getto didattica in re progetto didattica in rete Fisica Tecnica Ambientale Parte IV: illuminotecnica G.V. Fracastoro Politecnico di Torino, giugno 2003 Dipartimento di Energetica otto editore Giovanni Vincenzo Fracastoro Fisica Tecnica Ambientale parte IV - illuminotecnica Prima edizione giugno 2003 È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuato, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata. PARTE IV illuminotecnica WWW. POLITO. IT INDICE 1. Fotometria 175 1.1. Luce e fattore di visibilità . . . . . . . . . . . . . . . . . 175 1.2. Grandezze fotometriche . . . . . . . . . . . . . . . . . . 178 1.3. Cenni di colorimetria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 179 2. Sorgenti luminose 187 2.1. Efficienza di una sorgente luminosa . . . . . . . . . . . 187 2.2. Sorgenti luminose naturali . . . . . . . . . . . . . . . . 188 2.3. Sorgenti luminose artificiali . . . . . . . . . . . . . . . . 190 2.4. Apparecchi illuminanti e indicatrice di emissione . . . . 195 3. Illuminazione artificiale di esterni 197 3.1. Calcolo dell’illuminamento prodotto in un punto . . . . . 197 3.2. Calcolo pratico dell’illuminamento 198 . . . . . . . . . . . 4. Illuminazione di interni 203 4.1. Requisiti essenziali per l’illuminazione artificiale . . . . 203 4.2. Determinazione del flusso luminoso . . . . . . . . . . . 206 4.3. Illuminazione naturale di interni . . . . . . . . . . . . . 209 Bibliografia 215 173 1. FOTOMETRIA 1.1. LUCE E FATTORE DI VISIBILITÀ La luce è convenzionalmente definita come l’insieme delle radiazioni elettromagnetiche, di lunghezza d’onda compresa tra 0.38 µm e 0.78 µm, che l’occhio umano è in grado di percepire. Il fattore di proporzionalità fra la quantità di energia posseduta da una radiazione monocromatica che raggiunge l’occhio umano e l’intensità della sensazione visiva non è costante, ma dipende dalla lunghezza d’onda della radiazione. La visibilità di una radiazione integrale risulta pertanto dalla somma dei contributi delle varie radiazioni monocromatiche, ognuno dei quali viene pesato in modo diverso a seconda della sua lunghezza d’onda. Detto pertanto: Φe (λ) = dΦe dλ il flusso energetico monocromatico, ovvero la potenza associata ad una radiazione monocromatica (in W/µm), il flusso energetico integrale varrà: ∞ Φe = Φe (λ)dλ 0 175 1. FOTOMETRIA e Φ(λ), flusso luminoso monocromatico, misurato in lumen1 al micron (lm/µm), sarà dato da: Φ (λ) = K (λ) Φe (λ) 1.1 dove K(λ) è il fattore di visibilità, o semplicemente la visibilità, le cui dimensioni sono [lm/W]. Il flusso luminoso sarà dunque dato da: ∞ K (λ) Φe (λ) dλ Φ= 1.2 0 A seconda della luminosità della sorgente luminosa nell’occhio umano entrano in funzione due tipi di fotorecettori. Per bassi valori di luminosità (visione notturna o scotopica) operano i bastoncelli, che non consentono la visione dei colori. Per valori più alti (visione diurna o fotopica) operano i coni, che a loro volta presentano tre tipi di fotorecettori, sensibili al rosso, al verde e al blu, consentendo all’occhio umano la visione cosiddetta tricromatica. Ai due meccanismi di visione corrispondono due diversi andamenti del fattore di visibilità. In entrambi i casi il fattore di visibilità può essere espresso in forma adimensionale, introducendo il fattore di visibilità relativo V (λ), variabile fra 0 ed 1: V (λ) = K (λ) Kmax 1.3 dove Kmax rappresenta il valore massimo del fattore di visibilità. In visione diurna si ha Kmax = 683 lm/W alla lunghezza d’onda di 0.555 µm. In visione notturna si ha Kmax = 1700 lm/W alla lunghezza d’onda di 0.505 µm. La CIE (Commission Internationale de l’Eclairage) ha definito nel 1924 due curve normalizzate che rappresentano il fattore di visibilità relativo (vedi Fig. 1.1 e Tab. 1.1) in funzione della lunghezza d’onda per visione fotopica e scotopica. La curva fotopica di visibilità relativa presenta pertanto il massimo (V (λ) = 1) alla lunghezza d’onda di 0.555 µm, mentre la curva scotopica ha il massimo per λ = 0.505 µm. 1 Il lumen è l’unità di misura del flusso luminoso, il cui valore sarà precisato nel seguito. 176 FOTOMETRIA Fatt 1. 1 0. 9 0. 8 0. 7 0. 6 0. 5 0. 4 0. 3 0. 2 0. 1 0 350 450 550 650 750 lunghezza d' onda ( nm) Fig. 1.1 – Fattori di visibilità relativi normalizzati CIE (fotopica: linea continua; scotopica: tratteggiata). Tab. 1.1 – Valori del coefficiente di visibilità in visione fotopica. λ(µm) 0,38 0,39 0,40 0,41 0,42 0,43 0,44 0,45 0,46 0,47 0,48 0,49 0,50 0,51 V (λ) 0,00004 0,00012 0,0004 0,0012 0,004 0,0116 0,023 0,038 0,060 0,091 0,139 0,208 0,323 0,503 λ(µm) 0,52 0,53 0,54 0,55 0,555 0,56 0,57 0,58 0,59 0,60 0,61 0,62 0,63 0,64 V (λ) 0,710 0,862 0,954 0,995 1,000 0,995 0,952 0,870 0,757 0,631 0,503 0,381 0,265 0,175 λ(µm) 0,65 0,66 0,67 0,68 0,69 0,70 0,71 0,72 0,73 0,74 0,75 0,76 0,77 V (λ) 0,107 0,061 0,032 0,017 0,0082 0,0041 0,0021 0,00105 0,00053 0,00025 0,00013 0,00007 0,00003 177 1. FOTOMETRIA 1.2. GRANDEZZE FOTOMETRICHE La grandezza fondamentale in fotometria è l’intensità luminosa (I), la cui unità di misura è la candela (cd), definita come il flusso luminoso emesso in una data direzione nell’unità di angolo solido da una sorgente monocromatica di frequenza 540·1012 Hz (equivalente ad una lunghezza d’onda λ = 0.555 µm), la cui intensità energetica in tale direzione vale 1/683 W/sr.2 Il flusso luminoso è legato all’intensità luminosa attraverso la relazione: dΦ dω I= 1.4 e dunque: Φ= I dω 1.5 4π L’unità di misura del flusso luminoso è, come si è già detto, il lumen (lm), pari pertanto a 1 candela per steradiante. Si definisce poi la radianza o emettenza M : M= dΦ dSem 1.6 dove Sem è la superficie emittente. L’unità di misura della emettenza è il lm/m2 (talvolta detto "lux sul bianco" o "lux s.b."). Un’ultima importante caratteristica delle sorgenti luminose è la luminanza L: L= dI dM d2 Φ = = dω dSem cos ε dSem cos ε dω cos ε 1.7 dove ε è l’angolo di emissione, cioè l’angolo formato dal raggio emesso con la normale alla superficie emittente. L’unità di misura della luminanza è la cd/m2 (detta anche nit). 