Sulla faccia dei luoghi
“Portàtici sulla faccia del luogo”: è questa l’espressione che a
volte usano gli agrimensori nel dare l’avvio alla descrizione della situazione di fatto che sono stati chiamati a rilevare. E’ questo anche
l’intento che è alla base del percorso espositivo scelto: condurci sulla
faccia del luogo, in un lungo e tortuoso cammino attraverso le contrade
beneventane, visitando masserie e terre vacue, vigne e canneti, orti e
brecciali, numerando noci e piedi di olive, alberi fruttiferi e infruttiferi,
controllando argini di pioppi tavolari, valutando case e casini, forni e
palmenti in fabbrica, scandagliando fonti e pozzi di acqua sorgente,
conoscendo gli uomini che vivono questa realtà, le loro istituzioni, i
rapporti giuridici ed economici che li legano e li contrappongono.
Il percorso è stato tracciato partendo dalle diciannove sezioni
in cui si articola la mappa elevata tra il 1822 e il 1825 per il catasto
gregoriano e quindi cercando di individuare al loro interno la posizione
del territorio raffigurato nel disegno*.
I grafici esposti sono solo una sessantina su un totale di quasi
duemila: troppo pochi, e selezionati in modo non casuale, per rappresentare un campione significativo, ma la loro distribuzione sul territorio comunale ha delle disomogeneità così accentuate che non sembra
azzardato trarne almeno delle indicazioni per un approfondimento. Segnalo qui due aspetti che emergono con particolare evidenza.
Il primo: se proviamo a tirare una linea da est ad ovest al di
sopra della riva destra del fiume Calore, notiamo che più dell’80% dei
punti individuati si colloca a sud; anche se tracciamo una circonferenza
facendo centro nell’ agglomerato urbano e consideriamo quindi solo
l’area equidistante dal nucleo abitato, la tendenza non viene sostanzialmente riequilibrata. In particolare la zona di maggiore addensamento è quella sud occidentale.
*
Nell’aggiornamento operato nel 2013 la localizzazione è stata effettuata con
precisione maggiore e riportando i confini degli appezzamenti oggetto degli atti notarili su una ripresa satellitare del territorio del comune di Benevento. In
otto casi (nn. 10, 13, 16, 18, 19, 20, 28 e 51), pur essendo stata individuata con
buona approssimazione l’area interessata, non è stato però possibile delinearne
l’esatto profilo. La revisione realizzata rispetto al 2004 ha comportato lo spostamento di alcuni numeri ed ha reso meno lineare il percorso della mostra.
Questa constatazione potrebbe essere un punto di partenza per
un discorso sulla proprietà e sulla tipologia dei contratti agrari. Sfogliando infatti il brogliardo del catasto pontificio, che fotografa nel
1825 una realtà sostanzialmente immutata rispetto al secolo precedente, si rileva immediatamente che le aree settentrionale ed orientale del
territorio comunale sono caratterizzate da estese proprietà delle maggiori famiglie beneventane, che le conducono direttamente e che talora
esercitano l’utile dominio anche sulle terre degli enti ecclesiastici: così
l’intera sezione di Francavilla – con la sola eccezione del feudo de la
Francesca, redditizio alla Commenda di santa Sofia e condotto dal
marchese Andreotti, erede della famiglia Rotondi – è intestato ai Mosti, come diretti proprietari o come enfiteuti della Camera Apostolica;
la Caprara è un feudo dell’Ordine Gerosolimitano, diviso tra solo 4 enfiteuti; il territorio di Camerelle è del marchese Terragnoli; grandi possedimenti hanno i Pedicini a San Vitale e a Torre Palazzo, dove agli
Andreotti appartiene Mascambroni; le masserie di San Vitale e
dell’Olivola sono proprietà del marchese Pacca; i De Simone possiedono ampie estensioni di terreno nelle sezioni Olmora e Corvacchini;
più giù, infine *, nella sezione Cancellaria, i proprietari Roscio, Sellaroli, Dell’Aquila conducono direttamente le loro tenute.
Gli atti di concessione in questa zona sono di conseguenza relativamente pochi e i disegni esposti si riferiscono infatti a inventari,
apposizione di termini lapidei, risoluzione di liti sul diritto di passaggio.
La proprietà dei territori nelle sezioni sud-occidentali è invece
più frazionata e fa spesso capo a enti ecclesiastici – Mensa arcivescovile, Capitolo metropolitano, Badia sofiana, monastero di san Pietro, collegiata di san Bartolomeo ed altri luoghi pii – che normalmente non si
occupano direttamente della conduzione del fondo, ma preferiscono
concederlo in enfiteusi in appezzamenti non molto estesi: di qui la frequenza degli atti di concessione a titolo di censo enfiteutico e quindi il
*
Manca il brogliardo relativo all’estremo lembo sud-orientale, quello compreso nelle sezioni Palati e Piano delle Cappelle: si tratta di una delle zone in cui
più aspri sono le contese sui confini con i signorotti dei vicini centri regnicoli,
in questo caso con il barone di San Nicola Manfredi. In proposito si noti la postilla apposta al brogliardo di tutte le sezioni di confine, che rende conto degli
ostacoli sopravvenuti per parte della Real Corte di Napoli nella elevazione delle mappe, o anche l’annotazione sul foglio II della sezione Sagliete: luogo dove
si eseguì dalle Guardie Civiche di Padule l’arresto del geometra.
gran numero di disegni allegati.
