Silvio Danese
Responsabile del Centro per la Ricerca e la Cura delle Malattie Infiammatorie Croniche
Intestinali, IRCCS Istituto Humanitas di Rozzano, Milano
Diagnosi precoce, farmaci biologici e nuovi schemi terapeutici:
scacco alle MICI in tre mosse
Cosa sono le MICI, le Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali? Come si presentano e quali
sono tutti i possibili sintomi che le caratterizzano?
Le MICI sono malattie infiammatorie idiopatiche, cioè di origine sconosciuta, ad andamento cronico,
che interessano l’intestino, e si suddividono in due tipologie: Malattia di Crohn e Rettocolite Ulcerosa.
La Malattia di Crohn comporta ulcerazioni della mucosa intestinale e può interessare tutti i segmenti
intestinali, anche se si localizza prevalentemente a livello ileo-colico. La Rettocolite Ulcerosa colpisce
le mucose del colon e/o del retto.
In generale, i sintomi più frequenti sono rappresentati da diarrea, spesso sanguinolenta, dolore
addominale e dimagrimento. Possono essere presenti anche stati infiammatori che riguardano anche
altri distretti, come fegato, occhi ed epidermide. Una MICI può manifestarsi anche con sintomi
correlabili alle complicanze: le più frequenti sono le fistole e le stenosi dei tratti intestinali, derivanti sia
dall’infiammazione che riduce il calibro intestinale, sia dalla sua guarigione, che determina cicatrici.
In genere, considerata la natura dei sintomi, subentra nel paziente un senso di pudore a parlarne e ad
ammettere la forte alterazione della Qualità della Vita che deriva dal loro manifestarsi, condizionando la
possibilità di pervenire a una diagnosi precoce.
Quante sono le persone affette da MICI in Italia e nel mondo e, soprattutto, quanti sono i
giovani? Rispetto alla prima diagnosi di Malattia di Crohn formulata nel 1932, qual è stata la
curva d’incidenza di queste patologie?
Le malattie infiammatorie croniche intestinali colpiscono, con la stessa frequenza nei due sessi, più di 4
milioni di persone nel mondo, e circa 200.000 solo in Italia. Presentano due picchi d’incidenza: un
primo picco variabile, dai 15 ai 45 anni e un secondo, in età tardiva. Un dato preoccupante è che negli
ultimi anni le MICI hanno anticipato la loro comparsa e stanno esplodendo anche in età pediatrica:
alcuni studi recenti mostrano che la loro incidenza è almeno dieci volte più elevata nella popolazione
pediatrica rispetto a quella adulta. Al contrario delle malattie infettive che sono andate via via
riducendosi, quelle autoimmuni sono aumentate in maniera esponenziale: negli ultimi dieci anni la
diagnosi di nuovi casi e il numero di ammalati sono aumentati di circa venti volte. Ciò è particolarmente
vero per la Malattia di Crohn, che, rispetto, ad esempio, a Sclerosi Multipla o a Diabete di tipo 1, sta
aumentando molto più velocemente.
Quali sono le ipotesi più accreditate per spiegare l’origine delle MICI? Possono essere coinvolti
gli stili di vita?
Le cause non sono ancora note, ma queste malattie autoimmuni presentano un substrato genetico
complicato e sono determinate da numerosi fattori che interagiscono tra loro. Una delle ipotesi fa
riferimento alla cosiddetta “teoria dell’igiene”, secondo la quale il nostro sistema immunitario, per via di
pratiche igieniche eccessive, non essendo più costretto a cimentarsi con le infezioni cui è stato esposto
per millenni, si rivolgerebbe verso tessuti o organi propri. Di sicuro c’è una componente genetica molto
forte nella Malattia di Crohn, che però non deve essere considerata una malattia genetica “classica”,
ma piuttosto una patologia “familiare”: ciò vuol dire che non c’è ereditarietà, ma se c’è un membro della
famiglia che ne è affetto, il rischio per il soggetto è più alto. Infine, non sono da trascurare i fattori
ambientali, come dimostrerebbero gli studi di popolazione: in alcune gruppi umani le MICI sono quasi
sconosciute, mentre nel Nord del mondo sono molto più frequenti.
Per controllare e contrastare gli effetti devastanti della malattia, la diagnosi precoce è uno
strumento fondamentale: quali sono gli esami che è consigliabile eseguire per arrivare a una
certezza diagnostica?
La diagnosi precoce è uno strumento di estrema importanza per la futura Qualità di Vita del paziente:
se la diagnosi è prodotta tempestivamente, all’insorgenza dei sintomi, si riesce ad essere molto veloci
nella terapia e ciò consente di evitare che s’instaurino delle complicanze che diventano irreversibili.
Gli esami strumentali che permettono una corretta diagnosi delle MICI sono: la colonscopia,
accompagnata dall’esame istologico, che definisce il quadro anatomo-patologico delle biopsie
intestinali; l'ecografia addominale e dell'intestino con radiografia del tenue, la tac enteroclisi o la
risonanza magnetica addominale. A questi accertamenti si aggiungono gli esami ematici (emocromo e
indici d’infiammazione) e un'attenta valutazione della storia clinica del paziente.
