DISTINZIONE TRA AGENTI E PROCACCIATORI D’AFFARI. La pronuncia del Tribunale di Roma a cura di Avv. Donato B. Quagliarella Di cosa si tratta Ripetutamente abbiamo affrontato al tema della distinzione tra gli agenti e i procacciatori d’affari od anche altre figure che a questa ultima categoria si avvicinano. Abbiamo sempre sostenuto che non si possano applicare indicazioni provenienti da altre sedi (fiscale, previdenziale, requisiti e richieste delle Camere di Commercio) per risolvere il tema della differenza tra le due figure, ma sia questione da risolvere caso per caso. Una recente sentenza (Tribunale Roma, Sezione Lavoro, Presidente dott. Paolo Sordi) in un giudizio da noi promosso contro Enasarco ha confermato la nostra tesi e ha dato una secca smentita alle tesi sostenute da questo Ente. È noto che Enasarco ritiene agente l’operatore che abbia ad avere rapporti con un’impresa che gli corrisponda provvigioni, quando le provvigioni sono di rilievo, quando l’operatore sia nel medesimo settore commerciale e soprattutto quando operi con continuità e a lungo nel tempo. La parte più sottile della tesi di Enasarco è quella che prescinde dalle forme adottate con gli accordi tra le parti e che va ad individuare la presenza di un “rapporto” sostanzialmente riconducibile all’agenzia. Tutti i richiamati requisiti erano presenti negli operatori della nostra vicenda, ma la disamina da vicino della loro attività ha portato a respingere integralmente le domande di Enasarco. Infatti, come sempre sosteniamo, bisogna guardare il singolo caso e da vicino prima di potere etichettare un’attività come di agenzia. Il giudice di questo giudizio, la cui competenza è particolarmente consolidata in quanto i giudizi nei quali sia parte Enasarco (attore o convenuto) si tengono tutti a Roma alla sezione lavoro e con rito lavoristico, alla prima udienza, prima di esaminare le tante istanze ed eccezioni preliminari formulate, ha ritenuto di dare ingresso alla prova testimoniale per verificare se le affermazioni compiute fossero vere. Ha così disposto l’audizione di quattro testi, uno dei quali l’Ispettore di Enasarco che aveva provveduto a compiere le indagini ispettive dalle quali è poi scaturito l’accertamento, il contenzioso amministrativo e poi il decreto ingiuntivo per la ripresa a contribuzione di sei rapporti con importanti operatori. Il Giudice ha ritenuto che le ditte riprese a contribuzione “svolgevano comunemente attività di commercio nel settore”; “se nello svolgimento di tale attività venivano a conoscenza di clienti potenzialmente interessati all’acquisto delle macchine prodotte dalla ricorrente, si limitavano a segnalare a quest’ultima il nominativo del potenziale cliente” senza seguire poi le concrete attività per la vendita; “in caso di conclusione dell’affare, alla ditta che aveva segnalato il cliente veniva corrisposta una provvigione il cui ammontare era determinato caso per caso in relazione alle condizioni che la ricorrente era riuscita ad ottenere in sede di vendita”; “in alcuni casi era la stessa ditta commerciale che acquistava il macchinario e lo rivendeva al cliente”; “alcune di quelle ditte non hanno proceduto ad alcuna segnalazione di potenziali clienti per lunghi periodi di tempo, mentre altre hanno fatto registrare fatturati per l’acquisto di macchinari di gran lunga superiori a quelli per provvigioni”; inoltre rilevava che “l’opponente ha una rete di agenti commerciali diversa dalle ditte prese in considerazione dalla Fondazione Enasarco nella formulazione delle rivendicazioni oggetto della presente causa, ditte alle quali non è stato riservato lo stesso trattamento che comunemente è invece adottato nei confronti degli agenti” (non venivano invitate alle riunioni della forza vendita). Il tribunale ha stabilito che “tutti questi elementi emergono nel senso dell’insussistenza di rapporti di agenzia i quali, com’è noto, sono caratterizzati essenzialmente dall’assunzione, da parte dell’agente, di uno stabile obbligo di promozione di affari in una zona determinata”. “.. Le ditte in questione non avevano alcun obbligo di impegnarsi nella ricerca di potenziale clientela”. “La scelta di limitarsi alla segnalazione piuttosto che procedere all’acquisto della macchina per poi rivendere la stessa al cliente era determinata da motivazioni che appaiono del tutto attendibili e improntate a genuine ragioni economiche”. Se questa parte è quella che mette in fila le componenti positive di individuazione dell’applicabilità della “figura” di agente, il Giudice dà anche conto delle ragioni di escludere fondamento alle tesi di Enasarco. “Il fatto che con due ditte oggetto dell’accertamento ispettivo l’opponente abbia successivamente instaurato rapporti di agenzia nulla dice, di per sé, circa la natura dei rapporti con queste stesse ditte nel