Ancora sul linguaggio politico Grillo Cornice: guerra alla politica Nomignoli per gli avversari Siamo in guerra, Arrendetevi, siete circondati Psiconano (Berlusconi), Topo Gigio (Veltroni), Alzheimer (Prodi), Salma (Fassino e poi Napolitano),Azzurro Calatgirone (Casini), “il nano Bagonghi con gli occhialini rossi” (Maroni)i media sono barracuda, Monti è Rigor Montis, Bersani: Bersanator (zombi), un morto che parla Critica del linguaggio della politica, definito oscuro, contorto e fuori della realtà, semplificazione Teatralizzazione, messa in scena degli eccessi Metaforica morte/vita (tipica del vitalismo e del totalitarismo), bellica: traditori, cadere in trappola, ecc. Fallacie dell’argomentazione: ad hominem, inversione dell’onere della prova Nascondimento e silenzio (Oracolo: “non dice né nasconde ma manda segni”), R. Simone, «Repubblica», 14.3.2013 Fedel, Il concetto di demagogia, in Id. Saggi sul linguaggio e l’oratoria politica, Giuffrè, 1999: 161-180 Struttura uno/molti: la demagogia ha una struttura oratoria obbligata a due poli: l’oratore e l’uditorio: uno che parla e molti che ascoltano. funzione motivante del linguaggio. Nella situazione demagogica l’efficacia del discorso non dipenderà dai contenuti di verità, dalla razionalità o dalla validità logica delle parole, ma dal fatto che esse sappiano stimolare in modo adeguato il complesso motivazionale degli individui (valori, sentimenti, interessi, credenze) per controllarne l’agire. Ne deriva: semplificazione, illogicità, indifferenza alla verità, drammatizzazione. L’emotività come requisito della ricezione del linguaggio. I sentimenti fanno parte delle componenti motivazionali dell’agire, di conseguenza il discorso del demagogo farà presa anche (e soprattutto) sui sentimenti per produrre gli effetti voluti. Ritorno al quadro formale dell’enunciazione 2. Indici di ostensione Aggettivi dimostrativi e avverbi di spazio e di tempo (deittici < deiknymi) Equivalgono a un gesto che designa l’oggetto nel momento in cui viene prodotta l’enunciazione; I dimostrativi hanno la funzione di ordinare lo spazio a partire da un punto centrale che è ego Sono organizzati in modo da riprodurre la correlazione di soggettività (questo/codesto: io/tu) e di personalità (questo/quello: tu,io/egli); Il loro significato è recuperabile solo a partire dalla situazione di enunciazione. Lo stesso vale per gli avverbi di spazio (qui/là: io/egli), e di tempo (ora/allora) 3. Tempo Il linguaggio e l’esperienza umana (1965) “ Tra le forme linguistiche rivelatrici dell ’ esperienza soggettiva le più ricche sono quelle che formano il tempo, difficili da esplorare per le trappole dello psicologismo”. Tre accezione del tempo 1. Tempo fisico: continuo uniforme e infinito, caratterizzato da linearità e irreversibilità, che può essere segmentato a piacere; durata infinitamente variabile e relativa al sentire di ciascun individuo 2. Tempo cronico: tempo degli avvenimenti e degli orologi; tempo oggettivato e socializzato; irrigidito nella storia, può essere percorso in avanti e indietro. Tratti ordinatori del tempo cronico: 1. 2. 3. Condizione stativa (fissazione di un punto zero, momento assiale) Condizione direttiva: opposizione prima/dopo Condizione misurativa: repertorio di unità (giorni, mesi, anni) per misurare l’intervallo tra gli eventi 3. Tempo linguistico: “ forma di organizzazione dell’esperienza, punto di vista proiettato sul tempo non linguistico ” (Manetti, 2008:36), legato all ’ uso della parola. Si definisce in funzione del discorso: il presente è il tempo in cui si parla (cfr. La soggettività nel linguaggio, 1958). È attraverso la lingua che si manifesta l’esperienza umana del tempo. La temporalità non è dunque una condizione innata del pensiero (vs Kant), ma è “prodotta all’interno e per mezzo della enunciazione”. Tempo linguistico Presente: asse della istanza del discorso Non più presente Non ancora presente Il presente è per sua natura implicito I tempi non-presenti (passato e futuro) sono sempre esplicitati Caratteri del presente linguistico Il presente è il tempo assiale Il suo ancoramento è il linguaggio: espressione del tempo coestensivo alla situazione di enunciazione Il presente linguistico non ha alcuna realtà oggettiva esterna, ma è sui-referenziale Le relazioni di tempo nel verbo francese (1959), in Problemi di linguistica generale, Milano, 1990, pp. 269282 Storia e discorso sono due distinti sistemi