COMPORTAMENTI, PREFERENZE E BELIEFS (Capitolo III Bowles)
Digressione sull’Economia (sono pensieri miei, non necessariamente anche di Bowles).
L’Economica è l’unica Scienza che studia un soggetto, l’Uomo, che tenta o potrebbe
tentare di prevedere come le sue scelte/decisioni di oggi impattano sulle sue condizioni
future. Un etologo potrebbe controbattere che anche un orso accumula grasso in vista
del letargo. Però potremmo obiettare che l’orso, ogni orso, si limita a ripetere ogni
anno lo stesso schema in modo meramente istintivo: non sceglie consapevolmente. E’
vero, comunque, che pure l’Uomo sceglie anche istintivamente. L’Economia ha anche
qualcosa in comune con la Medicina: i) si studia l’essere umano, ii) si è più bravi a
curare che a prevedere, iii) si usano termini come organismo, patologia, ecc…
Le connessioni con le Scienze Naturali sono ancora minori, ma vale la pena sottolineare
che così come le Scienze Naturali devono studiare le Leggi della Natura per
comprenderne i Comportamenti, l’Economia deve studiare i Comportamenti dell’Uomo
per comprendere le Leggi che ne muovono l’agire. Notiamo, altresì, che la Legge
dell’Uomo=Paradigma Comportamentale evolve più rapidamente delle Leggi della
Natura. L’evolutività delle Leggi Comportamentali Umane è molto importante.
L’Uomo è caratterizzato dall’azione dello “scegliere”: non può esimersi dal fare delle
scelte. Le scelte (es. tra due beni) sono libere, ma siamo costretti a scegliere: le nostre
preferenze sono infinite, i nostri mezzi sono limitati (=> max vincolata).
Dato che si sceglie, si deve avere un criterio di scelta. Il criterio di scelta è associato,
nell’analisi economica, a preferenze sull’insieme delle azioni disponibili e le preferenze
riflettono il fine dell’agente. Si agisce poiché si hanno preferenze.
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L’azione umana è dunque il risultato di una scelta fra alternative e la scelta riflette le
preferenze fra tali alternative. In altri termini, l’azione umana è l’uso di mezzi (il tempo,
il denaro, il capitale umano,…) per pervenire ai fini preferiti.
Con informazioni e capacità perfette: normativamente dovremmo fare errori nulli.
Però il Mondo è incerto e complesso: normativamente dovremmo fare errori minimi.
Però l’Uomo è fallibile: errori normativi>errori umani
L’economia è una scienza teoretica e quindi si astiene dai giudizi di valore, cioè non
stabilisce i fini degli individui, non dice se il fine scelto è giusto o sbagliato. Studiamo
solo le conseguenze delle scelte e prendiamo i fini umani come un dato.
L’Economia si può occupare, scientificamente, anche di (mi limito a studi di G. Beker):
Fertility; Discrimination against Minorities; Crime and Punishment; Human Capital;
Formation, Dissolution, and Structure of Families; Allocation of Time; Drug Addiction;…
Qualche richiamo di microeconomia (cfr. le mie dispense su “Preferenze e Utilità”):
Ciò è utile in sé, ma in più agevola lo studio del libro di Bowles e vi aiuta a vedere i
diversi approcci di Bowles (più politico-filosofico) e Hey (più analitico-pragmatico).
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Il Paradigma Comportamentale dell'agente economico “standard” è caratterizzato da:
* razionalità (persegue una funzione obiettivo)
* conoscenza (della propria funzione obiettivo e dell’ambiente in cui deve operare)
* capacità di calcolo (è intelligente e informato)
* self interest (cioè il suo benessere dipende solo da quanto consuma lui in assenza di
esternalità)
Per poter rappresentare una funzione obiettivo per il consumatore si assume che le
preferenze soddisfino:
 completezza (ovvero ciascuno stato può essere ordinato rispetto ad ogni altro
stato per mezzo di una relazione di preferenza o indifferenza)
 transitività (ricordate libro-vacanza-diploma? Grazie a questa ipotesi le curve di
indifferenza non si incrociano)
 monotonicità o non sazietà (grazie a questa ipotesi le curve di indifferenza sono
inclinate negativamente)
 convessità o preferenza per la diversità (grazie a questa ipotesi un paniere
intermedio è sempre preferito agli estremi, ovvero i beni presentano utilità
marginale decrescente).
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Da qui inizia il Cap. III di Bolwes
Il modello del comportamento di un individuo si serve di una funzione di utilità:
U = U(x, y, z).
Gli argomenti di U descrivono una lista di beni consumati (da intendersi in senso lato:
beni, servizi, il piacere di vedere un bel film,…).
La funzione di utilità viene scelta in modo tale da essere una rappresentazione
numerica tale che vengono scelti (sono “preferiti”) i valori più elevati di U rispetto ai
valori più bassi:
 lo stato (x,y,z) viene preferito (=> scelto) rispetto allo stato (x’,y, z)
 se U (x, y, z) > U(x’, y, z).
Gli individui sono razionali quando agiscono in conformità ad una funzione di utilità
completa e transitiva.
Dunque NON sono considerati irrazionali altri modi di agire (per esempio, scelte
incoerenti indotte dall’impulsività o il fatto di non considerare – e quindi di non inserire
nel set delle preferenze che, quindi, è incompleto - risultati orribili in modo
inimmaginabile).
Questi modus operandi sono azioni semplicemente non trattate dal modello standard.
Alla luce di quanto accade nel mondo reale, però, forse sarebbe meglio considerarli e
considerarli non-razionali.
Esempio
In tutto il mondo i genitori, ogni tanto, arrivano in ritardo a prendere i bambini a
scuola. Ad Haifa, in sei scuole materne scelte in modo casuale, è stata imposta una
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multa per i ritardi (in un gruppo di controllo di scuole non è stata imposta alcuna
multa).
L’aspettativa era che, introducendo questa sanzione, la puntualità sarebbe migliorata:
se tiro una pallina da tennis contro il muro in modo adeguato mi aspetto di riuscire a
riprenderla.
Invece, al contrario, i genitori reagirono alla multa con ritardi ancora più grandi: la
frazione che andava a prendere i propri bambini in ritardo più che raddoppiò.
Ancora più sorprendentemente: quando dopo sedici settimane la multa fu revocata,
l’aumentato ritardo persistette, senza mostrare alcuna tendenza a tornare al
precedente status quo.
Invece, per tutte le venti settimane dell’esperimento non ci fu alcun cambiamento nel
grado di ritardo presso le altre scuole appartenenti al gruppo di controllo.
Perché?
Gli autori dello studio (Gneezy e Rustichini) hanno detto che la multa ha “giustificato” i
maggiori ritardi:
Ovvero, mi fai pagare? Bene, allora è come se mi comprassi il diritto a fare tardi. Infatti
lo studio si intitola: “Una multa è un prezzo”.
Revocare la multa non ha ripristinato il contesto iniziale della puntualità come dovere,
ha semplicemente abbassato il prezzo del ritardo a zero.
Il fatto che gli incentivi monetari per la puntualità abbiano indotto ritardi più elevati è
sia contrario alle previsioni del modello economico standard, sia di rilevanza per la
formulazione di politiche economiche efficaci.
Simili debolezze del modello economico convenzionale sono evidenti in molti settori,
quali il mercato del lavoro, il pagamento delle tasse, la protezione dei beni comuni
ambientali e altre forme di fornitura dei beni pubblici.
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Ugualmente problematico nel paradigma standard è la spiegazione del fatto che gli
incentivi di gruppo sono efficaci anche quando i guadagni sono divisi tra un numero di
persone così grande che il payoff di un individuo derivante dal suo impegno è
trascurabile.
Esempio: gli individui si sforzano di votare anche se la probabilità che il loro voto sia
decisivo è infinitamente piccola.
Detto che ciò è inesplicabile con gli strumenti standard, necessita trovare fondamenti
comportamentali più adeguati per studiare preferenze e credenze (beliefs).
Seguendo Bowles, focalizziamoci su alcune delle assunzioni fatte nel modello standard
circa il Paradigma Comportamentale:
1) Agente self interested
2) Agente razionale
3) Agente con preferenze esogene e costanti
Trattasi di ipotesi tutte contestabili e migliorabili.
In primo luogo, molte preferenze possono essere spiegate in modo migliore dalle
cosiddette preferenze sociali (=> non self-interested): nella scelta di un’azione, gli
individui comunemente tengono conto delle conseguenze che le loro azioni hanno sugli
altri individui, non solo su loro stessi (non siamo Robinson Crosuè). In aggiunta, spesso
si interessano non solo delle conseguenze, ma anche delle intenzioni degli altri attori.
homo sociologicus = l’utilità degli individui dipende anche dalle scelte degli altri
homo economicus = l’utilità dell’individuo dipende esclusivamente dalla propria scelta
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Esempio:
le ragioni di reciprocità fanno sì che le persone sono generose nei confronti di coloro
che si sono comportati bene (con loro stessi o con altri), mentre puniscono coloro che
non si sono comportati bene.
