“Il cavaliere inesistente” di Italo Calvino Prof. Luigi Gaudio Il cavaliere inesistente Il cavaliere inesistente è un romanzo del 1959, che completa la trilogia degli antenati dopo Il Visconte dimezzato e Il Barone rampante Infatti l’anno seguente, nel 1960 Calvino riunisce in un unico volume i tre romanzi, che erano usciti separatamente, con il titolo I nostri antenati, che allude ai problemi della contemporaneità (I nostri …) , senza negare strane e inaspettate assonanze nel passato ( … antenati) Il cavaliere inesistente Non sempre Il cavaliere inesistente viene inserito come terzo della serie, per volere dello stesso autore, forse perché anzitutto è il primo nel senso che il periodo cui si riferisce è più remoto, o forse per il carattere fondante e archetipico del testo. Contrasto essere-apparire Il filo conduttore che seguiremo in questa lezione, la tematica che abbiamo individuato come più importante di questo romanzo allegorico-filosofico è il contrasto fra essere e apparire, un tema significativo in un periodo come quello in cui è stato scritto il testo, del boom economico C’è il rischio che dietro l’apparenza, ad esempio della ricchezza (o almeno dietro le grandi opportunità lavorative) di cui iniziano a godere gli italiani, non ci sia più niente Contrasto essere-apparire C’è solo il lavoro, appunto, ma come vedremo in Agilulfo, fine a se stesso: un altro modo per riempire il tempo, e nascondere così il vuoto interiore Le immagini che compariranno qui sotto a destra da ora in poi provengono dal film in tecnica mista “Il cavaliere inesistente” di Pino Zac del 1971 La rivista dei paladini Incipit del romanzo: Sotto le rosse mura di Parigi era schierato l'esercito di Francia. Carlomagno doveva passare in rivista i paladini. Già da più di tre ore erano li; faceva caldo; era un pomeriggio di prima estate, un po' coperto, nuvoloso; nelle armature si bolliva come in pentole tenute a fuoco lento. Non è detto che qualcuno in quell'immobile fila di cavalieri già non avesse perso i sensi o non si fosse assopito, ma l'armatura li reggeva impettiti in sella tutti a un modo. La parata dei paladini (topos del genere epico e cavalleresco) è ridicolizzata dal caldo che devono sopportare. L’armatura tiene in piedi la persona, piuttosto che il contrario, come vedremo in Agilulfo La rivista dei paladini D'un tratto, tre squilli di tromba: le piume dei cimieri sussultarono nell'aria ferma come a uno sbuffo di vento, e tacque subito quella specie di mugghio marino che s'era sentito fin qui, ed era, si vede, un russare di guerrieri incupito dalle gole metalliche degli elmi. L’uomo del novecento non concepisce più grandi ideali religiosi per cui combattere gli infedeli: la guerra appare in tutta la sua assurdità. Questa è una parodia della grande epica cavalleresca: i guerrieri si addormentano nell’attesa dell’arrivo del sovrano Carlo Magno Finalmente ecco, lo scorsero che avanzava laggiù in fondo, Carlomagno, su un cavallo che pareva più grande del naturale, con la barba sul petto, le mani sul pomo della sella. Regna e guerreggia, guerreggia e regna, dài e dài, pareva un po' invecchiato, dall'ultima volta che l'avevano visto quei guerrieri. Carlo Magno non è più il re cristiano di Turoldo Calvino porta invece alle estreme conseguenze l’intento parodico già presente in Pulci e Ariosto Anche Carlo Magno esteriormente è autorevole (APPARIRE) ma la sua essenza di capo è compromessa (ESSERE) Contrasto essere-apparire Uno stemma tra due lembi d'un ampio manto drappeggiato, e dentro lo stemma s'aprivano altri due lembi di manto con in mezzo uno stemma più piccolo, [...] e in mezzo ci doveva essere chissà che cosa, ma non si riusciva a scorgere. (p. 5) Anche ad essere si impara... (cap. XI) Questi due testi confermano la centralità della tematica dell’apparenza, che nasconde una mancanza di consistenza, cui abbiamo accennato sin dall’inizio della nostra lezione Contrasto essere-apparire Carlo Magno a un certo punto della sua ispezione è colpito da un cavaliere che non si toglie l’elmo. Ma Agilulfo Emo Bertrandino dei Guildiverni e degli altri di Corbentraz e Sura non può farlo, perché sotto non ha niente. È tutto esteriorità, e sotto questa esteriorità c’è il nulla