LA SICILIA 8. DOMENIC A 17 GIUGNO 2012 i FATTI REPORTAGE antichi mestieri ALFIO DI MARCO NOSTRO INVIATO IL LUOGO. Il faro di Cozzo Spadaro a Portopalo. Costruito nel 1864, è uno dei 44 punti di segnalazione attivi in Sicilia. E’ alto 36 metri GIOVANNI LUPO 57 anni è il guardiano del faro di Portopalo. Prima era stato di guardia in quello di Ustica. Di quell’esperienza ha ancora brutti ricordi ANTONIO TACCONE, 82 anni, è il vecchio reggente del faro di Cozzo Spadaro a Portopalo dove è stato «reggente» per 29 anni Foto MICHELE CASTOBELLO PORTOPALO. «In 30 anni, milioni di occhi mi hanno guardato senza vedermi. Occhi grati per quel fascio di luce che nel buio della notte è un’ancora di salvezza per chi va per mare»: è orgoglioso del suo lavoro Giovanni Lupo, 58 anni il mese prossimo, mentre dalla cima della torre in pietra che governa in qualità di “reggente” osserva il Canale di Sicilia increspato dal vento di maestrale. Giovanni Lupo di mestiere fa il guardiano del faro. E’ uno degli ultimi rimasti, visto che da 20 anni non viene più bandito un concorso pubblico: «Nell’80, quando ho fatto l’esame – dice – eravamo in 500; oggi in Italia siamo rimasti in 120 circa. E via via il numero è destinato a calare. Fino all’estinzione perché la tecnologia si va sempre più sostituendo all’uomo…». Un mestiere antico quello di guardiano del faro, un mestiere duro che Giovanni, come tutti quelli come lui, ha sempre fatto con passione. Osserva con occhio esperto gli ingranaggi perfettamente funzionanti, poi volge lo sguardo sulla lanterna che racchiude la piccola lampada da mille watt da cui si sprigiona la luce che alimenta il sistema, riflettendosi sulle mille sfaccettature delle lenti che compongono il cuore del faro di Cozzo Spadaro, uno dei più grandi e importanti d’Europa. «Questo faro – racconta – è stato costruito nel lontano 1864 e da allora, con i suoi tre lampi ogni quindici secondi, guida le navi che passano al largo. Da qui si domina uno degli snodi marini più importanti del Mediterraneo. Non a caso oltre a questo faro, il cui fascio luminoso è in grado d’arrivare a una distanza di 34,5 miglia marine (circa 70 chilometri terrestri), sono attivi altri cinque “segnalamenti”: quello della fortezza di Capo Passero, quello dell’Isola delle Correnti, quello dell’isolotto di Porri e i due fari di Pozzallo. Tutti e sei li gestiamo in due: io e il mio secondo, Corrado Cammisuri». Giovanni Lupo guarda la strada, 36 metri più in basso. «Questa torre – riprende – è tutta costruita in pietra. Quando c’è stato il terremoto non ha neanche vibrato. Sono arrivato qui 26 anni fa, dopo essere stato a Ustica. Qui mia figlia è cresciuta, qui mia moglie Corradina si è trovata subito a suo agio. E non è stato difficile dopo i quattro anni trascorsi a Ustica, in quel faro sperduto sulla scogliera, a quattro chilometri di distanza dal centro abitato. Dio, che esperienze… Quando arrivava la tempesta, dovevamo scappare nelle grotte vicine perché il faro non era schermato a dovere e attirava i fulmini che si scaricavano sulla torre». «In quei frangenti ripensavo a quando, da ragazzo, guardando la tv, mi misi in testa di fare questo mestiere. Allora, era il «La mia vita da guardiano del mare» A Portopalo uno degli ultimi “faristi” GIOVANNI LUPO CONTROLLA IL FARO «Nel 1980 eravamo in 500, oggi siamo in 120. Scelsi questo mestiere vedendo uno sceneggiato tv» 1967, andava in onda uno sceneggiato, I racconti del faro, con Fosco Giachetti e Roberto Chevalier. I protagonisti erano un vecchio guardiano che viveva nel faro dove aveva la compagnia del nipote. Lì i due si imbattevano nei pirati, salvavano i naufraghi e a volte scoprivano un tesoro». A Giovanni Lupo, non è mai capitato di salvare naufraghi, ma di avventure ne ha vissute tante. «Come quella volta quando proprio a