2 Si osservi che in tal modo, poiché il fattore di visibilità per la lunghezza d’onda λ = 0.555 µm è massimo e vale 683 lm/W, l’intensità luminosa di questa sorgente vale proprio 1 lm/sr, ovvero 1 cd. 178 1. FOTOMETRIA È possibile dimostrare che, nel caso in cui una superficie luminosa emetta con luminanza costante al variare della direzione (si parla in tal caso di una sorgente lambertiana, ovvero che segue la legge di Lambert), sussiste fra luminanza ed emettenza la relazione: M = πL 1.8 Vi è infine un’altra importante grandezza fotometrica, caratteristica non della sorgente luminosa ma della superficie illuminata, detta illuminamento (E), definita come: E= dΦ dSric 1.9 in cui Sric rappresenta la superficie ricevente. L’unità di misura dell’illuminamento è il lux (lx), pari a 1 lm/m2 . Nell’interazione fra la radiazione elettromagnetica e una superficie si erano a suo tempo definiti i fattori di trasmissione, assorbimento e riflessione (rispettivamente τ , α, ρ). Allo stesso modo quando la luce, ovvero la radiazione visibile, interagisce con una superficie, può essere trasmessa, assorbita o riflessa, e i rispettivi fattori vengono detti fattore di trasmissione luminosa, di assorbimento luminoso e di riflessione luminosa (τ l , αl , ρl ). Se, pertanto, su una superficie lambertiana avente fattore di riflessione ρl è presente un illuminamento E, questa superficie diverrà essa stessa una sorgente luminosa avente emettenza M = ρl E e luminanza: L= 1.3. ρl E π 1.10 CENNI DI COLORIMETRIA La colorimetria rappresenta il legame fra gli stimoli, di natura fisica, che raggiungono l’occhio umano (radiazioni elettromagnetiche) e la sensazione, di natura fisiologica (colore) che essi producono. Le radiazioni di lunghezza d’onda diversa producono sensazioni cromatiche (colori) diverse (Tab. 1.2). 179 1. FOTOMETRIA 6 Soglia cromatica differenziale (nm) 5 4 3 2 1 0 430 480 530 580 630 lunghezza d'onda (nm) Fig. 1.2 – Soglia cromatica differenziale. Tab. 1.2 – Corrispondenza fra colore e lunghezza d’onda. Colore violetto blu verde giallo arancio rosso Campo di lunghezza d’onda (nm) < 430 430-500 500-570 570-590 590-610 > 610 La sensibilità dell’occhio umano alle variazioni di lunghezza d’onda della radiazione elettromagnetica è ben descritta dal concetto di soglia differenziale (Fig. 1.2). Questa rappresenta la variazione di lunghezza d’onda fra due radiazioni monocromatiche necessaria affinché venga percepita una variazione cromatica (o di tinta) fra di esse. La soglia cromatica differenziale è a sua volta funzione della lunghezza d’onda, ed ha due minimi relativi (pari a circa 1 nm) intorno a 500 e 600 nm. Ne risulta che l’occhio umano è in grado di percepire almeno 150 colori puri diversi. Se a livello di radiazioni monocromatiche esiste una relazione di biunivocità fra lunghezza d’onda e sensazione 180 1. FOTOMETRIA cromatica, ciò non è più vero per radiazioni caratterizzate da spettri complessi; ovvero, a diverse distribuzioni spettrali possono corrispondere uguali sensazioni cromatiche. Inoltre, se due colori puri vengono sovrapposti, l’occhio non è più in grado di distinguerne le componenti, diversamente da quanto accade, ad esempio, per due suoni puri sovrapposti. Le leggi di Grassman A queste considerazioni Grassmann, già alla fine del secolo scorso, diede un carattere di sistematicità attraverso una serie di leggi, che possono essere così riassunte: 1. in un colore l’occhio distingue tre caratteristiche – splendore, legato alla luminanza della sorgente – tinta, legata alla lunghezza d’onda – saturazione, legata alla purezza, ovvero alla quantità di bianco presente nel colore 2. miscelando due colori le caratteristiche della miscela cromatica variano con continuità al variare delle proporzioni dei due colori 3. l’aggiunta di uno stesso colore a due colori uguali produce nuovamente due colori uguali, indipendentemente dalla loro distribuzione spettrale originaria 4. la luminanza di una miscela di colori è la somma delle luminanze dei colori componenti L’apparecchio che consente di verificare sperimentalmente l’uguaglianza fra due colori si chiama colorimetro. Esso è costituito da uno schermo bianco (avente cioè ρ = 1 per tutte le lunghezze d’onda) illuminato per metà dal colore incognito C e per metà da tre sorgenti monocromatiche primarie, rossa R (λ = 0.700 µm), verde G (λ = 0.546 µm) e blu B (λ = 0.436 µm). Regolando opportunamente l’intensità delle tre luci R, G, B (e dunque la loro luminanza) si può ottenere un colore equivalente a C. Quando non è possibile ottenere il colore C per via additiva, è sempre possibile ottenere una equivalenza fra due delle 181 1. FOTOMETRIA tre sorgenti primarie e la terza sommata al colore C, in tal modo "sottraendo" la terza sorgente primaria. Si può pertanto scrivere: L (C) = LR + LG + LB 1.11 ovvero il colore C, di luminanza L(C), viene ottenuto come miscela dei colori R, G, B, di luminanze LR , LG , LB (dette luminanze dei colori primari in condizioni di equilibrio, o unità tricromatiche della luminanza del colore). Il triangolo dei colori Per motivi di opportunità, ad esempio per evitare che vi siano dei colori che in uno spazio LR , LG , LB assumono coordinate negative, si è operato un cambiamento di coordinate definendo un nuovo spazio tricromatico X, Y , Z in cui: X = 2.7689LR + 0.38159LG + 18.801LB Y = LR + LG + LB 1.12 Z = 0.012307LG + 93.066LB Si osservi che la coordinata Y coincide con la luminanza del colore considerato. Si definiscono poi le coordinate ridotte: x= X X +Y +Z y= Y X +Y +Z z= Z X +Y +Z 1.13 Vale naturalmente: x+y+z =1 1.14 e dunque bastano due coordinate ridotte per rappresentare un colore. Si è scelto il piano (x,y). Su questo piano la (1.14) individua un triangolo di vertici (0,0), (0,1), (1,0) detto triangolo dei colori o diagramma cromatico CIE (Fig. 1.3). In realtà, non tutti i punti all’interno di tale triangolo corrispondono a dei colori. Questi sono infatti contenuti all’interno di una linea (V GR) che rappresenta i colori puri o saturi, 182 1. BIANCO 4000 FOTOMETRIA 2000 6000 W (V)≈(B) Fig. 1.3 – Diagramma cromatico CIE. ovvero i colori rappresentabili con radiazioni monocromatiche. Il punto V (violetto) corrisponde alla lunghezza d’onda di 0.400 µm, il G (verde) a λ= 0.546 µm, il punto R (rosso) a λ = 0.780 µm. Il punto W , di coordinate xW = yW = zW = 1/3, è detto bianco di uguale energia. Tale punto è assai prossimo a quello che si otterrebbe da una