene era stato il petrolio
ad alimentare la fiamma della lanterna ».
«Tempi duri, quelli - continua Lupo -.
Ogni giorno, dopo notti trascorse a vigilare sul regolare funzionamento, si doveva smontare tutto per pulire alla perfezione le lenti annerite dalla fuliggine. E
poi coprire con le tendine il sistema per
evitare che il sole potesse danneggiarlo».
«Io - racconta ancora Lupo - ho cominciato ad Ancona dove negli anni ‘80 ho
ultimato il corso di specializzazione. Poi,
appena sposato, sono stato inviato a gestire il faro di Ustica. Quello sì che è un
posto sperduto in mezzo al mare, una
costruzione abbarbicata sulla roccia, do-
ve ogni cosa dovevi portarla sulle spalle.
Non è stato facile, ma se ce l’ho fatta lo
devo a mia moglie Corradina che sempre
mi è stata vicino, senza mai farmi pesare questo duro mestiere».
«Dopo Ustica, per fortuna, sono stato
trasferito qui e la vita, pur sempre difficile, è migliorata. A Portopalo sono stato
affiancato al buon Antonio Taccone che
ho sostituito quando lui è andato in pensione».
Ottant’anni passati da un po’, il volto
indurito dal sole, l’anziano Antonio sorride ricordando il passato. «Dio santo,
se ne ho vissuto di esperienze - racconta -. Con il passare del tempo si matura,
certo, e affronti la vita e il lavoro in maniera diversa. Ma quando hai 25 anni e
sei costretto a lavorare in un posto come
il faro, beh... ».
«Ricordo quella volta che, dopo una
giornata trascorsa in spiaggia dietro a
una bella ragazza, la sera mi sentii trop-
LA SCHEDA
IL COMANDO ZONA FARI SICILIA
Ha sede a Messina il Comando
Zona fari della Sicilia. E’ un ente
alle dirette dipendenze dell’Alto
comando periferico di Marisicilia
che, all’interno della propria
competenza territoriale, lo
impiega ai fini dell’efficienza
operativa dei fari e degli altri
«sehnalamenti» marittimi.
Marifari si occupa della
manutenzione e della gestione del
materiale necessario alle
infrastrutture del servizio. Oltre
alla cinquecentesca Lanterna del
Montorsoli, Marifari Messina
gestisce i segnalamenti di tutta la
Sicilia, quelli delle isole minori e
quelli di parte della Calabria. Alle
sue dirette dipendenze ha il
personale civile e militare del
Comando, dell’officina mista, del
magazzino, oltre al personale
civile assegnato alla «reggenza»
degli stessi fari.
Nello specifico, a Portopalo
Marisicilia dispone di due faristi
che gestiscono l’impianto di
Cozzo Spadaro, quello della
fortezza dell’isola di Capo
Passero, quello dell’Isola delle
Correnti, dell’isolotto di Porri, e i
due di Pozzallo. E se è vero che ogi
gli impianti sono tutti dotati di
sistemi di gestione
automatizzata, è altrettanto vero
che l’intervento del personale è
sempre indispensabile per i
controlli periodici, per la
manutenzione ordinaria e
straordinaria.
Senza dimenticare gli atti di
vandalismo che sistematicamente
costringono i due faristi a
intervenire per sistemare i guasti.
po stanco per vigilare sulla fiamma della lanterna. Allora, con il sistema a petrolio, c’era un’autonomia di gestione di
circa tre ore. Così puntai la vecchia sveglia e mi addormentai su un materasso
sistemato proprio sotto il punto focale».
«A un certo punto sentii qualcosa
camminarmi sul petto. Nel dormiveglia,
pensai a un coniglio. Feci scattare la mano e afferrai qualcosa di molto grosso
che scalciava cercando di scappare. Aprii
gli occhi: nella mano stavo stringendo
un enorme topo. Lo scagliai lontano e al
tempo stesso fui preso dal panico: ero
tutto sporco di sangue, mentre la fiamma del fanale era quasi spenta. Alimentai subito lo stoppino, poi corsi in bagno
e mi guardai allo specchio: sanguinavo
dal labbro dove il topo aveva affondato i
Nella gestione, Lupo si è
affiancato a Cammisuri
e Taccone, il quale ha
rievocato le esperienze
legate a quel faro
suoi denti. Sì, se quella notte non accadde nulla di irreparabile, lo devo proprio
a quella pantegana che m’era saltata addosso... ».
Si scambiano uno sguardo Giovanni
Lupo e Antonio Taccone. E con loro sorride Corrado Cammisuri, che oggi affianca Lupo nella gestione del faro di
Portopalo e di quelli dell’isola di Capo
Passero, dell’Isola delle Correnti, dell’isolotto di Porri, e dei due di Pozzallo. «Sì conclude Corrado - sulle nostre spalle
abbiamo la gestione di sei impianti. Una
bella responsabilità, un bell’impegno.
Ma che vuoi che sia: è pur sempre il mestiere più bello».
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