La luce e la sua storia Tratto da “Storia della luce” Di Vasco Ronchi Classe II D anno scolastico 2007-2008 A cura di Tania Pascucci Docente tutor Piano Nazionale Insegnare Scienze Sperimentali La scienza Antica Vasco Ronchi intraprese la propria carriera scientifica nel 1920 presso l’Istituto di Fisica dell’Università di Firenze. Sulle pareti dell’edificio egli notò un dipinto allegorico, nel quale erano rappresentate alcune giovani donne (simbolo delle scienze nuove) che si dissetavano ad una fonte posta sotto il busto di Archimede (che rappresenta la scienza antica), tutte tranne una, che non aveva voluto bere. Erano inoltre rappresentate le stesse donne nell’atto di salire verso “il solo sole”, ad eccezione di quella che non aveva bevuto, la quale era caduta al suolo. Gli insuccessi iniziali Vasco Ronchi stesso iniziò le proprie ricerche nel campo dell’ottica, utilizzando libri moderni e aggiornati, che esprimevano convinzioni degli autori come certe, e che facevano fugaci accenni alle teorie più antiche, considerate ormai superate. Si attribuiva infatti erroneamente l’inizio del periodo fondamentale per l’ottica, proprio all’opera di Isaac Newton. Applicando le leggi moderne che sintetizzavano le ricerche dei suoi predecessori Ronchi suppose che i propri insuccessi fossero dovuti all’errata applicazione delle leggi dell’ottica; quindi dedicò numerosi anni all’applicazione sempre più fedele delle medesime leggi. “La storia della luce” Aumentando però gli insuccessi, egli iniziò a dubitare della veridicità delle leggi che aveva sempre accettato come indiscutibili, senza verificare egli stesso se fossero tali. Nel 1936 Federigo Enriques gli propose di scrivere un libro sulla storia della luce, ed egli accettò ponendo però una scadenza di due anni, che risultarono poi insufficienti. Le teorie greche e romane Già nel IV sec a.c. la filosofia greco-romana aveva affermato che l’anima viene a contatto con il mondo che la circonda mediante dei sensi. Appurato che il tatto, il gusto, l’olfatto e l’udito avvengono proprio grazie ad un contatto fra i nervi e gli stimoli esterni che interagiscono con essi, si dedusse che anche la visione dovesse seguire un meccanismo ad essi analogo. La visione però risultò alquanto complicata, poiché gli occhi venivano sicuramente a contatto con un qualcosa di impalpabile, ma era ancora oscuro cosa fosse questo “quid”. Il “Quid” Si ipotizzò inizialmente che gli oggetti emanassero un “quid” che penetrava negli occhi, impressionandoli, rendendo così possibile la visione. Ciò che però risultava incomprensibile era la “materia” che costituiva il “quid”. Esso infatti trasportava informazioni riguardanti il colore, la posizione, e la forma dei corpi nello stesso istante, quindi non poteva essere informe, né tanto meno una vibrazione. I Fisici, considerati “eretici” • I fisici ritenevano che il quid dovesse essere un qualcosa di rigido, tale che potesse trasportare numerose informazioni all’occhio, impressionandolo. • Si ipotizzò quindi che il quid fosse una specie di “scorza” che, staccandosi dal corpo e riducendosi progressivamente, si propagava in tutte le direzioni, a grandissima velocità, fino a penetrare la pupilla. I Matematici si affermano • • • I matematici invece ipotizzarono correttamente che la visione fosse permessa da degli agenti rettilinei, che uscivano dagli occhi e, dopo aver esplorato l’ambiente circostante, riportavano all’anima tutte le informazioni necessarie per “vedere” ciò che la circonda. Essi furono chiamati raggi visuali, e la loro esistenza fu avvalorata mediante l’esempio di un cieco che vede soltanto grazie ad un bastone, poiché non può servirsi dei “bastoni” che escono dagli occhi. Gli studi geometrici effettuati sui raggi visuali sono ancora validi, fatta eccezione per il verso della propagazione, infatti sono i raggi ad entrare negli occhi, e non gli occhi ad emetterli. La “lux” Tutti i filosofi e gli scienziati greci e latini erano d’accordo però su una cosa, ovvero che la luce (chiamata “lux”) e il colore fossero soggettivi, ovvero creati dall’anima per rappresentare gli stimoli che giungevano agli occhi. Aristotele • La concezione aristotelica si discostava da entrambe le teorie, in quanto egli riteneva che la visione fosse l’effetto di un’interazione fra le azioni esercitate dal corpo, e il mezzo circostante. “De rerum natura” Vissuto tra il 98 e il 55 a.C. è probabilmente morto suicida. Vissuto tra il 98 e il 55 a.C. è probabilmente morto suicida. La sua vita è avvolta nella leggenda. Abbiamo notizie di lui solo La sua vita è avvolta nella leggenda. Abbiamo notizie di lui attraverso autori successivi alla sua epoca, come Cicerone. Si dice attraverso successivi alla(desuarerum epoca, comenei suoi chesoloabbia scritto laautori sua opera principale natura) Cicerone. Si dice abbia scrittoda launsua principale momenti di quiete dallachefollia causata filtroopera d’amore. (de opere reruminfatti natura) momenti didaquiete dallaalternanza follia Le sue sononei tuttesuoi caratterizzate una forte filtro d’amore. dicausata euforia edadi un malinconia (bipolarismo). Le sue opere infatti sono tutte caratterizzate da una forte alternanza di euforia e di malinconia (bipolarismo). Riprende i temi principali della dottrina epicurea, che sono: epicurea, che sono: Riprende i temi principali della dottrina .l'aggregazione atomistica; .l'aggregazione atomistica; .la liberazione dalla paura della morte; .la spiegazione dei fenomeni naturali. .la liberazione dalla paura della morte; Seguendo le teorie di Epicuro, la concezione del raggiungimento del piacere