Quali sono le opzioni terapeutiche a disposizione dei medici?
Il panorama dei trattamenti farmacologici delle MICI è radicalmente cambiato circa 10 anni fa, con
l’avvento delle terapie biologiche come infliximab. Fino ad allora venivano utilizzati farmaci come
steroidi e immunosoppressori, che possono trattare la sintomatologia, ma non sono in grado di
modificare la storia naturale della malattia. Inoltre, i loro effetti collaterali implicano pesanti ripercussioni
sulla Qualità della Vita del paziente; al contrario, infliximab non tratta solo il sintomo ma agisce sul
progredire della malattia stessa e presenta un quadro di sicurezza ormai comprovato. Considerato che
queste malattie sono di tipo progressivo, producono danni nell’intestino che via via si sommano e
provocano anche importanti complicanze correlate, è evidente quanto sia importante fermare la
‘biologia’ della malattia e non solo limitarsi alla cura dei sintomi.
Come è cambiata la strategia di approccio con l’avvento dei farmaci biologici?
In passato, si seguiva il cosiddetto “approccio a gradini”, o step up, tuttora utilizzato in alcuni casi:
farmaci più leggeri all’inizio e poi, man mano che la malattia diventava più importante, altri farmaci in
maniera sequenziale. Il farmaco d’esordio era la mesalazina; in seguito, se non funzionava, s’inseriva il
cortisone: se anche questo farmaco si rivelava inefficace, si utilizzava un immunosoppressore come la
azatioprina. Finalmente, dieci anni fa, si è cominciato a utilizzare i farmaci biologici, gli anti-TNF, che si
somministravano solo dopo che antinfiammatori, steroidi e immunosoppressori fallivano. E se dopo
aver percorso questa scala il paziente continuava ad avere problemi, si rinviava al chirurgo.
Oggi invece l’orientamento è quello di usare il prima possibile i farmaci più efficaci?
Ora la prospettiva è radicalmente cambiata e si procede attraverso il cosiddetto “step up accelerato”:
innanzitutto si cerca di fare diagnosi molto precoci e si evita di utilizzare farmaci che non cambiano la
storia naturale della malattia, che non riducono cioè complicanze, ospedalizzazioni, interventi
chirurgici. L’immunosoppressore è infatti somministrato subito e, nei casi che lo consentono, infliximab
è utilizzato in prima battuta, onde evitare l’insorgenza delle complicanze. Questo farmaco biologico si è
dimostrato particolarmente efficace nel trattamento di alcune forme poco responsive alla terapia
tradizionale e di forme gravate da complicanze, quali, in particolar modo, la presenza di fistole.
L’avvento di infliximab ha messo in luce tutti i limiti delle terapie convenzionali: quali sono e
cosa comportano per il paziente?
Molto spesso gli steroidi venivano utilizzati per lunghi periodi, e per più cicli, se si somministravano
immunosoppressori non efficaci. Questo comportava una serie di effetti collaterali importanti, come
diabete, cataratta, glaucoma, osteoporosi e osteonecrosi, nei casi più eclatanti. Il risultato era che
l’infiammazione persisteva, il danno organico complicava la malattia e si rendeva necessario
l’intervento chirurgico.
Quali sono invece i benefici di infliximab e quale è lo schema terapeutico ottimale?
Infliximab riesce a bloccare la malattia e stabilizzarla, permettendo non solo di intervenire sui
sintomi, ma anche di ottenere la remissione libera da steroidi, e la guarigione mucosale. Ciò vuol dire
che infliximab interviene sulla progressione della malattia, con conseguente riduzione di
ospedalizzazioni e ricorso alla Chirurgia e un impatto positivo sulla Qualità di Vita dei pazienti.
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Lo schema terapeutico ideale prevede una diagnosi precoce, cui segue la somministrazione degli
steroidi per “spegnere” l’infiammazione, e quando essa si riacutizza, l’uso combinato di biologici e
immunosoppressori: ciò consente di evitare l’infiammazione nei primi stadi, in modo che essa non si
perpetui.
I risultati di infliximab sono stati così rilevanti da determinare la revisione delle Linee Guida
europee: quali sono i traguardi raggiunti da questo farmaco in termini di efficacia e sicurezza,
comparati alle strategie terapeutiche precedenti?
In termini di sicurezza, la somministrazione di infliximab non comporta alcun problema:
paradossalmente, come abbiamo appreso grazie a grandi registri di popolazione di pazienti che hanno
ricevuto gli anti-TNF, gli steroidi e gli immunosoppressori sono molto più nocivi rispetto ai biologici.
In termini d’efficacia, gli studi di paragone confermano che infliximab risulta essere il 30-40% più
efficace rispetto agli immunosoppressori. Questa efficacia è ulteriormente potenziata se il biologico e
l’immunosoppressore sono utilizzati insieme: questo trattamento congiunto rappresenta infatti lo
standard of care.
Quanto è importante la ricerca clinica per i pazienti affetti da MICI?
