LEZIONE:
“CASISTICA CLINICA”
PROF. GIANLUIGI FERRIGNO
Casistica clinica
Indice
1 INTRODUZIONE -------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3 2 PERCHÈ L’AZIONE PENALE SPESSO ANTICIPA QUELLA CIVILE ---------------------------------------- 19 3 LA DENUNCIA: LA CONSULENZA TECNICA MEDICO-LEGALE DI PARTE (LESA) ------------------ 20 4 CONSULENZA TECNICA MEDICO-LEGALEDI PARTE IN TEMA DI “COLPA
PROFESSIONALE” ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 25 5 INDAGINI DELLA MAGISTRATURA: C.T.U. RICHIESTA DAL P.M. ---------------------------------------- 33 6 VALUTAZIONE DELLE CONDOTTE GIUDIZIARIE DEGLI INFERMIERI -------------------------------- 49 7 ULTERIORI QUESITI RICHIESTI DAL G.U.P. IN FASE DIBATTIMENTALE ----------------------------- 51 8 LA PERIZIA: CARATTERISTICHE E PROCEDURE -------------------------------------------------------------- 52 BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 59 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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1 Introduzione
1.- La Medicina Legale può idealmente intendersi come un ponte che unisce due sponde
distanti tra loro da sempre, nella cultura scientifica e nei concetti anche pratici del sapere comune:
quali sono la Medicina Clinica ed il Diritto Positivo.
La Medicina Legale quindi è ponte tra la Clinica ed il Diritto, ricordando poi che questo
ponte si regge su due fondamentali pilastri: il “rigorismo obiettivo del metodo” ed la “dominante
conoscenza del rapporto giuridico ai cui il fatto si riferisce”.
Queste sono due regole fondamentali alle quali sempre attenersi nella prestazione medicolegale.
E’ tuttavia bene fare una precisazione iniziale: prestazione medico-legale vuole significare
anche qualsivoglia generica prestazione intesa a “”fini medico-legali””, cioè con finalità non
cliniche (=diagnostiche, terapeutiche, preventive, riabilitative,ecc.) ma di sola valutazione o
certificazione civile, penale, amministrativa, previdenziale, assistenziale, ecc.; e non solo una
specifica prestazione prodotta da un medico specialista nella branca.
Alcuni esempi di valutazione/certificazione a fini medico-legali, in ambito:
a) Civile= Relazione di valutazione del danno biologico in R.C.A.
(Responsabilità Civile Auto),
b) Penale= Consulenza Tecnica di Colpa Professionale,
c) Amministrativa= Certificato Necroscopico per l’Ufficiale di Stato Civile,
d) Previdenziale= Verbale INAIL di valutazione danno biologico da Infortunio
Lavorativo,
e) Assistenziale= Verbale di Invalidità Civile.
2.- Tornando alle due regole fondamentali della disciplina medico-legale: Il Rigorismo
obiettivo del metodo impone di essere rigorosamente aderenti alla realtà fattuale; inoltre –
diversamente dalla clinica- impone sempre di basarsi esclusivamente su “”prove””.
Diversamente dalla clinica dove anche l’intuizione ad es. diagnostica può essere risolutiva,
nella prestazione a fini medico-legali mai il possibile può divenire probabile, mai il probabile può
essere spacciato per certo.
Sempre dunque tener conto dei reperti, dei segni e di tutti i dati obiettivi riscontrati.
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Per quanto attiene poi la seconda regola fondamentale della disciplina medico-legale: La
Dominante conoscenza del rapporto giuridico ai cui il fatto si riferisce impone sempre e
prioritariamente di conoscere e saper incasellare quel dato fatto reale già avvenuto, in quale
specifico contesto giuridico deve essere valutato.
Infine occorre accennare al “cemento” che costituisce questi due pilastri e da consistenza
all’intero ponte medico-legale: il nesso di causalità materiale.
3.- Perché prima di poter affermare la sussistenza di una qualche responsabilità penale, è
tuttavia necessario preliminarmente accertare l’esistenza degli elementi soggettivi del dolo e della
colpa e fondamentalmente il nesso di causalità tra il fatto “storico” antecedente e l’evento dannoso
prodottosi in concreto.
La Medicina Legale è infatti essenzialmente la medicina del “dopo”, interviene cioè non a
prevenire o curare, bensì è chiamata ad indagare e/o valutare ed infine certificare (o meglio ad
“acclarare”) un “fatto biologico già accaduto” ai fini giuridici, siano essi di interesse penale e siano
essi di interesse della collettività sociale (ordinamento dello stato civile).
Da cui l’antico brocardo: De rebus medicis sub specie juris1.Oppure più recentemente, riportandoci al Documento di Erice (18-21/02/1991):”… La
Medicina Legale è per sua natura una scienza interdisciplinare la quale studia -con metodologia
specifica- i contenuti biologici e medici delle norme giuridiche al fine di consentire la migliore
interpretazione, l’applicazione e lo sviluppo, e che collabora con la Giustizia e con i privati alla
soluzione di casi che richiedono indagini e valutazioni di ordine biologico e/o medico…”.
A mente dell’Art. 40 c.p., infatti, nessuno può essere punito per un fatto previsto dalla legge
come reato se l’evento dannoso o pericoloso da cui discende l’esistenza del reato, non è
conseguenza della sua azione od omissione ed altresì non impedire un evento che si ha l’obbligo
giuridico di impedire equivale a cagionarlo.
Ed ai sensi dell’Art. 41 c.p., il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute,
anche indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra
azione od omissione e danno. Salvo che le cause sopravvenute non siano state da sole sufficienti a
determinare l’evento.2
1
Delle cose della medicina sotto l’aspetto del diritto vivente.-
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4.- La CRITERIOLOGIA del NESSO CAUSALE. Sul piano metodologico qualunque
indagine valutativa medico-legale si dispiega attraverso la verifica di criteri, che se soddisfatti o
meno, per ognuna delle fasi che costruiscono la sequenza, cioè quella che viene definita la catena
causale, induce rispettivamente alla dimostrazione o alla negazione del nesso di causalità.
Questi criteri medici-legali sono:
1) Criterio Topografico: secondo cui deve potersi dimostrare una compatibilità fra la sede di
applicazione della presunta causa e quella ove si manifesta l’effetto;
2) Criterio Cronologico: che riguarda la compatibilità temporale tra il momento in cui si
applichi la presunta causa e quello in cui si manifesti l’effetto;
3) Criterio di Efficienza Lesiva: che si considera soddisfatto, allorché possa dimostrarsi che
la presunta causa era teoricamente idonea a cagionare l’effetto;
4) Criterio della Continuità Fenomenica: che considera la sequenza dei fenomeni che
caratterizzano il periodo intercorrente fra l’effetto e l’applicazione della presunta causa.
5) Criterio di Esclusione di Altre Cause: criterio soddisfatto se l’antecedente è l’unico dotato
di una potenzialità sufficiente alla produzione dell’effetto, né possano ipotizzarsi altre ipotesi;
6) Criterio di attendibilità Statistica: criterio questo molto utile nello studio del nesso causale
da patologia professionale; significandosi che l’evento in causa è quanto normalmente e
statisticamente ci si attenderebbe dopo l’applicazione dell’antecedente.
5.-
Questa lezione si propone quindi di descrivere un caso clinico di “colpa
professionale” di morte nel post-operatorio, evidenziando da un lato le condotte giudiziarie del
personale infermieristico; dall’altro le modalità di redazione sia di una Consulenza Tecnica di Parte
(lesa), e di poi delle modalità di redazione di una Consulenza Tecnica di Ufficio (cosiddetta C.T.U.)
richiesta dal Pubblico Ministero della Procura della Repubblica (cosiddetto P.M.).
Inoltre verificare come in fase dibattimentale (=in aula) ulteriori quesiti potranno essere
richiesti dal GUP (=Giudice dell’Udienza Preliminare).
Infine descriveremo tutti i riferimenti normativi in tema di perizie.
Il caso clinico in esame, nella sua precipua dimensione pratica, potrà fornire un valido
orientamento nell’applicazione forense dell’attività infermieristica.
2
Riportiamo brevemente queste nozioni perché le ritroveremo applicate nel corso del caso clinico.
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Orientarsi nell’ambito dei procedimenti penali (e civili) che sempre più coinvolgono anche
personale infermieristico, rende ragione della novità e specificità del Master.
L’evoluzione dello status giuridico del personale infermieristico (ma generalmente di tutto il
personale sanitario non-medico) dalle mansioni di semplice esecutore di ordini medici a fini
prevalentemente terapeutici, alla professione con laurea ed alla dirigenza nel Servizio Sanitario
Nazionale: ha fatto però nascere nuovi diritti-doveri di “”autonomia”” e di “”responsabilità””.
Perché necessariamente, la crescita in autonomia professionale va di pari passo con la
nascita e/o l’incremento di responsabilità professionale nei confronti dell’Utenza.
La stessa redazione della Cartella Infermieristica eleva gli Infermieri al rango penale di
Pubblici Ufficiali (ex art. 357 c.p.) e non più solo di Incaricati di pubblico servizio (ex art. 358 c.p.),
nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale.
Anche se, lo ricordiamo, in molti casi di rilevanza penale, il reato e la pena edittale prevista
sono gli stessi sia in caso che il colpevole rivesta la qualifica di Pubblico Ufficiale, tanto quanto
rivesta la qualifica “minore” di Incaricato di Pubblico Servizio. Ad esempio:
L’Art. 328 c.p. (Rifiuto di atti d’ufficio) così novella:”Il Pubblico Ufficiale o L’Incaricato di
pubblico servizio che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o
sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito
con la reclusione da 6 mesi a 2 anni”.
La Cartella Infermieristica è lo strumento cartaceo su cui l’infermiere documenta la
pianificazione dell’assistenza e la sua pratica attuazione.
Questa documentazione segue – ovviamente- un ordine cronologico, per data ed ora, di tutte
le attività predisposte e eseguite. Deve essere contemporaneamente assicurata la rintracciabilità
dell’operatore per ciascuna registrazione. I principali obiettivi devono esservi indicati entro le 24
ore.
La struttura della Cartella Infermieristica prevede:
•
dati di identificazione della stessa o codice RI
•
dati di identificazione della persona assistita
•
raccolta dati per la valutazione iniziale all’ammissione
•
identificazione dei bisogni assistenziali
•
identificazione degli obiettivi
•
identificazione degli interventi
•
diario assistenziale
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•
valutazione dei risultati.-
L’identificazione dei bisogni assistenziali “…costituisce la base sulla quale scegliere gli
interventi infermieristici volti a conseguire gli esiti di cui infermiere è responsabile…” (North
American Nursing Diagnosis Association, 1990).
Tra l’altro nel diario assistenziale vanno segnalate opportunamente tutte le modificazioni
intervenute nello stato clinico (soggettivo ed obiettivo) dell’Utente.
Infine la Cartella Infermieristica [o la sorella minore la c.d. “Scheda Infermieristica”] deve
essere archiviata insieme alla Cartella Clinica.
E’ stata altresì proposta – al fine di evitare errori ed inutili duplicazioni cartacee- la
CARTELLA CLINICA INTEGRATA. Questa è di solito strumento informatizzato, che
sostituisce in pieno sia la Cartella clinica e sia quella Infermieristica. Anzi in questa piattaforma
digitale si integrano ed interagiscono tutte le figure intervenute: dal Medico all’Infermiere, ma pure
il Dietista e altrettanto il Fisioterapista ecc.
L’utilizzo di questa Cartella Integrata richiede tuttavia contesti organizzativi di grosso
spessore, ed una integrazione di equipe di livello elevato.
Per tutte le due forme di Cartella valgono i principi di redazione, responsabilità,
conservazione, privacy, segreto d’ufficio ed archiviazione, da sempre in uso per la Cartella Clinica
cartacea.
6.-
Ma non solo, lo status di Dirigenza Infermieristica comporta altresì ulteriori
responsabilità di “culpa in eligendo” e di “culpa in vigilando”3 verso gli Operatori di Supporto che
collaborano quotidianamente nell’Unità Operativa: quali gli Operatori Socio-Sanitari e Operatori
Socio-Sanitari Specializzati (DPR 348/83), e gli Operatori Tecnici addetti all’Assistenza – OTA
(DPR 384/90).
In realtà, nel trasferire a questi collaboratori alcune funzioni o compiti semplici da parte del
Dirigente Infermiere, non si tratterà mai di una vera e propria delega di funzioni.
Perché questo strumento operativo tendente a regolare i rapporti immediati e diretti tra
infermiere ed operatore di supporto di unità operativa, risulta inadeguata poichè:
•
La delega deve essere in forma scritta
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•
La delega deve essere effettiva
•
La delega deve comportare il trasferimento di pieni poteri decisionali al
delegato (Operatore di supporto)
•
La delega del delegante (l’Infermiere) deve poter prevedere una vigilanza ed
un controllo4 senza tuttavia ingerirsi nella attività del delegato(sic).
E’ dunque improponibile un controllo senza riscontro, come è altresì realmente
improponibile che ogni attività delegabile sia formalizzata per iscritto.
Oltre che ci si deve rapportare con la rilevanza penale dell’istituto della delega: per cui
dovrebbe correttamente esservi completa esenzione di responsabilità del delegante, a fronte di una
piena assunzione di responsabilità del delegato.
La soluzione è diversa e viene correttamente percorsa attraverso i Piani di Lavoro.
Questi prevedono l’individuazione viceversa di “”attribuzione di attività”” –termine il più
generico possibile – significante le attività attribuibili in concreto all’O.S.S. sulla base della bassa
discrezionalità e della alta riproducibilità della tecnica da espletare a favore dell’Utenza.5
Dunque l’Infermiere Dirigente del S.S.N. deve porsi i seguenti quesiti, prima di attribuire
agli Operatori di supporto una data attività di servizio:
•
CHE COSA ?
Quali compiti possono essere trasferiti ai collaboratori
•
PER CHI ?
Per quale paziente, intendendosi la conoscenza dello
stato clinico
•
PERCHE’ ?
Lo scopo del compito, differenziando la routine
dall’emergenza
•
DOVE ?
In quale contesto: lo stesso compito in Reparti diversi
avrà pesi diversi
•
A CHI ?
Quale degli Operatori a competenza migliore per quella
data mansione
•
QUALE OUTCOME ? Quale risultato dall’attribuzione mi attendo di ottenere
a favore dell’Utente.
3
Colpa nella scelta errata del collaboratore cui affidare una determinata mansione o compito, colpa nel non aver
vigilato sull’operato dello stesso.
4
Vigilare significa una verifica work in progress, quindi con possibilità di modificarne il risultato; controllare significa
verificare gli outcomes finali, senza più nessuna possibilità di correzioni di errori in corso d’opera.
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Tuttavia esistono percorsi attivi e/o decisionali che NON possono mai essere né delegati e
neppure attribuibili nei Piani di Lavoro:
1. La pianificazione e personalizzazione del processo di assistenza infermieristica
2. L’identificazione critica dei bisogni
3. La valutazione dell’intera componente psichica, sociale e clinica dell’Utente
4. Le svariate attività assistenziali dirette ed indirette che richiedono conoscenze
specialistiche o abilità professionali
5. Le attività decisionali di coordinamento infermieristico.
5
Usiamo sempre il termine Utenza (e non paziente o malato) poiché le responsabilità infermieristiche descritte sono
univoche in qualsivoglia unità operativa del Servizio Sanitario Nazionale, ed indipendenti dalla tipologia di richiesta di
salute dell’individuo.