Il bianco dell’armatura potrebbe far pensare al bianco dei frigoriferi, status symbol del progresso e del miracolo economico in corso Gurdulù Il personaggio di Gurdulù è complementare a quello di Agilulfo Come Agilulfo si disinteressa di ciò che è corporale, dal momento che non ha corpo, ed è tutto mente, così Gurdulù è tutto corpo e non pensa mai. Gurdulù Di Agilulfo rimane il nome, mentre Gurdulù non ha nome, nel senso che noi lo ricordiamo così, perché così lo chiama la prima persona che lo presenta al re Carlo Magno, ma per altri ha un nome diverso, tanto che potremmo dire che non ha nome. Gurdulù Agilulfo si distacca dalla realtà, mentre Gurdulù si fonde con essa. Gurdulù ad esempio prima crede di essere una rana, poi pensa di essere una pianta (un pero) Insomma Gurdulù c’è, ma non sa di esserci, mentre Agilulfo sa di esserci, ma non c’è. Carlo Magno pensa che farebbero un bel paio insieme e così assegna Gurdulù ad Agilulfo come scudiero L’attaccamento di Agilulfo alle regole In nessun luogo si dorme bene come nell’esercito. Solo ad Agilulfo questo sollievo non era dato Così Agilulfo passa la notte a controllare che gli altri paladini non si diano al gioco o rispettino le regole In questo modo si rende antipatico a tutti L’attaccamento di Agilulfo alle regole Secondo la studiosa Margareth Hagen, Agilulfo è "il simbolo dell'uomo 'robotizzato', che compie atti burocratici con quasi assoluta incoscienza". L’attaccamento di Agilulfo alle regole Tuttavia per Calvino Agilulfo incarna anche la tensione all’esattezza (e sappiamo dalle Lezioni americane come sia importante questo per Calvino), al rispetto non approssimativo delle leggi (e anche su questo Calvino insiste a più riprese, scoraggiato dal pressapochismo dell’Italia del suo tempo, così come lo era Agilulfo della mancanza di impegno e di carica ideale dei suoi commilitoni. Rambaldo Ad un certo punto compare nell’accampamento un giovane guerriero, Rambaldo, che vuole vendicare la morte di suo padre, causata dall'argalif Isoarre. Agilulfo e gli altri cavalieri cercano di convincerlo che occorre seguire un iter burocratico per portare avanti le proprie vendette (parodia dei meccanismi contorti della società, soprattutto di quella italiana della fine anni cinquanta). Rambaldo Di fatto quando incomincia il combattimento fra paladini cristiani e soldati musulmani, Rambaldo vuole duellare con l’argalif Isoarre, ma Isoarre muore da solo, ancora prima di scontrarsi con Rambaldo, per il semplice fatto che Rambaldo gli ha rotto gli occhiali. Il cavaliere inesistente e la sua armatura [L'armatura, prima candida, senza un graffio è] incrostata di terra, spruzzata di sangue nemico, costellata d'ammaccature, bugni, sgraffi, slabbri. (p. 118) Le avventure e gli scontri con i nemici fanno sì che l’armatura sempre linda e splendente di Agilulfo si sporchi: così alla fine l’illusione di poter “apparire” cade miseramente, e compare anche esteriormente la degradazione della guerra Notiamo lo Stile: espressionismo dei termini, onomatopee e allitterazioni di suoni aspri e bruschi: bugni, sgraffi, slabbri Agilulfo maniaco di calcoli e controlli Dal momento che Agilulfo non riesce a dormire, passa il tempo facendo calcoli matematici, o ricordando teoremi di geometria Oppure controlla il rancio dato ai soldati o ai poveri che vengono a chiedere la carità di un piatto di zuppa (fra i quali si nasconde Gurdulù) Insomma ha il pallino dell’esattezza e corregge sempre i suoi compagni L’amore Un cavaliere misterioso salva la vita a Rambaldo in una fase successiva della battaglia. Poi Rambaldo insegue quel cavaliere, ma scopre che è una donna, è Bradamante, innamorata però di Agilulfo per la sua abilità e precisione Agilulfo però, che non esiste, non può amare, ed è sempre preso dai suoi ragionamenti e controlli minuziosi degli aspetti più formali ed esteriori L’amore Così sempre corre il giovane verso la donna: ma è davvero amore per lei a spingerlo? O non è amore soprattutto di sé, ricerca d'una certezza d'esserci che solo la donna gli può dare? (Cap. VI - p. 57) Cosa dà all’uomo una consistenza? Per Agilulfo l’armatura, per Rambaldo l’amore. L’amore Corre e s'innamora il giovane, insicuro di sé, felice e disperato, e