Fino a dieci anni fa le cure per queste malattie invalidanti erano poche, e i pazienti andavano incontro a
ripetuti interventi chirurgici. Oggi invece l’avvento dei farmaci biologici e la loro combinazione con altri
farmaci diversi permette di tenere sotto controllo l’infiammazione: tutto questo grazie alla ricerca, che
negli ultimi anni ha compiuto progressi eclatanti e ha aperto la strada a prospettive terapeutiche
innovative.
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Marco Greco
Presidente della EFCCA - European Federation of Crohn's and Ulcerative Colitis Associations,
Bruxelles
Guardando indietro (con rabbia): la mia storia di paziente,
dalla diagnosi all’accettazione della malattia
Le MICI sono patologie croniche e complesse che colpiscono persone in giovanissima età: è
stato lo “scandalo” di questa drammatica condizione il motivo per scrivere Il fuoco dentro?
L’idea de Il fuoco dentro nasce da un dialogo con il dottor Danese, nell’ambito del quale abbiamo
iniziato a riflettere sulla differenza di percezione che spesso esiste tra medico e paziente, in termini di
priorità e d’impatto sociale della malattia: ci sono aspetti che un medico non vede, così come c’è un
aspetto del lavoro del medico e del ricercatore che il paziente non percepisce. L’idea era quindi cercare
un punto d’incontro e sfruttare questa convergenza per raccontarci quello che l’altra parte normalmente
non sa. Da questa esigenza di confronto e di maggiore comprensione nasce il libro.
L’aspetto comunicativo ha dunque un ruolo importante sulla condizione del paziente e nella
dinamica di queste malattie?
Assolutamente si: quella che io chiamo “la discussione al bar” con il dottor Danese è nata proprio dai
risultati di alcune ricerche, secondo i quali i pazienti denunciavano una certa fatica a comunicare con il
medico, soprattutto perché le MICI sono patologie che comportano sintomatologie e problemi delicati,
che coinvolgono ambiti molto intimi, personali. Ciò crea una serie di difficoltà che finiscono per riflettersi
sulla vita di tutti i giorni. Il disagio e la difficoltà da parte del paziente a esplicitare i sintomi e i problemi
che la patologia comporta sono aspetti critici della comunicazione, così come l’incapacità di alcuni
medici d’informare con sensibilità e delicatezza sugli esiti della patologia in termini di prospettive di vita.
Può raccontarci quali sono stati gli aspetti più salienti della sua personale storia di convivenza
con una MICI?
Innanzitutto un enorme ritardo della diagnosi: ho cominciato a soffrire dei sintomi della Malattia di
Crohn a 16 anni, ma solo a 19 ho ricevuto la diagnosi. Questo ritardo, che mi ha portato via tre anni di
vita, da un lato ha acuito una serie di problemi medici, dall’altro ha dato origine a una reazione di
rabbia e di scontento che mi ha portato a entrare nell’Associazione. Rispetto ad altri pazienti mi
considero molto fortunato, perché in occasione dell’ultimo ricovero, prima di ricevere la diagnosi, mi
avevano prospettato un tumore: quando mi è stata diagnosticata una patologia cronica, ma non
mortale, l’ho dunque considerata un male minore. Poi ho realizzato che avrei potuto sopravvivere ma
con una malattia che mi avrebbe accompagnato per tutta la vita.
La cronicità è un aspetto cruciale: una delle difficoltà maggiori è venire a patti con questa condizione,
perché molto spesso la strategia terapeutica che al momento funziona, sul medio e lungo termine
potrebbe rivelarsi non più efficace. Di conseguenza, nelle sue diverse fasi il paziente deve confrontarsi
con aspetti diversi della malattia: è chiaro che il mio livello di accettazione e le mie priorità di quando
avevo 19 anni non erano gli stessi di quando ne avevo 25 o 30.
Rispetto a quando lei si è ammalato, che cosa è cambiato nella gestione della patologia?
Tantissimo e in meglio. Il livello qualitativo di diagnosi e terapia non è paragonabile a quello di venti
anni fa. Innanzitutto l’introduzione di una classe farmacologica nuova, quella dei farmaci biologici, che
ha migliorato in maniera decisiva la Qualità di Vita del paziente e la gestione complessiva della
patologia; la stessa evoluzione della Chirurgia e delle terapie di supporto, per non parlare delle nuove
tecniche diagnostiche, come ad esempio la risonanza magnetica, in grado spesso di evitare esami
routinari molto più invasivi. Va infine considerata la maggiore attenzione non solo da parte dei medici, e
in particolare dei medici di Medicina Generale, e delle strutture sanitarie: ora nei Centri più importanti
c’è un ambulatorio specifico, un canale preferenziale per le infusioni, cose che venti anni fa erano
impensabili. L’unica cosa che non è in linea con questo sviluppo è l’attività normativa da parte del
legislatore sanitario, che da dieci anni sembra essersi dimenticato di noi.
A dieci anni dalla loro introduzione nel trattamento delle MICI, può spiegarci cosa hanno
significato per lei i farmaci biologici rispetto alla qualità della sua vita quotidiana?
