INDICE 1. Introduzione …………………………………………………………...pag. 2 2. Struttura della proteasi dell’HIV ………………………………………..” 3 3. Inibizione della proteasi dell’HIV ………………………………………” 14 3.1. Inibitori competitivi ………………………………………………” 14 3.2. Inibitori irreversibili ………………………………………….…..” 24 3.3. Inibitori della dimerizzazione …………………………………….” 25 3.4. Inibitori con mutazione dominante negativa……………………...” 28 4. Meccanismi di resistenza agli inibitori della proteasi …………………” 30 5. Nuovi inibitori della proteasi ……………………………………………” 32 5.1. Inibitori arilsulfonamidici …………………………………………” 32 5.2. Inibitori della proteasi a struttura sulfamidica ciclica, con catene laterali che si estendono da P2/P2’ a P1/P1’ ………………………….” 36 5.3. Composti beta-lattamici come inibitori non competitivi apparenti della proteasi dell’HIV ……………………………………………………...” 38 Bibliografia ………………………………………………………………….” 42 INIBITORI DELLA PROTEASI DELL’HIV 1. Introduzione Il virus dell’immunodeficienza umana (HIV) è diventato rapidamente uno dei più letali virus del mondo. E’ stato stimato che cinque nuove vittime vengono infettate dal virus dell’HIV ogni minuto.1 L’HIV è l’agente eziologico della sindrome di immunodeficienza acquisita (AIDS), caratterizzata da manifestazioni cliniche estremamente variabili, tra cui un grave stato di immunodeficienza, che si accompagna all’insorgenza di infezioni opportunistiche e tumori, da grave deperimento organico e manifestazioni degenerative a carico del sistema nervoso centrale. L’HIV infetta un’ampia gamma di cellule del sistema immunitario, tra cui linfociti T helper esprimenti CD4, macrofagi e cellule dendritiche. L’HIV, isolato nel 1983,2 è un retrovirus appartenete alla famiglia dei lentivirus; sono stati identificati due tipi di HIV strettamente correlati tra loro, ma diversi per struttura genomica ed antigenicità (HIV-1 ed HIV-2). L’HIV-1 è di gran lunga la causa più comune di AIDS, ma anche l’HIV-2 è in grado di provocare tale sindrome. Una particella infettante di HIV consiste di due eliche identiche di RNA, contenute all’interno di un nucleo di proteine virali circondato a sua volta da un guscio (envelope) a doppio strato lipidico, derivante dalla membrana della cellula ospite, ma contenente anche proteine codificate dal genoma virale.3 L’RNA retrovirale viene poi trascritto, ad opera dell’enzima trascrittasi inversa in DNA, il quale viene integrato nel genoma dell’ospite ed espresso dalla cellula infettata, sotto il controllo dei geni virali.4 Il genoma dell’HIV contiene nove geni, con importanti differenze tra HIV1 e HIV-2. Come altri retrovirus entrambi i virus contengono i geni gag, pol e env.5 La sequenza gag (group-specific antigen) codifica le proteine strutturali del nucleo virale (core). Le sequenze env codificano le glicoproteine dell’envelope, gp120 e gp41, indispensabili per l’infezione della cellula bersaglio. Le sequenze pol codificano tre enzimi retrovirali essenziali: proteasi, trascrittasi inversa e integrasi 6 (Fig. 1).7 La proteasi è un enzima cruciale per l’HIV: spetta ad essa processare il precursore poliproteico gag e gag-pol in proteine mature e funzionali. L’attività proteolitica di questo enzima è essenziale per l’attività del virus: la sua inibizione blocca la maturazione, la replicazione e l’infettività virale, offrendo la possibilità di una terapia antivirale.8 Gli inibitori della proteasi dell’HIV, entrati sul mercato a partire del 1995, si sono dimostrati agenti terapeutici preziosi, in combinazione con inibitori della trascrittasi inversa nucleotidici e non-nucleotidici (rispettivamente, NRTI e NNRTI) nel trattamento dell’AIDS. Tale efficace associazione terapeutica è nota come HAART: Highly Active Antiretroviral Therapy. Purtroppo, spesso il virus va incontro a mutazioni che portano alla farmaco-resistenza, e ciò spinge ad intensi sforzi per la ricerca di nuovi composti chimici.9 2. Struttura della proteasi dell’HIV La proteasi dell’HIV consisite di due catene peptidiche identiche, ognuna costituita da 99 aminoacidi, formando un omodimero simmetrico. Quest’ultimo ha un sito attivo cilindrico che possiede una lunghezza di 23 Å e un diametro di 6-8 Å. Attraverso l’interazione con questo sito, un inibitore compete per il legame con il substrato normale.8 I residui 1-27 e 60-99 in ogni monomero appartengono alla cosiddetta regione “core”, mentre i residui 28-59 alla regione “flap”. Quest’ultima è una regione flessibile, e tale caratteristica è fondamentale per l’attività della proteasi.10 Fig. 1. Struttura e geni del virus dell’immunodeficienza umana (HIV). (A) La figura presenta un virione di HIV in prossimità della superficie di una cellula. Vi sono raffigurate le due eliche identiche di RNA (il genoma virale) e alcuni enzimi (trascrittasi inversa, integrasi e proteasi) contenuti in una struttura tronco-conica costituita da una proteina chiamata p24, a sua volta circondata da una matrice formata dalla proteina p17; il tutto è racchiuso in una membrana proteolipidica derivante dalla cellula da cui il virus è originato (envelope), a cui sono fissate le glicoproteine di superficie codificate dal virus (gp120 e gp41). CD4 e alcuni recettori per chemochine fungono da recettori di HIV sulla membrana della cellula bersaglio. (B) I diversi geni che compongono il genoma di HIV sono rappresentati con colori diversi. Sono elencate anche le principali funzioni attribuite a ciascuno dei geni. La regione “flap” di ogni monomero si trova al di sopra del sito attivo, giocando un ruolo importante nel legame al substrato.4 La proteasi retrovirale viene classificata come aspartil-proteasi sulla base della similitudine della sequenza del sito attivo e dell’analogia strutturale con le