temporali linguistici: L’enunciazione discorsiva è quella in cui i fatti sono temporalmente individuati in riferimento al presente dell’atto di enunciazione L ’ enunciazione storica è quella in cui i fatti sono individuati temporalmente senza riferimento al presente dell’atto enunciativo. I due tipi di enunciazione costituiscono due modalità attraverso le quali la lingua dà forma all’esperienza; la lingua non è un calco della realtà, ma una forma di organizzazione della realtà. Due forme di enunciazione (Benveniste) Io-Tu Discorso deittici Tempo Presente Egli (non-persona) Storia Forme anaforiche Aoristo (tempo indefinito) Futuro semplice Passato prossimo Prospettivo trapassato Enunciazione discorsiva “ Ogni volta che un parlante impiega la forma grammaticale del “ presente ” (o un suo equivalente) situa l ’ avvenimento come contemporaneo all ’ istanza del discorso che lo menziona. È evidente che questo presente, in quanto funzione del discorso, non può essere collocato in una particolare divisione del tempo cronico, perché le ammette tutte e non ne richiede nessuna. Il parlante situa come “presente” tutto ciò che considera tale in virtù della forma linguistica impiegata” (Il linguaggio e l’esperienza umana, p. 41) Enunciazione storica “Perché i fatti sopravvenuti in un certo tempo possano essere registrati come fatti avvenuti, devono appartenere al passato. Senza dubbio sarebbe meglio dire: dal momento che sono registrati ed enunciati in un ’ espressione temporale storica, essi si trovano caratterizzati come passati. L’intenzione storica costituisce certo una delle grandi funzioni della lingua: vi imprime la sua temporalità specifica” (PLG: 285). Il tempo della storia è il tempo dell’avvenimento al di fuori della persona di un narratore (p. 287), fatto che dà l’impressione che non vi sia neanche un narratore. “ Nessuno parla, gli avvenimenti sembrano raccontarsi da soli”. Il tempo della storia aoristo (passato remoto) imperfetto (compresa la forma condizionale) piuccheperfetto (trapassato prossimo). Il presente è escluso, ammesso solo nella forma del presente atemporale, il “presente di definizione”. Futuro prospettico: “I Romani conquistarono militarmente la Grecia, ma questa avrebbe in seguito conquistato culturalmente Roma”; “Colombo scoprì l’America nel 1492; di lì a poco doveva esplodere l’era delle grandi scoperte geografiche”. Effetti di senso: Nella storia gli avvenimenti sembrano raccontarsi da sé: strategia della distanza Il tempo del discorso Presente Futuro Perfetto (legame tra l ’ evento passato e il presente; il riferimento temporale è il momento presente) Imperfetto Escluso l’aoristo Effetti di senso Il discorso coincide con l’atto di enunciazione: strategia della complicità Weinrich, Tempus, 1964 Le forme temporali sono segni linguistici a disposizione del parlante perché questi possa manovrare in una molteplicità di sfumature l’atteggiamento ricettivo dell’ascoltatore la funzione dei tempi non è soltanto quella di fornire informazioni cronologiche, ma di indicare l ’ atteggiamento comunicativo che si intende adottare in una particolare situazione Due diverse modalità di enunciazione di un fatto: narrazione e commento; chi racconta istituisce per ciò stesso un proprio tempo, il tempo narrato, qualitativamente distinto dal tempo commentato. Due macro-strategie enunciative soggettiva oggettiva Stile soggettivante: l’enunciatore si manifesta in modo più marcato ed esplicito, orientando l’informazione da uno specifico punto di vista. Stile oggettivante: tende a presentare l ’ informazione senza, almeno apparentemente, intermediazioni soggettive Strategie di cancellazione dell’origine deittica Eliminazione della prima persona: distinzione tra enunciatore e locutore (Goffman, 1979: footing) Narrativizzazione Effetti: oggettivizzazione del discorso (rafforzamento) Indebolimento del soggetto narrante Embraiato soggettivo/oggettivo Embraiato soggettivante: Detesto la pratica pubblicistica di anticipare giudizi che competono ad altri, nel diritto come nella morale religiosa. Ma mi sembra corretto ricordare ora come in Italia, negli ultimi anni…. (Editoriale) Embraiato oggettivante: Sono uscito di casa alle 8.15 e mi sono diretto verso il parcheggio. Ho preso la macchina e sono andato in ufficio. La porta della stanza era aperta, e il pavimento ingombro di fascicoli aperti… (Verbale di denuncia) Debraiato soggettivo/oggettivo Debraiato