CRITERI DI MISURAZIONE DELL’INTENSITA’ DEI REGIMI A PROTEZIONE DELL’IMPIEGO Andrea Salvatori Department of Economics University of Warwick Coventry CV4 7AL United Kingdom [email protected] 4 Abstract This paper provides an overview of the main indicators of employment protection legislation (EPL) which have been proposed in the literature over the last decade: a good understanding of what lies behind an EPL indicator appears to be fundamental for anyone willing to carry out empirical research on this issue. In order to highlight the advantages and the shortcomings of each EPL measurement proposed in the literature, the analysis primarily focuses on methodological aspects suggesting a distinction between “objective” and “subjective” indicators: the former term includes the indicators based on the researcher’s observations, while the latter refers to the measurements built on the results of surveys carried out among the entrepreneurs. Keywords: Employment protection legislation. JEL classification: J38, C82. 5 Indice 1. Introduzione .......................................................................................................5 2. Gli indicatori “oggettivi” ..................................................................................7 2.1.Una prima definizione di EPL ....................................................................8 2.2.Gli indicatori ordinali..................................................................................10 2.2.1. Il metodo di Grubb e Wells (1993)............................................10 2.2.2. Una definizione più restrittiva di EPL.......................................13 2.2.3. I limiti degli indicatori ordinali....................................................15 2.3.Gli indicatori cardinali ................................................................................17 2.3.1. I primi indicatori cardinali: Lazear (1990).................................17 2.3.2. Gli indicatori cardinali dell’Ocse (1999)....................................19 2.3.3. Licenziamenti collettivi ................................................................20 2.3.4. La costruzione dell’indicatore generale di EPL........................20 2.3.5. Gli indicatori generali di Ocse (1999)........................................22 2.4.Aspetti problematici....................................................................................24 2.4.1. Una proposta sui coefficienti di ponderazione ........................25 2.4.2. La qualità dell’informazione rilevata: il problema dell’enforcement..................................................................................................28 2.4.3. Una serie storica con indicatori cardinali: .................................32 3. Gli indicatori “soggettivi”...............................................................................35 3.1.Le inchieste...................................................................................................35 3.2.I principali indicatori soggettivi.................................................................37 3.3.Una serie storica ricavata dalla survey della Commissione europea ................................................................................................................39 3.4.Employment protection o employment security?..................................40 4. Considerazioni conclusive ..............................................................................43 Tavole ......................................................................................................................46 Riferimenti bibliografici ........................................................................................59 6 1. Introduzione Nell’ultimo decennio la relazione tra regolamentazione del mercato del lavoro e performance occupazionale è stata oggetto di numerosi studi sia teorici che empirici. L’introduzione dei regimi a protezione dell’impiego (employment protection legislation – EPL) nei modelli teorici non presenta particolari difficoltà dal momento che è sufficiente inserire nelle funzioni di decisione degli operatori i costi ed i ricavi che scaturiscono dalla presenza dei vincoli normativi alle assunzioni ed ai licenziamenti. Per poter effettuare un’analisi empirica, invece, è necessario disporre di una misura del diverso grado di intensità della protezione dell’impiego che permetta una valutazione comparativa (tra diversi paesi o nel corso del tempo) della relazione tra la rigidità della regolamentazione e le variabili considerate. Diversi autori si sono misurati con il problema della costruzione di un indicatore di EPL avanzando soluzioni anche sostanzialmente differenti in relazione ai quattro step che devono essere affrontati per giungere ad una misura dell’intensità della regolamentazione: 1) definizione delle informazioni rilevanti; 2) reperimento delle informazioni; 3) misurazione delle informazioni; 4) aggregazione delle informazioni nell’indicatore di EPL. Questo lavoro propone una classificazione di massima degli indicatori in due categorie: “soggettivi” e “oggettivi”. Gli indicatori soggettivi sono costruiti sulla base di indagini condotte presso le imprese e, riflettendo le valutazioni degli imprenditori, forniscono un’indicazione del grado di rigidità effettivamente percepito dalle imprese. Gli indicatori “oggettivi”, invece, sono costruiti dal ricercatore sulla base dell’osservazione dei regimi regolamentativi nazionali e, dunque, non risentono della valutazione di una particolare classe di agenti economici. 5 Questa classificazione attiene direttamente al modo in cui l’EPL viene misurato (step 3), ma ha anche chiare implicazioni sulla definizione stessa di employment protection (step 1): una misura oggettiva della rigidità presuppone, infatti, una preventiva individuazione delle dimensioni standard della regolamentazione che debbono essere osservate nei singoli paesi con il rischio che l’importanza di alcune peculiarità nazionali (come particolari forme contrattuali oppure l’effetto di soglie di esenzione differenziate) venga sottostimata o addirittura del tutto tralasciata; nel caso dell’impiego di indicatori a carattere soggettivo, invece, la determinazione delle componenti dell’employment protection legislation è di fatto lasciata agli intervistati i quali, generalmente, non sono chiamati a fornire un’opinione su una particolare legge o disposizione, ma a valutare complessivamente la regolamentazione del mercato del lavoro. E’ chiaro, d’altra parte, che questa seconda famiglia di indicatori può facilmente misurare un concetto più ampio dell’intensità della regolamentazione relativa alle assunzioni ed ai licenziamenti: la percezione complessiva degli operatori riguardo la flessibilità di queste disposizioni può, infatti, essere influenzata dalla presenza di altri elementi istituzionali distinti dall’EPL ma che con essa interagiscono. A partire da questa semplice classificazione, nelle prossime pagine si cercherà di offrire una presentazione delle principali proposte per la misurazione dell’EPL analizzando il modo in cui in letteratura sono state affrontate le fasi sopra elencate. L’attenzione sarà principalmente concentrata sugli aspetti metodologici relativi agli step 1-3-4: una valutazione della qualità delle informazioni raccolte dai ricercatori, infatti, comporterebbe un enorme lavoro di comparazione tra un vasto numero di fonti nazionali, perlopiù disponibili nelle relative lingue, che esula dagli scopi del presente lavoro. Il paragrafo 2 descrive i principali indicatori oggettivi, distinti in ordinali (par. 2.2) e cardinali (par. 2.3). Il paragrafo 3 si concentra su quelli soggettivi, mentre l’ultimo paragrafo offre un breve riassunto delle principali questioni emerse e delinea alcune conclusioni. 6 2. Gli indicatori “oggettivi” L’espressione “indicatori oggettivi” viene impiegata in queste pagine per indicare quegli indicatori di EPL costruiti a partire dall’osservazione diretta da parte del ricercatore della regolamentazione del mercato del lavoro. La voluminosa opera di confronto internazionale delle fonti da cui provengono le norme che regolano i rapporti di lavoro presuppone la preventiva definizione delle singole dimensioni dell’employment protection legislation che si vogliono sottoporre ad osservazione: questa operazione è meno semplice di quanto possa apparire perché essa deve conciliare le divergenti esigenze di avere, da una parte, una esaustiva definizione generale (che prescinde, cioè, dai modelli dei singoli paesi) delle componenti dell’EPL e, dall’altra, di avere una definizione sufficientemente flessibile da permettere le rilevazione delle peculiarità nazionali. Se, infatti, gli ambiti della regolamentazione (ad esempio i contratti a tempo indeterminato o determinato) possono essere facilmente condivisi tra diversi paesi, le soluzioni adottate in ciascuno di tali ambiti possono presentare differenze tali da rendere difficoltoso il confronto internazionale1. E’ evidente che una verifica puntuale della capacità degli indicatori proposti di cogliere l’effetto in termini di flessibilità del mercato del lavoro delle soluzioni adottate a livello dei singoli paesi, comporterebbe l’esigenza di quel monitoraggio delle fonti nazionali che si è già detto essere al di fuori degli scopi di questo lavoro. In questa sede, invece, è utile considerare le diverse definizioni adottate dai contributi che si sono succeduti nell’ultimo decennio e valutare poi le metodologie impiegate per giungere ad una sintesi quantitativa delle informazioni definite rilevanti. Si pensi, ad esempio, al proliferare delle tipologie contrattuali cosiddette “atipiche” in Italia alle quali sono associati non solo diversi gradi di tutela del lavoratore, ma anche notevoli differenziazioni in termini di costo del lavoro. 7 1 2.1. Una prima definizione di EPL: i contributi di Emerson (1988) e Bertola (1990) Un primo organico tentativo di definizione del complesso delle norme che regolano assunzioni e licenziamenti è stato compiuto da Emerson (1988) che offre una rassegna dei livelli qualitativi di tali norme senza per altro giungere a proporre un indicatore complessivo dell’intensità della regolamentazione. In questo contributo vengono individuate tre aree della regolamentazione (assunzione di gruppi svantaggiati, regole per i licenziamenti, regole per i contratti a durata limitata) riguardo le quali l’autore fornisce alcune indicazioni sul diverso grado di rigidità facendo per lo più riferimento ai risultati della “Inchiesta ad hoc sul mercato del lavoro” curata dalla Commissione europea del 1985 (European Commission 1985). Per fornire un’indicazione del grado di rigidità complessiva di alcuni paesi Ocse, però, Emerson non tenta una misurazione diretta degli aspetti individuati, ma fa ricorso a quattro diversi indicatori sulla base dei quali calcola un ranking dei paesi considerati: 1) Percentuale di lavoratori che mantengono un lavoro per meno di 2 anni: ad un livello maggiore dovrebbe essere associata maggiore flessibilità. 2) Job turnover definito come media del numero di nuovi assunti e di rapporti cessati (per dimissioni, licenziamento o pensionamento) per 100 lavoratori: ad un livello maggiore corrisponderebbe una maggiore flessibilità. 3) Motivi della disoccupazione: una quota elevata di disoccupati per licenziamento dovrebbe essere indice di una maggiore flessibilità nel senso di minori restrizioni ai licenziamenti. 4) Importanza attribuita dalle imprese alla complessità delle procedure di assunzione e licenziamento nel limitare l’espansione dell’occupazione: ricavato dalla survey della Commissione Europea del 1985. I primi tre indicatori per i quali Emerson presenta un ranking non misurano direttamente il grado di regolamentazione, ma ne 8 forniscono un’approssimazione basata sull’assunzione teorica che l’EPL abbia gli effetti descritti sulle variabili considerate. Infatti, anche se le relazioni tra EPL e questi tre indicatori appaiono certamente ragionevoli sul piano teorico, tuttavia sul piano empirico Emerson non presenta alcuna evidenza che le supporti. È chiaro, però, che la misurazione dell’EPL non può essere compiuta “indirettamente” perché ciò comporta la necessità di porre delle assunzioni che, per quanto ragionevoli, dovrebbero essere oggetto di verifica una volta ottenuta una misurazione dell’EPL. Le osservazioni ed i dati raccolti da Emerson sono utilizzati da Bertola (1990) per ricavare un ranking del livello complessivo di employment protection in dieci paesi (tab. 1). Questo primo indicatore complessivo di EPL di tipo ordinale è relativo alla metà degli anni ‘802 e risulta dalla sintesi di osservazioni dirette del ricercatore e delle valutazioni espresse dalle imprese nella già citata inchiesta della Commissione europea impiegata da Emerson: l’indicatore, dunque, non è propriamente “oggettivo” nell’accezione adottata in questo lavoro, ma è comunque il risultato del primo tentativo organico di definizione complessiva dell’EPL secondo la logica propria di questa classe di indicatori. Oltre all’evidente limite rappresentato dal fatto che questi ranking sono disponibili per un solo punto nel tempo, essi non permettono una valutazione dettagliata degli effetti e delle interazioni delle singole componenti dell’employment protection descritte da Emerson (1988). Indicazioni di questo tipo sono, però, di grande interesse sia per lo studioso che per il policy-maker per cui i contributi successivi hanno prestato particolare attenzione al tema: nei prossimi paragrafi si 2 Bertola (1990) studia la correlazione tra questo ranking ed altri rankings relativi a diversi indicatori del mercato del lavoro calcolati in base a valori medi su intervalli temporali diversi: l’utilizzo dello stesso ranking di EPL per periodi temporali diversi può essere giustificato sulla base della scarsa variazione dei regimi a protezione dell’impiego nei paesi considerati durante i periodi (anni ’70 ed ’80) a cui si riferiscono le variabili con le quali si misura la correlazione. 