periodo precedente le date di stipulazione dei contratti di agenzia. La circostanza, poi, è meno singolare di quanto si potesse credere: non v’è nulla di inverosimile nel fatto che le ditte in questione, iniziata l’attività di vendita nel settore in cui opera l’attuale opponente e avuto, per questo motivo, occasione di verificare concretamente la consistenza della presenza sul mercato della opponente, abbiano deciso, ad un certo punto, di abbandonare la loro iniziale attività per intraprenderne un’altra (quella di stabile promozione di affari per conto dell’opponente) della quale, appunto, avevano avuto modo di sperimentare, durante il periodo di procacciamento di affari, le prospettive di ritorno in termini economici”. “La lunga durata dei rapporti di procacciamento di affari per cui è causa (oltre a costituire, di per sé, un elemento neutro ai fini della qualificazione giuridica dei rapporti stessi) si spiega agevolmente considerando che, come più volte ripetuto, le ditte in oggetto svolgevano contemporaneamente e principalmente attività di vendita di prodotti e macchine utensili”. Il fatto che quasi tutte le ditte “fossero iscritte all’Enasarco costituisce circostanza probatoria pressoché nulla, poiché l’iscrizione in questione era stata operata con riferimento a rapporti di agenzia intrattenuti con aziende diverse dall’opponente e posto che ciò che rileva è che, di fatto, le ditte in questione non svolgevano attività di agente per conto dell’opponente”. Possiamo affermare che la sentenza conferma il nostro pensiero più volte espresso che è la necessità dell’esistenza dell’obbligo, dell’impegno tra le parti di essere vincolati a compiere una attività specifica a caratterizzare l’elemento di base perché esista un rapporto di agenzia; senza questo impegno non c’è agenzia. A nulla rileva se il rapporto è di lungo od anche lunghissimo periodo (un’azienda faceva questo da oltre venti anni), né che le provvigioni incassate fossero importanti (centinaia di migliaia di euro all’anno), né che vi fosse continuità (fatturazione periodica annua). Enasarco, che dichiara di operare con alacrità per il recupero a contribuzione dei rapporti con le aziende che va ad ispezionare, dovrà rivedere il fondamento di molte pretese anche perché si espone a sensibili costi, come nel caso illustrato ove è stato condannato alle spese giudiziali. (redatto in data 3 giugno 2014) Procacciatore e Agente: la differenza. a cura di Avv. Donato B. Quagliarella Di cosa si tratta Il ricorrente quesito che ci viene posto è quale sia il tratto distintivo centrale tra le figure di agente e procacciatore d’affari. Sul punto abbiamo già richiamato i diversi orientamenti seguiti dai vari soggetti coinvolti dagli effetti della qualificazione; per profili diversi: l’Enasarco, l’Inps, le Camere di Commercio. Il nostro pensiero è tanto chiaro quanto poco condiviso: il procacciatore d’affari non è obbligato a promuovere opportunità ad un imprenditore, mentre l’agente professionalmente promuove la conclusione di contratti a favore del soggetto che lo ha incaricato. A nostro avviso i consueti criteri differenziali ai quali si fa ricorso non riescono ad esprimere quella che è la differenza essenziale. È una costante leggere che la continuità degli affari promossi piuttosto che il volume delle provvigioni ricevute dal procacciatore integrino la conferma della ricorrenza della figura dell’agente con tutti gli effetti che questo comporta. Si possono fare i consueti esempi spasmodici di confronti della composizione dei due dati per restare alla conclusioni che già si assumevano. Ciò che è certo è che manca una definizione dell’ordinamento per la figura del procacciatore d’affari, che, quando viene considerato, è solamente per fini specifici. Alla conclusione formulata si va ad aggiungere un elemento soggettivo che è la volontà delle parti, che per le più varie ragioni non hanno dato forma al rapporto, che è quello voluto, in luogo della forma invece adottata. Muovendo dal codice civile e non dagli Accordi Economici collettivi per le differenze presenti in questi, se consideriamo la “nozione” stessa del contratto di agenzia all’art. 1742, vediamo che è agente quel soggetto che “assume stabilmente l’incarico di promuovere… verso retribuzione… la conclusione di contratti in una zona determinata”. L’incarico, per il quale la norma prevede anche forma scritta, che non è a pena di nullità, è un’ufficializzazione di un ruolo in rapporto a chi lo dà. Può spendere verso l’esterno una qualità che il procacciatore non ha. È chiaro che un’impresa ha interesse a fare contratti, ma nel rapporto con il promotore di questi non è tenuta al rispetto di regole che la stessa si sia data. È in sostanza libera di comportarsi come ritiene opportuno; prendiamo il caso dell’ex imprenditore fallito