soggettivante Uno dei due grandi eserciti romani era già sbarcato nella Spagna e si era incontrato col nemico […] l’esitazione romana in questa circostanza fu vantaggiosa, e quando giunse l’ordine del senato di accorrere…(Mommsen, Storia di Roma antica) Debraiato oggettivante La relazione di congruenza tra due segmenti permette di ripartire l’insieme di tutti i segmenti congruenti tra loro (Manuale scolastico) Cfr. D. Antelmi, Comunicazione e analisi del discorso, Utet, 2012. Possibili applicazioni L’enunciazione nel giornale Ogni giornale, in quanto discorso, istituisce dei soggetti della comunicazione: enunciatore ed enunciatario Distinzione tra i soggetti empirici (giornalisti e lettori) e i loro simulacri nel testo Patto di fiducia tra il giornale e i suoi lettori: strategia di autorappresentazione della propria immagine e come voce che indica al lettore come interpretare la pluralità delle notizie Costruzione di una immagine complementare dei lettori Le tracce della enunciazione sono sempre rinvenibili, in modo più o meno esplicito, all’interno del testo Istituzione dei soggetti della comunicazione giornalistica Ducrot, Les mots du discours, Minuit, Paris, 1980:56: “Si tratta della costruzione, nel discorso, del locutore e dell’allocutario. Gli psicolinguisti e i sociolinguisti hanno talvolta notato che si può, parlando, costruire un’immagine di sé e della persona a cui si parla, immagine che l ’ interlocutore sia accetta, sia rigetta: uno dei principali mezzi di questa costruzione è proprio la possibilità, iscritta secondo noi nella lingua, cioè nella significazione di parole e frasi, di far sì che voci diverse si esprimano, dando l ’ istruzione di identificarle con degli esseri della realtà – e specificandone persino certe istruzioni da osservare in questa identificazione”. Cfr. nozione di Debrayage in Greimas Soggetti empirici e soggetti simulacrali E. tore Emittente empirico E.tario Testo E.tore E.tario Ricevente empirico Contratto di lettura Progetto redazionale = Mondo costruito Dispositivo d’enunciazione = Relazione E.tore/E.tario Livello di manifestazione Temi = Contenuto Simulacri = Le marche formali Cfr. Manetti, L’enunciazione, Mondadori, 2008: 163-5 Racconto e discorso Il giornale deve rispondere a una doppia aspettativa dei suoi lettori: Una di tipo sintagmatico, che tende a instaurare legami logiconarrativi tra il fatto del giorno e quelli dei giorni precedenti (per ricucirli in una narrazione unica); Una di tipo paradigmatico, legata al fatto che il giornale si presenta come un soggetto riconoscibile nello spazio dell’informazione. A tal fine il giornale deve compiere due operazioni concomitanti: Offrire un racconto sul mondo esterno, facendosi narratore degli eventi che accadono (piano oggettivo) Tenere un discorso al suo destinatario, ripresentarsi ad esso in modo costante e riconoscibile, ponendo l’accento sulla propria esistenza (piano soggettivo) Ogni testata costruisce la propria immagine e il proprio “contratto di lettura” con i suoi lettori trovando una propria personale misura nella tensione necessaria tra racconto e discorso, tra oggettività e soggettività, tra sintagma e paradigma (Marrone, 2001: 79-80) Scrittura soggettiva e oggettiva Un inviato può scrivere il proprio rapporto in prima persona, mettendo in evidenza le proprie reazioni emotive e le difficoltà incontrate: narrazione soggettiva (forma discorso, per Benveniste) Oppure presentare i fatti in modo più neutrale e in terza persona, come se il racconto degli avvenimenti si facesse da sé, orientandolo in una prospettiva più oggettiva (forma storia, per Benveniste). Effetto di discorso realistico dato dall’assenza delle marche di prima persona. Incroci: scrittura soggettiva in una testata caratterizzata da stile oggettivante; scrittura oggettiva (assenza di firma in un editoriale) in una testata caratterizzata da stile soggettivante. Semiotica del quotidiano Landowski 1989 Tempo sociale oggettivato (funzione informativa, narrazione episodicità del racconto) Tempo vissuto del discorso (costruzione di identità sociali - periodicità del discorso) Stile Le Monde Giornali più oggettivi, costruiti in modo da espandere il racconto e contrarre il discorso (Le Monde e CdS: modello giornalistico tradizionale); costruzione di un lettore distaccato dalla propria soggettività: oggettivazione del mondo colto come oggetto di conoscenza e campo d’azione Funzione referenziale