9 analizzerà l’evoluzione di un filone degli indicatori oggettivi che ha in comune con questo primo tentativo di misurazione il carattere ordinale per poi studiare, invece, i contributi che hanno proposto indicatori cardinali di EPL. 2.2. Gli indicatori ordinali 2.1.1. Il metodo di Grubb e Wells (1993) Grubb e Wells (1993) hanno affrontato in maniera molto innovativa il problema della costruzione di un indicatore di EPL avanzando proposte relative alle tre fasi di definizione, misurazione e aggregazione delle informazioni. Per quanto concerne la definizione dell’employment protection, si stabilisce che “regulations exists when an individual employer cannot, even by agreement with his or her own employees, use particular working arrangements or forms of employment contract, without risking legal sanctions or the invalidity of the relevant provisions in the contract3” (Grubb e Wells, 1993, p. 9). Data questa definizione, non rientra nel concetto di regolamentazione un accordo sottoscritto tra un datore di lavoro ed i rappresentati dei propri dipendenti, in quanto le parti sarebbero state libere di non sottoscrivere (e quindi di non assumere impegni) senza per questo subire alcuna conseguenza legale. La definizione riportata è molto ampia e si presta ad includere almeno tutte le componenti dell’EPL individuate da Emerson (1988) comprendendo un insieme di norme che vanno chiaramente al di là delle sole hiring and firing rules. Tuttavia Grubb e Wells si limitano ad indicare alcune componenti della regolamentazione alle quali attribuiscono maggiore importanza: La regolamentazione sussiste quando un singolo datore di lavoro non può, anche in accordo con i suoi dipendenti,mettere in pratica specifici accordi di lavoro o impiegare forme contrattuali senza rischiare sanzioni legali o l’invalidità delle clausole del contratto rilevanti. T.d.A. 10 3 1) restrizioni ai licenziamenti individuali; 2) limitazioni all’uso o alla validità legale dei contratti a tempo determinato; 3) limitazioni all’uso o alla validità legale dei contratti di lavoro interinale; 4) restrizioni all’orario di lavoro ordinario e straordinario; 5) limitazioni all’impiego di lavoro part-time. Vengono deliberatamente tralasciate le regole relative alle assunzioni, ai salari minimi o disposizioni ispirate a motivazioni sociali (ad esempio interventi per particolari gruppi di persone – minoranze, donne, disabili…-) che pure rientrerebbero nella ampia definizione fornita: anche esse, infatti, costituiscono particular working arrangements obbligatori per il datore di lavoro ai quali egli non può sottrarsi senza subire conseguenze. La difficoltà della misurazione4 porta poi ad una ulteriore riduzione delle informazioni effettivamente considerate: Grubb e Wells non si cimentano nella costruzione di un indicatore per la regolamentazione del lavoro part-time poiché essa appare complessa al punto da renderne difficile una quantificazione oggettiva. I dati raccolti sono quindi relativi esclusivamente alle prime quattro componenti sopra indicate che, per ottenere uno schema utile alla costruzione di un indicatore, vengono organizzate in tre macrocategorie: a) regolamentazione dei licenziamenti individuali; b) regolamentazione delle forme di lavoro temporaneo; c) regolamentazione dell’orario di lavoro. Ciascuna di queste macrocategorie è in realtà il risultato dell’aggregazione di sotto-indicatori che misurano gli aspetti più significativi di ciascun ambito regolamentativo secondo lo schema 4 In queste pagine, per ragioni di spazio, non ci si sofferma sulla descrizione della metodologia ideata da Grubb e Wells per la misurazione delle varie componenti dell’EPL che non ha subito cambiamenti radicali neanche nei successivi lavori realizzati in sede Ocse. Si rimanda dunque a Grubb e Wells (1993) ed Ocse (1999) per dettagli su questo punto. 11 riportato nella tabella 2. Per ciascuno degli indicatori di primo livello viene calcolato il ranking: mentre per gli indicatori che raccolgono informazioni di carattere quantitativo (ad esempio, la liquidazione) è immediato il calcolo dell’ordinamento, per gli indicatori di tipo qualitativo (ad esempio, “definizione di licenziamento ingiusto”) le informazioni vengono prima convertite in una scala che ne riflette il variare dell’intensità per poi ottenere un ranking. Nella tabella 3 sono riportati, a titolo esemplificativo, i ranking per gli indicatori della macrocategoria “licenziamenti individuali”: ogni indicatore aumenta con il crescere della rigidità della regolamentazione, per cui i paesi con ranking 1 sono quelli con un livello di EPL minore5. L’aggregazione delle informazioni così ottenute viene effettuato attraverso un procedimento iterativo definito “ranking-average-ranking” (R-A-R) articolato in due passaggi: 1) per gli indicatori di primo livello appartenenti ad una medesima categoria (ad esempio, nella tab.3, gli indicatori compresi nella colonna “inconvenienti burocratici”) viene eseguita una media semplice del ranking per paese (nel caso del Belgio per gli “inconvenienti burocratici” si esegue la media tra 2,5 – procedure - e 5 - ritardo nella notifica - ottenendo 3,25); 2) sulla base dei valori così ottenuti viene calcolato un nuovo ranking che costituisce l’indicatore di secondo livello. I ranking così ottenuti per ciascun indicatore di secondo livello vengono aggregati seguendo la stessa procedura per ottenere un ranking che costituisce l’indicatore di terzo livello. Questi ultimi 5 La presenza di valori non interi è dovuta all’algoritmo con il quale viene attribuito il ranking: quando più paesi si trovano ad avere lo stesso valore, a ciascuno viene assegnato un ranking medio. Ad esempio, nella colonna “Procedure”, Belgio e UK occupavano il 2° e 3° posto con lo stesso valore, per cui ad entrambi è attribuito un ranking pari a 2,5. 12 indicatori, però, non vengono aggregati in un unico indicatore generale che sembra essere considerato di scarso interesse. La tabella 4 mostra che i due autori propongono un ordinamento complessivo (ultima colonna) della regolamentazione dei rapporti di lavoro includendo solo alcuni degli indicatori considerati: regolamentazione dei licenziamenti individuali (A), regolamentazione dei contratti a tempo determinato (B), restrizioni sull’orario di lavoro normale (D). Restano, dunque, esclusi gli indicatori relativi al lavoro interinale (C) e all’orario di lavoro straordinario (E): Grubb e Wells spiegano l’esclusione dei primi con l’esiguo numero di lavoratori con simili contratti alla fine degli anni ’80 mentre ritengono che l’inclusione di una misura dell’orario di lavoro possa essere fuorviante ai fini della valutazione della rigidità del mercato del lavoro perché essa può dipendere dal livello dei salari reali. La prima motivazione non appare particolarmente convincente dal momento che l’esiguo numero di lavoratori interinali alla fine degli anni ’80 potrebbe essere imputabile proprio ad una eccessiva rigidità della regolamentazione di questo tipo di rapporto, mentre il secondo punto è più persuasivo ed indirizza verso una definizione di employment protection più restrittiva che infatti è assunta già dai contributi immediatamente successivi. 2.2.2 Una definizione più restrittiva di EPL Il Jobs Study dell’Ocse del 1994 riprende il lavoro di Grubb e Wells (1993) introducendo alcune variazioni sul piano definitorio, ma facendo propria la metodologia di misurazione ed aggregazione proposta dai due economisti. In tal senso l’employment protection viene circoscritto ad alcuni aspetti del più ampio concetto della regolamentazione del mercato del lavoro. Si afferma, infatti, che “employment protection is only one aspect of 13 employment regulation which relates to employers’ freedom to dismiss workers6” (Ocse 1994, p. 69). Con questa definizione si escludono esplicitamente dal concetto di employment protection le norme direttamente relative alle assunzioni che, invece, Emerson (1988) e gli stessi Grubb e Wells (1993) (pur rinunciando a misurarle) avevano incluso nel concetto di EPL. Per la stessa ragione, Ocse (1994) non costruisce l’indicatore relativo all’orario di lavoro (ordinario e straordinario) utilizzato da Grubb e Wells (1993). Rimane, però, necessario includere la regolamentazione del lavoro temporaneo a causa del potenziale effetto neutralizzante nei confronti delle altre componenti della regolamentazione; un effetto già considerato da Emerson (1988), Ocse (1993) e Grubb e Wells (1993). Appare corretto non estendere un simile ragionamento anche all’orario di lavoro: Abraham e Houseman (1993) riscontrano che, nei paesi con maggiori livelli di protezione dell’impiego, la flessibilità complessiva del mercato del lavoro può essere assicurata da un maggiore aggiustamento delle ore lavorate. Tuttavia, il concetto di flessibilità del mercato del lavoro e quello di EPL non coincidono: quest’ultimo, infatti, non intende misurare il grado complessivo di “adattabilità7” del mercato del lavoro alle mutevoli condizioni economiche, ma soltanto le norme che proteggono l’impiego per il lavoratore al fine di verificare se ed in quale misura queste abbiano un effetto sulla flessibilità nel complesso. Quindi, dal momento che la maggiore o minore regolamentazione dell’orario di lavoro non determina una minore o maggiore protezione del posto di lavoro, appare corretto escludere questo aspetto dall’indicatore di EPL, includendo, invece, la regolamentazione del lavoro temporaneo in 6 “l’employment protection è soltanto un aspetto della regolamentazione del lavoro che si riferisce alla libertà dei datori di lavoro di licenziare i propri dipendenti”. T.d.A. 7 Recentemente in letteratura si è cominciato a discutere sull’opportunità di far riferimento ad un concetto più ampio di adattabilità del mercato del lavoro che andrebbe al di là della solo employment protection. 14 quanto strumento idoneo a neutralizzare l’effetto protettivo per il lavoratore delle altre componenti dell’EPL. Ocse (1994) riprende le informazioni presentate da Grubb e Wells (1993) estendendole ad altri cinque paesi per cui anche l’indicatore proposto in questo lavoro non prende in considerazione la regolamentazione relativa ai contratti part-time a causa delle stesse difficoltà di ordine pratico incontrate nello studio precedente. Inoltre, data la mancanza di informazioni per alcuni dei paesi aggiuntivi considerati, neanche in Ocse (1994) viene ricavato un ranking per il lavoro interinale. Quindi, con gli stessi criteri di misurazione e la stessa procedura R-A-R adottata da Grubb e Wells (1993), Ocse (1994) ottiene i ranking per il livello di regolamentazione riferito ai contratti regolare (regular contracts) ed ai contratti a termine (fixed term contracts) riportati nella tabella 5. Il ranking medio riportato nell’ultima colonna della tabella non è ottenuto con il metodo ranking-average-ranking, ma rappresenta la media semplice dei ranking delle due colonne precedenti. Per confrontare i dati di Ocse (1994) e di Grubb e Wells (1993) la tabella 6 presenta il ranking dei soli paesi considerati da entrambi applicando il metodo R-A-R laddove ciò non è stato fatto in Ocse (1994). Nonostante l’indicatore di Grubb e Wells aggreghi una quantità maggiore di informazioni (esso, infatti, include anche un indicatore relativo all’orario di lavoro), emergono solo piccole differenze tra i due rankings se non per due paesi (Grecia ed Italia) il cui piazzamento varia di tre posizioni. 