Quello strano legame fra «La corazzata Potemkin» e Salerno Al Caffè Verdi proiettato l’ultimo film della rassegna «I mercoledì del cinema muto» di Lorenzo De Donato Gennaio 12 Mercoledì 28 dicembre 2011 presso il Caffè letterario «Verdi» di Salerno, il piccolo e accogliente bar-libreria sito di fronte al Teatro Giuseppe Verdi, nel cuore della città, è stato proiettato «La corazzata Potemkin», l’ultimo film della interessante rassegna di cinema muto organizzata dagli stessi proprietari e gestori del noto locale. La rassegna è stata ironicamente e simpaticamente intitolata «I mercoledì del cinema muto… una cagata pazzesca», in ricordo del celebre giudizio dato proprio al film «La corazzata Potemkin» da Fantozzi in uno dei suoi film (precisamente «Il secondo tragico Fantozzi» del 1976) quando, dopo essersi dovuto sorbire il capolavoro del cinema russo al posto di vedere la partita di calcio dell’amata nazionale, sale in cattedra al posto dello pseudo-intellettuale di turno urlando al pubblico del cineforum la sua opinione e scatenando novantadue minuti di applausi. E’ insomma l’esplosione dell’ignoranza dell’italiano medio nei confronti della cultura. Nulla di tutto questo è accaduto al Caffè Verdi, dove anzi durante questi mesi di novembre e dicembre i film sono stati molto seguiti nonostante la singolarità del tema della rassegna cinematografica, che ha spaziato da Fritz Lang a Vertov, da Weine, Drever e Pastrone fino a Buster Keaton e Sergej Ejzenstejn, regista della Corazzata, famosissimo (in Italia anche grazie a Fantozzi) film russo di propaganda del 1925 considerato tra le più importanti opere della storia del cinema nonostante l’origine politica. E’ interessante parlare di questa rassegna e del film di mercoledì in particolare non solo per dar voce alla piccola realtà del Caffè letterario Verdi che spesso organizza eventi culturali come ad esempio reading, proiezioni e presentazioni di libri, ma anche per raccontare una piccola storia che forse non tutti sanno e che riguarda proprio «La corazzata Potemkin» e la città di Salerno. Ebbene, per la scena più celebre e conosciuta di questo capolavoro tra i più famosi della cinematografia mondiale, la scena in cui una carrozzina con un bimbo al suo interno discende da sola la lunghissima scalinata di Odessa in mezzo ai morti e ai feriti - tutti civili - massacrati dai fucili dei cosacchi dello zar nel tentativo di soffocare la nascente rivoluzione, il regista Ejzenstejn volle un’attrice italiana, e precisamente salernitana. Si tratta di Beatrice Vitoldi, trentenne all’epoca delle riprese, che interpreta il ruolo della madre del bimbo nella carrozzina trucidata dai cosacchi, nata in Campania, a Salerno, nel lontano 1895 e successivamente emigrata con la famiglia in Lettonia in quanto il padre, di professione ingegnere, era stato chiamato come consulente dell’industria russo-tedesca «Russisch-Baltischen Waggonfabrik». Successivamente la famiglia Vitoldi si trasferì a San Pietroburgo, dove il padre di Beatrice iniziò a lavorare in un’azienda di macchine utensili. Proprio a San Pietroburgo avvenne l’incontro tra Beatrice Vitoldi e Sergej Ejzenstejn, incontro favorito dal fatto che la giovane si era fatta travolgere dagli ideali rivoluzionari e partecipava attivamente al Proletkult, un istituto culturale attivo dal 1917 al 1925 - nei cui uffici Beatrice lavorò in quegli anni - che si prefiggeva l’obiettivo di promuovere l’arte popolare priva di influenze borghesi. La partecipazione alla pellicola di Ejzenstejn dette alla ragazza fama immediata, a tal punto che pochi anni dopo, nel 1931, venne nominata prima ambasciatrice sovietica in Italia. Sei anni dopo, poi, nel 1937, Beatrice Vitoldi fu richiamata in Russia e processata nel corso della purga staliniana del biennio 1936-1938, insieme ad altre centinaia di migliaia di intellettuali, finendo poi risucchiata nella follia dei gulag, dove morì nel 1939 a soli 44 anni.