si ottiene attraverso .la spiegazione deinonfenomeni l ’imperturbabilità. La morte era temuta naturali. perché si pensava che fosse una disgregazione di atomi, come la vita ne eraleun’aggregazione. Questi atomi dunque si sarebbero riuniti successivamente perdel comporre un si Seguendo teorie di Epicuro, la concezione del raggiungimento piacere altro essere vivente.Questa teoria ammetteva l ’esistenza degli dei ma si pensava che essi rimanessero in ottienedisinteressati attraverso l ’imperturbabilità. La morte noncredeva era che temuta disparte, alla vita terrena. Lucrezio, a differenza di Epicuro, la poesiaperché servisse si ad attenuare concetti con la una prosa disgregazione sarebbero stati sgradevoli. pensava chechefosse di atomi, come la vita ne era un’aggregazione. Questi atomi dunque si sarebbero riuniti successivamente per comporre un altro essere vivente.Questa teoria ammetteva l ’esistenza degli dei ma si pensava che essi rimanessero in disparte, disinteressati alla vita terrena. Lucrezio, a differenza di Epicuro, credeva che la poesia servisse ad attenuare concetti che con la prosa sarebbero stati sgradevoli. Si tratta di un poema didascalico, (genere letterario che consiste nella comunicazione di contenuti informativi in forma poetica) di natura scientifico-filosofica, scritto in esametri e suddiviso in sei libri a gruppi di tre, fu dedicato inoltre a Gaio Memmio. Ogni libro è introdotto da un proemio (invocazione alla musa e spiegazione dell ’argomento). Quasi tutti i proemi sono dedicati ad Epicuro, noto filosofo e pretore romano Il primo proemio è dedicato a Venere, la dea dell ’amore mentre il sesto è dedicato ad Atene, la città natale di Epicuro. Sequenza di sette versi ripetuti tre volte durante l ’opera Dopo aver parlato dell ’anima e del corpo, Lucrezio (nel libro IV del De Rerum Natura), parla dei simulacri: quelle membrane che staccandosi dalla superficie dei corpi giungono ad impressionare gli organi di senso. Questi simulacra conservano l ’aspetto dell ’oggetto dai cui sono emessi. A volte alcuni simulacra si formano da soli senza staccarsi dalle cose e vagano per l ’aria senza smettere mai di cambiare il loro aspetto dissolvendosi e trasformandosi nei contorni di forme di ogni tipo. Per spiegare la percezione della profondità, ovvero il capire se un corpo è più o meno distante da un altro, Lucrezio ipotizza che la quantità d’aria incontrata da un simulacrum durante il suo viaggio verso l ’occhio “entri” in quest’ultimo e permetta la percezione della distanza tra l ’occhio e l ’oggetto. Per spiegare inoltre il motivo per cui volgendo lo sguardo verso il sole si prova dolore, Lucrezio afferma che i simulacra del sole siano formati da atomi di fuoco, che incontrando l ’occhio causano appunto dolore. Intuitivamente ognuno di noi abbraccia le antiche teorie che presuppongono un ruolo attivo dell ’occhio nel meccanismo della visione (teoria dei raggi visuali). Perciò queste concezioni si ritrovano ad esempio in alcune frasi comuni o modi di dire come “ti lancio un’occhiata”, “ti fulmino con lo sguardo”, “avere uno sguardo penetrante”. Anche l ’uso del verbo “guardare” presuppone l ’ipotesi dei raggi visuali. Alhazen e il “lumen” • La teoria dei raggi visuali diventa la teoria accettata dalla maggior parte delle persone, fino all’XI secolo, quando crolla definitivamente. • Alhazen, un esponente della scuola araba, si rese conto che, osservando il sole e poi chiudendo gli occhi, rimaneva il disco luminoso impresso per molto tempo. • L’occhio doveva quindi essere impressionato da un agente esterno, un “lumen” ben distinto dalla “lux”(chiaro soggettivo creato dall’anima per collocarvi le figure dei corpi veduti). Sorgenti Puntiformi • Alhazen risolse perfettamente il “come” il lumen riuscisse a penetrare nella pupilla, dal diametro infinitesimale, portando le informazioni relative a corpi di dimensioni variabili (da microscopici a immensi). • Egli comprese infatti che gli eidola emessi dai corpi, non si potevano “contrarre misteriosamente” durante il tragitto fino all’occhio, ma dovevano essere infiniti. Suddivise quindi l’oggetto in tanti elementi puntiformi, che mandavano ognuno il proprio eidolon, in tutte le direzioni. • Gli eidola emessi erano così piccoli da poter penetrare la pupilla senza alcuna contrazione, e da poter impressionare il “sensorio”, ovvero la superficie sensibile dell’occhio. Difficoltà della teoria di Alhazen • • Alhazen si rese conto che, poiché le traiettorie degli eidola si intersecavano in un punto (la pupilla dell’occhio), l’immagine risultava capovolta sul fondo dell’occhio, ritenuto fino a quel momento il sensorio, ovvero il ricevitore. Egli affermò quindi che il sensorio doveva trovarsi prima del punto di intersezione, in modo da far risultare dritta l’immagine dell’oggetto. L’unica parte dell’occhio che soddisfaceva questa caratteristica era il cristallino, quindi affermò che era proprio questa parte a ricevere e percepire l’immagine. Gli studi di Alhazen • Nonostante Alhazen avesse erroneamente attribuito al cristallino il meccanismo della visione, il suo contributo all’ottica è stato ingente. • Egli introdusse infatti il concetto di “lumen”, smentì la teoria dei raggi visuali, avanzò l’ipotesi che il lumen fosse composto da corpuscoli microscopici che viaggiavano a velocità altissima e che si riflettevano e rifrangevano. • Giustificò inoltre sia la riflessione che la rifrazione mediante esperimenti meccanici e teorici. Riflessione Consideriamo un raggio che viene riflesso da uno specchio e determiniamo esattamente le caratteristiche del fenomeno. Innanzi