radiazione caratterizzata da Φe (λ) costante su tutto lo spettro visibile. Il segmento (V R) non corrisponde ad alcun colore puro spettrale, ma a colori costituiti da una miscela di violetto e rosso che prendono il nome di porpore o magente. Due colori si dicono complementari se il segmento che li unisce nel triangolo dei colori passa per W . Ogni colore C situato all’interno della linea (V GR), eccettuati quelli contenuti nel triangolo V RW , è una miscela di un colore puro D (detto dominante di C) e di bianco (W ). La sua purezza colorimetrica o saturazione (pc ) è data dal rapporto fra i segmenti W C e CD: 183 1. FOTOMETRIA pc = WC WD 1.15 Ovviamente: pc (W ) = 0 e pc (D) = 1 Se si utilizza come sorgente luminosa un corpo nero a temperature diverse, si osserva che a ciascuna temperatura corrisponde un diverso effetto cromatico. Riportando tale effetto cromatico sul triangolo dei colori si ottiene una linea curva, detta luogo planckiano, che permette di stabilire una correlazione fra la dominante del colore e la temperatura del corpo nero (temperatura di colore). Note le luminanze Y1 e Y2 e le coordinate colorimetriche ridotte (x1 , y1 ), (x2 , y2 ) di due colori C1 e C2 si può ricavare sul triangolo dei colori il colore C3 miscela dei due. Infatti, per la quarta legge di Grassmann: X3 = X1 + X2 Y3 = Y1 + Y2 Z3 = Z1 + Z2 ovvero: x3 = X3 X1 + X2 = X3 + Y3 + Z3 X1 + Y1 + Z1 + X2 + Y2 + Z2 1.16a y3 = Y3 Y1 + Y2 = X3 + Y3 + Z3 X1 + Y1 + Z1 + X2 + Y2 + Z2 1.16b T1 = Y1 X1 + Y1 + Z1 = Y1 = X1 + Y1 + Z1 y1 Y1 1.17a T2 = Y2 X2 + Y2 + Z2 = Y2 = X2 + Y2 + Z2 y2 Y2 1.17b Ponendo: si avrà, dalle 1.16: x3 = 184 X1 + X2 T1 + T2 e y3 = Y1 + Y2 T1 + T2 1. FOTOMETRIA ma: X1 = x1 T1 Y1 = y1 T1 e X2 = x2 T2 e Y2 = y2 T2 e pertanto: x3 = x1 T1 + x2 T2 T1 + T2 y3 = y1 T 1 + y2 T 2 T1 + T2 1.18 185 2. 2.1. SORGENTI LUMINOSE EFFICIENZA DI UNA SORGENTE LUMINOSA Le sorgenti luminose vengono distinte in: – naturali (il Sole, la volta celeste) e – artificiali (lampade) La caratteristica fondamentale di una sorgente luminosa è la sua efficienza luminosa. Nel caso di sorgenti naturali essa è pari al rapporto fra il flusso luminoso emesso e il flusso di energia radiante emessa (flusso energetico): Φ Φe η= 2.1a Poiché il flusso energetico è emesso soltanto per irraggiamento, si può scrivere, ricordando la (1.2) e la (1.3): ∞ Φ η= = Kmax Φe 0 V (λ) Φe (λ) dλ ∞ 0 Φe (λ) dλ Nelle sorgenti artificiali, invece, l’espressione dell’efficienza luminosa è la seguente: η= Φ Wel 2.1b 187 2. SORGENTI LUMINOSE in cui Wel rappresenta la potenza elettrica assorbita dalla rete. Questa è pari alla potenza termica dissipata dalla lampada per irraggiamento e, in parte minore, per convezione. Pertanto Wel > Φe . 2.2. SORGENTI LUMINOSE NATURALI Le due principali sorgenti luminose naturali sono il Sole e la volta celeste. Dal punto di vista energetico l’entità della potenza inviata direttamente dal Sole sull’unità di superficie viene detta irradianza solare diretta. La radiazione solare presenta, fuori dell’atmosfera, uno spettro continuo, assai simile a quello di un corpo nero a 5800 K, compreso dunque, per il 90% circa, nella regione dello spettro che va da 0.3 µm a 2.5 µm (si veda il concetto di fattore di radiazione di pag. 97). L’entità dell’irradianza solare diretta extra-atmosferica su una superficie normale ai raggi solari alla distanza media Sole-Terra viene detta costante solare ed ha un valore di circa 1360 W/m2 . Fuori dell’atmosfera il cielo appare invece nero. Nell’attraversare gli strati atmosferici, la radiazione solare viene in parte riflessa (in particolare dalle nuvole), in parte diffusa (scattering) dalle molecole di azoto ed ossigeno, in parte assorbita da alcuni gas atmosferici (ozono, anidride carbonica e vapor d’acqua). Ne risultano due fenomeni: – l’attenuazione della irradianza solare diretta, soprattutto in corrispondenza delle bande di lunghezza d’onda dove si manifesta l’assorbimento dei gas atmosferici (vedi Fig. 2.1); – la nascita di una componente di irradianza solare diffusa dal cielo. A terra, col Sole allo Zenit e il cielo sereno, l’irradianza solare diretta orizzontale (Ibh ) raggiunge i 700-800 W/m2 , mentre la diffusa (Idh ) vale circa 150-200 W/m2 . Al diminuire dell’altezza del Sole sull’orizzonte la quota orizzontale diretta si riduce per due motivi: 188 2. SORGENTI LUMINOSE campo del visibile Fig. 2.1 – Potere emissivo monocromatico del Sole. – la diminuzione, secondo la legge del coseno, della componente verticale dell’irradianza – l’aumento della massa d’aria attraversata La massa d’aria (m) rappresenta il rapporto fra il percorso dei raggi solari negli strati atmosferici e lo spessore dell’atmosfera. Essa è calcolabile come: m = 1/sin β dove β è l’altezza del Sole sull’orizzonte. L’efficienza luminosa del Sole è di circa 100-120 lm/W, valore assai lontano dal massimo teorico (680 lm/W). Tuttavia, è interessante notare che la temperatura di 5800 K è assai vicina a quella a cui corrisponde la massima efficienza luminosa di un corpo nero (vedi Fig. 2.2). 189 2. SORGENTI LUMINOSE Efficienza luminosa (lm/W) 100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 0 1000 2000 3000 4000 5000 6000 7000 8000 9000 10000 Temperatura (K) Fig. 2.2 – Efficienza luminosa di un corpo nero in funzione della sua temperatura. 2.3. SORGENTI LUMINOSE ARTIFICIALI Le sorgenti luminose artificiali, dette comunemente lampade, si dividono in due grandi categorie: – a incandescenza – a scarica nei gas (o a luminescenza) Lampade ad incandescenza Il funzionamento delle lampade ad incandescenza è basato sulla dissipazione di potenza per effetto Joule da parte di una resistenza (filamento) percorsa da corrente elettrica. A causa di ciò il filamento raggiunge alte temperature (intorno ai 2300 3000 ◦ C) e parte del flusso termico irraggiato risulta visibile. Le lampade ad incandescenza sono costituite da quattro componenti principali: – il bulbo o ampolla – l’attacco – il filamento – il gas di riempimento 190 2. SORGENTI LUMINOSE Il bulbo ha la funzione di mantenere il filamento in atmosfera rarefatta per evitare che si verifichi la combustione a contatto con l’ossigeno atmosferico, e di consentire il passaggio del flusso luminoso. È in genere realizzato in vetro