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7.- APPENDICE:
COLPA
Il Malato disse, non sono guarito,
eppur trattato dall’Infermiere, ho molto patito,
questa è dei fatti la realtà.L’Avvocato perorò l’ipotesi di evidente inequità.Il Consulente confermò dell’errore la possibilità.Il Giudice desunse la colpa per probabile responsabilità.La realtà era interpretata in parziale verità,
che il verbale mutava in dubbia meta-verità,
che la sentenza fissava in sicura meta-meta-verità.La condanna dell’ INFERMIERE fu la spiacevole novità,
giudizio sibillino, forse ingiusto, ma all’unanimità.Da “Diario di una ricerca” Dott. Fabrizio Montagna 2003 MODIFICATA
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Quali potrebbero essere le
conseguenze del mio operato?
REATO
« Ogni comportamento antigiuridico, libero e volontario,
produttivo di un evento contrario ad un interesse protetto
dalla norma penale, e pertanto punibile»
a) DELITTI=
1. l’Ergastolo;
2. la Reclusione [15gg.
3. la Multa [€ 5,00
b) CONTRAVVENZIONI=
1. l’Arresto [5gg.
2. l’Ammenda [€ 2,00
24 anni]
€ 5.164,00]
3 anni]
€ 1.032,00]
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Articolo 589 Codice penale
Omicidio colposo:
“Chiunque cagiona per colpa la
morte di una persona è punito
con la reclusione da 6 mesi a
5 anni”.-
Articolo 590 Codice Penale
Lesioni personali colpose:
“Chiunque cagiona ad altri, per colpa, una
lesione personale è punito con la
reclusione fino a 3 mesi o con la multa
fino a 309 euro.
Se la lesione è grave la pena è della
reclusione da 1 a 6 mesi o della multa da
123 euro a 619 euro; se è gravissima,
della reclusione da 3 mesi a 2 anni o
della multa da 309 euro a 1.239 euro”.-
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Articolo 591 Codice Penale
Abbandono
di persone minori o incapaci:
“Chiunque abbandona una persona minore degli anni
14, ovvero una persona incapace, per malattia di
mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa,
di provvedere a se stessa, e della quale abbia la
custodia o debba avere cura, è punito con la
reclusione da 6 mesi a 5 anni.
La pena è della reclusione da 1 a 6 anni se dal fatto
deriva una lesione personale, ed è da 3 a 8 anni
se ne deriva la morte”.-
Articolo 610 Codice Penale
Violenza privata:
“Chiunque,
con violenza o minaccia, costringe altri a fare,
tollerare od omettere qualche cosa è punito
con la reclusione fino a 4 anni”.-
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Articolo 613 Codice Penale
Stato di incapacità procurato mediante violenza:
“Chiunque, mediante suggestione ipnotica o in
veglia, o mediante somministrazione di
sostanze alcoliche o stupefacenti, o con
qualsiasi altro mezzo, pone una persona, senza
il consenso di lei, in stato di incapacità di
intendere o di volere, è punito con la
reclusione fino a 1 anno”.-
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IMPERIZIA
Non è imperito chi non sa, ma chi non sa quello che un Operatore
Sanitario ordinario avrebbe dovuto sapere
IMPRUDENZA
non è imprudente chi usa tentativi terapeutici pericolosi, ma chi li usa
senza necessità
NEGLIGENZA
Non è negligente chi trascura alcune norme tecniche, ma chi trascura
quelle norme che gli altri osservano
INOSSERVANZA
non è inosservante dei regolamenti chi ne prescinde, ma chi fa ciò
nonostante dalla pratica degli altri Operatori Sanitari risulti che quelle
norme sono note e non sono cadute in disuso
(Ceci, 1989)
Esiste una soluzione ?
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Capacità di SAPERE ÆSAPER
FARE ÆSAPER ESSERE:
“…Elevate dosi di:
buon senso,
intelligenza,
preparazione professionale,
umanità e buona fede…”
E poi … sempre:
…Cum grano salis…
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UN CASO CLINICO: MORTE NEL POST-OPERATORIO (ART. 589 C.P.)
SINTESI CRONOLOGICA
La Sig.ra R.C.:
•
ORE 18,38 del 16/10/06: si ricovera d’elezione perchè affetta da:“Calcolosi renale bilaterale, più
grave a destra”, al fine di sottoporsi ad intervento di: “LITOTRISSIA PERCUTANEA (PCN)”;
•
ORE 12,15 del 18/10/06: inizia operazione di PCNL: (=dopo 4-5 ore dall’uscita dalla Sala
Operatoria) inizia a sentirsi molto male;
•
ORE 00,10 del 19/10/06: viene riconosciuto uno stato di grave sofferenza (emorragica) e poco dopo
inizia terapia emotrasfusionale;
•
ORE 02,15: Le condizioni si aggravano in franco shock emorragico, con trasferimento in Terapia
Intensiva (=dopo ca. 12 ore dal fine intervento);
•
ORE 09,00: Le condizioni segnano un miglioramento, si richiede consulenza Urologia e TAC
Addome;
•
ORE 12,00: si conosce la refertazione TAC, che tra l’altro mostra emo-retroperitoneo; e risultano
stampati i dati di Laboratorio (11:41);
•
ORE 12,50: Consulenza Urologia;
•
ORE 15,00: Ulteriore consulenza Urologia;
•
ORE 17,00: Le condizioni ritornano a peggiorare (=dopo ca. 27 ore dal fine intervento);
•
ORE 18,30: Entra in coma, intubazione e ventilazione assistita;
•
ORE 20,20: Arresto Cardio-circolatorio;
•
ORE 21,00: Si constata il decesso (=dopo 30 ore ca. dal fine intervento).-
Il reato qui contestato è quello di Omicidio Colposo ex art. 589 c.p. [vedi pag. 9, infra]
Si tratta di un delitto, poiché prevede la reclusione.
Generalmente il procedimento penale nei casi di Colpa Professionale (Malpractice)
insorge proprio per iniziativa del soggetto privato (persona offesa dal reato) mediante proposizione
di atto di querela (art. 120 c.p.p.) oppure per iniziativa del Pubblico Ministero (art. 330 c.p.p.),
questi allertato solitamente da una idonea refertazione dei Sanitari.
L’atto di querela non può essere presentato decorsi 3 mesi dal giorno della notizia del fatto
costituente reato (art. 124 c.p.). Nella pratica, ben può ritenersi che la parte offesa possa avere
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contezza delle eventuali ipotesi di reato solo dopo aver ricevuto la Consulenza Medico-Legale di
Parte, in cui saranno stati esplicitati profili di colpa professionale.
Appare utile indicare nell’atto di querela le eventuali ipotesi di reato facendo espressamente
menzione degli articoli del Codice Penale presuntivamente violati.
Non sono invece richieste forme particolari nell’esposizione dei fatti alle autorità
competenti.
Inoltre il dato comune in tutte le ipotesi colpose è quindi rappresentato dalla inosservanza
di precauzioni doverose: che si configureranno più specificatamente nella imperizia, oppure nella
negligenza, oppure nella negligenza od infine nell’inosservanza di leggi, regolamenti norme ecc.
Ma a monte di questi momenti commissivi od omissivi, vi sono da ricordare i requisiti
essenziali che rendono legittima l’attività sanitaria stessa:
a) Abilitazione alla professione ed iscrizione ad apposito Albo professionale;
b) Pre-esistenza del Consenso informato dell’Utente;
c) Il rispetto delle “legis artis”;
d) Infine deve sussistere la necessità terapeutica, vale a dire un positivo rapporto costi-benefici
[inteso come rapporto rischio quoad valetudinem o quoad vitam-guarigione].
Così la Cassazione Penale, 28.04.94:”La colpa del medico, che è una delle c.d. colpe speciali o
professionali, propria delle attività giuridicamente autorizzate perché socialmente utili anche se
rischiose per loro natura, ha come caratteristica l’inosservanza di regole di condotta, le “legis
artis” che hanno per fine la prevenzione del rischio non consentito, vale a dire dell’aumento del
rischio”.
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2 Perchè l’azione penale spesso anticipa
quella civile
Premesso che la parte offesa dall’atto illecito del Sanitario può esercitare il proprio diritto –
indistintamente-
in sede civile ovvero in sede penale, è utile delineare i motivi che spesso
purtroppo fanno propendere per la sede penale.
Un primo motivo può essere ascritto alla elevata importanza che alcuni avvocati
attribuiscono al presunto valore degli elaborati redatti dal Consulente medico-legale del Pubblico
Ministero, giusta la fonte pubblicistica di provenienza.
Secondo motivo è certo l’assenza di costi per la parte lesa, almeno in fase iniziale: la
Procura della Repubblica dispone infatti il sequestro delle cartelle cliniche, dispone a proprie spese
le consulenze tecniche e svolge atti di indagine di costi e tempi elevati.
Altro motivo, certo non secondario, in assenza di testimoni dell’accaduto, la stessa parte lesa
può essere escussa come teste (disposizione inammissibile in rito civile, art. 246 c.p.c.).
Tuttavia vi è anche il rovescio della medaglia: la dimostrazione di responsabilità penale deve
essere certa, e la prova insufficiente o contraddittoria comporterà l’assoluzione del Sanitario
imputato, con il venir meno dell’assunto risarcitorio; i periti d’ufficio saranno più cauti
nell’esprimere pareri sfavorevoli all’imputato medico, giusta la possibile condanna penale; lo stesso
Magistrato penale –a buon diritto- giudicherà applicando il principio del “favor rei”.
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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3 La denuncia: la consulenza tecnica medico-legale
di parte (lesa)
Verbale di sommarie informazioni assunte da P.M., da cui si riporta:”...... A.D.R.:
Confermo di essere il marito di R.C., deceduta il 19.10.06. A.D.R.: Mia moglie in vita non ha mai
sofferto di nulla, era sana come un pesce. Soltanto di tanto in tanto accusava dolori dovuti a calcoli
renali. A.D.R.: Il giorno 15 ottobre 2006 mia moglie ebbe una colica renale, erano mesi che non ne
aveva più una. Il … lunedì mattina telefonò il dott. U. di…… il quale comunicava a mia moglie che
si poteva ricoverare presso l’ospedale M….. al fine di subire un intervento per i calcoli. Mia moglie
aveva già prenotato da tempo e si era liberato un posto per quello stesso giorno. Così la stessa
sera, alle ore 18.30 mia moglie si ricoverò presso l’ospedale “M.” di N…… ed io ero con lei
perché l’accompagnai. Sul posto gli infermieri ci stavano aspettando. Quella sera stessa fecero i
primi accertamenti ovvero misurare la pressione ed elettrocardiogramma. Il martedì le fecero tutti
gli esami ed i controlli necessari. Il mercoledì alle ore 11.15 precise fu portata in sala operatoria
ove per subire l’intervento. Alle ore 15.10 mia moglie uscì dalla sala operatoria ed era quasi
sveglia, non ancora del tutto cosciente ma sofferente.
A.D.R.: Alle ore 16.30 gli infermieri mi hanno fatto uscire, in pratica hanno fatto uscire tutti
dall’ospedale perché era finito l’orario di visita e all’interno dell’ospedale è rimasto, per assistere
ancora per un paio d’ore mia moglie il signor F. che è un sacerdote amico di famiglia. Da qui in
poi io non sono in grado di riferire altro per la giornata di mercoledì.
A.D.R.: Il giovedì mi sono recato all’ospedale verso le ore 12.00 e ho trovato mia moglie
che era stata portata in sala di “terapia intensiva” ma nessuno mi ha detto il motivo. Alle ore 15.00
abbiamo avuto il primo colloquio con la dott.ssa M. che ci ha spiegato che mia moglie aveva avuto
una emorragia e stava in reparto di terapia intensiva in quanto a causa di questa emorragia tutti
gli organi vitali ne avevano risentito e pertanto in quel momento le stavano facendo trasfusioni di
sangue e di
plasma. La stessa ci disse che comunque non ci dovevamo preoccupare, che
assolutamente mia moglie non era in pericolo di vita e che a giorni si sarebbe rimessa in sesto. Alle
16.00 mi hanno permesso di entrare trovai mia moglie cosciente che mi disse che la dovevano
operare nuovamente, in quanto lo aveva sentito da qualche medico. Ma io la rassicurai dicendo che
io avevo parlato ma nessuno mi aveva detto che l’avrebbero dovuta operare di nuovo. Quindi la
tranquillizzai e… Dall’ospedale io andai via verso le ore 16.25, quindi con mia moglie sono stato
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20/25 minuti. Ricordo che mia moglie mi chiese anche da bere, mi disse che aveva le labbra
asciutte, ma addirittura in quella sala non avevano neanche acqua e quando la chiesi ad un
infermiere questi con tono sufficiente disse che appena sarebbe arrivata l’acqua le avrebbero dato
da bere.
A.D.R.: La stessa giornata di giovedì sono tornato ad …- Alle 22.00 circa me ne sono
andato a letto. Alle ore 23.00 sono arrivate a casa le mie figlie Maria e Teresa le quali mi hanno
comunicato che mia moglie era deceduta. A.D.R.: Siamo partiti tutti subito …ma giunti a ….
abbiamo trovato mia moglie già nella camera mortuaria dell’ospedale.
A.D.R.: Alle ore 09.00 circa scendeva sotto in camera mortuaria il dott. U. che ha operato
mia moglie. Lo stesso forse si voleva scusare e comunque diceva che non si spiegava quanto
accaduto e che l’intervento era andato bene, ma io non l’ho nemmeno voluto sentir parlare e perciò
ho deciso di interessare la Magistratura.
A.D.R.: Al fine di risalire alla verità sono sin d’ora disposto ad acconsentire affinché il
corpo di mia moglie venga riesumato per effettuare una autopsia che chiarisca le cause del
decesso.
Verbale di sommarie informazioni assunte da Maria M. da cui si riporta :
“…….A.D.R.: Confermo di essere la figlia di R. C. deceduta il 19.10.06.
A.D.R.: ……Poi alle ore 16.30 ci mandarono via perché era terminato l’orario delle visite e
lasciai mia madre che aveva ancora gli occhi chiusi, aveva freddo e non era ancora del tutto
cosciente. Gli infermieri ci dissero che era normale, che era a causa dell’anestesia. Ricordo che
però era dolorante, si lamentava ed aveva molto freddo.
A.D.R.: Sono poi tornata a N…i il giovedì mattina e mia madre si trovava nel reparto di
“terapia intensiva”. Non ci spiegammo il motivo di quel trasferimento e nessuno ci disse nulla fino
alle ore 15.00 quando parlammo con la dott.ssa M. la quale ci spiegò che il trasferimento in quel
reparto si era reso necessario in quanto mia madre aveva subito una forte emorragia e che alcuni
organi ne avrebbero potuto risentire. Però la dottoressa ci assicurò che non c’era nulla di
preoccupante e che comunque tutto si sarebbe risolto in un paio di giorni. Non parlò di dimissioni
ma disse che comunque non c’era assolutamente nulla di preoccupante. A.D.R.: Dopo quel
colloquio fu mio padre che andò da mia madre perché poteva entrare una sola persona. A me la
fecero vedere solo attraverso un monitor. Comunque alle ore 16.30 andammo via e quella stessa
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sera, verso le ore 22.15/22.30 circa a casa mia telefonarono dall’ospedale dicendo che mia madre
era deceduta.
A.D.R.: Non si qualificò colui che telefonò, ricordo che mi chiamarono e chiesero se io ero
la figlia della signora C. Rosaria. Risposi proprio io al telefono e confermai di essere la figlia.
L’interlocutore, che era di sesso maschile, mi comunicò che purtroppo mia madre era deceduta. Io
rimasi di stucco e dissi che probabilmente c’era un errore in quanto avevamo lasciato mia madre
che stava bene, ma questo di tutta risposta mi disse testualmente”no, signora. Voi sapevate che
vostra madre aveva dei gravi problemi di coagulazione!”