In queste lezioni non ne parleremo (se vi interessa potete leggere il libro di Bowles)
tranne per sottolineare che reciprocità, avversione alla disuguaglianza, invidia e
altruismo e simili sono inspiegabili all’interno degli schemi dell’economia standard:
Come si può spiegare con l’economia standard che in molti paesi ci sono milioni di
“volontari” che lavorano gratis?
Milioni? Sì: in Italia sono più di 6 milioni e mezzo:
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La domanda sorge spontanea: qual è la molla di simili comportamenti?
Edgeworth, uno dei fondatori del paradigma neoclassico, diceva:
“Il primo principio dell’economia è che ogni agente è mosso solo dall’interesse
personale”.
L’assioma dell’interesse personale: l’individuo persegue l’interesse personale e
suppone che gli altri siano a loro volta motivati dal loro proprio interesse personale.
L’interesse personale non è un presupposto dalla razionalità:
un individuo può avere preferenze altruistiche o masochistiche e, allo stesso tempo,
transitive e complete
ma in economia l’egoismo viene solitamente trattato in modo assiomatico e talvolta
confuso con la razionalità.
L’assioma dell’interesse personale necessita qualificazioni anche per le “istituzioni”. Ad
esempio per le banche, non certo famose per la loro magnanimità. Vi riporto
un’agenzia di stampa di ottobre 2014:
“L'Unione delle Banche Svizzere Italia lancia i propri servizi di consulenza in filantropia
rivolta a clienti privati, corporate e istituzionali che intendano utilizzare le proprie
risorse secondo criteri di responsabilità e a beneficio della comunità. In questa logica, si
legge in una nota, si inserisce l'ingresso di Lorenzo Piovanello, primo professionista in
Italia assunto da una banca per ricoprire il ruolo di Philanthropy Advisor, che avrà la
responsabilità delle attività di consulenza in ambito filantropico e della diffusione delle
informazioni riguardanti le soluzioni Values-Based della Banca”.
Certo, è lecito chiedersi: Quante Banche lo fanno? Qual è il vero fine (lavarsi la
coscienza)? Quanti clienti aderiranno?
Sia come sia, noi economisti dobbiamo essere sempre attenti ai nuovi paradigmi
comportamentali. E’ il nostro mestiere.
In secondo luogo, gli individui sono agenti che si adattano e seguono delle regole:
rule-following adaptive agents.
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Con questa espressione si intende il processo con cui economizziamo le nostre limitate
risorse cognitive seguendo regole empiriche approssimative: non è sempre
facile/immediato essere agenti razionali e ottimizzanti. In certi casi approssimiamo,
seguiamo regole del pollice, euristici e simili (ne parleremo molto, ma tra un po’).
Il tema “non standard” maggiormente sviluppato in questo Corso sarà il contrasto alla
visione convenzionale secondo cui il comportamento è il risultato di processi cognitivi
individuali e che siamo sia capaci che predisposti a formulare inferenze abbastanza
avanzate riguardo a cosa gli altri faranno e su come funziona il mondo.
In terzo luogo, i comportamenti dipendono dal contesto.
Ad esempio, le istituzioni sociali influenzano chi incontriamo, per fare cosa e con quali
ricompense. Di ciò noi non ce ne occupiamo in modo approfondito, ma la Cultura non
dovrebbe ammettere “punti di sazietà” (per cui siete invitati a leggervi tutto il testo di
Bowles).
Dopo aver indicato varie e frequenti violazioni delle assunzioni standard, ci si può
lecitamente domandare:
perché la maggioranza degli economisti le accetta ancor oggi?
Capire perché l’accettazione è ancora così ampia è importante. Anche dal punto di vista
della scientificità dell'analisi.
La vasta accettazione dei princìpi cardine del modello tradizionale – non come verità
empiriche, ma come approssimazioni sufficientemente vicine da essere utilizzate come
utili scorciatoie – può essere spiegata in parte dal loro sostanziale contributo alla
disciplina intellettuale e alla chiarezza.
Le assunzioni standard forniscono una cornice intellettuale comune resistente a
spiegazioni ad hoc (bla bla economics) basate su differenze individuali non osservate
empiricamente o sui cambiamenti dei gusti nel tempo.
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Abbandonare il modello standard apre la porta a spiegazioni dei comportamenti sulla
base di concetti vaghi come “reddito psichico” o “spiriti animali.”
Affinché una nuova fondazione comportamentale fornisca un contributo alle scienze
sociali, piuttosto che una sollecitazione per spiegazioni ad hoc sono necessarie - dal
lato empirico - maggiori informazioni empiriche riguardanti le preferenze e la loro
formazione – dal lato teorico - modelli di comportamento più adeguati e soggetti ad
assunzioni meno restrittive riguardanti le preferenze.
Per poter soppiantare un Paradigma Teorico ci vuole un’alternativa migliore.
Alla fine dell'Ottocento, si pensava di aver compreso i principi fondamentali della
Natura. Gli atomi erano i "mattoncini" con cui era costruito il mondo, le leggi di
gravitazione universale di Newton spiegavano il moto dei pianeti e di tutti gli altri corpi,
l'Universo intero sembrava funzionare come un gigantesco orologio.
Ma, nei primi decenni del novecento, uno studio più approfondito dell'atomo e dei suoi
componenti ha dato origine alla Teoria dei Quanti che fece perdere gran parte delle
certezze su cui si basava la fisica classica.
Per ora i maggiori progressi sono stati di tipo empirico. Gli economisti sperimentali e
comportamentali hanno permesso di testare in ambienti controllati (laboratori) ipotesi
correttamente formulate inerenti le assunzioni comportamentali delle persone.
Insomma, in questa e nelle prossime lezioni studieremo:
l’interpretazione comportamentale delle preferenze e dell’azione razionale e faremo
una rassegna di numerose anomalie empiriche.
Ma prima appare necessario dare qualche altra definizione: la materia è delicata e per
evitare confusione le singole parole vanno pesate parecchio.
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COMPORTAMENTI, PREFERENZE, BELIEFS, GIOCHI E ISTITUZIONI
I giochi rappresentano un modo di modellare interazioni strategiche, cioè situazioni in
cui le conseguenze di azioni individuali dipendono dalle azioni intraprese da altri e
questa mutua interdipendenza è riconosciuta da tutti coloro che vi sono coinvolti.
Definendo le “istituzioni” come:
le leggi a livello di popolazione,
le regole informali,
le convenzioni che danno una struttura durevole alle interazioni sociali
allora, in termini di teoria dei giochi:
 un’istituzione è un gioco;
 le preferenze sono la valutazione dei payoff;
 i beliefs (credenze) sono la comprensione, da parte dei giocatori, delle
conseguenze dei payoff attesi di ciascuna strategia nel loro insieme delle
strategie (i.e., la loro comprensione del gioco e della sua struttura dei payoff in
aggiunta alla probabilità delle azioni degli altri).
Esempio:
In alcuni paesi la pratica di guidare sul lato destro della strada è un’istituzione, una
convenzione - difesa anche da leggi - ed è un equilibrio di un gioco del tipo Caccia al
Cervo:
Per cacciare un cervo sarebbe opportuno cacciare almeno in due (cooperare).
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Però, mentre si sta cacciando un cervo, può capitare di vedere una lepre, che è facile
da catturare anche da soli (non coopero).
Anche se catturando un cervo si ottiene un payoff di mezzo cervo a testa (che è più di
una lepre intera), entrambi i cacciatori sono tentati di cacciare la lepre da soli.
La tentazione è rafforzata dal considerare che anche l’altro cacciatore potrebbe
abbandonare la caccia al cervo se vedesse la lepre.
 Come nel dilemma del prigioniero, si raggiunge la soluzione (di Nash) non
cooperativa e si sta peggio entrambi.
Tornando all’esempio, guidare a destra in certi paesi è la “miglior risposta”. Tra l'altro,
comportarsi diversamente è anche illegale. Insomma istituzioni=gioco.
Inoltre,
le persone non preferiscono guidare a destra come fatto in sé, essi, piuttosto,
preferiscono evitare incidenti e multe e se tutti gli altri guidassero a sinistra senza
violare la legge, preferirebbero guidare anche loro a sinistra.
La credenza che gli altri guideranno a destra sostiene l’istituzione della guida a destra,
che a sua volta sostiene la credenza.
Le credenze e le preferenze sono fatti che riguardano gli individui che sostengono
questo particolare equilibrio mentre
le istituzioni, rappresentate in questo caso dalla posizione di equilibrio con guida a
destra, sono fatti che riguardano gruppi di persone.
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COMPORTAMENTI, PREFERENZE E BELIEFS
Sequenza logica: ho delle preferenze e dei beliefs => agisco di conseguenza
COMPORTAMENTI/AZIONI/SCELTE (Faccio la mia mossa):
Quando gli individui agiscono generalmente stanno provando a fare, in modo più o
meno saggio, qualcosa. Una implicazione è che i propositi degli individui (preferenze) e
il loro modo di capire come portarli a compimento (beliefs), insieme ai vincoli e agli
incentivi posti dalle regole sociali e dalle capacità individuali, sono ingredienti chiave
per spiegare i comportamenti individuali. Insomma, le azioni dipendono dalle
preferenze e dalle credenze (beliefs). E’ però fondamentale capire bene cosa si intende
per beliefs e preferenze.