Mi hanno permesso di svincolarmi dalle terapie steroidee, con tutti gli effetti collaterali che
comportavano: ero abituato purtroppo a un voluminoso corredo di pillole e pastiglie da portarmi dietro,
che creava non pochi disagi nelle occasioni di socialità, e a molti cicli di cortisone, con complicanze
fisiche gravi e profonde alterazioni dello stato d’animo. Passare a una terapia somministrata
periodicamente, una volta al mese e in alcuni casi ogni due mesi, che fornisce un ottimo livello di
controllo e mantenimento di malattia ma che soprattutto consente di riacquisire una Qualità di Vita che
non era pensabile per le MICI, è stata una vera e propria rivoluzione.
Del resto, la terapia biologica ha rappresentato un momento di speranza e una svolta determinante
nella gestione di queste patologie. Si veniva da una fase di stagnazione, con terapie che erano state
sviluppate negli anni ’70 e ’80, che non riuscivano a risolvere i problemi del paziente e avevano un alto
costo in termini di effetti collaterali: l’avvento del farmaco biologico ha costituito un’accelerazione
notevole, un vero e proprio salto evolutivo.
Quali sono le principali difficoltà che un paziente tuttora incontra e quali le soluzioni adottabili?
Il meccanismo per il riconoscimento dello status di ammalati di MICI è oggi piuttosto semplice e lineare.
In realtà il problema è cosa comporta questo riconoscimento: in concreto ben pochi vantaggi pratici,
anche sotto il profilo della gestione del costo, che grava ancora troppo sulle tasche del paziente. Buona
parte degli esami strumentali, specie quelli di ultima generazione, non sono riconosciuti in esenzione,
su alcune tipologie di farmaco il meccanismo del generico ha creato una serie di cortocircuiti nel
sistema, per cui spesso si deve pagare una differenza e sono pendenti numerosi ricorsi. Ma il punto
nodale è costituito dai parametri entro i quali il paziente di MICI può accedere alla tutela della disabilità,
che sono stati disegnati secondo criteri di conoscenza della malattia obsoleti. Lo stesso meccanismo
dell’invalidità, in malattie ad andamento sinusoidale come le MICI, ci fa pensare che la soluzione sia
una disciplina ad hoc, un meccanismo previdenziale elastico, ma il numero dei pazienti non è tale da
giustificare l’intervento del legislatore.
E in ambito lavorativo?
Una recente indagine realizzata da EFFCA ha dimostrato che un’altissima percentuale di pazienti
ritiene di non avere ricevuto avanzamenti di carriera e di essere stata discriminata sul lavoro: ha, cioè,
la netta percezione che la malattia abbia influito negativamente sulle possibilità di crescita
professionale. Purtroppo il concetto di disabilità da malattia autoimmune è ancora pressoché
sconosciuto. Ciò non significa che ogni paziente, solo per aver ricevuto la diagnosi, debba accedere
automaticamente alla categoria protetta; devono però essere adeguatamente considerate le situazioni
di particolare gravità in cui la protezione è essenziale, per non buttar via professionalità importanti, che
con un aiuto, anche minimo – penso ad esempio al telelavoro, un aspetto poco conosciuto della riforma
Biagi – potrebbero invece essere recuperate.
Come procede la battaglia per il Registro nazionale delle MICI e perché è importante realizzarlo?
Lentamente ma inesorabilmente. Il Registro è un passo importante per creare una banca dati di tutte le
informazioni sulla storia clinica e sulle terapie che consente di monitorare la situazione e soprattutto
incrociare i dati.
Un registro delle MICI offrirebbe da un lato dati reali e concreti sulla diffusione di queste patologie e
dall’altro informazioni importanti sulla loro evoluzione, costituendo uno strumento importante nelle mani
dei Ricercatori. Per ora esiste solo un progetto pilota in Toscana, che, grazie a un positivo “effetto
domino”, spero possa estendersi alle altre Regioni italiane. In Europa, l’unico Stato a possederne uno è
la Finlandia.
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Domenico Mavilio
Responsabile Laboratorio di Immunologia Clinica e Sperimentale,
IRCCS Istituto Humanitas di Rozzano, Milano
La genesi delle patologie autoimmuni:
una questione ancora aperta
Le MICI chiamano direttamente in causa il sistema immunitario, una parte del nostro organismo
il cui funzionamento è in parte ancora misterioso: può spiegarci in che cosa consiste, come
funziona e a cosa serve?
Il sistema immunitario è una complessa rete integrata di cellule e molecole, presente in tutto
l’organismo. Assolve alla funzione di difendere il nostro corpo da qualsiasi agente chimico, traumatico
o infettivo che mina la sua integrità, con la finalità di ripararlo. I suoi organi primari sono il midollo osseo
e il timo. I globuli bianchi prodotti all’interno del midollo osseo danno origine a una molteplicità di cellule
immunitarie differenti: tra le tante vi sono le cellule polimorfonucleate (tra cui i granulociti neutrofili,
eosinofili e basofili, i monociti (che diventano macrofagi una volta migrati dal sangue nei vari organi e
tessuti), i linfociti (divisi nelle sottoclassi di linfociti T, B e Natural Killer o NK) e le cellule dendritiche
(CD). In generale i polimorfonucleati e i monociti/macrofagi, una volta definiti anche fagociti,
costituiscono una parte della cosidetta “immunità innata”, una barriera che, in modo aspecifico e senza
che si instauri una memoria immunologica, interviene nella lotta contro i patogeni sin dalle prime fasi
del processo infiammatorio.