A.D.R.: Dopo circa un mese dalla morte di mia madre io, mia sorella Teresa, mia cugina
Anna Maria A. ed il sacerdote M. siamo andati a parlare con il dott. U.- per chiedergli spiegazioni,
recandoci in ospedale. In effetti il dott. U. ci riferì che mia madre aveva avuto una perdita di
sangue ed era sopravvenuta la sindrome della “CID” che è un problema di coagulazione del
sangue e quindi porta a morire dissanguati.
Verbale di sommarie informazioni assunte da Teresa M. da cui si riporta:
A.D.R.: Confermo di essere la figlia di R. C., deceduta il 19.10.06. (……) A.D.R.: … e
ritornai il giorno dopo verso le ore 18.30/19.00 ovvero dopo l’operazione (……).
A.D.R.: Appena arrivai vidi subito che mia mamma non stava bene. Io chiesi come stava ed
il sacerdote mi disse che erano da poco venuti gli infermieri a cambiare la medicazione ed avevano
trovato il letto pieno di sangue. Il sacerdote riferì di essersi impressionato e chiese agli infermieri
cosa stesse avvenendo, ma questi lo tranquillizzarono dicendo che era normale che avesse perso
tutto quel sangue. … Mia mamma lamentava forti dolori di stomaco ed io chiesi l’intervento del
medio di turno che ricordo chiamarsi dott. M. il quale venne dopo circa 5/10 minuti dal momento
che l’avevo chiamato. Visitò in maniera fugace mia madre, ricordo che non accese nemmeno la
luce nella stanza e le fece somministrare una flebo per il dolore di stomaco, ma non ricordo che
medicinale era anche perché il dottore non me lo disse, lo somministrò e mi riferì che era contro il
mal di stomaco. Mia cugina ad un certo punto andò via ed io rimasi sola con mia madre che
comunque continuava a lamentarsi e voglio aggiungere che comunque non era lucida. Io le
chiedevo cosa sentiva, dove aveva dolore e mia madre mi rispondeva solo che stava male ma non
mi sapeva dire dove.
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A.D.R.: Altro particolare che ricordo è che mia madre alternava fasi di stasi con fasi di
agitazione. Mia madre si sbatteva, si contorceva, voleva sedersi ma non riuscivo a capire da dove
arrivava il dolore. Questo è durato dalle ore 19.30 fino alle 24.00.
A.D.R.: Come riferitomi dal dott. T., primario di Urologia, ho appreso che di notte a quel
reparto non c’è il medico di turno. Quel reparto funziona nelle ore notturne solo con i medici in
servizio di reperibilità ma questi possono essere allertati solo da personale in servizio
specializzato.
A.D.R.: Dalle ore 19.30 alle 24.00 ho ripetutamente chiamato gli infermieri per le
condizioni di mia madre ma questi mi tranquillizzavano sempre dicendo che era normale e talvolta
non venivano proprio. Un infermiere mi disse che si era bloccata la somministrazione
dell’antidolorifico tramite flebo e perciò secondo lui mia madre soffriva, così lui gliela sbloccò ma
mia madre non ne ha tratto comunque giovamento.
A.D.R.: Alle ore 24.00 si trovava per caso il dott. T., primario, il quale si accorgeva, ripeto
per puro caso, che qualcosa non andava e che probabilmente a mia madre era in atto una
emorragia. Così il dott. T. faceva subito misurare la pressione a mia madre, le fece prelevare un
campione di sangue per misurare l’emoglobina ed urgentemente chiese una sacca di sangue per
effettuare una trasfusione. Ad un certo punto le fece anche un tracciato cardiaco, in quanto chiamò
il cardiologo e le fece fare un tracciato. Ricordo che la pressione arteriosa di mia madre era
bassissima, la massima arrivava a 60 unità, poi a mia madre saltò l’ago della flebo dalla vena e gli
infermieri non riuscivano più a prendere la vena. Così chiamarono urgentemente gli infermieri
della terapia intensiva affinché venissero ad intubarla e la flebo l’attaccarono alla vena che è sul
collo. Soltanto alle ore 02.00/02.15 di notte trasferirono mia madre nel reparto “terapia intensiva”
e qui, ovviamente, non mi fecero entrare.
A.D.R.: Il dott. T. mi spiegava che mia mamma era in emorragia o che comunque era stata
in emorragia e che comunque l’avevano portata giù per tenerla sotto più stretto controllo.
A.D.R.: Il dott. T. mi ha tranquillizzata la notte stessa, dicendo che mia madre non era in
pericolo di vita anzi, mi disse che la trasferivano sotto solo al fine di monitorarla meglio.
A.D.R.: Il dott. T. si è trovato per caso in ospedale…… probabilmente fu chiamato da
qualche infermiere per far visitare mia mamma e così si accorse della situazione che probabilmente
era in atto da tempo.
A.D.R.: Alle ore 07.15 della mattina successiva io stessa parlai di nuovo con il dott. T. il
quale mi tranquillizzò dicendo che i valori si stavano ristabilendo e che comunque a breve
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probabilmente mia mamma sarebbe tornata in sala degenza. Comunque non mi prospettò nulla di
preoccupante. Anche successivamente, nella stessa mattina, parlai con il dott. U. il quale mi parlò
di analisi del sangue un po’ sballate e mi disse pure dell’emorragia ma comunque, pur se non
sapeva spiegarsi quanto accaduto mi confermava di stare tranquilla e che comunque mia madre
era in terapia intensiva solo per farla sottostare ad un maggiore controllo.
A.D.R.: Alle ore 15.00 circa parlammo con la dott.ssa M., medico della “terapia intensiva”
la quale ci riferì che questa emorragia aveva causato una sofferenza degli organi, che il cuore in
quel momento stava bene e che nei giorni successivi bisognava vedere le cose come si evolvevano e
che comunque l’emorragia poteva essere stata causata dall’operazione e comunque anche lei ci
tranquillizzò. Addirittura lei ci chiese di nuovo i nostri numeri telefonici, noi ci impressionammo e
le chiedemmo nuovamente se c’era qualcosa di cui preoccuparci ma anche in questa sede la
dott.ssa disse che non c’era assolutamente nulla di cui doversi preoccupare e che i numeri di
telefono li chiedeva solo per un fatto di routine.
A.D.R.: Anche io in quella circostanza ho visto mia madre solo dal monitor in quanto è
entrato mio padre.
………………………………………
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4 Consulenza tecnica medico-legaleDi parte in
tema di “colpa professionale”
Redatta in favore degli Eredi di:
Sig.ra C. R.
Nata ad … l’08/10/1939
Ivi residente alla Via …
Casalinga, coniugata.DECEDUTA in … (presso l’A.O. …) in data: 19/10/2006
FATTO
§ In data 16/ottobre/2006 alle ore 18.38 la Sig.ra C. R., da …, di anni 67, coniugata e casalinga,
ed in buona salute generale [=vedi Certificato postumo del Medico Curante del 14/12/06], poiché
affetta da “Calcolosi renale bilaterale, più grave a destra” [=vedi Ecografia renale dell’08/05/06]
si ricoverava in regime ordinario presso l’U.O. di UROLOGIA della A.O. di Rilievo Nazionale e di
Alta Specializzazione… [=vedi Cartella clinica n. … del 16/10/06].§
Dalla medesima Cartella clinica= L’anamnesi patologica remota all’entrata descrive
esclusivamente:“…bronchite cronica…” e “…calcolosi renale…”; quella recente:“…coliche renali
recidivanti ed episodi febbrili settici.- Ha effettuato esame urografico che ha evidenziato la
presenza di una calcolosi caliciale inferiore in idrocalice.- Si ricovera per essere sottoposta a
PCN…”.L’es. obiettivo clinico, sempre all’entrata, fu altresì assolutamente negativo.Così furono negativi per patologie gli accertamenti ematochimici di laboratorio e la consulenza
cardiologia (=solo ecograficamente una insuff. mitralica lieve): talchè l’Anestesista assegnava un
tranquillo punteggio ASA:“2”.§ In data 17/10/2006 venne fatto firmare alla stessa il Consenso Informato, ove veniva descritto il
tipo di intervento “LITOTRISSIA PERCUTANEA (PCN)”, che poteva subire varianti di tecnica a
seguito dello scenario operatorio del momento, ed altresì erano ivi elencate le numerose
complicanze che potevano intervenire.-
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§ L’indomani 18/10/2006 era sottoposta all’intervento programmato di Litotrissia percutanea in
narcosi, da parte del Dott. U.; con inizio alle ore 12,15.L’intervento terminava con notazione in Cartellina Anestesiologica alle ore 14,45 [= ca. 2ore e
30min. dall’inizio] dell’Anestesista, il quale descrive:”…risveglio pronto e completo sul tavolo
operatorio, pz. vigile ben orientata nel tempo e nello spazio(*), buon compenso emodinamico e
respiratorio…”.La descrizione della tecnica operatoria urologica (registro Operatorio Sala C3- Intervento
680/2006):”…previa visualizzazione della via escretrice, puntura del calice inferiore, dilatazione
con dilatatori metallici ed apposizione di cannula di Amplatz 30Ch.- Si visualizza un grosso calcolo
e coaguli di pus.- Estrazione ed aspirazione del pus.- Litotrissia ad ultrasuoni del calcolo ed
estrazione di gran parte dei frammenti con pinze Foley 18Ch per nefrostomia…”.§ L’immediato post-operatorio= Ai familiari presenti viceversa(*) la Sig.ra C. appare sin dal
ritorno dalla Sala Operatoria semi-addormentata e molto fredda al tatto; inoltre verso le ore 18,00
lamenta dolore e si provvede [su chiamata dei familiari stessi] solo al cambio di lenzuola intrise di
sangue e alla ri-medicazione.Il primo intervento medico di controllo post-operatorio [sempre e solo su pressanti richieste dei
familiari, ci si riferisce] avviene solo alle ore 19,30 (Dott. M.) che –in cartella- segnala dolore
riferito epigastrico, addome alti quadranti trattabili non dolenti, urine lievemente ematiche da
catetere, e pochi cc. di urine ematiche da tubo nefrostomico.- Assegnata solo terapia anti-ulcera.Viceversa la Sig.ra C. –seppure sotto analgesici e.v.- alterna momenti di calma a momenti di
agitazione psicomotoria.Verso le ore 24,00 vi è un secondo intervento medico, questa volta in persona dello stesso Direttore
dell’U.O. di Urologia Prof. T.: il quale –in cartella- segnala alle ore 00,10 del giorno 19/10/2006
cute e mucose pallide, una P.A. di 70/40 e polso 100/m.; l’addome sebbene trattabile è dolente nei
quadranti di destra [=lato operato] e richiede ulteriori accertamenti ematochimici (= i risultati dallo
stesso trascritti= GR 2.670.000 Hb 7,6 e Piastrine 64.000 !!!)
e sangue da trasfondere
immediatamente.Tuttavia seppure con iniziata terapia trasfusionale, le condizioni generali non migliorano affatto,
anzi peggiorano ulteriormente e la Sig.ra C. viene trasferita -con urgenza- in TERAPIA
INTENSIVA alle ore 02,15 dello stesso 19/10/2006.§ Quivi [in Terapia Intensiva] giunge[ore 02,15 del 19/10/2006] in evidente grave stato di shock
(emorragico!)=”…subcianotica …pallida e sudata…P.A. 60/30 polso 129/m. …acidosi metabolica
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all’EGA [=ipoperfusione tissutale]… GR 2.410.000 ed Hb 6,9 … Ht 20,8 ... e tutti gli altri
parametri gravemente alterati.Trattata in modo intensivo e con una gran mole di trasfusioni e altri farmaci del caso, mostra solo
un lieve miglioramento del quadro clinico verso tra le ore 09,00 e le ore 16,00 ; talché il marito
può brevemente colloquiare con la Sig.ra C. proprio a quest’ultima ora.Importante segnalare che alle ore 09,30 viene richiesta TAC ADDOME SMDC d’urgenza, che effettuata- viene fatta conoscere nel referto verso prima delle ore 12,00:”…Nelle scansioni al
passaggio toraco-addominale si apprezza versamento pleurico parietobasale bilaterale, in quantità
superiore a dx. con parziale con parziale atelectasia da compressione dei lobi inferiori.Nefrotomia a destra con estremo localizzato a sede ampollare; il rene destro presenta aumento
volumetrico rispetto al controlaterale e densitometria a causa di area ipodensa del labbro
anteriore; si associa una raccolta perirenale di media entità ad elevata densità estesa lungo la
loggia renale fino nell’emipelvi destra, sempre a sede retro e extraperitoneale, compatibile con
emoretroperitoneo; coesiste ispessimento dei foglietti della loggia renale destra e di quello
anteriore del controllato, nonché del peritoneo parietale posteriore.- Rene sinistro nei limiti
tomodensitometrici, senza estasia delle vie escretrici.- Vescica cateterizzata, depleta.- Minima falda
fluida nella tasca del Duoglas.- Calcificazioni del V segmento epatico.- Non si apprezzano ulteriori
reperto TC da porre in relazione al quesito clinico di urgenza.- Utile controllo a distanza…”.Di fronte a questo quadro “fotografico” così grave e così chiaro diagnosticamente!, per una
emorragia interna post-operatoria [=siano a 24 ore dall’intervento] viene richiesta dai Medici
della Terapia Intensiva una Consulenza Urologia.Questa viene effettuata alle ore 12,50 –in Cartella- che, non cita la refertazione TAC e risulta vuota
di contenuti diagnostico-terapeutici e solo vaga
[tra l’altro manca la firma dell’Urologo
intervenuto].Alle ore 15,00 una seconda Consulenza Urologia – in Cartella- per:”… Addome trattabile. Cute e
mucose abbastanza rosee. Lucida. Urine chiare da nefrotomia e catetere vescicole…”
[sembrerebbe dalla firma: Dott. U., l’operatore chirurgico del giorno prima].- Per la seconda volta
non si riporta la citata refertazione TAC !!!§ Poco dopo le 17,00 le condizioni cliniche precipitano di nuovo verso la più assoluta gravità.Alle ore 18,30 la paz. è saporosa (COMA I°) e si deve provvedere ad INTUBAZIONE OROTRACHEALE con Ventilazione M.Alle ore 20,20 interviene ARRESTO CARDIOCIRCOLATORIO.Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
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Immediatamente sottoposta a RCP questa fallisce, con ASISTOLIA alle ore 20,35 e
constatazione di decesso alle ore 21,00.-
§ Nella stessa giornata del 19/10/2006, nell’intervallo di tempo tra le ore 07,30 e le 16,00, i
familiari chiedono ripetutamente e a più medici notizie sullo stato di salute della Sig.ra COSTA.Ricevono –secondo le dichiarazioni raccolte- notizie blandamente tranquillizzanti alle 07,30 dal
Direttore Prof. Testa ed altresì alle ore 11,00 ed alle ore 12,30 dall’Operatore, Dott. Uricchio:
entrambi minimizzano l’accaduto (=complicanza emorragica).Ricevono invece –secondo le dichiarazioni raccolte- verso le ore 15,30 dal medico di guardia della
Terapia Intensiva, Dott.ssa M…… notizie più dettagliate; ovvero che una importante emorragia
quasi certamente intervenuta al momento operatorio, ha causato sofferenza di organi (=fegato, rene
e pancreas) per mancanza di ossigeno.§ Occorre segnalare – dalle medesime testimonianze- che il Direttore dell’U.O. di Urologia, Prof.