tutto, nel punto in cui il raggio incidente tocca lo specchio, si deve costruire la normale , ovvero la retta perpendicolare al piano in quel punto. Detto questo occorre precisare che il raggio incidente si indica con i , il raggio riflesso con r , l'angolo di incidenza, che è l'angolo fra il raggio incidente e la normale, con iˆ e l'angolo di riflessione, l'angolo cioè fra il raggio riflesso e la normale, con r̂. In sintesi : r̂ Precisata la "nomenclatura" del fenomeno della riflessione, affermiamo che valgono le seguenti leggi : - 1 - il raggio incidente, la normale ed il raggio riflesso sono posti su uno stesso piano -2- l'angolo di incidenza è uguale all'angolo di riflessione, cioè iˆ rˆ Queste sono le leggi della riflessione e le possiamo considerare desunte dall'esperienza anche se possono essere spiegate sia tramite il modello corpuscolare che quello ondulatorio. Con il modello corpuscolare la spiegazione è più semplice ed intuitiva. Basta considerare la riflessione della luce alla stessa stregua dell'urto di biglie contro la sponda di un biliardo. - la diffusione : è il fenomeno per cui i raggi di luce vengono riflessi in ogni direzione da una superficie non speculare (un corpo ruvido, per esempio). I raggi inizialmente paralleli vengono riflessi in ogni direzione dalla non uniformità microscopica (vi sono varie microsuperfici riflettenti secondo angoli diversi) della superficie riflettente : (b) Rifrazione Quando un raggio di luce passa da un mezzo ad un altro di differente densità ottica (distinta dalla densità come rapporto massa/volume, ma che tiene conto del "modo" di propagarsi della luce nel mezzo), esso cambia la propria direzione. Questo è il fenomeno della rifrazione. Per esempio, passando da aria, che indichiamo come mezzo 1 , ad acqua, che indichiamo come mezzo 2 : Bisogna subito osservare che se si aumenta la densità del mezzo 2 , senza variare la densità del mezzo 1 , il raggio si avvicina alla normale. Il fenomeno, quindi, si accentua all'aumentare della differenza di densità fra i mezzi. A questo punto sorge spontanea la domanda : esiste una relazione matematica fra angolo di incidenza ed angolo di rifrazione per una data scelta di mezzi, per esempio aria ed acqua ? Se variamo (a parità di mezzi) l'angolo di incidenza iˆ , come varia di conseguenza l'angolo di rifrazione r̂ ? In generale osserviamo che se aumentiamo l'angolo iˆ , l'angolo r̂ aumenta di conseguenza, ma non in maniera proporzionale. Se, per esempio, raddoppiamo iˆ , l'angolo r̂ non raddoppia di conseguenza. Questo significa che la legge matematica del fenomeno della rifrazione non è una semplice legge di proporzionalità. Per angoli di piccola apertura però il seno di un angolo si può approssimare alla misura dell’angolo e questo rende la legge proporzionale. Per calcolare l’angolo di rifrazione si eguaglia il rapporto tra il seno di iˆ e il seno di r̂ con il rapporto tra l’indice di rifrazione del secondo mezzo con il primo. dove si chiama indice di rifrazione del 2° mezzo rispetto al 1°.(Caratteristica dell’interazione con la luce) Angolo limite Abbiamo gia osservato il comportamento di un raggio luminoso se, viceversa, mandiamo un raggio dall'acqua all'aria esattamente all'inverso rispetto al caso precedente: otterremo che i raggi di luce formano gli stessi angoli. Si noti che anche qui abbiamo una riflessione parziale del raggio incidente, che però non prenderemo in considerazione . Proviamo ora ad aumentare gradatamente l'angolo in acqua. Otterremo le seguenti situazioni : Come si vede dal grafico, si raggiunge un angolo limite secondo il quale il raggio uscente dall'acqua forma un angolo retto rispetto alla superficie di separazione fra i mezzi. Per l'acqua rispetto l'aria (o il vuoto) quest'angolo limite è circa 49° . Cosa avviene se si supera l'angolo limite ? Il raggio non passa più dall'acqua all'aria ma si riflette totalmente nell'acqua secondo le leggi della riflessione : Il fenomeno dell'angolo limite nella rifrazione, è sfruttato per costruire utili strumenti. - 1 - Prismi per binocoli, periscopi. Consideriamo un prisma di vetro con sezione a triangolo isoscele rettangolo: mandiamo un raggio di luce incidente perpendicolarmente al lato AB . Esso entrerà nel vetro senza cambiare direzione e colpirà il lato AC con un angolo di incidenza di 45° rispetto alla normale n. Siccome l'angolo di 45° è superiore all'angolo limite fra vetro ed aria, il raggio di luce non può uscire dal vetro ma può solo subire una riflessione totale anch'essa di 45° (rispetto alla normale n ). Si ha perciò la fuoriuscita del raggio luminoso dal lato BC. In questo modo abbiamo ottenuto una deviazione ad angolo retto di un raggio luminoso con un semplice prisma di vetro. Questo fenomeno è utilizzato nella costruzione dei binocoli, nella tecnica dei periscopi ecc. Le fibre ottiche non sono semplicemente piccoli tubi: ogni singola fibra ottica è composta da due strati concentrici di materiale trasparente estremamente puro: un nucleo cilindrico centrale, o core, ed un mantello o cladding attorno ad esso. Il core presenta un diametro molto piccolo di circa 10 μm, mentre il cladding ha un diametro di circa 125 µm. I due strati sono realizzati con materiali con indice di rifrazione leggermente diverso, il cladding deve avere un indice di rifrazione minore rispetto al core. Sezione laterale Sezione frontale Fibre ottiche. La tecnica delle fibre ottiche sta entrando prepotentemente nella tecnologia moderna. Sistemi di telecomunicazione, internet ecc. ne fanno largo uso. Il principio di "funzionamento" delle fibre ottiche è