Al contrario, altre cellule come i linfociti T e B appartengono al sistema immunitario "adattativo" che,
oltre ad intervenire successivamente alla risposta immunitaria innata, è in grado di creare e conservare
una memoria immunologica specifica verso questo o quel patogeno o cellula neoplastica.
Che ruolo svolgono le cellule Natural Killer e le cellule dendritiche?
I processi del sistema immunitario sono estremamente complessi e vedono l'intervento di molti altri
attori come le cellule NK e le CD, che sono effettori dell'immunità innata indispensabili anche per lo
sviluppo di una memoria immunologica. La loro mediazione risulta infatti fondamentale, poichè le
cellule NK e le CD, oltre ad essere direttamente coinvolte nella risposta immunitaria aspecifica e
immediata contro patogeni e tumori, rappresentano l'anello di congiunzione che, a partire dalle risposte
immunitarie aspecifiche, permette il corretto sviluppo di risposte immunitarie specifiche sia di tipo
cellulare (linfociti T) sia di tipo umorale/anticorpale (linfociti B).
Cosa succede al nostro sistema immunitario quando insorge una patologia autoimmune?
Si perde quella che in medicina viene definita "tolleranza immunologica", cioè l'incapacità del sistema
immunitario di rispondere a molecole che chiamiamo antigeni. In generale, il sistema immunitario
«tollera» le molecole cosidette proprie o autologhe (self), cioè le molecole espresse dalle nostre stesse
cellule in qualsiasi distretto e organo del nostro corpo. In questo modo si evitano attacchi suicidi contro
il nostro stesso organismo.
Quando il sistema immunitario reagisce in modo improprio nei confronti di antigeni propri o self, può
verificarsi invece un danno tessutale, riconosciuto fin dall'inizio del secolo con il termine suggestivo di
horror autoxicus, successivamente modificato in quello ancora attualmente in uso di "autoimmunità".
Succede in pratica che si ha una risposta immunitaria di tipo auto-reattivo: al posto di sconfiggere i
nostri “nemici non-self” (virus, batteri, parassiti, neoplasie, etc.), il sistema immunitario produce cloni di
cellule auto-reattive che reagiscono contro i nostri distretti corporei, come peritoneo, cuore, pancreas,
articolazioni, tiroide, etc. Ad esempio, il selezionarsi di cloni linfocitari autoreattivi di tipo B comporta la
produzione dei cosidetti autoanticorpi, che sono routinariamente usati nella pratica clinica.
Alcuni di questi anticorpi sono francamente dannosi verso differenti organi-bersaglio, altri sono
epifenomeni della malattia utili comunque dal punto di vista diagnostico. Nella classificazione delle
malattie autoimmunitarie, ci sono patologie cosidette sistemiche, che colpiscono cioè più organi nello
stesso paziente (come il Lupus Eritematoso sistemico), e altre organo-specifiche, che agiscono
selettivamente su un solo distretto, come la Malattia di Hashimoto, che colpisce la tiroide, o il Diabete
di tipo 1, che attacca il pancreas).
Anche le MICI rientrano in questa dinamica?
La patogenesi delle MICI non è ancora del tutto chiara: sono patologie in cui sicuramente la
componente infiammatoria è quella che crea problemi maggiori ed è alla base degli aspetti sia
sintomatici sia nosologici diversi tra loro nelle varie manifestazioni cliniche. In ogni caso, il
denominatore comune di tutte le MICI è la presenza di un’infiammazione patologica e francamente
aberrante a livello intestinale. Sono, per definizione, malattie infiammatorie croniche ad andamento
capriccioso: nella loro storia naturale è molto arduo predire la loro comparsa, le riacutizzazioni, le
complicanze e le fasi di quiescenza. In generale, l’infiammazione è una risposta necessaria e
fondamentale che si manifesta in seguito a traumi di qualsiasi origine e permette al sistema
immunitario di rispondere e riparare il danno rimuovendo l'insulto infiammatorio. Nelle MICI invece, si
crea una risposta infiammatoria francamente eccessiva che non si riesce più a controllare: una
reazione certamente patologica che crea più danni che benefici. Non siamo ancora in grado di
comprendere il primum movens, la causa prima, ovvero perché in queste patologie i macrofagi e altre
categorie di cellule poco studiate, come le cellule dendritiche, rispondano in modo parossistico.
Negli ultimi anni il rapporto tra malattie infettive e malattie immunitarie è cambiato nei Paesi
occidentalizzati: sono diminuite le prime e aumentate le seconde. Quali possono essere le
ragioni di questa mutazione e in che modo si sono adeguate le terapie?
Sono numerose le ipotesi che cercano di rispondere a questa trasformazione. Una, in particolare,
postula una stretta connessione tra cause infettive, infiammatorie e immunitarie: per molte patologie,
anche oncologiche, si sa ora con certezza che il fattore scatenante, il cosiddetto trigger, è un virus.
Non abbiamo la medesima certezza con le malattie aiutoimmuni o immuno-mediate, ma si sta
indagando un collegamento tra batteri o virus e patogenesi delle MICI.