Testa, intervenendo alla mezzanotte del 18/10/2006 avrebbe dichiarato non vi era Medico di
Guardia Urologia per seguire il post-operatorio, bensì solo un Medico Urologo Reperibile che
poteva essere allertato però solo da personale specializzato (sic!).SINTESI CRONOLOGICA (vedi cap. 4)
CONSIDERAZIONI MEDICO-LEGALI
PARTE GENERALE
Premettiamo che nell’esame comparativo tra le regole generali e specifiche di condotta ed il
comportamento «commissivo/omissivo» dei medici nel caso in esame, ai fini specifici della
dimostrazione della «colpa professionale», si segue prevalentemente un ordine metodologico che
riproduce in sostanza quello dell’approccio clinico.Pertanto si deve verificare progressivamente:
1.- se vi è la validità del consenso dell’avente diritto;
2.- se la “diagnostica d’ingresso” è stata sufficiente;
3.- se la terapia (=chirurgica) sia stata adeguata e modulata sul paziente e poi correttamente
eseguita nella tecnica;
4.- se non esistessero piuttosto controindicazioni alla terapia praticata;
5.- se la terapia stessa fosse d’elezione o veramente d’urgenza;
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6.- se infine l’assistenza sia stata tempestiva, costante ed adeguata in tutte le fasi (= anche
post-operatorie), comprese le eventuali complicanze del trattamento chirurgico (con la loro
presa in carico e risoluzione);
7.- se – a contorno dell’operare dei medici urologi - la Struttura organizzativa ospedaliera
permetteva la presa in carico di quella specifica patologia ed il suo trattamento completo.PARTE SPECIALE
Pertanto nella presente fattispecie inerente l’exitus intraospedaliero della Sig.ra C., seguendo il
metodo dell’approccio clinico di cui poco sopra, evidenzieremo, riportandoci agli stessi punti della
pagina precedente:
1.-
Il Modello utilizzato, sebbene stringato ed essenziale, appare chiaro (nello scritto) delle
possibili complicanze che potevano intervenire.- Se poi la paziente è stata veramente messa in
grado di “”decidere””, in base ad una spiegazione veramente chiara e comprensibile, non è dato
sapere agli Atti.- Infatti:“”…Il contenuto del consenso deve essere necessariamente arricchito
della previa corretta informazione sulla qualità e sicurezza del servizio sanitario e sull’adeguata
previa informazione sui rischi operatori e postoperatori, anche in relazione all’efficienza della
struttura ospitante…”” [dalla recentissima Sentenza Cassazione Civile III^ Sez. nr. 22390 del
19/10/2006]
2.-
Per quanto attiene la “diagnostica d’ingresso” questa è certamente chiara e la terapia
prospettata, una possibile scelta tra varie, ma certo corretta nell’approccio: si trattava infatti di una
calcolosi settica.3.- La tecnica operatoria come trascritta in Cartella appare, prima facie, congruamente eseguita,
tuttavia non risulta la descrizione della fase conclusiva ed altresì dell’orario di fine intervento.Se non si dimostreranno verità differenti, dobbiamo quindi ritenere che l’intervento venne eseguito
in tempi tecnici medi e non risultarono “problemi tecnici di speciale difficoltà” che il prestatore
d’opera fosse chiamato a risolvere (ai sensi dell’Art. 2.236 cc).D’altronde, mutatis mutandis, se l’intervento fosse stato gravato da particolari difficoltà tecnichefosse per le condizioni generali e/o locoregionali della paziente ovvero fosse per la incongruenza
organizzativa ospedaliera- perché non avvertirLa, ovvero non procedere, ovvero procedere con
ulteriori o più probanti tecniche?.Ma tuttavia –a posteriori- emerge un dato clinico incontestabile: da questo intervento
endourologico è derivata una emorragia sufficientemente grave.Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
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Potrà essere imputata o meno una non diligente esecuzione, un mero errore di tecnica, o
persino una imperizia.- Comunque sia, l’intervento ha prodotto una qualche lesione di vasi,
da cui una emorragia interna.Brevemente precisiamo i termini tecnici del problema: La chirurgia renale percutanea è divenuta
sempre più frequente e con alte percentuali di successi (90%).Indipendentemente dalla procedura, le complicanze possibili sono sostanzialmente le stesse e
costituisco spesso una emergenza che impone di trasformare rapidamente un intervento
endourologico in una chirurgia a cielo aperto.Le complicanze si possono verificare sia durante la creazione dell’accesso percutaneo o sia durante
il tempo chirurgico in senso stretto.Nel primo caso un accesso troppo laterale o troppo mediale produce una lacerazione del parenchima
o la lesione di un vaso maggiore con conseguente emorragia, oppure [a destra] lesione del fegato.Nel secondo tempo (chirurgico in senso stretto) è sempre l’emorragia la complicanza maggiore.- Ed
il sanguinamento può essere aggravato dal movimento laterale o verticale del nefoscopio.- Talora il
sanguinamento dipende da una fistola artero-venosa.Il trattamento dell’emorragia è ben codificato, si deve procedere ad arteriografia ed embolizzazione
risparmiando al max. il tessuto renale; mentre in chirurgia a cielo aperto la scelta è la nefrectomia
totale o parziale.Molte emorragie possono verificarsi persino dopo la rimozione del drenaggio nefrostomico, anche a
distanza di molti giorni.4.- Agli atti quindi non risulterebbero controindicazioni all’intervento.5.- E’ inoltre bene precisare che l’intervento era assolutamente di elezione.- Quindi i tempi tecnici
a disposizione dell’Operatore chirurgico erano assolutamente apprezzabili e certamente non forieri
di “urgenze tecniche” che avrebbero potuto complicare –questa volta senza colpa- la tecnica
operatoria messa in atto.6.- L’assistenza medica prestata alla Sig.ra C. è stata purtroppo connotata da imperizia, imprudenza
e particolarmente da grave negligenza.- Possiamo infatti classificare quanto patito (fino alla morte
intervenuta nel giro di 30 ore circa!) dalla Sig.ra C. come una delle «complicanze da trattamenti
endoscopici ed endourologici».Abbiamo visto poco sopra quindi, che l’emorragia è la più importante delle complicanze (con una
percentuali di accadimento del 9%): è quindi la prima cosa da ipotizzare in una paziente che
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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lamenta dolore post-operatorio e poi –via via- agitazione psicomotoria, ipotensione, tachicardia,
sudorazione ecc.Vogliamo affermare che l’emorragia – anche senza un errore di tecnica chirurgica, anche senza una
imperizia- potrebbe comunque presentarsi.Ma una volta instauratasi una tale notoria complicanza, è nel dovere del Medico operatore riuscirne
a diagnosticare la realtà e provvedervi in modo tale che la paziente non debba subire ulteriore danno
quoad valetudinem o peggio quoad vitam.Viceversa tutto il periodo post-operatorio è stato connotato da fatti commissivi//omissivi di
imperizia, imprudenza e di grave negligenza.Ripercorrendo –sinteticamente- di nuovo i tempi scanditi dei giorni 18 e 19 ottobre 2006:
ricordiamo la visita urologica delle ore 19,30 del 18/10/06 ove si scambia il dolore addominale per
gastralgia e si somministra una terapia inadeguata/inutile; ricordiamo anche la seconda visita alle
ore 00,10 del 19/10/06 (=da parte del Direttore), ove questi formula la giusta diagnosi, inizia una
giusta terapia sostitutiva dei volumi persi, ma…non riporta in Sala Operatoria –con urgenza- la
Sig.ra C. per frenare l’emorragia e bloccare il micidiale meccanismo di insufficienza d’organo già
ormai in atto, e così salvarle la vita.L’emorragia invece continua (blandamente tamponata dai rimpiazzi di volume a monte) ed inizia a
produrre devastanti effetti metabolici, emocoagulativi e di ipossia tissutale plurima; talché alle ore
02,15 la paziente è in franco shock emorragico, tanto da obbligare il trasferimento in Terapia
Intensiva.Il successivo miglioramento temporaneo delle condizioni cliniche –testimoniato in Cartella – tra le
ore 09,00 e le ore 16,00 sempre del 19/10/06 ha costituito forse per gli Urologi una seconda ed
ultima possibilità di rientrare in Sala Operatoria per una giusta correzione della complicanza [anche
alla luce dei risultati della TAC Addome ].Eppure sono seguite due ulteriori consulenze Urologiche (=ore 12.50 ed ore 15.00) praticamente
inutili, in quanto neppure in questo momento si è saputo o voluta fare un estremo tentativo di
riparare chirurgicamente il malfatto.Le condotte professionali degli Urologi, coinvolti a vario titolo nel percorso di morte della Sig.ra
C., sono connotate da gravi profili di responsabilità professionale per colpa (=imperizia,
imprudenza e negligenza) come motivato nei vari passaggi descrittivi del presente Elaborato.La prestazione professionale medica si misura ormai sempre più in termini di “doppia
obbligazione”: la vecchia obbligazione di “mezzi” (=cioè di diligenza ovvero di non-negligenza), e
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la nuova obbligazione di “risultati” (= cioè intesa quale perizia: sapere applicare –caso per casotutte le norme tecniche e le migliori tecnologie sufficientemente testate).E a questo proposito evidenziamo che non solo trattasi di Specialisti della materia, bensì pure che
sono incardinati nell’organico di una Unità Operativa in una Azienda Ospedaliera di Rilievo
Nazionale e di Alta Specializzazione.7.- Infine una breve riflessione proprio sull’organizzazione del servizio Urologico dell’A.O. …,
che ha mostrato una incredibile fragilità operativa di base con l’assenza di Medico Urologo di
guardia, bensì solo reperibile; e per di più attivabile solo in casi eccezionali, non si sa bene
“valutati” come tali da chi ?.CONCLUSIONI
La morte della Sig.ra C. R., avvenuta presso l’A.O. …. in data 19/10/2006, appare essere stata
causata da colpa professionale dei Sanitari intervenuti per loro imperizia, imprudenza e negligenza
oltre che per disorganizzazione strutturale della Azienda.Quell’obbligo etico-professionale, penalmente rilevante. di “cura diligente” non vi è stato: sia nella
fase chirurgica propriamente detta e sia –maggiormente- nella fase immediata del post-operatorio ed
in special modo nel corretto trattamento delle complicanze sopraggiunte.Ove fossero stati approntati -in tempo utile- almeno i giusti trattamenti delle complicanze, non vi
sarebbe stato l’exitus della Sig.ra C.
E’ stata ottenuta autorizzazione al trattamento dei dati personali e sensibili della defunta.Fattura ASL “……” Nr. …
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5 Indagini della magistratura: C.T.U. richiesta dal
P.M.
RELAZIONE DI CONSULENZA TECNICA MEDICO-LEGALE NECROSCOPICA
SULLA CAUSA DI MORTE DI R.C.
Ill. dott. …………………..
Procura della Repubblica
presso il Tribunale di……….
Aderendo all’invito rivoltoci, noi sottoscritti prof. P., primario di Anatomia ed Istologia Patologica,
prof. L., Primario di Chirurgia d’urgenza e dott. L., specialista in Medicina Legale e delle
Assicurazioni, in data 19.4.07 convenimmo presso l’Ufficio della S.V. dove ci fu conferito
l’incarico di procedere ad esame necroscopico esterno ed autopsia sul cadavere di R.C.. Accettato
l’incarico la S,V. ebbe a formularci i seguenti
quesiti :
“accertino i consulenti tecnici, previo esame degli atti e riesumazione della salma di R.C., causa,
epoca e mezzi del decesso. Dicano i consulenti tecnici se siano ravvisabili profili di negligenza,
imprudenza ed imperizia nella condotta dei sanitari che ebbero in cura la C., sotto il profilo
commissivo ovvero omissivo. Accertino i consulenti tecnici quant’altro utile ai fini di giustizia”.
* * * * * *
Accettato l’incarico chiedemmo di estrarre copia degli atti, di essere autorizzati ad eseguire rilievi
fotografici e prelievi di frammenti di organi per indagini anatomo-isto-patologiche. La S.V.I.
autorizzò quanto richiesto ed a procedere fuori della presenza dell’Ufficio.
I sottoscritti CC.TT. ebbero a dichiarare che gli accertamenti medico-legali avrebbero avuto inizio
alle ore 12.00 del 4.5.07, presso l’Obitorio Comunale ubicato presso l’Azienda Ospedaliera
Universitaria…...
Il dato necroscopico
Le operazioni di esame necroscopico esterno e di autopsia hanno avuto inizio nei luoghi e nei tempi
stabiliti all’atto del conferimento dell’incarico, alla presenza dei consulenti di parte nominati in
occasione del conferimento dell’incarico de quo.
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Le operazioni di estumulazione del feretro e quelle di identificazione delle spoglie della sig.ra C.
sono state eseguite dal personale dell’impresa di pompe funebri preposta in presenza del personale
dell’ASL/….. e dei consulenti tecnici di parte.
Dette sono consistite in:
Esame esterno:
All’apertura del feretro ed alla rimozione del coperchio della cassa metallica si constata che la
salma giace all’interno della stessa in posizione supina ricoperta da muffe di colore bianco a livello
del viso e delle mani e veste i seguenti indumenti: velo funebre di colore bianco, giacca di colore
verde; gonna di colore verde; calze di nylon; sandali di colore nero.
Prelevata la salma dal feretro e posta sul tavolo anatomico della sala mortuaria dell’obitorio
comunale si asportano tutti gli indumenti e che non vengono repertati in quanto irrilevanti ai fini del
caso di specie. Il cadavere presenta, altresì, un pannolone per la raccolta di urine e feci.
Nonostante le rilevanti alterazioni putrefattive tipiche della sovrapposizione delle fasi cromaticoenfisematosa, è possibile constatare che trattasi di cadavere di sesso femminile, la cui età apparente,
non è determinabile, avuto riguardo ai rilevanti fenomeni post-mortali che hanno alterato
profondamente le caratteristiche fisionomiche del cadavere. I bulbi oculari risultano alterati nel loro
aspetto morfostrutturale, prominenti per fenomeni di putrefazione dell’adipe retrobulbare, cornee
non visibili. Masse muscolari di consistenza diminuita; adipe sottocutaneo ben rappresentato ed
uniformemente distribuito; costituzione scheletrica regolare e conforme all’età ed al sesso. macchie
ipostatiche normali, di colorito rosso-violaceo, a sede posteriore così come da giacitura supina, non
più improntabili alla digitopressione. Cute fredda al termotatto. Rigidità cadaverica risolta. Su tutta
la superficie cutanea si rilevano diffusi fatti di macerazione derivanti dalla rottura di “flittene
putrefattive” che a livello del capo determinano il facile allontanamento dei capelli; a livello
dell’estremità distale degli arti superiori ed in corrispondenza della superficie plantare degli arti
inferiori i fatti macerativi determinano una iniziale formazione di “guanto” e di “calza” a livello
cutaneo. A livello della regione costo-iliaca destra si rileva una piccola ferita chirurgica suturata con
un punto. Null’altro di rilevante all’esame esterno del cadavere.
Autopsia:
Testa: assenza di lesività a livello della superficie esterna dei tessuti molli pericranici. Incisi e
scollati i lembi cutaneo-aponevrotici a partire dalla linea di incisione bimastoidea, si rilevano, a
livello subgaleale e subperiosteo, aree irregolarmente rotondeggianti di colorito biancastro ed altre
di forma irregolare di colore marrone di non significato patologico. Asportata la calotta cranica,
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peraltro integra, nulla di rilevante a livello epidurale. La dura madre si presenta di colore
madreperlaceo ed pacata per alterazioni putrefattive. Dilatazione congestizia dei vasi piali.
Asportata la dura madre, l’encefalo, di colorito grigio-verdognolo e non più distinguibile nelle sue
circonvoluzioni, comincia a scolare per gravità sul tavolo settorio, rendendo pertanto impossibile
l’esame “a fresco” del parenchima; all’interno della poltiglia cerebrale non si rilevano aree
discromiche riferibili a stravasi ematici. Asportata la dura madre dalla base cranica non si rilevano
linee di frattura a carico della stessa. Null’atro da segnalare a livello eso/endocranico.