trasparente, smerigliato o opalizzato. L’attacco, che può essere a vite o a baionetta, permette il collegamento elettrico fra la lampada e la rete elettrica, necessario per alimentare il filamento. Il filamento dissipa per effetto Joule una potenza elettrica Q = RI 2 , direttamente proporzionale alla resistenza R da esso opposta al passaggio della corrente elettrica I. Tale potenza viene emessa secondo la legge di Stefan-Boltzmann, pertanto la temperatura raggiunta dal filamento sarà proporzionale alla radice quarta della potenza emessa. Al crescere della temperatura del filamento crescerà l’efficienza luminosa della lampada (vedi Fig. 2.2). Per tale motivo il filamento deve essere costituito da un materiale con una elevata temperatura di fusione, lavorabile in modo da permetterne la spiralazione, ovvero la realizzazione di un filo sottile a forma di spirale. Per questi motivi, dalle primitive lampade con filamento di cotone (Edison, 1879, Cruto, 1880) e di carbonio, si è infine passati a quelle a filamento di tungsteno (simbolo chimico W, dal nome wolframio con cui è anche noto), che ha una temperatura di fusione di 3370 ◦ C e di ebollizione di 5927 ◦ C (i valori più elevati fra gli elementi chimici). Il gas di riempimento del bulbo deve innanzitutto non contenere aria, per evitare che si inneschi la combustione del filamento. Per tale motivo nelle lampade di piccola potenza viene praticato un vuoto più o meno spinto. Le bassissime pressioni esistenti facilitano però la sublimazione del filamento, abbreviando la durata della lampada e limitando la temperatura del filamento a non più di 2450 ◦ C. Inoltre, il tungsteno sublimato tende a depositarsi sulla faccia interna del bulbo, opacizzandola parzialmente. Per evitare questo problema nel bulbo delle lampade di media e grande potenza si introducono dei gas inerti (in genere argon, più raramente azoto e krypton) che consentono di raggiungere temperature del filamento di circa 2800 ◦ C. Un ulteriore progresso è stato compiuto con l’introduzione nel bulbo di iodio o altri alogeni (lampade ad alogeni) che svolgono un’azione di rigenerazione del filamento 191 2. SORGENTI LUMINOSE che può esser così descritta: lo iodio, dissociatosi in corrispondenza del filamento a causa delle elevate temperature là esistenti, reagisce con il tungsteno che tende a migrare verso la faccia interna del bulbo, formando, alla temperatura di 600-700 ◦ C, ioduro di tungsteno: W + 2I → W I2 Lo ioduro di tungsteno precipita sul filamento dove, a causa dell’elevata temperatura, si dissocia: W I2 ↔ W + 2I Viene così liberato tungsteno, che si rideposita sul filamento, e iodio atomico, che migra nuovamente verso la periferia della lampada per ricominciare la sua funzione di rigenerazione. Questo processo ha consentito di innalzare notevolmente la temperatura del filamento (fino a 3000 ◦ C) e dunque l’efficienza della lampada. Le lampade ad alogeni trovano impiego nei proiettori e nei fari degli autoveicoli. Lampade a luminescenza Il principio su cui si basa questo tipo di lampade può essere descritto come segue. Si introduce in un bulbo di vetro di forma allungata un gas o un vapore metallico. Agli estremi del bulbo (o tubo) sono posizionati due elettrodi, che vengono sottoposti ad una differenza di potenziale. Il catodo emette elettroni i quali, accelerati dal campo elettrico, attraversano il tubo urtando gli elettroni periferici degli atomi del gas che vi è stato introdotto. Se l’energia cinetica degli elettroni è bassa l’urto è di tipo elastico, cioè l’elettrone urtato non si sposta dalla propria orbita. Superato un certo valore della differenza di potenziale fra gli elettrodi (potenziale di risonanza) l’energia cinetica degli elettroni diviene tale da rendere anelastico l’urto; gli elettroni atomici si spostano in conseguenza di ciò su un’orbita caratterizzata da un livello energetico più alto. Nel riportarsi allo stato normale essi emettono sotto forma di fotoni una quantità di energia pari alla differenza di livello energetico delle due orbite. La lunghezza d’onda a cui viene emessa la radiazione è data da: 192 2. SORGENTI LUMINOSE transitorio V normale tensione di accensione anormale C B arco A O corrente di scarica Fig. 2.3 – Diagramma tensione-corrente nelle lampade a scarica nei gas. λ= 1234 V [nm] 2.2 dove V è il potenziale di risonanza, funzione del tipo di atomo del gas introdotto nella lampada. La radiazione emessa è dunque di tipo monocromatico. Al crescere della differenza di potenziale gli urti fra gli elettroni si moltiplicano, e nuove righe appaiono nello spettro della radiazione emessa. Dal diagramma tensione-corrente caratteristico della scarica nei gas, illustrato in Fig. 2.3, si vede che, al crescere della tensione V la corrente I cresce (tratto OA) fino a raggiungere la saturazione (tratto AB), su un valore peraltro molto debole. A partire da B la tensione diviene sufficiente a conferire agli elettroni una energia cinetica tale da ionizzare gli atomi. Gli elettroni così liberati ionizzeranno a loro volta altri atomi, con un effetto detto valanga elettronica. In queste condizioni è sufficiente un piccolo aumento di tensione per far crescere rapidamente la corrente (tratto BC). Il valore di tensione così raggiunto viene detto tensione di accensione. Il suo valore dipende dal prodotto fra pressione del gas e distanza fra gli elettrodi (legge di Paschen). Una volta innescata la scarica luminescente, la tensione può essere ridotta al valore di funzionamento normale, stabilizzando la corrente mediante una bobina di autoinduzione. Dalla Fig. 2.3 si vede che per l’innesco occorre una sovratensione momentanea rispetto alla tensione di funzionamento. In altri casi l’innesco viene facilitato adottando un elettrodo ausiliario, più vicino, che viene poi escluso nel funzionamento 193 2. SORGENTI LUMINOSE normale, oppure preriscaldando gli elettrodi, in modo da ridurre il potenziale di estrazione, per mezzo di uno starter che, chiudendosi, li mette in corto circuito, per poi riaprirsi dopo uno o due secondi. I principali gas impiegati nelle lampade a luminescenza sono i vapori di sodio e di mercurio. Neon e argon vengono spesso aggiunti per innescare la scarica (luce violetta iniziale). Appartengono a