proteasi aspartiche monomeriche precedentemente caratterizzate, come per esempio, renina e pepsina.11 A differenza degli enzimi di mammifero, dati derivanti da diffrazione di raggi X dimostrano che la proteasi dell’HIV è un omodimero obbligato. Ogni monomero contiene un residuo catalitico di aspartato (nel contesto della sequenza, Asp-25 - Thr-26 – Gly-27), localizzato alla base della tasca in cui si lega il substrato. L’interfaccia principale del dimero è formata dalle estremità Ne C-terminali (residui 1-4 e 96-99, rispettivamente) di ogni monomero, intrecciate in modo da formare un foglietto β antiparallelo a quattro filamenti (Fig. 2).6 E’ stato stimato che il suddetto foglietto β contribuisca per il 75% all’energia di stabilizzazione del dimero.12 I dimeri interagiscono tra di loro anche nella regione “flap”, composta da doppi foglietti β antiparalleli a due filamenti. Il meccanismo catalitico della proteasi dell’HIV dipende dalla presenza di un residuo di acido aspartico protonato e uno non protonato. Una molecola di acqua tra Asp-25 e Asp-25’ agisce come nucleofilo catalitico.6 Il meccanismo, attraverso il quale una molecola d’acqua tra i gruppi carbossilici di Asp25 e Asp25’ serve da nucleofilo per l’attacco al legame peptidico, è descritto nella figura 3. Al sito attivo contribuiscono numerosi residui, come: Arg8, Leu23, Asp25-Thr-Gly-Ala-Asp-Asp30, Val32, Ile47-Gly-Gly-Ile50, Phe53, Thr80Pro-Val82 e Ile84. Chiaramente, vi è un’ampia distribuzione di cariche positive e negative all’interno di questa tasca, come anche di elementi strutturali idrofobici. Fig. 2. Struttura della proteasi dell’HIV. L’omodimero obbligato è composto da due monomeri identici di 99 aminoacidi. Ciascun monomero possiede un’aspartato catalitico (Asp25 e Asp-25’) localizzato alla base della tasca di legame per il substrato. L’interfaccia del dimero è costituita dalle estremità N- e C-terminali di ogni monomero, formando un foglietto β antiparallelo a quattro filamenti. I monomeri interagiscono tra di loro anche nella regione “flap” composta dai residui 45-55. Le triadi catalitiche di ogni monomero …Asp25-Thr26-Gly27… si trovano nella parte più bassa della cavità, e i gruppi catalitici β-carbossilici di Asp25 e Asp25’ si trovano in un’orientazione quasi complanare. Le regioni “flap” nell’apoenzima si trovano in una conformazione aperta, ma, in seguito al legame con il substrato o ad inibitori, si spostano verso il ligando (7 Å) (Fig. 4).4 I monomeri diventano più compatti dopo aver legato il substrato, a causa dello spostamento di molte regioni della molecola verso la parte interna, ossia, verso il ligando. Il dimero della proteasi, perde la simmetria dopo aver legato il substrato, e ciò si basa sulla sovrapposizione dei carboni α di ogni monomero nelle strutture legate e non legate. La presenza del substrato legato, inoltre, contribuisce alla stabilità del dimero, attraverso interazioni multiple tra i due monomeri.6 Fig. 3. Descrizione del meccanismo attraverso il quale la proteasi dell’HIV determina il clivaggio del legame peptidico. I residui catalitici di Asp sono indicati con i numeri 25 e 25’, per distinguerne la localizzazione in catene monometriche separate. I gruppi carbossilici dei suddetti residui si trovano in stretta associazione con una molecola di acqua, la quale serve da nucleofilo, per l’attacco al legame peptidico nel complesso E-S. Sono state pubblicate numerose strutture cristallografiche dell’apoenzima e di complessi enzima-inibitore che possono essere visualizzati, accedendo al sito www.rcsb.org/pdb.13 Attualmente, la Protein Data Bank contiene 192 strutture cristallografiche riguardanti la proteasi dell’HIV. In figura 5 sono rappresentate le seguenti strutture: A) 1ODW, che rappresenta la proteasi dell’HIV nativa ad una risoluzione di 2.10 Å; B) 1HXB, in cui la proteasi è complessata con il saquinavir (risoluzione 2.30 Å ); C) 1S6G, che identifica il complesso tra il darunavir, potente inibitore non peptidico e la proteasi retrovirale con le mutazioni, Q7K, L33I, L63I, C67A e C95A (risoluzione 1.30 Å). Fig. 4. Rappresentazione con un modello tubolare della struttura tridimensionale di proteasi dell’HIV complessata con l’inibitore peptidomimetico, PNU-75875 (in giallo). Le catene laterali dei residui catalitici di Asp in ogni monomero (in rosso) puntano verso il diolo dell’inibitore (in rosso). Le frecce indicano i segmenti flessibili (flaps) che sono attratti verso l’inibitore complessato all’enzima. A B C Fig. 5. Strutture cristallografiche relative a: A) Proteasi nativa; B) Comlesso proteasi – saquinavir; C) Complesso proteasi mutata - darunavir. Gli studi sulla proteasi dell’HIV sono stati semplificati grazie alla facile produzione ricombinante dell’enzima in cellule ospiti batteriche. La proteasi retrovirale è piccola, può essere facilmente purificata in condizioni di denaturazione, e si ripiega velocemente in una sostanza cataliticamente attiva. Probabilmente, la caratteristica più importante della proteasi dell’HIV, è la sua notevole specificità, e sono stati compiuti numerosi studi per capire quali elementi di una sequenza peptidica la definiscano come substrato.4 La specificità della proteasi retrovirale per il substrato è stata studiata attraverso varie tecniche che comprendono strutture cristallografiche della proteasi dell’HIV con inibitori peptidici, modellistica molecolare e misurazioni cinetiche. Le proteasi retrovirali sono altamente specifiche per i propri precursori poliproteici o per peptidi che contengono i siti di clivaggio. La catalisi è più efficiente per peptidi di sette residui che si estendono da P4 a P3’ dove il legame da scindere si trova tra P1 e P1’, nella