Vanno comunque considerate anche le abitudini di vita: queste malattie sono decisamente meno
frequenti nei Paesi che chiamiamo “in via di sviluppo”, come la zona Sub-sahariana o il Sud America,
rispetto ai contesti occidentali: norme igieniche e migliori stili di vita hanno diminuito il numero delle
malattie infettive, creando però le condizioni di un aumento di allergie e malattie immunologiche.
Questo fenomeno non ha ancora trovato un razionale e delle dimostrazioni scientifiche accettate da
tutti, anche se ci sono diversi studi sia epidemiologici sia sperimentali che tendono a confermare
quest'ipotesi. In ogni caso, sino a non molto tempo fa esistevano dei veri e propri “santuari
immunologici” (come alcune Isole del Pacifico o a Capo Verde) in cui non esistevano patologie
allergiche prima che si insediassero colonie occidentali e che le nostre abitudini diventassero
prevalenti. Un aneddoto, questo, che certamente fa riflettere su come gli stili di vita e le abitudini
igienico-sanitarie e alimentari possano modificare la storia naturale delle malattie.
È stato recentemente dimostrato che l’uso precoce di un farmaco biologico come infliximab
può portare alla remissione della malattia e alla guarigione completa della mucosa: può
spiegarci il suo meccanismo d’azione?
Le terapie sono notevolmente migliorate negli ultimi 10 anni. In passato, molte di queste malattie erano
sottoposte a un trattamento standard, che partiva dai classici farmaci derivati dall’aspirina, i salicilati,
fino a passare alla terapia con cortisone o farmaci immunosoppressori.
Poi, finalmente, con i biologici, si è aperta una nuova strada, molto più selettiva: infliximab, infatti, va a
bloccare una particolare molecola, il TNF, Tumor Necrosis Factor, una proteina infiammatoria che
viene prodotta da specifici gruppi di cellule durante il decorso delle MICI.
Sicuramente una terapia più selettiva contro le molecole infiammatorie come quella possibile con
infliximab permette di avere un rapporto costo-benefici molto più favorevole per il paziente,
consentendogli di evitare il cortisone e gli immunosoppressori e di andare incontro a effetti collaterali
decisamente ridotti rispetto alle terapie tradizionali.
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Antonino Spinelli
Aiuto Chirurgia Generale III, Dipartimento di Gastroenterologia,
IRCCS Istituto Humanitas di Rozzano, Milano
Terapie biologiche e Chirurgia:
due approcci complementari contro le MICI
Quali sono le indicazioni per cui si ricorre all’approccio chirurgico nella Malattia di Crohn?
Per il suo andamento cronico e recidivante, questa patologia viene trattata in prima istanza con la
terapia farmacologica; si ricorre alla Chirurgia per lo sviluppo di complicanze sintomatiche quali una
stenosi (ostruzione) o una fistola fra l'intestino e altri organi contigui. Inoltre, si può dover ricorrere alla
Chirurgia anche in caso di inefficacia della terapia medica o per effetti collaterali conseguenti all’uso
prolungato di alcuni farmaci.
Tradizionalmente, la tendenza è stata quella di considerare l'intervento chirurgico l'extrema ratio;
tuttavia, questa strategia è attualmente in discussione poichè un intervento chirurgico precoce
permette, in molti casi di malattia localizzata, un rapido ritorno alle condizioni di benessere (remissione
clinica), con rischi minori rispetto all'intervento in fase tardiva, quando ormai la malattia ha provocato
danni maggiori. Le MICI possono infatti comportare delle complicanze di stenosi, ossia di un’ostruzione
dell’intestino causata dall’infiammazione e, talvolta, quando la malattia progredisce ulteriormente,
problemi di fistolizzazione.
Ulteriori indicazioni sono la possibile degenerazione tumorale della malattia, frequente nella
popolazione dei pazienti affetti dalla Malattia di Crohn, e l’interessamento perianale, che comporta
disagi estremamente gravi e stressanti per il paziente. È questa una complicanza estremamente
frequente, che però viene poco riferita al medico e che richiede invece un trattamento chirurgico di
rimozione completa della parte settica; inoltre, tale trattamento si avvale di tecniche che possono
apportare vantaggi notevoli rispetto al passato in termini di risultati terapeutici.
Su quali fattori si basa il chirurgo quando prende la decisione di ricorrere a un intervento nella
Malattia di Crohn e quali le tecniche utilizzate?
La Malattia di Crohn è una patologia sistemica, che può ritornare in qualunque segmento dell’intestino;
inoltre, dopo l’intervento, un’altissima percentuale di pazienti va incontro a una recidiva in prossimità della
sutura chirurgica. L’atto chirurgico deve essere dunque indirizzato alla risoluzione della complicanza,
senza la pretesa di voler guarire la malattia e il suo approccio è improntato alla massima conservatività.
Per i pazienti con ostruzione causata da stenosi ci sono due opzioni di trattamento: la resezione di una
parte d’intestino e la stricturoplastica, un trattamento sicuro ed efficace per pazienti selezionati che
presentano interessamento duodenale: si tratta di un intervento meno demolitivo che permette di
ripristinare il transito intestinale senza resecare. Inoltre, è possibile utilizzare la tecnica mini-invasiva
della laparoscopia sia in molti casi di Malattia di Crohn primitiva sia in alcuni casi di Colite Ulcerosa.