basato sullo sfruttamento dell'angolo limite per la rifrazione fra vetro ed aria. Prendiamo un filo abbastanza sottile di vetro o sostanza affine che possa essere piegato. La luce, al suo interno, incidendo con angoli superiori all'angolo limite fra vetro ed aria, non ne può uscire. Si ha così la propagazione del segnale luminoso lungo una fibra ottica : Uno specchio è una superficie riflettente sufficientemente lucida da permettere la riflessione di immagini. Il tipo più noto è lo specchio piano, usato tutti i giorni per specchiarsi, ma specchi sono usati in molte applicazioni e diverse forme. L'immagine vista attraverso uno specchio piano è detta virtuale, in quanto sembra provenire da una direzione diversa rispetto all'oggetto e non può essere proiettata su uno schermo. In uno specchio piano un fascio di raggi luminosi paralleli viene deviato ma si mantiene il parallelismo dei raggi. Ciascun raggio che colpisce lo specchio viene riflesso di un angolo identico a quello di incidenza. Oltre allo specchio piano esistono specchi parabolici concavi, specchi sferici convessi. Euclide La riflessione •Teorema I: “Negli specchi piani, negli specchi convessi, negli specchi concavi, i raggi si riflettono con angoli eguali ” Dimostrazione: AB:BC=OA:ZC Triangoli simili Indicando con: -f la distanza focale; -p la distanza della sorgente dallo specchio; -q la distanza dell’immagine dallo specchio, per ogni tipo di specchio vale la seguente formula, detta dei punti coniugati: 1 1 1 p q f Vale quindi la proprietà dell’invertibilità del cammino luminoso: ponendo la sorgente alla distanza q, l’immagine si formerà ad una distanza p dallo specchio. Si tratta di una calotta sferica con la parte interna riflettente. Un tale specchio si dice concavo : ed è ottenuto sezionando una sfera con un piano. La calotta così ottenuta è fondamentale (come vedremo più avanti) che sia piccola rispetto al raggio della sfera. Si danno le seguenti definizioni : (il centro C è il centro della sfera da cui è stato ricavato lo specchio). Consideriamo ora un raggio luminoso parallelo all'asse ottico (principale) che dall'esterno colpisce lo specchio. Supponiamo che tale raggio sia vicino all'asse medesimo. Il raggio sarà riflesso e a causa delle leggi della riflessione si avrà : essendo l'angolo di incidenza uguale all'angolo di riflessione. Si noti che, essendo lo specchio curvo, per ottenere la riflessione abbiamo tracciato la retta tangente allo specchio. Si noti anche che la normale alla suddetta tangente è un raggio della sfera (da cui è stato ricavato lo specchio), cioè passa per C . Il punto in cui il raggio riflesso interseca l'asse ottico è stato indicato con F . Considerando altri raggi paralleli all'asse ottico (ad esso vicini) si ottiene : da cui si vede chiaramente che tutti i raggi riflessi passano per il punto F che per questo è detto fuoco dello specchio. Il fuoco F si trova a metà del segmento VC e la distanza VF si chiama distanza focale. Abbiamo cioè : VF = FC . La condizione per cui i raggi riflessi passino tutti per F è che i raggi incidenti, paralleli all'asse ottico, siano vicini al medesimo. Se ciò non avviene, la convergenza del raggio riflesso non si verifica più in F : e si ha perciò il fenomeno dell'aberrazione. Se poniamo un oggetto luminoso davanti ad uno specchio concavo (per esempio sferico) si ottiene una immagine via via diversa in dipendenza da dove si colloca l'oggetto luminoso. Immaginiamo di porre l'oggetto luminoso, che rappresenteremo graficamente con una freccia, posta rispetto allo specchio come nella figura seguente. Secondo l'ottica geometrica dall'oggetto luminoso dipartono raggi luminosi in tutte le direzioni. Quelli che colpiranno lo specchio verranno da esso riflessi secondo le leggi della riflessione. Studiamo il fenomeno elencando vari casi. - 1 - oggetto luminoso posto ad una distanza dallo specchio superiore al doppio della distanza focale : Consideriamo due raggi incidenti uscenti da A per i quali sia facile costruire i rispettivi raggi riflessi. Il raggio che parte da A e si propaga parallelamente all'asse ottico incontra lo specchio e si riflette in modo che l'angolo di incidenza sia uguale all'angolo di riflessione ( ). Sappiamo che tale raggio riflesso passa per il fuoco F . Il raggio che partendo da A incontra lo specchio nel vertice V si riflette alla stessa maniera ( ). I due raggi riflessi si incontrano allora in A' . Se si esegue la costruzione geometrica di tutti i raggi riflessi relativi ai raggi incidenti uscenti da A , si trova che tutti si intersecano on A' . Allora, secondo l'ottica geometrica, in A' si forma l'immagine del punto A . Eseguendo lo stesso procedimento per tutti gli altri raggi partenti dall'oggetto ed incidenti nello specchio, si otterrà allora una immagine reale, capovolta, rimpicciolita e vicina al fuoco. Graficamente : Essa è reale perché l'immagine che si ottiene potrebbe essere raccolta su uno schermo o impressionare una lastra fotografica posta dove essa si forma. Essa è capovolta rispetto all'oggetto luminoso. Essa è rimpicciolita perché più corta dell'oggetto luminoso. Se avviciniamo l'oggetto luminoso al fuoco, otteniamo che l'immagine si ingrandisce e si allontana dal fuoco verso l'oggetto : Se l'oggetto luminoso è posto all'infinito, situazione tipica delle osservazioni astronomiche, l'immagine diventa puntiforme e posta sul fuoco F . Questo lo si comprende perché nello specchio arrivano solo raggi paralleli (o quasi) all'asse ottico ed essi vengono convogliati tutti nel fuoco F : -2 - oggetto luminoso posto sul centro C dello specchio : Quando