Convegno “Il lavoro integrato tra psicologo e avvocato nella crisi dei legami familiari. Buone prassi a tutela dei minori” Fulvio Frati IL CODICE DEONTOLOGICO DEGLI PSICOLOGI E LE RELATIVE LINEE GUIDA APPLICATIVE PER L’ATTIVITÀ PROFESSIONALE CON I MINORI Sala “Aurea” Camera di Commercio di Parma Mercoledì 5 Dicembre 2012 La Deontologia Professionale, in senso generale, consiste nell‘insieme delle regole comportamentali che si riferiscono ad una determinata categoria Professionale. Talune attività o Professioni, a causa delle loro peculiari caratteristiche sociali (si pensi ad esempio ai Medici, agli Psicologi o agli Avvocati), devono infatti rispettare un determinato Codice etico e comportamentale, che nella sua forma scritta viene denominato “Codice Deontologico”, il cui scopo è quello di impedire di ledere la dignità o la salute delle persone alle quali professionalmente viene erogata la loro prestazione. Ma da dove viene, su cosa si fonda, come si attua nel concreto la Deontologia di ciascuna Professione? In altri termini,: che cos’è, esattamente, la DEONTOLOGIA? Innanzitutto, non si può a mio avviso rispondere adeguatamente alla domanda Che cos’è, esattamente, la DEONTOLOGIA? senza prima aver definito bene i due concetti che della DEONTOLOGIA costituiscono i due presupposti fondamentali: quello di MORALE e quello di ETICA . MORALE, ETICA, DEONTOLOGIA, CODICE DEONTOLOGICO - MORALE : La parola “Morale” descrive e definisce i costumi, gli stili di vita, i comportamenti ed i pensieri umani, con particolare riferimento rispetto a ciò che è considerato “bene” ed a ciò che invece è considerato “male”. Essa non è perciò statica e definibile una volta per tutte, ma “segue i tempi” per soddisfare le esigenze degli individui e delle comunità che essi costituiscono. - ETICA : L’ “Etica” è quella parte della filosofia che studia la Morale, cioè i costumi ed i comportamenti umani, cercando di comprendere e definire i criteri in base ai quali è possibile valutare le scelte e le condotte degli individui e dei gruppi. - DEONTOLOGIA : La “Deontologia” è l'insieme dei valori, dei principi, delle regole e delle consuetudini che ogni gruppo professionale si dà e deve osservare, ed alle quali deve ispirarsi nell'esercizio della sua professione. - CODICE DEONTOLOGICO : Il “Codice Deontologico” è lo strumento, scritto e reso pubblico, che stabilisce e definisce le concrete regole di condotta che devono necessariamente essere rispettate nell'esercizio di una specifica attività professionale. DEONTOLOGIA È l'insieme dei principi, delle regole e delle consuetudini che ogni gruppo professionale si dà e deve osservare, ed alle quali deve ispirarsi nell'esercizio della sua professione. (dal Codice Deontologico del Collegio Nazionale dei Ragionieri e dei Periti Commerciali approvato dal Consiglio Nazionale il 15 ottobre 1983, tratto dal sito Internet del Collegio dei Ragionieri e dei Periti Commerciali del Circondario di Busto Arsizio all’indirizzo Web http://www.italynk.it/ragbusto/htm/deontologia.htm) La Deontologia, che trova quindi i propri fondamenti e la propria ragion d’essere nella Morale e nell’Etica, racchiude l’insieme dei principi, delle regole e delle consuetudini alle quali ogni gruppo professionale si ispira per l’esercizio della Professione stessa, e che pertanto esplicitamente si dà e deve osservare. Ogni qualvolta si parla di Deontologia non si può inoltre prescindere dall’utilizzo di termini di provenienza strettamente giuridica, sia civile che penale, quali ad esempio quelli di “legge”, di “norma giuridica”, di “norma deontologica” e di “Codice Deontologico”. La “legge” comprende, per definizione generale, norme ferme e costanti che si avverano nei fatti, o che sono imposte dall’Autorità, per determinare i diritti e i doveri dei singoli appartenenti ad uno specifico gruppo Sociale, mentre le “norme giuridiche” sono, più in particolare, leggi scritte che sono stabilite dall’Autorità per determinare i diritti e doveri dei singoli appartenenti ai diversi gruppi sociali. Le “norme deontologiche” sono ancor più specifiche leggi scritte alle quali un gruppo Professionale affida la tutela del proprio sistema etico complessivo, mentre il “Codice Deontologico”, infine, è lo strumento, scritto e reso pubblico, che stabilisce e definisce le concrete regole di condotta che devono necessariamente essere rispettate