BELIEFS (Quali saranno le conseguenze della mia azione=mossa?):
Le credenze/beliefs sono ciò che un individuo conosce della relazione tra un’azione e
un risultato.
In molti casi le credenze entrano a far parte banalmente di situazioni di scelta e non
sono considerati esplicitamente: nei giochi semplici, per esempio, abitualmente
assumiamo che le persone conoscano le conseguenze delle loro azioni in termini di
payoff.
Invece, nelle interazioni strategiche senza strategie dominanti le credenze possono
diventare di importanza fondamentale: gli effetti di essere presente ad una riunione
possono dipendere da chi sono gli altri partecipanti e dunque la mia decisione di
partecipare o no dipenderà dalle mie aspettative riguardo a chi altro parteciperà. La
decisione degli altri a sua volta dipenderà dalle credenze di questi ultimi sulla
partecipazione degli altri e così via (tu pensi che io penso che tu pensi…).
In altre situazioni la struttura dell’interazione (i.e. del gioco) potrebbe essere ambigua e
intesa differentemente da differenti giocatori. In queste situazioni, il modo in cui
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arriviamo ad avere determinate credenze e il modo in cui aggiorniamo le nostre
credenze alla luce della nostra esperienza assume importanza centrale.
PREFERENZE (Perché agisco? Perché faccio la mia mossa?):
Le preferenze sono le ragioni del comportamento, ovvero sono gli attributi degli
individui – diversi dalle credenze e dalle capacità – che spiegano le azioni che essi
intraprendono in una data situazione. Notate: Preferisco ergo Agisco
Le preferenze sono un’eterogenea mescolanza che include:
 i gusti (alimentari, ecc...),
 le abitudini,
 le emozioni (la vergogna, la rabbia...),
 altre reazioni viscerali (la paura...),
 il modo in cui si interpretano le situazioni o in cui si elabora una decisione,
 gli impegni (come le promesse, i commitments, ricordate?),
 le propensioni psicologiche (all’aggressione, all’estroversione, al rischio…),
 le relazioni affettive.
Dunque le persone agiscono sulla base delle loro preferenze e conoscere le preferenze
aiuta quindi a fornire una convincente spiegazione delle nostre azioni.
Non necessariamente la spiegazione dell'azione che verrebbe data da chi agisce è utile:
è ben noto che gli individui sono talvolta incapaci o riluttanti nel fornire tale
spiegazione. Comunque – e giustamente – negli ultimi decenni si sta diffondendo la
prassi di chiedere direttamente agli operatori economici quali sono le loro attese, le loro
percezioni, ecc. Forse avete sentito parlare del “clima di fiducia delle famiglie”.
L’interpretazione delle preferenze come “ragioni del comportamento” è oltremodo
importante e risulta illuminante il confronto con le visioni in passato seguite dagli
economisti circa le relazioni tra comportamenti e preferenze. Per cui, amplio il Bowles.
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Utilitarismo, Teoria dell’Utilità, Preferenze Rivelate e Oltre
UTILITARISMO
Nel suo Principles of Morals and Legislation (1789), Bentham sostenne con forza che gli
esseri umani sono animati dall’interesse personale, nel senso che essi cercano
costantemente di ridurre le proprie sofferenze e aumentare il proprio piacere. In ciò è
la loro utilità=benessere. L’egoistica ricerca dell’utilità è la ragione dell’azione.
In effetti, la spiegazione e la previsione del comportamento delle persone richiede
l’identificazione di ciò che genera sofferenza e di ciò che genera piacere. Per gli
utilitaristi come Bentham, l’utilità era una quantità psico-fisica e, quindi, veniva
ritenuta misurabile. Si parla, infatti, di “psicometria”. Più o meno come oggi stanno
facendo gli studiosi delle neuroscienze, gli utilitaristi consideravano il piacere e la
sofferenza non come degli stati soggettivi della mente bensì come degli stimoli
oggettivi generati dalle azioni umane.
Insomma, si agisce per ridurre/aumentare il dolore/piacere che sono entità misurabili:
“Utilità ergo Azione” (prima avevo scritto: “Preferenza ergo Azione”)
TEORIA DELL’UTILITA’
Forse per la difficoltà di misurazione (le neuroscienze implicano una tecnologia che
all’epoca di Bentham era indisponibile. Si pensi alla TAC, al Doppler, ecc.), tra la fine
dell’800 e l’inizio del secolo scorso cominciò a diffondersi l’idea che l’utilità non poteva
essere riferita ad una quantità psico-fisica.
Dato che le preferenze dovevano predire il comportamento ma potevano essere
valutate solo a partire da questo, i teorici dell’utilità conclusero che senza una
misurazione diretta le preferenze erano un elemento inutile che occorreva
“bypassare”.
A cavallo del 1800-1900 si parlava così:
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Jevons: Dubito che gli uomini avranno mai i mezzi per misurare direttamente i
sentimenti che agitano l’animo umano.
Pareto: Il concetto “cardinale” di utilità psico-fisica deve essere rimpiazzato dal
concetto “ordinale” delle preferenze.
La teoria dell’utilità modellò allora le scelte delle persone presumendo che ogni
individuo avesse un “elenco” contenente tutte le caratteristiche del mondo
soggettivamente rilevanti e che questo elenco poteva essere ordinato in modo
coerente (l’elenco è quello che ho fatto alcune pagine fa). Nelle parole di Wicksteed
(1910, il rosso l’ho aggiunto io):
“[...] By a man’s “scale of preferences” or “relative scale,” then, we must henceforth
understand the whole register of the terms on which […] he will, if he gets the chance,
accept or reject this or that alternative. And by saying, for example, that a bunch of
radishes(=mazzo di ravanelli) stands higher than a red herring(=qualcosa di non
importante) on his scale of preferences, or that an honorary degree stands lower than a
baronetcy(=baronìa), we shall simply mean that he would at this moment, if he had the
choice, take the radishes in preference to the herring, and receive the title rather than
the degree.
L’ordinamento soggettivo così ottenuto consentiva di mettere in relazione l’insieme di
tutte le caratteristiche del mondo. Se questa relazione soddisfaceva le proprietà base
degli ordinamenti, allora poteva essere definita una relazione di preferenza.
Hicks (1934) e Allen (1934) mostrarono poi come derivare l’utilità dalle preferenze
intese come concetto primitivo: primitivo, cioè che non è basato su nessun altro
concetto. Ovvero dimostrarono che è possibile avere funzioni di utilità e curve di
indifferenza (CI) basandosi esclusivamente su preferenze ordinate e NON sul concetto
cardinale di utilità.
In questo approccio, dunque, le funzioni di utilità vanno intese come “regole
comportamentali” e non come “misuratori di utilità”.
Gli assiomi per poter derivare l’utilità dalle preferenze sono ciò che in precedenza ho
definito il paradigma comportamentale standard (i.e completezza, transitività,…).
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Nelle varie assunzioni fatte da Hicks-Allen c’era anche quella che le curve di
indifferenza (CI) dovessero essere convesse e, quindi, avere SMS decrescenti. Notate
che questa di Hicks-Allen è un’assunzione su come ci si comporta nel senso che NON
deriva dal fatto che l’utilità marginale deve essere decrescente: l’ipotesi è che l’SMS,
ancor prima e ancor più di essere un “rapporto tra utilità marginali”, è un indice di
“quanto bene q1 devo sostituire con il bene q2 per avere preferenze inalterate” (e
quindi, ma a valle di quanto detto sulle preferenze, quanto devo sostituire per
rimanere sulla stessa CI).
Insomma, dal punto di vista formale posso ritenere uguali i concetti di SMS come
“rapporto tra utilità” e come “indice di scambio”. Dal punto di vista sostanziale, invece,
i concetti sono totalmente diversi.
Comunque l’uguaglianza formale consente alla teoria “ordinale” dell’utilità di
confrontarsi con quelle “cardinali”.
Ripeto: Hicks-Allen partono dalle preferenze per “risalire” all’utilità, non viceversa.
Se le preferenze sono transitive e complete, in Hicks-Allen le CI sono tutto ciò che serve
per rappresentare il sistema ordinale delle preferenze:
se due panieri sono sulla stessa CI allora il consumatore ha le stesse preferenze circa i
due panieri e ne è indifferente,
se due panieri sono su due CI diverse allora quello sulla CI più alta è preferito all’altro.
In questo contesto, dunque, l’utilità è nulla di più che la rappresentazione numerica
della relazione di preferenza: gli individui scelgono ciò che preferiscono di più o,
equivalentemente, scelgono ciò che tra le alternative disponibili è associato al numero
più alto (=massimo) di unità di utilità.
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PREFERENZE RIVELATE
Negli anni tra le due guerre mondiali (quindi prima di VNM), Samuelson scoprì che la
teoria dell’utilità aveva un problema di circolarità:
per la teoria dell’utilità l’azione (la scelta, il comportamento) implica una preferenza.
Tuttavia le preferenze NON sono poste dalla teoria dell’utilità in maniera indipendente
rispetto all’azione: le preferenze possono essere scoperte solo attraverso l’azione
stessa.
