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Giornale Italiano
di Medicina Interna
Le iponatremie: problemi
diagnostici e terapeutici,
semplici e complessi
F. Sgambato, S. Prozzo
Ospedale “Sacro Cuore di Gesù”Fatebenefratelli Benevento, Dipartimento di Medicina
UOC di Medicina Interna
Direttore Dott. F. Sgambato
INTRODUZIONE
Noi Medici occupiamo, comunemente, molto tempo
della nostra vita professionale (universitaria e postuniversitaria) a inseguire citochine sempre più numerose dal meccanismo sempre più indeterminato,
prostaglandine dalle sigle sempre più incomprensibili, lipoproteine a densità varia sempre meno memorizzabili, e ci sentiamo frustrati se non conosciamo
l’ultima forma levogira dell’ennesimo nuovo farmaco introdotto in commercio.
Contemporaneamente, anche per colpa dell’impiego di tutto il tempo suddetto (che non ci lascia spazio
utile residuo), siamo costretti a trascurare lo studio,
più approfondito e più ripetitivo, di quegli elementi (quali il sodio, l’ossigeno, gli idrogenioni, il bicarbonato ecc.) che sono, invece, essenziali per il mantenimento della vita.
A) NOZIONI DI FISIOLOGIA
DEL SODIO
Il sodio insieme agli altri ioni (H+, K+, Cl-, Ca++, HCO3,
SO4- ecc.), contribuisce in modo determinante al
mantenimento dell’equilibrio idro-elettrolitico, che,
integrandosi con l’equilibrio acido-base e con quello osmolale, è essenziale per la nostra sopravvivenza.
Un uomo necessita di 5-6 g di sale (NaCl) al giorno,
mentre con la dieta in Europa se ne consumano mediamente 12 g: queste abitudini, in persone predisposte,
8
possono portare all’insorgenza di ritenzione idrica.
È utile chiarire subito che, nell’esposizione dei dati
numerici, bisogna fare attenzione a non confondere il solo sodio (Na+ ) con il sale comune, cloruro di
sodio (NaCl) e occorre ricordare che 1 g di sodio si
trova in 2,5 g di sale cloruro.
Se, comunemente con la nostra dieta giornaliera, si
apportano dai 3 ai 6 g di sodio (considerando che un
g di sodio corrisponde a circa 43 mEq) si può dire che
con la dieta si introducono, nella nostra normale
alimentazione, dai 130 fino ai 260 mEq di sodio.
Ovviamente il sodio viene introdotto sia sotto forma
di sale contenuto naturalmente negli alimenti, sia
come sale da cucina (cloruro di sodio), di cui esso
rappresenta solo il 40% del peso (l’altro 60% è dato
dal cloro), per cui, volendo esprimerci in termini pratici, un soggetto normale, introduce con la consueta
dieta dai 7,5 ai 15 g di sale sodico, prevalentemente
sotto forma di cloruro di sodio.
Un cucchiaio raso da minestra contiene circa 15 g di
sale e circa 10,5 g di zucchero, un cucchiaino raso da
caffè contiene circa 6,5 g di sale e circa 5 g di zucchero.
Normalmente il contenuto di Na nel sangue corrisponde a 140 mEq (del solo Na) per ogni litro di plasma
e, tanto per avere un termine di confronto, in ogni
litro di soluzione fisiologica (cloruro di sodio allo 0,9
gr.%) ci sono 154 mEq di sodio e 154 mEq di cloro;
praticamente il Na è quasi corrispondente alla quantità presente nel plasma (140 mEq/litro), mentre il
cloro (154) è in quantità nettamente superiore a quella plasmatica (105 mEq/litro).
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LE IPONATREMIE: PROBLEMI DIAGNOSTICI E TERAPEUTICI, SEMPLICI E COMPLESSI
Peso corporeo totale 70 kg
28 kg
28 litri (LIC)
42 litri
Acqua
60%
del peso corporeo
Compartimento
intracellulare
40%
Acqua dolce
Compartimento
extracellulare
20%
Acqua salata
14 litri (LEC)
Plasma 5%
Interstizio 15%
3,5 litri
10,5 litri
Sga-Pro 2002
Figura 1
A proposito del sodio, i valori numerici sembrano diversi tra quelli della soluzione fisiologica e quelli del
plasma, ma in effetti la quantità effettiva è la stessa, perché una parte del litro di plasma è occupata
dalle proteine.
Un litro di soluzione fisiologica, quindi, contiene 9 g
di sale (NaCl), di cui 3,568 g di Sodio (Na) e 5,432
grammi di Cloro (Cl), pertanto, questa quota di liquidi contiene una quantità di sale ampiamente sufficiente al fabbisogno giornaliero (5-6 g).
Sempre a titolo di curiosità e di utile allenamento
mnemonico, il pH della soluzione fisiologica è oscillante tra 5 e 7, e, quindi, in ogni caso, è acido rispetto al plasma (pH plasmatico normale=7,4), per cui
tale soluzione non può essere considerata veramente “fisiologica”, fatta eccezione per la sua osmolalità che è 308 mOsm/litro, corrispondente quasi a quella normale plasmatica che oscilla tra 280 e 295.
In pratica quello che conta di più nella classica soluzione fisiologica è che essa sia isotonica (o iso-osmotica).
La parola “isotonica” esprime quella condizione in
cui due soluzioni hanno concentrazioni dei soluti e
pressioni osmotiche uguali o costanti, per cui iso-tonico e iso-osmotico sono sinonimi (iso= prefissi per indicare “uguale”).
Analogamente vale per ipotonico/ipoosmotico o per
iper-tonico/iper-osmotico.
Anche la soluzione glucosata al 5% è iso-tonica (pOsm
= 278), ma appena penetrato nel plasma lo zucchero viene utilizzato dal metabolismo cellulare, per cui
la soluzione glucosata diventa praticamente acqua,
quindi ipotonica (capace quindi di abbassare la osmolalità e la sodiemia plasmatica).
In un uomo normale dal peso corporeo totale di 70
kg, l’acqua ne rappresenta il 60% (42 litri), distribuito
per il 40% in un compartimento intracellulare (LICliquido intracellulare, 28 litri) e per il 20% in un compartimento extracellulare (LEC, 14 Litri).
Di questo 20%, solo il 5% è rappresentato dal plasma
(3,5 litri) e il rimanente 15% è rappresentato dall’interstizio (10,5 litri) (Fig. 1).
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TABELLA 1
Composizione chimica del LEC e del LIC
LEC
Na
K+
Ca++
Mg++
ClHCO3Fosfati
Solfati
Glucosio
Aminoacidi
Colesterolo, fosfolipidi,
grassi neutri
pO2
pCO2
pH
Proteine
+
140 mEq/L
4 mEq/L
5 mEq/L
3 mEq/L
105 mEq/L
24 mEq/L
4 mEq/L
1 mEq/L
90 mg%
30 mg%
0,5 gr%
35 mmHg
40 mmHg
7,4
2 gr% (5 mEq/L)
In effetti, riferendosi solo alla massa corporea priva
di grassi, l’organismo umano ha un contenuto di acqua
pari al 70% del peso magro. Poiché il tessuto adiposo contiene poca acqua, il contenuto idrico, rapportato al peso corporeo in toto, è del 60% circa.
Come si può evincere dalla Tab. 1, la composizione
chimica del liquido extracellulare (LEC) mostra una
netta prevalenza del Na+ (140 mEq/l) e del Cloro (105
mEq/l) con i bicarbonati (24mEq/litro) e il glucosio
(90 mg%), mentre nel liquido intracellulare è nettamente predominante il K+ (140 mEq/L) con i Fosfati
(75 mEq/l), il Magnesio (58 mEq/l) e le proteine (40
mEq/litro).
Questa particolare distribuzione degli elettroliti, con
la consistente ricchezza di Na+ nel LEC, ha fatto nascere l’arguta osservazione che “le cellule contengono
acqua dolce e sono immerse in un mare di acqua salata” (Fig.2)1.
In questo sistema l’acqua passa liberamente dallo scompartimento intracellulare a quello extracellulare (o
viceversa) in base alle variazioni della pressione
osmotica, fino a raggiungere l’equilibrio, perché, per
il principio della iso-osmolalità, nel soggetto
normale, la osmolalità endocellulare e la osmolalità extracellulare debbono essere perfettamente uguali; questo riequilibrio può avvenire
10
LIC
10 mEq/L
140 mEq/L
< 1 mEq/L
58 mEq/L
4 mEq/L
10 mEq/L
75 mEq/L
2 mEq/L
0 - 20 mg%
200 mg%
1 - 95 gr%
20 mmHg
50 mmHg
7,0
16 gr% (40 mEq/L)
grazie alle proprietà della membrana cellulare, che
è permeabile liberamente all’acqua.
Nel LEC la pressione osmotica è determinata, in massima parte, dal Na+ e dagli anioni che l’accompagnano, che sono, per lo più, il Cloro ed il Bicarbonato.
In termini di osmolalità, infatti, di tutte le complessive 290 mOsm/kg presenti nel LEC, 280 mOsm sono
dovute al sodio ed ai suoi principali anioni (Cloro o
Bicarbonato), per cui normalmente i sali di sodio
rappresentano più del 95% dell’osmolalità totale
(ovviamente quando non si siano accumulati, in
situazioni patologiche, altri soluti osmoticamente attivi che ne prendano il posto).
Quando aumenta la pressione osmotica nel LEC (ad
es. per aumento del sodio ivi presente) si assiste ad
un immediato spostamento dell’acqua dal LIC al LEC,
lungo il gradiente di concentrazione creato dall’osmolalità aumentata.
Il passaggio inverso avviene qualora si verifichi una
diminuzione del Na+ nel LEC, il che comporta una
migrazione dell’acqua verso il LIC per ristabilire la
normale osmolalità e il normale equilibrio tra LIC e
LEC.
In pratica l’osmolalità del LEC, dovuta in particolar
modo al Na+, condiziona il volume di acqua nel LIC
e di conseguenza incide significativamente sui volu-
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LE IPONATREMIE: PROBLEMI DIAGNOSTICI E TERAPEUTICI, SEMPLICI E COMPLESSI
Il Sodio si trova
prevalentemente nel
liquido extra–cellulare:
“le cellule contengono
acqua dolce e sono
immerse in un mare
di acqua salata” (RMP,
1983)
Sga-Pro 2002
Figura 2
mi e sulla funzionalità delle cellule, a causa dell’ingrandimento o dell’impicciolimento delle stesse cellule. Notoriamente, infatti, la presenza di un sodio
plasmatico ridotto determina un passaggio di acqua
dall’esterno all’interno delle cellule con rigonfiamento cellulare per iperidratazione, (Fig. 3) mentre
il sodio plasmatico in eccesso determina, al contrario, un passaggio di acqua dalle cellule verso l’esterno con conseguente raggrinzimento per disidratazione intracellulare (Fig. 4).