nell’esercizio di una specifica attività professionale. LEGGI, CODICI, E CODICI DEONTOLOGICI LEGGI: Norme ferme e costanti che si avverano nei fatti, o che sono imposte dall’Autorità, per determinare i diritti ed i doveri dei singoli appartenenti ad uno specifico gruppo sociale PRINCIPIO DI LEGALITA’ : “Nullum crimen nulla poèna sine lege scripta” NORME GIURIDICHE: Leggi scritte che sono stabilite dall’Autorità per determinare i diritti ed i doveri dei singoli appartenenti ad uno specifico gruppo sociale CODICI: Raccolte organiche di norme giuridiche ai quali un gruppo sociale affida la tutela del proprio sistema etico complessivo NORME DEONTOLOGICHE: Leggi scritte alle quali un gruppo professionale affida la tutela del proprio sistema etico complessivo CODICI DEONTOLOGICI: Raccolte organiche di norme deontologiche alle quali un gruppo professionale affida la tutela del proprio sistema etico complessivo NORME GIURIDICHE “PRECETTIVE” E “D’ INDIRIZZO” NORME GIURIDICHE PRECETTIVE (o primarie) Norme che regolamentano i COMPORTAMENTI SPECIFICI degli individui (es. Codice Penale, Codice Civile, Codice Deontologico ecc.) NORME GIURIDICHE D’INDIRIZZO (o di secondo grado) Norme che prevedono e regolano il QUADRO COMPLESSIVO all’interno del quale trovano il loro FONDAMENTO GIURIDICO le norme che regolamentano i comportamento specifici (Es.: Costituzione della Repubblica Italiana, Codice Civile, “Leggi-Quadro” ecc). NORME GIURIDICHE DI INDIRIZZO (o di secondo grado) NORME GIURIDICHE PRECETTIVE (o primarie) NORME DI INDIRIZZO: Norme che prevedono e regolano il QUADRO COMPLESSIVO all’interno del quale trovano il loro FONDAMENTO GIURIDICO le norme che regolamentano i comportamento specifici (“Norme precettive” o primarie) DIVIETI NORME PRECETTIVE : NORME “IMPERATIVE” OBBLIGATORIETA’ (o primarie) NON- OBBLIGATORIETA’ NORME “PERMISSIVE” I DUE FONDAMENTALI DOCUMENTI CHE DEFINISCONO I PRESUPPOSTI ETICI SUI QUALI SI FONDA LA DEONTOLOGIA DEGLI OPERATORI PSICOSOCIALI, SOCIO-SANITARI E SANITARI DEL NOSTRO PAESE SONO LA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA E LA DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI DELL’UOMO. Nel momento in cui si sta, come ora, cercando di definire il concetto di Deontologia è inoltre importante operare un’ulteriore distinzione, allo specifico livello dell’esercizio dell’attività Professionale, tra Etica e Deontologia: la prima fondata essenzialmente su una visione della Morale che tiene decisamente conto dei suoi aspetti più soggettivi, e la seconda fondata invece su quanto della Morale appare, se non più “oggettivo”, almeno come più “oggettivabile”. L’ “Etica” a livello Professionale, essendo costituita da norme non sempre precisamente scritte, rappresenta infatti “il bene” nella sua dimensione “soggettiva”, mentre la “Deontologia”, essendo costituita da norme giuridiche precisamente scritte, rappresenta per ogni categoria professionale il “bene” nella sua dimensione più “oggettiva” o comunque, come si è detto, più oggettivabile. Se, quindi, il “Codice Deontologico” di qualunque Professione che se ne sia dotata è propriamente definibile come “il testo, scritto e reso pubblico, che contiene le norme esplicite che ogni Professionista deve necessariamente rispettare nel momento in cui esercita la propria specifica attività, nonché i principi etici fondamentali ai quali esse si ispirano”, il cosiddetto “Codice etico” è invece più propriamente rinvenibile nell'insieme delle regole comportamentali, scritte e non scritte, che consentono ad ogni singolo Professionista esercitante una specifica attività di applicare le norme del Codice Deontologico utilizzandole nel loro corretto significato, eventualmente anche in relazione a tutte le altre norme giuridiche (civili, penali, minorili ecc.) e sociali esistenti in materia ed al fine di ottemperare al meglio alla “mission” che la Società complessivamente intesa ha affidato alla Professione che egli esercita. Tutto ciò ci porta a dover evidenziare e chiarire la necessaria e fondamentale distinzione tra ETICA “PASSIVA” ed ETICA “ATTIVA”. ETICA PASSIVA ED ATTIVA “Passiva” ETICA “Attiva” ETICA PASSIVA : Semplice attenzione alla “non-violazione” delle norme deontologiche ETICA ATTIVA : “Contribuire al bene” qualunque sia il proprio quadro di riferimento teorico. L’etica, quindi, in tale concezione non si definisce più soltanto come un “non-fare” cose contrarie alle norme o ai principi deontologici, ma “si trasforma in attività, fatta di azioni e parole”, finalizzate alla PROMOZIONE DEL BENESSERE INDIVIDUALE E COLLETTIVO (Maria Teresa Desiderio, “Etica e promozione della salute”, in C. Parmentola, Il soggetto psicologo e l’oggetto della psicologia nel Codice Deontologico degli psicologi italiani, Milano, Giuffrè, 2000) “ETICA ATTIVA” = ATTEGGIAMENTO ATTIVO COGLIERE LA “RATIO” DELLE NORME DEONTOLOGICHE E DEI PRINCIPI ETICI CHE NE SONO ALLA BASE ETICA “ATTIVA”: TRE VANTAGGI FONDAMENTALI 1) TUTELA DELL’ UTENTE E DEL COMMITTENTE 2) TUTELA DEL SINGOLO PROFESSIONISTA 3) TUTELA DEL GRUPPO PROFESSIONALE Ora è possibile, dopo aver cercato di esplicitare il concetto di Deontologia oltre a quelli di Etica e di Morale che ne sono alla base, rispondere ad una domanda alla quale il titolo di questo lavoro inevitabilmente rimanda, e cioè la seguente: “Quali sono i principi fondamentali della Deontologia degli Psicologi”? La Deontologia di ogni gruppo professionale trova fondamento sia nelle leggi istitutive di tale professione, se si tratta di una “professione regolamentata”, sia nelle prassi concrete condivise dai professionisti stessi. Tale principio, nel nostro Paese, è sostanzialmente affermato dall’ art. 2229 del Codice Civile. CODICE CIVILE LIBRO V : Del lavoro TITOLO III : Del lavoro autonomo CAPO II : Delle professioni intellettuali Art. 2229 Esercizio delle professioni intellettuali La legge determina le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi. L’accertamento dei requisiti per l’iscrizione negli albi o negli elenchi, la tenuta dei medesimi e il potere disciplinare sugli iscritti sono demandati alle associazioni professionali sotto la vigilanza dello Stato, salvo che la legge disponga diversamente. Contro il rifiuto dell’iscrizione o la cancellazione dagli albi o elenchi, e contro i provvedimenti disciplinari che importano la perdita o la sospensione del diritto all’esercizio della professione é ammesso ricorso in via giurisdizionale nei modi e nei termini stabiliti dalle leggi speciali. L’ordinamento professionale degli Psicologi è disciplinato dalla Legge 18 febbraio 1989, n. 56 che ha definito i contenuti della professione, ha istituito l’Albo e l’Ordine professionale, ha disposto l’esercizio della professione previa abilitazione mediante superamento di esame di Stato e iscrizione nell’Albo. Per l’ammissione all’esame di Stato occorre il possesso di laurea in Psicologia ed effettuazione di un periodo di tirocinio. Con decreto del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica 13 gennaio 1992, n. 240 è stato disciplinato l’esame di Stato e con il decreto n. 239 del medesimo Ministro è stato disciplinato il tirocinio (un anno post-lauream). Una prima importante modifica a tale disciplina è stata apportata dal D.P.R. 328 del 5 Giugno 2001, che ha suddiviso l’Albo degli psicologi in due distinte sezioni: la sezione A, riservata a laureati quinquennali e ai laureati con Laurea Specialistica che dopo il superamento dell’esame di stato, possono svolgere a pieno titolo le attività professionali riservate dalla legge allo psicologo e la sezione B, che comprende laureati triennali che hanno superato il relativo esame di stato. Un’ulteriore modifica alla normativa professionale dello Psicologo è poi derivata dall’approvazione, in data 11 Luglio 2003, della Legge n.170, che declina in particolare le specificità degli Iscritti alla Sezione B dell’Albo. LEGGE N. 56 DEL 18 - 2 - 1989 (Ordinamento della professione di Psicologo) Articolo 1. Definizione della professione di psicologo. 1. La professione di psicologo comprende l'uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità. Comprende altresì le attività di sperimentazione, ricerca e didattica in tale ambito. Articolo 2. Requisiti per l'esercizio dell'attività di psicologo. 1. Per esercitare la professione di psicologo è necessario aver conseguito l'abilitazione in psicologia mediante l'esame di Stato ed essere iscritto nell'apposito albo professionale. 2. L'esame di Stato è disciplinato con decreto del Presidente della Repubblica, da emanarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. 