Il secondo aspetto evidenziato dalla distribuzione dei siti raffigurati nei disegni è il loro disporsi in prossimità dei corsi d’acqua.
Sul Calore: da Pontevalentino a Pantano, a Sant’Angelo a Pesco, fino a
Vado del Pontone; su entrambe le rive del Sabato: a sinistra nella contrada di Santa Colomba, a destra nelle piane Morra e Borgonegro; lungo il torrente Serretella: da Ripa delle Zecche a Pontecorvo e alla confluenza nel Calore; nei pressi del vallone del San Nicola: a Ponte delle
Tavole, a Cretarossa, a Ponticello.
In diversi casi il terreno oggetto dell’atto viene definito isca,
ad indicare la sua natura alluvionale, così che si comprende come rilievo e misurazione si rendano periodicamente necessari anche per adeguare il canone alla mutata estensione del bene concesso.
Attraverso i disegni e gli atti in cui essi sono inseriti ci si offre
in questo modo uno spaccato vivo e concreto del rapporto dei beneventani con i loro fiumi, con la fonte di energia al tempo stesso utile e distruttiva che essi rappresentano.
Vediamo così come la Badia sofiana sia costretta a far rimisurare un territorio del feudo di Pantano prima di riconcederlo in enfiteusi (49). Il Capitolo metropolitano deve accettare la riduzione di un canone per una masseria in località Vado del Pontone, concessa solo
l’anno precedente, perché la misurazione ha rivelato una riduzione
dell’area coltivabile a vantaggio del brecciale (54). Le inondazioni del
Tammaro e del Calore ridimensionano dei terreni che la Mensa arcivescovile possiede proprio alla confluenza dei due fiumi (8); dieci anni
dopo, nel censuare una proprietà nella stessa zona, la Mensa si preoccupa di inserire nel contratto l’obbligo di provvedere a piantare pioppi
e salici lungo la sponda del fiume (10).
Un comprensorio particolarmente vulnerabile è quello
dell’ansa in cui il fiume Calore riceve le acque del Serretella. Qui i signori Ascolese disegnano nell’atto di sub-concessione 1 del 1744 una
vera e propria strategia difensiva, per cui i conduttori si impegnano a
piantare quanti più pioppi tavolari è possibile lungo la riva del fiume e
a continuare a piantarne sul terreno che il fiume lascia, fino a ridurre la
riva un fortino di pioppi e saracavelle (46). Strategia fallita, si direbbe:
1
Il contratto non precisa che il terrirìtorio è redditizio alla Mensa arcivescovile: lo si comprende dall’atto in cui è inserito il disegno n. 47.
dal documento con cui nel 1781 il Capitolo metropolitano rinnova
l’enfiteusi alla famiglia Recupito Ascolese (47) apprendiamo infatti
che nel 1753 l’alluvione del Calore e del Serretella ha ridotto la capacità di quel terreno da 13 a 4 tomoli; in seguito il fondo recupera estensione perché il Calore sposta il suo corso verso l’altro letto.
Attraversando il Calore e passando da Serretella a Pantano,
incontriamo una vertenza che si trascina a lungo per stabilire a chi
spetti l’utile dominio sul terreno, peraltro povero e breccioso, che il
fiume ha lasciato spostando il suo corso più a sud.
Un altro motivo di lite nasce dal fatto che la difesa valida di
un argine rischia di provocare danni ai terreni che si trovano sull’altra
sponda. E’ quanto succede nella contrada Isca delle Cipolle (24), dove
la famiglia Sabariani-Alfieri diffida molto delle intenzioni del principe
Morra e degli altri proprietri dei mulini; questi, infatti, dicendosi preoccupati dal fatto che il Sabato minaccia di unirsi col formale distruggendo una delle attività principali dell’economia beneventana, intendono dividerne le acque con opere che vanno al di là dell’ordinaria
manutenzione prevista dagli Statuti cittadini e che, deviando il corso
del fiume, possono provocare l’erosione degli orti degli Alfieri.
L’argomento dei mulini è di quelli ai quali in questa sede si
può solo fare un rapido cenno, per quanto tra i disegni esposti, pur trattando sempre di terreni, non mancano altri riferimenti: dal Molino
nuovo che ha sostituito la gualchiera che Goffredo Morra aveva nel
luogo detto la Noce a quello detto Monte povero o Ponteciello, che
Michele Morra, concessionario dell’Abbazia di santa Sofia, ha lasciato
si riducesse in pessimo stato e che viene ricostruito a spese del solito
cardinale Orsini.
Altri percorsi espositivi sarebbero stati possibili: gli stessi disegni possono essere disposti secondo un ordine cronologico per apprezzare l’evoluzione delle tecniche di rilevazione e di rappresentazione grafica, oppure diversamente organizzati per sottolineare il tipo di
coltura ovvero la redditività delle diverse zone. In conclusione: non si
tratta della presentazione di immagini più o meno belle e decorative,
ma di un percorso di conoscenza attraverso documenti archivistici, che
come tali rimandano sempre ad un contesto di attività, di persone, di
storie, così che il loro valore più autentico è nel suscitare curiosità.
L’augurio è che questa mostra sappia fare altrettanto.
Giuseppe Vetrone
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