Ustica il faro si spense durante la tempesta. Il vento soffiava a 150 chilometri orari. D’improvviso una saetta trafigge la lanterna e fa saltare la corrente elettrica. Tutto al buio, il telefono muto. L’unica soluzione era accendere il faro di riserva, altrimenti, con quei marosi, si rischiava che qualcuno andasse a finire sugli scogli. Presi mia moglie e la portai di corsa nella “grotta delle emer- genze”. Poi mi affannai sull’accensione del faro piccolo e mi precipitai di nuovo da mia moglie che piangeva e mi chiamava». «Quando la raggiunsi, il fascio di luce emerse incoraggiante dalla lanterna. Quella notte capii perché il faro di Ustica è chiamato “L’omo morto”. E perché intorno a quel faro ci siano un sacco di storie. Basta lo scenario: una torre costruita sulla scogliera, a picco sul mare che muggisce 100 metri più in basso. I tuoi unici compagni sono i gabbiani. Per sei mesi ho avuto con me un collega che scappò prima dell’arrivo dell’autunno. Mi disse: “Io qui non ci sto, rischio di diventare matto…”». «Dopo quattro anni di quell’isolamento – continua Lupo –, finalmente arrivò il ritorno a casa, a Portopalo, dove mi affiancai al al responsabile di allora, Anto- nio Taccone. Prima eravamo in tre, ora siamo solo in due: io e Corrado Cammisuri. E in due gestiamo sei tra fari e segnalamenti. Alcuni di questi, come quelli dell’isola di Porri e dell’Isola delle Correnti sono poco più che scogli che dobbiamo raggiungere con la motobarca: dobbiamo arrivarci prima delle 6 del mattino e rientrare prima delle 10, altrimenti rischi che il vento ti crei troppi problemi». «Lo stipendio? Quello di un impiegato statale medio. Certo, non si diventa ricchi facendo il farista… In compenso devi essere un bravo elettricista, un bravo motorista e avere la patente nautica. Ma, come dicevo, è un mestiere il nostro destinato a restare solo sui libri per alimentare la fantasia di qualcuno». Sorride Giovanni Lupo mentre ripone la manovella d’emergenza con la quale si caricava – e si carica ancora – il sistema di contrappesi che aziona gli ingranaggi capaci di far ruotare la lanterna. Sorride e si avvia giù per i 165 gradini della scala elicoidale che ti riporta a terra. INFORMAZIONE PROMOZIONALE A CURA DELLA PK ETNAFIERE. Grande successo di pubblico ieri per l’iniziativa organizzata con Coldiretti, Università, Codacons, Fai e Associazione Polena A Etnapolis la nuova «Agorasofia» Nel lungolago gli stand di Campagna amica e nel Centro congressi il convegno del Cnr Quella dell’agorà per il popolo greco fu un’invenzione urbanistica di enorme portata: la piazza principale, dove si svolgeva il mercato, diventava il cuore stesso della vita cittadina. E l’agorà di Etnapolis, uno dei maggiori centri commerciali italiani, progettato con soluzioni innovative dall’architetto-poeta Massimiliano Fuksas, è da ieri localizzata – e lo sarà ogni venerdì pomeriggio, fino all’autunno – nella zona del lungolago, là dove sono stati montati gli stand di Campagna Amica, realizzata con Coldiretti nell’ambito di un più ampio progetto culturale denominato Agrosofia. «La gente – ha commentato il direttore della Città del tempo ritrovato, Alfio Mosca - ha apprezzato molto questo mercato nel mercato, comprendendo che si tratta di un’iniziativa costruita con grande attenzione con i nostri partner per dare supporto da una parte alle famiglie che devono affrontare la crisi e dall’altra agli agricoltori locali che trovano uno sbocco di vendita importante». «La filiera corta – ha aggiunto il presidente della Coldiretti di Catania, Ignazio Belfiore, presente all’inaugurazione con il direttore Pietro Bozzo - assicura acquisti convenienti e di qualità e contribuisce anche a sostenere il reddito degli agricoltori, con immediate, positive, ricadute in sede territoriale. Inoltre questi prodotti