3. Sono ammessi all'esame di Stato i laureati in psicologia che siano in possesso di adeguata documentazione attestante l'effettuazione di un tirocinio pratico secondo modalità stabilite con decreto del Ministro della pubblica istruzione, da emanarsi tassativamente entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge. LEGGE N. 56 DEL 18 - 2 - 1989 (Ordinamento della professione di Psicologo) Articolo 28. Consiglio nazionale dell'ordine (omissis) Il Consiglio nazionale dell'ordine esercita le seguenti attribuzioni: (omissis) c) predispone ed aggiorna il codice deontologico, vincolante per tutti gli iscritti, e lo sottopone all'approvazione per referendum agli stessi; (omissis) CODICE DEONTOLOGICO DEGLI PSICOLOGI ITALIANI Approvato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine nell’adunanza del 27-28 giugno 1997 Approvato con referendum dagli iscritti all’Ordine degli Psicologi in data 17 gennaio 1998 In vigore dal 16 febbraio 1998 Modificato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine ai sensi dell’art. 28, comma 6 lettera c) della Legge n. 56/89, in data 15-16 dicembre 2006 e in data 30 Luglio 2009 IL CODICE DEONTOLOGICO DEGLI PSICOLOGI ITALIANI È COSTITUITO DA 42 ARTICOLI, SUDDIVISI IN CINQUE GRUPPI TRA LORO OMOGENEI E RIUNITI QUINDI NEI CINQUE SEGUENTI “CAPI”: CAPO I “PRINCIPI GENERALI” RAGGRUPPA 21 ARTICOLI (DALL’1 AL 21 COMPRESI) CAPO II “RAPPORTI CON L’UTENZA E CON LA COMMITTENZA” RAGGRUPPA 11 ARTICOLI (DAL 22 AL 32 COMPRESI) CAPO III “RAPPORTI CON I COLLEGHI” RAGGRUPPA 6 ARTICOLI (DAL 33 AL 38 COMPRESI) CAPO IV “RAPPORTI CON LA SOCIETÀ” RAGGRUPPA 2 ARTICOLI (IL 39 ED IL 40) CAPO V “NORME DI ATTUAZIONE” RAGGRUPPA 2 ARTICOLI (IL 41 ED IL 42) I PRINCIPI DEONTOLOGICI FONDAMENTALI DELLO PSICOLOGO IN EUROPA ALLA FINE DEL SECONDO MILLENNIO Complessivamente, i Codici Deontologici attualmente vigenti degli Ordini e delle Associazioni degli Psicologi nei vari Paesi Europei (Codici tutti approvati nei due decenni compresi tra il 1980 ed il 2000) appaiono come portatori dei seguenti PRINCIPI FONDAMENTALI: RISPETTO DELLA PERSONA UMANA RESPONSABILITA’ INTEGRITA’ AUTONOMIA PROFESSIONALE COMPETENZA PROMOZIONE DEL BENESSERE INDIVIDUALE E SOCIALE VEDIAMOLI AD UNO AD UNO … RISPETTO DELLA PERSONA UMANA = ASCOLTO, COLLABORAZIONE, “SERVIZIO” = RISPETTO DELL’ALTRO “Le respect de la personne dans sa dimension psychique est un droit inaliénable. Sa reconnaissance fonde l’action des psychologues” (dal “Code de Déontologie des Psychologues”) RESPONSABILITA’ = INDIVIDUALE, PROFESSIONALE, SOCIALE. INTEGRITÀ = ONESTÀ, PROBITÀ = CHIAREZZA, FRANCHEZZA, LEALTA’ PROFESSIONALE E PERSONALE AUTONOMIA PROFESSIONALE = COSTRUZIONE DI UN PROPRIO SISTEMA DI RIFERIMENTO , INTERDIPENDENZA , COLLABORAZIONE = IDENTITÀ COMPETENZA = POSSESSO DI CONOSCENZE , IMPEGNO , FLESSIBILITÀ , CONOSCENZA DI SÉ = CONSAPEVOLEZZA ED AUTOCONSAPEVOLEZZA, insieme. PROMOZIONE DEL BENESSERE INDIVIDUALE E SOCIALE = TUTELA DELL’ALTRO In ogni contesto, quindi, la “mission” fondamentale di ogni Psicologo è e rimane quella esplicitata dal primo comma (ed ulteriormente chiarita nel secondo comma) dell’Articolo 3 del vigente Codice deontologico degli Psicologi italiani, che testualmente affermano: “Lo psicologo considera suo dovere accrescere le conoscenze sul comportamento umano ed utilizzarle per promuovere il benessere psicologico dell’individuo, del gruppo e della comunità. In ogni ambito professionale opera per migliorare la capacità delle persone di comprendere se stessi e gli altri e di comportarsi in maniera consapevole, congrua ed efficace”. In tutti gli ambiti di intervento psicologico, comunque, ciò su cui tutta la normativa e la letteratura concordano è che una particolare attenzione da parte di ogni Psicologo deve sempre essere posta alle proprie attività che hanno come oggetto persone minorenni (o comunque non in grado di decidere in modo autonomo): e questo sin dal primo momento del loro avvio, vale a dire quello della ACCETTAZIONE DELL’INCARICO (sia che quest’ultimo sia stato proposto dai genitori, dal Giudice, dal Pubblico Ministero o da altra Parte o Servizio). Al riguardo, nello specifico ambito minorile va tenuto ben presente l’Articolo 31 del vigente Codice Deontologico degli Psicologi Italiani, che stabilisce che: “Le prestazioni professionali a persone minorenni o interdette sono, generalmente, subordinate al consenso di chi esercita sulle medesime la potestà genitoriale o la tutela. Lo psicologo che, in assenza del consenso di cui al precedente comma, giudichi necessario l’intervento