l'oggetto si trova sul centro C dello specchio (il centro della sfera da cui è stato ricavato lo specchio) si ottiene un'immagine ancora nel centro C ma capovolta con le stesse dimensioni dell'oggetto : -3 - oggetto luminoso posto fra il fuoco F ed il centro C dello specchio : -Quando l'oggetto è fra in fuoco F ed il centro C dello specchio, si ottiene un'immagine rovesciata, ingrandita oltre il centro C : -4- oggetto luminoso posto sul fuoco F dello specchio : Se l'oggetto luminoso è posto sul fuoco F dello specchio, l’ immagine si forma all’infinito: -5- oggetto luminoso posto fra il vertice V ed il fuoco F dello specchio : In questo caso, non si ha formazione di una immagine reale perché i raggi riflessi divergono. Se si considerano i prolungamenti "immaginari" dei raggi dietro lo specchio, si ottiene una immagine virtuale, diritta e ingrandita. Tale immagine è detta virtuale proprio perché non esiste fisicamente. I raggi non possono oltrepassare lo specchio per cui, se mettiamo uno schermo o una lastra fotografica dove si forma virtualmente l'immagine, non si raccoglie ovviamente alcun raggio luminoso. Se però un osservatore guarda nella direzione da cui provengono i raggi riflessi, egli vede una immagine perché i raggi provocano l'illusione ottica di provenire da dietro lo specchio : Consideriamo uno specchio ottenuto con una calotta sferica specchiata all'esterno. In questi tipi di specchi, i cosiddetti specchi convessi, la riflessione avviene nel seguente modo : Se i raggi incidenti paralleli all'asse ottico sono sufficientemente vicini al medesimo, essi vengono riflessi in modo che è come se uscissero tutti dal fuoco F che è dall'altra parte dello specchio. L'intersezione di tutti i raggi riflessi cade in F (anche se i raggi, fisicamente, non passano per F ). L'immagine prodotta da uno schermo convesso è sempre virtuale, diritta e rimpicciolita : DEFINIZIONI SULLE LENTI Una lente è un corpo trasparente di vetro. Un raggio di luce che attraversa una lente subisce due rifrazioni, che nelle lenti sottili possono essere approssimate a una. Elementi fondamentali sono l'asse ottico e il centro ottico. DEFINIZIONI SULLE LENTI Tutti i raggi paralleli all'asse ottico, una volta rifratti, si incontrano in un punto detto fuoco(F), comune a tutte le lenti. La distanza del fuoco dal centro ottico è detta distanza focale(f). La distanza del centro ottico dall'oggetto è detta p, quella dall'immagine q. DEFINIZIONI SULLE LENTI DEFINIZIONI SULLE LENTI LENTI CONVERGENTI Sono dette convergenti quelle lenti che fanno convergere i raggi paralleli all'asse ottico nel fuoco che si trova dall'altra parte della lente. Le tre distanze p, f e q sono legate dalla formula delle lenti sottili, identica a quella degli specchi curvi: 1 1 1 p q f LENTI CONVERGENTI LENTI DIVERGENTI La lente divergente fa divergere i raggi paralleli all'asse ottico. I raggi rifratti non si incontrano, però i loro prolungamenti si incontrano nel fuoco dalla parte della fonte luminosa. Anche per le lenti divergenti vale la formula: 1 1 1 p q f LENTI DIVERGENTI L'INGRANDIMENTO Come nel caso degli specchi curvi, anche l'ingrandimento di una lente si calcola con la formula: q Hi I p Ho IL POTERE DIOTTRICO DI UNA LENTE Si chiama potere diottrico(d) di una lente, convergente o divergente, il rapporto 1 f dove f è espresso in metri. Il potere diottrico si misura in diottrie. Un'importante applicazione delle lenti è la macchina fotografica. Si tratta essenzialmente di una lente convergente, detta obiettivo, inserita in un corpo chiuso, isolato otticamente dall'esterno ed avente una distanza regolabile dal fondo del corpo. In fondo al corpo è posizionata una pellicola fotosensibile che è in grado di essere impressionata dalla luce che la colpisce. Le pellicole in bianco e nero sono composte da uno strato di bromuro d'argento. La pellicola impressionata viene poi successivamente sviluppata, ovvero le immagini in essa impresse vengono fissate stabilmente attraverso opportuni processi chimici. Mirino Obiettivo Pellicola Diaframma Una macchina fotografica possiede anche un diaframma ed un otturatore. Con il diaframma, che è una struttura apribile e chiudibile a piacimento posta davanti alla lente, si dosa a piacere la quantità di luce che si fa passare dalla lente. Con l'otturatore, che è essenzialmente un orologio, si stabilisce il tempo in cui la luce può entrare nel corpo della macchina fotografica e così impressionare la pellicola. Le "variabili" che l'operatore può manovrare sono allora essenzialmente : - distanza della lente dalla pellicola - diaframma - otturatore. Vi è una ulteriore variabile in gioco, la sensibilità della pellicola. Noi consideriamo qui la sensibilità della pellicola fissata a priori. L'obiettivo possiede inoltre una certa luminosità che è legata al diametro del suddetto. Consideriamo qui un obiettivo di luminosità data. Passiamo ora in rassegna alle variabili sopra elencate. Variando la distanza della lente dalla pellicola si mette a fuoco l'immagine che si forma sulla pellicola. L'obiettivo di una macchina fotografica è dotato di una distanza focale fissa espressa in millimetri. In questo modo, l'immagine, reale rovesciata e rimpicciolita, di un oggetto posto ad una certa distanza dall'obiettivo si forma in un punto fra F e 2F ( F è il fuoco e 2F è il punto corrispondente al doppio della distanza focale). Se la distanza dell'oggetto da fotografare cambia, l'immagine si forma in un altro punto fra F e 2F : Avvicinando l'oggetto, l'immagine si avvicina a 2F e cresce di dimensione. Siccome la pellicola deve essere posta