che, tecnico del settore, proponga la vendita di prodotti; l’azienda potrebbe non avere piacere di passare da questa introduzione su potenziali clienti, ma ragioni di convenienza commerciale possono portare ad aderirvi. L’intermediario, anche procurando molti contratti, non è voluto come rappresentante dell’impresa. Il c.d. “incarico” non c’è, ma è soltanto un interesse ad avvantaggiarsi di un’opportunità che viene offerta. Il procacciatore in relazione al territorio può fare quello che vuole e, se promuove in zone dove l’impresa ha già accordi con altri operatori, non è un problema del procacciatore se promuove contratti con soggetti che dovrebbero essere visitati da agenti incaricati dalla mandante. Ancora il procacciatore può rappresentare le opportunità di prodotti di case diverse allo stesso soggetto al quale ha promosso la conclusione di precedenti contratti con una azienda. Il procacciatore, che dopo avere segnalato l’affare non lo segua nella sua esecuzione, avendo interesse alla sua conclusione ed esecuzione al fine di percepire un compenso, non è il destinatario di reclami relativi alle inadempienze contrattuali; una contestazione formulata al procacciatore non è una valida contestazione (art. 1745 cod. civ.). Nei suoi poteri non c’è quello di chiedere per conto dell’impresa dei provvedimenti cautelari nell’interesse del preponente, né rappresentare reclami validi al fine di “conservare i diritti” spettanti al preponente. L’attività del procacciatore si limita a singole operazioni, anche tante, ma non ha in proposito obblighi di informativa sulle condizioni del mercato od “altra utile per valutare la convenienza dei singoli affari” (art. 1746 cod. civ.). L’agente non risponde in proprio dell’inadempimento anche parziale del terzo e, se lo pattuisce singolarmente, la misura della responsabilità patrimoniale non potrà superare la misura della provvigione relativa all’affare particolare concluso; per il procacciatore non vi sono invece limitazioni legali, anche se è da ritenere che un accordo su questo tema dovrà essere concluso in forme che consentano la sua applicazione. Se l’agente non è in grado di eseguire l’incarico ricevuto, deve informare il preponente a pena di risarcimento del danno (art. 1747 cod. civ.), mentre se il procacciatore non è in grado o non ha voglia nessun effetto si produce nei suoi confronti. Nei confronti dell’agente l’impresa è tenuta a “mettere a disposizione dell’agente la documentazione necessaria” e a fornire “le informazioni necessarie all’esecuzione del contratto”; dovrà rappresentare all’agente l’eventuale calo di capacità produttiva per evadere gli ordini; dovrà tenerlo al corrente entro un termine ragionevole” dell’accettazione o del rifiuto e della mancata esecuzione di un affare procuratogli” (art. 1749 cod. civ.). L’impresa è obbligata a rendicontare periodicamente gli effetti dell’esecuzione del contratto di agenzia con apposita documentazione da fornire all’agente e dovrà provvedere entro termini certi al pagamento. L’agente “ha il diritto di esigere che gli siano fornite tutte le informazioni necessarie per verificare l’importo delle provvigioni liquidate ed in particolare un estratto dei libri contabili”; questi precetti vanno osservati e le deroghe sono nulle. Per il procacciatore il tema non si pone in quanto, anche se in linea di massima le provvigioni che l’azienda riconosce sono per prassi in certe misure, l’accordo relativo può anche essere un importo predeterminato tra le parti. Nel contratto di agenzia si determina se l’incarico sia a tempo determinato o indeterminato, producendo la scelta effetti diversi. Il procacciatore non ha per definizione un termine da rispettare come non è tenuto a forma alcuna; l’impresa ha interesse in generale a concludere affari, ma non vi è obbligata nei confronti del procacciatore ed è per lei indifferente in quale momento la promozione avvenga (art. 1750 cod. civ.). Abbiamo scelto di trattare alcune disposizioni “sensibili” assieme per gli effetti che producono in relazione all’impiego che in concreto ne viene fatto; ci riferiamo all’art. 1748 cod. civ., art. 1750 e 1751 cod. civ. e 1751-bis cod. civ.. Queste disposizioni hanno in comune di produrre effetti economici alla cessazione del rapporto di agenzia. È chiaro che un procacciatore che abbia “procurato” molto, possa avere interesse a considerare effetti che non gli spettano, ma che possono essere importanti. Cambiare abito alla fine del rapporto può comportare il lucrare molti soldi. Reciprocamente non avere riconosciuto la veste di agente ad un procacciatore che tale non è produce effetti economici utili anche al preponente. È la parte relativa alla disamina delle norme richiamate per prime che consente l’individuazione della figura in concreto e non la reazione con l’applicazione