nomenclatura standard. Sono state riportate misurazioni cinetiche relative all’idrolisi da parte della proteasi retrovirale di peptidi con una serie di sostituzioni di singoli aminoacidi. Queste misure hanno definito gli aminoacidi che formano i migliori substrati ad ogni posizione da P4 a P3’, in una particolare sequenza peptidica. Sono state,inoltre, determinate strutture cristallografiche della proteasi retrovirale da sola o complessata con diversi inibitori. L’analisi di queste strutture e di modelli molecolari è stata usata per prevedere come i substrati si legano alla proteasi dell’HIV. Inibitori e, analogamente, substrati peptidici, si legano in una conformazione estesa, tra gli acidi aspartici catalitici e due “flaps” flessibili, che si trovano sopra il sito attivo della proteasi. Vi sono legami idrogeno conservati tra i gruppi NH e C=O degli inibitori peptidici e i residui della proteasi. In aggiunta, la catena laterale aminoacidica in ogni posizione dell’inibitore da P4 a P3’ si trova in ulteriori sottositi, da S4 a S3’, formati dai residui della proteasi. Le interazioni sottosito-substrato dipenderebbero dalla sequenza aminoacidica del substrato. Come modelli sono stati costruiti octapeptidi corrispondenti ognuno ai siti di clivaggio della proteasi retrovirale nei precursori poliproteici (Gag e Gag-Pol) (Tab. 1). Nei modelli, i residui della proteasi retrovirale, Arg8, Leu23, Asp25, Gly27, Ala28, Asp29, Asp30, Lys45, Met46, Ile47, Gly48, Gly49, Ile50, Phe53, Leu76, Thr80, Pro81, Val82 e Ile84 sono coinvolti in interazioni di van der Waals con i substrati. Questi residui formano il sito di legame per il substrato. Molti residui contribuiscono a formare più di un sottosito; alcuni sono coinvolti solo in interazioni con le più lunghe catene laterali del substrato in particolari posizioni. Le voluminose catene laterali aromatiche di Tyr o Phe a livello di P1 o P1’ si trovano tra le catene laterali della proteasi di Pro81 e Val82. La catena laterale di Phe a livello di P3 si trova tra i residui della proteasi Pro81’ e Phe53. La conformazione dei residui P4 e P4’ è variabile, dal momento che questi residui si trovano sulla superficie della proteasi retrovirale (Fig. 6).14 Tab. 1. Sequenze dei siti di clivaggio della poliproteina dell’HIV. Sono mostrati gli otto residui centrali dei siti di clivaggio della proteasi retrovirale nei precursori poliproteici Gag e Gag-Pol. Il clivaggio avviene in corrispondenza di “x” tra le posizioni del substrato P1 e P1’, nella nomenclatura standard. Fig. 6. Interazioni tra la proteasi dell’HIV e catene laterali di aminoacidi contenuti in substrati peptidici che rappresentano i siti di clivaggio della poliproteina retrovirale. Interazioni ioniche e legami idrogeno sono indicati da linee tratteggiate. a) il sito di clivaggio del peptide MA-CA forma legami idrogeno tra Ser in P4 e l’ossigeno carbonilico di Met46, tra Asn in P2 e l’ossigeno carbonilico di Asp30 e tra Gln in P4’ e la catena laterale di Lys 45’; b) il sito di clivaggio del peptide CA-X forma legami idrogeno tra Arg in P3 e l’ossigeno carbonilico di Pro81’ e tra Glu in P2’ e le ammidi di Asp29’ e Asp30’; c) il sito di clivaggio del peptide X-NC forma legami idrogeno tra Thr in P3 e la catena laterale di Arg8’, tra Gln in P2’ e l’ossigeno carbonilico di Asp30’ e tra Arg in P3’ e l’ossigeno carbonilico di Pro81; d) il sito di clivaggio del peptide NC-P6a forma legami idrogeno tra Gln in P3 e l’ammide di Gly49 e tra Gln in P2’ e l’ossigeno carbonilico di Asp30’; e) il sito di clivaggio del peptide TF-PR forma legami idrogeno tra Ser in P4 e l’ossigeno carbonilico di Met46, tra Asn in P2 e le ammidi di Asp29 e Asp30, tra Gln in P2’ e l’ossigeno carbonilico di Asp30’ e tra Thr in P4’ e le catene laterali di Asp30’ e Lys45’; f) il sito di clivaggio del peptide PR-RT forma un legame idrogeno tra Thr in P4 e la catena laterale di Asp30; g) il sito di clivaggio del peptide RT-IN forma un legame idrogeno tra Lys in P3 e l’ossigeno carbonilico di Pro81’ e un’interazione ionica tra Asp in P3’ e Arg8. In uno studio di substrati proteici non virali della proteasi retrovirale, è stata documentata un’ampia varietà di preferenze per il clivaggio, che sembrava renderne difficoltosa la classificazione. Si possono, tuttavia, considerare delle generalità: • i substrati devono avere una lunghezza tale da contenere almeno 7 residui, generalmente 8; • vi sono 8 sottositi nell’enzima, e substrati ottimali sono coinvolti in interazioni con un’estesa serie di sottositi sulla superficie dell’enzima; • la proteasi idrolizza legami peptidici di substrati contenenti una prolina a livello di P1’; • non vi è alcun residuo di lisina da P2 a P2’; • non vi è alcun aminoacido β-ramificato a livello di P1.4 I suddetti sottositi vanno da S3 ad S4’, per substrati peptidici che si estendono da P3 a P4’. E’ stato osservato che gli inibitori utilizzati attualmente si legano ai sottositi S2-S2’.15 3. Inibizione della proteasi dell’HIV Negli ultimi anni sono stati sintetizzati numerosi inibitori della proteasi dell’HIV. Tutti i composti clinicamente in uso sono inibitori competitivi, che mimano la presenza del substrato nel sito attivo del dimero proteasico. Approcci alternativi includono molecole che modificano in modo covalente il sito attivo (aspartato) o che hanno come bersaglio la regione dell’interfaccia del dimero. Infine, sono stati studiati monomeri difettosi che formano dimeri inattivi.6 3.1. Inibitori competitivi La fig. 7 illustra come la proteasi dell’HIV riconosca come substrato il legame peptidico tra tirosina o fenilalanina e prolina. Tale osservazione ha portato a progettare la sintesi di vari analoghi