Ne consegue, intuitivamente, quanto sia importante mantenere la concentrazione del sodio nei limiti
della normalità.
A tale scopo la natura è stata molto previdente e ha
approntato numerosi sistemi di controllo e di regolazione.
Normalmente l’eliminazione giornaliera del sodio
introdotto con la dieta avviene per via renale ed extrarenale (feci, sudore ecc.). L’eliminazione per via renale è in dipendenza dell’introito dietetico ed oscilla
dai 100 ai 250 mEq/die; l’eliminazione extrarenale è
nell’ordine dei 20-25 mEq/die.
Il rene ha la grande capacità di riconoscere se con la
dieta abbiamo introdotto 10, 100 o 1000 mEq di sodio.
Se sono stati introitati 10 g di sodio in eccesso, nel
giro di tre ore, con un sistema renale che sia normal-
Carenza vera
di sodio
Deplezione di LEC
Disidratazione
extra-cellulare
Iperidratazione
intra-cellulare
(Rigonfiamento
cellulare)
Acqua e sodio diminuiti
Maggiore perdita di sodio
Sga-Pro 2002
Figura 3
11
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Disidratazione
intra-cellulare
Sga-Pro 2002
Figura 4
mente funzionante essi saranno eliminati mediante
una equivalente eliminazione del Na urinario. Al
contrario, un diminuito apporto di sodio comporta
una equivalente diminuzione del sodio urinario.
L’80-82% del sodio filtrato a livello glomerulare viene
riassorbito già nei tubuli prossimali e il 18-20% si riassorbe in quelli distali.
Tutte le variazioni della filtrazione glomerulare possono essere compensate dal riassorbimento tubulare,
Separazione
Elettroliti
Passaggio
Riassorbimento
controllato
di acqua [ADH]
Acqua
da Humes, Narins, Brenner, 1981, modificata2
Figura 5
12
per cui esiste un equilibrio tubulo–glomerulare.
Il rene, grazie al sistema di concentrazione
cortico-papillare e, soprattutto, grazie alla branca ascendente dell’ansa di Henle, è l’unico organo capace di separare il sodio dall’acqua.
In virtù di questa qualità il rene è l’unico organo capace di variare le reciproche concentrazioni fra sodio e
acqua, modificandole rispetto alle consuete concentrazioni esistenti nel plasma. La separazione dell’acqua dagli elettroliti avviene, nella porzione spessa
dell’ansa di Henle che è impermeabile all’acqua, per
effetto di una pompa elettrogena del Cloro2-12(Fig.5).
a) Il concetto di “acqua libera”
La branca ascendente dell’ansa di Henle è strettamente impermeabile all’acqua, sia nel suo tratto “sottile” che nella parte “spessa”.
Queste due sezioni si differenziano non solo dal punto
di vista anatomico, ma anche da quello funzionale:
sono tutte e due permeabili al cloruro di sodio, ma
nella branca ascendente “sottile” il cloruro fuoriesce nell’interstizio in base a un trasporto “passivo”;
invece, nella parte “spessa” il riassorbimento del cloruro di sodio avviene grazie al trasporto “attivo” del
Cloro (pompa del Cloro) che si trascina dietro passivamente il sodio.
L’acqua rimane nel tubulo e questo meccanismo
serve a separarla dagli elettroliti, producendo eleva-
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LE IPONATREMIE: PROBLEMI DIAGNOSTICI E TERAPEUTICI, SEMPLICI E COMPLESSI
ADH
ANP/BNP
Na+
Sete
S.R.A.
Aldosterone
Sga-Pro 2002
Figura 6
te quantità di quella che si chiamerà “acqua libera”
e che proseguirà verso il tubulo distale e il dotto collettore.
Se, a tale livello, c’è ADH, quasi tutta l’acqua libera
verrà riassorbita e l’urina sarà concentrata; si otterrà, in definitiva, quella che viene chiamata “clearance
negativa dell’acqua libera”, perché l’urina conterrà
meno acqua che soluti rispetto al filtrato glomerulare che era iso-osmotico.
Se la quantità di ADH è scarsa, l’urina sarà abbondante e diluita, realizzando una “clearance positiva
dell’acqua libera”, perché verrà eliminata una maggiore quantità di acqua rispetto alle sostanze disciolte,
presenti nel filtrato glomerulare.
Nel tubulo contorto distale e nel tubulo collettore,
l’acqua, depauperata dagli elettroliti, viene, in genere, riassorbita, in maniera controllata, mediante
l’azione dell’ormone antidiuretico (ADH), che contribuisce a produrre urine a massima concentrazione.
Altro elemento cruciale è il canale del sodio, che è
uno dei più importanti canali della membrana luminale (apicale) delle cellule del nefrone distale. Questo
canale ha un ruolo centrale nella regolazione dell’assorbimento del sodio e dell’acqua ad esso legata (acqua
non libera) e la sua attività è regolata e stimolata
dall’aldosterone attraverso la sintesi di nuove proteine (nuovi canali).In definitiva, la quantità di sodio
che viene escreta corrisponde a quella parte di sodio
filtrata, che sfugge al riassorbimento ai vari livelli
tubulari.
Nella terminologia nefrologica si intende per “riassorbimento” quel processo (attivo o passivo) che conduce una sostanza dal lume tubulare al sangue, attraverso l’epitelio tubulare e l’interstizio.
In questi complessi meccanismi non bisogna dimenticare, poi, la grande influenza che hanno il fattore
natriuretico atriale (ANP) ed il fattore natriuretico
cerebrale (BNP) sulla omeostasi della concentrazione del sodio e dell’acqua collegata (Fig. 6).
In definitiva il sodio è sotto il controllo di numerosi
fattori e, in questo lavoro, cercheremo di rappresentare, in modo schematico, le singole azioni e controreazioni, tentando di cogliere anche le interconnessioni esistenti tra i vari sistemi.
Gli attori in campo sono numerosi:
- l’acqua e l’osmolalità;
- l’ormone anti-diuretico (ADH);
- la volemia efficace;
- l’aldosterone (o meglio il sistema renina-angiotensina-aldosterone-SRAA);
- il peptide natriuretico atriale (ANP) e quello cerebrale (BNP).
b) Il sodio totale, l’acqua
e la sodiemia
Uno degli errori che più comunemente viene commesso è quello di fare confusione tra concetto di sodiemia e concetto di sodio corporeo totale, al punto tale
da ritenere che l’iposodiemia indichi una diminuzione del sodio corporeo totale. In effetti queste parole esprimono due entità nettamente distinte.
La sodiemia rappresenta la concentrazione di sodio
in 1 litro di plasma, misurata in milliEquivalenti/litro
(v.n. 140 ± 5 mEq/litro). Essa non esprime la quantità di sodio contenuta nell’organismo, ma solo il suo
rapporto con il contenuto di acqua.
Il sodio totale, invece, è la quantità assoluta di sodio
contenuta nell’organismo in toto (v.n. 2880-3000 mEq
totali). Questa differenza concettuale fa sì che si possa
avere una sodiemia bassa pur avendo un sodio totale alto e viceversa.
Il sodio ha un potere osmotico, per cui in una soluzione si comporta come una sostanza soluta osmoticamente attiva, capace cioè di attirare acqua e trattenerla, e proprio per questa sua prevalente funzione
esso viene definito: “lo scheletro osmotico dell’organismo”13.
13
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La quantità assoluta di sodio presente nel LEC ne regola lo stato di idratazione, facendo sì che per ogni 140
mEq si accumuli 1 litro di acqua.
Se diminuisce il sodio totale, si avrà una proporzionale perdita di acqua con una disidratazione extracellulare e mantenimento della normale sodiemia,
solo se sodio e acqua sono calati in maniera proporzionale (1 litro di acqua ogni 140 mEq di sodio).
Analogamente, in caso di aumento del sodio totale
si avrà edema (iper-idratazione extracellulare) con
mantenimento della sodiemia normale.
Infatti, il concetto che, inizialmente sembra difficile
da accettare supinamente è il seguente: l’assunzione
di sodio non provoca variazioni della sodiemia,
ma fa solo aumentare l’acqua extracellulare e, di conseguenza, il volume extracellulare (LEC).
Il transitorio aumento della sodiemia è estremamente
“temporaneo”, prima del veloce adattamento idrico determinato dalle forze osmotiche.
La presenza del sodio nel LEC condiziona il movimento
e il passaggio dell’acqua attraverso la parete cellulare, che è una membrana permeabile all’acqua, perché
il passaggio da una parte all’altra della parete, dipende dalla differenza di osmolalità tra i due versanti
della membrana.
c) L’osmolalità e l’ADH
Per osmolalità si intende la concentrazione di sostanze osmoticamente attive (osmoli) per 1 kg (o 1 litro)
di acqua.
Se si considera la osmolalità di tutti i liquidi corporei, la pressione osmotica è determinata dalla somma
di tutte le osmoli (cationi e anioni) divisa per l’acqua
totale corporea (ATC).
Poiché il sodio è il maggior rappresentante osmoticamente attivo nel LEC ed il K lo è nel LIC, per semplificare si è soliti usare la seguente formula:
Posm =
Na+ totale + K+ totale (corporei)
Acqua totale corporea
Conoscere con precisione i valori numerici “totali” di
Na e K corporei è praticamente impossibile per
cui,considerando anche che per il principio di iso-osmolalità, la pressione osmotica intracellulare e quella
extracellulare debbono essere perfettamente uguali,nella pratica clinica si misura l’osmolalità del plasma,
14
quale espressione importante del LEC, potendo avere
a disposizione, con facilità e precisione, i dati numerici dei soluti del plasma (sodio, glucosio, urea ecc.).
Essa può essere calcolata con una semplice formula
(vedi oltre) o misurata con l’osmometro, che valuta
il punto di congelamento del plasma o della soluzione, in base al principio che il punto di congelamento diminuisce in funzione della concentrazione
delle osmoli, cioè è tanto più basso quanto maggiore è la concentrazione del soluto.
L’osmolalità “misurata” con l’osmometro è, normalmente, più o meno uguale a quella “calcolata”, che
si ottiene con la seguente formula:
Posm = 2×[Na+] +
[Glucosio] [N Ureico]
+
= 290 mOsm/l
18
2,8
La concentrazione del Na viene moltiplicata per 2,
perché bisogna tener conto anche degli anioni che
comunemente sono associati al Na e l’accompagnano, quali per es. il Cloro o il Bicarbonato.
L’effetto osmotico esercitato da una mole di cloruro
di sodio è, infatti, doppio (2 osmoli) in quanto il sodio
e il cloro si dissociano (e altrettanto vale per il bicarbonato di sodio).