e informativa Lettore Modello: dirigente, alto funzionario, ecc.: uomo d’azione e cittadino del mondo Stile Libération Giornali più soggettivi, in cui l’informazione è sempre esplicitamente filtrata attraverso il punto di vista del giornale, in modo che il discorso tende a prevalere sul racconto: strategia della complicità, legami intersoggettivi che legano i protagonisti della comunicazione: giornalisti e lettori. Dal punto di vista dell’impaginazione e delle sezioni, sembra che Libération riscriva Le Monde rovesciando l’ordine: sostituzione del locale al mondiale . Funzione fatica Tono derisorio nella descrizione dei fatti ritenuti importanti (politica nazionale e internazionale); Assunzione seria delle vicende dei cittadini comuni: inchieste, testimonianze dirette e interviste Lettore Modello: giovane cittadino Strategie enunciative a) Strategia della complicità: costruzione del destinatario come co-enunciatore (Stile Liberation) Costruzione di un soggetto che prende la parola in prima persona, l’enunciatario stesso viene fatto parlare e rappresentato come enunciatore dialogo tra enunciatore e enunciatario, attraverso il quale si istituisce una comunità di valori condivisa noi inclusivo (io+tu) Riduzione della distanza sociale Sul piano della testualità: preferenza per la funzione ludica e fatica (brillantezza) Sul Sul piano comunicativo: scelta di forme dialogiche e informali piano linguistico: ricorso all’italiano medio, con elementi marcati verso il basso e verso l’alto, e alle sue varietà giovanili (vivacizzazione) b) Strategia della distanza (stile Le Monde) 1. Distanza pedagogica differenza tra enunciatore ed enunciatario: il primo tiene a distanza il secondo: guida, mostra, spiega, consiglia; l ’ enunciatario è rappresentato come un soggetto che ascolta, capisce, trae profitto dai consigli; Universo del discorso fortemente gerarchizzato 2. Distanza non pedagogica l’enunciatore si limita a produrre delle affermazioni sul registro impersonale: non ci sono marche di interpellazione, ma discorsi costruiti alla terza persona come avviene nel genere del reportage oggettivizzato; non sono presenti nemmeno gerarchizzazioni dell’universo del sapere, ma si fa piuttosto ricorso a una giustapposizione non classificatoria dei temi Vedi anche analisi di Veron dei periodici francesi femminili: Cosmopolitan, Biba, Marie-France (S. Fischer e E. Veron, Teoria della enunciazione e discorsi sociali, in Semprini, Lo sguardo semiotico, Angeli, 1992: 143-167): Marie-France: a) «Preparate con calma la loro ripresa scolastica» giudizio di apprezzamento condiviso: «è bene preparare con calma la ripresa scolastica» Modalità: interpellazione esplicita (II pers.plur.; modo imperativo) è possibile prepararla con calma, la rivista si impegna a fornire indicazioni su come farlo -> strategia della distanza pedagogica b) «Ragazzi: quelle che preparano la ripresa scolastica con calma» tematizzazione: Ragazzi (come una rubrica) assenza di marche di interpellazione: III pers. modalità descrittiva, non ingiuntiva -> strategia della distanza non-pedagogica c) «Ripresa scolastica: lei è calma, io per niente» Ancora stile rubrica: Ripresa scolastica il pronome lei, a cosa fa riferimento? È una ripresa anaforica della prima parte oppure è un secondo co-enunciatore? opposizione tra lei e io nella seconda parte -> strategia della complicità Veron, p. 166: «una lettura che mette in rilievo le relazioni che il discorso costruisce tra enunciatore e co-enunciatore è una via per superare la staticità propria delle analisi del contenuto tradizionali». In pubblicità Strategia oggettivante, distanza indefinita (non pedagogica) «Il caffè è un piacere. Se non è buono, che piacere è?» «Dove c’è Barilla c’è casa» «Dash. Più bianco non si può» «C’è la birra e c’è la Grölsch» «Grana Padano. Formaggio d’autore» Strategia della distanza istituzionale (embrayage) «Crediamo nell’Italia e nel futuro delle famiglie e delle imprese» (Banca Popolare di Bari) Strategia di ammiccamento «Come te. La prima assicurazione che non ti vede così» (Genertel) «Quanti soldi butti via con il tuo conto?» (Conto arancio) «Chiamami Peroni, sarò la tua birra» «E tu di che Lumberjack sei?» «Fai vedere chi sei» (Ministero della Istruzione) Strategia di prossimità «Con il nostro Mobile Banking hai più tempo anche per fare jogging» (Unicredit) Strategia di complicità «Il nome. L’unica cosa che so di lei. Ma sento che