Vediamo meglio:
Se seguiamo Hicks-Allen e accettiamo la non osservabilità/misurabilità delle
preferenze, l’unico modo per conoscere la scala delle preferenze è attraverso
l’osservazione del comportamento dei consumatori. Tuttavia, come detto, nella teoria
di Hicks-Allen il comportamento del consumatore era spiegato in base alle preferenze:
se le preferenze sono usate per spiegare il comportamento, il comportamento non
può essere usato per spiegare le preferenze. La logica è circolare e quindi non valida.
Ancora meglio:
Del consumatore noi osserviamo la scelta di acquistare qualcosa, non osserviamo né le
sue motivazioni (cioè perché acquista quella cosa), né la sua utilità connessa
all’acquisto/consumo (è proprio questa la critica che ha portato alla teoria dell’utilità).
Detto ciò, la teoria dell’utilità ci dice che se il consumatore è razionale (ha preferenze
complete e transitive) allora i suoi acquisti/consumi stanno massimizzando la sua
utilità. Ma come possiamo essere sicuri che il consumatore ha preferenze complete e
transitive? Il problema è che se il consumatore avesse preferenze diverse da quanto
ipotizzato da Hicks-Allen allora le funzioni di utilità a cui siamo risaliti ipotizzando un
comportamento razionale sarebbero sbagliate e fuorvianti.
Insomma, la teoria dell’utilità aveva eliminato l’utilità alla Bentham, ma ora
comportamenti e preferenze non erano più distinguibili: il problema che le preferenze
devono predire il comportamento era rimasto lì.
Samuelson, nel 1938, così descriveva il precitato problema “preferenze vs scelte”:
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“Why should one believe in the increasing rate of marginal substitution, except in so far
as it leads to the type of demand functions which seem plausible?“
Ovvero: la teoria dell’utilità propone CI di un certo tipo solo poiché conducono a scelte,
ie. a funzioni di domanda, plausibili (ad es. che rispettano la legge della domanda). Ma
le preferenze, per Samuelson e giustamente, sono precedenti alla domanda (cioè
all’azione). Ne sono il movente, non il risultato. Si deve quindi slegare (“identificare”) la
preferenza dall’azione.
Samuelson allora propose una soluzione che superava il problema della misurabilità,
che inficiava l’utilitarismo, evitando anche il problema della circolarità che minava la
teoria dell’utilità. La quadratura del cerchio!
Egli suggerì di ottenere informazioni riguardanti le preferenze degli individui
direttamente dall’osservazione del loro comportamento: vedo come agisci, capisco
cosa preferisci. Ovvero, propose di costruire i modelli economici a partire da elementi
osservabili, le scelte dei consumatori e non – come nell’approccio della teoria
dell’utilità – a partire dalle preferenze che non sono osservabili.
La chiave di volta fu l’elaborazione delle preferenze rivelate (PR), che ha due elementi
in più rispetto all’approccio tradizionale al binomio preferenze-comportamenti:
1) Per le PR il consumatore agisce acquistando ciò che preferisce di più e se gli
acquisti sono fatti secondo gli assiomi delle PR, allora il consumatore è
coerente e allora dai suoi acquisti coerenti si può essere sicuri che egli sta
massimizzando la sua utilità.
2) Nella teoria delle PR si può dunque usare la domanda/offerta (i.e. i
comportamenti, le scelte) per risalire alle, per avere informazioni sulle,
preferenze. Ciò consente di basarci su elementi osservabili (prezzi e quantità),
eliminando il problema della non osservabilità dei gusti.
Insomma, Samuelson non fa altro che equiparare le preferenze non osservate alle
scelte osservabili. La circolarità è evitata assumendo che le persone si comportino in
maniera coerente (i.e seguendo gli assiomi delle PR), il che rende la teoria falsificabile.
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BREVE RICHIAMO SULLE PREFERENZE RIVELATE (Cap. 18 di Hey, ma sarebbe utile anche
la lettura di qualche testo di micro che approfondisce la materia)
Si possono verificare empiricamente ipotesi teoriche sulla base dell’osservazione del
comportamento individuale?
Forse no:
(1) ogni teoria è falsa dal punto di vista empirico. Per definizione, infatti, ogni teoria
fornisce solo un’approssimazione della realtà;
(2) spesso gli individui commettono degli errori quando sono chiamati a prendere
una decisione.
E’ evidente che le argomentazioni (1) e (2) sono in stretta relazione tra loro. Infatti, è
proprio perché gli individui sono soliti commettere errori che la teoria non può fare
altro che fornire una rappresentazione approssimativa della realtà (a meno che non si
disponga di una teoria capace di descrivere compiutamente come gli individui
commettano errori. Se ci riuscite il 30 e lode – per dire poco - è vostro).
Premesso ciò, se le preferenze sono coerenti esse possono essere inferite sulla base
dell’osservazione del comportamento individuale e, in particolare, della domanda di
beni/servizi.
Il Principio delle Preferenze Rivelate (NB sono “rivelate” tramite la scelta di acquisto):
Sia X il paniere di beni acquistato da un agente quando era disponibile per l’acquisto
anche il paniere Y. Data la scelta dell’agente, allora egli rivela che preferisce X a Y.
Assioma debole delle preferenze rivelate:
se il paniere A si è rivelato preferito a quello B, allora il B non può rivelarsi preferito al
paniere A. (l’assioma forte è l’estensione di quello debole a più di due panieri)
Dunque gli assiomi delle PR modellano un requisito minimo di coerenza nella scelta.
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Come detto, però, si possono fare esempi (cfr. Hey) tali che il comportamento del
consumatore non è coerente con l’ipotesi teorica di preferenze strettamente convesse.
Potremmo dunque essere tentati di definire irrazionale il comportamento di un
individuo che una volta preferisce una combinazione di consumo e subito dopo ne
preferisce un’altra. In questo caso, infatti, non è possibile disegnare curve di
indifferenza strettamente convesse – che non si intersecano mai – capaci di descrivere
le preferenze sottostanti le scelte del consumatore. Ovvero, dalle scelte NON si può
risalire alle preferenze.
Ma approfondiamo i problemi connessi alle PR e, più in generale, all’approccio
standard.
OLTRE LE PREFERENZE RIVELATE
La visione delle preferenze rivelate un tempo ha attratto sostenitori impressionati dal
seguente fiat metodologico: dato che gli stati soggettivi (le preferenze) non sono
osservabili e dato che un approccio scientifico deve basarsi su elementi osservabili,
allora le preferenze rilevate sono una valida exit strategy.
Abbiamo detto che la teoria delle PR prevede l’introduzione di alcune proprietà di cui la
funzione di scelta deve godere affinché la relazione di preferenza costruita a partire da
essa sia, nel caso delle preferenze deboli rivelate, un pre-ordine.
Queste proprietà vengono anche chiamate condizioni di consistenza interna perché,
facendo riferimento esclusivamente al comportamento dell’agente, definiscono i
requisiti minimi di coerenza di tale comportamento. Dunque, confermando
l’impostazione logica di Hicks-Allen, anche secondo Samuelson un ordinamento di
preferenze non è niente di più che una completa descrizione di un comportamento
coerente.
PROBLEMA
Trattandosi di assiomi, le suddette condizioni di consistenza interna sono introdotte
nella teoria soltanto sulla base della loro intuitiva ragionevolezza, nel senso che sembra
sensato pensare che una loro violazione implichi l’inconsistenza e, quindi, l’irrazionalità
dell’agente.
22/52
Questa impostazione ha due limiti:
1) Se l’obiettivo è spiegare il comportamento allora anche l’approccio delle
preferenze rivelate è insufficiente perché NON si pronuncia sul problema delle
motivazioni e delle ragioni dei comportamenti. L’approccio delle PR
semplicemente assume che l’individuo agisce secondo criteri di razionalità e non
formula alcuna ipotesi sui processi decisionali effettivamente utilizzati dagli
individui per decidere. Per Samuelson, cioè, continua a valere i) che l’homo
economicus è qualcuno che massimizza l’utilità, ii) che non è importante sapere
quali sono le motivazioni del suo agire il quale iii) continua ad essere assunto
ottimizzante.
2) Le PR non consentono alcuna misurazione quantitativa del piacere/sofferenza: le
preferenze sono ordinabili ma non quantificabili. Se al tempo di Samuelson era
meglio ordinare che misurare per via della scarsa tecnologia, oggi è divenuto
possibile osservare e misurare gli “stati soggettivi” centrali per gli utilitaristi
come il piacere, il dolore, la soddisfazione, l’ansia e altre esperienze edonistiche.
Per esempio, la neurobiologia della dipendenza ha dimostrato che il consumo di
droghe limita il piacere associato al futuro consumo di altri beni.
Dunque si torna all’utilitarismo? Solo in parte. Nell’approccio utilitaristico, infatti,
comportamento è sinonimo del perseguimento del benessere e ciò è fuorviante. Vi
siete mai detti: era meglio che non lo avessi fatto? Credete veramente che la vostra
vita è stata, è e sarà sempre un susseguirsi di azioni “paretiane” del tipo: ogni mossa
che faccio quantomeno non peggiora la mia situazione ex ante?
D’altronde, anche gli approcci successivi alle PR – come l'utilità attesa e
l'aggiornamento bayesiano (che ora faremo) – condividono con le PR e la teoria
dell’utilità l’ipotesi che certi meccanismi psicologici possono essere messi da parte.