professionale nonché l’assoluta riservatezza dello stesso, è tenuto ad informare l’Autorità Tutoria dell’instaurarsi della relazione professionale. Sono fatti salvi i casi in cui tali prestazioni avvengano su ordine dell’autorità legalmente competente o in strutture legislativamente preposte”. Occorre comunque rilevare, al riguardo, che l’art. 31 può presentare difficoltà di interpretazione, soprattutto se calato in contesti altamente complessi nei quali è necessario considerare molteplici variabili in correlazione tra di loro. In particolare, poiché il tema di chi eserciti la potestà genitoriale è fondamentale per l’applicazione dell’art. 31 del C.D., è necessario svolgere alcune precisazioni. Al riguardo, la regola generale è dettata dall’art. 316 del Codice Civile, secondo cui la potestà sul figlio minore d’età è esercitata di comune accordo da entrambi i genitori (a prescindere dalla circostanza che siano o meno uniti in matrimonio) salva la possibilità, nel caso di contrasto su questioni di particolare importanza, di ricorrere senza formalità al Giudice, il quale, sentiti i genitori e il figlio se ultradodicenne, suggerirà la soluzione ritenuta più utile nell’interesse preminente del figlio o dell’unità familiare. Il successivo art. 317 del Codice Civile aggiunge che nell’ipotesi di lontananza, incapacità o altro impedimento di uno dei genitori questi non perde la titolarità della potestà, la quale però è esercitata in modo esclusivo dall’altro genitore. Nel caso di genitori uniti in matrimonio tra i quali intervenga separazione personale o divorzio, occorre distinguere il tema dell’affidamento dei minori da quello dell’esercizio della potestà genitoriale sugli stessi. Quanto al primo di questi due aspetti, vale a dire l’affidamento dei figli, il nuovo testo dell’art. 155 c.c., applicabile anche alle unioni di fatto in forza della L. 54/2006 (“Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli”), prevede che il Giudice valuti prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati ad entrambi i genitori (affidamento condiviso), mentre l’affidamento esclusivo ad uno solo dei genitori è limitato all’ipotesi in cui l’affidamento all’altro risulti contrario all’interesse del minore (artt. 155 co. 2 e 155 bis c.c.). A prescindere dalle modalità di affidamento, la potestà è invece esercitata di norma da entrambi i genitori, salvo il caso in cui il Tribunale per i Minorenni sia intervenuto con un provvedimento limitativo o ablativo (in quest’ultmo caso occoirre peraltro distinguere tra “sospensione” e “revoca”). “Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione e alla salute sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni dei figli” (art. 155, 3° co. c.c.). In caso di disaccordo (o di ostinata inerzia da parte di uno dei genitori) la decisione è rimessa al Giudice, che deve avere esclusivo riguardo all’interesse morale e materiale del minore. Come regola generale, quindi, PRIMA DI FARE UNA CONSULENZA AD UN MINORE DA PARTE DI UNO PSICOLOGO, OCCORRE AVERE IL CONSENSO DI TUTTI E DUE GLI ESERCENTI LA POTESTÀ GENITORIALE, anche nel caso di un "affido disgiunto esclusivo" e CON LA SOLA ECCEZIONE di una perizia o una consulenza per la quale il Perito o il Consulente Psicologo è stato nominato dal GIUDICE (o comunque investito da un Tribunale). Una consulenza psicologica non è infatti da considerarsi in alcun modo come un’attività routinaria o priva di particolari implicazioni, ma è un atto professionale estremamente complesso e di particolare importanza e significatività per la vita interiore di chi ne è oggetto. Pertanto essa necessita DI REGOLA del PREVENTIVO CONSENSO DI ENTRAMBI GLI ESERCENTI LA POTESTÀ GENITORIALE, anche nel caso di un affido disgiunto esclusivo ad uno solo di essi: soltanto la decisione di un Giudice o di un Tribunale può costituire un'accettabile eccezione a tale norma. Come deve quindi comportarsi lo Psicologo al quale viene richiesta una prestazione psicologica su un minore da parte di uno solo degli esercenti la potestà genitoriale, fatto tutt’altro che infrequente soprattutto nei casi di elevata conflittualità tra i due esercenti la medesima? Per prima cosa, il professionista deve cercare innanzitutto di procurarsi il consenso all’attività psicologica con il minore anche da parte dell’altro genitore esercente la potestà genitoriale, contattandolo direttamente