tra poco la sento» (Cercafacile Omnitel) «Affidiamoci ai nostri valori» (Banca del Sud) Cfr. Marmo, L’instabile costruzione della identità aziendale in rete, in «Versus», Quaderni di studi semiotici 94-96, 2003, pp. 135-147 4.Forme della illocutività Forme di tipo verbale che realizzano un atto attraverso l’uso del linguaggio. Dal momento che si serve della lingua per influenzare il comportamento dell ’ enunciatario (pragmaticità generale: capacità del linguaggio di agire sull’interlocutore), l’enunciatore dispone, a tal fine, di un apparato di funzioni: Interrogazione: enunciazione costruita per suscitare una “risposta” Intimazione: ordini, richieste, realizzati da categorie come l’imperativo e il vocativo Asserzione: comunicazione di certezza Testi di riferimento: Della soggettività nel linguaggio, 1958 L’apparato formale della enunciazione, 1970 La filosofia analitica del linguaggio, 1963 Interrogazione: enunciazione costruita per suscitare una “risposta”, tramite un processo linguistico che anche un processo di comportamento a doppia entrata Le forme della intimazione (ordini, richieste, realizzati da imperativo, vocativo) implicano un rapporto vivo e immediato dell’enunciatore con il partner, in un riferimento necessario al momento della enunciazione. Meno evidente, forse, ma sicura, è l’appartenenza dell’asserzione a questo repertorio. Nel suo andamento sintattico, come nella sua intonazione, l’asserzione tende a comunicare certezza; è la manifestazione più comune della presenza del locutore nella enunciazione (p. 123-124). 5. Modalità epistemica Indica l’atteggiamento assunto dal parlante nei confronti dell’enunciato; L’impegno (hedging) sul contenuto dell’enunciato può essere espresso con diversi gradi di forza e certezza, che vanno dalla 1) fattualità (l’affermazione è data come reale), alla 2) non fattualità (il parlante sospende il giudizio) alla 3) controfattualità: 1) Mario è laureato 2) Mario probabilmente (forse) è laureato 3) Mario sarebbe laureato (se avesse fatto l’università, sarebbe laureato) Verbi modali Della soggettività del linguaggio, p. 116: “In generale, quando uso il presente di un verbo nelle tre persone […], la differenza di persona non sembra comportare alcun mutamento di significato nella forma verbale coniugata. “Io mangio, tu mangi, egli mangia hanno in comune il fatto che la forma verbale presenta la descrizione di un’azione, attribuita rispettivamente, e nello stesso identico modo, a io, tu, egli.[…]. Quando dico “io soffro” descrivo il mio stato presente. Quando dico “sento (che il tempo sta per cambiare)”, descrivo una sensazione che mi coglie. Ma un gran numero di verbi sfugge a questo permanere del significato nel mutare delle persone. Ma cosa succederebbe se al posto di “sento” dicessi “credo che il tempo sta per cambiare”?…Posso considerare “credo” come una descrizione di me stesso allo stesso titolo di sento? (Sequenza parzialmente modificata) Credo: verbo modale o epistemico o di atteggiamento proposizionale Consideriamo ancora i seguenti enunciati: “Siete, suppongo, il signor X”; “presumo che Giovanni abbia ricevuto la mia lettera”; “ha lasciato l’ospedale, ne deduco che è guarito”. Queste frasi contengono verbi operazionali: “supporre, presumere, dedurre” sono altrettante operazioni logiche. Ma “ suppongo, presumo, deduco ” , alla prima persona, non si comportano allo stesso modo di “ragionare, riflettere”, che però sembrano molto simili. Le forme “io ragiono, io rifletto” mi descrivono nell’atto di ragionare, di riflettere. “suppongo,presumo, deduco” sono tutt’altra cosa” sono indicazioni di un atteggiamento non la descrizione di una operazione, implicano che assumo un certo atteggiamento nei confronti dell’enunciato che segue. Questi verbi sono infatti tutti seguiti da che e da una proposizione: è quest’ultima il vero enunciato, non la forma verbale che la regge. Questa forma verbale è un indicatore di soggettività. Dà alla asserzione che segue il contesto soggettivo – dubbio, supposizione, inferenza – che caratterizza l’atteggiamento del parlante rispetto all’enunciato che proferisce (ibid.) Supporre, presumere, dedurre sono verbi modali o epistemici (come credere), detti anche predicati di atteggiamento proposizionale (come essere orgoglioso di, cfr. Caffi, pp. 16-17): espressione dell ’ atteggiamento del parlante rispetto alla proposizione retta da che o da di (anche: essere contento, deluso, ecc.). Convertono