2.2.3. I limiti degli indicatori ordinali Data l’assenza di proposte migliori e la difficoltà insita nel raccogliere e confrontare informazioni da numerose fonti, la letteratura degli anni ’90 ha fatto largo uso degli indicatori costruiti in 15 Ocse (1994)8. Tuttavia questi indicatori presentano alcuni limiti che non possono essere trascurati. In primo luogo, la varietà delle disposizioni regolamentative adottate nei singoli paesi, nonché le diversità riscontrabili anche nel medesimo paese, comportano un certo livello di approssimazione. Gli indicatori disaggregati non possono, infatti, cogliere tutte le possibili sfumature tra paesi della regolamentazione limitandosi, per lo più, a fornire un “indicazione” dell’intensità di ciascun aspetto dell’EPL. Nel contempo, laddove le disposizioni variano a seconda, ad esempio, della tipologia di lavoratore (come per operai ed impiegati) il dato considerato in Ocse (1994) è una media semplice e ciò può andare a scapito della completezza dell’informazione. Questo problema, già accennato in precedenza, è legato alla natura “oggettiva” degli indicatori proposti e non sembra tale da inficiarne la qualità se vengono utilizzati per analisi di tipo cross-section o panel9: essi, infatti, riescono certamente a cogliere differenze sostanziali tra i regimi regolamentativi e quindi possono contribuire a spiegare differenze nelle performance dei vari paesi. Appaiono di maggiore rilievo, invece, i problemi legati alla natura ordinale di questi indicatori che non permettono di valutare efficacemente le variazioni nel tempo dell’EPL: è chiaro, infatti, che la posizione relativa di un paese può variare senza che in esso la regolamentazione subisca alcuna variazione, semplicemente perché altri paesi modificano i propri ordinamenti. La costruzione di una serie storica di indicatori esige dunque una misura cardinale dell’employment protection: l’Employment Outlook 1999 dell’Ocse ha fornito un primo importante contributo in tal senso. Si vedano tra gli altri Nickell e Layard (1998), Elmeskov et al. (1998). Per analisi cross-section si intende un confronto tra unità nello stesso istante, mentre in un panel si osservano diverse unità nel corso del tempo. 16 8 9 2.3. Gli indicatori cardinali 2.3.1. I primi indicatori cardinali: Lazear (1990) Un primo tentativo di misurazione dell’employment protection attraverso un indicatore di tipo cardinale è stato compiuto da Lazear (1990). Le uniche due dimensioni della regolamentazione considerate in questo contributo sono quelle della severance pay e del notice. Con la prima espressione viene indicato il numero di mensilità che devono essere corrisposte dal datore di lavoro ad un operaio con dieci anni di servizio a seguito di un licenziamento che non avvenga per ragioni disciplinari. Per notice, invece, si intende il periodo di preavviso richiesto per operai (con dieci anni di servizio ed in caso di licenziamento per ragioni non disciplinari). Questi due aspetti dell’EPL appaiono di più facile misurazione rispetto a quelli individuati da Emerson (1988) in quanto immediatamente quantificabili con un elevato grado di oggettività; dall’altra, però, la loro rilevazione comporta delle difficoltà che lo stesso Lazear rileva. In primo luogo, la normativa è molto complessa e diversa tra paesi, ma anche all’interno dello stesso paese in relazione a categorie di lavoratori diverse (o addirittura per aree geografiche, come nel caso del Canada), per cui la definizione di entrambi le variabili con riferimento al caso di un operaio con 10 anni di servizio è assunta come una proxy per l’intero sistema, con ciò accettando una certa perdita di informazione. Un vantaggio della misurazione adottata da Lazear è, però, quello di poter ottenere facilmente delle serie storiche delle due variabili considerate sebbene i dati non mostrino variazioni di rilievo nel lungo periodo considerato10. Lo stesso Lazear, infatti, osserva che sembra 10 Le osservazioni di Lazear (1990) si riferiscono a 29 anni (1956-1984). 17 essere più interessante un confronto di tipo cross-section, piuttosto che un’analisi delle serie storiche dei singoli paesi11. I limiti dell’adozione di un indicatore EPL circoscritto ai soli severance pay e notice sono evidenti: c’è una forte perdita d’informazione dovuta al fatto che vengono trascurati molti degli aspetti evidenziati da Emerson (1988). In particolare non c’è distinzione tra licenziamenti collettivi ed individuali e non viene considerato il ruolo della regolamentazione delle forme di lavoro non standard, nell’accezione di impieghi non a tempo pieno e indeterminato. La rilevanza di quest’ultimo è fondamentale: Lazear (1990) stesso riscontra che a livelli maggiori di severance pay tende a corrispondere una quota maggiore di lavoro part-time. A tale forma contrattuale, infatti, non si applicano generalmente le disposizioni in materia di severance pay e dunque essa rappresenta un modo per eludere il costo connesso al licenziamento. Una misurazione del livello della regolamentazione che mira ad assicurare protezione al lavoro non può, quindi, prescindere dalla disciplina delle forme di lavoro non standard dal momento che una loro completa liberalizzazione avrebbe un effetto neutralizzante sul resto dell’EPL. In Ocse (1993) la variazione della regolamentazione del lavoro non standard viene definita come “cambiamento implicito” nella rigidità dell’EPL proprio a causa della fuorviante distinta considerazione della protezione del lavoro standard e non standard che porta a sottovalutare (o a tralasciare completamente) l’interazione tra i due sul piano empirico. Ma, al di là della perdita di informazione per la mancata considerazione di alcune componenti dell’EPL, la stessa misurazione di severance pay e notice period può essere condotta in modo diverso rispetto a quello seguito da Lazear: nell’Employment Outlook 1993 dell’Ocse viene impiegato un indicatore dell’EPL che, pur limitandosi La stessa osservazione viene formulata in Ocse (1993) con dati per alcuni aspetti diversi, ma riferiti anch’essi alle stesse variabili nel periodo 19791990. 18 11 a considerare le stesse due componenti già viste, si basa su informazioni più ampie. I dati raccolti in questo studio, infatti, forniscono i valori massimo e minimo di severance pay e notice period distinti per operai (blue-collar) ed impiegati (white-collar). È chiaro, dunque, che i dati sull’EPL forniti da Ocse (1993) hanno un contenuto informativo maggiore rispetto a quelli di Lazear (1990) con riferimento alle stesse variabili (severance pay e notice period), ma entrambi tralasciano troppi fondamentali elementi, senza, per altro, giungere a fornire un indicatore complessivo del livello di EPL. 2.3.2. Gli indicatori cardinali dell’Ocse (1999) Un significativo passo in avanti nell’ambito degli indicatori cardinali è stato compiuto con l’importante contributo dell’Ocse del 1999 in cui i dati già raccolti da Grubb e Wells (1993) vengono ripresi ed elaboratori giungendo ad una proposta di indicatori altamente innovativa. Le principali novità nella costruzione degli indicatori di EPL introdotte dall’ Employment Outlook del 1999 possono essere sintetizzate come segue: 1) definizione: viene ripresa la definizione di Ocse (1994) limitandosi dunque alla sola considerazione dei regimi a protezione del posto di lavoro ed includendo, però, anche le disposizioni specifiche relative ai licenziamenti collettivi; 2) misurazione delle informazioni: accanto alla categoria del “lavoro regolare” e del “lavoro temporaneo” viene aggiunta quella dei “licenziamenti collettivi” e la misurazione è estesa a 27 paesi Ocse. Nell’ambito del “lavoro temporaneo”, con riferimento alle “Agenzie di lavoro interinale” (Temporary Work Agency- TWA), viene abbandonato l’indicatore relativo alla facoltà da parte di chi “affitta” il lavoro di terminare il rapporto in qualsiasi momento. Tutti gli indicatori di base vengono convertiti in una stessa scala per ottenere una misura cardinale; 19 3) aggregazione dei dati: i dati vengono aggregati attraverso medie semplici, salvo qualche motivata eccezione. Nei prossimi paragrafi vengono descritti con maggiore dettaglio questi aspetti. 2.3.3. Licenziamenti collettivi L’indicatore generale di employment protection costruito in Ocse (1999) rappresenta, dal punto di vista del contenuto informativo, un estensione di quello di Ocse (1994): esso infatti risulta dall’aggregazione delle due macrocategorie già descritte per Grubb e Wells (1993) e Ocse (1994) (regular employment e temporary employment) ed una nuova macro-categoria denominata collective dismissal relativa, appunto, alla regolamentazione dei licenziamenti collettivi. Questo indice misura le restrizioni ai licenziamenti collettivi nella misura in cui differiscono da quelle relative ai licenziamenti individuali. Esso è dato dall’aggregazione di quattro indicatori di base secondo lo schema riportato nella tabella 7. Complessivamente, dunque, i quattro indicatori di primo livello relativi ai licenziamenti collettivi si aggiungono ai 12 per la categoria “regular employment” e ai 6 per quella “temporary employment” (data l’esclusione di un indicatore precedentemente previsto per le TWA) già misurati da Ocse (1994) portando a 22 il numero complessivo di indicatori utilizzati nella costruzione dell’indicatore generale di EPL. 2.3.4. La costruzione dell’indicatore generale di EPL A) La procedura di aggregazione In Ocse (1999) viene abbandonata la procedura R-A-R a vantaggio di una metodologia articolata in quattro passaggi volti ad ottenere una misura cardinale dell’intensità dei regimi a protezione dell’impiego: 20 1) Conversione dei 22 indicatori di base in una scala da 0 a 6 in modo da rendere le diverse misure confrontabili. L’algoritmo di conversione è caratterizzato da un certo livello di arbitrarietà, ma risponde a due criteri fondamentali: il punteggio tende a crescere proporzionalmente alla misura di riferimento ed il passaggio da un livello al successivo rispecchia variazioni significative dei dati sottostanti. (cfr. tab. 2.B.1, Ocse 1999, pag. 117). 2) Viene effettuata una prima media degli indicatori di base raccolti in categorie omogenee (indicatori di secondo livello). 3) Viene calcolata una ulteriore media degli indici rappresentativi di tali categorie per ottenere degli indici distinti per lavoro regolare, lavoro temporaneo e licenziamenti collettivi (indicatori di terzo livello). 4) La media finale tra gli indicatori di terzo livello fornisce l’indicatore generale di EPL. La tabella 8 offre una rappresentazione schematica dei diversi livelli di aggregazione e dei coefficienti di ponderazione impiegati, discussi nel prossimo paragrafo. B) I coefficienti di ponderazione Nell’esecuzione delle medie aritmetiche per la costruzione dell’indice generale, in Ocse (1999) vengono adottati coefficienti uniformi con poche eccezioni (la tabella 8 offre un riepilogo di tutti i coefficienti di ponderazione impiegati). Laddove l’indicatore di base è in realtà il risultato di distinte misurazioni, a ciascuna di queste non è stato assegnato il peso proprio dell’indicatore di primo livello nel complesso: è chiaro infatti che ciò avrebbe comportato un peso eccessivo di tali componenti nella definizione dell’indice generale. Ad esempio, gli indicatori di primo livello relativi al periodo di notifica e alla liquidazione, raccolgono i dati per tre diverse anzianità di servizio del lavoratore (9 mesi, 4 anni e 20 anni): tali tre misure vengono aggregate con pesi uniformi per ottenere i due indicatori di primo livello per il periodo di notifica e liquidazione. Nel primo caso 21 i tre indicatori assumono ciascuno un coefficiente pari a 1/7, nel secondo a 4/21. L’indice del periodo di notifica ha dunque un coefficiente di ponderazione minore rispetto a quello della liquidazione (rispettivamente 3/7 e 12/21): tale diversità riflette la considerazione che in entrambi i casi deve essere corrisposto un salario, ma nel caso del “periodo di preavviso” il lavoratore continua a prestare la propria opera rendendo di fatto inferiore il costo della protezione del lavoro che ricade sul datore. Considerazioni economiche sembrano giustificare anche l’adozione di coefficienti differenziati nel calcolo degli indici di secondo livello sui contratti a tempo determinato e le agenzie di lavoro temporaneo: in entrambi i casi appare essere più rilevante, ai fini dello studio degli effetti sul mercato del lavoro di questi istituti, l’entità della loro ammissibilità piuttosto che la possibilità di rinnovo dei contratti e la durata massima cumulata degli stessi. Al primo aspetto è stato dunque assegnato un peso pari a ½, mentre a ciascuno degli altri due ¼. Infine, coefficienti non uniformi sono stati assegnati agli indicatori di terzo livello nel calcolo dell’indice generale: mentre l’indice sul lavoro regolare e quello sul lavoro temporaneo assumono pesi pari a 5/12, quello sui licenziamenti collettivi assume peso pari a 2/12. Quest’ultimo indice, infatti, rileva la regolamentazione sui licenziamenti collettivi solo nella misura in cui questa incrementa la protezione del lavoro garantita dalle leggi in materia di licenziamenti individuali, già misurata dall’indice sul lavoro regolare ed è quindi opportuno che in fase di aggregazione si attribuisca a questa componente un peso inferiore. 