Collo e torace: all’incisione ed allo scollamento dei tessuti molli della regione del collo e della
parete toracica la muscolatura intercostale appare anteriormente di colore giallastro. Si esegue
quindi la resezione delle coste e si asporta il piastrone sterno-costale, peraltro integro.
Ispezione interna del collo
Gli organi del collo mostrano disposizione secondo norma con rispetto dei rapporti anatomici.
L’isolamento dei fasci vascolari del collo evidenzia normale disposizione degli stessi. Previa
sezione del pavimento della bocca, del palato molle e dei pilastri del palato, si procede
all’eviscerazione in blocco degli organi del cavo orale, del collo e del torace superiore e si rilevano
a carico della lingua e dell’ipofaringe diffuse aree di colorito rossastro. Tiroide lobulata di colorito
rosso bruno, in sede tipica e di volume adeguato all’età che, al taglio, si presenta in fase di colliquazione. Nella norma e prive di alterazioni traumatiche appaiono l’osso ioide, la cartilagine
tiroidea e cricoidea. Al taglio dell’esofago, che conserva sempre la sua continuità, si osserva una
mucosa rossastra per diffusione emoglobinica post-mortale, in iniziale sfaldamento da fenomeni
putrefattivi. Al taglio dell’apparecchio laringeo, della trachea e dei grossi bronchi, la mucosa si
mostra di colorito rosso vinoso; non si rilevano, invece, alterazioni della mucosa di tipo traumatico
o la presenza di corpi estranei. Null’altro di rilevante a carico degli organi del collo.
Ispezione interna del torace:
Asportato il piastrone sterno-costale, come precedentemente indicato, i polmoni occupano la sede
anatomica tipica e risultano acquattati nelle relative docce costali; le porzioni epistatiche appaiono
di colorito violaceo. Alla mobilizzazione dei polmoni si mettono in evidenza 300 cc circa di liquido
rossastro in entrambi i cavi pleurici che si provvede a drenare. Si pratica, quindi, un occhiello con
forbicine smusse a livello del sacco pericardio e si procede prolungando la precedente apertura in
alto sino alla riflessione sui grossi vasi, poi a sinistra verso la punta e a destra lungo il margine
acuto; si mettono quindi in evidenza pochi cc di liquido giallo-rossastro a livello della loggia
cardiaca. Il cuore occupa l’area anatomica tipica ed appare volumetricamente nei limiti; alla
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palpazione, la normale consistenza sodo-elastica dell’organo risulta decisamente diminuita, con
“collassamento” delle pareti. All’apertura in situ l’arteria polmonare appare libera da trombi.
Identico quadro macroscopico si rileva alla recisione dei grossi vasi realizzata al fine di poter
procedere all’estrazione del cuore. Al taglio dell’organo, le cavità cardiache si presentano vuote,
mentre le rispettive pareti appaiono di colorito marrone per fenomeni post-mortali; tutte le valvole
presentano lembi rossastri, molli e sottili; gli osti coronarici sono pervi anche se lievemente ridotti
di calibro così come i rami coronarici sub-epicardici che si presentano, a tratti, di calibro lievemente
ridotto per fatti ateromasici (riduzione del calibro vasale fino ad un massimo del 30%). I polmoni
appaiono di forma regolare, presentano una pleura viscerale priva di soluzioni di continuo e
risultano imbibiti di liquame in sede ipostatica; alla palpazione si rilevano di consistenza diminuita.
Sulla superficie di taglio il parenchima polmonare si presenta umido e di colore grigio-nerastro a
livello epistatica e di colore rosso bruno a livello ipostatico, bilateralmente; alla premitura fuoriesce
liquido di colorito rosso bruno. Arco aortico ed aorta toracica di regolare calibro e, al taglio, non
presentano significative alterazioni macroscopiche endoluminali. All’esame ispettivo della regione
cervicale e della cavità toracica, previa asportazione dei polmoni e degli organi mediastinici dalle
relative logge, non si rilevano fratture vertebrali e/o costali. Null’altro di rilevante a carico degli
organi interni toracici.
Addome e pelvi: all’incisione ed all’allontanamento dei lembi della parete addominale si osserva la
fuoriuscita di liquido di colorito giallo-rossastro che, all’apertura completa della cavità addominale,
si asporta nella misura di circa 100 cc; all’ispezione degli organi endoaddominali, si rileva il
rispetto dei normali rapporti anatomici. Il peritoneo appare tinto di rosso. Stomaco integro e vuoto
al taglio; la mucosa si presenta interessata da iniziali alterazioni di natura putrefattiva. Normale
disposizione e conformazione del cardias e del canale pilorico. Intestino tenue e grosso intestino
normale per calibro e decorso e privo di invaginazioni e volvoli. Il fegato appare di forma e volume
regolare, di colorito giallo-ocra e di consistenza diffusamente ridotta; al taglio dell’organo si rileva
una diffusa alterazione della struttura parenchimale da fatti putrefattivi. Vena cava inferiore integra
e libera da trombi, così come le vene sovraepatiche ed il ramo destro e sinistro della vena porta.
Colecisti in sede tipica, integra e repleta di bile che, al taglio dell’organo, appare densa e brunastra.
Milza morfo-volumetricamente nei limiti; alla palpazione l’organo risulta di consistenza diminuita e
sulla superficie di taglio presenta una polpa colliquata. Presenza di abbondante infiltrato ematico a
livello del tessuto connettivo retroperitoneale di destra che raggiunge il muscolo ileo-psoas
omolaterale. Reni di forma regolare, il rene di destra risulta di volume aumentato rispetto al viscere
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di sinistra, entrambi ben scapsulabili e con superficie corticale finemente granulosa; la normale
consistenza sodo-elastica del parenchima risulta diminuita. Il rene di destra presenta una lacerazione
crateriforme circoscritta a livello della faccia postero-laterale del polo inferiore; il rene di sinistra
presenta, invece, l’integrità anatomica del parenchima. Non distinguibile la demarcazione tra
sostanza corticale e midollare sulla superficie di sezione, bilateralmente; non si rilevano, inoltre,
aree emorragiche intraparenchimali in corrispondenza della regione midollare, bilateralmente.
Pancreas di forma regolare, di consistenza diminuita alla palpazione; al taglio dell’organo il
parenchima appare in fase di colliquazione. Asportati gli organi addominali retroperitoneale, si
procede all’esame dei grossi vasi (aorta addominale, vena cava inferiore e vasi iliaci) che risultano
integri e, al taglio, non presentano significative alterazioni macroscopiche endoluminali.
L’alterazione putrefattiva dei relativi visceri non consente lo studio dei vasi loco-regionali di
piccolo e medio calibro. La vescica è in sede tipica e conserva i normali rapporti anatomici con gli
organi pelvici; all’apertura non presenta urine nel suo lume e la mucosa appare tinta di rosso per
diffusione emoglobinica post-mortale e sollevata in fini plicature. Non si rilevano, infine, fratture a
carico dei corpi vertebrali. Null’altro di rilevante a carico degli organi addominali e pelvici.
Le operazioni di autopsia, previa ricomposizione del cadavere, hanno termine alle ore 14.00.
Si dà atto che nel corso delle indagini necroscopiche si è fruita della collaborazione di personale
tecnico ausiliario di fiducia; si dà altresì atto di avere eseguito rilievi fotografici e prelievi di
frammenti di organi e liquidi biologici per le indagini anatomo-patologiche.
Documentazione fotografica
Cfr CD allegato alla presente relazione.
Il dato anatomo-isto-patologico
Giova preliminarmente precisare che tutti gli organi esaminati presentano diffuse alterazioni da
fenomeni necrotico-putrefattivi, che tuttavia ne consentono il riconoscimento morfo-strutturale. Sui
frammenti di organi prelevati nel corso dell’autopsia sono state eseguite le relative indagini
anatomo-isto-patologiche che hanno consentito di rilevare quanto segue:
Polmone: Parenchima polmonare con circoscritti aspetti di ispessimento fibrotico dell’interstizio
settale.
Trachea e grossi bronchi con pareti disepitelizzate e con edema ed alcuni vasi con dilatazione
congestizia del lume nel corion.
Cuore: Miocardio senza apprezzabili alterazioni morfo-strutturali, pur nei limiti valutativi imposti
dagli estesi fenomeni necrotico-putrefattivi. Rami coronarici sub-epicardici normotipici.
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Aorta: parete aortica con placche ateromasiche a sede medio-intimale.
Milza: Parenchima splenico sede di diffusi fenomeni necrotico-colliquativi.
Pancreas: Parenchima pancreatico con struttura dissociata da intensi fenomeni necroticoputrefattivi.
Rene: Parenchima renale con numerose strutture glomerulari in varie fasi di sclerosi: da scleroialinosi totale a quadri di vario ispessimento della capsula di Bowmann e conseguente atrofia
glomerulare. In sede interstiziale si rinvengono estese aree di sclerosi, infiltrati flogistici linfomonocitari cumuliformi e numerosi microcalcoli sia a sede endotubulare, sia liberi nell’interstizio.
Diagnosi
anatomo-patologica:
Nefrolitiasi,
nefrite
interstiziale
ed
esiti
sclero-ialini
di
glomerulonefrite cronica. Fibrosi polmonare interstiziale circoscritta. Ateromasia aortica di grado
lieve-moderato.
Alla relazione anatomo-isto-patologica sono allegati i rilievi fotografici inerenti i principali reperti
istologici riscontrati e precedentemente riportati. Detta relazione, con i relativi elementi
iconografici, viene allegata al termine della presente relazione medico-legale.
CARTELLA CLINICA =da cui si riporta: “……..C. Rosaria (……) Anamnesi
patologica
prossima: Pz. con coliche renali recidivanti ed episodi febbrili settici. Ha effettuato esame
urologico che ha evidenziato la presenza di una calcolosi caliceale inferiore in idrocalice. Si
ricovera per essere sottoposta a PCN (……) Diario clinico (16.10.06 – h. 17.00): Si ricovera.
Preparazione (…..)….. (h 20.20) Improvviso arresto cardiocircolatorio con imponente emottisi.
Inizia prontamente RPC con MCE e ventilazione manuale mediante va e vieni in O2 100%. Pratica:
Adrenalina 2 fl diluite a 5 ml con Soluzione Fisiologica nel tubo endotracheale ogni tre minuti –
NaHCO3 70 mEq e.v. + 40 mEq – Voluven 500 ml e.v. Si richiedono due unità di EC urgentissime e
sei unità di PFC (dott. Salvatore B.) (…..) (h 20.35) Asistolia. Continua RPC e somministrazione di
isotropi e bicarbonato (dott. Salvatore B.) (h 21.00) Per il persistere del silenzio elettrico al
monitor ECG e vista l’inefficacia delle manovre RCP si sospendono le stesse e si constata il
decesso (dott. Salvatore B.) (….) Diagnosi di dimissione: Arresto cardio-circolatorio in paziente
con CID…….”
Considerazioni clinico-chirurgiche e medico-legali
Ai fini di un corretto inquadramento clinico-chirurgico e medico-legale del caso di specie giova
preliminarmente riportare l’iter clinico percorso dalla signora R.C. nel corso della degenza presso
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Casistica clinica
l’U.O.C. di Urologia dell’Azienda Ospedaliera di …. (dal 16.10.06 al 19.10.06) e successivamente,
presso la Terapia Intensiva del medesimo nosocomio (dalle ore 02.15 del 19.10.06).
In data 16.10.06 la signora R.C., affetta da calcolosi caliceale inferiore in idrocalice, diagnosi
formulata previa urografia, ebbe a ricoverarsi presso l’U.O.C. di Urologia…, ove, in data 18.10.06,
fu sottoposta a litotrissia percutanea in narcosi. Dal relativo resort operatorio si richiama
testualmente “Previa visualizzazione della via escretrice, puntura del calice inferiore, dilatazione
con dilatatori metallici ed apposizione di cannula di Amplatz 30 ch. Si visualizza un grosso calcolo
e coaguli di pus. Estrazione ed aspirazione del pus. Litotrissia ad ultrasuoni del calcolo ed
estrazione di gran parte dei frammenti con pinze Foley 18 ch per nefrotomia”
Il risveglio della C. fu pronto e completo sul tavolo operatorio, con paziente vigile, ben orientata nel
tempo e nello spazio e con buon compenso emodinamici e respiratorio.
Alle ore 19.30 dello stesso giorno la paziente cominciò ad avvertire dolenza in regione epigastrica,
con presenza di urine da catetere lievemente ematiche e fuoriuscita di pochi cc di urine ematiche
dalla nefrotomia.
Gli esami praticati in pari data evidenziarono, in particolare, “Globuli rossi (RBC) 2.67 10^6/uL
(v.r. 3.50-5.50), HGB 7,6 g/dL (v.r. 12.0-16.0), HCT 23.6% (v.r. 37.0-47.0) e PLT 64 10^3/uL (v.r.
150-400).
Alle ore 00.10 del 19.10.06 le condizioni generali della paziente vennero considerate discrete, con
cute e mucose pallide; la pressione arteriosa era di 70/40 mmHg e vi era anche contrazione della
diuresi.
Alle ore 00.30 fu pertanto trasfusa sacca gruppo 0 Rh +.
La consulenza cardiologia realizzata alle ore 00.55 evidenziò “toni cardiaci in successione ritmica
ed in atteggiamento tachicardico”.
La paziente, pertanto, alle ore 02.15 fu trasferita in terapia intensiva ove giunse “dispnoica,
subcianotica, francamente pallida e sudata”. venne quindi iniziata ossigeno terapia, trasfusa una
seconda sacca di emazia concentrate e somministrata dobutamina.
Gli specialisti di turno provvidero, di seguito, ad uno stretto monitoraggio clinico e strumentale,
considerato che il medico di guardia presente in reparto escluse la necessità di terapia chirurgica,
nonostante la marcata alterazione dei parametri ematochimici e dell’emogasanalisi, accertamento,
quest’ultimo, orientativo per una ipoperfusione tissutale.
Alla luce delle risultanze degli esami di laboratorio, alle ore 03.30 furono trasfuse emazia
concentrate e plasma fresco concentrato.
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Alle ore 09.00 la paziente era sveglia e cosciente in respiro spontaneo con O2 in maschera di
Venturi.
Alle ore 09.30 la signora C. fu quindi sottoposta, in urgenza, a T.C. addome e pelvi s.m.d.c., così
relazionata: “Nelle scansioni al passaggio toraco-addominale si apprezza versamento pleurico
parietobasale, in quantità superiore a dx, con parziale atelettasia da compressione dei lobi
inferiori. Nefrotomia a destra con estremo localizzato a sede ampollare; il rene destro presenta
aumento volumetrico rispetto al controlaterale e densitometria disomogenea a causa di area
ipodensa del labbro anteriore; si associa una raccolta peritoneale di media entità ad elevata
densità estesa lungo la loggia renale fino all’emipelvi destra, sempre a sede retro ed
extraperitoneale, compatibile con emoretroperitoneo; coesiste ispessimento dei foglietti della
loggia renale destra e di quello anteriore del controllato, nonché del peritoneo parietale posteriore.
Rene sinistro nei limiti tomodensitometrici, senza estasia delle vie escretrice. Vescica cateterizzata,
depleta. Minima falda fluida nella tasca del Douglas. Calcificazioni del V segmento epatico. Non si
apprezzano ulteriori reperto TC da porre in relazione al quesito clinico di urgenza. Utile controllo
a distanza”.