per lui la donna è quella che certamente c'è, e lei sola può dargli quella prova. Ma la donna anche lei c'è e non c'è: eccola di fronte a lui, trepidante anch'essa, insicura, come fa il giovane a non capirlo? (Cap. VI - p. 57) Ma non è solo il cavaliere a “non esserci”, forse è anche la donna: Ma la donna [innamorata di Agilulfo] anche lei c'è e non c'è L’amore Cosa importa chi trai due è il forte e chi il debole? Sono pari. Ma il giovane non lo sa perché non vuole saperlo: quella di cui ha fame è la donna che c'è, la donna certa. Lei invece sa più cose; o meno; comunque sa cose diverse; ora è un diverso modo d'essere che cerca. (Cap. VI - p. 57) La riflessione sulla scrittura Questa storia che ho intrapreso a scrivere è ancora più difficile di quanto io non pensassi. Ecco che mi tocca rappresentare la più gran follia dei mortali, la passione amorosa, dalla quale il voto, il chiostro e il naturale pudore m'hanno fin qui scampata. (cap. VI) La riflessione sulla scrittura Dunque anche dell'amore come della guerra dirò alla buona quel che riesco a immaginarne: l'arte di scriver storie sta nel saper tirar fuori da quel nulla che si è capito della vita tutto il resto; ma finita la pagina si riprende la vita e ci s'accorge che quel che si sapeva è proprio un nulla. (cap. VI) Qui, dietro Suor Teodora, Calvino parla di se stesso, dell’arte di scrivere storie La riflessione sulla scrittura E così imperversa e non si dà ragione e a un certo punto l'innamoramento di lei è pure innamoramento di sé, di sé innamorato di lei, è innamoramento di quel che potrebbero essere loro due insieme, e non sono. (cap. VII) L’amore non esiste, perché l’uomo non è innamorato di un’altra persona, ma di se stesso La riflessione sulla scrittura A ognuna è data la sua penitenza, qui in convento, il suo modo di guadagnarsi la salvezza eterna. A me è toccata questa di scriver storie: è dura, è dura. (cap. VII) L’arte di raccontare è una fatica, perché man mano che si racconta degli altri, uno scopre la propria pochezza e inconsistenza La riflessione sulla scrittura Ma la nostra santa vocazione vuole che si anteponga alle caduche gioie del mondo qualcosa che poi resta. Che resta... se poi anche questo libro, e tutti i nostri atti di pietà, compiuti con cuori di cenere, non sono già cenere anch'essi... più cenere degli atti sensuali là nel fiume, che trepidano di vita e si propagano come cerchi nell'acqua... (cap. VII) Per il Foscolo dei Sepolcri tutto si distrugge, ma la scrittura rimane e dona immortalità agli uomini Per Calvino invece anche i libri non sono nient’altro che cenere La riflessione sulla scrittura Ci si mette a scrivere di lena, ma c'è un'ora in cui la penna non gratta che polveroso inchiostro, e non vi scorre più una goccia di vita, e la vita è tutta fuori, fuori dalla finestra, fuori di te, e ti sembra che mai più potrai rifugiarti nella pagina che scrivi, aprire un altro mondo, fare il salto. (cap. VII) Difficoltà della scrittura, arriva un momento di aridità e mancanza di ispirazione: la vita non è nel libro, la vita è fuori La riflessione sulla scrittura Forse è meglio così: forse quando scrivevi con gioia non era miracolo né grazia: era peccato, idolatria, superbia. Ne sono fuori, allora? No, scrivendo non mi sono cambiata in bene: ho solo consumato un po' d'ansiosa incosciente giovinezza. Che mi varranno queste pagine scontente? Il libro, il voto, non varrà più di quanto tu vali. Che ci si salvi l'anima scrivendo non è detto. Scrivi, scrivi, e già la tua anima è persa. (cap. VII) Anche nel narrare c’è una superbia, un compiacimento, un’ autoesaltazione. Scrivere non cambia in meglio la persona, anzi forse si perde l’anima, non la si nobilita scrivendo La riflessione sulla scrittura È verso la verità che corriamo, la penna e io, la verità che aspetto sempre che mi venga incontro, dal fondo d'una pagina bianca, e che potrò raggiungere soltanto quando a colpi di penna sarò riuscita a seppellire tutte le accidie, le insoddisfazioni, l'astio che sono qui chiusa a scontare. (cap. VIII) Lei scrive di correre verso la verità, ma in realtà sta ingannando noi lettori. Solo alla fine noi sapremo chi è realmente Suor Teodora. La riflessione sulla scrittura Io che