Inoltre, nella formula della osmolalità, per uniformare alla stessa unità di misura i vari componenti
(Sodio, Glucosio e Azoto), viene diviso il Glucosio per
18 e l’Azoto urinario per 2,8 per convertire i valori
dei milligrammi / 100 ml (con cui sono comunemente misurati il Glucosio e l’Azoto) in milliEquivalenti
per litro (che è la comune unità di misura del sodio).
I numeri 180 e 28 sono i pesi molecolari del Glucosio
e dell’Azoto, ma vengono usati i numeri 18 e 2,8 (la
decima parte) perché il Glucosio e la Glicemia sono
espressi comunemente per 100 ml e non per litro (1000
ml), come nel caso della sodiemia, che viene espressa in mEq/litro.
Tra l’osmolalità calcolata e l’osmolalità misurata ci
può essere una differenza che non dovrebbe superare le 10 mOsmoli.
L’Azoto ureico, in effetti, quando aumenta, passa rapidamente nelle cellule, riequilibrandosi fra interno ed
esterno e, quindi, la sua osmolalità non altera le cellule, anche se viene misurata dall’osmometro insieme
al Sodio ed al Glucosio.
All’atto pratico l’Azoto ureico non contribuisce alla
osmolalità effettiva, per cui potrebbe essere elimi-
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LE IPONATREMIE: PROBLEMI DIAGNOSTICI E TERAPEUTICI, SEMPLICI E COMPLESSI
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Figura 7
nato completamente dalla formula classica.
Infatti, la nuova formula senza Azoto ureico:
Posm = 2×[Na+] +
[Glucosio]
= 285 mOsm/l
18
viene ad esprimere la osmolalità efficace o cosiddetta
tonicità.
In conclusione, la natriemia è una costante fisiologica ed è strettamente collegata all’ADH, al meccanismo della sete (ingestione di acqua), alle corrispondenti variazioni della composizione delle urine ed
alle altre eventuali perdite idriche anche extrarenali (Fig. 7).
TABELLA 2
Soglia osmolale della sete e della secrezione
di ADH
• La secrezione di ADH è stimolata già per
variazioni dell’1% della Posm, cioè anche per
2,9 mOsm.
• ≤290
• 290 mOsm: inizia la secrezione di ADH
• < 280 mOsm: abolizione della secrezione
di ADH
• > 290 mOsm: scatta lo stimolo della sete
La secrezione di ADH viene stimolata già per variazioni dell’1% della pressione osmotica (pOsm), cioè
anche per spostamenti di 2,9 milliosmoli (mOsm).
La soglia osmolale per fare scattare il meccanismo
della sete è un po’ più alta rispetto a quella per l’ADH,
cioè, per la eventuale correzione, interviene prima
l’ADH e poi la sete (Tab. 2).
Un’introduzione di acqua assoluta determina un
aumento della diuresi con eliminazione di una corrispondente quantità di acqua non legata al sodio,
cioè della cosiddetta “acqua libera”. È stato calcolato che un eccesso di acqua ingerita viene escreta
molto rapidamente (in quattro ore ne fuoriesce più
dell’80%).
Questo adattamento renale si avvera grazie al “potere di diluizione della urina” che un rene normale possiede.
Al contrario, se si ha una mancata ingestione di liquidi (o una restrizione idrica) si riduce l’eliminazione
di acqua libera e aumenta la densità delle urine, grazie
al “potere di concentrazione” per effetto dell’ormone
antidiuretico (ADH).
In genere, i concetti di iposodiemia e ipo-osmolalità
esprimono la stessa cosa, come pure ipersodiemia e
iperosmolalità. Esistono, però, poche eccezioni quando, per es., nel plasma aumenta la glicemia o un’altra sostanza osmotica, come il mannitolo.
Infatti, se la glicemia aumenta, si innalza l’osmolalità plasmatica, mentre la sodiemia si abbassa, perché
l’acqua che esce dalle cellule, a causa della iperglicemia extracellulare, fa diluire il sodio. In questi casi,
anche se c’è iposodiemia, ci sarà iper-osmolalità; l’obiettivo della terapia dovrà tendere a correggere l’iperosmolalità determinata dalla iperglicemia (insulina)
piuttosto che correggere l’iposodiemia3.
d) La volemia efficace,
l’aldosterone e il peptide
natriuretico atriale
L’altro elemento importante che incide in modo
sostanziale sul mantenimento dell’omeostasi del
sodio è il “volume efficace di sangue arterioso (VESA)”
o “volemia efficace”.
Con questo termine non si intende tutto il volume
totale di sangue circolante, ma solamente quella piccola parte del volume ematico circolante (circa il 15%),
che riempie il letto vascolare dei grossi vasi intrato-
15
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racici e addominali, da cui dipende l’attivazione dei
recettori di volume e il precarico cardiaco.
Praticamente esso rappresenta il volume plasmatico,
soprattutto del distretto arterioso, che riempie il piccolo circolo, le camere cardiache e l’aorta toraco-addominale e che è realmente efficace nello stimolare
correttamente i barocettori arteriosi ad alta pressione. Questi “recettori del volume” verificano lo “stato
di ripienezza” dei vasi circolatori.
Il VESA (volume efficace di sangue arterioso) è funzione del volume minuto, della portata cardiaca e, ancora, delle resistenze periferiche.
Il volume totale del sangue circolante non esprime
realmente la volemia efficace, perché anche se si ha
una grande quantità di sangue a disposizione (ma
questo sangue rimane nel territorio venoso) il VESA
è ridotto (ed è questo, in definitiva, quello che realmente conta negativamente ai fini della efficacia).
Il volume trattenuto, ad esempio, nel cosiddetto “terzo
spazio”, sotto forma di ascite o di edema, sequestrato
nel distretto splancnico e nelle parti declivi (arti inferiori, regioni sacrali ecc.), non risulta utile perché non
contribuisce alla volemia efficace, pur facendo parte
dei liquidi extracellulari (i volumi possono anche essere aumentati, ma non sono efficaci).
I sensori deputati alla regolazione del volume arterioso sono disposti nei seni carotidei, nelle arteriole
afferenti renali e negli atri. Gli agenti mediatori (effettori) nell’espletamento di tale funzione, sono il siste-
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Figura 8
16
ma Renina-Angiotensina-Aldosterone (SRAA), il Sistema Nervoso Simpatico (SNS), il Peptide Natriuretico
Atriale (ANP) e l’Ormone Antidiuretico (ADH).
Mediante questi effettori si ottiene il risultato di regolare l’escrezione di sodio e acqua con le urine, il che
può modificare la sodiemia (Fig. 8).
Gli eventi che possono essere ipovolemizzanti sono
numerosi: l’emorragia, la diuresi eccessiva, la diarrea
abbondante, il vomito, la febbre, la sudorazione profusa, la paracentesi evacuativa ecc.
Quando la volemia si abbassa viene stimolata la produzione di Aldosterone (il che porterà ad una ritenzione di sodio + acqua) e viene attivato anche il sistema nervoso simpatico, che agirà sulle resistenze
periferiche e sulla portata cardiaca.
A livello renale un’insufficiente perfusione ematica
determina una bassa escrezione urinaria di sodio,
perché il rene ipoperfuso riassorbe avidamente quasi
tutto il sodio e l’acqua filtrati, al fine di ripristinare
la normale volemia.
Tutto ciò grazie all’attivazione del sistema ReninaAngiotensina-Aldosterone, inibito o innescato dalla
volemia efficace, la quale costituisce il fattore determinante dell’eliminazione o del riassorbimento renale del sodio (Fig. 8).
Quando la volemia aumenta viene frenata la produzione di Aldosterone (il che porterà a una eliminazione di sodio + acqua) e viene anche stimolata,
(mediante la distensione cardiaca atriale), la produzione del Peptide Natriuretico Atriale (ANP) che ulteriormente farà aumentare l’eliminazione di sodio e
acqua (Fig. 9).
Contemporaneamente, però, quando le variazioni di
volume in diminuzione sono consistenti, la volemia è
capace di incidere direttamente anche sulla produzione di ADH mediante un intervento a livello centrale sull’ipofisi.
In caso di ipervolemia, invece, l’ADH viene inibito e,
al contrario, la deplezione di volume è un potente
stimolo per la secrezione di ADH e per il riflesso della
sete.
Una perdita di liquidi, comunemente, si accompagna
a ipovolemia e a ipersodiemia. Attraverso l’ipersodiemia si innesca il meccanismo della sete e la produzione di ADH, ma già l’ipovolemia di per sé può provocare sete persistente e stimolo diretto ipotalamico
per la sintesi di ADH, anche se la sodiemia è bassa
(Fig. 10).
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Figura 9
Un dato molto importante, infatti, di cui spesso non
si tiene conto, è che la sodiemia e la volemia non
sono sempre direttamente correlate. Erroneamente, infatti, siamo portati a fare l’associazione
mentale tra ipersodiemia e ipervolemia, oppure tra iposodiemia ed ipovolemia.
Ed, invece, quasi sempre, non è così, anzi spesso è il contrario.
Come abbiamo visto, la regolazione della sodiemia
(o dell’osmolalità) da un lato e la regolazione dei
volumi circolanti dall’altro, seguono vie fisio-patologiche diverse (Tab. 3)65.
TABELLA 3
Differenza tra osmoregolazione e regolazione di volume
Osmolalità del plasma
Volume efficace circolante
Sensori
Osmocettori ipotalamici
Seno carotideo
Arteriola afferente
Atri
Effettori
Ormone antidiuretico
Sete
Sistema renina-angiotensina-aldosterone
Sistema nervoso simpatico
Peptide natriuretico atriale
Natriuresi da aumentata pressione arteriosa
Ormone antidiuretico
Risultato
Osmolalità delle urine e, mediante
la sete, l’apporto di acqua
Escrezione di sodio con le urine
da Rose, modificata65
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Figura 10
L’osmoregolazione è controllata dall’ADH e dalla sete,
che agiscono esclusivamente sull’acqua (Fig. 7),
mentre la regolazione dei volumi circolanti è coordinata dal SRAA, dall’ANP e dal Sistema Nervoso Simpatico, che agiscono sul sodio e sull’acqua o sulle
resistenze vascolari (Fig.8).
Ad esempio, se si ha una perdita di liquido ipotoni-
TABELLA 4
Dissociazione Sodiemia/Volemia
ADH
da Vulterini, modificata13
18
co (come nell’eccessiva sudorazione dei maratoneti
o nelle diarree acquose abbondanti) vi può essere
un’eliminazione di molta acqua con la perdita di una
minore quantità di sale rispetto al plasma.
Di conseguenza, in questi casi, la volemia efficace
diminuisce per effetto della perdita dei liquidi (ipovolemia), mentre la sodiemia, invece di diminuire,
aumenterà per effetto della emoconcentrazione
(ipernatriemia).
Altro esempio chiarificatore al riguardo, è quello dei
pazienti con eccessiva secrezione di ormone antidiuretico, che produrrà una ritenzione di acqua con
aumento della volemia e calo della sodiemia per effetto della diluizione (Tab. 4).