Nonostante l’indagine strumentale deponesse per un “emoretroperitoneo” ed il dato laboratoristico
evidenziasse una marcata anemizzazione della paziente, alle ore 12.00 del 19.10.06 fu richiesta dai
rianimatori una nuova consulenza urologica, consulenza espletata alle ore 12.50, con riscontro di
“nefrotomia normoposizionata. Diuresi dal catetere 200 cc, dalla nefrotomia 100 cc”. Alla luce di
tale obiettività clinica lo specialista di turno consigliò unicamente il controllo della pervietà della
nefrotomia.
Alle ore 15.00 la paziente fu quindi nuovamente sottoposta a consulenza urologica che evidenziò un
addome trattabile, con cute e mucose abbastanza rosee ed urine chiare da nefrotomia e catetere
vescicale.
Alle ore 16.00 furono trasfuse 6 unità di piastrine gruppo 0 Rh positivo, plasma safe 4 unità ed
emazia concentrate 1 unità gruppo 0 Rh positivo.
Alle ore 17.00 le condizioni cliniche della paziente erano invariate nella loro gravità.
Alle ore 18.30 la C. era saporosa ma risvegliabile, con una saturazione di ossigeno dell’88%. Venne
quindi trasfusa un’ulteriore unità di emazia concentrate.
La paziente fu di seguito sottoposta ad ulteriori trasfusioni fino alle ore 20.20, quando ebbe a
verificarsi un improvviso arresto cardiocircolatorio con imponente emottisi.
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Alle ore 21.00, per il persistere del silenzio elettrico al monitor ECG e considerata l’inefficacia
delle manovre di rianimazione cardio-polmonare, furono sospese le stesse e constatato il decesso
della paziente.
La storia clinica sin qui riassunta appare dunque caratterizzata per un intervento di litotrissia
percutanea in narcosi –per una calcolosi caliceale inferiore in idrocalice- complicato dall’insorgere
nel post-operatorio di una emorragia retroperitoneale.
Giova preliminarmente precisare come attualmente la nefrolitotrissia percutanea (PCNL) è
riconosciuta metodica di elezione nella terapia della litiasi renale, sia da sola sia come complemento
alla litotrissia extracorporea. E’ ormai un atecnica ampiamente sperimentata e tuttavia, come
qualsiasi procedura chirurgica, non è esente da complicanze, a volte anche gravi.
La litotrissia percutanea rappresenta in monoterapia o in associazione alla litotrissia extracorporea
(ESWL) l’operazione principe per il trattamento di calcoli renali di grosse dimensioni (> 20 mm),
sia semplici che a stampo oppure in caso di litiasi associata ad anomalie del rene o dell’alta via
escretrice quali il rene a ferro di cavallo od ectopico, i diverticoli caliceali, le ostruzioni
infundibolari od uretrali.
La PCNL è inoltre indicata in caso di insuccesso di ESWL, in pazienti con deformità muscoloscheletriche che impediscono l’utilizzo della litotrissia extracorporea e nel rene trapiantato.
L’unica controindicazione assoluta alla litotrissia percutanea è rappresentata dalle coagulopatie.
Tra le controindicazioni relative sono annoverate anomalie anatomiche quali la notevole obesità, la
splenomegalia o il megacolon, che rendono impraticabile o quantomeno rischioso l’accesso
percutaneo, le infezioni urinarie acute e le broncopneumopatie ostruttive gravi.
La litotrissia percutanea deve essere esclusivamente eseguita in pazienti privi di infezioni urinarie
che, qualora presenti, devono essere risolte prima del trattamento.
La bonifica completa della calcolosi dopo litotrissia percutanea si ottiene in circa l’85-99% dei casi
a seconda della localizzazione del calcolo. Le cause di mancata clearance sono da attribuirsi
soprattutto alla complessità del calcolo da trattare (calcolo a stampo), alla morfologia della via
escretrice e alla metodica di frantumazione utilizzata.
La degenza ospedaliera post-operatoria prevista per tale trattamento varia generalmente da 3 a 5
giorni, salvo complicanze.
Alla luce di tali assunti, è possibile pertanto asserire che in questa prima fase della storia clinica,
alcuna “censura tecnica” può essere avanzata nei confronti dei sanitari che ebbero in cura la signora
R.C. presso l’U.O.C. di Urologia del…..: la “condotta professionale” dei predetti sanitari,
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relativamente alla scelta del trattamento chirurgico, fu del tutto “corretta ed adeguata” al caso
clinico che pervenne alla loro osservazione –avuto riguardo alle condizioni cliniche e
laboratoristiche della paziente all’ingresso- e l’intervento chirurgico stesso di litotrissia percutanea
in narcosi era, pertanto, del tutto indicato.
Si precisa, altresì, che la litotrissia percutanea è una manovra chirurgica mini-invasiva che viene
eseguita in anestesia generale con il paziente generalmente collocato in posizione prona su un
tavolo operatorio radiourologico dotato di dispositivo radioscopico con braccio a C.
Essa si svolge in due distinte fasi: in un primo tempo, con il paziente in decubito supino, previa
introduzione di una giuda metallica nell’uretere dal lato del calcolo, si posizionano uno stent
ureterale ed un catetere vescicale. Successivamente, girato il paziente in posizione prona ed
opacizzata la via escretrice attraversalo stent ureterale precedentemente introdotto, sotto guida
radiologica od ecografica si punge usualmente il calice inferiore del rene, si posiziona una guida
metallica di lavoro ed una di sicurezza e si procede alla dilatazione del tramite nefrostomico. Tale
dilatazione può essere effettuata utilizzando dilatatori metallici, teflonati o mediante l’uso di un
dilatatore a palloncino. Al termine della dilatazione viene posizionato un canale operativo (camicia
di Amplatz) attraverso il quale viene fatto scorrere il nefoscopio. Visualizzato il calcolo, qualora
questo sia di modeste dimensioni, si può procedere alla sua rimozione mediante cestellamento; nel
caso invece in cui il suo volume ne impedisca l’asportazione diretta, si procede alla sua
frammentazione mediante sonda ultrasonica, laser o balistica ed all’estrazione dei frammenti
creatisi. Al termine della procedura vengono posizionati uno stent per via anterograda in uretere ed
un catetere nefrostomico di vario calibro in pelvi renale.
Le più frequenti complicanze della litotrissia percutanea sono rappresentate dalla perforazione della
via escretrice durante la creazione del tramite nefrostomico (5-25% dei casi), dalla comparsa di
emorragie arteriose o venose, intra o post-operatorie (4-8%) e dalla formazione di ematomi
perirenali (2-7%).
La principale causa di sanguinamento arterioso intraoperatorio è rappresentata dalla lesione
accidentale diretta di un vaso arterioso durante l’accesso chirurgico o la litotrissia stessa, mentre più
frequenti responsabili di emorragie arteriose nel post-operatorio sono le rotture spontanee di fistole
artero-venose o di pseudoaneurismi. I sanguinamento di modesta entità non richiedono
generalmente alcuna manovra accessoria e tendono a risolversi spontaneamente in pochi giorni; in
caso di emorragie di maggior intensità o persistenti, potrebbe tuttavia rendersi necessaria una
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arteriografia per la visualizzazione della sede di emorragia e l’eventuale embolizzazione selettiva
del vaso leso.
La nefrectomia parziale o totale rappresenta il trattamento di ultima scelta in caso di sanguinamento
importanti, non controllabili mediante altri approcci terapeutici.
Trasfusioni di sangue, emocomponenti ed emoderivati sono richieste complessivamente nel 5% dei
casi di calcolosi renale semplice e nel 12% dei casi in presenza di calcoli a stampo.
Altre complicanze, di più raro riscontro, sono rappresentate dall’ostruzione ureterale e
dall’infezione delle vie urinarie, presenti nel 1-3% dei casi e dalla perforazione di organi adiacenti
quali pleura, colon, duodeno, milza, fegato, riscontabili complessivamente in meno dell’1% dei
casi. A tale proposito, giova ricordare che il rischio di perforazione pleurica con conseguente idro,
pneumo o emotorace è particolarmente elevato in caso di accesso renale attraverso il calice
superiore ed in particolare mediante un approccio sopracostale.
Nel caso in specie, la descrizione dell’intervento chirurgico riportata in cartella mostra un intervento
correttamente svolto. L’anestesista annota “risveglio pronto e completo sul tavolo operatorio, pz.
vigile ben orientato nel tempo e nello spazio”; diversa, invece, è la valutazione dei familiari che la
descrivono abbastanza assopita, a tratti agitata e con cute fredda.
Pur essendo questi elementi riconducibili, sulla base di u ragionamento “ex post”, ad una perdita di
sangue, essi non possono essere considerati patognomici, in quanto molto frequenti in pazienti
operati in anestesia generale, anche in assenza di fenomeni emorragici, in quanto legati all’azione
dei farmaci anestetici sul Sistema Nervoso Centrale e sul Sistema Nervoso Vegetativo in presenza
di una variabile responsività individuale anche conseguente ai dosaggi impiegati ed al tipo di
farmaco utilizzato.
Chiarito ciò, necessita a questo punto esaminare il decorso post-operatorio onde indagare se furono
attentamente e correttamente seguite le condizioni cliniche della paziente.
Dagli atti documentali (verbale di sommarie informazioni assunte in data da Teresa M.) si evince
che alle ore 18.00 circa del 18.10.96 la paziente venne medicata e si procedette, quindi, al cambio
delle lenzuola intrise di sangue. Al riguardo, si precisa che una certa perdita di sangue nel catetere
vescicale, nel catetere nefrostomico ed attorno al catetere nefrostomico (medicazione e lenzuola)
deve considerarsi connaturato con la tecnica impiegata e quindi il discorso si sposta non alla
diagnosi, in quanto essa era evidente anche agli astanti (emorragia), ma alla quantità del sangue
perduto. Sola una esatta valutazione del sangue perduto consente di classificare l’emorragia in atto
come A) perdita nei limiti prevedibili della tecnica, B) perdita maggiore da trattare con trasfusione
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di sangue in attesa di una cessazione spontanea per intervenuti meccanismi coagulativi fisiologici,
C) perdita maggiore che non mostra tendenza alla cessazione spontanea e che quindi oltre alle
trasfusioni di sangue va trattata con emostasi operatoria a mezzo di intervento chirurgico; questo
può richiedere tecniche diverse di emostasi fino ad arrivare alla nefrectomia (asportazione del rene).
L’esatta quantità di sangue perduto può essere difficile da calcolare in quanto esso è misto alle urine
(catetere vescicale e catetere nefrostomico) e diffuso nelle garze e nelle lenzuola. Allora ci si basa
(oltre all’intuito clinico che deriva dall’esperienza individuale) sui segni clinici di ripercussione su
altri organi e sistemi che la perdita di sangue determina (sonnolenza alternata ad agitazione,
ipotensione, tachicardia, segni laboratoristici), perché nessuna perdita di sangue post-operatoria che
determini modificazioni sistemiche può essere considerata connaturata ad una determinata tecnica
(tranne se intra-operatoria ed allora si deve comunque subito correggere con trasfusioni).
Ora è chiaro che questa delicate valutazioni e le conseguenti decisioni terapeutiche (trasfusioni –
intervento chirurgico) non possono essere effettuate dagli infermieri di reparto che devono
viceversa allertare il medico di guardia, il quale deve decidere quando trasfondere e quando
intervenire chirurgicamente. Poco importa che il medico sia specialista o non nella materia, perché
l’iniziale soccorso farmacologico e trasfusionale è di competenza di qualsiasi medico, mentre lo
specialista meglio di altri può decidere successivamente per il reintervento.
Nel caso de quo lo specialista di turno presso l’U.O.C. di Urologia (dottor A.) intervenne alle ore
19.30 su chiamata dei familiari e, con ogni verosimiglianza, valutata l’emorragia in atto ancora nei
limiti accettabili per una cessazione spontanea e, quindi, non meritevole di un intervento d’urgenza,
si limitò a prescrivere una fiala endovena di Antra, avuto riguardo alla dolenza in regione
epigastrica lamentata dalla C..
Tale comportamento, alla luce degli elementi tecnici evinti dalla cartella clinica, appare agli
scriventi non censurabile poiché seguito da adeguata terapia farmacologica e da monitoraggio delle
condizioni cliniche e laboratoristiche della paziente.
Un atteggiamento per nulla condivisibile, anzi francamente censurabile, è, invece, quello assunto
dal Primario dell’U.O.C. di Urologia, il quale alle ore 24.00 circa, previo controllo della paziente e
nonostante le condizioni cliniche della signora C. orientassero per uno stato di shock ipovolemico,
si limitò a richiedere una consulenza cardiologia e la trasfusione di ulteriori 2 flaconi di sangue,
senza però disporre il trattamento chirurgico d’urgenza finalizzato all’individuazione ed alla
risoluzione delle complicanze peri e post-operatorie (visualizzazione della sede dell’emorragia ed
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embolizzazione selettiva del vaso leso o, in caso di sanguinamento importante non controllabile
mediante altri approcci terapeutici, nefrectomia parziale o totale).
Tale ultima evenienza non può che essere inquadrata, pertanto, nell’ambito di una “condotta
omissiva” da parte del predetto sanitario sul quale, si precisa, incombono una serie di obblighi che
delineano, nel loro complesso, una posizione di garanzia nei confronti dell’assistito. Alcuni Autori
parlano in proposito di un obbligo di garanzia che si concreta nell’impedire eventi lesivi degli altrui
beni, al cui tutela è affidata a un garante a causa dell’incapacità dei titolari di salvaguardare appieno
la propria sfera giuridica.
Alle ore 02.15 del 19.10.06 la signora C. fu quindi trasferita in terapia intensiva, quando il quadro
clinico era assolutamente chiaro in tutta la sua drammaticità: shock emorragico.
Gli anestesisti di turno, pur constatando che la paziente era “disponica, subcianotica, francamente
pallida e sudata” e con una pressione arteriosa sistolica di 69 mmHg ed una pressione arteriosa
diastolica di 39 mmHg (chiari segni di shock ipovolemico), si limitarono a mettere in campo tutte le
risorse della loro arte rianimatoria, ignorando, però, che la condizione di medici responsabili della
salute della paziente imponeva loro di non “accettare passivamente” le indicazioni impartite dal
“chirurgo presente in reparto”, bensì di disporre personalmente quei trattamenti terapeutici ritenuti
idonei ad evitare eventi dannosi alla paziente ovvero, considerata la gravità e l’urgenza del caso, di
adoperarsi per una consulenza del chirurgo generale e/o del radiologo per gli immediati
approfondimenti diagnostici.
Una indagine diagnostica strumentale (T.C. addome e pelvi s.m.d.c. urgente), invece, fu realizzata,
con ingiustificabile ritardo, soltanto alle ore 09.30 del 19.10.06, con riscontro di una “raccolta
perirenale di media entità ad elevata densità estesa lungo la loggia renale fino all’emipelvi destra,
sempre a sede retro ed extraperitoneale, compatibile con emoretroperitoneo”.
Al di là del quadro topografico di per sé evidente, chiaramente indicativo della necessità di un atto
chirurgico immediato, deponevano in tal senso il progressivo scadimento delle condizioni cliniche
della paziente ed una significativa alterazione dei parametri emato-chimici.
Tali reperti, con deplorevole negligenza ed imprudenza, non vennero tenuti in alcuna
considerazione né dall’urologo chiamato a consulto alle ore 12.50 (consulenza non firmata in
cartella) ed alle ore 15.00 (dott. O.V.), né dagli anestesisti di turno. Detto atteggiamento,
gravemente negligente ed imprudente, lo si ribadisce, alla luce del decorso clinico della
paziente testimoniato dagli atti documentali appare francamente ingiustificabile, in quanto
ebbe a favorire il diffondersi del processo emorragico che rese sempre più precarie le
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condizioni cliniche della paziente, minando in maniera consistente la possibilità di ripresa
dell’equilibrio clinico della C..