questa categoria anche le lampade fluorescenti, nelle quali un sottile strato di una sostanza, detta per l’appunto fluorescente, viene spalmato sulla faccia interna del tubo entro il quale avviene la scarica. Queste sostanze (tungstato di calcio e di magnesio, silicato di calcio, zinco e cadmio, fosfato di calcio, etc.) hanno la proprietà di assorbire la radiazione ultravioletta emettendo a loro volta radiazione di lunghezza d’onda maggiore (e quindi almeno in parte luminosa). Esse vengono impiegate soprattutto nelle lampade a vapori di mercurio, nelle quali la potenza emessa nell’UV (circa un quarto del totale) viene spostata per fluorescenza nel visibile e nell’IR. Tab. 2.1 – Riepilogo caratteristiche delle lampade. Principio di funzionamento Incandescenza Luminescenza 194 Tipo di lampada Potenza (W) Efficienza (lm/W) Normale a bulbo 25-100 8-12 Durata utile (ore) 1000 100-1500 12-20 1000 ad alogeni 10-100 100-2000 25-30 14-25 150 2000 a vapori di Hg a luce miscelata a vapori di Na (a bassa pressione) 50-2000 35-65 100-500 11-30 600010000 6000 18-210 72-145 10000 Campi di impiego abitazioni, negozi negozi, locali di servizio autoveicoli atri, impianti sportivi, esterno edifici capannoni industriali fabbriche, magazzini, strade incroci, svincoli, gallerie stradali, aree all’aperto » 2. SORGENTI LUMINOSE Tab. 2.1 – Riepilogo caratteristiche delle lampade. Principio di funzionamento Fluorescenti 2.4. Tipo di lampada Potenza (W) Efficienza (lm/W) a vapori di Na (ad alta pressione) normali 70-1000 75-120 18-58 40-75 115-215 55-62 18-58 51-76 ad alta emissione ad alta resa cromatica Durata utile (ore) 9000 60008000 60008000 60008000 Campi di impiego capannoni industriali, strade, aeroporti, porti officine officine impieghi civili e industriali • APPARECCHI ILLUMINANTI E INDICATRICE DI EMISSIONE In genere la lampada è contenuta in un apparecchio illuminante, che ha la funzione di: – orientare il fascio luminoso – evitare l’abbagliamento diretto – proteggere la lampada contro choc meccanici e penetrazione di umidità – proteggere l’utente da choc elettrici Il controllo del flusso luminoso si ottiene sfruttando le proprietà di riflessione, rifrazione e diffusione di alcuni materiali e conferendo particolari forme alla parte ottica (riflettore o rifrattore) degli apparecchi illuminanti. In conseguenza di ciò l’intensità luminosa dell’insieme lampada+apparecchio varia in funzione dell’angolo solido di emissione. Si ha cioè: I = I (ω) 2.3 Introducendo un sistema di coordinate polari (ε, ϕ), con: dω = sin ε dε dϕ 2.4 195 2. SORGENTI LUMINOSE la funzione I = I (ε, ϕ) rappresenta una superficie, luogo dei punti estremi dei vettori intensità luminosa, detta superficie fotometrica. Il volume da essa delimitato viene detto solido fotometrico. Il solido fotometrico si rappresenta di solito tracciandone una o più sezioni che prendono il nome di curve fotometriche o indicatrici di emissione. Se la superficie fotometrica è una superficie di rotazione ed ε è l’angolo formato dalla direzione di emissione con l’asse di rotazione, si ha I = I (ε), ed è sufficiente la conoscenza, sotto forma grafica, tabulare o (più raramente) analitica, di una indicatrice di emissione per descrivere compiutamente la superficie fotometrica. In caso contrario tale superficie viene in genere espressa per mezzo di due indicatrici di emissione, determinate dall’intersezione di due piani, in genere ortogonali fra loro e passanti per l’asse principale della lampada, con la superficie fotometrica. Un caso particolare è quella delle lampade a superficie fotometrica sferica, in cui l’intensità è costante in tutte le direzioni (I = I0 ). In questo caso la relazione fra flusso e intensità è particolarmente semplice: Φ = 4πI = 4πI0 2.5 Geometria delle sorgenti luminose Nel calcolo dell’illuminazione artificiale è opportuno distinguere, in base alla geometria del problema, fra sorgenti: – puntiformi, quando le dimensioni della sorgente luminosa sono trascurabili rispetto alla distanza fra la sorgente stessa e il punto illuminato – lineari, quando due delle tre dimensioni della sorgente sono trascurabili – superficiali, quando una delle tre dimensioni è trascurabile – estese in volume, quando nessuna delle tre dimensioni della sorgente luminosa è trascurabile rispetto alla distanza. Nel seguente capitolo verrà trattato a titolo esemplificativo il caso di illuminazione prodotta da sorgenti puntiformi. 196 3. 3.1. ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE DI ESTERNI CALCOLO DELL’ ILLUMINAMENTO IN UN PUNTO In ambienti esterni la sorgente può essere considerata, con buona approssimazione, puntiforme. L’illuminamento prodotto da una sorgente puntiforme in un punto P appartenente ad una superficie ricevente Sr , per le 1.4 e 1.9 è dato da: E=I dω dSr e, detto j l’angolo di incidenza (angolo formato dalla direzione del raggio con la normale alla superficie Sr nel punto P), si ha immediatamente, ricordando che dw = dSr cos j d2 (vedi Fig. 3.1): E=I cos j d2 3.1 Si osservi che tutti e tre i termini che compaiono nella (3.1) dipendono dalla posizione relativa del punto illuminato rispetto alla sorgente. Al crescere della distanza del punto illuminato dalla sorgente cresce in genere anche l’angolo j, e dunque diminuisce sensibilmente il termine cos j d2 . Per compensare tale fenomeno occorre adottare una lampada caratterizzata da una idonea indicatrice di emissione I = I (ε, ϕ). A tal proposito occorre ricordare che l’angolo di emissione e l’angolo di incidenza non sono in genere uguali, a meno che l’asse principale della lampada non sia normale alla superficie illuminata. 197 3. ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE DI ESTERNI S n d d j asse lampada P dSr Sr Fig. 3.1 – Illuminamento prodotto da sorgente puntiforme. 