di concetti astratti che va a configurare l’esatta posizione. I diritti dell’agente sono codificati dall’art. 1748 cod. civ. che prevede il diritto alla provvigione “quando l’operazione è stata conclusa per effetto del suo intervento”, concetto applicabile anche al procacciatore, mentre non lo è l’eventuale ulteriore conclusione di affari con soggetti per i quali il procacciatore abbia procurato operazioni. Non rileva invece la cessazione dell’incarico al procacciatore per gli affari successivi proprio perché non c’è un momento nel quale l’incarico cessi, né il tema si pone per il concorso nella zona della presenza di un agente della mandante. Mentre la norma dà altre prescrizioni per gli effetti sull’operazione in concreto conclusa ed eseguita in parte, non rileva invece quando il preponente “avrebbe dovuto eseguire la prestazione in base al contratto concluso con il terzo” e poi non lo abbia a fare. Nell’ipotesi in cui il preponente concordi con il terzo una esecuzione parziale o totale il procacciatore non ha diritti sulla parte ineseguita. Con la cessazione del rapporto di cui all’art. 1750 cod. civ. si attualizzano temi come il preavviso, che intrinsecamente non si pone per il procacciatore, piuttosto che le indennità previste dall’art. 1751 e 1752 cod. civ.. È chiaro che queste disposizioni non si applichino al procacciatore il quale non era da un lato tenuto a perseguire gli obiettivi sottostanti, né a raccoglierne poi gli effetti. L’applicazione dei principi che individuano in altre sedi la riconduzione della figura in concreto all’agente producono l’effetto perverso di aprire il tema dell’applicazione di disposizioni che non sono state date per il procacciatore ed anzi sono con questa operazione incompatibili. È frequente che, per l’individuazione dei codici delle ritenute, l’Enasarco effettui ispezioni presso le imprese per valutare quale sia la posizione di soggetti che hanno prestato attività a loro favore. Da queste quindi la ripresa a “previdenza” con la qualificazione di “agente” e da qui le revindiche di una qualità talora non posseduta. Un solo rilievo sulle novità del Regolamento delle attività istituzionali approvato con delibere C.d.A. 22 dicembre 2010, n. 95 e 4 maggio 2011, n. 35 da Enasarco. A nessuno sarà sfuggito che il Regolamento della attività istituzionali sia cambiato da quello precedente adottato in forza di delibera 30 dicembre 2003. L’art. 1 prevedeva che: “1. L’Ente Nazionale Assistenza Agenti e Rappresentanti di Commercio – ENASARCO – Fondazione costituita ai sensi dell’art. 1 del Decreto Legislativo 30.6.1994, n. 509, eroga ai soggetti riconducibili alle fattispecie di cui agli artt. 1742 e 1752 del codice civile, appresso denominati agenti, la pensione di vecchiaia, inabilità, invalidità e superstiti integrativa di quella prevista dalla legge 22.7.1966, n. 613, e successive modifiche e integrazioni”. A seguito delle delibere C.d.A. 22 dicembre 2010, n. 95 e 4 maggio 2011, n. 35, il testo è mutato in: “1. ENASARCO …, eroga agli agenti di cui agli articoli 1742 e 1752 del codice civile la pensione di vecchiaia, invalidità, inabilità e superstiti integrativa di quella prevista dalla Legge 22 luglio 1966, n. 613”. La modifica apportata comporta qualche effetto per il nostro tema? La retorica domanda formulata ha una sicura risposta che non richiede il ricorso a vie interpretative più complesse di quella “letterale”. La dizione originaria (ai soggetti riconducibili alle fattispecie di cui agli artt. 1742 e 1752 del codice civile, appresso denominati agenti) era più ampia dell’attuale: “agli agenti di cui agli articoli 1742 e 1752 del codice civile”. Se ora i soggetti considerati sono gli agenti previsti dal codice, prima esisteva una riconduzione alla figura degli agenti. Questo consente di concludere sul punto che, se prima “era possibile ricondurre”, ora non lo è più (prima conclusione). Ma una seconda conclusione sta ad un passaggio successivo dell’interpretazione che alla norma regolamentare va data. Più che modificare l’ambito di applicazione, il nuovo testo è intervenuto “a chiarimento” del precedente; ha dato in sostanza una norma interpretativa, che come da “regole generali” ha efficacia interpretativa ed è quindi retroattiva. Quindi l’individuazione dei beneficiari delle disposizioni del Regolamento sono i soli agenti anche per quanto attiene il periodo precedente. È evidente che l’obbligo (Articolo 2 - Obbligo d’iscrizione. 