arrivano dalle aziende locali e quindi non devono subire intermediazioni prima di giungere sui banchi di vendita, contribuendo così anche a ridurre l’in- quinamento causato dai lunghi trasporti». Quello realizzato a Etnapolis da Campagna Amica è uno dei più grandi mercati del genere dell’intera Sicilia, con un trentina di strutture in cui vengono offerti prodotti di stagione: pesche albicocche, nespole, zucchine, cetrioli, fagiolini, oltre a carni, salumi, formaggi, vino, olio, pistacchio, miele, conserve e tanto altro. Com’è ovvio tutto rigorosamente a chilometri zero, prodotti, dunque, sul nostro territorio. «D’altra parte – ha aggiunto Mosca – la filosofia con la quale la famiglia Abate ha concepito e realizzato Etnapolis è fortemente legata alla Sicilia e prevede il costante sostegno all’economia territoriale. Agorasofia è soltanto l’ultima delle iniziative in ordine di tempo ad andare in questa direzione e conferma che i centri commerciali possono essere poli di aggregazione e sviluppo piuttosto che mostri pronti a divorare i piccoli imprenditori locali». «In questo quadro che vede Etnapolis come volano per l’economia locale – ha sottolineato Barbara Mirabella, direttore generale del polo fieristico – si innesta poi la scommessa di Etnafiere, rinata con la missione di pianificare e lanciare manifestazioni, di grande livello, capaci di dare ossigeno a un’economia territoriale che la crisi ha reso asfittica, esaltando proprio le eccellenze regionali, la piccola e grande imprenditoria locale». A sinistra il convegno. Nella foto, da sx, Sergio Argento, Maria Grazia Melilli, Antonella Mandalà, Teresa Sodano, Giuseppe Arena, Barbara Mirabella, Alfio Mosca e Luisa Trovato. Sopra il lungolago di Etnapolis con gli stand di Campagna amica; a destra Barbara Mirabella, Pietro Bozzo e Alfio Mosca E negli spazi di Etnafiere, nel periodo autunnale, il mercato di Campagna Amica proseguirà al coperto. Intanto ieri ha ospitato nel suo centro congressi uno degli altri punti di forza del progetto Agorasofia, quello legato alla divulgazione. «Se vogliamo – ha spiegato Luisa Trovato, ideatrice e coordinatrice di Agrosofia – creare una nuova coscienza nei consumatori, bisogna lavorare sulla divulgazione, con convegni come questo del Consiglio nazionale delle ricerche». Nel corso dell’incontro, i ricercatori del Cnr Isaform Catania Maria Grazia Melilli e Sergio Ar- gento, hanno parlato rispettivamente dei poteri antiossidanti della patata delle nostre zone e delle piante officinali in Sicilia. Al convegno erano presenti tra gli altri l’on. Giuseppe Arena, i sindaci di Belpasso Alfio Papale e di Giarre Teresa Sodano, Salvatore Raccuia del Cnr Isaform Catania, il prof. Pietro Pavone, direttore del dipartimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali dell’Università di Catania, Antonio Magro, presidente della Nuova associazione Ortofrutticola giarrese e Antonella Mandalà capo delegazione del Fai di Catania. DOMENIC A 17 GIUGNO 2012 LA SICILIA i FATTI In Sicilia 44 fari, ma solo 18 presidiati Quello di Portopalo uno dei più potenti «Ma è un mestiere che va scomparendo». Avanza la tecnologia NOSTRO INVIATO ALFIO I MARCO PORTOPALO. In Italia sono 800 i punti di segnalazione che lungo le coste guidano le rotte delle navi. Di questi, 168 sono fari (44 in Sicilia) con una portata di luce superiore alle 15 miglia marine. Su 168 fari, poi, soltanto 62 (18 in Sicilia) sono presidiati costantemente da personale civile che si occupa della manutenzione e del buon funzionamento degli impianti. Dal 1911, i punti di segnalazione sono di competenza della Marina militare che ha suddiviso la gestione in Comandi Zona Fari: a La Spezia il comando del nord Tirreno, a Venezia quello del nord Adriatico, a Taranto il comando del basso Ionio e del basso Adriatico, che ha