Questi due semplici esempi dimostrano con facile
evidenza che la sodiemia non permette di valutare
il volume del LEC e viceversa.
L’aumento del volume del LEC è determinato dalla
quantità assoluta di sodio (SODIO TOTALE), che, a
sua volta, porta con sé una certa quantità di acqua.
In questi due differenti volumi (Fig. 11) cambia la
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Figura 11
quantità totale di sodio, ma la sodiemia (140 mEq/litro)
e la osmolalità rimangono sempre le stesse, per cui
la sodiemia da sola non permette di valutare il volume del LEC.
e) L’iposodiemia e la clinica
L’iponatremia è la più comune alterazione riscontrata
nei pazienti ospedalizzati.
Il valore normale della sodiemia è 140 mEq/litro (range
136-145) e si intende per iposodiemia un valore ≤ a
135 mEq/litro.
Tale parametro laboratoristico è molto frequente nella
pratica clinica, anche se, fortunatamente, nella
maggior parte dei casi non arriva a livelli di iposodiemia molto bassi.
Dico fortunatamente perché è notorio che valori bassi
di sodiemia possono compromettere marcatamente
lo stato di vigilanza (con peggioramento proporzionale al calo della concentrazione del sodio) dando
progressivo passaggio dallo stato di confusione, allo
stupore, al coma, alle convulsioni, fino alla morte,
come è stato dimostrato ampiamente già da Arieff
nel 1976 (Fig. 12)14.
L’entrata di acqua nelle cellule crea edema cerebrale e rigonfiamento cellulare, il che è causa di una
encefalopatia di vario grado, fino alla possibile mortalità.
L’insorgenza acuta dell’iposodiemia aumenta tale
mortalità, come pure l’età avanzata è un altro elemento prognostico sfavorevole.
Il valore soglia di possibile inizio della compromissione dello stato di vigilanza è quello di 125 mEq/litro,
che deve essere ritenuto un punto di grave allarme
clinico, per cui è indispensabile tenere sempre sotto
controllo questo parametro laboratoristico, quando
ci si trova di fronte a pazienti scarsamente vigili e
disorientati, specie se in età avanzata13,14.
Bisogna stare attenti, in questi casi, a usare espressioni (o solo ipotizzare mentalmente):“Ha l’arteriosclerosi cerebrale”; “Non ci sta con la testa”; “Si è
rimbambito”.
Potremmo scoprire, dopo gli esami di laboratorio,
Sintomi Neurologici Iposodiemia
Plasma Na+ (mEo/L)
130
120
110
100
90
1
Vigilanza
2
Confusione
3
Stupore
4
Coma
5
Convulsioni
da Arieff et al. modificato Medicine 55: 121 197614
Figura 12
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che i “veri rimbambiti” eravamo noi (chi è senza peccato scagli la prima pietra e, se qualcuno veramente la
scaglierà, è perché nei casi capitati a lui non se ne è
nemmeno accorto, anche dopo aver letto gli esami).
Dinanzi, quindi, ad una condizione laboratoristica di
iponatriemia, quale deve essere il nostro atteggiamento?
La prima domanda da porsi è la seguente:
Il dato laboratoristico è vero o falso?
Al di là del banale errore materiale di laboratorio (da
non sottovalutare mai) esistono delle condizioni
cosiddette di “pseudo-iponatriemie” riconducibili a
condizioni specifiche ben note e che devono essere
sempre tenute in conto nella diagnosi differenziale.
Se il dosaggio è fatto con lo spettrofotometro a fiamma, ad esempio, un’eventuale iperlipidemia (trigliceridi, colesterolo) o una iperproteinemia (mieloma
multiplo, macroglobulinemia) possono far risultare
falsi bassi valori della sodiemia.
Per dirimere il quesito, la misurazione con l’osmometro può fungere da controllo, perché mostrerà un’osmolalità normale anche se la sodiemia è diminuita
e l’osmolalità calcolata è bassa.
L’altro sistema è quello di centrifugare il campione
ed eliminare la quota anomala di liquidi e/o proteine in eccesso.
Un altro piccolo metodo che può aiutarci a riconoscere o sospettare un errore di laboratorio è quello
di verificare il valore del gap anionico.
Se si riscontrano valori molto bassi del gap anionico
è probabile che ci sia un errore materiale.
Ovviamente queste iposodiemie “fittizie” non necessitano di trattamento, perché non si deve correggere una iponatriemia che praticamente non c’è.
Normalmente 1 litro di plasma contiene 930 ml di acqua
plasmatica, in cui ci sono gli elettroliti, e 70 ml occupati da sostanze “solide”, quali i lipidi e le proteine.
Se queste sostanze aumentano di molto, come nelle
dislipidemie e nei mielomi, esse occupano maggiore
spazio solido all’interno del litro di plasma, e la quota
di acqua plasmatica diminuisce.
Lo spettrofotometro a fiamma dosa il sodio e darà
un valore basso se rapportato ad 1 litro di plasma,
senza tener conto che l’acqua plasmatica contenente il sodio è notevolmente diminuita.
Proprio per evitare questi errori, oggi si ritiene opportuno parlare in termini di osmolalità e non più di
osmolarità, perché quest’ultima esprimeva i valori
20
ancora rapportati ad 1 litro di soluzione (per esempio plasma in toto), mentre l’osmolalità è riferita ad
1 litro di acqua plasmatica.
Questo artefatto di laboratorio, poi, può essere quasi
del tutto eliminato se la misurazione viene effettuata
con gli elettrodi specifici per il sodio, oggi disponibili.
Altra condizione anomala fuorviante si ha nelle fasi
post-operatorie della resezione prostatica trans-uretrale o della litotrissia ultrasonica trans-ureterale.
In questi casi la soluzione isotonica di glicina, utilizzata a scopo di lavaggio continuo, può essere assorbita in grande quantità, producendo una diluizione
del sodio e determinando una pseudo-iponatriemia.
Una ulteriore condizione di falsa iponatriemia è quella che si verifica in corso di grave iperglicemia.
La grande quantità di zucchero in circolo crea un
gradiente osmotico tale che le cellule cedono acqua
al compartimento extracellulare, diluendo il sodio e
determinando iposodiemia, oltre il fatto che il sodio,
per rispettare l’equilibrio osmolale, entra nelle cellule e ne fuoriesce quando, con l’inizio della terapia
insulinica, il glucosio comincia a rientrarvi, ristabilendo il normale equilibrio.
Si è calcolato che per ogni 100 mg di glucosio in eccesso bisogna prevedere una diminuzione del sodio di
1,6 mEq.
Se si riscontrano questi valori si tratta di una pseudo-iponatriemia, ma se il calo riscontrato è superiore, vuol dire che coesiste un’iponatriemia vera.
Alla luce di quanto detto, dinanzi al reperto di una
iponatriemia, bisogna innanzitutto escludere la
presenza di queste condizioni falsanti sopraindicate.
La seconda domanda da porsi è:
Abbiamo fatto una buona anamnesi e un buon
esame obiettivo? O abbiamo letto solo le analisi?
Ogni tanto capita di rendersi conto, essendo capitati in una casella senza sbocco, che è preferibile (come
nel gioco dell’oca) tornare indietro a quelle che sono
le due caselle principali: anamnesi (diarrea, vomito,
sudorazione profusa, terapia diuretica, terapia lassativa, assunzione di farmaci particolari, calo ponderale, infezioni, neoplasie, decorso post-operatorio,
infusione di liquidi, drenaggi ecc.) ed esame obiettivo (presenza di edemi o succulenza, disidratazione,
melena, patologia cardiaca, addome acuto ecc.).
Tutte queste informazioni sono molto importanti (o
meglio indispensabili) perché le ipotesi cliniche propo-
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Figura 13
nibili dinanzi a una iposodiemia sono veramente molte,
come già abbiamo avuto modo di intuire.
In effetti le possibilità patogenetiche sono numerose, anche se riconducibili a tre ipotesi e meccanismi fondamentali (Fig.13):
1) può esserci una carenza vera del sodio totale,
dovuta a perdite renali ed extrarenali, con perdita di acqua inferiore proporzionalmente a quella
del sodio;
2) può esserci un eccesso di acqua, pur avendo il
sodio totale normale (carenza relativa);
3) può esserci un eccesso di sodio, con un maggiore eccesso di acqua.
Vediamo, quindi, come confrontarsi con questi problemi differenziali diagnostici e terapeutici, dinanzi a
un paziente con iposodiemia.
Cerchiamo di analizzare, gradualmente, le tre possibilità e, quindi, la terza domanda nasce spontanea: è diminuito veramente il sodio totale o è aumentata l’acqua?
1) La carenza vera di sodio e lo stato del
patrimonio sodico totale
Lo stato del patrimonio sodico totale non può essere dedotto da un esame di laboratorio ma è soprattutto una valutazione squisitamente clinica.
Se ci sono i segni clinici della disidratazione associata ad iposodiemia, ci troviamo di fronte ad una vera
carenza assoluta del sodio totale.
Per segni clinici di disidratazione si intende, notoriamente:
- secchezza della cute che si solleva in pliche;
- secchezza dei cavi ascellari;
- guance infossate;
- ipotonia dei bulbi oculari (occhi incavati);
- calo ponderale;
- ipotensione arteriosa;
- segni di emoconcentrazione:
ematocrito elevato;
proteinemia elevata;
- segni di insufficienza renale funzionale:
diuresi diminuita;
iperazotemia;
buona escrezione renale di azoto;
ipocloremia;
sodiuria diminuita;
peso specifico aumentato.
In questi casi di disidratazione, accompagnata da iposodiemia vera, vuol dire che esiste una deplezione combinata di sodio e acqua e che la perdita di acqua è stata
inferiore alla perdita di sodio (Fig. 3).
In genere si tratta di casi in cui primitivamente si perde
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Figura 14
molto sodio per via renale o per via extra-renale e
conseguenzialmente acqua, ma in proporzione minore (Fig.14).
Uno degli esempi più classici è quello del Morbo di
Addison (insufficienza surrenalica acuta con perdita
renale di sodio) oppure la diarrea abbondante (perdita extra-renale).
Un altro esempio classico di disidratazione extracellulare associato all’iposodiemia si verifica quando, in
una normale disidratazione extracellulare isolata
(che notoriamente può avere una sodiemia normale perché le perdite di sodio sono state proporzionali a quelle dell’acqua) la correzione terapeutica viene
fatta, erroneamente, con una reidratazione ipotonica (per via orale o per via infusionale) senza un
adeguato apporto di sale associato14-23).
Questo è il caso classico delle disidratazioni trattate
con le semplici soluzioni glucosate al 5% che, in pratica, risultano ipotoniche.
Invece, in questi casi, e anche in tutti i casi di disidra-
22
tazione con iposodiemia (da perdite renali o extrarenali) si devono utilizzare le soluzioni saline isotoniche25.