L’evoluzione in pejus del predetto quadro morboso ebbe a realizzarsi nonostante l’idonea terapia
emodinamici, respiratoria, metabolica e farmacologica praticata dai medici del reparto di
Rianimazione, con condizioni cliniche della paziente, evincibili dalla documentazione sanitaria
ostensibile, che non hanno mai presentato fasi di miglioramento, anzi, peggiorarono ulteriormente,
tant’è che in pari data (ore 21.00) la signora C. decedette per arresto cardio-circolatorio
irreversibile.
Pertanto, avuto riguardo degli elementi tecnici evinti dalla documentazione clinica a nostra
disposizione, in uno con quelli emersi all’esame autoptico, è possibile sostenere che NEL CASO
IN DISCUSSIONE SONO STATI RISCONTRATI ELEMENTI CLINICO-CHIRURGICI E
MEDICO-LEGALI
CHE
RICONDUCONO
I
SANITARI
CHE
ATTIVAMENTE
SEGUIRONO IL DECORSO POST-OPERATORIO DELLA SIGNORA ROSARIA C.
PRESSO L’U.O.C. DI UROLOGIA E PRESSO LA RIANIMAZIONE DELL’AZIENDA
OSPEDALIERA “V. MONALDI” DI NAPOLI AD UNA RESPONSABILITA’ SUGLI
EVENTI CHE CONDUSSERO ALL’EXITUS DELLA PREDETTA PAZIENTE.
Il decesso della C. è da correlare, quindi, ad una “insufficienza multiorgano”, determinata da gravi
turbe dell’equilibrio idroelettrolitico/acido-base e dei parametri coagulativi, quest’ultime legate
all’instaurarsi di una “coagulopatie post-emorragica”, con terminale arresto cardiaco, ultimo anello
della catena fenomenica causale che nel caso di specie trova il suo inizio nella “complicanza” della
nefrolitotrissia percutanea (PCNL) eseguita in narcosi in data 18.10.06 presso l’U.O.C. di Urologia,
in soggetto affetto da calcolosi caliceale inferiore in idrocalice.
In ultimo, per quanto concerne l’epoca della morte –avuto riguardo a fenomeni tanatologici
obiettivati dal sottoscritto in sede di esame esterno del cadavere, dei fattori intrinseci (tipo di morte,
sesso, età, ecc.) e dei fattori estrinseci (periodo stagionale, luogo in cui la salma ebbe a soggiornare,
ecc.) nella fattispecie ricorrenti- è possibile affermare che la morte di R.C. è del tutto compatibile
con il decesso constatato alle ore 21.00 del 19.10.06 presso la Rianimazione.
Tutto quanto precedentemente enunciato consente pertanto ai sottoscritti consulenti tecnici di
rassegnare alla S.V.I. la seguente:
Risposta ai quesiti
ˇ La morte di R.C., avuto riguardo alle considerazioni medico-legali precedentemente formulate, è
del tutto compatibile con il decesso constatato alle ore 21.00 del 19.10.06 presso la Rianimazione…
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ˇ Tale decesso è da correlare ad una “insufficienza multiorgano”, determinata da gravi turbe
dell’equilibrio idroelettrolitico/acido-base e dei parametri coagulativi, quest’ultime legate
all’instaurarsi di una “coagulopatie post-emorragica”, con terminale arresto cardiaco, ultimo anello
della catena fenomenica causale che nel caso di specie trova il suo inizio nella “complicanza” della
nefrolitotrissia percutanea (PCNL) eseguita in narcosi in data 18.10.06 presso l’U.O.C. di Urologia
…, in soggetto affetto da calcolosi caliceale inferiore in idrocalice.
Al riguardo, si precisa che la “condotta professionale” dei predetti sanitari, relativamente alla scelta
del trattamento chirurgico, fu del tutto “corretta ed adeguata” al caso clinico che pervenne alla loro
osservazione –avuto riguardo alle condizioni cliniche e laboratoristiche della paziente all’ingressoe l’intervento chirurgico stesso di nefrolitotrissia percutanea in narcosi era, peraltro, del tutto
indicato.
ˇ Nella fattispecie in esame sono stati riscontrati elementi clinico-chirurgici e medico-legali che
riconducono ai sanitari che attivamente seguirono il decorso post-operatorio della signora Rosaria
C. la responsabilità degli eventi che condussero all’exitus la predetta paziente.
La valutazione clinico-chirurgica e medico-legale del caso di specie porta dunque ad affermare
l’errare condotta dei sanitari dell’U.O.C. di Urologia…, non per la lesione vascolare prodottasi nel
corso dell’intervento di litotrissia percutanea, trattandosi di mera “complicanza” peri o postchirurgica della tecnica utilizzata, bensì per la sua mancata individuazione durante il decorso postoperatorio e per il suo mancato trattamento che doveva essere immediatamente attuato in presenza
di chiari segni clinico/laboratoristici e strumentali.
Altresì meritevole di “censura tecnica” appare agli scriventi la condotta professionale del Primario
dell’U.O.C. di Urologia, il quale alle ore 24.00 circa del 18.10.06, previo controllo della paziente e
nonostante le condizioni cliniche della signora C. orientassero per uno stato di shock ipovolemico,
si limitò a richiedere una consulenza cardiologia e la trasfusione di ulteriori 2 flaconi di sangue,
senza però disporre il trattamento chirurgico d’urgenza finalizzato all’individuazione ed alla
risoluzione della complicanza peri o post-operatoria (visualizzazione della sede dell’emorragia ed
embolizzazione selettiva del vaso leso o, in caso di sanguinamento importante non controllabile
mediante altri approcci terapeutici, nefrectomia parziale o totale).
Tale ultima evenienza non può che essere inquadrata nell’ambito di una “condotta omissiva” da
parte del predetto professionista sul quale, lo si ribadisce, incombono una serie di obblighi che
delineano, nel loro complesso, una posizione di garanzia nei confronti dell’assistito.
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Tenuto conto delle considerazioni clinico-chirurgiche e medico-legali in precedenza esplicitate,
altresì “censurabile” è il “comportamento professionale” dei medici del reparto di rianimazione i
quali, pur constatando che la paziente era “dispnoica, subcianotica, francamente pallida e sudata”
e con una pressione arteriosa sistolica di 69 mmHg ed una pressione arteriosa diastolica di 39
mmHg (chiari segni di shock ipovolemico), si limitarono a mettere in campo tutte le risorse della
loro arte rianimatoria, ignorando, però, che la condizione di medici responsabili della salute della
paziente imponeva loro di non “accettare passivamente” le indicazioni impartite dal “chirurgo
presente in reparto” , bensì di disporre personalmente quei trattamenti terapeutici ritenuti idonei ad
evitare eventi dannosi alla paziente ovvero, considerata la gravità e l’urgenza del caso, di adoperarsi
per una consulenza del chirurgo generale e/o del radiologo per gli immediati approfondimenti
diagnostici.
Non esente da “censure” appare agli scriventi la condotta professionale assunta dall’urologo
chiamato a consulto alle ore 12.50 (consulenza non firmata in cartella) ed alle ore 15.00 del
19.10.06 (dott. O.V.), il quale, alla luce delle risultanze del quadro topografico rivelatore di un
emoretroperitoneo, di una significativa alterazione dei parametri emato-chimici e del progressivo
scadimento delle condizioni cliniche della paziente, non si attivò per l’atto chirurgico immediato.
Detto atteggiamento, gravemente negligente ed imprudente, alla luce del decorso clinico della
paziente testimoniato dagli atti documentali appare francamente ingiustificabile, in quanto ebbe a
favorire il diffondersi del processo emorragico che rese sempre più precarie le condizioni cliniche
della paziente, minando in maniera determinante la possibilità di ripresa dell’equilibrio clinico della
C..
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6 Valutazione delle condotte giudiziarie degli
infermieri
Verbale di sommarie informazioni assunte da Antonio M. da cui si riporta :
“…………..Premetto di svolgere le funzioni di Caposala presso l’Ospedale M. Reparto Urologia
(…..). La mattina del 16 ottobre 2006 alle ore 07.00 nell’intraprendere servizio ho accertato
visionando la lista di eventuali ricoveri che lo stesso giorno doveva essere ricoverata presso il
reparto la signora R.C. per intervento chirurgico del tipo calcolosi renale, pertanto predisposi un
posto letto nel reparto, tale ricovero non avvenne durante il mio turno di servizio ma verso le ore
18.00/18.30, cosa che appresi l’indomani (…..). Sì, nel reparto Urologia dove io lavoro esercita il
dottor Aldo M. con funzioni di Dirigente- primo livello (…..) Nei giorni in cui io ero di servizio dal
giorno 16.10.2006 al 19.10.2006, il dottor M. non ricordo che abbia avuto contatti con la signora
C. (…..) L’intervento chirurgico nei confronti della signora C. avvenne il giorno 18 ottobre 2006,
quindi tutte le incombenze post-operatorie furono seguite dal dott. Aldo M. (….) No, solo che gli
infermieri, che effettuarono turno pomeridiano del giorno 18.10.06, trascrissero sul registro delle
consegne che nel tardo pomeriggio chiamarono il dott. Aldo M. di turno di guardia pomeridiana,
non ricordo per quale motivo, cosa che io ho accertato in data 19.10.06 oltre che ad accertarmi
che gli infermieri di servizio con turno 20.00/08.00 del 19.10.06 durante la notte trasferirono la
signora C. al reparto di terapia intensiva, ove lì purtroppo era deceduta. Non ho altro da
aggiungere o modificare……”
Verbale di sommarie informazioni assunte da Filippo D’A. da cui si riporta :
“…….Premetto di svolgere funzioni di Infermiere Professionale presso l’Ospedale M. – Reparto
Urologia (….) Io personalmente intrapresi servizio in data 17 ottobre 2006 con turno di servizio
07.00/13.45 unitamente al mio collega F. R. (….) durante il mio turno sia io che R. non facemmo
nulla alla signora C. perché la preparazione pre-operatoria per intervento di Per cutanea (P.C.N.)
viene effettuata nel pomeriggio, né tantomeno la signora C. ci segnalò nulla di anomalo, benché
eravamo presenti nel reparto. Il giorno 18 ottobre 2006 effettuai con il collega R. il turno di
servizio 13.30/20.22 (….) nelle more la signora C. non era in reparto ma in sala operatoria, da
dove fece rientro nel tardo pomeriggio, non ricordo l’ora esatta. Appena giunta rientrò nella sua
stanza già allettata accompagnata da altri infermieri e dopo aver visionato la terapia prescritta dai
medici, la trascrissi nel registro delle terapie, in tale circostanza iniziai a mettere nella flebo, già
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Casistica clinica
inserita nella vena alla signora C., il medicinale prescritto, ho avuto modo di vedere la signora C.
abbastanza tranquilla. Solamente verso le ore 18.00/18.30 (….) la stessa mi segnalò un leggero
indolenzimento alla bocca dello stomaco per cui chiamai immediatamente il medico di guardia
dottor Aldo M. che si trovava a fianco della stanza della degente. Insieme ad esso, entrai nella
stanza ed assistetti alla visita del dottor M. il quale nella circostanza oltre ad averla visitata, disse
che il dolore era del tutto normale, dovuto al subito intervento e comunque mi fece iniettare una
fiala di “Antra” in soluzione fisiologica, tale farmaco è una copertura per dolori di stomaco (…..)
Sì, il dottor M. dopo aver scoperto la signora C. ha visto la ferita coperta dalla medicazione che
era leggermente macchiata di sangue, a mio avviso cosa normalissima in questi tipi di interventi,
non riscontrando alcuna emorragia, accertando altresì la presenza nella sacca delle urine di una
leggera e normale traccia di ematica. Il dottor M. ha trovato nel complesso la paziente in un
normale decorso post-operatorio. Tutta la visita è durata qualche minuto (…) Io e R. abbiamo
regolarmente smontato alle ore 20.20 (….) non avendo avuto nessuna segnalazione di allarme, per
cui dalla visita del dr. M. alla signora C. non sono più rientrato nella stanza. Preciso che ho
annotato sul registro delle consegne l’intervento del dr. M. (….). Nel reparto Urologia dove io
lavoro, il dottor Aldo M. esercita funzioni di Dirigente -primo livello- ed il giorno del suo
intervento era in servizio di medico di guardia con turno sino alle ore 20.00. Non ho altro da
aggiungere o modificare…..”
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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7 Ulteriori quesiti richiesti dal G.U.P. in fase
dibattimentale
« Chiariscano i periti sulla base della documentazione sanitaria allegata al fascicolo, quali siano
state le cause o le concause del decesso della signora R.C. e se le stesse erano prevedibili e
prevenibili;
precisino altresì articolando ove necessario i propri rilievi critici sulle relazioni di consulenza
versate in atti – se ci sia stata una condotta omissiva e/o negligente, imprudente o imperita,
specificando in caso positivo e per ciascuno degli imputati
A) quale sarebbe dovuto essere il modello alternativo di comportamento ..., specifico ed imposto
dall’ordinamento;
B) se e di che tenore (ovvero con quale grado di possibilità) con il comportamento dovuto ed
omesso l’evento sarebbe stato impedito
C) se ed in che modo la mancata conoscenza … della complicanza insorta dopo l’intervento di
litotrissia percutanea, abbia influito sul decesso della paziente;
D) se le omissioni, dettagliatamente descritte nel capo di imputazione per ciascun imputato,
abbiano (quantomeno) accelerato tale decesso, impedendo d’individuare la terapia o il trattamento
terapeutico più efficace in relazione alla patologia effettivamente riscontrata;
E) se sia compatibile una colpa professionale dei medici che ebbero in cura la signora Rosaria C.
specie in seguito al suddetto intervento.»
Questi ulteriori Quesiti sono stati conferiti dal cosiddetto Giudice dell’Udienza Preliminare
(G.U.P.), su sollecitazione dei difensori degli imputati.
La ratio della richiesta dei difensori è ben chiara se rileggiamo i concetti alla base delle differenze
giuridiche in capo alla C.T.U. del P.M. rispetto alla Perizia del Giudice delle indagini preliminari o
dell’Udienza Preliminare.
Privilegiando il nuovo rito l’assunzione dei mezzi di prova in dibattimento, i periti nominati dal
G.U.P. risulteranno “”terzi”” rispetto alle due pregresse Consulenze tecniche di parte (=Ct del
Pubblico Ministero e della Parte Lesa –Eredi).
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8 La perizia: caratteristiche e procedure
La perizia può considerarsi come una delle espressioni dell’esercizio pratico della Medicina
Legale, e consiste nell’esposizione d’un parere motivato su una o più questioni d’indole tecnica.
Questo parere può essere richiesto al medico dalla Magistratura competente (perizia giudiziaria),
ovvero dalla parte che vi abbia interesse (perizia extragiudiziaria, o “privata”).
Le perizie giudiziarie vengono disposte con diversa procedura a seconda che la questione verta su
materia penale o civile, ma conservano in ogni caso le stesse caratteristiche strutturali.
Esse vengono, infatti, consuetamente redatte sotto forma di relazione diretta al Magistrato che l’ha
commessa. Dopo un preambolo introduttivo, si riportano i quesiti che sono stati proposti.
La formulazione dei quesiti è un elemento importante degli atti preliminari della perizia, e talora
rappresenta una condizione essenziale perché l’indagine dia tutto il rendimento utile ai fini
giudiziari.
Quando i quesiti sono molteplici, precedono quelli di carattere generale (es. causa della morte),
seguono quelli di carattere speciale (es. mezzo omicida), ed infine quelli relativi ad eventuali
questioni complementari (es. posizione reciproca della vittima e dell’aggressore, distanza da cui è
stato esploso il colpo, ecc.).