Quale sono le indicazioni chirurgiche nei casi di Colite Ulcerosa?
Per quanto riguarda questa patologia, indicazioni e finalità sono del tutto diverse rispetto alla Malattia di
Crohn. Per definizione, la Colite Ulcerosa colpisce solo il colon e il retto, pertanto un intervento chirurgo
che asporti questi due organi può essere potenzialmente curativo e portare alla guarigione.
Oltre alle indicazioni di emergenza, come occlusioni, sanguinamenti massivi, presenza di megacolon
tossico e perforazioni libere, vi sono indicazioni di urgenza che sono quelle delle Coliti Acute severe,
con esacerbazioni violente di malattia, che richiedono sin dall’inizio un approccio medico e chirurgico
integrato per la gestione ottimale. C'è poi una serie di indicazioni che riguardano le forme di Colite
Ulcerosa che non rispondono o smettono di rispondere ai farmaci e connesse ai rischi di un utilizzo
cronico degli steroidi. Infine, l’intervento è indicato in casi di bambini in cui si determina un ritardo di
crescita a causa della patologia.
Qual è il trattamento chirurgico standard nella Colite Ulcerosa?
L’intervento è estremamente importante e deve essere eseguito in Centri molto specializzati, poiché
comporta una ricostruzione complessa, quella che chiamiamo anastomosi con pouch ileo-anale, con
una gestione post-operatoria anch’essa complessa. È un intervento che ha rivoluzionato da circa 30
anni la terapia perché non si tratta di una stomia, ma di una sutura tra l’ileo e l’ano, che consente al
paziente la continuità intestinale e una funzionalità naturale.
Tra i problemi che si possono determinare con questo intervento, per via della grossa dissezione
pelvica che comporta, può esserci una riduzione di fertilità nelle giovani donne, anche se questo
problema si riduce con l’utilizzo della laparoscopia e delle tecniche mini-invasive.
Quali risultati può aspettarsi dalla Chirurgia un paziente affetto da Colite Ulcerosa?
I risultati sono eccellenti, anche se questo tipo di intervento non può essere proposto in tutti i casi: il
paziente può fare di nuovo una vita completamente normale, senza la malattia, senza farmaci e senza
il rischio di evoluzione tumorale che, nelle Coliti Ulcerose di lunga durata, è un rischio consistente.
Alla luce delle innovazioni apportate dall’infliximab alla terapia farmacologica, com’è cambiato
l’approccio chirurgico nelle MICI?
Attualmente, grazie al successo di un farmaco biologico come infliximab, la tendenza all’indicazione
chirurgica sta radicalmente cambiando: non è più considerata come “ultima spiaggia” nei casi in cui la
malattia ormai ha fatto già tanti danni da lasciare ben poco da fare. Oggi la tempistica dell’indicazione
chirurgica è oggetto di radicale revisione: si ritiene, infatti, più efficace operare quando la patologia si
manifesta con sintomi da complicazione, quali stenosi o fistole. Si procede prima con l’intervento
chirurgico finalizzato a rimuovere la complicanza e poi s’inizia la terapia con infliximab.
È una nuova strategia estremamente promettente, sia perché intervenendo precocemente su una
malattia non complicata i risultati chirurgici sono migliori, sia perché l’intervento in sé è meno
complicato: in pochi giorni il paziente può tornare a casa, senza grandi tagli e con la possibilità di un
recupero molto più rapido.
In questa nuova ottica, l’interdisciplinarietà è un fattore determinante, dal momento che il confronto tra
chirurgo e gastroenterologo consente di utilizzare al meglio tutte le armi a disposizione di entrambi gli
specialisti.
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Elena Vegni
Professore associato di Psicologia Clinica, Facoltà di Medicina,
Università degli Studi di Milano
Ansia, controllo, immagine corporea:
gli aspetti di sofferenza psicologica dei pazienti affetti da MICI
Le MICI colpiscono in modo particolare i giovani tra i 20 e i 35 anni e sempre più spesso
bambini e adolescenti, condannandoli a una dolorosa condizione di cronicità. Implicano dunque
una serie di problematiche di carattere psicologico che non possono essere ignorate: quali
sono gli aspetti che maggiormente affliggono i pazienti e le paure che insorgono a causa dello
stato di malattia?
Innanzitutto una serie di problematiche legate alla gestione dell’ansia e del controllo, che sono
particolarmente invalidanti per il paziente, in quanto comportano una riduzione della sua libertà.
Un altro fattore è legato al timore del giudizio sociale: le MICI sono generalmente poco conosciute
dall’opinione pubblica e, per certi aspetti, sicuramente travisate; inoltre, un secondo fattore molto
importante è che colpiscono dimensioni intime della persona, per cui non sono facilmente comunicabili,
anche perché non danno tracce esteriormente visibili, come ad esempio, la calvizie in una persona
affetta da tumore e che sta seguendo la chemioterapia. Quindi le MICI chiamano in causa, in modo
spesso conflittuale, aspetti di comunicazione sociale e forti esigenze di riservatezza.