prima di aver effettuato sul minore qualunque prestazione. Lo Psicologo – ma a mio avviso tale norma etica vale, sul piano generale, per qualunque altro professionista chiamato a svolgere la propria attività con soggetti minori – deve cercare quindi preliminarmente di costruire tra gli esercenti la potestà genitoriale un accordo completo riguardo al proprio intervento professionale. Tra l'altro, tale necessità di un accordo COMPLETO DI TUTTI E DUE I GENITORI non nasce solo da esigenze LEGALI o DEONTOLOGICHE, ma soprattutto per quanto riguarda l’attività psicologica scaturisce sicuramente anche da esigenze squisitamente TECNICHE. NON APPARE INFATTI POSSIBILE FARSI UN'IDEA PRECISA DELLA REALTA' PSICHICA DI UN MINORE SE NON LO SI INQUADRA NEL SUO CONTESTO AFFETTIVO COMPLESSIVO, e se non vi è il consenso di entrambi i genitori non è poi di conseguenza possibile capire come stiano veramente le cose per quanto riguarda ambedue le singole situazioni dei due genitori. E' già di norma difficile capirlo adeguatamente quando entrambi i genitori forniscono al riguardo la massima disponibilità, se invece essa non c'è diventa praticamente impossibile capire come realmente stiano le cose. Se invece non è possibile raggiungere tale accordo nonostante gli adeguati tentativi, lo stesso articolo comma 2 dell’art. 31 del Codice Deontologico dello Psicologo prevede che: “Lo psicologo che, in assenza del consenso di cui al precedente comma, giudichi necessario l'intervento professionale nonché l'assoluta riservatezza dello stesso, è tenuto ad informare l’Autorità Tutoria dell'instaurarsi della relazione professionale”. Per quanto concerne una corretta applicazione di quanto complessivamente previsto dall’art. 31, pertanto: 1. Il professionista che si prepara ad incontrare un minore è tenuto ad informarsi preventivamente ed approfonditamente sulla situazione giuridica parentale, eventualmente richiedendo anche certificati o provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria in merito a eventuali separazioni personali, divorzi o decadenze/limitazioni della potestà genitoriale. Solo in tale caso egli, infatti, sarà in grado di comprendere il contesto relazionale entro il quale dovrà operare, oltre alle potenzialità e ai limiti del proprio intervento. È opportuno precisare che un foglio di consenso informato sottoscritto a domicilio da uno dei genitori può trasformarsi, talvolta, in un problema, posto che non è possibile per il professionista avere la necessaria garanzia sull’identità di chi abbia realmente apposto la firma, su quali informazioni siano state effettivamente fornite, su quanto sia stato compreso e sulle condizioni di libertà e autonomia della decisione: è evidente come in questo caso manchino le condizioni necessarie perché vi sia la garanzia di validità del consenso, e come sia preferibile la firma di entrambi i genitori alla presenza dello Psicologo. 2. L’interesse del minore (destinatario dell’intervento) deve sempre prevalere su quello del genitore (committente) che ha richiesto l’intervento professionale. Nel caso in cui uno dei genitori richieda un’osservazione/intervento per un figlio, si precisa che l’osservazione dello stesso, in assenza del consenso di entrambi i genitori,e – ancor più l’eventuale consegna ad uno di essi della relazione finale da utilizzare giudizio, costituisce violazione deontologica. In tal senso si è ad esempio già più volte orientato, in sede disciplinare, il Consiglio dell’ Ordine degli Psicologi dell’ Emilia–Romagna. 3. L’intervento psicologico, di qualunque natura, anche se configurato come “consulenza” e non come intervento psicoterapeutico (vedere, al riguardo, la lettera dell’art. 31 che parla in generale di “prestazioni professionali”, senza alcuna ulteriore specifica) non può rientrare nell’ordinaria amministrazione cui un solo genitore può provvedere in assenza del consenso dell’altro; questo in quanto non solo è lo stesso CD che espressamente riconosce che lo Psicologo “nell’esercizio professionale, può intervenire significativamente nella vita degli altri”, ma anche perché le consultazioni psicologiche, rientrando nell’ambito della tutela della salute (intesa secondo l’ampia definizione corrente, data dall’O.M.S.), devono essere equiparate alle visite mediche specialistiche (alle quali sfuggono completamente, è il caso di sottolinearlo, tutte le