1. “Sono obbligatoriamente iscritti alla Fondazione tutti i soggetti di cui all’articolo 1 che operino sul territorio nazionale in nome e per conto di preponenti italiani… . L’obbligo di iscrizione riguarda sia gli agenti operanti individualmente sia quelli operanti in forma societaria o comunque associata, qualunque sia la configurazione giuridica assunta”) scaturisce dalla riconduzione all’art. 1 del Regolamento Enasarco. Rotto il legame, non c’è l’obbligo. (redatto in data 21 novembre 2012) Agente o rivenditore. a cura di Avv. Donato B. Quagliarella Di cosa si tratta La domanda che ci impone un giudizio che è appena stato introdotto è se un rivenditore possa essere anche un agente e viceversa. Sul fronte del regime giuridico dei rispettivi contratti non ci sono particolari problemi, ma ci domandiamo quanto possa essere compatibile assumere la duplice veste. Ipotizziamo dal muovere avendo un contratto di agenzia e a un certo momento ci mettiamo a vendere direttamente sul mercato, commissionando a titolo personale i prodotti al preponente; crediamo che questo abbia a chiedere un chiarimento del rapporto. Se reciprocamente un cliente si mette ad acquistare prodotti e magari aumenta il fatturato, ma a un certo punto segnala operazioni al preponente e con questo conviene una provvigione, dovremmo ritenere che si sia trasformato da rivenditore ad agente. Quest’ultima risposta non suona lineare; a noi pare che la mancanza dell’obbligo di diffondere i prodotti sul mercato faccia scadere la figura in qualcosa di diverso dall’agenzia. La causa in senso tecnico del contratto di agenzia è individuata nell’”incarico di promuovere, per conto dell’altra parte, verso retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata” (art. 1742 cod. civ.). Vi è un obbligo di lavorare (promuovere), di farlo a favore di uno o più preponenti, a fronte di un corrispettivo, e anche in una area individuata. Al rivenditore conviene vendere perché ha un margine tra il prezzo di acquisto e quello di vendita, ma certo può scegliere ed è libero ed è lui a compiere la scelta; la “retribuzione” nel contratto di agenzia, invece, è sicuramente diversa dal margine di profitto della rivendita. Promuovere non è concludere e il preponente ha riservato questo potere di scelta. La politica di vendita, i prezzi, l’agio dello sconto sono elementi concordati tra le parti nell’agenzia, mentre nella rivendita sono elementi lasciati al rivenditore. Ci sono indubbiamente elementi materiali che portano a distinguere le due vesti, ma ci pare che sia immanente qualche cosa di diverso che caratterizzi i due tipi al punto che non possano coesistere. Sempre con esempi limite il rivenditore che venda prodotti di un solo soggetto, in un’area convenuta, a prezzi convenuti con chi lo fornisce, che abbia una politica premiale in relazione al venduto, ma non promuova contratti diretti, non sarà riconosciuto come agente (Cassazione Civ, sez, 2°, 3 ottobre 2007, n. 20775). Nel caso poi che cominci a segnalare, anziché vendere direttamente al suo cliente, i nominativi dei soggetti interessati, non riteniamo che lo trasformi in agente proprio perché a ciò non è tenuto; le ragioni che lo spingono a cambiare il suo indirizzo operativo saranno naturalmente la conseguenza di una valutazione di opportunità. Dal punto di vista del preponente, l’attività di segnalazione non dovrebbe porre problemi, mentre è ben diverso se l’agente si mette a commissionare in proprio, realizzando intrinsecamente un conflitto; naturalmente, quando si fosse al di fuori da politiche di prezzi vincolate il “divenuto” cliente chiederebbe che i prezzi praticati a lui siano alla soglia limite più bassa, mentre come agente ha interesse a fare conseguire i prezzo più alto al quale si parametra il risultato della sua attività: la provvigione. A nostro avviso la compatibilità e coesistenza delle due operatività si potrebbe avere solamente con un quadro preciso di definizione dei rapporti, che nei fatti venga osservato o che sia desumibile da quanto nei fatti sia applicato. Intendiamo dire che la verifica in concreto di quanto realizzato dovrebbe fornire metri per ricondurre il rapporto a chiarezza, ma non si potrà ritenere costituito un rapporto di agenzia, che è l’obbligo di promuovere le vendite nei confronti di terzi, né si potrà vendere a se stessi; questa ipotesi, cioè procurare vendite che farebbe l’agente a proprio favore, dovrebbe equivalere a conseguire il minor prezzo dal fornitore con l’ulteriore sconto di quella che sarebbe stata la provvigione nel caso di vendita a terzi. Ipotizziamo di scrivere un contratto e questo sia di agenzia e che preveda anche la possibilità per l’agente di comprare in proprio e di indicare anche in base a quali criteri (minimo di listino, scontato di una percentuale od altro); ipotizziamo anche che il preponente sia monoprodotto oppure anche con prodotti diversi per prezzi diversi. Vi sarà sempre un momento di contrasto di interessi tra i due operatori; entrambi dovrebbero puntare alla massimizzazione dei risultati. Il preponente guadagnerebbe meno quando vende all’agente tanto quanto non guadagnerebbe se l’agente non puntasse