23/52
Purtroppo (o per fortuna, fate voi), invece, le ragioni che muovono le nostre azioni
includono anche le dipendenze, la debolezza del volere, i comportamenti miopi e altre
disfunzioni del comportamento umano che sono oggi ben documentate. Quando
l’oggetto di studio è l’Uomo allora ciò che dovrebbe essere (normativo) e ciò che in
effetti è (positivo) tende a non coincidere. Siamo fatti così e la Teoria deve adeguarsi
alla Realtà, non viceversa (sembra banale, ma tuttora molti economisti puntano sul
viceversa che, ormai dovrebbe essere chiaro, ha valenza solo normativa).
Il fatto che lo stesso termine - utilità – sia convenzionalmente usato sia come
spiegazione del comportamento che come standard per la valutazione dei risultati
sociali ha costretto gli economisti ad assumere una prospettiva eccessivamente limitata
sul comportamento e sulla valutazione sociale.
Per riassumere: accanto all’insieme delle azioni ammissibili e dei risultati a queste
associati, credenze e preferenze forniscono una spiegazione dell’azione individuale.
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Prima di tornare al Bowles per vedere come affronta i modelli dell’utilità scontata (US)
e attesa (UA) vi offro un mio breve, ulteriore, prologo.
E’ inevitabile che il Tempo entri nell’analisi del comportamento umano. Sottolineiamo i
due modi che conducono ai due modelli dell’US e dell’UA:

L’Uomo preferisce conseguire i propri fini nel più breve Tempo possibile.
Prima si consegue la soddisfazione, meglio è. In altri termini, gli individui
preferiscono una soddisfazione presente a una soddisfazione futura, se
questa è pari o inferiore. Questa è la legge ferrea della preferenza
temporale che ha condotto al modello dell’US.

Il Tempo è un fattore ineluttabile per l’Uomo. Il Tempo implica il Futuro e il
Futuro è sempre incerto. Ciò implica che l’incertezza è una caratteristica
ineliminabile della condizione umana. Se l’Uomo conoscesse il Futuro
non sceglierebbe (non agirebbe), perché non potrebbe cambiarlo. Fosse
noto, il Futuro sarebbe per definizione un dato immodificabile proprio
come lo è il Passato. Insomma: Tempo, incertezza, possibilità di errore e
rischio sono tutti elementi intimamente connessi sia tra di loro che con
l’azione dell’Uomo. Da cui il modello dell’UA.
Incertezza vs Rischio
Knight diceva: unmeasurable risks is what we call uncertainty
Le decisioni vengono prese in condizioni di rischio:
quando non si sa con certezza quale esito si verificherà, però si è a conoscenza delle
probabilità associate ad ogni esito.
Le decisioni vengono prese in condizioni di incertezza:
quando non si sa con certezza quale esito si verificherà e non si è nemmeno a
conoscenza delle probabilità associate a ciascun esito (per cui necessita calcolarle).
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BOWLES: L’UTILITA’ ATTESA
Il modello convenzionale è abitualmente esteso per trattare il rischio che è elemento
importanti nelle decisioni.
Nel caso di decisione rischiosa l’economia standard assume che l’individuo massimizzi
l’utilità attesa.
L’utilità attesa di un’azione è l’utilità associata a ciascuna possibile conseguenza di
un’azione moltiplicata per la probabilità (nota) del suo verificarsi:
Supponiamo di dover decidere se prendere in locazione un cottage sulla spiaggia
sapendo che con probabilità “p” pioverà. L’utilità attesa è:
U(affitto) = (1 – p)U(sole) + pU(pioggia). (ovviamente la pioggia ha utilità negativa)
Le utilità di von Neumann-Morgenstern sono cardinali tra stati diversi di un dato
individuo, ma sono solamente ordinali tra diversi individui.
Cioè, esse indicano quanto sia migliore la spiaggia con il sole rispetto alla spiaggia con
la pioggia per te, ma non di quanto sia migliore per te rispetto a quanto lo sia per me.
John von Neumann e Oskar Morgenstern hanno dimostrato che le scelte di un
individuo che massimizza l’utilità attesa non cambiano se la funzione di utilità subisce
trasformazioni additive o lineari.
Ciò significa che se il comportamento di un individuo è descritto dalla funzione di utilità
u allora il suo comportamento è descritto anche da qualsiasi funzione della forma
v = α + βu (dove β>0)
Le cosiddette utilità di Von Neumann-Morgenstern incorporano questa restrizione.
Altra estensione a Bowles: analisi delle decisioni prese in condizioni di incertezza.
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Incertezza e Aggiornamento Bayesiano
NB epistemologico: ci stiamo addentrando nell'analisi del comportamento umano
usando tecniche statistiche. Notate come il tipo di microeconomia che stiamo facendo
sfrutti, giustamente, i risultati di varie discipline. Tra i premi Nobel per l'Economia ci
sono anche matematici, statistici e psicologi. E’ plausibile che nel prossimo futuro ci
saranno anche neuroscienziati.
Non temete, all'esame non vi farò fare esercizi di statistica della quale chiederò,
eventualmente, solo spiegazioni intuitive.
Nel caso dell’incertezza le probabilità sono sconosciute e sono sostituite dalle stime
soggettive dell’individuo.
In questi casi si assume generalmente che gli individui modifichino le loro stime sulla
base dell’esperienza recente per mezzo di un processo denominato aggiornamento
bayesiano.
L’approccio bayesiano all’azione razionale assume che il processo di decisione
dell’individuo in situazione di incertezza sia basato sulla massimizzazione dell’utilità
attesa, a sua volta fondata sulle probabilità soggettive aggiornate in questo modo.
L’approccio bayesiano presume l’utilizzo di utilità di Von Neumann-Morgenstern.
Vediamo meglio in cosa consiste l’aggiornamento bayesiano e le sue differenze con
l'approccio frequentista alla stima delle probabilità.
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Come si calcola/aggiorna la probabilità? Frequentisti vs Bayesiani
Le espressioni statistica frequentista e statistica bayesiana si riferiscono a due modi
diversi di intendere la teoria della probabilità e, di conseguenza, di affrontare
l’inferenza statistica.
Nella statistica frequentista si assume che il concetto di probabilità sia strettamente
legato a quello di frequenza (relativa). Più precisamente, secondo questo approccio si
può parlare di probabilità soltanto con riferimento agli esiti aleatori di esperimenti
ripetuti nelle stesse condizioni. La probabilità è il limite “per n che tende ad infinito”
della frequenza relativa con cui un particolare esito si è verificato in n prove: se tiro un
dado, ho 1/6 di probabilità che esca il numero 4.
Siamo tutti d’accordo: questa probabilità è un concetto “oggettivo”.
Nell’approccio bayesiano, invece, il concetto di probabilità è legato al suo significato
intuitivo e all’etimologia (latina) dell’aggettivo probabile, ovvero alla plausibilità che
eventi dall’esito incerto possano accadere. Questo concetto di probabilità è anche
detto “soggettivo” in quanto diverse persone possono tranquillamente esprimere
diverse valutazioni di probabilità.
Se vi chiedessi quale sarà la crescita del Pil nel 2015, difficilmente otterrei una sola %.
Intuitivamente, il metodo inferenziale di Bayes si basa su tre “scommesse”:
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distribuzione a priori del parametro di interesse – Prob(ipotesi):
è una distribuzione di probabilità (es. normale) che esprime quanto
“scommetteremmo” sulla (quanto siamo fiduciosi della) nostra ipotesi prima delle - e
quindi senza considerare le - nuove informazioni sperimentali. Non consideriamo i dati
sperimentali semplicemente poiché non li conosciamo: siamo “a priori” del primo
esperimento. Ma, allora, come ci siamo fatti quest’opinione “a priori”? L’a priori riflette
l’informazione che abbiamo letto/sentito…Gli a priori possono ovviamente essere
diversi tra le persone.
funzione di verosimiglianza – Prob(dati|ipotesi):
essa indica quanto “scommetteremmo” sui dati osservati data l’ipotesi. Ovvero: quanto
è verosimile (qual è la probabilità) che osserverò “dati”, data la mia ipotesi? O, anche:
Quanto è verosimile l’evidenza osservata data la nostra ipotesi.
distribuzione a posteriori – Prob(ipotesi|dati):
Essa è quanto vogliamo sapere: è la probabilità(=credibilità, affidabilità) della nostra
ipotesi in confronto all’evidenza empirica. Ovvero essa ci dice indica quanto
“scommetteremmo” sulla nostra ipotesi dopo aver esaminato i dati sperimentali (o
nuove evidenze empiriche). Il fatto è che, dopo aver osservato i dati, desideriamo
aggiornare le nostre aspettative mettendo insieme le nostre conoscenze a priori e le
nuove conoscenze derivate dall’osservazione dei dati. La distribuzione a posteriori ha
esattamente lo scopo di “mettere insieme” e, in questo processo di aggiornamento, ci
si avvale del teorema di Bayes per arrivare alla formula:
p(ipotesi|dati) = [p(dati|ipotesi)  p(ipotesi)]/P(dati)
A differenza della statistica bayesiana, la statistica classica si avvale soltanto del
secondo dei tre elementi - la funzione di verosimiglianza - e ha lo scopo di scegliere il
valore del parametro di interesse (i.e. dell’ipotesi) più compatibile con i dati in esame
(ovvero il valore del parametro che massimizza la funzione di verosimiglianza).