oligopeptidici, che mimano il substrato naturale della HIV proteasi e, sostituendosi ad esso, bloccano l’azione catalitica della proteasi. Tale blocco comporta una limitazione della crescita del virus nelle colture di cellule infettate dall’HIV. Le particelle virali immature e non infettive, formatesi a seguito dell’inibizione della proteasi, agiscono da antigeni, capaci di stimolare il sistema immunitario, e di conseguenza l’infezione subisce un arresto. A differenza del substrato naturale, che contiene il gruppo CONH facilmente scindibile tra tirosina (fenilalanina) e prolina, gli analoghi oligopeptidici, progettati come inibitori della HIV proteasi, contengono un legame non idrolizzabile tra Tir (Fen) e Pro, come ad esempio un ponte idrossietilaminico (Fig. 7). Sulla base dell’ipotesi che la HIV proteasi fosse una proteasi aspartica (capace quindi di idrolizzare il legame peptidico tra un aminoacido aromatico e la prolina), vennero preparati vari composti, la cui struttura mimava la sequenza del tripeptide asparagina-fenilalanina-prolina (Fig. 8). I composti sintetizzati, anche se in maniera modesta, mostrarono una certa attività, e costituirono una buona premessa per le successive ricerche, che puntarono a modificare le parti terminali della molecola. I nuovi composti risultarono via via sempre più attivi, e culminarono nella sintesi di Ro 31-8959 (saquinavir), un potente inibitore della proteasi dell’HIV (Fig. 8).16 I primi inibitori delle proteasi possedevano analogia strutturale alla sequenza peptidica del substrato della proteasi, e recavano la struttura parziale della statina >N-CH(R)-CH(OH)-CH2-N<, invece del legame idrolizzabile amidico. La seconda generazione di inibitori è costituita da veri e propri peptidomimetici, con meno legami amidici. E’, tuttavia, ancora possibile rilevare somiglianze strutturali nei confronti dei modelli peptidici dai quali sono ricavati. Inoltre, tutti contengono elementi della struttura parziale della statina. Nella figura 9 è possibile notare la somiglianza strutturale tra il substrato naturale della proteasi e il saquinavir.17 Saquinavir (Hoffman-LaRoche: Invirase ®), è stato il primo inibitore competitivo della proteasi dell’HIV ad essere utilizzato in clinica.6 Fig. 7. Punto di attacco della proteasi e inibitore non aggredibile. La sperimentazione clinica di questo composto è iniziata nel 1991, mentre lo si trova sul mercato dal dicembre del 1995.4 Si tratta di un inibitore peptido-mimetico;6 esso deriva dalla sostituzione della prolina in posizione P1’ con il gruppo (S,S,S)-decaidro-isochinolina-3carbonilico. L’inibitore ha dimostrato un’altissima affinità di legame verso la proteasi dell’HIV-1 (Ki =0.12 nM) e dell’HIV-2 (Ki < 1 nM). Inoltre, è altamente Fig. 8. Composti la cui struttura chimica mima la sequenza del tripeptide asparaginafenilalanina-prolina. selettivo nei confronti di questi due enzimi, con un’inibizione più bassa del 50% delle proteasi aspartiche umane (renina, pepsina, catepsina D e Catepsina E, ecc.) ad una concentrazione di 10 µM.4 La bassa biodisponibilità del saquinavir (~ 4% per un dosaggio di 600 mg) rende problematica la distribuzione della concentrazione effettiva del farmaco. Come altri inibitori, saquinavir non passa la barriera ematoencefalica. Lasciata incontrollata, la replicazione dell’HIV nel sistema nervoso centrale può condurre a demenza.6 Ritonavir (Abbot: Norvir ®) è stato il secondo inibitore della proteasi ad essere approvato negli Stati Uniti (febbraio1996)4 (Fig. 10).6 Fig. 9. Substrato naturale della proteasi dell’HIV e struttura chimica del saquinavir. Il ritonavir è stato proposto anche come inibitore della calpaina. Quest’ultima è una cistein-proteasi intracellulare Ca++-dipendente, coinvolta nelle lesioni tessutali dovute a stress post-ischemico o post-traumatico. La proteasi dell’HIV e la calpaina possiedono una struttura secondaria simile, in cui il sito attivo si trova a fianco di una regione idrofobica. Per entrambi gli enzimi la potenza degli inibitori aumenta in presenza di gruppi idrofobici vicino a legami pseudo-peptidici non idrolizzabili. Fig. 10. Alcuni inibitori della proteasi dell’HIV approvati dal FDA. In uno studio è stato dimostrato che il ritonavir (inibitore della proteasi retrovirale idrofobico) inibisce l’attività della calpaina. Queste osservazioni suggeriscono che il ritonavir e analoghi possano essere esaminati come agenti citoprotettivi nelle condizioni in cui la morte cellulare o la lesione sia mediata dall’attivazione della calpaina.18 Indinavir (Merck: Crixivan ®) è stato il terzo inibitore della proteasi dell’HIV approvato dal FDA (marzo 1996);4 inoltre, è stato il primo analogo peptidomimetico del complesso attivato per la terapia dell’HIV. Il successivo inibitore della proteasi è stato nelfinavir (Agouron pharmaceuticals: Viracept ®). Non si tratta di un composto peptidomimetico, in quanto non possiede un legame peptidico sostituito destinato a mimare il legame peptidico della poliproteina substrato. Nelfinavir ha dimostrato un’azione sinergica sulla replicazione dell’HIV, se usato in combinazione con inibitori peptidomimetici, ed è il primo composto ad attraversare la barriera ematoencefalica con ragionevole efficienza.6 Nelfinavir è un farmaco la cui progettazione è stata basata sulla struttura tridimensionale della proteasi dell’HIV e la modellazione al computer, allo scopo di massimizzare l’interazione tra il sito attivo dell’enzima e l’inibitore. E’ stato approvato dal FDA nel 1997.4 Ad opera dei Laboratori Vertex/Glaxo-Wellcome è stato sintetizzato amprenavir (Agenerase ®) un inibitore sulfonamidico non peptidomimetico, che può essere efficace contro virus resistenti