ai prezzi massimi nei confronti dei terzi. Potendolo fare, l’agente che dovesse spuntare un prezzo alto dal cliente dovrebbe avere la convenienza a fare la vendita in proprio. Si potrebbe anche pensare ad un venditore “piccolo” che occasionalmente abbia la possibilità di segnalare al suo fornitore una vendita più importante che in proprio non concluderebbe per l’importanza economica e quindi per difetto di capacità finanziaria. In questa evenienza è facile pensare che si parli della diversa figura del procacciatore d’affari, che, se anche facesse concludere una operazione importante con un prezzo importante e con un compenso importante, in quanto può capitare, ma non necessariamente, sarebbe al di fuori di un obbligo a promuovere gli affari. La giurisprudenza sul tema non ci aiuta all’individuazione delle risposte, né si esprime Enasarco che, verificate delle situazioni, punta verso il riconoscimento della qualità di agente a fini di contribuzione. Non pare pertinente e di aiuto sul tema la nota sentenza Bosch (Cassazione Civ, sez, 2°, 3 ottobre 2007, n. 20775) che è stata resa in un giudizio volto a rivendicare la qualità di agente da parte di un distributore esclusivo. La sentenza sottolinea la necessità che il contratto non sia esaustivo sui punti caratterizzanti e che, pur chiamato altrimenti il contratto, abbia avuto le caratteristiche dell’agenzia; dice la sentenza: “È sufficiente, in proposito, osservare che, in tanto si sarebbe potuto fare applicazione (diretta o analogica) delle disciplina in tema di agenzia in quanto fosse risultato che il rapporto intercorso tra le parti: a) era carente nella sua disciplina pattizia; b) oppure, nonostante il diverso nomen iuris, aveva le caratteristiche proprie del rapporto di agenzia”. Questo principio può ritenersi per fermo in relazione alla rivendita con esclusiva, mentre non regge al confronto della mera opzione tra la vendita del prodotto del fornitore e il suo acquisto in proprio. Va anche ricordato che il preponente è riconosciuto come il contraente forte nel rapporto di agenzia e ha importanti poteri: non aderire alla proposta ricevuta, andare nell’area dell’agente e concludere contratti diretti, chiedere resoconti sull’attività svolta nella zona, dare direttive; nell’ipotesi di facoltà di scelta dell’agente tra la promozione e l’acquisto pare che si realizzino frizioni quando si abbia la simultanea possibilità di coesistenza dei due tipi di rapporti. Non può essere lasciato al caso e alla valutazione successiva la definizione della natura del rapporto quando si parli di un rivenditore; potrà essere anche un agente (ipotesi che neghiamo) nei casi nei quali gli acquisti compiuti non integrino una sistematica rivendita, ma siano occasionali o compiuti al di fuori dell’ambito che sarebbe regolato dall’agenzia (per esempio per vendite al di fuori del territorio), ma quando la scelta tra l’operare in un modo o nell’altro è lasciata a questa figura, non si potrà essere nell’ambito del diverso istituto dell’agenzia. Solamente un accordo ben definito e in forma scritta potrebbe essere idoneo a risolvere i temi che in concreto contrapporrebbero gli interessi delle parti, mentre la commistione delle competenze dovrebbe, in chiave interpretativa, ipotizzare l’individuazione di una chiara prevalenza dell’istituto da applicare. (redatto in data 25 giugno 2013) Il procacciatore d’affari. a cura di Avv. Donato B. Quagliarella Di cosa si tratta La figura del procacciatore d’affari è in parte simile a quella dell’agente; svolge un’attività caratterizzata dall’assenza di subordinazione dal soggetto interessato alle vendite ed è volta a promuovere la conclusione di contratti. La figura ha ottenuto nella pratica commerciale un grande successo per la funzione economica che è in grado di svolgere e per i risparmi che consente all’impresa. Se l’agente di commercio è per l’imprenditore meno costoso di un lavoratore subordinato, il procacciatore d’affari costa ancora meno di un agente di commercio e questo spiega il successo che ottiene nei fatti, anche se l’utilizzo della figura riguarda soprattutto mercati e settori nei quali un’azienda non desidera impegnarsi in modo diretto oppure situazioni che comportano vendite saltuarie o non continuative. Il procacciatore non potrà svolgere le funzioni proprie dell’agente di commercio, poiché è vietato dalla legge 204/85 e non potrà operare "stabilmente" per promuovere la conclusione di contratti in una zona determinata. La giurisprudenza ha definito in negativo il contratto di procacciamento stabilendo che si concretizza nell’attività "di chi raccoglie le ordinazioni dei clienti, trasmettendole alla ditta dalla quale ha ricevuto l’incarico di procurare le commissioni, ma senza vincolo di stabilità ed in via del tutto occasionale" (Cassazione, sentenza 