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NB importante:
 Quanto maggiore è il peso dei dati osservati rispetto alle nostre aspettative a
priori del fenomeno (o perché tali aspettative sono molto deboli, o perché la
numerosità del campione osservato è molto grande), tanto più le inferenze della
statistica bayesiana tendono a convergere con le inferenze della statistica
classica (i due approcci portano alla stessa stima del parametro di interesse e a
intervalli di confidenza/credibilità simili).
 Quando invece i dati osservati sono pochi o le conoscenze a priori molto forti, il
peso della distribuzione a priori è maggiore rispetto a quello della funzione di
verosimiglianza e i due approcci possono portare a risultati anche molto diversi.
Un esempio dovrebbe chiarire ancora meglio la logica bayesiana.
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Dobbiamo stimare la probabilità che il nostro bimbo sia affamato (=x=parametro) dopo
che ha vagito (=o=dati). Dobbiamo, cioè, stimare p(x|o). Esempio:
1. quando è affamato vagisce spesso, diciamo il 90% delle volte, cioè p(o|x)=90%,
2. è affamato il 25% del giorno (cioè p(x)=25%),
3. di solito vagisce poco, nel senso che lo fa solo il 30% del giorno (cioè p(o)=30%),
Dovrebbe essere chiaro che è molto probabile che quando vagisce sia affamato. Infatti:
p(x|o)=(90%×25%)/30%=75%
D’altronde, se il bimbo piange frequentemente a prescindere dalla fame (es. non più
p(o)=30%, ma p(o)=70%), allora la probabilità che sia affamato quando vagisce
dovrebbe essere molto minore. Infatti:
p(x|o)=(90%×25%)/70%=32%
Assomiglia alla storia di “al lupo al lupo” e tutto sembra così logico, plausibile, vero?
Eppure molti studi dimostrano che le persone, nel prendere le decisioni, NON usano
l’aggiornamento bayesiano. L’homo economicus NON sembra emergere studiando il
comportamento delle persone. Ne riparleremo più tardi. Prima rifacciamo a volo
d'uccello, ma solo per agevolarvi nello studio del Bowles, il modello dell'utilità scontata
e la propensione al rischio.
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Utilità scontata
Una estensione essenziale nell’analisi delle preferenze e comportamenti riguarda le
scelte tra stati in momenti diversi. Tale estensione può essere introdotta scontando gli
stati futuri ad un fattore di sconto costante δ (occhio: Bowles parla di fattore, non del
tasso . Cioè δ = 1/(1+)).
Un persona che valuta gli stati futuri in modo uguale allo stato attuale avrà δ = 1,
mentre individui che attribuiscono maggior peso al presente avranno δ < 1.
Questa funzione di utilità possiede l’importante proprietà normativa di rendere il
comportamento individuale coerente dal punto di vista dinamico. Un consumatore le
cui preferenze siano descritte da questa funzione di utilità valuta l’utilità (che deriva dal
consumo) di ieri, di oggi e di domani in modo uguale.
Questa funzione di utilità descrive le preferenze che un individuo “dovrebbe” (=>
normativo) avere affinché il proprio processo decisionale intertemporale sia razionale.
Cioè, se sono intelligente e razionale allora “spalmo” nel tempo i miei consumi in modo
tale che se li riallocassi in un modo diverso non potrei aumentare la mia utilità (che =>
è la max possibile).
Supponiamo di avere due periodi (ma il discorso è generalizzabile):
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definiamo (c1, c2) le combinazioni di consumo con c1 e c2 che denotano,
rispettivamente, il consumo nei periodi 1 e 2.
La funzione di utilità che riflette queste preferenze è definita dalla seguente
espressione:
U(c1, c2) = u(c1) + u(c2)δ
Questa espressione contiene due funzioni di utilità:
la funzione di utilità intertemporale U, associata alla combinazione di consumo (c1, c2),
e la funzione di utilità istantanea u, associata al consumo di uno solo dei due periodi.
Secondo il modello dell’utilità scontata, l’utilità associata alla combinazione di consumo
(c1, c2) è uguale all’utilità del consumo c1 più l’utilità che deriva dal consumo del
periodo 2 moltiplicato il fattore di sconto (δ).
Insomma, δ è quel fattore che rende un individuo indifferente nel confronto tra
aggiungere x al suo consumo y al tempo t oppure aggiungere un qualche altro
incremento, x’, al tempo t + n (con n>0).
Più formalmente, δ è quel fattore per il quale vale la seguente:
U(y+x)δt + U(y)δt+n = U(y)δt + U(y+x’) δt+n
(A)
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Rischio e Ricchezza
L’avversione al rischio è misurata dal livello di concavità di una funzione di utilità U(W)
dove W è la ricchezza dell’individuo.
L’intuizione è che l’utilità marginale della ricchezza è nettamente decrescente nel
benessere, come sarebbe nel caso di una funzione di utilità molto concava.
In termini di funzione di utilità (U):
Individuo neutrale al rischio: U’’ = 0 (nel caso di utilità lineare solo U’ è ≠0);
Individuo amante del rischio: U’’ > 0
Individuo avverso al rischio: U’’ < 0.
Logica dei segni delle derivate: Quasi nessuno è disposto a scommettere, pur in un
gioco equo, una considerevole parte della propria ricchezza.
Quale operaio accetterebbe di scommettere 100.000 euro a testa e croce pur essendo la
scommessa equa (i.e. con probabilità 0,5 di perdere la somma)?
Una spiegazione di carattere microeconomico di questo comportamento discende da
una caratteristica fondamentale delle funzioni di utilità: l’utilità marginale è
decrescente.
Questa caratteristica si riflette sulla rappresentazione grafica delle funzioni di utilità
che, se si accetta di assumere che le funzioni di utilità sono continue e derivabili, sono
concave.
Cioè, se l’utilità marginale è decrescente allora le funzioni di utilità aumentano
rapidamente all’inizio (quando sono povero) e poi aumentano con sempre minore
vigore.
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Perciò, per data variazione della ricchezza corrispondono diverse variazioni della
funzione di utilità: molto ampie per chi è povero, molto contenute per chi è ricco.
Insomma, anche se è equa, non accetto di scommettere 100.000€ poiché la
diminuzione di utilità conseguente alla perdita dei miei 100.000€ sarebbe ben
maggiore dell’incremento di utilità conseguente alla vincita dei 100.000 euro.
Il modello dell’UA può dire la sua per spiegare vari casi pratici come
la partecipazione di massa a scommesse non eque (chi gioca è destinato a perde
sistematicamente) come il Lotto, l’enalotto, il gratta&vinci, ecc., e
la partecipazione NON di massa al gioco “Fisco vs Evasore” che, come detto a lezione,
pare essere un gioco più che equo per l’evasore.
In entrambi i casi, infatti, la giustificazione potrebbe essere data in termini di funzioni di
utilità.
Nel caso dell’evasione abbiamo già detto che è il rischio a trattenere il gioco di massa.
Nel Lotto e simili, la forte partecipazione si potrebbe avere perché:
siamo poveri:
 per piccoli importi siamo tutti amanti del rischio: accetto il gratta&vinci poiché,
ancorché iniquo, perdo poco e vinco molto,
 per grandi importi diveniamo avversi al rischio,
siamo ricchi:
 l’importo conta di meno e torniamo ad amare il rischio.
CONCLUSIONE: una volta esteso al trattamento del rischio e della scelta
intertemporale, il modello convenzionale coglie importanti aspetti del comportamento
umano e combina vasta applicabilità e trattabilità formale.
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CRITICHE ALL’APPROCCIO TRADIZIONALE
L'approccio standard sembra, a prima vista, imporre all’analisi del comportamento
BLANDE restrizioni a parte quelle, forse non importanti, di completezza e coerenza.
Mostreremo tuttavia che ciò non è corretto: la formulazione di cui si è appena detto
costituisce una teoria concreta del comportamento ed incorpora affermazioni FORTI sul
tipo di cose di cui la gente tiene conto e su come ciò viene fatto.
Come già osservato, inoltre, la teoria tradizionale si limita ad affermare che l’individuo
rispetta i principi di razionalità e quindi deve sceglie l’alternativa che massimizza
l’utilità (attesa, scontata o qualunque essa sia). Però non formula alcuna ipotesi sui
processi decisionali effettivamente utilizzati dagli individui per decidere.
Infine, questo approccio non sembra coerente con le recenti ricerche empiriche sul
comportamento.
Infatti, un’altra spiegazione del perenne successo di lotterie e simili risiede nel fatto che
probabilmente non siamo così razionali e intelligenti come ci assume la teoria standard
e/o che ci sono altri elementi, altre avversioni da considerare.
Camillo Benso Conte di Cavour ammoniva:
“Il Lotto è una tassa sull’idiozia umana”. Sono passati secoli eppure…
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PREFERENZE DIPENDENTI DAL CONTESTO
Come detto, l’approccio standard al comportamento umano ipotizza, tra l’altro, che le
preferenze siano esogene e costanti.