3.2. CALCOLO PRATICO DELL’ ILLUMINAMENTO Per calcolare l’illuminamento medio su una superficie occorre suddividerla in areole elementari e calcolare l’illuminamento nel baricentro di ogni areola, assumendo che il suo valore in tale punto sia pari a quello medio nell’areola considerata. Noto l’illuminamento e l’area per ogni superficie elementare, l’illuminamento medio si calcola dalla relazione: 1 Ē = S S 1 E dS = S n Ei Si 3.2 i=1 dove n è il numero di areole. Se tutte le areole Si sono uguali (n = S/Si ) si ottiene: n 1 Ē = Ei n i=1 La distribuzione dell’illuminamento su una superficie può essere rappresentata graficamente attraverso le linee isolux (linee di uguale illuminamento), oppure più sinteticamente attraverso il rapporto di uniformità, definito come il rapporto fra illuminamento minimo e medio, oppure fra minimo e massimo. Nel caso in cui, come per le superfici stradali, quello che conta è la luminosità della superficie illuminata, a prescindere dal flusso luminoso che vi incide sopra, il parametro che occorre rispettare 198 3. ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE DI ESTERNI è in realtà la luminanza, che si calcola, se la superficie è lambertiana ed ha un coefficiente di riflessione ρl , come indicato dalla (1.10): L= ρl E π Requisiti per l’illuminazione di esterni Per le strade il rapporto di uniformità viene calcolato come rapporto fra le luminanze (anche se, in realtà, ciò equivale a operare un rapporto fra gli illuminamenti). Si definisce un rapporto di uniformità generale U0 : U0 = ρ Emin /π Emin Lmin = = L̄ Ē ρ Ē/π 3.3a dove i valori minimo e medio sono valutati sull’intera superficie stradale, e un rapporto di uniformità longitudinale Ul : Ul = Lmin Emin = Lmax Emax 3.3b Tab. 3.1 – Valori minimi raccomandati di luminanza e del fattore di uniformità per le strade (norma UNI 10439). Classe Tipo di strada Livello medio di luminanza (cd/m2 ) Rapporto di uniformità U0 (%) Ul (%) A B C D Autostrade Strade extraurbane principali Strade extraurbane secondarie Strade urbane di scorrimento veloce Strade urbane di scorrimento Strade urbane interquartiere Strade urbane di quartiere Strade extraurbane locali Strade urbane locali interzonali Strade urbane locali 2.0 2.0 1.5 2.0 40 40 40 40 70 70 70 70 1.0 1.5 1.0 1.0 0.75 0.50 40 40 40 40 40 35 50 70 50 50 50 40 D E E F F F 199 3. ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE DI ESTERNI A titolo di esempio, in Tab. 3.1 sono riportati i valori minimi della luminanza e del fattore di uniformità da adottare per il progetto di un impianto di illuminazione stradale. Si osservi che l’indicazione di una luminanza minima può essere facilmente convertita in una prescrizione di illuminamento minimo ricordando ancora la 1.10: i coefficienti di riflessione delle strade variano da 0.13 - 0.21 per rivestimenti chiari e levigati a 0.26 - 0.45 per rivestimenti scuri e scabri. Un altro importante parametro per definire la qualità di un sistema di illuminazione è il coefficiente di utilizzazione del flusso (Cu ), dato dal rapporto fra il flusso incidente sul piano utile Φu e il flusso globalmente emesso Φ: Cu = Φu Φ 3.4 Il valore di Φu può essere calcolato attraverso l’illuminamento medio sul piano utile. Infatti: Φu = E dS = n Ei Si = Ē S 3.5 i=1 S Il valore del flusso emesso Φ è in genere un dato fornito dal costruttore assieme all’indicatrice di emissione1 , dalla quale può essere ricavato, nel caso non sia noto, ricordando la relazione (1.5): Φ= I dω = 4π n Ii ωi 3.6 i=1 Metodo grafico per la soluzione della 3.6. Tale integrale può essere risolto graficamente impiegando un metodo (vedi Fig. 3.2) basato sulla seguente proprietà geometrica: una superficie sferica sezionata da n piani paralleli ed equidistanti dà ‹ luogo a n superfici di area uguale e pari a 4π r 2 n. I corrispondenti 1 Per gli apparecchi illuminanti vengono in genere forniti diagrammi fotometrici in cui le intensità sono riferite a 1 klm (1000 lm) di flusso emesso. Per cui, una volta scelta la lampada con i relativi dati di potenza e flusso luminoso Φ, i valori di intensità letti sull’indicatrice di emissione vanno moltiplicati per Φ/1000. 200 3. ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE DI ESTERNI Ι ε Fig. 3.2 – Metodo grafico per la determinazione del flusso emesso. angoli solidi saranno anch’essi uguali e varranno ωi = 4π/n. Perciò la (3.6) diviene: Φ = ωi n X Ii = i=1 n 4π X Ii n i=1 in cui Ii è il valore dell’intensità in corrispondenza dell’angolo solido ωi . Occorre tener presente che il flusso emesso Φ tende a ridursi col tempo, a causa del degrado luminoso delle lampade e dell’apparecchio illuminante. Del primo fatto si tiene conto attraverso un coefficiente di deprezzamento D, variabile fra 0.85 e 0.90, e del secondo attraverso un coefficiente di manutenzione M , variabile fra 0.55 e 0.80. Tenendo conto delle (3.4) e (3.5) il flusso effettivo Φ è dato pertanto da: Φef f = Ē S DM Cu 3.7 201 4. 4.1. ILLUMINAZIONE DI INTERNI REQUISITI ESSENZIALI PER L’ ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE I requisiti essenziali di un impianto destinato all’illuminazione artificiale di interni sono indicati dalla norma UNI 10380. Esso deve: a. assicurare un adeguato livello e uniformità di illuminamento b. evitare forti contrasti c. evitare l’abbagliamento diretto o riflesso d. restituire adeguatamente i colori. a. I valori di illuminamento raccomandati per alcuni ambienti sono riportati in Tab. 4.1. I tre valori riportati (minimo-medio-massimo) si riferiscono rispettivamente a compiti visivi: · svolti occasionalmente e in cui velocità e accuratezza non sono importanti · normali · particolarmente importanti per velocità e accuratezza L’uniformità di illuminamento viene definita attraverso il rapporto fra il valore minimo ed il valor medio spaziale dell’illuminamento. La UNI 10380 prescrive un valore minimo di 0.8. 