scrivo questo libro seguendo su carte quasi illeggibili una antica cronaca, mi rendo conto solo adesso che ho riempito pagine e pagine e sono ancora al principio della mia storia, ora comincia il vero svolgimento della vicenda, cioè gli avventurosi viaggi di Agilulfo e del suo scudiero (cap. IX) Lo scrittore si perde, esattamente come Ariosto si perdeva ora dietro una vicenda, ora dietro un’altra, e smarriva, volutamente, il filo della narrazione di quello che avrebbe dovuto essere il suo protagonista: Orlando La riflessione sulla scrittura Ecco come questa disciplina di scrivana da convento e l'assidua penitenza del cercare parole e il meditare la sostanza ultima delle cose m'hanno mutata: quello che il volgo – ed io stessa fin qui – tiene per massimo diletto, cioè l'intreccio d'avventure in cui consiste ogni romanzo cavalleresco, ora mi pare una guarnizione superflua, un freddo fregio, la parte più ingrata del mio penso. (cap. IX) La riflessione sulla scrittura Suor Teodora si sta rendendo conto della inconsistenza dell’intreccio, cioè della difficoltà di mettere per iscritto la realtà sulla carta. Scrivere è la sua vita (per il momento) ma scrivere è anche la sua condanna (è una penitenza). Torrismondo Ad un certo punto compare nell’accampamento cristiano un cavaliere che mette in discussione il fatto che Agilulfo abbia davvero salvato la vergine Sofronia quindici anni prima. Spiega infatti che Sofronia all’epoca non era più vergine, dal momento che era sua madre. Torrismondo Torrisomondo è un personaggio importante, perché svela definitivamente l’inconsistenza dei valori medievali. – Non c'è difesa né offesa, non c'è senso di nulla, – disse Torrismondo. – La guerra durerà fino alla fine dei secoli e nessuno vincerà o perderà, resteremo fermi gli uni di fronte agli altri per sempre. Torrismondo E senza gli uni gli altri non sarebbero nulla e ormai sia noi che loro abbiamo dimenticato perché combattiamo... (p. 62) Torrismondo sintetizza il pensiero dell’autore sull’assurdità della guerra Torrismondo Ritorna ancora la riflessione sull’essere: se non ci fossero i nemici noi cavalieri non saremmo nulla: per avere consistenza dobbiamo continuare a combattere anche se non ricordiamo neppure perché combattiamo La ricerca di Sofronia Agilulfo parte così alla ricerca di Sofronia, per dimostrare la falsità delle insinuazioni di Torrismondo. Bradamante parte anche lei, all’inseguimento di Agilulfo, e Rambaldo all’inseguimento di Bradamante, mentre Torrismondo cerca di sapere chi è suo padre. Si assiste qui ad una riproposizione di un tema ariostesco La ricerca di Sofronia Agilulfo viene momentaneamente distratto, perché libera Priscilla e altre donne da un esercito di orsi. Ma Agilulfo non si sa adattare alle circostanze. La sua impeccabilità esteriore attira Priscilla come aveva fatto con Bradamante, ma Agilulfo non cambia mai, e continua con i suoi cavilli linguistici, anche quando Priscilla esprime la sua attrazione per lui. La ricerca di Sofronia Intanto Torrismondo scopre di discendere dal Sacro Ordine, e si innamora di Sofronia, che non è né sua madre, né sua sorella, ma sua sorellastra, quindi i due possono unirsi Epilogo A questo punto Carlo Magno reintegra nel grado il cavaliere inesistente, ma lui lascia la sua armatura a Rambaldo e scompare per sempre Bradamante vuole abbracciare Agilulfo, ma quando scopre che dietro l’armatura si nasconde Rambaldo, scappa in un convento, dove scrive la storia che abbiamo letto. Epilogo Rambaldo, però, non si dà per vinto, e la raggiunge nel convento e corona il suo sogno d’amore: Si compie qui il percorso di formazione di Rambaldo, che cambia nel corso del racconto (diventa uomo in tutti i sensi), mentre Agilulfo era rimasto uguale a se stesso dall’inizio alla fine. Epilogo Infine, Bradamante si toglie l’abito da monaca e fugge con lui. Insomma, colei che in Boiardo ed Ariosto rappresentava solamente un prototipo di donna guerriera oggetto del desiderio dei paladini (il nome di Bradamante è mutuato direttamente dalla grande tradizione dell’epica cavalleresca), qui svolge un ruolo complesso di narratrice pentita, che alla fine sceglie la vita e l’amore e abbandona definitivamente la penna e la scrittura.