Questa è una delle ipotesi del modello convenzionale smentite in modo più
convincente. Ormai si è infatti verificato in modo incontrovertibile che le preferenze (e
dunque i comportamenti) sono dipendenti dal contesto (situation dependent).
Un importante esempio di dipendenza dal contesto, denominata avversione alle
perdite (loss aversion), si verifica perché le persone
 valutano le perdite (negativamente) in modo maggiore rispetto a quanto
 valutano (positivamente) i guadagni di pari entità
Quanto maggiore? Molto! Stime ottenute per mezzo di esperimenti e in contesti
naturali hanno mostrato che la disutilità di una piccola perdita è compresa tra 2 e 2.5
l’utilità di un piccolo guadagno.
Un esperimento naturale è quello in cui, extra-laboratorio, si riesce ad avere due gruppi
identici o quasi, uno “trattato” e uno “controllato” (Es. Germania est/ovest; Corea
nord/sud)
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In altre parole, le perdite hanno sulla psiche lo stesso effetto di un dolore fisico e hanno
un impatto psicologico che è più che doppio dell’impatto di un guadagno (stato di
piacere). In ciò, l’avversione alla perdita riconduce alla logica dell’Utilitarismo.
Questo implica che la funzione di utilità risulta non “comportarsi bene” (si comporta
bene se è continua e differenziabile) così come assume la teoria standard. Invece essa è
bruscamente piegata nello status quo, con la piega che si muove quando lo status quo
cambia (status quo => situation dependent). Vi anticipo un grafico che spiegheremo
meglio nelle lezioni sulla teoria del prospetto. Qui è solo per farvi vedere cosa potrebbe
intendersi per “bruscamente piegata”:
Perché esiste la loss aversion?
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Perché il cervello umano è costruito, tarato, per evitare (o elaborare) il dolore. Questo
aspetto influenza il processo decisionale, senza che ne siamo coscienti.
Ma attenzione! Se in certi casi questo modus operandi ci protegge, in altri casi questo
atteggiamento inconscio di auto protezione dal dolore può portare a comportamenti
che ci espongono ad un rischio e a una perdita oggettiva perfino maggiore di quella che
psicologicamente volevamo evitare:
La persona avversa alla perdita tenta di evitarla a tutti i costi, anche creandosi
giustificazioni ex post che sono contrarie non solo a ragionamenti definibili razionali,
ma che risultano essere anche inferiori al cosiddetto buon senso (hindsight bias).
ESEMPIO: AVVERSIONE ALLA PERDITA NEI MERCATI FINANZIARI
Gli investitori che valutano le scelte di investimento o il loro portafoglio azionario sono
in genere più propensi a vendere azioni che hanno aumentato il valore.
Perché gli investitori agiscono così? Perché hanno paura di CONCRETIZZARE una
perdita, si sentono male a vendere azioni che sono diminuite di valore rendendo la
perdita tangibile (i.e. non più sulla carta).
Però questo significa che finiscono per avere in mano solamente azioni deprezzate e,
nel lungo termine, questa strategia non è né razionale né intelligente.
Insomma, cerchiamo di rinviare il dolore il più a lungo possibile, ma il risultato finale è
soffrire ancora di più.
L’avversione alle perdite è strettamente associata all’effetto dotazione (endowment
effect): il prezzo minimo che indurrebbe un individuo a vendere qualcosa che ora
possiede è sostanzialmente più alto del massimo prezzo che desidererebbe pagare per
acquistare lo stesso bene che ora NON possiede: il mero possesso ci fa cambiare
preferenza!
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ESPERIMENTI IN CUI L’EFFETTO ENDOWMENT SMENTISCE L’APPROCCIO STANDARD
1) Intransitività delle preferenze:
Ad uno studente vengono mostrati una penna e una tazza e gli viene chiesto:
Quale dei due preferisci? La sua risposta è: la penna.
Quanto pagheresti per averla? La sua risposta è: 1€.
Allo studente viene allora regalata la tazza e gli viene chiesto:
Mi vendi la tazza per 1€? La sua risposta è: No!
Morale, lo studente ha preferenze NON transitive:
1€
penna; penna
tazza; tazza ≻1€.
Spiegazione: Lo studente attribuisce un prezzo diverso allo stesso bene solo in base
alla circostanza che sia suo oppure no.
2 Autoregolamentazione del mercato:
A metà degli studenti di un liceo è stata data una risma di carta ciascuno e all’altra
metà è stato chiesto di comprare la risma dai loro compagni di classe con il proprio
denaro.
Secondo le teorie economiche tradizionali le due parti cominciano a contrattare e alla
fine arrivano a un prezzo di comune accordo.
In effetti gli studenti hanno cominciato a contrattare, ma i prezzi medi offerti
nell’esperimento sono risultati:
venditori di 7,12 dollari,
acquirenti 2,87 dollari.
Data la grande differenza di prezzo, sono state vendute pochissime risme.
Di nuovo: i venditori hanno sopravvalutato le loro risme semplicemente perché le
possedevano.
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L’avversione alla perdita e l’effetto dotazione sono esempi di una classe più ampia di
effetti di dipendenza dal contesto (contesti analizzati: sto perdendo, lo possiedo),
ovvero le distorsioni derivanti dallo status quo che approfondiremo in seguito.
L’avversione alla perdita e l’effetto dotazione sono stati ampiamente documentati da
esperimenti condotti da economisti e psicologi. Attenzione, non si tratta di “casi
umani” isolati e patologici: si tratta di atteggiamenti diffusissimi e persistenti.
Ma la psicologia offre molto di più nella comprensione dei paradigmi comportamentali
dell’essere umano.
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Gli psicologi hanno scoperto le cosiddette “euristiche”.
Nella letteratura economica standard si assume che l’agente rappresentativo agisce
come un computer che, nel lungo periodo, non può ripetere gli stessi errori.
Condizionatamente ad un periodo sufficientemente lungo e ad un dato set informativo,
le aspettative oggettive (cioè basate su un qualche criterio statistico) e quelle
soggettive devono, in media, coincidere. La logica è che:
 errare implica subire dei costi e che
 le persone imparano dai propri errori.
Sebbene in economia il processo decisionale non sia esplicitamente considerato,
dunque, l’homo economicus ha sia il movente che l’occasione per agire razionalmente.
Presumibilmente a causa di un approccio meno assiomatico e più descrittivo ai
meccanismi che legano informazioni e decisioni, la psicologia cognitiva disegna un
quadro sensibilmente diverso: è molto probabile che gli errori siano la regola piuttosto
che l’eccezione.
Gli individui ricevono di continuo - e devono continuamente immagazzinare - una
notevole messe di informazioni. Gran parte viene immediatamente ignorata o scartata
fin da subito, il resto viene “trattenuto” e sintetizzato (zippato) in vari modi.
Nel corso di questi processi di memorizzazione, l’informazione di partenza subisce
inevitabilmente delle distorsioni. Il problema non è tanto il costo/quantità/disponibilità
dell’informazione, quanto la sua “maneggevolezza”. In merito, Simon (1971, p. 40)
scriveva: “(…) a wealth of information creates a poverty of attention”.
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Tuttavia, negli anni “70 e “80 Kahneman and Tversky hanno dimostrato che i processi
cognitivi non sono meramente più semplici di quanto ipotizzato dall’approccio
tradizionale: si tratta di meccanismi profondamente differenti rispetto a quanto
tradizionalmente inteso.
La loro teoria degli “heuristics and biases” (lo tradurrei con “errori da scorciatoia”)
sottolinea che, dato il modo in cui le persone elaborano i dati disponibili, avere
informazioni quali-quantitativamente superiori non necessariamente migliora le
decisioni prese o le stime fatte. In questo senso essi vanno oltre Simon.
Piuttosto che accumulare un insieme ottimo di dati, gli individui spesso accettano
acriticamente le informazioni che confermano le loro convinzioni e rifiutano di
considerare quelle ad esse contrarie (hindsight bias, confirmation bias).
Gli individui si fidano eccessivamente dei loro giudizi e tendono a basare questi ultimi
su informazioni facilmente memorizzabili, senza considerare se le notizie disponibili
siano effettivamente accurate (availability bias).
L’uso di particolari heuristics - “scorciatoie mentali” o “metodi naif” per stimare e
prevedere - da parte delle persone può generare divari tra probabilità oggettive e
soggettive.
Strategie intuitive e regole del pollice sono ragionevolmente efficaci in qualche
occasione ma – e in ciò è l’essenza della lezione di Kahneman e Tversky - queste
scorciatoie producono delle distorsioni che conducono a incongruenze sistematiche
nella interpretazione della realtà economica e, perciò, fanno prendere decisioni
sistematicamente sbagliate (biased).
Il problema di procedere con heuristics and biases è che:
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 Gli heuristics – e quindi gli errori - sono persistenti. Gli individui possono
persistere nei loro errori perché si auto convincono di essere nel giusto e/o
perché non sono consapevoli di essere in errore. In ogni caso, il punto è che è
inutile e fuorviante attendersi che le persone cambino idea sulla base del fatto
che sbagliando si paga un prezzo. Le scorciatoie limitano il learning by doing.