2514 del 23 aprile 1980). La figura è atipica e il soggetto non dispone generalmente di un accordo determinato, ma solamente di un trattamento provvigionale che le due parti possono stabilire con scrittura privata o verbalmente di volta in volta. L’occasionalità si sostanzia nella non continuità della prestazione e non è il valore del compenso che fa mutare natura; un affare importante concluso che determina un compenso provvigionale di rilievo resta occasionale in quanto non abbia altri seguiti, mentre tante operazioni a concorrenza del medesimo importo in un arco temporale non lungo atteggiano l'attività esercitata con la caratteristica della continuità e professionalità. Secondo il contenuto dell'art. 2222 cod. civ. è procacciatore di affari occasionale “chi si obbliga a compiere un’opera od un servizio, con lavoro prevalentemente proprio, senza vincolo di subordinazione e senza alcun coordinamento del committente; l’esercizio dell’attività, peraltro, deve essere del tutto occasionale, senza i requisiti della professionalità e della prevalenza.” La figura non è altrimenti delineata dalla normativa; si tratta di un soggetto che si differenzia dall’agente o rappresentante di commercio in quanto usualmente non è vincolato dalla esclusiva, non ha una zona specifica e non ha stabilità di incarico. Ai fini IVA rileva l’aspetto dell’occasionalità e non continuità. Possiamo avere due situazioni: il procacciatore di affari continuativo, che deve obbligatoriamente iscriversi all'IVA, e quello occasionale che non ha l'obbligo di iscrizione. Le figure si differenziano nell'assoggettamento ad IVA delle provvigioni e nella tenuta di una contabilità fiscale con conseguenze contabili, di contabilità fiscale e di studi di settore. Per la documentazione fiscale il documento contabile deve essere emesso dal procacciatore di affari nel caso del procacciatore continuativo, iscritto Ufficio IVA, che è tenuto ad emettere regolare fattura assoggettata ad IVA e deve registrarla nel registro delle fatture emesse nei termini di legge. Il procacciatore occasionale, senza iscrizione IVA, emette una semplice ricevuta soggetta a ritenuta d’acconto e marca da bollo se di importo superiore a Euro 77,47. Ai fini INPS le due figure hanno un trattamento previdenziale diverso: quello continuativo è assoggettato alla contribuzione previdenziale della gestione commercianti con un versamento minimo, indipendentemente dal reddito conseguito, di circa Euro 2.400 annui per redditi fino a Euro 13.345 e per reddito oltre il minimale deve versare il 18% sulla differenza, mentre il procacciatore occasionale è escluso dal versamento previdenziale INPS sia per la gestione commercianti che per il contributo Inps previsto dalla Legge 335/95 per importi inferiori a 5.000 euro. L’iscrizione alla Gestione Separata e di conseguenza l’obbligo contributivo si verificano al superamento del limite di Euro 5.000,00 di reddito. Il soggetto, il quale svolge una prestazione di lavoro autonomo occasionale con uno o più committenti, deve procedere all’iscrizione INPS qualora l’ammontare complessivo dei compensi, al netto dei costi, risulti superiore a Euro 5.000,00. Il contributo previdenziale è per 1/3 a carico del prestatore con trattenuta da parte del committente e 2/3 a carico del committente; la quota del contributo a carico del soggetto non riduce la base imponibile soggetta alla ritenuta di acconto ed è deducibile nel quadro RP – Oneri Previdenziali. L'assicurazione per i commercianti dal 1965 è obbligatoria anche per la pensione e dalla stessa data è stata istituita presso l'Inps la gestione speciale per l'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti. I titolari e i contitolari delle imprese familiari, nonché i familiari coadiutori devono essere iscritti all'Inps ai fini pensionistici. Sono iscritti alla gestione speciale gli agenti e i rappresentanti di commercio iscritti nell'apposito albo, come anche i propagandisti e procacciatori d'affari. Ai fini IRPEF il trattamento fiscale è uguale: la ritenuta di acconto è del 23% sul 50% delle provvigioni. I costi, documentati ed inerenti l'attività, sono deducibili riportandoli nei vari quadri della dichiarazione dei redditi e nelle scritture contabili per il procacciatore di affari continuativo iscritto all'IVA. Entrambe le due figure di procacciatori di affari, occasionale e continuativo, devono presentare la propria dichiarazione dei redditi compilando, il procacciatore occasionale, il quadro L e, quello continuativo, il quadro G per contabilità semplificata o F per contabilità ordinaria. L’Enasarco con Delibera n. 2/2000 (G.U. 24 agosto 2000) ha eliminato dal regolamento delle prestazioni istituzionali il requisito dell’iscrizione nel Ruolo professionale degli agenti e rappresentanti di commercio, di cui alla