prestazioni mediche di routine, quali, ad esempio, un semplice controllo pediatrico o ortodontico), richiedendo pertanto il consenso di entrambi i genitori. Né vale il criterio dell’urgenza dell’intervento, a volte utilizzabile in campo medico, posto che la valutazione della reale urgenza psicologica lascia ampi spazi di dubbio e si può configurare soltanto in rarissimi casi. In relazione all’urgenza si sottolinea che, ex artt. 361 e 362 c.p., tutti i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio (quindi Psicologi dipendenti A.U.S.L., C.T.U., ecc.) sono tenuti a denunciare all’Autorità Giudiziaria, o comunque a chi abbia l’obbligo di riferirne, le situazioni di grave pregiudizio per un minore, configuranti ipotesi di reato perseguibile d’ufficio, di cui vengano a conoscenza a causa o nell’esercizio delle loro funzioni. 4. In sede di intese preliminari con uno o entrambi i genitori lo psicologo è tenuto a concordare in modo completo gli obiettivi perseguibili e, qualora vi siano richieste o aspettative che ritiene in scienza e coscienza di non poter accogliere, deve esplicitarlo. In particolare, lo psicologo è tenuto a chiarire che non è consentito sottoporre il minore a valutazione psicologica in assenza del coinvolgimento/consenso di un genitore allo scopo di fornire poi una relazione tecnica da produrre in giudizio. É ovviamente corretto, invece, svolgere un’attività che coinvolga un solo genitore allo scopo di aiutarlo o sostenerlo nel rapporto con il figlio. 5. Costituisce violazione deontologica anche la stesura di relazioni tecniche, su richiesta di un solo genitore, relative a situazioni pregresse (seguite in passato) per la quali non ci sia un consenso informato attuale di entrambi i genitori; al contrario, deve ritenersi consentito l’utilizzo in giudizio, da parte di un genitore, di una relazione redatta in passato con consenso informato di entrambi i genitori. 6. Lo Psicologo che ritenga necessarie prestazioni a favore del minore, ma non abbia il consenso informato di entrambi i genitori, può formulare regolare istanza all’Autorità Tutoria (solitamente alla Procura del Tribunale per i Minorenni competente per territorio, attraverso il Servizio Sociale del Comune di residenza del minore) nei casi in cui ci sia grave nocumento per il minore stesso. Regolare istanza nel senso che, in base alla normativa vigente, le modalità attraverso le quali un cittadino si può rivolgere ad un Giudice non sono certamente quelle di redigere ed inviare una “semplice” lettera. Negli altri casi, cioè quando non c’è grave nocumento per il minore ed i genitori sono separati, si suggerisce di sollecitare il genitore a chiedere l’intermediazione del proprio Legale, che provvederà nelle forme di rito. Si potrebbe infatti configurare come violazione deontologica l’informare l’Autorità Tutoria senza aver utilizzato le corrette procedure, nonchè lo svolgere prestazioni professionali per un minore prima di aver ricevuto risposta dal Giudice stesso. 7. Lo Psicologo, essendo tenuto alla piena conoscenza ed al rispetto delle norme deontologiche, non può ritenersi esonerato dal rispetto delle stesse anche nel caso in cui abbia effettuato consulenza per un minore - in assenza di consenso informato di entrambi i genitori - in base a richiesta, o su sollecitazione di un avvocato. Basti al riguardo rilevare che, poiché tale richiesta proviene da professionista iscritto ad altro Ordine, non può certo ingenerare in uno Psicologo alcun ragionevole affidamento che lo induca a superare il significato chiaro ed inequivoco della propria norma deontologica. 8. Lo Psicologo che opera in sportelli psicologici attivati presso Istituti Scolastici, anche se l’Istituto ha provveduto ad inviare ai genitori (e ritirare) i moduli per il consenso, è tenuto ad accertarsi che entrambi i genitori del minore abbiano firmato il consenso informato prima di svolgere qualsivoglia attività professionale che riguardi il minore stesso. Nel caso di una C.T.P., infine, in ambito sia civile sia penale, ognuno dei due genitori è ovviamente libero di scegliersi il proprio Consulente Psicologo, ma ognuno di questi Consulenti di Parte non può visitare direttamente il bambino: IL MINORE LO INCONTRA SOLO IL PERITO O IL C.T.U. NOMINATO DAL GIUDICE, e non i C.T.P., perchè “tre esperti in una volta”, sia insieme sia separatamente, possono costituire PER IL