l’asserzione in una enunciazione soggettiva. Altre forme della modalità o modulazione Modi verbali: condizionale, congiuntivo, esprimono l’atteggiamento dell’enunciatore rispetto a ciò che enuncia (ad esempio augurio, desiderio) Forme fraseologiche: forse, senza dubbio, probabilmente, che indicano incertezza, possibilità, indecisione ecc. (L ’ apparato formale dell’enunciazione, p. 123) Altri indicatori di mitigazione Risorse linguistiche che attenuano la certezza o la perentorietà di determinati concetti o asserzioni e collocano il parlante in una posizione di apertura rispetto all’interlocutore o al contesto, segnalano cioè la disponibilità a negoziare le proprie affermazioni con l’uditorio: Orientate al parlante (oltre ai Verbi di atteggiamento: penso, suppongo, deduco..) Orientate all’interlocutore Non sono un esperto, ma.. vorrei dire una cosa Forme sintattiche interrogative (e uso del no? nella chiusura di una frase o di un discorso). Se non ho capito male Se non le dispiace Ho ancora soltanto alcune osservazioni Legate alla rilevanza di certe parti del testo Elementi frasali (una sorta di, in un certo senso, una specie, per modo di dire, per così dire) Elementi verbali (sembra che, si dice che) Indicatori di assertività Forme avverbiali: certamente, assolutamente Elementi verbali: è facile constatare che, è evidente che, tutti sanno che, Appare piuttosto chiaro che… Forme sintattiche dichiarative Effetto di senso: perentorietà e chiusura Esempi: credere e pensare (modalità epistemica) Berlusconi a Gallipoli (2001) Rutelli a Cernobbio (2001) Credevamo che bastasse Contesto narrativo; implicazione: ci siamo sbagliati Credo che possiamo trovare una sintesi Credo che qui noi dobbiamo ammettere Credo che questo non fosse mai accaduto Credo che sia logico attribuire la responsabilità Contesto apparentemente negoziabile che di fatto presenta un’asserzione caratterizzata da certezza (rinvio alla logica, dunque alla necessità) Credo che dovrete Il futuro orienta in senso didattico e imperativo Effetto di incertezza e di autovalutazione critica Le affermazioni introdotte da credere sono attenuate dalla presenza di modali o congiuntivi nella dipendente Pensare (Berlusconi) Passato remoto: pensai/pensammo Imperativo: pensate Con riferimento semantico al futuro: penso che sia giunto il momento/ penso che questa volta ci siamo Risultato: formulazione di certezze Pensare: Rutelli se ne serve per esprimere opinioni soggettive sull’operato del suo partito 6. Verbi dichiarativi (performativi) Verbi il cui significato denota un atto individuale di portata sociale: giurare, promettere, garantire, certificare, dichiarare. Gli atti denotati da questi verbi sono considerati costrittivi La forma “io giuro” è la realizzazione dell’atto di giurare, è l’atto stesso che mi impegna, non la descrizione di quest’atto Così nel dire prometto e garantisco, prometto e garantisco davvero. Le conseguenze sociali e giuridiche del mio giuramento, della mia promessa, si sviluppano a partire dall’istanza del discorso che contiene “io giuro”, “io prometto ” . L ’ enunciazione si identifica con l ’ atto stesso, ma questa condizione non sta nel senso del verbo, è la soggettività del discorso a renderla possibile. Che le due cose siano diverse lo si capisce sostituendo “io giuro” con “egli giura”. Mentre “io giuro” è un impegno, “egli giura” è solo una descrizione, sullo stesso piano di “egli corre”, egli fuma”. Ne risulta che il medesimo verbo acquisisce un valore diverso a seconda che sia assunto da un soggetto o sia esterno alla persona (Della soggettività nel linguaggio, pp. 117-8) Performativo / constatativo La filosofia analitica e il linguaggio, 1963 “Nel descrivere qualche anno fa le forme soggettive della enunciazione linguistica indicavamo sommariamente la differenza tra io giuro, che è un atto, ed egli giura, che è solo una informazione. Non venivano ancora usati i termini “performativo” “constatativo”, la sostanza della definizione era tuttavia la stessa. Si presenta ora l’occasione di ampliare e confrontare il nostro punto di vista, confrontandolo con quello di Austin”. Cosa sono gli enunciati performativi? Sono enunciati in cui un verbo dichiarativo-ingiuntivo alla prima persona del presente è costruito come un dictum. Così: ordino (o comando, decreto, ecc.) che la popolazione sia mobilitata. È effettivamente un dictum, poiché ne è indispensabile