2.3.5. Gli indicatori generali dell’Ocse (1999) La metodologia esposta nel paragrafo precedente viene utilizzata in Ocse (1999) per costruire indicatori che si riferiscono sia alla fine degli anni ‘80 che alla fine degli anni ‘90. I dati raccolti 22 precedentemente in Ocse (1994) vengono rivisti e corretti in diversi casi: si è già segnalato il fatto che un indicatore di primo livello relativo alle TWA incluso in Ocse (1994) è abbandonato in Ocse (1999) a causa della complessità legale della materia, mentre ad altri indicatori vengono attribuiti nuovi valori sulla base di informazioni originariamente non disponibili. Tuttavia, ai dati raccolti per la fine degli anni ’80 nel Jobs Study del 1994 non vengono aggiunti quelli relativi ai licenziamenti collettivi, cosicché, per rendere confrontabili gli indicatori nel tempo, in Ocse (1999) sono presentate due versioni dell’indicatore complessivo per gli anni ’90, una che include la regolamentazione sui licenziamenti collettivi e l’altra no. La tabella 9 riporta gli indicatori così ottenuti. Nella tabella 10, invece, è riportato un confronto tra i dati forniti nell’Employment Outlook del 1999 e quelli del Jobs Study del 1994 con riferimento allo stesso periodo: la fine degli anni ‘80. Le differenze sostanziali tra i due gruppi di indicatori possono essere schematizzate come segue: 1) diversità delle informazioni sottostanti: Ocse (1994) aggrega soltanto indicatori relativi a licenziamenti individuali e contratti a tempo determinato, mentre Ocse (1999), per la fine degli anni ‘80, considera anche la regolamentazione delle agenzie di lavoro temporaneo (TWA). Inoltre per l’Employment Outlook del 1999 il database utilizzato nel 1994 è stato rivisto e corretto, per cui è possibile che vi siano diversità anche negli indicatori di base; 2) diversità nella procedura di aggregazione: come già descritto, l’Employment Outlook del 1999 abbandona il metodo rankingaverage-ranking adottando un sistema basato sulla conversione dei dati in una scala da 0 a 6 e successive aggregazioni con medie generalmente non ponderate. Nella stessa tabella viene calcolato un indice di correlazione (Spearman ranking correlation) tra i due ranking: il coefficiente ottenuto, pur essendo piuttosto elevato (0,86), fornisce un’indicazione delle variazioni che diverse metodologie applicate a dati anche piuttosto simili possono produrre. 23 2.4. Aspetti problematici Gli indicatori di EPL proposti nell’Employment Outlook del 1999, pur introducendo significative novità, lasciano aperte alcune importanti questioni che, in realtà, sono legate alla natura oggettiva di questi indicatori e riguardano, dunque, anche gli indicatori ordinali. In particolare, tre sono gli aspetti in relazione ai quali è possibile ravvisare alcuni dei principali problemi: 1) qualità delle informazioni considerate; 2) conversione ed aggregazione dei dati; 3) utilità di dati non più puntuali (come in Ocse 1994) ma comunque disponibili solo per due periodi. In merito al primo aspetto, il difetto maggiore delle misurazioni proposte sta nella difficoltà di cogliere il grado effettivo di applicazione delle norme a protezione del posto di lavoro piuttosto che la loro rigidità “nominale”: un tema affrontato in letteratura, ma non ancora risolto per la difficoltà di procedere ad una misurazione del cosiddetto enforcement delle disposizioni esistenti. Per quanto concerne il secondo punto, invece, si tratta del tema dell’influenza che le scelte soggettive degli autori possono avere sui risultati del loro lavoro. Si è visto, infatti, come in Ocse (1999) i dati raccolti vengano convertiti in una scala da 0 a 6 secondo un algoritmo stabilito dagli autori stessi, scontando dunque un certo grado di arbitrarietà almeno per alcuni degli indicatori. Così come arbitraria (anche se ragionevole) è l’attribuzione di pesi per la ponderazione nell’aggregazione delle informazioni raccolte. Nell’Employment Outlook (1999) si afferma che sono stati condotti esercizi con algoritmi di conversione e coefficienti di ponderazione diversi, senza ottenere risultati che si discostino in maniera significativa da quelli presentati. In linea generale, però, rimane il problema metodologico di un grado di arbitrarietà che deve essere minimizzato nel tentativo di ridurne il possibile effetto distorsivo sui risultati delle successive verifiche empiriche. La questione della mancanza di serie storiche complete per l’EPL è strettamente legata alla natura stessa dell’oggetto da misurare: la 24 moltitudine delle forme e delle fonti che riguardano l’employment protection rende difficile l’aggiornamento rapido e preciso degli indicatori. Nei paragrafi seguenti si approfondiranno ulteriormente questi temi analizzando le soluzioni (o i tentativi di soluzione) proposte in letteratura. 2.4.1. Una proposta sui coefficienti di ponderazione A) L’impiego dell’analisi fattoriale Una possibile soluzione al problema dell’attribuzione di pesi soggettivi agli indicatori è rappresentata dall’impiego dell’analisi fattoriale (Nicoletti, Scarpetta e Boylaud, 2000). Tale approccio individua in primo luogo alcuni insiemi di indicatori di base associati in maniera forte a fattori latenti sottostanti. L’individuazione di queste classi permette l’aggregazione degli indicatori di base in indicatori di secondo livello diversi rispetto a quelli di Ocse (1999). All’interno di ciascuna di queste classi, gli indicatori sono ponderati in base alla porzione della varianza crosscountry spiegata dal fattore sottostante. A loro volta gli indicatori di secondo livello (corrispondenti a ciascuno dei fattori individuati) sono aggregati con pesi pari alla proporzione della varianza complessiva spiegata da ciascuno dei fattori stessi. Infine, i due indicatori per le macro-categorie della regolamentazione del lavoro regolare e temporaneo sono aggregati con media semplice. Nicoletti et al. (2000) applicano l’analisi fattoriale agli stessi dati presentati in Ocse (1999) (riportati nella scala 0-6 di cui si è detto) escludendo, però, la regolamentazione per i licenziamenti collettivi. L’applicazione di queste tecnica statistica porta all’individuazione di un sistema di aggregazione diverso da quello di Ocse (1999)12. In Per l’estrazione dei fattori è impiegata l’analisi delle componenti principali alla matrice di covarianza degli indicatori: ciascun fattore è stimato nella forma di coefficienti di correlazione tra il fattore non osservato e le variabili 25 12 particolare, nell’ambito della regolamentazione del lavoro regolare gli indicatori di base vengono aggregati secondo lo schema riportato nella tabella 11. Come si vede l’estrazione dei fattori ai quali gli indicatori di primo livello sono maggiormente correlati porta all’individuazione di indicatori di secondo livello diversi da quelli proposti in Ocse (1999), permettendo l’interpretazione espressa dalle denominazioni adottate da Nicoletti et al (2000). La stessa procedura applicata alla regolamentazione del lavoro temporaneo fornisce i risultati della tabella 12. In questo caso la prima area di aggregazione individuata (denominata “procedure”) non si presta ad un’interpretazione economica chiara, mentre la seconda raccoglie i due indicatori relativi alla durata massima dei contratti di lavoro temporaneo. Infine, come già detto, gli indicatori ottenuti seguendo gli schemi delle tabelle 11 e 12 vengono aggregati eseguendo una media semplice. B) Aspetti problematici degli indicatori con coefficienti ricavati dall’analisi fattoriale Gli indicatori relativi alle categorie dei contratti regolari e del lavoro temporaneo sono aggregati in Nicoletti et al. (2000) mediante media semplice. Vengono ricavati sia gli indicatori per la fine degli anni ‘80 che per la fine degli anni ‘90, ma i primi sono costruiti stesse. Il primo fattore estratto è quello che spiega la maggior proporzione della varianza e i successivi sono ordinati secondo il loro contributo esplicativo. Al fine di stabilire il numero di fattori da estrarre sono adottati tre criteri: (i) il fattore deve avere un autovalore maggiore di 1; (ii) il fattore deve spiegare da solo almeno il 10% della varianza complessiva; (iii) i fattori selezionati devono complessivamente spiegare almeno il 60% della varianza dei dati. Ad esempio, i tre fattori individuati nell’ambito della regolamentazione del lavoro regolare spiegano circa il 70% della varianza degli indicatori di base. 26 utilizzando i pesi determinati attraverso l’applicazione dell’analisi fattoriale ai dati più recenti. Le tabelle 13 e 14 mostrano un confronto tra i risultati di Nicoletti et al. (2000) e quelli di Ocse (1999) per la fine degli anni ‘90. È evidente che l’impiego dell’analisi fattoriale non ha prodotto significative differenze nell’ordine dei paesi: con soli quattro paesi che modificano la propria posizione relativa (e soltanto di una posizione) il coefficiente di correlazione di Spearman sfiora il massimo valore. Guardando i valori finali attribuiti all’indice generale di employment protection (tabella 14), emerge che con la diversa ponderazione si ottiene un livello di EPL inferiore soltanto in Grecia, mentre nella maggior parte dei paesi si assiste ad un aumento dell’indicatore fino ad un massimo di 0,3 punti. Gli indicatori costruiti con l’analisi fattoriale sono dunque sostanzialmente coerenti con quelli di Ocse (1999), ed è difficile dire se essi siano effettivamente migliori. Certamente essi risentono di un minor grado di arbitrarietà dal momento che l’analisi fattoriale assegna maggior peso a quelle componenti che presentano maggiore variabilità cross-country indipendentemente dal giudizio del ricercatore (Nicoletti et al., 2000). Tale sistema di ponderazione è adatto ad un’analisi cross-country in cui si voglia cogliere il ruolo delle differenze nei regimi a protezione dell’impiego nello spiegare diverse performance economiche: in tal caso è opportuno che gli indicatori diano risalto alle differenze presenti tra i vari paesi. Tuttavia, come è stato descritto, l’analisi fattoriale ricava i coefficienti di ponderazione sulla base dei dati a disposizione il che implica che, al variare dei dati, variano anche i coefficienti di ponderazione. Ciò vuol dire che eventuali correzioni dei dati sottostanti (come quelle operate dall’Ocse nel 1999 sul data base del 1994) potrebbero portare a variazioni dei risultati ottenuti (Nicoletti et al. 2000)13. 13 Per questo motivo la robustezza delle conclusioni raggiunte è testata con l’analisi di sensitività in Nicoletti et al. (2000). 27 La procedura descritta pone poi un altro problema: la variazione dei dati nel corso del tempo determina una variazione dei coefficienti di ponderazione. Tuttavia, un indicatore deve rappresentare le variazioni di ciò che misura attraverso variazioni nei suoi valori e non nella sua struttura. Se viene modificata la struttura dell’indicatore, cambiando il peso delle sue componenti, si ottengono informazioni diverse il cui confronto rischia di essere fuorviante: non si coglie, infatti, quanta parte della differenza è dovuta al variare dei dati e quanto al variare della metodologia di aggregazione. Per questa ragione in Nicoletti et al. (2000) i dati della fine degli anni ‘80 sono ponderati con gli stessi pesi ottenuti per la fine degli anni ‘90. Sorgono dei dubbi, però, sull’applicabilità ad un’eventuale serie storica, con intervalli temporali più ristretti e numerosi, di coefficienti ricavati da un unico intervallo: su periodi lunghi nei quali i regimi di EPL sono soggetti a variazioni significative non avrebbe senso l’uso di pesi determinati dalla varianza cross-country di un unico intervallo. Qualora lo si facesse, la scelta di uno schema di ponderazione piuttosto che un altro reintrodurrebbe, seppure in veste diversa, il problema dell’arbitrarietà che l’analisi fattoriale mira, invece, a rimuovere. Anche la soluzione del problema con l’adozione di ponderazioni medie, riproporrebbe la questione della significatività oggettiva di un tale esercizio. Attualmente questi problemi non si pongono, visto lo stato dei dati sull’employment protection raccolti dall’Ocse, ma possono rappresentare dei limiti seri per l’applicazione dell’analisi fattoriale in futuro o almeno per la sua preferibilità rispetto ad altre soluzioni. 