agli altri inibitori della proteasi.6 Anche questo inibitore è stato progettato utilizzando la cristallografia e il computer, allo scopo di massimizzare le interazioni tra inibitore e sito attivo dell’enzima. Amprenavir è stato approvato dal FDA nel 1999, per l’uso negli adulti ed in età pediatrica.4 A giugno del 2003 l’FDA ha approvato l’inibitore della proteasi atazanavir (Reyataz ) (Fig. 11), che si distingue per il fatto di richiedere un’unica assunzione al giorno. Uno dei problemi più significativi, legati all’uso degli inibitori della proteasi retrovirale, è rappresentato dall’alterazione del metabolismo dei lipidi (aumento dei livelli di colesterolo nel sangue, lipodistrofia) e, l’atazanavir ha dimostrato di non modificare la concentrazione di lipidi nel plasma.2 Nell’ottobre del 2003 l’FDA ha approvato il fosamprenavir (GlaxoSmithKline: Lexiva ) (fig. 12). Si tratta di un pro-farmaco dell’inibitore amprenavir; viene infatti, metabolizzato nell’organismo umano, con il rilascio di amprenavir, che possiede così una maggiore durata d’azione. Infatti, fosamprenavir rappresenta la versione a lento rilascio dell’amprenavir, e ciò riduce il numero di assunzioni al giorno. A giugno del 2006 è stato approvato dall’FDA il darunavir o UIC-94017 (Prezista) ; si tratta di un composto non peptido-mimetico chimicamente Fig. 11. struttura chimica del composto atazanavir. correlato all’ amprenavir (Fig. 13). Darunavir è un inibitore ad ampio spettro con minima citotossicità. E’ utile confrontare le interazioni del composto darunavir con quelle dell’amprenavir. La struttura cristallografica della proteasi w/t con l’amprenavir, è stata determinata ad una risoluzione di 1.9 Å (PDB: 1HPV). Amprenavir forma meno legami idrogeno con i residui della proteasi Asp29 e Asp30 (Fig. 14). Solo il gruppo amminico dell ’ amprenavir forma un legame idrogeno con l’ossigeno carbossilico di Asp30, mentre le interazioni con le ammidi di Asp29 e Asp30 hanno una lunghezza di 3.5 Å. Amprenavir e darunavir possiedono gruppi idrofobici simili, con l’eccezione del gruppo bis-tetraidrofuraniluretano (bisTHF), pertanto, la maggior parte delle interazioni idrofobiche con la proteasi sono simili per entrambi gli inibitori. Il gruppo bis-THF del darunavir introduce un legame piuttosto corto (2.9-3.0 Å) di van der Waals con l’ossigeno carbonilico della catena principale di Gly48, e tale contatto non si verifica con l’amprenavir. Il legame stretto che si forma tra il gruppo bis-THF e gli atomi della catena principale di Asp29 e Asp30 sembra essere importante per la Fig. 12. Struttura chimica del fosamprenavir. Fig. 13. Struttura chimica del darunavir. Fig. 14. Legami idrogeno tra proteasi e darunavir. (a) La figura mette in evidenza i residui della proteasi che formano legami idrogeno con il darunavir. La sfera rossa indica una molecola d’acqua. I legami idrogeno sono indicati con linee tratteggiate. Le interazioni tra l’OH del darunavir e gli atomi di ossigeno carbossilici dei residui catalitici Asp25 e Asp25’ non sono indicate. (b) Differenze principali nelle interazioni tra proteasi e darunavir e tra proteasi ed amprenavir. Gli atomi e le interazioni nella struttura proteasi-darunavir sono indicate in fucsia, mentre quelli nella struttura proteasi-amprenavir in verde. potenza del darunavir contro HIV multi-resistenti. Queste interazioni sono mantenute nei complessi con PRV82A e PRI84V, nonostante PRV82A avesse un’interazione più debole con l’ossigeno carbonilico di Asp30. La PRI84V mostra minori interazioni di van der Waals del residuo 84 con il darunavir, con conseguente ridotta capacità inibitoria. Al contrario, nella PRV82A si verificano dei riarrangiamenti degli atomi della catena principale intorno ai residui 82 e 82’, che permettono un’interazione più stretta tra Ala82 e Ala82’ e darunavir, e ciò compensa, parzialmente, il minor numero di atomi nella catena principale di Ala rispetto a Val.15 Nelle figure 15 e 16 sono riportate le strutture chimiche di altri due inibitori della proteasi retrovirale di utilizzo clinico, rispettivamente: lopinavir15 e tipranavir, mentre la figura 17 illustra un’analisi cristallografica ai raggi X dei siti attivi nella proteasi complessata con il tipranavir.4 3.2. Inibitori irreversibili Dopo l’iniziale successo clinico degli inibitori competitivi della proteasi retrovirale, la ricerca si è indirizzata verso lo sviluppo di inibitori irreversibili. Questi composti rappresentano un’interessante alternativa agli inibitori competitivi in quanto determinano un’inattivazione permanente dell’enzima in una cellula infettata. Tale caratteristica si traduce in una diminuita dipendenza da alte concentrazioni di inibitori nei tessuti, ed evita il problema della bassa Fig. 15. Struttura chimica del lopinavir. Fig. 16. Struttura chimica del tipranavir. biodisponibilità. Pare anche che si abbia una minore suscettibilità di avere mutazioni che portano a resistenza. L’inibitore epossidico, EPNP [1,2-epossi-3(4-nitrofenossi)propano] (Fig. 18) ha dimostrato la capacità di esterificare uno o entrambi i residui catalitici di aspartato della pepsina, prototipo di aspartil-proteasi. La capacità di EPNP di formare un addotto covalente con la proteasi dell’HIV, in modo tempodipendente, è stata tra le prime dimostrazioni che la proteasi retrovirale appartenesse alla famiglia delle aspartil-proteasi. 