esattamente dove si forma l'immagine (altrimenti la foto risulterebbe sfocata) o si sposta ogni volta la pellicola o si sposta la lente rispetto alla pellicola. Ovviamente la soluzione effettivamente attuata nelle macchine fotografiche è la seconda per cui gli obiettivi sono manovrabili tramite movimenti rotatori in modo da fare focalizzare l'immagine sempre sulla pellicola posta sul fondo del corpo della macchina fotografica. Nella problematica della messa a fuoco rientra il concetto di profondità di campo. In effetti, gli oggetti posti a fuoco si trovano entro certi limiti di distanza dall'obiettivo. Tale limiti dipendono dal diaframma, ovvero dallo "spessore” del fascio di luce che entra nella macchina fotografica. Più si stringe il diaframma, maggiore è la profondità di campo. Sono disponibili selezioni fisse di valori di apertura di diaframma rappresentate da sequenze di numeri del tipo : 22 16 11 8 5,6 4 2,8 2 . Questi numeri rappresentano il rapporto fra la distanza focale f ed il diametro del diaframma D . Quindi : diaframma = f / D . Per esempio : f = 16 cm , D = 4 cm ==> f / D = 4 E' importante notare che passando per esempio da diaframma 8 a diaframma 16 , il diametro è dimezzato. Siccome l'area del cerchio rappresenta il diaframma, se si dimezza il diametro, l'area del diaframma diventa un quarto. Ciò significa che passando da 8 a 16 , nell'obiettivo entra un quarto della quantità di luce precedente. La stessa cosa passando da 4 a 8 ecc. Per quanto riguarda l'otturatore, il dispositivo con il quale è possibile stabilire il tempo di esposizione, ovvero per quanto tempo la luce può entrare nella macchina fotografica ed impressionale la pellicola, occorre dire che si hanno di solito alcuni tempi predefiniti. I valori di solito disponibili sono (espressi in secondi) . La considerazione che occorre fare circa il tempo di esposizione è che se, per esempio, lo si dimezza entra metà luce. Se però nello stesso tempo si allarga il diaframma di una tacca, facendo così entrare il doppio di luce, si ottiene lo stesso effetto. La fotografia come arte • Ci sono una serie di problematiche che caratterizzano la scienza della fotografia, e che la rendono quindi complessa e soggettiva. • Questo fa della fotografia una vera e propria arte. L’occhio Il meccanismo della visione La struttura dell’occhio L’accomodamento dell’occhio Alcuni difetti dell’occhio Persistenza delle immagini sulla retina Il meccanismo della visione L’occhio ci permette di vedere sia le sorgenti luminose che gli oggetti illuminati. La luce diretta o diffusa attraversa l’occhio e giunge sulla retina, dove ci sono delle cellule sensibili alla luce. Poi, attraverso il nervo ottico, le informazioni che la retina ha ricevuto giungono al cervello. Il cervello le elabora e riesce a ricostruire l’immagine. La struttura dell’occhio L’occhio è l’organo della visione, Sei sono i muscoli estrinseci che fanno muovere il bulbo oculare. Il globo oculare è racchiuso da tre membrane, quella esterna comprende la sclera e la cornea; quella intermedia comprende il corpo ciliare, infine quella interna che comprende la retina e gli elementi fotosensibili. La cornea costituisce il primo mezzo che la luce incontra quando penetra nell’occhio. Dietro la cornea c’è l’iride che funziona da diaframma. Nel centro dell’iride, la pupilla si apre e si chiude a seconda dell’intensità della luce. Subito dietro l’iride c’è il cristallino, un corpo trasparente appiattito. Il cristallino è circondato dal muscolo ciliare, che lo fa appiattire o arrotondare. Infine la luce attraversa l’umore vitreo prima di arrivare sulla retina, dove viene rivelata da cellule sensibili sia all’intensità della luce (bastoncelli) sia ai vari colori (coni). Prendiamo adesso in maggior considerazione la struttura della retina e le funzioni da essa svolte. La retina è un sottile foglietto spesso circa 0,4 millimetri. I fotorecettori, come dice la parola stessa, sono stimolati dalla luce e costituiscono la via più semplice per portare le informazioni dalla retina al cervello. Essi sono situati nella parte più esterna della retina. La retina dei vertebrati possiede due tipi di fotorecettori, i coni e i bastoncelli. I bastoncelli sono i recettori delle basse intensità luminose (visione notturna); i coni rispondono alle alte intensità luminose (visione diurna e della visione dei colori). Persistenza dell’immagine sulla retina Le cellule dei coni e dei bastoncelli contengono speciali pigmenti che si decompongono appena sono colpiti dai raggi di luce, poi si riformano per una nuova reazione, è un'operazione rapidissima. Noi però abbiamo l'impressione di vedere senza interruzioni. Questo è possibile perché l'immagine sulla retina non si cancella subito, ma rimane impressa 0,1 s. Questo fenomeno è detto persistenza delle immagini sulla retina. Su questo fenomeno si basano il cinema e la televisione. L’accomodamento dell’occhio Il cristallino si comporta come una lente convergente e riesce a focalizzare sulla retina gli oggetti osservati. Questo fenomeno viene detto adattamento dell’occhio. In particolare se un oggetto è molto vicino l’accomodamento non è più possibile e per questo diciamo che esiste una distanza della visione distinta. L’immagine è sfocata quando l’occhio e l’oggetto sono più vicini della distanza della visione distinta. Alcuni difetti dell’occhio Ci sono persone che non riescono a vedere chiaramente gli oggetti lontani (miopi) perché il cristallino focalizza i raggi di luce davanti alla retina invece che sulla retina. Il difetto dell’occhio miope si può correggere con una lente