2.4.2. La qualità dell’informazione rilevata: il problema dell’enforcement Sebbene si sia premesso che una valutazione dettagliata della qualità delle informazioni considerate dai singoli autori si colloca al di là degli scopi del presente lavoro, è utile formulare alcune considerazioni di carattere generale riguardo ad una questione che 28 riguarda tutti gli indicatori oggettivi cui si è fatto riferimento: il problema dell’enforcement. Gli indicatori di employment protection che seguono lo schema concettuale impostato da Grubb e Wells (1993) sintetizzano una serie di informazioni dettagliate, relative al grado di rigidità nominale delle norme passate in rassegna. L’azione degli agenti economici, però, non è condizionata tanto dalla forma della norma, quanto dalle modalità con cui essa è applicata o, con termine inglese, dal suo enforcement. È evidente, infatti, che una stessa identica norma può essere applicata in maniera diversa e produrre, dunque, effetti diversi sulla perfomance economica dei vari paesi. In particolare, la questione dell’enforcement appare di notevole importanza in relazione alla disciplina del licenziamento senza giusta causa: è tale ambito infatti, che i tribunali (o altri soggetti terzi) rivestono un ruolo centrale nel determinare l’effettiva applicazione delle disposizioni14. Gli indicatori ad oggi disponibili, però, non tentano una misurazione sistematica dell’enforcement a causa principalmente dei notevoli problemi che tale operazione comporterebbe. Come evidenziato in Bertola et al. (2000), Cazes et al. (1999) e Boeri et al. (2001), il primo e più evidente ostacolo alla misurazione dell’enforcement risiede nell’assenza di una fonte di dati certi. Problema che, a sua volta, è la conseguenza della varietà di soluzioni adottate dai diversi paesi (ma anche all’interno dello stesso paese) riguardo ai 14 Bertola et al. (1999) calcolano i coefficienti di correlazione tra i ranking dei tre indici di terzo livello di Ocse (1999) (inconvenienti burocratici, notifica e liquidazione, difficoltà di licenziamento) e quelli di un indice chiamato Jobloss (rapporto tra numero di persone che perdono il lavoro ed occupati) ed un altro detto Incidence (flusso in entrata nella disoccupazione come percentuale dell’occupazione). L’indicatore relativo alla “difficoltà di licenziamento”, che include proprio le disposizioni relative ai licenziamenti senza giusta causa, è quello che presenta la correlazione positiva maggiore e più significativa con i due indicatori del mercato del lavoro: tale risultato segnala, dunque, che la questione del ruolo dei tribunali in questo ambito può avere particolare importanza. 29 soggetti ai quali il lavoratore può fare ricorso contro il licenziamento senza giusta causa: organo amministrativo, tribunale oppure arbitro privato. Gli unici dati reperibili (e solo per alcuni paesi) sono quelli che si riferiscono alle cause per licenziamento senza giusta causa presso i tribunali, mentre difficilmente si possono avere notizie esaurienti su procedure di arbitrato o conciliazione che non coinvolgono lo Stato. Bertola et al. (1999) presentano i dati per diversi paesi sul numero di casi portati in tribunale e la percentuale di questi risolti a favore dei lavoratori (tabella 15). Operando su questi dati, però, si incorre in almeno altri due problemi tra loro connessi: quello di una distorsione nella selezione dei casi (selection bias) e quello della possibile endogeneità della giurisprudenza. La tabella 15 mostra che i paesi nei quali si osserva il maggior numero di casi risolti in favore dei lavoratori sono anche quelli in cui si registra il maggior numero di casi che giungono in tribunale. Ciò suggerisce che una propensione dei giudici a risolvere le controversie in favore dei lavoratori induce questi ultimi a presentare ricorso con maggiore facilità. In questo caso i dati sul coinvolgimento dei tribunali (e quindi sull’enforcement) sarebbero distorti perché non terrebbero conto dell’effetto prodotto dall’atteggiamento del tribunale ancor prima che esso sia chiamato a pronunciarsi su una controversia. D’altra parte, Ichino et al. (2000) osservano che la distorsione nella selezione dei casi può realizzarsi con modalità diverse: se, infatti, le imprese sono consapevoli di una propensione dei giudici a decidere in favore dei lavoratori (che può essere conseguenza del contesto sociale ed economico in cui vive il lavoratore stesso) allora esse possono limitare i licenziamenti a quei soli casi in cui ritengono di avere argomenti molto forti. Di conseguenza solo casi che presentano a priori un’elevata probabilità di esito favorevole alle imprese arriverebbero nei tribunali provocando una riduzione della percentuale di casi risolti in favore dei lavoratori con il rischio di indurre l’osservatore a conclusioni sbagliate. 30 A supporto di questa riflessione, Ichino et al (2000) riportano i dati riferiti ad una grande impresa operante su tutto il territorio italiano mostrando come nel sud del paese solo il 45% delle controversie siano risolte a favore dei lavoratori, mentre nel nord tale dato raggiunge il 60 %. Poiché il mezzogiorno presenta un tasso di disoccupazione pari a tre volte quello settentrionale e non è ragionevole pensare che i tribunali siano propensi a favorire lavoratori che vivono in contesti migliori, si può supporre che sussista una selezione a monte operata direttamente dalle imprese nel modo descritto. La questione dell’endogeneità della giurisprudenza è già stata introdotta a causa della sua stretta interconnessione con il problema della distorsione appena trattato: è probabile che i tribunali chiamati ad esprimersi su una controversia per un licenziamento tengano in considerazione il contesto nel quale vive ed opera il lavoratore e che dunque risultino influenzati dal ciclo economico e dalla presenza o meno di elementi di protezione sociale quali, ad esempio, sussidi di disoccupazione o meccanismi che favoriscono un rapido reinserimento nel mondo del lavoro. Dalla tabella 15, si evince, ad esempio, che i paesi in cui si hanno decisioni più favorevoli ai lavoratori sono anche quelli con livelli più bassi di copertura dei sussidi di disoccupazione. Infine, i dati sulla giurisprudenza possono essere condizionati e distorti dalle molte differenze nelle procedure dei vari paesi: in primo luogo il grado di discrezionalità concesso alle corti nell’interpretazione della giusta causa varia molto ed è un elemento fondamentale perché maggiore è tale discrezionalità, maggiore sarà il peso della distorsione nella selezione e dell’endogeneità della giurisprudenza. A tale proposito, si deve osservare che gli indicatori proposti da Ocse (1999) non tengono in considerazione questo elemento poiché la voce “definizione di licenziamento ingiusto” valuta soltanto se la capacità del lavoratore è inclusa tra i motivi per un licenziamento legittimo, senza, però, considerare la discrezionalità lasciata ai tribunali nell’interpretazione di tale definizione. Inoltre, il coinvolgimento o meno dei sindacati nella causa, la dimensione della 31 eventuale sanzione, i costi del procedimento e la sua durata sono tutti elementi altamente variabili da un paese all’altro e che possono contribuire a spiegare differenze nei dati sulla giurisprudenza (Bertola et al., 1999). In conclusione, sebbene sia chiara la necessità di una misura del grado di effettiva applicazione dei regimi di protezione dell’impiego, i dati disponibili ad oggi non sembrano essere idonei a descrivere correttamente tale fenomeno. La grandissima disomogeneità delle soluzioni procedurali adottate nei vari paesi suggerisce che il ruolo dell’enforcement possa essere analizzato con maggiore accuratezza considerando casi specifici piuttosto che compiendo una vasta analisi cross-country. 2.4.3. Una serie storica con indicatori cardinali: Blanchard e Wolfers (2000) Blanchard e Wolfers (2000) hanno cercato di ovviare al problema della mancanza di una serie storica sull’employment protection combinando i risultati di due contributi precedenti: quello di Lazear (1990) e quello di Ocse (1999). Il panel ottenuto contiene informazioni su 25 paesi dell’Ocse riferite a 8 intervalli temporali ricavate nel modo seguente15: 1) 1995-99: viene impiegato l’indicatore di Ocse (1999) nella versione che non include i licenziamenti collettivi. 2) 1990-94: viene effettuata un’interpolazione lineare tra i valori del 1985-89 e 1995-99. 3) 1985-89: viene impiegato l’indicatore di Ocse (1999) riferito alla fine degli anni ’80. Per quei paesi per i quali tale indicatore non è 15 Le informazioni seguenti provengono da Blanchard e Wolfers (1999) e sono disponibili online all’indirizzo: http://facultygsb.stanford.edu/wolfers/data/blanchardwolfers/Data%20Appendix%20fo r%20Blanchard%20and%20Wolfers.pdf 32 disponibile, Blanchard e Wolfers (2000) hanno verificato che non sono intercorsi sostanziali cambiamenti nella regolamentazione rispetto al periodo 1995-99 e, dunque, hanno adottato lo stesso indicatore del punto 1. 4) 1980-84: gli autori ritengono non vi siano stati cambiamenti rilevanti rispetto al periodo successivo per cui adottano lo stesso indicatore. 5) 1975-79, 1970-74, 1965-1969, 1960-1964: vengono adottati gli indicatori di Lazear (1990) relativi al periodo di notifica e alla liquidazione per gli anni 1956-1984. Per i paesi per i quali Lazear (1990) non ha raccolto i dati, Blanchard e Wolfers (2000) impiegano per tutti gli intervalli lo stesso valore individuato per il 1985-89. Per i paesi per i quali soltanto una delle due variabili è stata individuata da Lazear (1990), l’altra viene stimata assumendo che il rapporto tra periodo di notifica e liquidazione osservato per la fine degli anni ‘80 dall’Ocse sia lo stesso in tutti i periodi precedenti. Infine i dati distinti per notice e severance pay del punto 5 vengono aggregati con una procedura che cerca di avvicinarsi a quella di Ocse (1999): i due indici vengono convertiti in una scala da 0 a 6 e poi viene eseguita una media tra i due attribuendo peso maggiore alla liquidazione. L’indicatore così ottenuto è assunto come proxy dell’employment protection e le sue variazioni percentuali sono impiegate per proiettare indietro nel tempo la serie storica ricavata nei punti 1-4 sulla base dei dati di Ocse (1999). La tabella 16 riporta i risultati di Blanchard e Wolfers (2000)16. Come si può osservare, gran parte dei paesi non mostrano variazioni significative dell’indicatore di employment protection lungo il periodo considerato: ben 12 paesi su 25 non presentano alcuna variazione nel corso del tempo. La figura 1, inoltre, evidenzia la scarsa dinamica Dal confronto dei dati delle colonne 1985-9 e 1995-8 emergono leggere differenze tra tali indicatori e quelli pubblicati in Ocse (1999): tali discrepanze sono probabilmente dovute all’uso da parte di Blanchard e Wolfers (2000) di una versione preliminare degli indicatori di Ocse (1999). 33 16 dell’indicatore per quei paesi nei quali esso è variato nell’arco di tempo considerato: limitandosi ad osservare l’Italia si rileva che la serie non mostra alcuna variazione tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Ottanta, nonostante in tale periodo siano state introdotte norme (lo Statuto dei lavoratori) che generalmente si ritiene abbiano aumentato il grado di rigidità dei regimi a protezione dell’impiego. Per quanto concerne la metodologia impiegata per la costruzione dell’indicatore, essa rappresenta indubbiamente una proposta interessante per il superamento del limite della mancanza di una serie storica per questi dati. L’aspetto che suscita maggiori perplessità, però, è rappresentato dalla procedura descritta al punto 5: tale procedura si basa l’ipotesi implicita che le variazioni degli indicatori di Lazear (1990) possano in qualche modo riflettere quelle degli indicatori dell’Ocse (1999). Tuttavia le misurazioni del notice e severance pay di Lazear (1990) sono in realtà riferite al caso di un operaio con dieci anni di anzianità. L’indicatore di Ocse (1999) si basa, invece, su una definizione molto più ampia dell’employment protection e gli stessi indici di notice e severance pay che vi sono inclusi fanno riferimento a fattispecie diverse17. L’ipotesi formulata, dunque, sembra essere giustificata più dall’esigenza di ricavare una serie storica che da una sua intuitiva ragionevolezza. Sebbene dunque rappresentino un tentativo interessante di superare il problema della mancanza di una serie storica, gli indicatori proposti da Blanchard e Wolfers (2000) non appaiono convincenti né sul piano informativo né su quello metodologico. Infatti in Ocse (1999) sono calcolate con riferimento a tre diversi periodi di anzianità e come media tra impiegati ed operai. 17 34 3. Gli indicatori “soggettivi” La questione della definizione delle componenti dell’employment protection legislation è stata solo marginalmente affrontata dagli autori che hanno tentato una misurazione dell’intensità della regolamentazione facendo ricorso ai risultati di indagini condotte presso le imprese. In tali indagini, infatti, l’imprenditore è generalmente chiamato ad esprimere una valutazione di ordine generale circa il complesso delle disposizioni che regolano le assunzioni ed i licenziamenti e non a compiere un esame dettagliato delle singole componenti della regolamentazione. La “soggettività” degli indicatori basati su survey deriva proprio dall’ampio margine di libertà che gli intervistati hanno nel definire l’oggetto della valutazione, nonché, evidentemente, dalla possibilità che le valutazioni risentano di considerazioni relative a fattori diversi dalla regolamentazione del mercato del lavoro. Nei prossimi paragrafi vengono presentati alcuni indicatori basati su indagini compiute presso le imprese discutendone i principali vantaggi e limiti18. 