3.3. Inibitori della dimerizzazione Un metodo alternativo per colpire il sito attivo della proteasi dell’HIV è quello di impedire la formazione del sito attivo, prevenendo la dimerizzazione dei monomeri della proteasi.6 Fig. 17. Analisi cristallografica a raggi X dei siti attivi nella proteasi dell’HIV complessata con il tipranavir. Fig. 18. Struttura chimica dell’EPNP. La dimerizzazione dei monomeri della proteasi retrovirale rappresenta, infatti, un prerequisito fondamentale per l’attività proteolitica dell’HIV e la conseguente generazione di particelle virali infettive. “Disturbando” la dimerizzazione dell’enzima, se ne può inibire l’attività.10 Molti studi hanno descritto l’inibizione dell’attività della proteasi retrovirale attraverso peptidi sintetici, corrispondenti all’estremità N- e/o Cterminale del monomero dell’enzima. Nel primo studio, come prova del meccanismo di inibizione, è stato dimostrato che il tetrapeptide Ac-Thr-96-Leu-97-Asn-98-Phe-99-COOH (corrispondente ai quattro residui C-terminali dell’enzima) ha evidenziato un Ki di 45 µM. Interessanti si sono rivelati peptidi sintetici corrispondenti agli N- e Cterminali, separati da un ponte rappresentato da tre residui di glicina (Fig. 19), con un valore di IC50 di ∼ 40 µM.6 Altri studi si sono basati su peptidi con legami trasversali, derivati dall’interfaccia della proteasi. Da quando è stato sintetizzato l’inibitore della dimerizzazione 1 (Fig. 20), sono stati compiuti numerosi sforzi, nel tentativo di migliorare questa classe di composti. Lo sviluppo di inibitori a peso molecolare più basso (3: troncatura di 1), ha portato ad una perdita di potenza contro la proteasi retrovirale e soprattutto ad un cambiamento nel meccanismo d’azione, passando dall’inibizione della dimerizzazione ad un’inibizione competitiva (Fig. 20a). Allo scopo di semplificare la sintesi degli inibitori della proteasi retrovirale, è stata sviluppata una nuova catena, acido 12-aminododecanoico, che ha permesso di modificare la direzionalità del peptide inferiore da N→C a C→N, in cui l’ammina terminale può essere usata per incorporare vari gruppi funzionali (Fig. 20b). Sono state effettuate quattro modificazioni (agenti 4-7) per determinare quali gruppi funzionali fossero importanti in posizione A (Fig. 20b). Fig. 19. Peptidi sintetici corrispondenti alle estremità N- e C-terminali, separati da un ponte rappresentato da tre residui di glicina. Paragonando i composti 3 e 4, è stata osservata una notevole riduzione della potenza inibitoria, invertendo la direzionalità del peptide inferiore. Ciò potrebbe essere attribuito ad una serie di fattori, come la deviazione della lunghezza ottimale della catena, la perdita del gruppo acido terminale e il disturbo della rete di legami idrogeno tra i composti e la proteasi. Modifiche apportate in posizione A hanno cambiato significativamente l’attività inibitoria. La modificazione del gruppo amminico terminale (4) con un gruppo acetilico (5) ha portato a perdita di potenza. Il recupero del gruppo acido terminale nel composto 6 ha portato ad un lieve aumento dell’attività inibitoria. Incorporando l’acido maleico in posizione A (7) si assiste ad un notevole incremento nella potenza inibitoria, e il meccanismo d’azione è basato sulla formazione di legami idrogeno tra l’acido maleico e la catena laterale di His69.19 3.4. Inibitori con mutazione dominante negativa Un metodo addizionale per l’inibizione della proteasi retrovirale è basato su inibitori macromolecolari che possiedono mutazioni dominanti negative, fungendo da monomeri difettosi (Fig. 21). L’efficacia di tali inibitori è stata inizialmente dimostrata in colture di cellule di mammifero. I primi inibitori contenevano sostituzioni di un solo aminoacido: il secondo residuo di aspartato del sito attivo (Asp 25 → Asn o D25N). Tale sostituzione si è tradotta in una diminuita produzione di particelle mature. Fig. 20. (a) Risultato della troncatura di inibitori della dimerizzazione. (b) Strategia basata sull’utilizzo di una nuova catena (12-Ado) e modificazione a livello della posizione A. Successivamente si è cercato di aumentare la potenza dei monomeri difettosi attraverso la sostituzione di tre aminoacidi.6 Tra questi mutanti, quello che ha dimostrato un effetto più significativo è quello con la triplice mutazione Asp25Lys/Gliy49Trp/Ile50Trp (25K49W50W). La mutazione Asp25Lys ha causato, nella proteasi retrovirale, la perdita dell’attività proteolitica. Gly49 e Ile50 si trovano nella regione “flap”. Entrambi sono stati mutati in residui di Trp. Il Trp ha una catena laterale più voluminosa rispetto a Gly o Ile. Lo scopo è quello di rafforzare la formazione di un dimero tra monomeri “wild-type” e mutanti, impedendo, però, la dimerizzazione attraverso i monomeri mutanti. E’ noto, inoltre, che la flessibilità della regione “flap” è essenziale per l’attività della proteasi. La presenza di due residui di Trp nella regione “flap” potrebbero diminuire la flessibilità, con conseguente ridotta attività.10 E’ stato osservato che i residui di triptofano impediscono l’accesso dei substrati naturali della proteasi al sito attivo.6 L’eterodimero, formato dal monomero con la suddetta mutazione e il monomero “wild-type”, ha dimostrato sperimentalmente di avere una più alta stabilità termica rispetto al dimero “wild-type”. L’omodimero, risultante dalla triplice mutazione, è il dimero con minore stabilità.10 Fig. 21. Omodimero attivo formato da due monomeri w/t (a sinistra) ed eterodimero formato da un monomero w/t e uno mutato (a destra). 