divergente, che sposta l’immagine verso la retina. Altre persone non vedono bene gli oggetti vicini (presbiti). In questo caso il cristallino focalizza gli oggetti dietro la retina. Il difetto dell’occhio presbite può essere corretto mediante una lente convergente che riporta l’immagine più indietro. Punto cieco Sapevate che i vostri occhi hanno dei punti ciechi (e non soltanto alle spalle della testa)? Ognuno degli occhi contiene un'area che non ha fotoricettori perchè è occupata dal nervo ottico. Chiudi l'occhio sinistro e col destro fissa la croce. Spostandoti ad una distanza di circa 30 cm dallo schermo il puntino nero dovrebbe 'svanire' lasciando al suo posto un'area bianca. . Campo visivo Fissate per una ventina di secondi il punto nero al centro di questa immagine... Dovreste provare la sensazione che l'ombreggiatura scompaia pian piano per lasciare spazio soltanto al puntino nero! Ciò accade perchè quando guardiamo una scena l'occhio non cattura tutti i particolari compresi nel campo visivo, ma quelli attorno al punto che stiamo fissando. In questo caso quindi lo sguardo è concentrato sul punto e non sull'ombra che a poco a poco non viene più elaborata dal cervello e... scompare! Provate adesso con quest'altra figura... Qui il fenomeno non sembra avvenire! Infatti le linee tratteggiate costringono l’occhio a muoversi molto di più in quell’area e quindi questo continuerà a inviare al cervello le informazioni relative all’area ombreggiata. Illusioni ottiche L'accostamento di quadretti neri su sfondo bianco o viceversa produce un interessante fenomeno. Osservate attentamente Muovendo gli occhi lungo ognuno dei disegni si intravedono dei quadretti grigi nelle intersezioni delle righe nere o bianche se consideriamo rispettivamente il disegno a sinistra o a destra. Sicuramente più spettacolare è l'illusione nell'immagine che segue. I punti nelle intersezioni sono bianchi o azzurri?... Anche se si tratta di un'immagine statica i nostri occhi la rendono dinamica cercando di riempire gli spazi bianchi con lo sfondo azzurro che li circonda. Isaac Newton (1642-1727) Contrariamente alle concezioni del suo periodo, Newton iniziò a dedicarsi allo studio della luce sfruttando le scoperte dei secoli precedenti. Egli infatti non fu il primo a formulare la teoria corpuscolare, in quanto questa era già stata ipotizzata e discussa. Christiaan Huygens (1629-1695) Huygens, insieme a Hooke, sostenne la teoria ondulatoria, anch’essa già esistente, fin dagli studi greci e latini. Inizialmente non riuscì ad oscurare la teoria di Newton, pur mettendone in risalto i punti deboli, e solo nell’XIX sec, grazie a Young la teoria ondulatoria fu accolta dalla maggioranza. Due teorie a confronto • La teoria corpuscolare non si basava su misurazioni scientifiche, bensì su leggi formulate da Newton stesso, riguardanti l’interazione fra corpi. • La sua teoria era quindi più quantitativa, pur non essendo migliore qualitativamente. • La teoria ondulatoria non poteva basarsi su leggi matematiche, poiché non erano ancora state formulate, quindi inizialmente la teoria corpuscolare prese il sopravvento su quella ondulatoria. Propagazione rettilinea Teoria Corpuscolare - I corpuscoli procedono per inerzia in linea retta. - Procedono a velocità tanto elevata da rendere irrilevante la curvatura della traiettoria dovuta all’attrazione gravitazionale. - Particelle così microscopiche da rendere impossibili gli urti quando due fasci si intersecano. Teoria Ondulatoria - Propagazione rettilinea dei fronti d’onda. Fronti dal raggio infinito, quindi tendenti al parallelismo, direzione a loro perpendicolare. - Spazio dovrebbe essere pervaso da un mezzo materiale, di bassissima densità ma rigidissimo. Quindi in contrasto con il moto dei corpi celesti. Propagazione Rettilinea Riflessione - Spiegata con urti elastici. Conservazione della quantità di moto. - Si riflette solo su superfici trasparenti. - “Attitudine” a riflettersi e rifrangersi. - Fronti d’onda quando incontrano ostacolo, tipico del suono. - Corpi opachi, in contrasto, perché l’onda si trasmette in qualsiasi materiale. - Ipotesi sulla proprietà della materia. Riflessione Rifrazione - Corpuscolo luminoso attratto dal mezzo più denso, incrementata componente (perpendicolare al piano) della velocità. - Si avvicina alla normale al piano. - La velocità sarebbe maggiore nel mezzo più denso. - I fronti d’onda si avvicinano alla normale, quindi l’angolo di rifrazione è minore di quello d’incidenza. - La velocità sarebbe minore nel mezzo più denso. La velocità di propagazione della luce nei mezzi più densi dell’aria era quindi il fattore determinante nell’affermazione di una delle due teorie, ma le misurazioni di tale velocità furono fatte nell’Ottocento. Rifrazione Diffrazione - Corpuscoli luminosi deviati per effetto dell’interazione gravitazionale con i bordi della fenditura. - Non venne applicato il modello d’onda alla diffrazione, rendendo apparentemente incompleto il modello ondulatorio. Diffrazione Errori delle teorie del XVIII secolo • Nel XVIII secolo, l’interesse a spiegare la “lux” diminuì, fino ad essere abbandonato dagli scienziati, che si dedicarono soltanto alla spiegazione del lumen, fondendolo con la lux, ovvero considerando queste due entità come un qualcosa di inscindibile. • Questo portò a degli errori gravissimi,come il considerare la luce ed i colori “entità oggettive”. Young & Fresnel • All’inizio del XIX secolo la teoria corpuscolare fu superata da quella ondulatoria, grazie agli studi di un medico e di un ingegnere, Young e Fresnel. • Essi non furono infatti influenzati