l’enunciazione espressa perché il testo abbia valore esecutivo (PLG:325). Un’altra varietà di questi enunciati è data dalla costruzione del verbo con un complemento diretto e un termine predicativo: Lo proclamo eletto; Vi dichiariamo colpevole; Nomino X direttore; Vi designo mio successore; Vi incarico di questa missione; Vi delego come mio rappresentante; ecc. Ciò esclude enunciati nella forma della prima persona, indicativo presente, ma di verbi non performativi, come vedo, sento ecc. Sono performativi a) gli atti di autorità, anche se formulati in forma implicita, come quelli in uso nelle formule ufficiali: Il signor X è stato nominato ministro; la cattedra di Botanica è stata dichiarata vacante; che non contengono un verbo dichiarativo e si riducono al dictum, spesso accompagnato dalla formula Con la presente.. Oppure la decisione è riferita impersonalmente alla terza persona: Il Presidente della Repubblica decreta che; è stato deciso che; dove l’enunciato alla terza persona può essere sempre convertito alla prima persona e riprendere la sua forma caratteristica. Condizioni di validità degli atti di autorità sono il fatto di essere proferiti da chi ha il diritto di enunciarli e nelle specifiche condizioni di enunciazione b) Enunciati che pongono un impegno personale per colui che li enuncia: giuro, prometto, faccio voto di, mi impegno a, rinuncio ecc. (PLG:326). Caratteristiche distintive degli enunciati performativi (PLG:327): a) Unicità: “dato che un enunciato performativo è un atto, ha la proprietà di essere unico. Non può essere effettuato che in circostanze particolari, una volta e una sola, in un tempo e in luogo definiti. […]. È questo il motivo per cui è spesso accompagnato da indicazioni di tempo, di luogo, di nomi di persone, testimoni ecc., in breve è un evento perché crea l ’ evento. In quanto atto individuale e storico un enunciato performativo non può essere ripetuto. La ripetizione infatti trasforma l’atto performativo in atto constativo”. b) Sui-referenzialità: È la capacità di riferirsi a una realtà costituita dall’atto stesso, per il fatto di essere effettivamente enunciato in condizioni che lo fanno atto. Ne deriva che tale atto è al tempo stesso manifestazione linguistica, in quanto deve essere pronunciato, e fatto di realtà, in quanto compimento di un atto. “L’atto si identifica dunque con l’enunciato dell’atto. E ne fa fede la clausola: “Con la presente”. L’enunciato che prende se stesso come referenza è appunto sui referenziale. Le due caratteristiche della unicità e della sui-referenzialità fanno degli enunciati performativi un caso esemplare della problematica della enunciazione: Cfr. Della soggettività, p. 114: “quello che altrove abbiamo chiamato istanza del discorso e che ha una referenza unicamente attuale” Dalla seconda caratteristica (la sui-referenzialità) deriva per B. un restringimento del performativo, che porta ad escludere da questa classe di espressioni gli imperativi, che per Austin sono la forma per eccellenza dell’ordine, dunque enunciati performativi. Per Benveniste, non bisogna farsi ingannare dal fatto che l’imperativo produce un risultato; non è questo risultato empirico che conta. Venez! È sì un ordine, ma linguisticamente è una cosa completamente diversa dal dire: Vi ordino di venire. Non vi è enunciato performativo se non contiene la menzione dell’atto, vale a dire “ordino”, mentre l’imperativo potrebbe essere sostituito da qualsiasi procedimento che produca il medesimo risultato, un gesto, per esempio, e non avere più alcuna realtà linguistica. Il criterio non è quindi il comportamento che ci si aspetta dall’interlocutore, ma la forma dei rispettivi enunciati. Un enunciato performativo non è tale in quanto può modificare la situazione di un individuo, ma in quanto è di per sé un atto. Ed è di per sé un atto in quanto è riferito a sé stesso. “ Un enunciato è performativo in quanto denomina l ’ atto eseguito per il fatto che l ’ Ego pronuncia una formula contenente il verbo alla prima persona del presente: Dichiaro chiusa la sessione; Giuro di dire la verità. Così un enunciato performativo deve nominare la dichiarazione performativa e il suo esecutore”. In questo enunciato la forma linguistica è soggetta a un modello preciso, quello del verbo al presente e alla prima persona. Il performativo è inseparabile dalle istituzioni della società, moderna quanto antica. B. respinge le conclusioni cui arrivava