una sezione staccata a Napoli che, a sua volta, copre una parte del basso Lazio e parte della Calabria. Poi c’è un Comando Zona Fari che si trova in Sardegna (alla Maddalena). A Messina c’è il Comando Zona Fari Sicilia che – diretto dal capitano di fregata Francesco Capparucci – copre tutta la parte che va dalla parte calabra dello Ionio fino a Punta Stilo, la fascia tirrenica della Calabria che va fino a nord di Paola e poi tutta la Sicilia. Messina gestisce un totale 152 segnalamenti. Tra i 44 maggiori fari siciliani, quello di Cozzo Spadaro a Portopalo è di sicuro uno dei più potenti d’Europa, perché ha una portata luminosa di 34,5 miglia marine (più di 70 chilometri). Il suo fascio di luce arriva persino a Malta. E’ dotato di un’ottica rotante a profilo Fresnel dal nome del fisico francese che la inventò guadagnandosi anche il premio Nobel nel 1827. La lente montata a Cozzo Spadaro è una delle più grandi in assoluto. Francese anche tutta la tecnologia utilizzata. «Il Comando di Messina – spiega il capitano di fregata Capparucci - ha 78 dipendenti civili (34 assistenti tecnici nautici dislocati sul territorio – cioè faristi – e il resto personale amministrativo e tecnico) più otto militari. I civili sono statali assunti tramite concorso. Ma oggi non ci sono più selezioni: quella del farista è una figura destinata a scomparire. Attualmente si sta procedendo con cambi interni all’amministrazione dello Stato: chi vuol mutare profilo professionale fa la domanda per essere impiegato nel servizio fari. Se si è idonei fisicamente, si passa nel ruolo di assistenti tecnici nautici e si viene inviati a La Spezia dove c’è un centro specializzato per la formazione. Finito il corso, arriva la destinazione in IL PROGETTO DEL FARO DI PORTOPALO .9 cui svolgere il servizio». «Proprio a Messina – spiega a sua volta il maresciallo Bonfiglio - c’è il terzo faro più antico d’Europa: è quello della Lanterna del Montorsoli che si trova all’interno della base navale. E’ poco conosciuto ma è di vitale importanza: poco al largo si forma il famoso gorgo descritto da Omero nell’Odissea, quello di Cariddi. Già nell’antichità lì di notte si accendevano i fuochi per proteggere i naviganti dalle forti correnti e dagli scogli». «Oggi - conclude il maresciallo Bonfiglio – i fari sono tutti dotati di moderne tecnologie. Anima delle torri di segnalazione è il combustibile. Nei decenni si è passati dall’olio di paraffina a quello di colza, ai minerali, al petrolio. Poi è stato trovato sistema dei minerali di carburo per produrre acetilene. Un metodo questo utilizzato a lungo, con un vano attrezzato produrre il gas. Poi sono arrivate le bombole di acetilene che si caricavano in spalla e si portavano su per le scale». «Il guardiano allora doveva stare nella camera di veglia, attigua all’apparato illuminante, per controllare che tutto funzionasse alla perfezione. Il gas a volte non era puro e si formava la fuliggine. E così ogni mattina il farista, dopo una notte di lavoro, doveva smontare tutte le lenti per pulirle e quindi rimontarle al loro posto». «Quante notti trascorse a osservare quella fiamma, quante notti passate a vegliare il fascio di luce che perforava le tenebre – ricorda l’anziano Antonio Taccone, per 40 anni guardiano del faro –. Il periodo più pesante è stato quello in cui si adoperava il petrolio. Si doveva essere in tre perché il sistema era molto complesso e c’era sempre il rischio che la calza incandescente si spegnesse. Ma oggi anche quegli anni li ricordo con nostalgia. Malgrado tutte le notti trascorse con la finestra aperta per controllare che il fascio di luce non si smorzasse mai». LA SICILIA 34. DOMENIC A 17 GIUGNO 2012 SIRACUSA IL QUADRO Speciale Lungo le coste italiane – isole comprese - vi sono più di 800 “segnalamenti” luminosi di supporto