3.1. Le inchieste Le survey prevalentemente utilizzate in letterature sono: 1) European Union ad hoc labour market survey (effettuata nel 1985, 1989 e 1994): alle imprese viene chiesto di indicare come giudicano il ruolo di dieci fattori, individuati dai ricercatori, nel limitare l’espansione dell’occupazione (European Commission, 1991 e 1995): molto importante, importante o non importante. Uno degli elementi che le imprese sono chiamate a valutare è la “insufficiente flessibilità delle procedure di assunzione e di Alcuni contributi impiegano i risultati di queste survey valutandone la coerenza con indicatori di tipo oggettivo (Grubb e Wells 1993, Ocse 1994, Ocse 1999). 35 18 licenziamento” (solo “licenziamento” nel 1994) che, certamente, è quello che maggiormente si avvicina al concetto di employment protection. Negli anni 1989 e 1994, l’indagine è stata condotta distinguendo tra imprese industriali e di distribuzione al dettaglio ed inoltre i dati vengono forniti aggregati in diversi modi (produttori di beni finali o d’investimento ed imprese di varie dimensioni). Un aspetto rilevante di questa indagine è l’ampiezza del campione: nel 1994 furono coinvolte circa 23.000 imprese industriali e 10.000 imprese di distribuzione, per una forza lavoro totale di circa 9,3 milioni di persone19. 2) Indagine dell’International Organization of Employers (IOE, realizzata nel 1985): essa ha il forte limite di non fornire alcuna possibilità di confronto intertemporale essendo stata effettuata solo nel 1985. I questionari, distribuiti dalle organizzazioni datoriali di 18 paesi europei più il Canada e la Nuova Zelanda, chiedevano alle imprese di indicare l’importanza dei limiti regolamentativi ai licenziamenti ed all’impiego del lavoro atipico (contratti a tempo determinato, agenzie di lavoro temporaneo, e part-time). Le possibili risposte erano: insignificant, minor, serious, fundamental. 3) World Competitiveness Report (WCR): pubblicato annualmente, riporta le risposte fornite dai manager di imprese operanti in paesi di tutto il mondo. L’indagine raccoglie informazioni qualitative e quantitative su un numero elevato di elementi che condizionano il livello di competitività di un paese. Il quesito di maggiore interesse per quanto concerne la regolamentazione del mercato del lavoro è variato nel corso del tempo: tra il 1985 ed il 1990, i manager dovevano valutare la “flexibility of the enteprise to adjust job security and compensation standards to economic realities” (la flessibilità delle imprese nell’adattare le disposizioni a tutela del lavoro e gli standard di compensazione alle realtà economiche; T.D.A.); tra il 1991 ed il 1996 è stato chiesto di indicare se “hiring and firing practises are too restricted by government or flexible enough” (assunzioni e licenziamenti sono eccessivamente limitati dalla Cfr. Corsi e Klein (1996). 36 19 legge o se sono sufficientemente flessibili; T.D.A.); dal 1997 la domanda è divenuta se “ “Labour regulations (hiring and firing practices, minimum wages…) are too restrictive/are flexible enough” (la regolamentazione del lavoro è troppo restrittiva o sufficientemente flessibile; T.D.A.). I dati sono disponibili dal 1985 e fino al 1999, ma la dimensione del campione si è progressivamente ridotta a causa della diminuzione nel numero di risposte fornite dalle imprese. Ad esempio, nel 1987 si sono avute soltanto 2500 risposte per 46 paesi, con una media di 54 risposte per paese (Morgan e Mourougane, 2001). 3.2. I principali indicatori “soggettivi” I risultati delle indagini condotte dalla Commissione Europea e dall’IOE sono stati utilizzati senza particolari elaborazioni da Grubb e Wells (1993) e Ocse(1994, 1999) per operare un confronto con i rispettivi indicatori. È interessante osservare i risultati riportati nella tabella 17. In essa i ranking dell’Ocse (1999) sono stati ricalcolati per tenere conto dei soli paesi inclusi nell’indagine della Commissione Europea del 1989. Quello presentato è probabilmente il confronto più utile a valutare le conseguenze dell’adozione di un indicatore soggettivo: infatti, sebbene il periodo di riferimento non sia esattamente lo stesso, non esistono dati dell’Ocse e della Commissione che presentino una vicinanza temporale “migliore”. Pertanto, eventuali differenze dovute a variazioni dell’EPL sono minimizzate ed emergono con maggiore chiarezza gli effetti dei diversi modi di misurazione. Il ranking relativo alla survey della Commissione Europea è ottenuto in Ocse (1999) sulla base della percentuale di imprese che hanno definito “molto importante” o “importante” il ruolo delle regole sui licenziamenti e sulle assunzioni nel limitare l’espansione dell’occupazione. 37 Come si vede, il coefficiente di correlazione tra i due ranking è molto basso ed appaiono marcate differenze tra i piazzamenti di alcuni paesi (Portogallo, Grecia e Olanda in particolare). Sulla base di queste osservazioni, non è possibile giungere ad una conclusione certa su quale dei due indicatori sia migliore: le differenze potrebbero essere infatti imputabili ad una maggiore capacità dell’indicatore soggettivo di cogliere l’effettivo grado di rigidità delle norme in interazione con il contesto generale, oppure ad una distorsione nella visione della realtà da parte degli intervistati a causa di situazioni contingenti quali, ad esempio, il ciclo economico o il dibattito politico. Grubb e Wells (1993) sottolineano anche che la presenza, riflessa nel campione, di ampie fasce di imprese alle quali non si applicano (per dimensione o per categoria) alcune rigide disposizioni, può determinare uno scostamento tra il livello di employment protection “nominale” e quello “percepito” dalle imprese: questa osservazione ripropone il difficile tema della ponderazione delle componenti dell’EPL nella costruzione dell’indicatore generale. Risultati diversi si ottengono osservando i dati ricavati in Di Tella e MacCulloch (1999) dal World Competitiviness Report: la tabella 18 pone a confronto la media dell’indicatore WCR per gli anni 1984-1990 e l’indicatore per la fine degli anni ‘80 dell’Ocse (1999). Si noti che il WCR offre una misurazione della flessibilità su una scala da 0 a 100, mentre in Ocse (1999) viene misurata la rigidità: la correlazione tra i due indicatori deve dunque essere negativa. I ranking della tabella, invece, sono stati calcolati in modo da ottenere un ordine confrontabile. La correlazione tra i due indicatori appare molto più forte rispetto a quella osservata in precedenza. A conferma di una certa “vicinanza” tra questo indicatore soggettivo e quelli costruiti secondo lo schema dell’Ocse, Morgan e Mourougane (2001) riscontrano una correlazione pari a 0,84 tra gli indicatori costruiti in Nicoletti et al. (2000) con l’impiego dell’analisi fattoriale e i dati ricavati dal WCR. Nello stesso paper viene evidenziata la bassa correlazione (0,46) tra i ranking ottenuti in base al WCR e quelli elaborati dalle indagini della Commissione. 38 3.3. Una serie storica ricavata dalla survey della Commissione europea Morgan et al. (2001) avanzano una proposta diversa per l’impiego dei dati delle survey della Commissione europea. In primo luogo, sulla base delle risposte fornite alle indagini del 1984, 1989 e 1994 costruiscono un indicatore per 10 paesi europei assegnando un punteggio di 2 alla risposta “molto importante”, 1 ad “importante” e 0 per le altre risposte20. In secondo luogo, allo scopo di determinare quali siano gli elementi che influenzano le risposte delle imprese, gli indicatori vengono regrediti su una serie di variabili. Attraverso una regressione OLS, Morgan et al. (2001) riscontrano la significatività dei coefficienti per le seguenti variabili21 (in parentesi il segno): 1) Legislation (+): include una misura del periodo di notifica e della severance pay (secondo la definizione di Lazear, 1990). 2) Qualifying period (-): è il periodo di tempo intercorrente tra l’assunzione e la maturazione del diritto a presentare ricorso per licenziamento ingiusto (chiamato nelle precedenti sezioni periodo di prova). 3) Union Density (+): un indicatore della presenza dei sindacati espressa dalla percentuale di lavoratori iscritti. 4) TemporarySelf (-): percentuale di occupati autonomi o temporanei. I segni delle relazioni sono coerenti con quanto atteso: una maggiore rigidità legislativa ed una più forte presenza dei sindacati generano nelle imprese l’impressione di una maggiore rigidità, mentre un prolungato periodo di prova del lavoratore ed una diffusa 20 Il data base ottenuto, però, conta 28 osservazioni a causa della mancanza dei dati per Spagna e Portogallo nella survey del 1984. 21 Non risultano significativi, invece, i coefficienti della variabile Training (proporzione di lavoratori che ha ricevuto formazione sul posto di lavoro) e Coverage (proporzione dei lavoratori soggetti agli accordi collettivi). 39 possibilità di impiego dei contratti atipici determinano una più forte percezione di flessibilità. I coefficienti individuati con la regressione OLS vengono applicati alle serie storiche delle variabili con impatto significativo per ottenere le stime degli indicatori, detti di “employment security”, per gli anni tra il 1980 ed il 1994 per i quali non sono direttamente ricavabili dalle surveys. L’aspetto più interessante di questi indicatori è proprio il fatto che essi sono determinati sulla base di una pluralità di elementi e non esclusivamente dalle disposizioni regolamentative: essi tendono a cogliere la rilevanza di un insieme di fattori istituzionali che condizionano le opinioni ed i comportamenti delle imprese e dei quali è opportuno tenere conto. 3.4. Employment protection o employment security? Il concetto di employment security utilizzato in Morgan et al. (2001) per definire gli indicatori ricavati dalle survey della Commissione europea è più ampio di quello fin qui considerato di employment protection legislation. Secondo la definizione proposta da Buechtemann (1993) e ripresa da Morgan et al. (2001), l’employment security a livello microeconomico esprime la prospettiva che un lavoratore mantenga il proprio impiego in una determinata azienda o organizzazione. Tale prospettiva non è fornita esclusivamente dalla presenza di leggi a protezione del lavoratore, ma da un insieme di fattori tra i quali, ad esempio, la presenza e la forza di un sindacato in grado di difendere efficacemente l’interesse del lavoratore occupato: dunque l’EPL è solo una determinante dell’employment security. Secondo l’analisi di Standing (1999), ampliata da Daskupta (2001), si possono ottenere sia indicatori oggettivi che soggettivi per l’employment security. La costruzione di un indicatore oggettivo di employment security richiederebbe, però, la sintesi di un gran numero di informazioni relative ad una varietà di istituzioni che influenzano il livello di security dell’occupazione: limitandosi a quelle ritenute significative in Morgan et al. (2001) si tratterebbe di aggregare i dati 40 sulla diffusione dei sindacati con alcuni indici di EPL, nonché con i dati sulla diffusione delle forme di lavoro atipico ed autonomo. Tale operazione appare molto complessa sia per la difficoltà di individuare tutte le componenti da includere nella misurazione, sia per l’annosa questione della ponderazione delle diverse componenti già affrontata in queste pagine con riguardo alla sola EPL: in Morgan et al (2001) i pesi vengono ricavati da regressioni OLS sui dati delle survey, introducendo dunque un elemento di soggettività, mentre in Daskupta (2001) si propone l’adozione di pesi identici per indicatori solo in parte coincidenti con quelli individuati da Morgan et al. (2001). Sull’altro versante, l’impiego di un indicatore soggettivo di employment security impone in primo luogo la necessità di scegliere se adottare la prospettiva dell’impresa o del lavoratore: le valutazioni espresse dalle due categorie di agenti possono differire a causa di asimmetrie informative, e, anche ipotizzando informazione simmetrica, il peso attribuito ai diversi fattori istituzionali risente molto probabilmente dei diversi interessi in gioco. Inoltre, entrambi i punti di vista possono risultare condizionati da circostanze contingenti quali, ad esempio, l’andamento del ciclo economico o della propria azienda od anche dallo stato del dibattito politico in merito a questi temi (Grubb e Wells, 1993). A tal proposito si deve rilevare che in Di Tella e MacCulloch (1999) viene testata l’ipotesi di correlazione tra gli indicatori soggettivi di flessibilità ricavati dal WCR (dunque basati sulle opinioni delle imprese) e “vari indicatori di business cycle” (p. 7): in nessun caso l’evidenza suggerisce l’esistenza di tale correlazione. Nell’Employment Outlook 1997 dell’Ocse, però, si ravvisa che la diversa percezione di insicurezza del proprio impiego da parte dei lavoratori in vari paesi è in parte spiegata dal ciclo economico. Allo stesso tempo, l’aumento dell’insicurezza percepita dai lavoratori tra gli anni ‘80 e ‘90 non è coerente con la sostanziale stabilità degli indicatori oggettivi (durata media dell’impiego e probabilità di rimanere con un determinato datore di lavoro). Inoltre, il modo in cui sono formulate le domande ed una loro eventuale variazione nel corso del tempo possono produrre 41 distorsioni nelle risposte o, comunque, modificare il significato dei risultati dell’inchiesta. Ad esempio, nelle prime due survey della Commissione europea la domanda rivolta alle imprese faceva riferimento all’“insufficiente flessibilità nelle assunzioni e nei licenziamenti” mentre nel 1994 soltanto all’“insufficiente flessibilità nei licenziamenti”. E’ dunque possibile che nelle prime due edizioni dell’inchiesta alcune imprese abbiano giudicato “molto importante” tale elemento perché preoccupate di una scarsa flessibilità nelle assunzioni, ma non abbiano fatto lo stesso nel 1994 dal momento che in quel caso l’attenzione era limitata ai licenziamenti (Morgan et al. 2001). Si è già detto, inoltre, che la domanda sulla flessibilità nella indagine del WCR ha subito diverse variazioni nel corso del tempo. Se, dunque, un indicatore oggettivo di employment security è di difficile realizzazione, quello soggettivo è di dubbia utilità: sembra quindi opportuno abbandonare il tentativo di rappresentare con un unico indicatore l’esteso concetto di employment security e limitarsi a considerare il suo particolare aspetto costituito dall’EPL, pur tenendo presenti i problemi che la misurazione di quest’ultimo comporta22. Laddove sia necessario ai fini dell’analisi sarà chiaramente possibile inserire nei modelli di verifica empirica le variabili rappresentative degli altri elementi istituzionali che influiscono sull’emploment security. 