4. Meccanismi di resistenza agli inibitori della proteasi L’HIV sviluppa resistenza verso gli inibitori della proteasi attraverso la mutazione di residui nella proteasi stessa. Mutazioni che hanno portato ad una ridotta sensibilità agli inibitori della proteasi testati comprendono: V82A, I84V, I84V/V82F, V82I, M46L, M46F, V32I, R8Q, G48V/L90M, M46I/I47V/I50V e M46I, R8Q e R8K, L10R, M46I, L63P e V82T. L’argomento relativo a queste mutazioni può essere discusso nel rispetto dei modelli inerenti al legame substrato-enzima (Tab. 1). Arg8 contribuisce a formare il sottosito S3 ed S3’. Nel substrato RT-IN, l’Asp al P3’ formava un’interazione ionica con Arg8 della proteasi (Fig. 6G). Il mutante R8K forma interazioni ioniche simili a quelle dell’Arg8 wild-type. Il mutante R8Q non può formare interazioni ioniche, ma è in grado di formare legami idrogeno con i substrati. Interazioni alterate con i substrati naturali spiegano la ridotta crescita virale osservata con il mutante R8Q. Sono strate osservate numerose mutazioni responsabili della resistenza a livello di Met46, tra cui: M46I, M46L ed M46F, tuttavia, si tratta di sostituzioni relativamente conservative di altri residui idrofobici. In modelli di proteasi retrovirale con i suoi naturali siti di clivaggio, l’ossigeno carbonilico di Met46 forma legami idrogeno con il gruppo ossidrilico della catena laterale della Ser al P4 nei siti di clivaggio di MA-CA e TF-PR (Fig. 6). Questi legami idrogeno non Tab. 2. Legami idrogeno tra proteasi retrovirale-substrato/inibitore. vengono alterati in seguito a mutazione di Met46 con altri aminoacidi idrofobici, per cui, non si prevede che le mutazioni osservate a livello di Met46 possano avere effetti significativi sulla crescita virale. L’ammide e l’ossigeno carbonilico di Gly48 formano legami idrogeno con gli atomi della catena principale di substrati o inibitori (Tab. 2), ed è stata trovata una mutazione G48V, con cui ci si aspetta di avere legami idrogeno simili a quelli della proteasi wild-type, considerando le simili cinetiche di crescita. Si è osservato che la mutazione I50V ha portato ad una riduzione della sensibilità agli inibitori sulfonamidici della proteasi; Ile50 rappresenta un importante contatto nei sottositi S2-S2’. Sono state riscontrate numerose mutazioni di Val82 in ceppi resistenti agli inibitori: V82A, V82T, V82I e V82F. Val82 contribuisce ai sottositi S3, S1, S1’ ed S3’. Mutazioni a livello di Val82 alterano la dimensione del residuo che può essere localizzato a livello di P1 o P1’. Ile84 contribuisce a formare i sottositi S2, S1, S1’ ed S2’. La mutazione I84V altera tutti i siti di clivaggio naturali, rendendo i sottositi S1 ed S1’ più grandi; si è osservato, infatti, che tale mutazione risulta in una minore infettività.14 5. Nuovi inibitori della proteasi Di fronte all’insorgenza di ceppi di HIV diventati resistenti agli inibitori della proteasi retrovirale attualmente in uso, la ricerca si è impegnata a scoprire nuovi composti che fossero attivi anche su ceppi virali mutati. 5.1. Inibitori arilsulfonamidici E’ stata descritta una nuova serie di inibitori della proteasi arilsulfonammidici molto potenti contro il virus wild-type, nonché su due virus farmaco-resistenti. Il composto 1 è stato ottenuto dalla modificazione delle catene laterali in P2, P1’ e P2’ dell’amprenavir (Fig. 22). Un elemento chiave nella strategia di questo studio, è rappresentato dalla possibilità di migliorare la potenza dell’enzima attraverso l’introduzione di interazioni addizionali tra l’enzima stesso e l’inibitore, aggiungendo nella catena laterale in P1’ un gruppo amminoalchilico “capped”. Lo scopo è quello di creare un legame idrogeno tra gruppi acilamminici in P1’ e la catena laterale guanidinica dell’Arg8 nella proteasi. Dai dati della SAR appare evidente la dipendenza dell’enzima e dell’attività antivirale dalla natura del gruppo aminico e la lunghezza della catena. Allo scopo di apportare un ulteriore miglioramento a livello dello scheletro arilsulfonammidico, il gruppo alchilamminico è stato spostato, dalla catena isobutilica in P1’, su un atomo di ossigeno, localizzato in posizione para del fenile in P1 (Fig. 23). Sono così consentite interazioni tra le ramificazioni della catena laterale in P1 analoghe a quelle che si dimostrano efficaci nelle ramificazioni della catena in P1’. La tabella 3 mostra i dati relativi all’attività antivirale in vitro di 18 nuovi composti, con estensione della catena laterale in P1. Inoltre, sono riportati i dati relativi al composto 1 e di cinque inibitori in uso. Sono stati calcolati i valori di Fig. 22. Composto arilsulfonamidico ottenuto dalla modificazione della catena laterale a livello di P2, P1’ e P2’ nella struttura dell’amprenavir. IC50 per l’HIV wild-type (HXB2) e per due virus multiresistenti agli inibitori delle proteasi (EP13 e D545701). Appare evidente, come nei composti amminici primari 10a-c aumenti l’attività antivirale nei confronti del virus wilde-type e dei mutanti, allungando la catena da n=1 a n=3. La nuova interazione con la catena laterale è, infatti, più forte per il composto con n=3. Tuttavia, in assenza di attività inibitoria sull’enzima o dati cristallografici ai raggi X che supportino una nuova interazione, la forza di questa supposizione è limitata. Gli acetil-derivati 11a-c sono in linea generale più potenti degli analoghi, ammine primarie, e dimostrano un notevole profilo di resistenza inversa, riferito Fig. 23. Spostamento del gruppo alchilaminico dalla catena isobutilica in P1’ su un atomo di ossigeno localizzato in posizione para del fenile in P1. spesso come “ipersuscettibilità”. I metilcarbammati 12a-c comprendono la classe di molecole più potente nei confronti di tutti e tre i ceppi virali testati. Ciò non sembra essere dovuto alla lunghezza della catena in P1 e, quindi, ad interazioni specifiche, ma piuttosto a parametri chimico-fisici; probabilmente, il gruppo metil-carbammato impartisce proprietà di polarità favorevoli ad un’aumentata penetrazione cellulare. Il confronto tra i derivati monometil-ureici 13a-c e quelli dimetil-ureici 14a-c è interessante, in quanto i primi