203 4. ILLUMINAZIONE DI INTERNI b. Il contrasto luminoso viene espresso attraverso un coefficiente, detto fattore di contrasto, definito come: C= |L2 − L1 | L1 4.1 in cui L1 e L2 sono le luminanze di due punti vicini del campo visivo. Si deve avere: C<3 tra oggetto e piano di lavoro C < 10 tra oggetto e ambiente circostante C < 20 tra sorgente e fondo C < 40 tra due punti qualunque nel campo normale della vista c. Per evitare l’abbagliamento è necessario che la luminanza degli oggetti nel campo visivo non superi 1400 - 3000 cd/m2 . d. Da un punto di vista del colore della luce possono essere utilizzati diversi indicatori: · temperatura di colore · tonalità di colore (Tab. 4.2) · indice di resa cromatica · resa del colore Tab. 4.1 – Valori di illuminamento raccomandati per alcuni ambienti (da UNI 10380). Tipo di ambiente Residenze Locali di passaggio Camere, illuminazione generale Camere (zona letti) Bagni, illuminazione generale Illuminamento (lx) Tonalità di colore Resa del colore 50-100-150 50-100-150 W W 1A 1A 200-300-500 50-100-150 W W 1A 1A » 204 4. ILLUMINAZIONE DI INTERNI Tab. 4.1 – Valori di illuminamento raccomandati per alcuni ambienti (da UNI 10380). Tipo di ambiente Bagni (zona specchio) Cucine Edifici per uffici Uffici generici Uffici disegno Sale riunioni Scuole Aule, illuminazione generale Palestre Ospedali Corsie, illuminazione generale Locali per esami Laboratori, illuminazione generale Chirurgia, illuminazione generale Chirurgia, illuminazione localizzata Negozi Aree di circolazione Esposizione merci Vetrine Illuminamento (lx) 200-300-500 200-300-500 Tonalità di colore W W Resa del colore 1A 1A 300-500-750 500-750-1000 300-500-750 W,I W,I W,I 1B 1B 1B 300-500-750 W,I 1B 50-100-150 W 1A 300-500-750 300-500-750 W W 1A 1A 500-750-1000 I 1A 10000-30000100000 I,C 1A 150-200-300 300-500-750 500-750-1000 I I W,I,C 1B 1B 1B 300-500 • Tab. 4.2 – Tonalità di colore in funzione della temperatura di colore. Tonalità di colore bianco-calda (W) bianco-neutra (I) bianco-fredda (C) Range di temperatura di colore (K) < 3300 3300 - 5300 > 5300 L’indice di resa cromatica (Colour Rendering Index) definisce la capacità di una sorgente luminosa di restituire fedelmente i colori rispetto ad una sorgente luminosa di riferimento. La scala varia fra 100 (accordo perfetto fra luce campione e luce di 205 4. ILLUMINAZIONE DI INTERNI riferimento) e 0 (nessun accordo). In Tab. 4.3 sono indicate le corrispondenze fra l’indice di resa cromatica e la cosiddetta resa del colore. Tab. 4.3 – Corrispondenza fra resa del colore e indice di resa cromatica. Indice di resa cromatica (CRI) > 90 80 - 90 60 - 80 40 - 60 20 - 40 4.2. Resa del colore (Ra) 1A 1B 2 3 4 DETERMINAZIONE DEL FLUSSO LUMINOSO La principale difficoltà del calcolo di illuminazione degli interni consiste nel fatto che il flusso luminoso non giunge sul piano utile solo direttamente dalle lampade, ma vi viene anche riflesso dalle pareti e dal soffitto. Esistono numerosi metodi per calcolare il flusso luminoso necessario per realizzare un determinato illuminamento. Il più semplice è il metodo del flusso totale, la cui formula risolutiva è identica alla (3.7) per l’illuminazione di esterni: Φef f = Ē S Cu D M 4.2 Questa volta, però, il valore di Ē da introdurre è ricavato dalla norma UNI 10380 e il valore di Cu deve essere calcolato con l’ausilio di diagrammi o tabelle, in funzione dei seguenti fattori: a. tipo di apparecchio illuminante b. geometria del problema c. fattore di riflessione delle pareti. 206 4. ILLUMINAZIONE DI INTERNI a. Gli apparecchi illuminanti si possono distinguere in funzione del sistema di illuminazione secondo cui operano, che può essere diretto, semidiretto, misto, semindiretto e indiretto. A sua volta questa classificazione dipende dalla percentuale di flusso luminoso inviata verso il basso, come di seguito indicato (Tab. 4.4). Tab. 4.4 – Sistema di illuminazione. Sistema di illuminazione diretta semidiretta mista semidiretta indiretta % di flusso inviato verso il basso >90 60-90 40-60 10-40 <10 b. La geometria del locale è riassunta in un indice i, detto indice del locale, funzione delle dimensioni a, b, h e h (v. Fig. 4.1): i= ab h (a + b) i= ab h (a + b) per illuminazione diretta, semidiretta o mista 4.3a per illuminazione indiretta o semidiretta 4.3b A sua volta l’indice del locale serve a definire la classe del locale, secondo la Tab. 4.5. c. I valori dei coefficienti di riflessione delle pareti per i più comuni colori sono riportati in Tab. 4.6. Una volta noti il tipo di illuminazione, l’indice del locale ed il fattore di riflessione delle pareti e del soffitto, il coefficiente di utilizzazione del flusso può essere ricavato dalla Tab. 4.7, o da altre similari. 207 4. ILLUMINAZIONE DI INTERNI h' h piano utile b a Fig. 4.1 – Parametri geometrici per la definizione dell’indice del locale. Tab. 4.5 – Corrispondenza fra indice e classe del locale. Indice i Classe 0.5-0.7 A 0.7-0.9 B 0.9-1.2 C 1.2-1.4 D 1.4-1.7 E 1.7-2.7 F 2.7-4.0 G Tab. 4.6 – Coefficienti di riflessione per alcune tinte di impiego comune. Tinta bianco avorio crema Coefficiente di riflessione 0.90-0.75 0.85-0.80 0.80-0.70 giallo chiaro 0.70-0.60 rosa verde chiaro 0.60-0.45 0.50-0.40 208 Tinta azzurro chiaro grigio chiaro grigio scuro, marrone blu, verde e rosso scuro nero Coefficiente di riflessione 0.45-0.40 0.40-0.15 0.15-0.05 0.10-0.05 0.04-0.01 4-6 H 4. 4.3. ILLUMINAZIONE DI INTERNI ILLUMINAZIONE NATURALE DI INTERNI Per studiare l’illuminazione naturale in un interno il procedimento rigoroso consisterebbe nel considerare le finestre come sorgenti luminose di luminanza nota e nel calcolare poi punto per punto i valori di illuminamento tenendo conto delle riflessioni interne. Tale procedimento è di difficile attuazione. Anche in questo caso si preferisce adottarne uno semplificato, che fa riferimento ad un indice detto fattore di luce diurna (F LD), definito come: F LD = Ei Eo 4.4 dove: Ei = illuminamento orizzontale in un punto dell’ambiente interno Eo = illuminamento orizzontale all’esterno, misurato su una superficie non sottoposta a irraggiamento solare diretto e senza ostacoli che ostruiscono il cielo. Il fattore di luce diurna varia, in un locale, da punto a punto. Il suo valore medio può essere calcolato con la seguente espressione approssimata, che non tiene conto, ad esempio, della forma e della posizione della finestra: F LDm = τl Av F (1 − ρl,m ) S 4.5 con Av = area parete vetrata τ l = coefficiente di trasmissione del vetro ρl.m = coefficiente medio di riflessione di tutte le pareti interne (inclusa la finestra) S = area delle pareti interne F = fattore finestra 209 4. ILLUMINAZIONE DI INTERNI Tab. 4.7 – Valori del coefficiente di utilizzazione, in %. Curv a fotometrica Illuminazione semidiretta d=1,1 h Illuminazione mista d = 1,1 h Indice locale F attore di manutenzione Coefficiente di utilizzazione J 0.28 0.22 0.18 0.26 0.21 0.18 0.20 0.17 Plaf oniera nuda o con coppa diffondente I 0.35 0.29 0.25 0.33 0.27 0.24 0.26 0.24 H 0.39 0.33 0.30 0.37 0.32 0.28 0.30 0.27 G 0.45 0.38 0.33 0.40 