alla navigazione. Di questi, 168 sono fari (44 quelli in funzione in Sicilia). Di questi 168, solo 62 sono presidiati dai guardiani e dalle loro famiglie (18 in Sicilia). I “segnalamenti” luminosi sono di due tipi: il faro e il fanale: il fanale è dotato di un luce che al livello del mare arriva a una distanza inferiore alle 15 miglia; il faro è invece la struttura dotata di un fascio di luce capace di superare le 15 miglia. (FOTOSERVIZIO DI MICHELE CASTOBELLO) PORTOPALO. Costruita 148 anni fa, la torre è alta 36,5 metri dalla base. Il suo segnale arriva fino a Malta Quel lampo di luce che guida le navi Giovanni Lupo, guardiano del faro di Cozzo Spadaro: «E’ dura ma resta il mestiere più bello» ALFIO DI MARCO NOSTRO INVIATO PORTOPALO. Quel lampo ogni quindici secondi, che corre sull’acqua trafiggendo le tenebre e arrivando lontano, sino a Malta, 93 chilometri più a sud. Quel lampo ogni 15 secondi che dal 1864 è punto di riferimento per chi solca i flutti nel cuore del Mediterraneo. Si sprigiona, quel lampo, dal cuore della lanterna posta in cima al faro di Cozzo Spadaro, sul cocuzzolo più alto della costa, alle spalle dell’abitato di Portopalo. Da qui l’11 agosto del 1718 i siciliani avevano visto fronteggiarsi la flotta spagnola agli ordini del vice-ammiraglio don Antonio de Castaneta e del contrammiraglio don Ferdinando Chacon, e quella inglese agli ordini dell’ammiraglio sir George Byng. Qui, 148 anni or sono, furono gettate le fondamenta di questa torre che, una COS’E’ Il faro di Cozzo Spadaro (nelle foto) è uno dei più potenti d’Europa, perché ha una portata luminosa di 34,5 miglia marine (più di 70 chilometri). Ha un’ottica rotante costruita in Francia, a profilo Fresnel. Si tratta di un sistema basato sulla proprietà delle lenti convesse. Disponendo una sorgente luminosa puntiforme nel fuoco di una lente convergente si ottiene, all’uscita dalla lente, un fascio di raggi luminosi paralleli all’asse ottico e diretti all’infinito. La scoperta fu fatta nel 1800 dal fisico francese Fresnel che per questo vinse il premio Nobel nel 1827. Nell’immagine a destra, Giovanni Lupo volta ultimata, avrebbe raggiunto un’altezza di 36,5 metri dalla base e 82 metri dal livello del mare. Un punto strategico, quello di Cozzo Spadaro, utilizzato già nell’antichità per lanciare segnali, con i fuochi, alle navi in transito. Si dovrà arrivare, però, al 1911 quando, con decreto dell’allora capo del governo Giovanni Giolitti, il «Servizio di segnalamento marittimo» passò ufficialmente alla Regia Marina che istituì per la prima volta l’Ispettorato dei Fari e dei segnalamenti marittimi. Da allora, migliaia di uomini hanno percorso le lunghe scale a chiocciola che si snodano all’interno dei 168 fari d’Italia, per mantenere sempre in perfetto stato i congegni. A Portopalo oggi l’ultimo «guardiano» si chiama Giovanni Lupo, ha 58 anni, e da 30 lavora per la Marina. «Da quando ho cominciato - racconta - anche i fari si sono evoluti. Oggi le strutture più grandi come questa funzionano grazie alla corrente elettrica; altre, più piccole, sono completamente autonome grazie all’energia solare. Ma c’è stato un tempo in cui ci si doveva caricare le bombole di acetilene sulle spalle e portarle lassù, 164 scalini più in alto. E prima dell’acetilene era stato il petrolio ad alimentare la fiamma della lanterna ». «Tempi duri, quelli - continua Lupo -. Ogni giorno, dopo notti trascorse a vigilare sul regolare funzionamento, si doveva smontare tutto per pulire alla perfezione le lenti annerite dalla fuliggine. E poi coprire con le tendine il sistema per evitare che il sole potesse danneggiarlo». «Io - racconta ancora Lupo - ho cominciato ad Ancona dove negli anni ‘80 ho ultimato il corso di specializzazione. Poi, appena sposato, sono stato inviato a gestire il faro di Ustica. Quello