composti mostrano una consistente dipendenza dell’attività dalla lunghezza della catena; ciò non si verifica con i Tab. 3. Dati relativi all’attività antivirale per arilsulfonamidi con catena in P1 estesa. secondi che, peraltro, risultano più potenti. I composti metansulfonilici 15a-c mostrano un’attività dipendente dalla lunghezza della catena verso il virus wildtype. La tabella 4 riassume i parametri farmacocinetici in vivo dei metilcarbammati 12a e 12b. Entrambi possiedono scarsa biodisponibilità orale in Tab. 4. Parametri farmacocinetica in vivo per i composti 12a e 12b. ratto e cane. Tuttavia, in co-somministrazione con ritonavir, potente inibitore del citocromo P450, il composto 12a subisce un incremento della biodisponibilità orale dallo 0% al 33%. In conclusione, tale studio ha messo in evidenza che i composti 12a-c sono i più potenti, anche nei confronti delle forme virali mutate, responsabili della farmaco-resistenza.20 5.2. Inibitori della proteasi dell’HIV a struttura sulfamidica ciclica, con catene laterali che si estendono da P2/P2’ a P1/P1’ Sono state esaminate strutture cristallografiche di inibitori sulfamidici ciclici complessati con la proteasi dell’HIV, ed è emerso che è possibile allungare le catene laterali P1/P1’ in modo tale da estendersi tra i siti di legame S1/S1’ e S2/S2’. Attraverso modelli molecolari si è ipotizzato che tale obiettivo potesse essere raggiunto attraverso opportune orto-sostituzioni a livello dei gruppi benzilici P2/P2’. In figura 24 sono riportati composti con la generica struttura 3, che esibiscono un’attività da bassa a moderata. I composti 9-13 (Tab. 5) sono stati sottoposti ad un’analisi conformazionale a livello del sito attivo della proteasi retrovirale. Fig. 24. Struttura di un inibitore ureico ciclico (1) con legame simmetrico alla proteasi dell’HIV ed inibitore sulfamidico ciclico (2) con legame non simmetrico. Generica struttura 3 e il proposto legame non simmetrico alla proteasi. La disposizione dei vari composti è illustrata in figura 25, in cui la struttura 2 (giallo) è utilizzata come termine di paragone. Il composto non sostituito 9 (grigio), il 10 (verde), l’11 (azzurro) e il 12 (arancione) evidenziano una modalità di legame simile a quella osservata con il composto 2, anche se solo le strutture 10 e 11 toccano l’angolo di S3. Il composto 13 (rosso) sembra preferire una modalità di legame differente. Il primo sostituente benzilico si posiziona tra S1’ e S2’, mentre il secondo, dalla parte opposta, si sistema nei siti di legame tra S2 e S3. I composti 13 e 9 sembrano occupare solo due dei quattro possibili siti di legame, e ciò si traduce in una scarsa attività; pertanto questi due composti sono stati inclusi come controlli negativi. I composti 10-12 hanno Tab. 5. Attività inibitoria di analoghi biarilici. dimostrato una buona potenza inibitoria, ma sfortunatamente non hanno raggiunto la potenza della sostanza guida 2.9 5.3. Composti beta-lattamici come inibitori non competitivi apparenti della proteasi dell’HIV Composti beta-lattamici si sono dimostrati promettenti come inibitori di varie proteasi. Si è visto che oligopeptidi cefalosporinici sono in grado di inibire la proteasi dell’HIV-1. Sono stati esaminati vari peptidi beta-lattamici per valutarne la capacità di inibire l’enzima (Fig. 26). Molti dei composti studiati hanno evidenziato un’inibizione superiore del 60% (tabella 6). L’inibizione si è dimostrata di tipo non competitivo come illustrato in figura 27. Considerando il meccanismo d’azione della proteasi dell’HIV, che comprende la chiusura della regione “flap” da parte Fig. 25. Analisi conformazionale relativa ai composti 9 (grigio), 10 (verde), 11 (azzurro), 12 (arancione) e 13 (rosso). La struttura cristallografica 2 è inclusa come termine di paragone. Fig. 26. Descrizione schematica dei peptidi β-lattamici utilizzati in questo studio. Sono stati combinati 7 β-aminoacidi (7-13), sei isocianuri (a-f) e tre aldeidi (I-III). dei substrati, si è previsto che l’inibitore potesse interagire con la regione “flap” chiusa dal complesso enzima-substrato , come schematicamente rappresentato in figura 28A, mentre in figura 28B è evidenziato il modello molecolare di questa interazione. E’ stata dimostrata la formazione di due legami idrogeno che rimangono stabili tra le regioni “flap” dell’enzima e del composto beta-lattamico: uno si forma con l’ossigeno carbonilico di Gly51, mentre l’altro è diretto verso l’atomo di azoto di Phe53’. Entrambi i monomeri risultano coinvolti in queste interazioni, che si possono formare solo quando le regioni Tab. 6. Inibizione della proteasi dell’HIV ad opera di composti β -lattamici. “flap” sono chiuse verso il substrato. Le interazioni potrebbero essere rafforzate da interazioni di Van der Waals tra anelli aromatici del composto beta-lattamico e Phe53’, Pro79 e Pro81 da un lato dell’enzima e con Phe53, Pro79’ e pro81’ dall’altra metà dell’enzima. Da questi studi è emersa la possibilità di avere composti “guida” per una nuova classe di inibitori che potrebbero essere utilizzati in combinazione con inibitori attivi sul sito attivo già in uso.21 Fig. 27. Inibizione non competitiva osservata con il composto I/11a (g: in presenza di 80 µM di inibitore; n: senza inibitore). Fig. 28. A) meccanismo d’azione proposto per i composti β -lattamici. B) Modello molecolare dell’interazione ligando-flap. BIBLIOGRAFIA 1. Del Mar Yust M., Pedroche J., Megìas C., Giròn-Calle J., Alaiz M., Millàn F., Vioque J. Rapeseed protein hydrolysates: a source of HIV protease peptide inhibitors. Food Chemistry, 87 (2004), 387-392. 2. Magden J., Kääriäinen L., Ahola T. 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