BAMBINO UNA SITUAZIONE STRESSANTE, per non dire a volte anche TRAUMATICA. Ovviamente i C.T.P. ed il Perito (o il C.T.U.) si mettono poi d'accordo sugli aspetti specifici, caso per caso, nell'ambito di una reciproca relazione professionale deontologicamente corretta ai sensi, per gli Psicologi, del Capo III (artt. dal 33 al 38 inclusi) del proprio C.D.: ma l'interesse del minore è, anche in questo caso, un "bene superiore" che va tutelato esponendo il bambino al numero minore di situazioni stressanti possibili. L’ATTIVITÀ DELLO PSICOLOGO NELLE SITUAZIONI DI “MINORI CONTESI” Una particolare serie di considerazioni metodologiche e deontologiche che vale la pena esprimere in questo contesto riguarda infine la diretta attività dello Psicologo come valutatore, per conto della Magistratura minorile o di una delle parti, della migliore collocazione di un minore qualora sussita al riguardo una forte contrapposizione tra i due genitori. Si tratta questo, sicuramente, di uno dei settori in assoluto più complessi ed eticamente delicati nel quale può operare lo Psicologo minorile, che quindi deve al riguardo fornirsi di una preparazione tecnica, metodologica e deontologica assolutamente particolari. La prima necessaria indicazione che occorre esprimere riguardo a queste tema è, a mio avviso, quella di entrare dentro quelle situazioni con tutti noi stessi, di penetrarle con l’animo laico ed aperto del clinico che cerca di capirle mettendosi in gioco sino in fondo, con tutto il suo bagaglio di emozioni e di vissuti soggettivi che, proprio in quanto riescono a “non mescolarsi” con la realtà oggettiva ma la riconducono invece a più ampie e profonde chiavi interpretative, diventano uno strumento importante ai fini della sua possibile decifrazione e comprensione. “Metterci in gioco” ed affrontare con spirito clinico le specifiche situazioni senza dover ricorrere a rigidi protocolli predefiniti è il primo passo essenziale per poter sperare di arrivare agli obiettivi che anche in quest’ambito il nostro ruolo professionale ci impone, ma di per sé non è ancora sufficiente per darci alcuna minima certezza di poter veramente arrivare a tali risultati. Anche percorrendo questa strada, a mio avviso, non abbiamo però sicuramente ancora nessuna certezza di poter arrivare veramente alla meta che vogliamo raggiungere, meta che se poi vogliamo chiamare col suo nome non possiamo che definire con il termine di “Verità” pur con tutti i limiti evidenti ed inevitabili che esso comporta. Il secondo passo altrettanto imprescindibile è costituito a mio avviso dalla necessità di non percorrere mai questi sentieri da soli, senza il supporto e la supervisione di una Èquipe composta da più operatori appartenenti a discipline diverse che si integrano reciprocamente tra di loro. Ma anche questo secondo indispensabile accorgimento operativo, e cioè quello di un approccio “multidisciplinare integrato”, appare come un elemento assolutamente “necessario ma non sufficiente”. Senza il suo apporto, infatti, i margini di errore del singolo operatore si moltiplicano rapidamente, ma non si può negare la frequente esistenza, accanto a gruppi di lavoro in grado di svolgere adeguatamente il proprio compito, anche di complesse dinamiche emotive sottostanti che li possono a volte rendere assolutamente disfunzionali. Tutto ciò ci porta pertanto a concludere che l’affrontare le situazioni in cui si incontrano i casi di “minori contesi” soltanto attraverso un compito svolto in Èquipe è per ogni operatore un vero e proprio “dovere morale” , che però non lo mette ancora completamente al riparo da residui e permanenti rischi di errori anche estremamente gravi. Ed allora ecco che appare doveroso citare ancora almeno un ulteriore elemento, quello del rigore che solo un sapere tecnicoprofessionale sufficientemente specifico e completo può fornire, quale imprescindibile condizione che, unita alle altre due precedentemente evidenziate, può effettivamente consentire, alla fine di un lungo percorso formativo ed autoformativo, di raggiungere finalmente il livello di correttezza deontologica adeguato per operare in situazioni umane così delicate. LA SPERANZA La speranza non è ottimismo e non è convinzione che ciò che si sta facendo avrà successo: la speranza è la certezza che quello che si sta facendo ha un senso, che abbia successo o meno. Vàclav Havel Grazie dell’attenzione