42 22 4. Considerazioni conclusive In questo lavoro si è definito un quadro delle principali proposte per la misurazione dell’intensità dei regimi a protezione dell’impiego rivolgendo l’attenzione prevalentemente a questioni di carattere metodologico piuttosto che ad una valutazione puntuale della correttezza delle informazioni considerate dai diversi autori. Per tentare un’analisi sistematica del tema, si è proposta una classificazione di massima degli indicatori di EPL in due categorie distinguendo tra indicatori soggettivi ed oggettivi. Gli indicatori soggettivi sono costruiti sulla base di indagini condotte presso le imprese, riflettendo dunque valutazioni caratterizzate da un certo grado di soggettività sia sul piano definitorio che su quello della vera e propria misurazione. Questo tipo di indicatori possono fornire un’indicazione del grado di rigidità effettivamente percepito dalle imprese: in tal senso si può affermare che essi tendano a misurare un fenomeno più ampio dell’employment protection legislation, includendo anche tutti quegli elementi istituzionali che, in interazione con l’EPL, condizionano i comportamenti delle imprese. Data la loro natura, gli indicatori soggettivi possono essere facilmente soggetti a distorsioni a causa di situazioni contingenti (l’andamento del ciclo economico o dell’azienda dell’intervistato, ad esempio) ed anche per il modo in cui le domande sono formulate o modificate nel corso del tempo. Essi, infine, presentano il vantaggio di rendere più semplice (almeno in linea teorica) l’aggiornamento dei dati facendo ricorso ad inchieste condotte sistematicamente. Gli indicatori oggettivi, invece, non risentono della valutazione di una particolare classe di agenti, ma sono costruiti dal ricercatore sulla base dell’osservazione diretta dei diversi regimi regolamentativi. Questi indicatori, anche nelle loro versioni cardinali più recenti, presentano dei limiti legati alla natura stessa dell’oggetto che intendono misurare. In primo luogo, la molteplicità delle fonti da cui provengono le disposizioni a protezione del posto di lavoro rende particolarmente 43 difficile il monitoraggio costante dell’EPL e, quindi, l’aggiornamento degli indicatori per la costruzione di una serie storica. In secondo luogo, è chiaro che ciò che produce un effetto sul comportamento degli agenti non è il mero testo normativo, ma il modo in cui una norma trova applicazione, ovvero il suo enforcement: questo aspetto non è sistematicamente misurato da nessuno degli indicatori proposti in letteratura a causa della mancanza di dati specifici. Nonostante questi problemi, se l’attenzione del ricercatore è rivolta specificamente alla regolamentazione dei rapporti di lavoro, gli indicatori oggettivi appaiono preferibili rispetto a quelli soggettivi perché hanno una maggiore capacità di isolare l’EPL dagli altri fattori istituzionali che possono contribuire a determinare il grado di rigidità complessivo del mercato del lavoro. Nell’ambito degli indicatori oggettivi, sono stati proposti sia indicatori di tipo ordinale che cardinale. Le misure ordinali presentano l’inconveniente di essere poco utili per un’analisi temporale dell’evoluzione dell’EPL in quanto la posizione relativa di un paese può variare anche senza che si verifichi nello stesso paese alcuna variazione delle norme, semplicemente perché altre nazioni introducono riforme. Nella costruzione degli indicatori cardinali ha notevole importanza, almeno in linea teorica, il sistema di ponderazione adottato nell’aggregazione dei dati per l’influenza che questo può avere sui risultati finali della misurazione. Tuttavia, gli indicatori proposti in letteratura che impiegano diversi sistemi di ponderazione non presentano differenze particolarmente rilevanti. Questo dato è già stato illustrato in precedenza, ma è utile riportare in questa sezione conclusiva la tabella 19 che mostra una maggiore correlazione tra i ranking ottenuti sulla base degli indicatori dell’Ocse (1999) indicatore oggettivo cardinale con pesi stabiliti dai ricercatori - e quelli ottenuti in Nicoletti et al. (2000) - indicatore oggettivo cardinale con pesi ricavati con l’analisi fattoriale - che tra questi ultimi e quelli ordinali ottenuti con il metodo ranking-average-ranking nel Jobs Study dell’Ocse del 1994. 44 Si evidenzia, dunque, una variazione importante dei ranking nel passaggio da una misura ordinale ad una cardinale, ma una scarsa variazione degli stessi quando si modificano gli schemi di ponderazione adottati per gli indicatori cardinali. Questo secondo dato è chiaramente confermato anche per i valori assoluti assegnati ai singoli paesi come si vede nella figura 2 in cui sono riportati gli indicatori dell’Ocse (1999) e di Nicoletti et al. (2000) riferiti alla fine degli anni ‘90: l’attribuzione del peso di ciascuna componente dell’EPL sulla base della sua varianza cross-country porta a piccoli aumenti degli indicatori di quasi tutti i paesi. In conclusione, l’analisi svolta ha mostrato che in letteratura sono state avanzate proposte anche sostanzialmente diverse per la misurazione dell’intensità della regolamentazione del mercato del lavoro e che i miglioramenti compiuti sul piano metodologico hanno comunque lasciato aperte alcune questioni che appaiono di difficile soluzione. Queste osservazioni indicano che esiste certamente ancora ampio spazio per ulteriori miglioramenti e suggeriscono particolare prudenza nell’interpretazione dei risultati quando si voglia far uso anche dei migliori indicatori disponibili in letteratura. 45 TAVOLE 46 Tab. 1 - Ranking di rigidità calcolato da Bertola (1990) 1. Italia 2. Belgio 3. Francia 4. Svezia 5. Germania 6. Giappone 7. Regno Unito 8. Olanda 9. Danimarca 10. Stati Uniti Fonte: Bertola (1990) Tab. 2 - Le componenti dell'EPL in Grubb e Wells (1993) 3° livello 2° livello 1° livello Procedure Inconvenienti burocratici Ritardo nella notifica Licenziamenti individuali Pre-avviso e liquidazione Periodo di notifica Liquidazione Definizione di licenziamento ingiusto Periodo di prova Difficoltà di licenziamento Indennizzo dopo 20 anni Reintegro Casi di validità Contratti a termine Numero max di rinnovi consecutivi Durata massima cumulata Tipi di lavoro per cui è legale Lavoro Numero di rinnovi temporaneo Agenzie di lavoro Durata massima cumulata temporaneo Possibilità per l'utilizzatore finale di terminare il contratto Orario max di lavoro Settimane annuali normali normale Orario settimanale normale Straordinari annuali massimi Orario di lavoro Flessibilità nella distribuzione delle ore Flessibilità dell'orario Riposo settimanale minimo 47 Restrizioni al lavoro notturno Fonte: elaborazioni su Grubb e Wells (1993) Tab.3 - Esempio degli indicatori utilizzati in Grubb e Wells (1993): macrocategoria "licenziamenti individuali". Periodo di notifica e Inconvenienti liquidazione per licenziamenti Difficoltà di licenziamento burocratici senza colpa Paesi Ritardo Anni di anzianità del Def. Lic. Periodo di Indennizzo Reintegro Procedure nella lavoratore: ingiusto prova notifica 4y 20 y 9m Belgio 2,5 Danimarca 1 Francia 5 Germania 10,5 Grecia 7,5 Irlanda 5 Italia 5 Olanda 10,5 Portogallo 7,5 Spagna 9 Regno Unito 2,5 Fonte: Grubb e Wells (1993) 5 1,5 8 7 3 5 1,5 10 9 11 5 11 10 5 5 5 1,5 8 3 7 9 1,5 8 6 5 1,5 7 3 11 1,5 9 10 4 8 4 3 1 9 5 11 2 10 7 6 3,5 3,5 3,5 9,5 7,5 3,5 3,5 7,5 11 9,5 3,5 4 5 9 3 6,5 2 11 6,5 10 8 1 5 2,5 6 7 2,5 9 10 1 8 11 4 2,5 6 2,5 8,5 8,5 6 10,5 6 10,5 2,5 2,5 Tab. 4 - Gli indicatori cardinali di Grubb e Wells (1993) Indicatori aggregati Paesi Regolamentazio Regolamentazione Regolamentazion ne dei lic. dei contratti a e del lavoro Individuali termine interinale (A) Belgio 4 Danimarca 2 Francia 5,5 Germania 7 Grecia 8 Irlanda 3 Italia 9 Olanda 5,5 Portogallo 10,5 Spagna 10,5 Regno Unito 1 Fonte: Grubb e Wells (1993). 48 (B) 11 2 8 9 7 2 10 4,5 6 4,5 2 (C) 8 5 3 6 10 1,5 10 4 7 10 1,5 Restrizioni sull'orario settimanale normale (D) 10 11 7 8,5 4 2 6 8,5 3 5 1 Restrizioni su Restrizioni sul straordinari, lavoro di flessibilità nel dipendenti week-end e lavoro regolari notturno (E) 5 2 7,5 6 10 3,5 3,5 7,5 11 9 1 (A+D) 4 2 7 7 9 3 5 7 11 10 1 Restrizioni sul lavoro di tutti i dipendenti (A+B+D) 5 2 6 7 10 3 8 4 11 9 1 Tab. 5 - I ranking calcolati in Ocse (1994). Contratti Contratti a Paese regolari termine Ranking medio Belgio Danimarca Francia Germania Grecia Irlanda Italia Olanda Portogallo Spagna Regno Unito 5 4 6 9,5 12 3 14 7 16 15 2 16 2,5 13 14,5 10 2,5 14,5 7,5 9 7,5 2,5 10,5 3,25 9,5 12 11 2,75 14,25 7,25 12,5 11,25 2,25 Austria Finlandia Norvegia Svezia Svizzera 13 9,5 8 11 1 5 11,5 11,5 6 2,5 9 10,5 9,75 8,5 1,75 … … 1,65 … … 0,36 … … 3,71 … … 3,26 Nuova Zelanda (1) … … 0,72 1: Dati in corsivo sono stime di dati mancanti attraverso estrapolazioni o regressioni. Fonte: Ocse (1994) Canada (1) Stati Uniti (1) Giappone (1) Australia (1) Tab. 6 - Confronto tra i ranking di Ocse (1994) e Grubb e Wells (1993) Paesi Belgio Danimarca Francia Germania Grecia Irlanda Italia Olanda Portogallo Spagna Regno Unito OECD 94 Tab. 5 R-A-R 10,5 3,25 9,5 12 11 2,75 14,25 7,25 12,5 11,25 2,25 6 3 5 9 7 2 11 4 10 8 1 Grubb & Wells 5 2 6 7 10 3 8 4 11 9 1 Rank 0,87 correlation Fonte: elaborazioni su dati da Ocse(1994) e Grubb e Wells (1993). 49 Tab. 7 - Gli indicatori per la regolamentazione dei licenziamenti collettivi in Oecd (1999) Definizione di numero di lavoratori che devono essere coinvolti perché si licenziamento collettivo applichi la normativa sui licenziamenti collettivi. Requisiti di notifica addizionali Licenziamenti collettivi Ritardi addizionali eventuale obbligo per il datore di lavoro di informare i rappresentanti sindacali e/o le autorità pubbliche prima di procedere al lic. Collettivo. giorni aggiuntivi rispetto a quelli previsti per il licenziamento individuale necessari affinché il rapporto di lavoro possa essere effettivamente interrotto. oneri aggiuntivi per il datore sia in termini di liquidazione Altri costi per il datore da corrispondere ai lavoratori sia di partecipazione a piani di lavoro volti a favorire il reinserimento dei lavoratori. Fonte: Ocse (1999) Tab. 8 - La procedura di aggregazione in Ocse (1999) 4°Livello 3°Livello 2°Livello Procedure 1/3 1°Livello Procedure Ritardo nella notifica Periodo di notifica per anzianità del lavoratore: Pre-avviso e Contratti liquidazione 1/3 Liquidazione per anzianità del regolari 5/12 lavoratore: Definizione di licenziamento ingiusto Difficoltà di Periodo di prova licenziamento Indicatore Indennizzo 1/3 generale di Reintegro EPL Casi di validità Contratti a Numero di rinnovi termine 1/2 Lavoro Durata massima cumulata temporaneo Agenzie di Tipi di lavoro per cui è legale 5/12 Numero di rinnovi lavoro temporaneo 1/2 Durata massima cumulata Definizione Requisiti d notifica aggiuntivi Licenziamenti collettivi 2/12 Ritardi aggiuntivi Altri costi speciali Fonte: Ocse (1999). 50 9m 4a 20a 9m 4a 20a 1/2 1/2 1/7 1/7 1/7 4/21 4/21 4/21 1/4 1/4 1/4 1/4 1/2 1/4 1/4 1/2 1/4 1/4 1/4 1/4 1/4 1/4 Tab. 9 - Gli indicatori di Ocse (1999) Paesi Lavoro regolare Lavoro temporaneo Licenziamenti collettivi Rigidità complessiva Versione 1 Versione 2 Anni 80 Anni 90 Anni 90 Rank Fine '80 Fine '90 Fine '80 Fine '90 Rank Rank Fine '90 Europa Centr. e Occidentale Austria Belgio Francia Germania Irlanda Olanda Svizzera Regno Unito 2,6 1,5 2,3 2,7 1,6 3,1 1,2 0,8 2,6 1,5 2,3 2,8 1,6 3,1 1,2 0,8 1,8 4,6 3,1 3,8 0,3 2,4 0,9 0,3 1,8 2,8 3,6 2,3 0,3 1,2 0,9 0,3 3,3 4,1 2,1 3,1 2,1 2,8 3,9 2,9 2,2 3,1 2,7 3,2 0,9 2,7 1 0,5 8 13 10 14 4 11 6 2 2,2 2,1 3 2,5 0,9 2,1 1 0,5 15 13 21 18 4 14 6 2 2,3 2,5 2,8 2,6 1,1 2,2 1,5 0,9 15 16 21 20 5 13 7 2 Europa meridionale Grecia Italia Portogallo Spagna Turchia 2,5 2,8 4,8 3,9 .. 