Segue l’ordinata esposizione delle operazioni tecniche eseguite, e dei risultati a cui hanno condotto.
Si inserisce, poi, normalmente, un breve ricordo dei fatti che hanno dato luogo alla perizia, in
quanto abbiano fornito elementi di giudizio. Si affrontano, infine, i dati tecnici rilevati ai fatti stessi:
tale raffronto dà origine ad una discussione e conseguente valutazione critica di tutto il materiale
acquisito; da questo processo d’elaborazione medico-legale emergono le conclusioni, le quali sono
enunciate in forma di separata risposta ad ogni singolo quesito proposto.
La relazione peritale, di norma, consta di cinque parti:
1. incarico (preambolo);
2. fatto e verbali tecnici agli atti (referti, certificati, cartelle cliniche, perizie precedenti, ecc.);
3.
accertamenti peritali (anamnesi, esame obiettivo, indagini strumentali e di laboratorio, ecc.
se trattasi di vivente; se cadavere, reperti anatomo-patologici, esami istologici e di
laboratorio, ecc.; se trattasi di materiale biologico, esami di laboratorio medico-legale, ecc.);
4. considerazioni medico-legali sul caso di specie e valutazione critica del medesimo;
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5. conclusioni.
Ricorderemo, infine, come in nessun procedimento penale o civile l’Autorità committente debba
ritenersi tassativamente vincolata a seguire le conclusioni dei periti.
Tale considerazione è ovvia, ove si rifletta che –pur tendendo a divenire sempre più intima la
collaborazione tra perito e giudice- la perizia rappresenta sostanzialmente un mezzo di prova, e che
al magistrato cui spetta la responsabilità di redigere la sentenza, deve essere lasciata ragionevole
facoltà di dare a ciascun elemento, di cui l’istruttoria stessa lo ha messo a conoscenza, un valore
relativo al complesso di tutti gli altri, dalla cui meditata sintesi emerge il proprio convincimento.
Questa facoltà era sancita espressamente dall’art. 270 del C.P.C. del 1865; essa ha dato origine al
noto brocardo:«Judex peritus peritorum».
E’ del pari evidente, tuttavia, che di tale facoltà il giudice debba e possa fare soltanto un uso
legittimo, motivando comunque nel testo della sentenza il proprio discostarsi dalle conclusioni
peritali.
La perizia nella procedura penale
Il codice di procedura penale contempla direttamente o indirettamente, in numerose sue disposizioni
l’opera del perito o del consulente tecnico, e quindi implicitamente l’attività del medico in quanto
perito o consulente tecnico.
L’art. 70 prevede la perizia al fine di accertare la capacità penale dell’imputato; il successivo art. 72
prevede ulteriori accertamenti peritali sullo stato di mente dell’imputato, da farsi allo scadere del
sesto mese dalla pronuncia dell’ordinanza di sospensione del procedimento per l’incapacità alla
cosciente partecipazione a questo dell’imputato, ovvero anche prima in casi di urgenza e,
analogamente, ad ogni successiva scadenza semestrale.
L’intero Capo VI C.P.P. (artt. 220-233) del Libro III –Prove- è dedicato alla disciplina della perizia.
L’art. 220 determina l’oggetto della perizia;
«1. Questa è ammessa quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che
richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche.
2. salvo quando previsto ai fini dell’esecuzione della pena o della misura di sicurezza, non sono
ammesse perizie per stabilire l’abitualità o la professionalità nel reato, la tendenza a delinquere, il
carattere e la personalità dell’imputato e in genere le qualità psichiche indipendenti da cause
patologiche.»
L’art. 221, che disciplina la nomina del perito, dispone che:
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«1. Il giudice nomina il perito scegliendolo tra gli iscritti negli appositi albi o tra persone fornite di
particolare competenza nella specifica disciplina. Quando la perizia è dichiarata nulla, il giudice
cura, ove possibile, che il nuovo incarico sia affidato ad altro perito.
2. Il giudice affida l’espletamento della perizia a più persone quando le indagini e le valutazioni
risultano di notevole complessità ovvero richiedono distinte conoscenze in differenti discipline.
3. Il perito ha l’obbligo di prestare il suo ufficio, salvo che ricorra uno dei motivi di astensione
previsti dall’articolo 36».
L’art. 222 fissa la casistica d’incapacità e d’incompatibilità del perito; l’art. 223 regola l’astensione
e la ricusazione del perito; l’art. 224 prevede i provvedimenti con cui il giudice nomina il perito,
enuncia sommariamente l’oggetto delle indagini, indica il giorno, l’ora ed il luogo fissati per la
comparizione del perito, ne dispone la citazione, la comparizione delle persone periziande e le
misure necessarie per l’esecuzione delle operazioni peritali; l’art. 225 statuisce circa la nomina del
consulente tecnico da parte del Pubblico Ministero e delle parti private.
Ai sensi dell’art. 148 C.P.P. il perito viene citato a mezzo di ufficiale giudiziario; nei casi di
urgenza, il perito può essere citato a mezzo telefono a cura della cancelleria o della polizia
giudiziaria (art. 149 C.P.P.).
A mente dell’art. 226, che attiene al conferimento dell’incarico:
«1. Il giudice, accertate le generalità del perito, gli chiede se si trova in una delle condizioni
previste dagli artt. 222 e 223, lo avverte degli obblighi e delle responsabilità previste dalla legge
penale e lo invita a rendere la seguente dichiarazione:«Consapevole della responsabilità morale e
giuridica che assumo nello svolgimento dell’incarico, mi impegno ad adempiere al mio ufficio
senza altro scopo che quello di far conoscere la verità e a mantenere il segreto su tutte le
operazioni peritali».
2. Il giudice formula quindi i quesiti, sentiti il perito, i consulenti tecnici, il pubblico ministero e i
difensori presenti».
La relazione peritale è disciplinata dall’art. 227:
«1. Concluse le formalità di conferimento dell’incarico, il perito procede immediatamente ai
necessari accertamenti e risponde ai quesiti con parere raccolto nel verbale.
2.Se, per la complessità dei quesiti, il perito non ritiene di poter dare immediata risposta, può
chiedere un termine al giudice.
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3. Quando non ritiene di concedere il termine, il giudice provvede alla sostituzione del perito;
altrimenti fissa la data, non oltre novanta giorni, nella quale il perito stesso dovrà rispondere ai
quesiti e dispone perché ne venga data comunicazione alle parti e ai consulenti tecnici.
4. Quando risultano necessari accertamenti di particolare complessità, il termine può essere
prorogato dal giudice, su richiesta motivata del perito, anche più volte per periodi non superiori a
trenta giorni. In ogni caso, il termine per la risposta ai quesiti, anche se prorogato, non può
superare i sei mesi.
5. Qualora sia indispensabile illustrare con note scritte il parere, il perito può chiedere al giudice
di essere autorizzato a presentare, nel termine stabilito a norma dei commi 3 e 4 , relazione
scritta».
A norma dell’art. 228 relativo all’attività del perito:
«1. Il perito procede alle operazioni necessarie per rispondere ai quesiti. A tal fine può essere
autorizzato dal giudice a prendere visione degli atti, dei documenti e delle cose prodotti dalle parti
dei quali la legge prevede l’acquisizione al fascicolo per il dibattimento.
2. Il perito può essere inoltre autorizzato ad assistere all’esame delle parti e all’assunzione di
prove nonché a servirsi di ausiliari di sua fiducia per lo svolgimento di attività materiali non
implicanti apprezzamenti e valutazioni».
In ottemperanza all’art. 229:
«1. Il perito indica il giorno, l’ora e il luogo in cui inizierà le operazioni peritali e il giudice ne fa
dare atto nel verbale.
2. Della eventuale continuazione delle operazioni peritali il perito dà comunicazione senza
formalità alle parti presenti».
L’attività dei consulenti tecnici è contemplata dall’art. 230:
«1. I consulenti tecnici possono assistere al conferimento dell’incarico al perito e presentare al
giudice richieste, osservazioni e riserve,delle quali è fatta menzione sul verbale.
2. Essi possono partecipare alle operazioni peritali, proponendo al perito specifiche indagini e
formulando osservazioni e riserve, delle quali deve darsi atto nella relazione.
3. Se sono nominati dopo l’esaurimento delle operazioni peritali, i consulenti tecnici possono
esaminare le relazioni e richiedere al giudice di essere autorizzati a esaminare la persona, la cosa
e il luogo oggetto della perizia.
4. La nomina dei consulenti tecnici e lo svolgimento della loro attività non deve ritardare
l’esecuzione della perizia e il compimento delle altre attività processuali».
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A norma dell’art. 231, può aversi la sostituzione del perito:
«1. Il perito può essere sostituito se non fornisce il proprio parere nel termine fissato o se la
richiesta di proroga non è accolta ovvero se svolge negligentemente l’incarico affidatogli.
2. Il giudice, sentito il perito, provvede con ordinanza alla sua sostituzione, salvo che il ritardo o
l’inadempimento sia dipeso da cause a lui non imputabili. Copia dell’ordinanza è trasmessa
all’ordine o al collegio a cui appartiene il perito.
3. Il perito sostituito, dopo essere stato citato a comparire per discolparsi, può essere condannato
dal giudice al pagamento a favore della cassa delle ammende di una somma di lire trecentomila a
lire tre milioni.
4. Il perito è altresì sostituito quando è accolta la dichiarazione di astensione o di ricusazione.
5. Il perito sostituito deve mettere immediatamente a disposizione del giudice la documentazione e i
risultati delle operazioni peritali già compiute».
La liquidazione del compenso al perito e la consulenza tecnica fuori dei casi di perizia sono,
rispettivamente, disciplinate dall’art. 232 e dall’art. 233; a norma di quest’ultimo:
«1. Quando non è stata disposta perizia, ciascuna parte può nominare, in numero non superiore a
due, propri consulenti tecnici. Questi possono esporre al giudice il proprio parere, anche
presentando memorie a norma dell’articolo 121.
2. Qualora, successivamente alla nomina del consulente tecnico, sia disposta perizia, ai consulenti
tecnici già nominati sono riconosciuti i diritti e le facoltà previsti dall’articolo 230, salvo il limite
previsto dall’articolo 225, comma 1.
3. Si applica a disposizione dell’articolo 225, comma 3».
La scelta dei periti
E’ evidentemente opportuno che il magistrato abbia la libertà di scegliersi un collaboratore tecnico
di propria fiducia; occorre però avvertire chiaramente che la stessa qualifica di «specialista» (o
magari di libero docente) in una branca delle discipline mediche che abbia attinenza con l’oggetto
della perizia non costituisce sempre una garanzia (come molti ritengono), poiché altra cosa è la
valentia clinica, altra la valentia peritale, intorno allo stesso argomento.
Abbiamo già avuto occasione di dire, a proposito del metodo, che non tutti i clinici dimostrano
eguale capacità di proiettare lo stato morboso rilevato nel quadro delle esigenze giudiziarie, in altri
termini posseggono quella mentalità medico-legale, il conferire la quale costituisce in definitiva
l’obiettivo principale del nostro insegnamento (PALMIERI).
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Consulenza tecnica di parte
In materia penale, la vigente procedura, ha creato la cosiddetta «consulenza tecnica di parte». La
materia è stata profondamente rimaneggiata con D.P.R. 22 settembre 1988 n. 447, conferendo
maggiori facoltà al consulente tecnico, tra cui ha particolare importanza quella di presenziare a tutte
le operazioni del perito.
Consulenti tecnici di parte sono ammessi anche nel procedimento civile, ed infatti, il giudice
istruttore, con l’ordinanza di nomina del consulente d’ufficio, assegna alle parti un termine entro il
quale possono nominare, con dichiarazione ricevuta dal cancelliere, un loro consulente tecnico (art.
201 C.P.C.).
Il consulente della parte, oltre ad assistere alle operazioni del consulente del giudice, partecipa
all’udienza ed alla camera di consiglio ogni qualvolta vi interviene il consulente d’ufficio, per
chiarire e svolgere, con l’autorizzazione del presidente, le sue osservazioni sui risultati delle
indagini tecniche.
Il consulente tecnico di parte (sia in penale che in civile), equiparato giuridicamente all’avvocato,
non presta giuramento e non è tenuto a manifestare verità sfavorevoli all’imputato: esso può
considerarsi il difensore tecnico di chi l’ha nominato.
Il perito extragiudiziale, investito o meno delle funzioni di consulente tecnico, assume
evidentemente l’impegno di mettere in rilievo tutti gli elementi obiettivi e le possibilità
interpretative favorevoli alla «parte» che lo ha designato.
Se esistono per l’avvocato dei limiti alla difesa degli interessi del proprio cliente, limiti ancor più
rigidi debbono esistere per il perito «di parte»; l’uno e l’altro hanno una funzione preziosissima,
ma che può essere valorizzata solo se esercitata con alto senso di concretezza e di responsabilità.
E quando la tesi non sembri tecnicamente difendibile, è dovere del medico, invitato a redigere una
consulenza tecnica di parte, il rinunziare al mandato, piuttosto che venire a patti con la scienza e
con la coscienza!
I limiti dell’indagine peritale
In proposito, ci limitiamo a sottolineare che, in sede peritale, vanno tassativamente omessi tutti
quegli accorgimenti non privi di rischi e pericoli, fatta salva l’evenienza dell’esplicito e
responsabile consenso del periziando, meglio se per iscritto, e del suo consulente tecnico.
Necessaria, altresì, la preventiva autorizzazione del magistrato, anche perché accertamenti del
genere possano essere eventualmente espletati in regime di ricovero ospedaliero.
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Casistica clinica
Come opportunamente rileva il GERIN, «quando si tratta di indagini che possono rappresentare un
pericolo, per la salute del soggetto –anche latissimo- oppure siano suscitatrici di dolore, dovrà
essere richiesto l’esplicito consenso dell’esaminando: in questo caso l’astenersi dalle indagini per
il rifiuto del soggetto è norma inderogabile, dato anche che il fine giudiziario o amministrativo e
non terapeutico dell’indagine. Soltanto le esigenze terapeutiche possono giustificare –ottenuto
sempre il valido consenso dell’avente diritto- indagini cliniche anche ardite e fuori dell’ordinario;
il fine, allora, può rendere ragione dell’uso d’un mezzo pericoloso ricorrendo quello stato di
necessità che nel campo medico-legale non sussiste».
Va detto, per altro, che nella pratica evenienze del genere risultano piuttosto rare: infatti, qualora
l’indagine si appalesi indispensabile per
la soluzione d’un complesso dubbio diagnostico-
terapeutico, ad essa di norma si è già fatto ricorso in sede clinica, cioè assai prima che il caso sia
oggetto d’esame nell’ambito giudiziario; per cui, è sufficiente acquisire al fascicolo processuale la
documentazione originale, onde consentire al perito la visione diretta della medesima (sempre che
sia autorevole ed affidante, cioè relativa ad accertamenti effettuati presso strutture tecnicamente
qualificate e deontologicamente ineccepibili).
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Bibliografia
•
Del Vecchio M. ed AA. - “Il Risk management nelle aziende sanitarie” – McGraw-Hill,
Milano 2003
•
Ferrigno G. - “Progetto ME.NE.LA.O. per la gestione globale della Medicina Necroscopica
in ambito Ospedaliero e Territoriale” – in corso di stampa
•
Fiori A. - “Medicina Legale della responsabilità medica” – I° Vol. – Giuffrè Ed., Milano
1999
•
Macchiarelli L. ed AA. – Compendio di Medicina Legale – II Ed- Ed. Minerva Medica,
Torino 2002
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LEZIONE “CASISTICA CLINICA PROF . GIANLUIGI FERRIGNO