sì che è un posto sperduto in mezzo al mare, una costruzione abbarbicata sulla roccia, do- ve ogni cosa dovevi portarla sulle spalle. Non è stato facile, ma se ce l’ho fatta lo devo a mia moglie Corradina che sempre mi è stata vicino, senza mai farmi pesare questo duro mestiere». «Dopo Ustica, per fortuna, sono stato trasferito qui e la vita, pur sempre difficile, è migliorata. A Portopalo sono stato affiancato al buon Antonio Taccone che ho sostituito quando lui è andato in pensione». Ottant’anni passati da un po’, il volto indurito dal sole, l’anziano Antonio sorride ricordando il passato. «Dio santo, se ne ho vissuto di esperienze - racconta -. Con il passare del tempo si matura, certo, e affronti la vita e il lavoro in maniera diversa. Ma quando hai 25 anni e sei costretto a lavorare in un posto come il faro, beh... ». «Ricordo quella volta che, dopo una giornata trascorsa in spiaggia dietro a una bella ragazza, la sera mi sentii trop- LA SCHEDA IL COMANDO ZONA FARI SICILIA Ha sede a Messina il Comando Zona fari della Sicilia. E’ un ente alle dirette dipendenze dell’Alto comando periferico di Marisicilia che, all’interno della propria competenza territoriale, lo impiega ai fini dell’efficienza operativa dei fari e degli altri «sehnalamenti» marittimi. Marifari si occupa della manutenzione e della gestione del materiale necessario alle infrastrutture del servizio. Oltre alla cinquecentesca Lanterna del Montorsoli, Marifari Messina gestisce i segnalamenti di tutta la Sicilia, quelli delle isole minori e quelli di parte della Calabria. Alle sue dirette dipendenze ha il personale civile e militare del Comando, dell’officina mista, del magazzino, oltre al personale civile assegnato alla «reggenza» degli stessi fari. Nello specifico, a Portopalo Marisicilia dispone di due faristi che gestiscono l’impianto di Cozzo Spadaro, quello della fortezza dell’isola di Capo Passero, quello dell’Isola delle Correnti, dell’isolotto di Porri, e i due di Pozzallo. E se è vero che ogi gli impianti sono tutti dotati di sistemi di gestione automatizzata, è altrettanto vero che l’intervento del personale è sempre indispensabile per i controlli periodici, per la manutenzione ordinaria e straordinaria. Senza dimenticare gli atti di vandalismo che sistematicamente costringono i due faristi a intervenire per sistemare i guasti. po stanco per vigilare sulla fiamma della lanterna. Allora, con il sistema a petrolio, c’era un’autonomia di gestione di circa tre ore. Così puntai la vecchia sveglia e mi addormentai su un materasso sistemato proprio sotto il punto focale». «A un certo punto sentii qualcosa camminarmi sul petto. Nel dormiveglia, pensai a un coniglio. Feci scattare la mano e afferrai qualcosa di molto grosso che scalciava cercando di scappare. Aprii gli occhi: nella mano stavo stringendo un enorme topo. Lo scagliai lontano e al tempo stesso fui preso dal panico: ero tutto sporco di sangue, mentre la fiamma del fanale era quasi spenta. Alimentai subito lo stoppino, poi corsi in bagno e mi guardai allo specchio: sanguinavo dal labbro dove il topo aveva affondato i Nella gestione, Lupo si è affiancato a Cammisuri e Taccone, il quale ha rievocato le esperienze legate a quel faro suoi denti. Sì, se quella notte non accadde nulla di irreparabile, lo devo proprio a quella pantegana che m’era saltata addosso... ». Si scambiano uno sguardo Giovanni Lupo e Antonio Taccone. E con loro sorride Corrado Cammisuri, che oggi affianca Lupo nella gestione del faro di Portopalo e di quelli dell’isola di Capo Passero, dell’Isola delle Correnti, dell’isolotto di Porri, e dei due di Pozzallo. «Sì conclude Corrado - sulle nostre spalle abbiamo la gestione di sei impianti. Una bella responsabilità, un bell’impegno. Ma che vuoi che sia: è pur sempre il mestiere più bello».