 Gli heuristics sono fenomeni diffusissimi. Cioè non sono escamotages isolati e
infrequenti, ma piuttosto il loro uso è un “modus pensandi” radicalmente diffuso
tra le persone. L’errore è la regola, non l’eccezione.
 Gli heuristics sono applicati spessissimo. Si cercano scorciatoie anche per
problemi previsivo/decisionali assolutamente normali e non solo quando i
problemi sono particolarmente complessi e/o quando la base informativa deve
essere necessariamente molto ampia.
Numerosi esperimenti hanno provato in modo ormai molto convincente che l’Uomo
non segue le norme stabilite dall'aggiornamento bayesiano o il tipo di razionalità
dell’approccio standard. Ancora una volta, economia normativa e positiva divergono.
Due tra le principali euristiche che utilizziamo per prendere le decisioni sono:
Euristica della Rappresentatività
Euristica della Disponibilità
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Euristica della Rappresentatività
Questa scorciatoia è la tendenza a giudicare la frequenza o la probabilità di un evento
sulla base di quanto l’evento assomiglia al caso “rappresentativo”.
ESEMPIO:
Lancio 10 monete (T=testa, C=croce). Domanda per coloro che NON hanno studiato
statistica:
Secondo voi è più probabile che esca:
la serie T T C C T C T C C T oppure
la serie T T T T T T T T T T ?
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Se qualcuno ha risposto T T C C T C T C C T è perché gli è sembrata più “casuale”
dell’altra e, quindi, l’ha considerata “rappresentativa” - lo stereotipo - di una serie
casuale.
Il fatto è che entrambe le serie sono equiprobabili e, quindi, decidere per stereotipi ci
fa sbagliare (l’abito NON fa il monaco).
Per capire quanto è diffuso questo modus pensandi, ricordo che questa scorciatoia ha
come sottoprodotto la cosiddetta “Legge dei piccoli numeri”.
Secondo questa Legge, la gente crede che si possano inferire i parametri della
popolazione anche sulla base di un piccolo campione per il semplice fatto che esso è
ritenuto “rappresentativo”. Ciò implica una distorsione.
La legge dei piccoli numeri può spiegare l’eccesso di sensibilità dei corsi azionari
riscontabile nei mercati borsistici. Specificatamente, l’ultra sensibilità sarebbe causata
dall’eccessiva reazione degli investitori in presenza di troppo piccole (statisticamente
parlando) sequenze di notizie. Avete mai sentito parlare di esuberanza irrazionale?
L’euristica della rappresentatività è la causa diretta degli errori fatti dagli
scommettitori.
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Gli scommettitori che giocano alla roulette pensano che:
Se è uscito il rosso per diverse volte consecutive (per esempio 10) dunque è inevitabile
che nella prossima giocata esca il nero
Gli scommettitori che giocano al lotto pensano che:
siccome un numero che non esce da molto tempo, dunque la sua uscita è più probabile
di un numero uscito di recente.
Notate l’irrazionalità delle decisioni:
c’è sia chi scommette sui numeri “ritardatari”, sia chi scommette sui numeri più
frequenti!
In realtà, in entrambi i casi si tratta di estrazioni con reinserimento e ad ogni estrazione
qualsiasi risultato avrà sempre le stesse probabilità di verificarsi (sono processi senza
memoria).
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Euristica della Disponibilità
La distorsione della disponibilità conduce a dare un peso eccessivo (eccessivo rispetto a
calcoli statistico/oggettivi) agli avvenimenti più recenti. In particolare, le persone
tendono a basare i loro giudizi di un evento sulla base di quanto facilmente
quell’evento è rintracciabile nella propria memoria.
Pertanto, le decisioni si basano su informazioni recenti e/o frequentemente reiterate, a
prescindere dal fatto che esse siano effettivamente accurate e veritiere.
Questo meccanismo potrebbe, almeno parzialmente, spiegare perché gli individui
tendono a sbagliare per eccesso il loro giudizio sul tasso complessivo di inflazione
quando ad aumentare di più sono i prezzi di beni che, ancorché di scarso peso relativo
nella spesa complessiva, sono acquistati frequentemente.
Ma perché diamo più peso agli avvenimenti più “disponibili” nella nostra mente?
Perché la nostra memoria (da cui il nostro comportamento):
- Non è infallibile.
- Non utilizza principi statistici (Bayes,…).
- È influenzata da fattori psicologici e da limitazioni cognitive.
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I meccanismi psicologici che sottostanno all’uso di questa euristica sono
particolarmente solidi e pervasivi. Si tratta, in particolare, di:
- Associazioni per somiglianza (inferiamo in base a cose/eventi/persone “simili”).
- Errori percettivi (alcuni eventi colpiscono più facilmente la nostra memoria).
- Selettività della memoria (ricordiamo solo parte della storia).
Trattandosi di un fenomeno psicologico è normale che esso non sia “oggettivo”.
Per esempio, eventi più drammatici ci sembrano più frequenti di quanto non siano
nella realtà:
Gli incidenti aerei sono giudicati come molto più frequenti di quanto non siano
realmente. Al contrario, la frequenza degli incidenti stradali mortali è solitamente
sottostimata.
E’ anche per questo che ci sentiamo più sicuri in macchina che in aereo. Eppure,
oggettivamente, si muore più frequentemente in auto.
ESEMPIO (Kahneman e Tversky):
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Gli autori hanno fatto vedere a molte persone 2 liste. In queste liste c’erano i nomi di
alcuni personaggi famosissimi e anche di personaggi famosi ma meno conosciuti.
Diciamo che in una lista di calciatori proposta in Italia tra i famosissimi ci sarebbero
Totti e Maradona e tra i meno noti potrebbero esserci Emanuelson e Pellissier.
Comunque, Kahneman e Tversky hanno fatto vedere:
LISTA 1: 19 nomi di donne famosissime e 20 nomi di uomini meno famosi.
LISTA 2: 20 nomi di donne meno note e 19 nomi di uomini famosissimi.
Poi hanno chiesto alle persone in quale lista c’erano più donne e in quale più uomini.
Gli intervistati hanno sbagliato sia a giudicare più frequenti i nomi di donne nella Lista
1, sia a giudicare più frequenti i nomi di uomini nella Lista 2.
L’impatto psicologico del nome aveva impedito la corretta soluzione di un problema
statistico all’apparenza banale.
Torniamo a Bowles.
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La dipendenza dal contesto – nelle forme di avversione al rischio, effetto dotazione e
endogenità di lungo periodo delle preferenze – non esaurisce per nulla i difetti empirici
del modello convenzionale.
Analogamente
all’assunzione
di
indipendenza
dal
contesto,
la
trattazione
convenzionale della scelta intertemporale è particolarmente controintuitiva e
fortemente contraddetta dalle prove comportamentali. Lo vedremo meglio nella
lezione sulle scelte intertemporali non esponenziali.
L’idea che un individuo è riluttante ad assumersi rischi per premi ingenti è sicuramente
corretta, per cui è anche corretto concepire un’utilità marginale decrescente e una
funzione di utilità concava.
Tuttavia, oltre all’avversione alle perdite, c’è un altro problema che ci fa ritenere che la
sola concavità non può spiegare il comportamento nei confronti del rischio. Trattasi di
un problema ancora più profondo dell’avversione alle perdite ed è il seguente:
Anche se la funzione di utilità fosse differenziabile in modo continuo (dunque non
piegata nello status quo e, dunque, anche a prescindere dall’avversione alle perdite), la
sua concavità non consentirebbe di cogliere le ragioni per cui la gente desidera evitare
il rischio e le emozioni che provano di fronte al rischio. Cioè, si mette meccanicamente
un parametro fisso (ricordate “r” nella funzione CARA o CRRA?) in modo da cogliere
analiticamente la propensione al rischio, ma non si forniscono adeguate spiegazioni
comportamentali.
Invece, sarebbe opportuno modellare che, inevitabilmente, che le persone
 quando non sanno che cosa accadrà, le persone hanno ansie e paure
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 potrebbero avere rimpianti, o vergogna, per avere scelto una possibilità che ex
post non ha avuto successo.
In modo simile il modello fallisce nel comprendere le ragioni per cui le persone che
possiedono una ricchezza molto limitata si impegnano in attività rischiose come le
scommesse. Non sembra verisimile che le loro funzioni di utilità siano convesse nel
benessere e, se lo sono, ciò suscita la domanda sul perché gli stessi individui così
amanti delle lotterie acquistino anche delle assicurazioni.
Una ragione per la propensione a scommettere e, più in generale, per il fatto di
rischiare è che alcune persone semplicemente si divertono nell'assumere/correre
particolari tipologie di rischio e nel trovarsi in certe situazioni.
Le utilità che dipendono dalla situazione, così come i difetti specifici dell’approccio al
rischio della massimizzazione dell’utilità attesa e l’approccio alla scelta intertemporale
dell’utilità scontata, suggeriscono che c’è necessità di una visione maggiormente
fondata empiricamente delle ragioni del comportamento.
In merito Daniel Kahneman, Amos Tversky, Richard Thaler e i loro coautori hanno
suggerito una serie di riformulazioni che, insieme, danno vita a quella che viene
chiamata prospect theory. Ce ne occuperemo nella prossima lezione.
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COMPORTAMENTI, PREFERENZE E BELIEFS (Capitolo III Bowles