La sodiuria diventa, quindi, un esame molto importante e può essere ricercata anche su un piccolo campione di urine, per cui è possibile ottenerla anche nelle
forme di oligo-anuria. Questo esame consente di riconoscere subito se il tubulo renale è in grado o meno
di riassorbire il sodio e quindi di indirizzare le indagini in ambito nefrologico11, 12.
Nei casi di perdite renali, l’eliminazione di sodio con
le urine (U-Na) è superiore ai 20 mEq/litro; di solito
è superiore ai 50-60 mEq, ma può raggiungere anche
i 100 mEq.
Altro esame, ancora più utile, anche se leggermente più complesso, è il calcolo della frazione di escrezione renale del sodio filtrato10, 25.
Per potersi orientare, in via preliminare, senza avere
a disposizione la sodiuria e/o la frazione di escrezione del sodio (FENa) è indispensabile, ai fini diagnosti-
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ci, la quarta domanda; qual è il peso specifico
delle urine (e/o l’osmolalità urinaria)?
Questo comune parametro, già presente in cartella
tra gli esami, viene spesso trascurato, e invece ci aiuta
molto nel verificare se l’escrezione dell’acqua è
normale oppure compromessa (cioè ci chiarisce subito se il problema è legato all’ADH e ad un eccesso di
acqua oppure no).
Se il peso specifico è inferiore o uguale a 1003 (osmolalità urinaria inferiore a 100 mOsm/kg) vuol dire che
è mantenuto il potere di diluizione delle urine e che
la secrezione di ADH è adeguatamente inibita (quindi questo ormone può non entrare nella diagnosi differenziale).
Il peso specifico e l’osmolalità hanno tra loro una buona
correlazione con un rapporto dopo il mille di 1 a 35
(Tab. 5).
TABELLA 5
Inter-relazione tra peso specifico e osmolalità
Peso specifico
1000
1003
1005
1010
1020
1030
Osmolalità
0
105
175
350
700
1050
La buona correlazione cessa, però, se nelle urine
sono presenti molecole più grandi, tipo il glucosio o i mezzi di contrasto o il mannitolo.
1a) Terapia della carenza vera di sodio
Quando ci si trova di fronte ad una carenza “vera”
di sodio, la terapia elettiva è basata sulla somministrazione di soluzioni saline isotoniche (soluzione fisiologica allo 0,9%), senza trascurare, contemporaneamente, di trattare la causa scatenante di base (ad es.,
somministrare cortisone in caso di Morbo di Addison
o sospendere le infusioni ipotoniche ecc.).
Non bisogna mai sottovalutare, poi, il fatto che le
manifestazioni cliniche, in questi casi, sono collegate più alla deplezione del volume che alla iponatremia, per cui il primo obiettivo è ripristinare il volume extracellulare.
Quando i pazienti sono sintomatici per carenza “seve-
ra”, bisogna essere più intensivi (in particolar modo
se la concentrazione plasmatica di Na è inferiore a
110-115 mEq/litro), perché in questi casi si possono
verificare danni neurologici gravi fino alla morte.
Diversamente la correzione non deve essere mai troppo rapida, perché anche in questo modo si possono
avere gravi danni neurologici irreversibili quali la mielinolisi pontina (demielinizzazione osmotica delle
regioni del ponte encefalico)27-37; nelle forme non sintomatiche la correzione deve essere graduale, intendendo con ciò una durata di 48 ore.
Inoltre, non si deve mai arrivare alla normalizzazione totale della sodiemia (140 mEq/litro) ma bisogna
porsi come obiettivo di minima il valore di 125
mEq/litro e poi agire con molta calma e gradualità.
1b) La quinta domanda da porsi, molto importante
ai fini delle scelte terapeutiche, è se la forma di iposodiemia è acuta o è cronica.
Per iponatriemia acuta si intende l’insorgenza da meno
di 24 ore, con o senza manifestazioni neuropsichiche.
Il concetto di “cronicità”, invece, in questo caso è
diverso dal consueto; essa deve essere intesa nel senso
che già sono passati 2-3 giorni dall’insorgenza della
iposodiemia e, quindi, già si sono completati i fenomeni di adattamento cellulare.
Dalla risposta che diamo a questa domanda può scaturire se il nostro atteggiamento correttivo deve essere aggressivo o molto cauto.
Se la forma di iposodiemia è insorta in un paziente
già ricoverato, possiamo dedurre di trovarci dinanzi
a una forma acuta e quindi la terapia potrà essere
più aggressiva, sempre che interveniamo a poche ore
dalla sua insorgenza. In questi casi i meccanismi fisiopatologici di adattamento cerebrale non si sono ancora verificati o completati16,29.
Nelle situazioni, infatti, di iposodiemia e ipo-osmolarità extracellulare “acuta”, l’acqua diffonde nelle
cellule e si ha aumento di volume non solo delle cellule, ma anche nell’interstizio.
A livello della massa cerebrale, ove l’espansibilità è
limitata dalla rigidità della scatola cranica, si può avere,
nel giro di pochi minuti, l’aumento della pressione
intracranica e subito comincia un meccanismo di difesa mediante il passaggio di liquido dall’interstizio al
liquido cefalo-rachidiano, con decompressione e
riequilibrio delle pressioni entro 2-3 ore, anche se il
volume cellulare resta aumentato.
23
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Dopo due ore o entro pochi giorni vi sono i cosiddetti fenomeni di “adattamento in uscita dalle cellule”, mediante i quali il potassio e altre sostanze osmotiche organiche (osmoli non elettrolitiche: aminoacidi,
metilamine, polialcoli) passano dall’interno delle
cellule all’esterno.
I fenomeni di adattamento cominciano subito, con
passaggio di liquidi dall’interstizio al liquido cefalorachidiano e al plasma, per poi completarsi entro 23 giorni.
In seguito alla terapia, eventualmente attuata in modo
scorretto, con un reintegro rapido del sodio, aumenta troppo rapidamente l’osmolalità del LEC e si ha
una forza traente sull’acqua che passa velocemente
dall’interno delle cellule all’esterno.
Questo passaggio brusco (da un aumento rapido del
volume cellulare, dovuto alla precedente iposodiemia, a una veloce decompressione) determina una
mielinolisi osmotica, che si manifesta come sequela
tardiva della terapia riequilibrante del sodio, condotta in modo approssimativo38-45. Si tratta di una forma
di demielinizzazione a carico del sistema nervoso
centrale, specie della regione pontina.
In assenza di notizie anamnestiche precise, se il
paziente, al momento del ricovero, si presenta già
con una sindrome iposodiemica, questa forma clinica deve essere considerata ad adattamento completato e, quindi, “cronica”.
1c) Sesta domanda: nelle forme acute, l’insorgenza è stata rapida o graduale progressiva?
Se il calo della sodiemia è stato inferiore a 0,5
mEq/litro/ogni ora, non avvengono complicazioni34.
Se il calo è stato superiore a 1 mEq/litro/ora, le complicazioni sono molto frequenti (50%) e anche potenzialmente pericolose quoad vitam, per il fenomeno
delle erniazioni o della marcata ipertensione endocranica29,31,32,34,41,44.
La presenza di edema della papilla (papilla da stasi)
deve indurre ad un trattamento più “aggressivo”,
perché, quando c’è l’effetto massa sul cervello, si tratta di una situazione di emergenza.
Se l’inizio della nostra correzione è cominciata quando gli adattamenti osmotici cellulari in uscita già sono
avvenuti (forma “cronica”), la gradualità del nostro
intervento deve essere molto più severa.
In ogni caso, nel correggere l’iponatremia, non bisogna mai superare i 125-130 mEq/litro, perché è proprio
24
a questi valori che scattano i normali fenomeni di adattamento (che in questi momenti del quadro clinico
saranno “adattamenti in entrata” nelle cellule).
1d) Settima domanda: come fare per calcolare la
quantità di sodio da infondere?
Questo è il punto più controverso e ancora non esiste
un consenso diffuso.
Nel praticare il calcolo dei mEq di sodio mancanti,
uno degli equivoci più comuni è quello di pretendere di voler reintegrare tutto il sodio perso, fino a
riportare il valore di sodiemia a 140 mEq/litro. Questo
è sicuramente un grave errore.
Non bisogna mai porsi questo valore come obiettivo
di riferimento.
Il valore di riferimento da utilizzare come obiettivo
di minima, temporaneo, come già abbiamo detto, è
125 mEq/litro, per cui, nel caso di un paziente di 66
kg con 38 litri di acqua corporea totale e una sodiemia di 115, bisogna reintegrare, inizialmente, solo
10 mEq per ogni litro.
In ogni caso, qualsiasi sia la formula schematica adottata per iniziare la terapia, è indiscutibile che la reale
quantità di Na+ da somministrare dipende molto anche
da quella che è la capacità e la velocità di escrezione renale dell’acqua e del Na+, perché, in definitiva,
non bisogna mai dimenticare che siamo di fronte a
un bilancio continuo fra entrate ed uscite.
Il Na+ e l’acqua infusi, infatti, non entrano in un contenitore chiuso, ma in un contenitore aperto verso l’esterno in varie modalità (diuresi, sudore, vomito, diarrea, drenaggi, ustioni) (Fig. 15).
È indubbio, quindi, che tale terapia deve essere strettamente monitorizzata con controlli ravvicinati della
assunzione di acqua, della sodiemia, diuresi, sodiuria anche ogni 3-4 ore, durante le prime 24 ore, nei
pazienti più critici.
La sodiuria è molto importante perché, oltre a farci
conoscere le perdite sodiche (da reintegrare) ci fa
anche capire se la volemia si è normalizzata.
Infatti con una sodiuria superiore a 40 mEq/l possiamo essere sicuri, in linea di massima, che è stata
raggiunta una condizione di normo-volemia e quindi siamo in una condizione di steady-state che ci
consente di fare calcoli più certi sulle “uscite” e, di
conseguenza, anche sulle “entrate” necessarie da
infondere3.
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Figura 15
Nel paziente preso come esempio (soggetto di 66 kg
con 38 litri di acqua corporea e una sodiemia patologica di 115 mEq/litro), in assenza di sintomatologia acuta, infonderemo soluzione fisiologica isotonica (154 mEq/litro). Con un litro di infusione potremmo
avere l’illusione di avere colmato una parte cospicua
della sua carenza di Na+ con i nostri 154 mEq aggiunti. In effetti non è così.
Se ci ragioniamo un attimo, scopriamo facilmente
che abbiamo aggiunto un altro litro di acqua (38 +
1 = 39) e praticamente abbiamo infuso appena 39
mEq in più, perché gli altri 115 mEq rimangono nel
litro di acqua che abbiamo aggiunto. Solo 39 mEq
sono realmente in più e modificheranno soltanto di
1 mEq gli ormai 39 litri di acqua presenti (i quali passeranno da 115 a 116 mEq/litro).