2,4 2,8 4,3 2,6 2,6 4,8 5,4 3,4 3,5 .. 4,8 3,8 3 3,5 4,9 3,3 4,1 3,6 3,1 2,4 3,6 4,1 4,1 3,7 .. 16 18 19 17 .. 3,6 3,3 3,7 3,1 3,8 24 23 25 22 26 3,5 3,4 3,7 3,1 3,5 24 23 26 22 25 Paesi nordici Danimarca Finlandia Norvegia Svezia 1,6 2,7 2,4 2,8 1,6 2,1 2,4 2,8 2,6 1,9 3,5 4,1 0,9 1,9 2,8 1,6 3,1 2,4 2,8 4,5 2,1 2,3 3 3,5 7 9 12 15 1,2 2 2,6 2,2 8 12 19 16 1,5 2,1 2,6 2,6 8 11 19 18 .. .. .. 2,8 2,1 2,2 .. .. .. 0,5 0,6 1 4,3 3,4 3,9 .. .. .. 1,7 1,4 1,6 11 9 10 2,1 1,7 2 12 9 10 Nord America Canada Messico Stati Uniti 0,9 .. 0,2 0,9 2,3 0,2 0,3 .. 0,3 0,3 .. 0,3 3,4 3,8 2,9 0,6 .. 0,2 0,6 .. 0,2 3 1,1 4 1 0,7 1 Asia e Oceania Australia Giappone Corea Nuova Zelanda 1 2,7 .. .. 1 2,7 3,2 1,7 0,9 .. .. .. 0,9 2,1 2,1 0,4 2,6 1,5 1,9 0,4 Economie in transizione Repubblica Ceca Ungheria Polonia 3 1 0,9 5 0,9 5 1,2 6 .. 2,4 17 2,3 14 .. 2,6 20 2,5 17 .. 1 7 0,9 3 La versione 1 include "collective dismissal" Fonte: Ocse (1999). 51 Tab. 10 - Confronto tra i ranking di Ocse (1994) e quelli ricavati da Ocse (1999) Ocse 94 Ocse 99 Anni 80 Rank (1) Anni 80 (2) 8 5 7 13 10 10 10 7 8 14 11 14 4 2 3 11 8 5 6 3 1 2 1 2 16 13 12 18 15 16 19 16 15 17 14 13 7 4 4 9 6 10 12 9 9 15 12 6 Spearman Rank 0,86 Correlation 1: Rank ricalcolato con i soli paesi considerati 2: Rank ottenuto con il metodo r-a-r applicato alle Tab. 6.5 e 6.6 in Ocse (1994) Austria Belgio Francia Germania Irlanda Olanda Svizzera Regno Unito Grecia Italia Portogallo Spagna Danimarca Finlandia Norvegia Svezia Fonte: Elaborazioni su dati Ocse (1994) e Ocse (1999). Tab. 11 - La procedura di aggregazione in Nicoletti et al (2000) Procedure Inconvenienti burocratici Ritardo nella notifica (0.44) Definizione di lic. ingiusto Contratti Indennizzo per lic. ingiusto regolari Costo diretto del Liquidazione licenziamento (0.30) Reintegro per lic. Ingiusto Pre-avviso e periodo di Pre-avviso prova (0.26) Periodo di prova Fonte: Nicoletti et al (2000). Tab. 12 - La procedura di aggregazione in Nicoletti et al (2000) Tipi di lavoro per cui è legale l'interinale Casi in cui sono legali i Procedure (0.60) contratti a termine Numero max di rinnovi Lavoro contratti a termine temporaneo Rinnovi contratti interinale Durata max cumulata contratti a termine Durata massima (0.40) Durata max cumulata interinale Fonte: Nicoletti et al (2000). 52 0,30 0,28 0,25 0,13 0,41 0,37 0,44 0,40 0,24 0,24 0,22 0,22 0,35 0,37 Tab. 13 - Confronto tra i ranking di Ocse (1999) e Nicoletti et al. (2000) Rank di Ocse Differenza '99 Australia 5 5 0 Austria 10 11 -1 Belgio 8 9 -1 Canada 3 3 0 Danimarca 7 7 0 Finlandia 9 8 1 Francia 16 16 0 Germania 14 14 0 Grecia 19 19 0 Irlanda 4 4 0 Italia 18 18 0 Giappone 13 13 0 Olanda 11 10 1 Norvegia 15 15 0 Portogallo 20 20 0 Spagna 17 17 0 Svezia 12 12 0 Svizzera 6 6 0 Regno Unito 2 2 0 Stati Uniti 1 1 0 Spearman rank correlation 0,997 Fonte: Elaborazioni su dati da Ocse (1999) e Nicoletti et al (2000). I dati si riferiscono alla fine degli anni '90. Paesi Rank con FA Tab. 14 - Confronto tra gli indicatori di Ocse (1999) e Nicoletti et al. (2000) Paesi FA Ocse 1999 Diff. Australia 1,1 0,9 0,2 Austria 2,4 2,2 0,2 Belgio 2,1 2,1 0 Canada 0,6 0,6 0 Danimarca 1,5 1,2 0,3 Finlandia 2,1 2 0,1 Francia 3,1 3 0,1 Germania 2,8 2,5 0,3 Grecia 3,5 3,6 -0,1 Irlanda 1 0,9 0,1 Italia 3,3 3,3 0 Giappone 2,6 2,4 0,2 Olanda 2,4 2,1 0,3 Norvegia 2,9 2,6 0,3 Portogallo 3,7 3,7 0 Spagna 3,2 3,1 0,1 Svezia 2,4 2,2 0,2 Svizzera 1,3 1 0,3 Regno Unito 0,5 0,5 0 Stati Uniti 0,2 0,2 0 Fonte: Ocse (1999) e Nicoletti et al (2000). I dati si riferiscono alla fine degli anni '90. 53 Tab. 15 - Ruolo dei tribunali nell'applicazione dell'EPL. Copertura Definizione sussidi di di lic. Reintegro disoccupazione Ingiusto (%) (Ocse 1999) Casi portati in tribunale (% su dipendenti) Cause vinte dai lavoratori % Europa Austria Danimarca Francia Germania Irlanda Italia Olanda Spagna Regno Unito 0,007 0,004 0,51 0,51 0,11 0,05 na 0,545 0,18 na na 74 na 16 51 na 72 38 1 0 1,5 2 0 0 1,5 2 0 1 1 0 1,5 1 2 1 0 0 na 85 44 64 69 19 38 29 62 Nord America Canada Stati Uniti 0,08 0,021 48 48 0 0 1 0,5 na na Oceania Australia 0,15 57 0 Nuova Zelanda 0,06 62 0 Fonte: Bertola et al. (1999), table 7, p 30. Sono omesse le note 1,5 1 na na Paesi 54 Tab 16 - Gli indicatori di Blanchard e Wolfers (2000) 1960-64 1965-69 1970-74 1975-79 1980-84 1,0 1,0 1,0 1,0 1,3 1,3 1,3 1,7 1,3 2,2 3,1 3,1 0,6 0,6 0,6 0,6 4,0 4,0 4,0 4,0 DANIMARCA 1,8 1,8 2,2 2,2 FINLANDIA 2,4 2,4 2,4 2,4 FRANCIA 0,7 1,0 2,0 2,6 GERMANIA 0,8 1,4 3,3 3,3 GIAPPONE 2,8 2,8 2,8 2,8 GRECIA 3,7 3,7 3,7 3,7 IRLANDA 0,0 0,3 0,6 1,0 ISLANDA 4,0 4,0 4,0 4,0 ITALIA 3,8 4,0 4,0 4,0 LUSSEMBURGO 4,0 4,0 4,0 4,0 MESSICO 4,0 4,0 4,0 4,0 NORVEGIA 3,1 3,1 3,1 3,1 NUOVA ZELANDA 1,6 1,6 1,6 1,6 OLANDA 2,7 2,7 2,7 2,7 PORTOGALLO 0,0 0,0 2,3 3,5 REGNO UNITO 0,3 0,3 0,6 0,7 SPAGNA 4,0 4,0 4,0 4,0 STATI UNITI 0,2 0,2 0,2 0,2 SVEZIA 0,0 0,0 1,2 3,6 SVIZZERA 1,1 1,1 1,1 1,1 TURCHIA 4,0 4,0 4,0 4,0 Fonte: Blanchard e Wolfers (1999), disponibile presso: http://facultygsb.stanford.edu/wolfers/data/blanchardwolfers/unemployment.txt AUSTRALIA AUSTRIA BELGIO CANADA COREA 1,0 2,6 3,1 0,6 4,0 2,2 2,4 2,6 3,3 2,8 3,7 1,0 4,0 4,0 4,0 4,0 3,1 1,6 2,7 3,9 0,7 3,8 0,2 3,6 1,1 4,0 1985-89 1,0 2,6 3,1 0,6 4,0 2,2 2,4 2,6 3,3 2,8 3,7 1,0 4,0 4,0 4,0 4,0 3,1 1,6 2,7 3,9 0,7 3,8 0,2 3,6 1,1 4,0 1990-94 1995-98 1,0 2,6 2,7 0,6 4,0 1,8 2,3 2,9 3,0 2,8 3,7 1,1 4,0 3,8 4,0 4,0 2,9 1,6 2,6 3,9 0,7 3,5 0,2 3,0 1,1 4,0 1,0 2,6 2,2 0,6 4,0 1,3 2,1 3,1 2,7 2,8 3,7 1,1 4,0 3,4 4,0 4,0 2,7 1,6 2,4 3,8 0,7 3,1 0,2 2,4 1,1 4,0 55 Fig 1 - Indicatori di EPL di Blanchard e Wolfers (2000) AUSTRIA 4,5 BELGIO 4,0 3,5 FINLANDIA 3,0 FRANCIA 2,5 IRLANDA 2,0 1,5 PORTOGALLO 1,0 REGNO UNITO 0,5 SPAGNA 0,0 1960- 1965- 1970- 1975- 1980- 1985- 1990- 199564 69 74 79 84 89 94 98 ITALIA Tab.17 - Confronto tra i risultati della survey della Commissione europea e gli indicatori di Ocse (1999) Paesi EC Survey Ocse 99 1989 late 80's Nuovo Rank Differenza Belgio 5 13 5 0 Francia 6 10 3 3 Germania 7 14 6 1 Iralnda 2 4 2 0 Olanda 9 11 4 5 Regno Unito 1 2 1 0 Grecia 4 16 7 -3 Italia 10 18 9 1 Portogallo 3 19 10 -7 Spagna 8 17 8 0 Spearman correlation 56 Fonte: elaborazioni su dati Ocse (1999). 0,43 Tab.18 - Confronto tra gli indicatori di Ocse (1999) e Di Tella e MacCulloch (1999). Paesi Austria Belgio Francia Germania Irlanda Olanda Svizzera Regno Unito Grecia Italia Portogallo Spagna Danimarca Finlandia Norvegia Svezia Canada Stati Uniti Australia Ocse 99 late 80's Rank WCR 84-90 Rank 2,2 3,1 2,7 3,2 0,9 2,7 1 0,5 3,6 4,1 4,1 3,7 2,1 2,3 3 3,5 0,6 0,2 0,9 8 13 10 14 4 10 6 2 16 18 18 17 7 9 12 15 3 1 4 41,29 41,83 42,33 41,49 47,57 46,7 61,69 58,08 30,28 39,87 33,12 29,81 61,76 50,11 40,89 40,77 56,9 72,66 38,45 12 10 9 11 7 8 3 4 18 15 17 19 2 6 13 14 5 1 16 Coefficiente di correlazione -0,7728 Spearman rank correlation 0,7747 Fonte: elaborazioni su dati Ocse (1999) e Di Tella e MacCulloch (1999). Tab. 19 - Confronto tra gli indicatori di Nicoletti et al (2000), Ocse (1999) e Ocse (1994). Paesi Nicoletti et al. 2000 Ocse 99 Ocse 94 Ranking Ranking Ranking Austria 2,4 5 5 7 Belgio 3 8 10 10 Francia 2,7 7 7 8 Germania 3,6 12 11 14 Itrlanda 1 2 2 3 Olanda 3,1 9 8 5 Svizzera 1,3 3 3 1 Regno Unito 0,5 1 1 2 Grecia 3,6 12 13 12 Italia 4,2 15 15 16 Portogallo 4,2 15 16 15 Spagna 3,7 14 14 13 Danimarca 2,4 5 4 4 Finlandia 2,2 4 6 10 Norvegia 3,1 9 9 9 Svezia 3,4 11 12 6 Spearman 0,97 0,84 rank correlation Fonte: elaborazioni su dati Nicoletti et al. (2000), Ocse (1999), Ocse (1994). 57 Fig. 2 - Confronto indicatori EPL di Ocse (1999) e Nicoletti et al (2000) Indicatori Ocse (1999) 4 3,5 Ita Spa Fra 3 Nor GiapGer Ol Austria Bel Fin Sve 2,5 2 1,5 Dan Sviz Australia 1 0,5 Usa 0 0 0,5 Can GB 1 1,5 2 2,5 Indicatori Nicoletti et al. (2000) 58 GrePort 3 3,5 4 Riferimenti bibliografici Abraham K., Houseman S. (1994), Does employment protection inhibit market flexibility? Lessons from Germany, France, Belgium, in Rebecca m. 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Ristrutturazione finanziaria e proprietaria e ricorso al mercato di borsa: un'indagine sui servizi di investment banking in un gruppo di Pmi, di Ugo Inzerillo, Febbraio 1997 8. Stock e costo del capitale con misure di deprezzamento non geometrico, di Paolo Annunziato e Ioannis Ganoulis, Febbraio 1997 9. Sviluppo economico e occupazione nei paesi industriali, di Fabrizio Traù, Giugno 1997 10. La composizione settoriale dell'occupazione manifatturiera: continuità e cambiamento strutturale (1951-1991), di Fabrizio Traù, Giugno 1997 11. Inflazione e disoccupazione in Europa: determinanti strutturali e politiche macroeconomiche, di Marco Malgarini e Francesco Paternò, Giugno 1997 12. Legislazione, sindacato e licenziamenti collettivi - Un'analisi su dati aziendali, di Paolo De Luca e Ioannis Ganoulis, Settembre 1997 62 13. Scambi con l'estero e posti di lavoro: l'industria italiana nel periodo 1980-95, di Sergio de Nardis e Francesco Paternò, Settembre 1997 14. A decade of regulatory reform in Oecd countries: progress and lessons learned, di Scott H. Jacobs e Marco Malgarini, Marzo 1998 15. Un approccio "interattivo" alla teoria del reddito permanente, di Edoardo Gaffeo, Giugno 1998 16. Dalle politiche passive alle politiche attive del lavoro: il ruolo della formazione professionale, di Andrea Montanino, Ottobre 1998 17. Specializzazione settoriale e qualità dei prodotti: misure della pressione competitiva sull'industria italiana, di Sergio de Nardis e Fabrizio Traù, Ottobre 1998 18. Confronti internazionali di dati censuari: aspetti metodologici e riscontri empirici, di Anita Guelfi e Fabrizio Traù, Luglio 1999 19. La discontinuità del pattern di sviluppo dimensionale delle imprese nei paesi industriali: fattori endogeni ed esogeni di mutamento dell' "ambiente competitivo", di Fabrizio Traù, Settembre 1999 20. Investigating the credit channel: a parallel between the US case and the italian one, di Francesco Paternò, Febbraio 2000 21. Formazione aziendale, struttura dell’occupazione e dimensione dell’impresa, di Andrea Montanino, Marzo 2000 22. Regulation in Europe: justified burden or costly failure?, di Sandrine Labory e Marco Malgarini, Marzo 2000 23. Employment protection and the incidence of unemployment: a theoretical framework, di Anita Guelfi, Marzo 2000. 24. Can tax progression raise employment?, di John P. Hutton e Anna Ruocco, Novembre 2000. 25. Le privatizzazioni bancarie in Italia, di Marcello Messori e Ugo Inzerillo, Novembre 2000. 63 63 26. Employment protection, growth and jobs, di Giampaolo Galli, Aprile 2001. 27. Allargamento a Est dell’Unione Europea: gli effetti sul mercato dei beni, di Stefano Manzocchi e Beatrice Pierluigi, Maggio 2001 28. Allargamento a Est dell’Unione Europea: l’impatto sugli investimenti diretti esteri, di Stefano Manzocchi e Beatrice Pierluigi, Maggio 2001 29. Allargamento a Est dell’Unione Europea: il quadro di riferimento per le politiche comunitarie di sviluppo regionale e coesione, di Giuseppe Mele, Giugno 2001 30. Ristrutturazione bancaria, crescita e internazionalizzazione delle Pmi meridionali, di Giovanni Ferri e Ugo Inzerillo, Novembre 2002 31. L'aritmetica del congiunturalista: misure di confronto temporale e loro relazioni, di Ciro Rapacciuolo, Dicembre 2002 32. Specializzazione produttiva e struttura dimensionale delle imprese: come spiegare la limitata attività di ricerca dell’industria italiana, di Giovanni Foresti, Dicembre 2002 33. Judicial branch, checks and balances and political accountability, di Nadia Fiorino, Fabio Padovano e Grazia Sgarra, Dicembre 2002 34. Tax credit policy and firms’ behaviour: The case of subsidies to open-end labour contracts in Italy, di Piero Cipollone e Anita Guelfi, Marzo 2003 35. Tendenze di lungo periodo della filiera legno-arredamento, di Fabrizio Traù, giugno 2003 36. Un semplice modello univariato per la previsione a breve termine dell’inflazione italiana di Ciro Rapacciuolo, Giugno 2003 37. Misure del potere di mercato degli esportatori italiani di beni tradizionali, di Sergio de Nardis e Cristina Pensa, Giugno 2003 38. Le transizioni dimensionali nelle piccole imprese italiane nel periodo 1995-2000: un’analisi sui dati Aida e Mediocredito Centrale, di Francesca Sica, Giugno 2003 64 64 39. Effects of exchange rate changes on the Italian trade balance: the J-curve, di Daniele Antonucci, Giugno 2003 40. Coordinamento della tassazione dei redditi d’impresa nell’Unione Europea, di Giovanni Rolle, Anna Ruocco e Piergiorgio Valente, Giugno 2003 41. La tassazione dei redditi d’impresa in Italia: la legge delega per la riforma fiscale, di Fabrizio Carotti e Anna Ruocco ,Giugno 2003 42.Hiring Incentives and labour force participation, di Piero Cipollone, Corrado di Maria e Anita Guelfi, Settembre 2003 43. 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