Austin a proposito della necessità di superare la distinzione tra Performativo ed Constativo, distinzione che egli invece ritiene giustificata e necessaria, a patto di mantenere le precise condizioni d’uso, “ senza far intervenire la considerazione del “ risultato ottenuto”, che è fonte di confusione.” (PLG:330). Il criterio del performativo non è il fare e l’equivalenza tra dire e fare (come per Austin), ma quello di essere in sé un atto; e un enunciato è un atto in quanto è riferito a sé stesso (suireferenzialità). È necessario dunque mantenere la distinzione tra constatativo e performativo perché si tratta della distinzione tra eteroreferenzialità e sui-referenzialità che sono due modi della significazione. Questa doppia possibilità di significazione costituisce lo specifico del linguaggio umano. Riepilogo sulla sui-referenzialità La presenza del locutore nella propria enunciazione fa sì che ogni istanza di discorso costituisca un nucleo di riferimento interno. Forme specifiche hanno la funzione di mettere il locutore in rapporto costante e necessario con la propria enunciazione (p. 122). Il monologo discende dalla enunciazione, è un derivato del dialogo, struttura fondamentale. È un dialogo interiorizzato, formulato come linguaggio interiore, fra un io locutore e un io ascoltatore. Questa trasposizione del dialogo in monologo, dove ego si scinde in due o assume due ruoli, si presta a figurazioni e a trasposizioni psicodrammatiche: conflitti dell’”io” profondo e della “coscienza” […]. Tutto ciò è reso possibile dall’apparato linguistico della enunciazione sui riflessiva che contiene un gioco di opposizioni fra il pronome e l’antonimo (io, me, mi). (p. 124-125) Sui-referenzialità nei pronomi Nelle prime due persone sono implicati sia una persona sia un discorso su questa persona. “Io” designa chi parla e implica al tempo stesso un enunciato sul conto di “io” (p. 130) A cosa si riferisce “io”? All’atto di discorso individuale nel quale è pronunciato e di cui designa il parlante. La realtà alla quale rinvia è unicamente la realtà del discorso (p. 114) La non-persona (III pers.) è l’unico genere di enunciazione possibile per le istanze di discorso che non rinviano a se stesse, ma predicano il processo di persone e cose fuori dalla istanza stessa, eventualmente dotate di una referenza oggettiva. Sui-referenzialità nel tempo Così anche il punto di riferimento temporale del presente può essere solo interno al discorso. il presente ha come referenza temporale un dato linguistico: la coincidenza dell’evento descritto con l’istanza di discorso che lo descrive Il tempo linguistico è sui referenziale. Il Dictionnaire général definisce il “presente” come «il tempo del verbo che esprime il tempo in cui si è». Ma, attenzione, non abbiamo altro criterio o altra espressione per indicare “il tempo in cui si è” se non prenderlo come “il tempo in cui si parla”. È questo il momento eternamente “presente che però non si rapporta mai con gli eventi di una cronologia “oggettiva”, perché è invece determinato, per ogni parlante, dal rapporto con l’istanza del discorso (p. 115). Sui-referenzialità nelle funzioni sintattiche Interrogazione: enunciazione costruita per suscitare una “risposta”, tramite un processo linguistico che è anche un processo di comportamento a doppia entrata Le forme della intimazione (ordini, richieste, realizzati da imperativo, vocativo) implicano un rapporto vivo e immediato dell’enunciatore con il partner, in un riferimento necessario al momento della enunciazione. Meno evidente, forse, ma sicura, è l’appartenenza dell’asserzione a questo repertorio. Nel suo andamento sintattico, come nella sua intonazione, l’asserzione tende a comunicare certezza; è la manifestazione più comune della presenza del locutore nella enunciazione (p. 123-124). Sui-referenzialità nei verbi Verbi di atteggiamento proposizionale (“credo che..”): convertono in una enunciazione soggettiva il fatto asserito impersonalmente (“il tempo sta per cambiare”) Verbi dichiarativi: atti individuali di portata sociale: dicono quello che fanno e fanno quello che dicono, ma questa è una conseguenza del fatto che l’istanza del discorso contenente il verbo pone l’atto mentre fonda il soggetto. Così l’atto è compiuto dalla istanza di enunciazione del suo “nome” (“giurare”) nel momento stesso in cui il soggetto è posto dalla istanza di enunciazione del suo indicatore (“io”) (p. 117-118).