Probabilmente, proprio seguendo questo ragionamento Adrogué26,27 ha proposto la seguente formula per calcolare i cambiamenti che avvengono nella
sodiemia di un paziente in seguito alla infusione di
un litro di soluzione contenente sodio.
La formula sottoindicata è valida con qualsiasi tipo
di soluzione (soluzione fisiologica 0,9%, contenente
154 mEq/litro; oppure soluzione ipertonica 3%, contenente 513 mEq/litro; oppure soluzione salina ipotonica 0,45%, contenente 77 mEq/litro).
sodio infuso – sodiemia attuale
Variazione
=
litri di acqua corporea +
della sodiemia
1 (il litro aggiunto)
In questa formula, al denominatore, per “litri acqua
corporea totale” si intende il 60% del peso corporeo
(o valori percentuali inferiori in caso di paziente di
sesso femminile e/o anziani. In un soggetto adulto
maschio di 70 kg si tratta di 42 litri).
Se immaginiamo, per esempio, di infondere, nello
stesso soggetto precedente con una sodiemia di 115,
un litro di soluzione ipertonica al 3%, che contiene
25
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513 mEq di sodio, potremo calcolare facilmente quale
sarà la variazione della sodiemia con 1 solo litro infuso:
sodio infuso (513) - sodiemia attuale (115) = 398 che
diviso per i litri corporei totali più uno (38 + 1 = 39)
darà una variazione di 10,2 mEq per ogni litro, per
cui la sodiemia finale sarà 115 + 10,2 = 125,2 mEq/litro,
al termine della infusione completa (senza tener conto
delle uscite).
Se, in base alla condizione clinica, abbiamo scelto di
apportare una correzione di 0,5 mEq/litro/ogni ora,
dobbiamo infondere quel litro di soluzione in 20 ore
circa (10,2 ore diviso 0,5 = 20,4 ore), cioè dobbiamo
avere una velocità di infusione di circa 50 cc all’ora
(1000 cc diviso 20 ore = 50 cc/ora).
Se, invece, avessimo scelto la correzione di 1mEq/litro/ogni ora, dovremmo impiegarci 10 ore per l’infusione ( cioè una velocità di somministrazione di 100
cc all’ora).
Questa formula è molto comoda ma, ovviamente, non
bisogna trascurare gli altri aspetti. Se contemporaneamente, infatti, una diuresi efficace facesse eliminare tutta l’acqua della soluzione fisiologica infusa
(o la maggior parte di essa, sotto forma di acqua libera senza sodio o con poco sodio) allora anche gli altri
mEq di sodio della soluzione fisiologica infusa (altri
115 mEq) si distribuirebbero nei 38 litri di acqua rimasti (circa 3 mEq per ogni litro), i quali passerebbero
da 125,2 a circa 128,2 mEq/litro.
Ma, contemporaneamente, non bisogna mai dimenticare che la soluzione fisiologica può aumentare transitoriamente il volume extracellulare e quindi attivare i recettori di volume, ottenendo sia l’effetto di
inibire l’azione del SRA Aldosterone, sia quello di
aumentare la secrezione di ANP. L’effetto finale sarà
quello di perdere sodio e acqua con le urine (Fig. 9).
Si intuisce, quindi, quanto sia indispensabile avere
una panoramica completa delle “entrate” e delle “uscite” e quanto sia utile avere dei punti di riferimento
chiari, semplici, per non navigare senza bussola in un
mare aperto.
Il problema di fondo, che ogni tanto emerge nelle
discussioni e che non viene mai chiarito definitivamente, è quello di stabilire quale è, effettivamente,
il reale spazio di distribuzione del sodio corporeo totale.
Sappiamo tutti con sicurezza che, normalmente, il
sodio è localizzato (nella sua maggior quantità) nel
26
liquido extracellulare, che rappresenta il 20% del peso
corporeo (14 litri in un uomo di 70 kg) (Fig. 1-2).
All’interno di questo LEC la concentrazione del sodio
è di 140 mEq/l (per un totale, quindi, di 140 x 14 =
1960 mEq).
Però anche nel liquido intracellulare (che rappresenta
il 40% del peso corporeo) vi è una quantità (bassa)
di sodio, che corrisponde a 10 mEq/litro, cioè 14 volte
inferiore.
Considerato che il LIC (40% del peso corporeo) corrisponde a 28 litri in un uomo di 70 kg, possiamo affermare che il sodio totale, ivi contenuto, sarà 10 mEq
x 28 litri = 280 mEq, cioè quanto ne è presente in
appena 2 litri di LEC.
È anche vero, poi, che “circa il 30% del Na ed una
piccola parte del K corporeo sono legati in altre strutture, quali le ossa, ma questa quota non è scambiabile e perciò osmoticamente inattiva”3.
Questa materiale grossolana differenza fra LEC e LIC
farebbe pensare che i calcoli dello spazio di distribuzione del Na dovrebbero essere riferiti prevalentemente allo spazio extracellulare, tenendo conto,
solo in minima parte, del LIC (ad es., per essere pignoli, solo a 2 litri paragonabili a quelli extracellulari, in
quanto a contenuto di sodio).
Ma, in effetti, il sodio infuso nel corso delle nostre
terapie, anche se viene immesso e realmente rimane nello spazio extracellulare, crea attrazione di acqua
dal liquido intracellulare, per cui è come se si distribuisse nell’acqua corporea totale.
La colpa della nostra difficoltà di comprensione dipende sempre dalla differenza sostanziale che esiste fra
il concetto di sodiemia e quello di sodio totale.
Il sodio totale aumenta nello spazio extracellulare,
ma lo spostamento dell’acqua farà sì che l’osmolalità si riequilibri tra interno ed esterno delle cellule,
per cui il sodio introdotto verrà diluito da tutta l’acqua corporea totale, a cui bisogna sempre fare riferimento nei calcoli63.
Tutto quanto calcolato, in ogni caso, vale se si tiene
conto anche dell’acqua e del sodio eliminati nello
stesso periodo di terapia. In ogni schema adottato,
quindi, converrà monitorare la sodiemia per verificare il buon andamento della procedura e adattare
le dosi infuse ai valori riscontrati.
Ritornando all’esempio del nostro paziente, se egli
è sintomatico bisogna essere più interventisti e tener
conto anche dei problemi legati alla volemia, sia rein-
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tegrandola in caso di disidratazione, sia risparmiandola in caso di eccesso di volume.
In ogni caso, anche nei pazienti sintomatici gravi, non
bisogna correggere più di 1,5-2 mEq/litro ogni ora,
per alcune ore, oltre a tener conto che l’aumento
della sodiemia non deve superare, in totale, i 10-15
mEq/litro nelle prime 24 ore.
Se esistono problemi di sovraccarico idrico (scompenso
ecc.) si può utilizzare la soluzione salina ipertonica
al 3%, che contiene 513 mEq in un litro (e che, nota
bene però, ha una osmolarità di 1027 mOsm/litro).
Questa formulazione è molto comoda, perché consente di infondere pochi liquidi e molto sodio, ed è molto
pratica per i calcoli numerici perché, avendo 513 mEq
di sodio in 1 litro, contiene 1 mEq ogni 2 millilitri (per
infondere 1 mEq di sodio dobbiamo infondere due
millilitri di soluzione ipertonica al 3%).
In caso di iponatriemia acuta, con insorgenza da meno
di 24 ore e sintomatica, con manifestazioni neuropsichiche gravi, bisogna essere più interventisti.
In genere si seguono le stesse regole di prudenza già
spiegate dettagliatamente nei paragrafi precedenti,
in riferimento alle dosi ed alla velocità di infusione,
ma che conviene sempre ribadire come ottava
domanda.
1e) Quali devono essere i tempi di infusione e
la velocità della correzione?
In caso di convulsioni o altri sintomi neurologici acuti
bisogna somministrare una soluzione salina ipertonica al 3% (anche con un incremento, rispetto alla
sodiemia di base, di 1 - 2 mEq/litro ogni ora per 3-4
ore, o anche più ore se non si ha risoluzione dei disturbi clinici).
Raggiunto tale obiettivo si deve procedere molto lentamente con un incremento non superiore ai 0,5
mEq/litro ogni ora in 1-2 giorni, fino a raggiungere
e non superare la sodiemia di 125-130 mEq/litro34, 48,
64, 66
.
Il limite 0,5 è stato stabilito in base al famoso lavoro di Stern64 dal quale emerge che utilizzando schemi correttivi superiori anche di poco (0,6 ad esempio) cominciano a emergere casi complicati (Fig. 16).
In ogni caso non è opportuno ottenere una corre-
Senza complicanze
16
Con complicanze
neurologiche
14
Numero
di pazienti
12
10
8
6
4
2
0
≤0,2
Da R. Sterns, Seminars in Nephrology 199064
≤0,4
≤0,6
≤0,8
≤1,0
>1,0
Tasso di correzione a 120 mmol/l
(mmol/L/hr)
Figura 16. Influenza della rapidità di correzione sulla comparsa di sintomi neurologici. Sono analizzati i rapporti tra rapidità di correzione dell’iposodiemia ed incidenza di complicanze neurologiche, riferite a CPM (central
pontine myelinolysis). Si può notare come queste ultime crescano scalarmente al di sopra di ritmi correttivi
Da Guariglia-Borghetti, 199330
pari a circa 15 mmol/24 h (0,6 mEq/L/ora).
27
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zione della sodiemia superiore ai 10-15 mEq al giorno (cioè 1-2 mEq per litro ogni ora nelle prime 3-4
ore e poi 0,5 mEq/litro ogni ora nelle ore successive).
Se non esistono ragioni cliniche particolari o evidenti è preferibile effettuare la correzione in un periodo di almeno 24 ore, somministrando la metà della
dose calcolata in 6-8 ore e il restante nelle restanti
15-16 ore27-30, 34, 48, 64-66.
Durante la correzione della iposodiemia con soluzione
fisiologica, inoltre, bisogna tener conto della risposta dell’organismo al nostro trattamento.
Se si attiva eccessivamente la diuresi acquosa, con
emissione di maggiore acqua libera rispetto al sodio,
il bilancio definitivo è come se noi avessimo somministrato non una soluzione fisiologica isotonica, ma
una soluzione ipertonica, con una accelerazione, magari non voluta, della correzione della iposodiemia.
Questa evenienza si può verificare per varie cause
scatenanti concomitanti:
- brusco incremento della diuresi acquosa;
- eventuale sospensione di farmaci stimolanti l’ADH;
- poliuria post-ostruttiva.
Tutte queste condizioni aumentano la clearance
dell’acqua libera il che, in corso di infusione con fisiologica, equivale a somministrazione di sale assoluto
(cioè, soluzione fisiologica in cui viene subito eliminata l’acqua).