0.36 0.32 0.33 0.30 F 0.49 0.42 0.37 0.43 0.39 0.34 0.37 0.33 E 0.56 0.50 0.44 0.49 0.44 0.40 0.42 0.38 D 0.60 0.55 0.50 0.53 0.48 0.44 0.47 0.44 C 0.64 0.59 0.54 0.56 0.51 0.47 0.50 0.47 B 0.68 0.62 0.59 0.61 0.56 0.53 0.54 0.52 A 0.70 0.65 0.62 0.65 0.62 0.60 0.58 0.57 0.8 0.7 0.6 J 0.26 0.23 0.21 0.23 0.21 0.19 0.19 0.17 Diffusore I 0.32 0.29 0.27 0.28 0.26 0.24 0.23 0.21 H 0.37 0.33 0.31 0.31 0.29 0.27 0.26 0.24 G 0.40 0.36 0.34 0.34 0.31 0.30 0.28 0.26 F 0.42 0.39 0.36 0.36 0.33 0.32 0.30 0.28 E 0.46 0.43 0.40 0.41 0.38 0.35 0.32 0.30 D 0.50 0.46 0.43 0.44 0.40 0.39 0.34 0.33 C 0.52 0.48 0.45 0.46 0.44 0.41 0.37 0.36 B 0.55 0.52 0.49 0.48 0.46 0.45 0.39 0.38 A 0.57 0.54 0.51 0.49 0.47 0.46 0.42 0.41 0.75 0.7 0.65 >> 210 4. Curv a fotometrica Illuminazione diretta d= h Illuminazione diretta d = 0.9 h Indice locale ILLUMINAZIONE DI INTERNI F attore di manutenzione Coefficiente di utilizzazione J 0.38 0.32 0.28 0.37 0.32 0.28 0.31 0.28 I 0.46 0.42 0.38 0.46 0.41 0.38 0.41 0.38 H 0.50 0.46 0.43 0.50 0.46 0.43 0.46 0.43 G 0.54 0.50 0.48 0.53 0.50 0.47 0.49 0.47 F 0.58 0.54 0.51 0.56 0.53 0.50 0.52 0.50 E 0.62 0.59 0.56 0.60 0.58 0.56 0.58 0.56 D 0.67 0.64 0.61 0.65 0.63 0.61 0.62 0.61 C 0.69 0.66 0.63 0.67 0.65 0.63 0.64 0.62 B 0.72 0.70 0.67 0.70 0.68 0.66 0.67 0.66 A 0.74 0.71 0.69 0.72 0.70 0.68 0.69 0.67 J 0.35 0.32 0.30 0.35 0.32 0.30 0.32 0.30 I 0.43 0.39 0.37 0.42 0.39 0.37 0.39 0.37 H 0.48 0.45 0.42 0.47 0.44 0.42 0.43 0.41 G 0.53 0.50 0.47 0.52 0.49 0.47 0.48 0.46 F 0.57 0.53 0.50 0.55 0.52 0.50 0.52 0.50 E 0.61 0.57 0.55 0.59 0.57 0.54 0.56 0.54 D 0.64 0.61 0.59 0.62 0.60 0.58 0.59 0.57 C 0.66 0.63 0.61 0.63 0.61 0.60 0.61 0.59 B 0.68 0.66 0.63 0.66 0.64 0.63 0.63 0.62 A 0.69 0.67 0.66 0.67 0.66 0.64 0.65 0.63 Riflettore a fascio largo 0.75 0.65 0.55 Riflettore a fascio medi o 0.75 0.65 0.55 Fattore di riflessione pareti Fattore di riflessione soffitto 75% 50% 30% 211 4. ILLUMINAZIONE DI INTERNI Il fattore finestra rappresenta il rapporto fra il flusso luminoso che giunge sul piano della finestra e quello sul piano orizzontale. Il flusso luminoso che raggiunge la finestra proviene a sua volta sia dal cielo che dal terreno, mentre quello sul piano orizzontale esterno proviene per definizione soltanto dal cielo. In assenza di radiazione diretta e supponendo isotropi la volta celeste ed il terreno il fattore finestra può essere calcolato con la formula seguente: F = 1 − cos (Σ + Γ) 1 + cos (Σ + Γ) + ρt 2 2 4.6 in cui Σ è l’inclinazione della parete sull’orizzontale, ρt il coefficiente di riflessione (o albedo) del terreno e Γ l’elevazione media delle eventuali ostruzioni sull’orizzonte. I valori limite di F LDm da rispettare sono riportati in Tab. 4.8. Tab. 4.8 – Valori limite di FLD medio (*). FLD>1% Edilizia residenziale Edilizia scolastica Edilizia ospedaliera uffici, spazi di distribuzione, scale, servizi igienici come edilizia scolastica FLD>2% tutti i locali di abilitazione palestre, refettori e aule comuni FLD>3% FLD>5% ambienti a uso didattico, laboratori aule giochi e aule nido palestre e refettori ambienti di degenza, diagnostica, laboratori (*) Valori tratti da: Decreto del Ministero della Sanità del 5/7/1975 indirizzato all’edilizia residenziale Decreto Ministeriale del 18/12/1975 indirizzato all’edilizia scolastica Circolare del Ministero dei Lavori pubblici n◦ 13011 del 22/12/1974 indirizzata all’edilizia ospedaliera A partire dal livello di illuminamento medio Ei desiderato in un ambiente è possibile, conoscendo il fattore medio di luce diurna, determinare la frazione di tempo in cui la luce diurna è in grado di garantire una illuminazione sufficiente dell’ambiente. Sono 212 4. ILLUMINAZIONE DI INTERNI 16000 80% illuminamento es terno (lx) 14000 70% 60% 85% 12000 90% 10000 8000 95% 6000 4000 2000 0 30 35 40 45 latitudine (° ) 50 55 60 Fig. 4.2 – Percentuale di tempo fra le 9 e le 17 in cui si supera un determinato valore di illuminamento esterno in funzione della latitudine del luogo (Diagramma di Dresler ). infatti disponibili dei diagrammi che forniscono la percentuale di tempo in cui viene superato un certo livello di illuminamento all’esterno Eo in un determinato periodo del giorno (9 - 17 per la Fig. 4.2), in funzione della latitudine del luogo. Noti il valore di illuminamento richiesto e il fattore medio di luce diurna del locale si ha: Eo = Ei /F LDm In corrispondenza del valore di Eo così determinato e della latitudine del luogo si determina la frazione di tempo in cui non è richiesto l’ausilio dell’illuminazione artificiale. Ad esempio, per una località a 45◦ di latitudine, l’illuminamento esterno è superiore a 10.000 lx per l’80% del tempo compreso fra le 9 e le 17. Ciò significa che in un locale avente F LDm = 0.02 per l’80% del tempo l’illuminamento sarà superiore a 200 lx. 213 BIBLIOGRAFIA I testi di riferimento da consultare per l’approfondimento dei temi trattati nelle varie parti di questo volume sono: Barducci I., Collana di Fisica Tecnica, Edizioni Scientifiche Associate, Roma, 1982. Boffa C., Gregorio P., Elementi di Fisica Tecnica, Levrotto e Bella, Torino, 1977. Çengel Y.A., Termodinamica e trasmissione del calore, McGraw-Hill Libri Italia, Milano, 1998. Per ulteriori più specifici approfondimenti si indicano di seguito i seguenti testi: Parte I – Abbott M.M., Van Ness H.C., Thermodynamics, McGraw-Hill Book Company, New York, 1972. – Calì M., Gregorio P., Termodinamica, Progetto Leonardo, Bologna, 1996. – Cavallini A., Mattarolo L., Termodinamica Applicata, CLEUP, Padova, 1992. – Zemansky M.W, Termodinamica per ingegneri, Zanichelli, Bologna, 1970. Parte II – Bonacina C., Cavallini A., Mattarolo L., Trasmissione del calore, CLEUP, Padova, 1989. 215 – Guglielmini G., Pisoni C., Elementi di trasmissione del calore, Veschi, Milano, 1990. – Holman J.P., Heat Transfer, McGraw-Hill Book Company, New York, 1977. – Mastrullo R., Mazzei P., Naso V., Vanoli R., Fondamenti di trasmissione del calore, Vol. I, Liguori Editore, Napoli, 1982. Parte III – Cirillo E., Acustica applicata, McGraw-Hill Book Company Inc., 1997. – Spagnolo R., Manuale di acustica applicata, UTET, Torino, 2001. Parte IV – Moncada Lo Giudice, G., de Lieto Vollaro, A., Illuminotecnica, Masson Editoriale ESA, Milano 1996. 216