legge n. 204/1985, quale condizione necessaria per l’iscrivibilità degli interessati all’Enasarco. La nuova regola è divenuta l’obbligo di iscrizione all’Enasarco, con conseguente tutela sul piano previdenziale, in presenza di una prestazione che abbia le caratteristiche del contratto di agenzia, anche se l’intermediario interessato non risulti iscritto nel Ruolo agenti e rappresentanti di commercio tenuto dalla Camera di Commercio. La modifica (che recepisce la Direttiva comunitaria n. 86/653/Cee riguardo agli agenti di commercio e la Sentenza 13 luglio 2000, n. 456 della Corte di Giustizia Europea, nonché quanto disposto dalla Corte di Cassazione con la Sentenza 16 maggio 1999, n. 4817) sancisce la piena validità dei contratti di agenzia stipulati tramite agente non iscritto al Ruolo tenuto dalla Camera di Commercio, nonostante il contrasto sussistente fra la normativa nazionale (artt. 2 e 9 della Legge n. 204/1985) e la disposizione della normativa comunitaria, da considerarsi prevalente. Le aziende, che usufruiscono delle prestazioni di agenti non iscritti a ruolo e di procacciatori d’affari, debbono iscriverli all’Enasarco e versare le quote contributive dovute, se le prestazioni di questi soggetti risultino non più “occasionali”. L’Ente si avvale di un termine prescrizionale per il recupero di detti contributi non versati pari a 5 anni. Sono obbligati all’iscrizione Enasarco tutti gli agenti che operano in territorio italiano (sia italiani che esteri) in nome e per conto di preponenti (sia italiani che esteri che abbiano una sede o una dipendenza in Italia). Sono obbligati gli agenti italiani che operano all’estero per conto di preponenti italiani. Mentre la figura dell’agente libero resta tipica, il procacciatore d'affari ha un rapporto di collaborazione qualificato atipico; è classificato tra gli "intermediari del commercio" ed è tenuto ad iscriversi nel Registro delle imprese, allegando alla domanda di iscrizione la copia della "lettera d'incarico". La domanda deve essere presentata al Registro delle Imprese presso le Camere di Commercio della provincia di competenza entro trenta giorni dall'inizio dell'attività lavorativa e si presenta sia per il titolare sia per gli eventuali coadiutori familiari. Sono le Camere di Commercio che tramite l'Unioncamere trasmettono periodicamente all'Inps i dati dei soggetti da iscrivere nella gestione speciale per i commercianti. La decisione sull'iscrizione dei titolari e dei familiari coadiutori delle imprese commerciali spetta all'Inps. I lavoratori, impegnati in più attività autonome, anche in un'unica impresa, sono assoggettabili a forme diverse di assicurazione obbligatoria, e devono essere iscritti nell'assicurazione prevista per l'attività alla quale dedicano la loro opera in maniera prevalente; spetta all'Inps decidere quale sia l'attività da considerare prevalente ai fini dell'iscrizione dell'imprenditore. Il principio della prevalenza non si applica quando una delle due attività è soggetta al contributo per il lavoro parasubordinato e in questo caso le due diverse attività danno titolo alla contemporanea iscrizione in due diverse gestioni: quella dei commercianti e quella dei parasubordinati. Il rapporto di procacciamento d’affari consente grande libertà ad entrambe le parti contrattuali, ma fornisce anche poche tutele per il procacciatore. Fra le parti si applicano, oltre ai principi del nostro ordinamento ed alle norme generali sui contratti, le disposizioni accettate dalle parti che, rispetto ad altri negozi giuridici, divengono predominanti. In relazione allo "star del credere", cioè a quella clausola che rende l’intermediario commerciale partecipe della perdita patita dall’imprenditore, il procacciatore è tenuto a quanto ha pattuito in concreto e non si applica il regime dell’agente. Se ha firmato un contratto che prevede uno "star del credere" pari al 30%, deve sapere che, in caso di mancato pagamento da parte di un cliente per un affare concluso grazie al suo intervento, dovrà sborsare quanto previsto dallo "star del credere". E’ dunque assai importante non firmare la cosiddetta "lettera d’incarico" (cioè lo strumento cartaceo in cui si concretizza il contratto) senza un adeguato esame ed approfondimento. Attenzione dovrà essere prestata al modo di pattuire l’ammontare delle provvigioni, alle modalità e ai tempi di pagamento delle stesse, ai patti di non concorrenza e ai tempi di preavviso per la risoluzione del contratto. Se l’attività di procacciatore può essere la porta di ingresso di altre attività successive delle quali rappresenta in parte quasi un’attività formativa, come per il mediatore o l’agente di commercio, deve essere esercitata con cautela per evitare raggiri o indebite forme di sfruttamento con eccesso di oneri e rischi a carico del procacciatore.