L’infusione, in ogni caso, va continuata fino alla scomparsa dei disturbi neurologici e dell’obiettivo di 125
mEq/litro, dopo di che può bastare, quasi sempre, la
restrizione idrica.
Talvolta, nelle fasi critiche, si utilizzano anche i saluretici dell’ansa (furosemide) associati alle saline iso
– ipertoniche (con molta prudenza e con monitoraggio
continuo) oppure anche le tecniche dialitiche.
I diuretici dell’ansa sono preferiti perché più efficaci, ma essenzialmente perché inducono una diuresi
ipo-osmolale rispetto al plasma (la metà di quella di
una soluzione fisiologica), cioè le urine sono più diluite per la presenza di una elevata frazione di acqua
libera, rispetto al sodio.
Quando la correzione viene attuata in modo incongruo, specie se troppo veloce nelle prime 48 ore, si
può assistere a un fenomeno demoralizzante di questo
tipo: il quadro clinico di compromissione del sensorio migliora sensibilmente, con una fase di illusione
generale, per poi ripresentarsi, nelle ore o giorni
successivi, con sintomi neurologici cortico-spinali,
28
bulbo-pontini e depressione dello stato di coscienza.
Questo è il tipico quadro della mielinolisi pontina,
insorta a seguito di errori nella correzione della sodiemia o per altre cause ancora non ben note.
Alcuni Autori danno molta importanza ai fenomeni
ischemici-ipossici36,37, altri non attribuiscono l’evento
alla eccessiva velocità di correzione della sodiemia43
ma a fenomeni ancora indefiniti, tra cui, per esempio secondo alcuni, anche l’eccessiva lentezza nella
correzione56
I danni anatomici possono essere evidenziati con la
TAC o meglio ancora con la RMN, ma non sono immediatamente visibili.
Talvolta occorrono anche 3-4 settimane prima della
loro evidenza radiologica, per cui, nelle prime settimane, una negatività alla radiologia non esclude l’esistenza del danno3,42,43.
Certo è che l’iposodiemia “vera severa” è la classica
condizione in cui il Medico si trova tra l’incudine e il
martello, perché “la correzione troppo lenta ha una
elevata mortalità e la correzione troppo rapida ha
ugualmente una elevata mortalità”13,49-58.
È proprio il caso di dire che ci vuole equilibrio, senza
trascurare anche i problemi legati alla volemia, quando esistenti, e tenendo sempre conto dell’eziologia
scatenante.
Proprio per questo, ogni clinico sa bene che, pur essendo utile un calcolo approssimativo iniziale per valutare il deficit di sodio, nella pratica quotidiana è indispensabile un monitoraggio assiduo del peso corporeo,
dell’acqua introdotta (assunzione orale spontanea o
infusionale), della diuresi, sodiemia, potassiemia,
sodiuria ecc. per reintegrare le eventuali variazioni
con ulteriori calcoli aggiornati, giorno per giorno.
Sul piano clinico, poi, è indispensabile saper fare distinzione tra forme acute e forme croniche, e al loro interno tra forme asintomatiche, sintomatiche lievi e sintomatiche gravi27,29,30,59-62. Nei casi gravi è necessario un
tale monitoraggio anche ogni 2-4 ore, se non anche
ora per ora.
A completamento del discorso è giusto riferire
che la formula convenzionale più accreditata, per
calcolare la quantità di sodio totale necessaria per
raggiungere il livello di sicurezza di 125 mEq/litro, è
la seguente:
[Sodio desiderato (125 mEq/litro) – sodio attuale (ad
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es. 115 mEq/litro)] x 60% del peso corporeo magro
in kg.
Esempio: 125–115 =10 (che esprime i mEq di sodio
necessari per un solo litro), da moltiplicare per il 60%
del peso corporeo, che è la quantità di acqua (extracellulare e intracellulare) presente in un uomo adulto (non anziano) e che viene considerata esprimere
lo spazio di distribuzione del sodio nell’organismo.
Alcuni Autori28, però, sono stati critici verso questa
formula ed esplicitamente non la raccomandano, e
noi stessi siamo d’accordo con loro perché essa può
confondere chi è poco attento.
La formula esprime solamente i mEq di sodio mancanti per raggiungere la sodiemia desiderata (in genere si ritiene “valore desiderato” quel famoso 125
mEq/litro, più volte già ribadito), ma, nel calcolare
la quantità di soluzione da infondere, non bisogna
dimenticare altri particolari, in genere trascurati, dalle
gravi ripercussioni.
Questo metodo di fare i calcoli, infatti, spesso non
tiene conto dei litri di acqua infusi (che vanno ad aumentare lo spazio extracellulare con incremento dell’acqua corporea totale) ed, inoltre, cosa ancora più significativa, esso trascura il fatto che ogni litro di
quell’acqua infusa avrà la sua personale quota di sodio,
che non verrà ceduta o lo sarà solo parzialmente.
Noi, dopo un iniziale utilizzo, abbiamo abbandonato questa formula convenzionale e preferiamo seguire il metodo proposto da Adrogué26,27(consigliato anche
da Bartoli11 con il quale si riesce a capire e a calcolare, con più facilità, quanti cc di soluzione bisogna
infondere per ottenere una determinata variazione
desiderata della sodiemia (v. paragrafo 1d).
2) Eccesso di acqua e iponatriemia
relativa
L’altra condizione clinico-laboratoristica frequente (Fig.
13) è quella di una iponatriemia determinata da un
eccesso di acqua, che è in grado di diluire il sodio
esistente (anche se in quantità normale o di poco più
basso) (Fig.17).
In questi casi la clinica può essere ingannevole, in
quanto mancano gli edemi e il sospetto diagnostico
viene posto solo in base agli esami di laboratorio.
Tale forma è ipotonica, con osmolalità bassa, ma con
modesta ipervolemia da modesto eccesso del liquido extracellulare, che rispetto alle altre forme ipervolemiche si caratterizza, sul piano clinico, per l’as-
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Figura 17
29
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Figura 18
senza degli edemi o, al massimo, con la presenza di
una modica succulenza.
Gli edemi non compaiono, in quanto la ritenzione di
acqua fa aumentare la volemia efficace, il che svolge due funzioni cruciali: inibisce la secrezione di aldosterone e stimola la produzione di ANP, per cui, di
conseguenza, si ha una eliminazione di Na e acqua
(Fig. 18).
Da un lato si trattiene solo acqua a causa dell’aumentato ADH, dall’altro lato si eliminerà Na e acqua,
per cui l’acqua rimane costante ma la sodiemia diminuisce.
Le cause più comuni sono indicate nella Fig. 19 e sono
rappresentate principalmente dalla sindrome da
inappropriata secrezione di ormone antidiuretico
(SIADH) e dall’ipotiroidismo.
La funzionalità renale è buona in quanto il rene non
è coinvolto in queste forme sindromiche, per cui la
sodiuria è buona, spesso anche superiore ai 40
mEq/litro.
30
Se c’è natriemia bassa, natriuria alta e assenza di
disidratazione e di edemi, bisogna sospettare questo
tipo di patologia e in particolare la sindrome da inappropriata secrezione di ADH (SIADH).
Le cause che la possono determinare sono molteplici
(nella Tabella 6 sono rappresentate solo le più comuni), ma bisogna anche fare distinzione fra la secrezione disregolata e la secrezione inappropriata di ADH29.
Si intende disregolata la secrezione di ADH, quando si tratta di condizioni con riduzione della volemia
efficace, la quale stimola direttamente la produzione di ADH o agisce indirettamente attraverso la secondaria ipersodiemia (Fig. 10).
Si ritiene inappropriata la secrezione di ADH, quando è una forma autonoma, automantenentesi.
La forma disregolata è, ovviamente, più frequente
rispetto a quella inappropriata.
La terapia si basa essenzialmente sulla restrizione
dell’acqua che non è sempre facile da ottenere ma
indispensabile per dominare la situazione. Se si riesce
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Da Vulterini, modificata
Figura 19
TABELLA 6
Cause di inappropriata secrezione di ADH
(SIADH)
- Neoplasie maligne
a) Carcinoma bronchiale, pancreatico,
uretrale, prostatico, vescicale.
b) Linfoma e leucemia
c) Timoma e mesotelioma
- Disordini del SNC
a) Traumi
b) Infezioni
c) Tumori
d) Porfiria
- Disordini polmonari
a) TBC
b) Polmonite
c) Ventilatori a pressione positiva
- Molti farmaci inducono secrezione di ADH
- Decorso post-operatorio
a ridurre l’ingestione di acqua, non aumenta la volemia e non viene inibito il SRA-Aldosterone, per cui
l’ADH anche in eccesso non avrà effetti sulla sodiemia.
Se questa risoluzione terapeutica si rivela inefficace
a dominare la situazione, conviene associare una terapia con Furosemide da sola o combinata con soluzione salina iso- o ipertonica. In questo caso, però,
bisogna badare a reintegrare il sodio e il potassio
persi quotidianamente con la diuresi.
In alternativa al precedente schema, specie nelle forme
croniche, si può utilizzare una terapia con Demeclociclina oppure con Litio.
Queste sostanze agiscono con un meccanismo non
ancora ben chiaro, ma pare che inibiscano direttamente l’azione dell’ADH sui dotti collettori.
La terapia con Demeclociclina (300-600 mg/die, divisa in due somministrazioni) è meglio tollerata del
Litio, ma bisogna ugualmente fare attenzione all’epato- e nefro-tossicità di questo farmaco.
31
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Figura 20
Sono in avanzata fase di sperimentazione altri antagonisti recettoriali dell’ADH (selective oral V2 receptor antagonist) con caratteristiche di efficacia e tollerabilità promettenti38-41.
In ogni caso bisogna associare la restrizione dell’assunzione dell’acqua giornaliera (500-700 ml nelle 24
ore).
Nonostante la iposodiemia relativa, se i valori sono
superiori a 125 mEq/litro, quindi di tranquillità, può
essere utile associare anche una riduzione dell’assunzione alimentare di sodio.
Questa manovra terapeutica, che a prima vista, può
apparire irrazionale, serve a fare in modo che il paziente non sia spinto a bere da un’alimentazione salata
o troppo salata.
3) Iponatriemia da eccesso di sodio ma con
maggiore eccesso di acqua
Questa condizione clinica rappresenta la terza eventualità patogenetica (Fig. 13) e, in questi casi, il volume extracellulare è aumentato ed i pazienti sono chiaramente edematosi.
La iposodiemia è dovuta solamente ad un sovraccarico di acqua perché il sodio, in effetti, non è dimi-
32
nuito ma anzi è aumentato. Sicuramente c’è un aumento del pool totale del sodio con maggiore accumulo
di acqua rispetto al sodio e conseguente aumento
del LEC (Fig. 20).
Le cause possibili sono indicate nella Fig. 21 e sono
distinguibili fra di loro in base alla volemia efficace
(ridotta o aumentata) e in base alla sodiuria.