dalla teoria Newtoniana, poiché non appartenevano al restrittivo ambiente accademico. • Con i loro esperimenti riuscirono a spiegare anche ciò che la teoria corpuscolare non era riuscita a determinare scientificamente, ovvero l’interferenza, la diffrazione e la polarizzazione. • Le loro teorie furono inoltre avvalorate dalle prime misurazioni della lunghezza d’onda, contrariamente alle misure dei corpuscoli ancora ignote. La corrispondenza con i colori • Dopo aver determinato che le onde visibili avevano lunghezza d’onda compresa fra gli 0,4 e gli 0,8 micron, si riuscì a misurare la lunghezza d’onda di tutto lo spettro visibile. • La corrispondenza fra i colori e la lunghezza d’onda fece pensare che le onde fossero esse stesse portatrici di un determinato colore, e avvalorò la scorretta ipotesi che il colore fosse un’entità oggettiva. • Un’onda è infatti un moto, ed in quanto tale, non può essere provvisto di colore. Maxwell • Appurato che la luce è un fenomeno ondulatorio bisognava stabilire la natura di queste onde, che si propagavano nel vuoto meglio che nella materia. • Inizialmente si ipotizzò che il vuoto non esistesse, ma fosse in realtà costituito da una sostanza impercettibile chiamata “etere”. • Maxwell però definì le onde luminose come elettromagnetiche, giustificando quindi la loro propagazione. La teoria corpuscolare torna in voga • Dopo circa 50 anni dall’affermarsi della teoria ondulatoria, la teoria corpuscolare si affermò nuovamente, identificando i corpuscoli con il nome di “fotoni” o “quanti di energia”. • Albert Einstein (1879-1955) sostenne questa teoria, avvalorandone l’ipotesi. Dualismo • Oggigiorno è accettato il dualismo fra teoria corpuscolare ed ondulatoria, infatti si ritiene che la luce abbia proprietà tipiche di entrambe le teorie, che coesistono ma non contemporaneamente. • Nei fenomeni riguardanti l’interazione con i corpi, la luce rispecchia il modello corpuscolare, mentre nei fenomeni riguardanti la propagazione, essa rispecchia quello ondulatorio. La luce e la sua storia Percorso didattico ispirato all’opera “la luce” di Vasco Ronchi Classe II D Anno scolastico 2007-2007 Materie coinvolte: Fisica, Scienze, Letteratura Latina, Italiano Domanda: spiega perché Vasco Ronchi, uno scienziato moderno, ritiene così importante studiare le antiche teorie : • Vasco Ronchi inizialmente non ritiene fondamentale studiare le antiche teorie, ma solo dopo ripetuti fallimenti dei suoi esperimenti, egli si rese conto che le antiche teorie sono alla base di quelle moderne e che per formulare teorie corrette è necessario avere un’idea completa delle teorie e delle ipotesi antiche. • Laura Catarsi • Perché nelle antiche teorie risiedono le basi fondamentali per capire la fisica moderna e dagli errori commessi dai fisici del passato, si impara a non sbagliare di nuovo. Inoltre le teorie antiche sono interessanti perché, senza tutte le conoscenze di cui disponiamo oggi, si avvicinano molto alle teorie attuali. • Dario Toncelli • Vasco Ronchi ritiene sia importante studiare le antiche teorie. E’ una decisione a mio parere più che giusta. Noi siamo il prodotto degli antichi: le loro teorie, seppur talvolta strane, possono sempre contenere qualcosa di buono, magari piccole osservazioni, apparentemente insignificanti che in realtà possono avere grande importanza. Ne è un esempio della teoria dell’Alhazen, che partendo da constatazioni giuste ha errato solo nelle conclusioni…….solo così si può imparare dagli errori….Questa è la mentalità di Vasco Ronchi: studiare dai grandi del passato per osservare il meccanismo della vista sotto un'altra Ottica. • Gregorio Cioppa • Vasco Ronchi pensa che sia importante studiare le teorie dei suoi antenati perché da queste si può ricavare informazioni che servono per la conclusione di una tesi o di una dimostrazione moderna. Gli antichi, non avendo mezzi per esperimenti, bensì solo il loro cervello, formulavano ipotesi (giuste o sbagliate) che se rivisitate da un moderno come Ronchi possono aiutare a ragionare meglio. • Michele Tognotti • Vasco Ronchi ritiene importante studiare le antiche teorie perché esse costituiscono il fondamento, cioè permettono di conoscere tutti i passaggi e i ragionamenti che sono stati fatti per arrivare ad una moderna teoria ancora valida, permettendoci di comprenderla meglio. Marco Tognoni Lux e lumen: Spiega con parole tue la differenza di significato dei due termini • Il lumen è un’entità presente nell’universo, nel quale si propaga ad altissima velocità, rifrangendosi, riflettendosi e venendo assorbito. La lux è qualcosa di soggettivo che viene “creato” dal nostro occhio per comunicare quello che ci circonda al nostro cervello attraverso le informazioni ricevuti dal lumen. • Giovanni Cola • Le due parole latine “lux” e “lumen” venivano utilizzate nell’ambito dell’ottica antica per distinguere ciò che esiste materialmente, cioè il lumen, dal modo in cui esso viene percepito dal nostro organo centrale, che al tempo si credeva essere l’anima. In seguito si è preferito concentrare l’attenzione su ciò che si esiste come entità, senza occuparsi troppo delle modalità di visione. • Raffaele Laricchia • La lux è l’atto del vedere, cioè la nostra interpretazione dell’entità lumen. Nel XIX secolo si perde la concezione di lux e i fisici e i matematici iniziarono a studiare sempre più il lumen scordandosi quasi della Lux. • Elena Serrano • I termini lux e lumen indicano uno, il lumen, la luce in se per se intesa come radiazione o insieme di corpuscoli. La lux invece è quello che l’occhio riesce a percepire del lumen. • Lorenzo Iacoponi