Nelle sindromi croniche, quali la cirrosi epatica, la
sindrome nefrosica e lo scompenso cardiaco congestizio, il volume efficace circolante è ridotto, per cui
si ha l’attivazione del S.R.A.-Aldosterone con ritenzione di sodio e di acqua, oltre all’aumento dell’ormone anti-diuretico e della sete (Fig. 10).
Il volume di acqua trattenuto sotto forma di ascite e
di edema, sequestrato nel distretto splancnico e nelle
parti declivi (arti inferiori, regioni sacrali ecc.) non
risulta utile per precaricare il cuore, né aumenta il
volume efficace, ma, in definitiva, aumenta la ritenzione idrica e la conseguente diluizione del sodio
(iponatriemia da diluizione).
In questi casi l’eliminazione urinaria del sodio può
essere bassa (< 10 mEq/litro).
Nel cirrotico ascitico scompensato la eliminazione di
ioni sodio è quasi sempre ridotta al di sotto dei 10
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mEq al giorno, che sommati ai 20-25 mEq eliminati
per via extra-renale (sudore, feci, ecc.) portano ad
un valore totale di 30-35.
Considerato che con la normale dieta si introducono
130-260 mEq di sodio al giorno, il bilancio è sicuramente sfavorevole con ritenzione sodica.
Si impone, quindi, la restrizione sodica e una corrispondente restrizione idrica.
In ogni forma clinica, ovviamente prima della restrizione idrica, è importante sempre non trascurare la
terapia dell’affezione primitiva.Come pure è importante il riposo più o meno completo a letto, preferibilmente con gli arti leggermente sollevati rispetto
al livello del cuscino.
Questo accorgimento riesce ad ottenere la mobilizzazione dei liquidi accumulatisi (ed eventualmente
“incarcerati”) nei tessuti molli sottocutanei, oltre al
vantaggio che la perfusione renale migliora, rendendo più efficace la terapia diuretica.
L’apporto di liquidi va ridotto a 500, max 750 ml/die,
perché l’assunzione non controllata di liquidi determina una progressiva diluizione plasmatica di sodio
(al di sotto di 125-130 mEq/litro) con rischio di encefalopatia.
La restrizione idrica si impone, in modo assoluto, quando la sodiemia comincia ad avvicinarsi ai 130 mEq/litro,
tanto più se il paziente osserva la dieta priva o povera di sodio.
Da Vulterini, modificata
Figura 21
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Tale comportamento è rischioso se il soggetto non
effettua una concomitante restrizione di liquidi e
contemporaneamente fa uso di diuretici saluretici che
provocano un’escrezione considerevole di sodio e
acqua. Se il paziente, infatti, reintroduce con l’alimentazione solo il solvente perduto, cioè l’acqua, e
non i soluti (il sodio), sicuramente produrrà una
progressiva grave iponatriemia.Se la sodiemia è inferiore a 130, bisogna ridurre l’introito idrico e sospendere i saluretici.
Nel cirrotico, anche ascitico, ma in assenza di edemi
periferici, si deve essere prudenti con la terapia
diuretica e mai indurre una perdita di peso superiore ad 1 kg/die.
In ogni caso la terapia diuretica va sospesa o ridotta
se ci sono brusche variazioni di peso, se la diuresi è
superiore ai 2 litri/die, se mancano gli edemi declivi
e se il calo di peso è superiore al kg o se compaiono
turbe del comportamento
La presenza di edemi periferici (arti inferiori e sacrali) dà, per così dire, un effetto protettivo nel mantenimento del volume circolante e, quindi, ai fini della
terapia diuretica nel paziente ascitico, è molto utile
distinguere i pazienti con gli edemi da quelli senza
edemi.
In ogni caso il monitoraggio del peso corporeo è il
miglior sistema per il controllo clinico degli edemi,
della disidratazione, del sodio totale e della sodiemia. L’aumento o la diminuzione, in breve lasso di
tempo, può dipendere solo dalla quantità di acqua.
Un calo del 10% del peso corporeo corrisponde alla
perdita del 50% del LEC, considerato che esso rappresenta il 20% del peso corporeo totale.
In questo tipo di pazienti, la terapia dell’iponatriemia, dunque, consiste essenzialmente:
- nella restrizione idrica che spesso è efficace, proprio perché ci troviamo di fronte a patologie croniche;
- nel ridurre il contenuto corporeo totale di sodio
mediante una restrizione sodica, basata non su schemi standardizzati (ad es. 40 mEq nelle 24 ore) ma
in rapporto alla sodiuria (l’apporto sodico non deve
superare la massima capacità di eliminazione,
quindi, talvolta, anche meno di 20-30 mEq);
- nell’uso di diuretici: quelli dell’ansa sono preferiti perché più efficaci, essenzialmente perché inducono una diuresi con una osmolalità che è la metà
di quella di una soluzione fisiologica, cioè le urine
34
sono più diluite per la presenza di un’elevata frazione di acqua libera, rispetto al sodio (lo stesso effetto utile, nel correggere l’iponatremia, che viene
svolto dalle perdite idriche del sudore e del tratto respiratorio, le quali, in pratica, sono perdite
ipotoniche).
La somministrazione di soluzione fisiologica, invece,
crea solamente un’ulteriore espansione del LEC e un
peggioramento delle condizioni cliniche.
Nell’insufficienza renale acuta o cronica la volemia
efficace è normalmente aumentata e la presenza di
oliguria determina ritenzione idrica e ipervolemia.
In questi casi il sodio urinario non è basso e può essere anche aumentato (sodiuria >20 mEq/litro) perché
il rene ha perso il potere di riassorbire elettroliti.
Anche in questi casi è preminente la restrizione idrica, associata o meno ai saluretici dell’ansa oppure,
ovviamente, alle tecniche dialitiche.
CONCLUSIONI
Il problema dell’iponatriemia è veramente complesso e merita più attenzione di quanta gliene dedichiamo comunemente, perché può finanche compromettere la vita delle persone che si affidano alle nostre
cure.
Essa può dipendere da una reale carenza di sodio,
ma molto spesso può essere solamente un disordine
dell’acqua e non uno squilibrio del sodio. In questi
casi è disastroso interpretare l’iposodiemia come un
deficit del sale e somministrare altro sodio che farà
espandere ulteriormente il LEC.
La caratterizzazione della singola iponatriemia non
sempre è agevole, ma la conoscenza dei possibili meccanismi patogenetici ci consente di districarci con padronanza, se abbiamo acquisito bene i fondamentali
diagnostici differenziali.
Le alterazioni della sodiemia e dell’osmolalità sono
quasi sempre disturbi del bilancio idrico, mentre le
alterazioni della volemia sono, in realtà, disturbi del
bilancio degli ioni Na+.
Le domande da porsi al riguardo non sono molte e
le risposte non sono difficili da ottenere (in questa
relazione abbiamo tentato, nel nostro piccolo, di sintetizzarle). In molti casi, forse, la vera difficoltà è nella
terapia, anche se si è fatta una diagnosi esatta.
Ai fini terapeutici è molto importante dirimere se la
forma è acuta o cronica (intesa come forma clinica
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ad adattamenti cellulari già avvenuti) e se il paziente è sintomatico lieve (nausea, vomito, cefalea) o
sintomatico in fase critica (turbe del sensorio, convulsioni)
L’iponatriemia sintomatica (lieve o critica) deve, in
ogni caso, essere considerata una condizione di
urgenza medica, anche se non si insisterà mai abbastanza sulla cautela nella correzione “troppo rapida” o al di sopra dei limiti ripetuti più volte.
Certo,ancora oggi,non abbiamo studi con casistiche
numerose, per sapere, dopo quanto tempo, la mancata correzione dell’iponatriemia produce danni cerebrali irreparabili.Si può sbagliare, infatti, sia nell’essere troppo interventisti che nell’essere troppo
attendisti.
Ogni singolo caso è un piccolo esperimento, dove
vengono messe a dura prova le nostre capacità
taumaturgiche, ma, come dice Berl53: “Damned if we
do and damned if we don’t” (possiamo essere dannati se lo facciamo e dannati se non lo facciamo) e come
dice Laureno47: “può essere impossibile definire un
livello di correzione che sia sempre completamente
libero da rischi”.
In ogni paziente bisogna trovare la giusta interpretazione tra l’imminente rischio della ipotonicità e il
potenziale rischio della ipertonicità e mai, come nelle
iponatriemie, è chiaro il concetto che ogni singolo
paziente è “unico, irripetibile, in divenire”,
cosicché, poche volte come in questi casi, si esalta il
valore ed il piacere della Medicina Interna.
Anche se spesso i profani non se ne accorgono e “vivono tranquilli”, perché il bello della “non conoscenza” dei problemi sta proprio in questo, che molti ritengono che i pazienti muoiano“per cause imprecisate”
e non per squilibri idro-elettrolitici e acido-base. La
conoscenza di queste problematiche, infatti, è tipica della cultura internistica e può dare grandi soddisfazioni, salvando la vita a persone diversamente
condannate.
E non importa che poi “nessuno se ne accorga”, perché
in fondo si è lavorato solo modificando le dosi e i
tempi di infusione, cose che in genere non fanno scalpore, ma esprimono,per chi è competente,la sintesi
dell’esperienza, della cultura, della prudenza e, quindi, della razionalità.
Una frase che ci aveva colpiti in gioventù, era: “La
migliore cura per qualunque cosa è l’acqua salata:
sudore, lacrime e il mare” (Karen Blixen).
L’esperienza medica ce la conferma anche in età avanzata, ma con qualche eccezione. In particolare abbiamo imparato che nei cirrotici, nei nefrosici, negli scompensati, nelle insufficienze renali bisogna stare
attenti con i “lavaggi” con soluzione fisiologica. Infatti, già, nel 1981 ci aveva colpito una bella segnalazione: “You can’t be casual… even with normal saline” (“Tu non puoi essere casuale… neppure con la
salina normale”)52.
Ma, ancora una volta, scopriamo, con grande piacere, che la cultura anglosassone non ha nulla da insegnarci in termini di stringatezza ed essenzialità,
contrariamente a quanto superficialmente viene
affermato circa la cultura italiana (o peggio ancora
meridionale) a torto definita prolissa o parolaia.
Cultura italiana: “chi va piano va sano e va lontano”.
Cultura manzoniana: “Adelante Pedro, con juicio”.
Saggezza napoletana: “Cucchié, vaco ’e press’, perciò
portame chiano-chiano” (“Cocchiere, vado di fretta,
perciò portami piano-piano”).
Ma i nostri antenati latini, infine, come sempre, superavano e superano tutti per la loro capacità di sintesi e di essenzialità: cum grano salis e/o festina lente,
cosa che, in genere, viene già fatta, con discrezione,
secondo lo “stile internistico”.
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Le iponatremie: problemi diagnostici e terapeutici, semplici e