Un terzo aspetto, particolarmente significativo, è il tema legato all’identità corporea, in modo particolare
per le persone giovani che vanno incontro a complicanze e a interventi chirurgici, di tipo temporaneo o
permanente, che comportano un adattamento dell’immagine di sé a quella che è vissuta come una
vera e propria “mutilazione”.
Quanto incide una patologia di questo genere sulla capacità di costruire e gestire le relazioni
sociali e affettive?
La presenza costante della patologia costringe i pazienti di MICI a gestire le relazioni sociali con un
grado di allerta maggiore; nella sfera della sessualità, le problematiche connesse all’immagine
corporea e la natura particolarmente delicata delle manifestazioni dei sintomi possono essere molto
invalidanti, creando disagi rilevanti nelle dimensioni intime dell’affettività.
Quali sono i vantaggi di portare avanti un lavoro psicologico insieme al paziente nell’ambito di
un’équipe di cura integrata?
Nelle persone affette da MICI vi è il grosso rischio di risposte psicologiche di carattere non funzionale,
cioè risposte “patologizzate” da parte del paziente, con conseguente disadattamento psicologico.
L’attività di un’équipe integrata consente al paziente di prendere consapevolezza della necessità di un
percorso di cura che preveda un approccio alla patologia non solo biologico ma anche psichico: il fatto
che lo psicologo non sia separato dall’équipe medica evita che venga trasmesso il messaggio “tu non
funzioni, sei matto, per cui devi andare dallo psicologo”. Al contrario, la cura deve essere integrata e
contemplare sia una componente medica sia una psicologica, che si esplica in un percorso psicoeducativo in grado di considerare anche gli aspetti emotivi della gestione della patologia.
I vantaggi possono concretizzarsi in un miglioramento della gestione degli aspetti dell’ansia, con un
conseguente miglioramento della Qualità della Vita.
Per coloro in particolare difficoltà che accedono a un percorso di tipo psicoterapeutico, la possibilità è
quella di conseguire una migliore integrazione dell’immagine di sé.
In che modo l’uso precoce della terapia biologica può fare la differenza nella Qualità della Vita
dei pazienti affetti da MICI?
Al di là degli aspetti di tipo prettamente biomedico, il fatto di poter offrire questo tipo di trattamenti può
essere vissuto come una chance in più in una malattia che comunque è vista dai pazienti con
un’evoluzione sostanzialmente infausta. In qualche modo, dal punto di vista emotivo, allontana lo
spettro dell’intervento chirurgico. Inoltre, i successi della ricerca, come i recenti farmaci biologici,
possono essere considerati un importante messaggio di speranza; ma il paziente deve essere sempre
consapevole del carattere cronico di queste patologie e imparare a sviluppare un senso di accettazione
della sua condizione, in modo che non venga meno l’aderenza alla cura.
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Davide Resnati
Membro del Consiglio Nazionale A.M.I.C.I. Italia Onlus
Associazione Malattie Infiammatorie Croniche dell’Intestino
A.M.I.C.I per non sentirsi soli:
il sostegno dell’associazione ai pazienti
con Malattie Infiammatorie Croniche dell’Intestino
Può raccontarci come e quando nasce A.M.I.C.I. Italia Onlus?
A.M.I.C.I. nasce nel 1988, dapprima in Emilia Romagna per poi estendersi nelle altre Regioni, come
Associazione su base regionale ma federata a livello nazionale. Nel 2010 è stato portato a compimento
un processo di trasformazione da struttura a livello regionale, anche se confederata, a unica
Associazione nazionale con Sezioni regionali.
Gli iscritti sono circa 5.000, anche se nel corso degli anni siamo stati contattati da più di 10.000
persone, a fronte dei circa 200.000 pazienti di MICI presenti sul territorio nazionale. In Italia, anche per
remore di tipo culturale, i pazienti tendono a vivere la propria patologia in ambito familiare, ritenendola,
a torto, una sorta di “vergogna”. Nel nostro Paese purtroppo l’associazionismo è vissuto in modo molto
differente rispetto ai paesi anglosassoni: nel Regno Unito, con simile numero di abitanti e simile ordine
di grandezza d’incidenza di patologia, gli iscritti sono 30.000. In Olanda, che ha un numero di abitanti
nettamente più basso, il numero di iscritti all’Associazione locale è maggiore che in Italia.
Quali sono le finalità e le funzioni primarie che l’Associazione si prefigge?
A.M.I.C.I. è nata dall’esigenza di riunire pazienti e parenti di pazienti affetti da MICI al fine di superare
l’isolamento che, alla fine degli anni ’80, era un problema tangibile: queste patologie erano molto poco
conosciute e chi ne era affetto si sentiva abbandonato nel difficile compito di affrontare l’impegno di
gestire una malattia cronica. C’era dunque l’esigenza di scambiarsi reciprocamente esperienze e di
costruire la cosiddetta “massa d’urto” per ottenere risultati che consentissero di vivere una vita più
serena e affrontare meglio la patologia, anche dal punto di vista di una migliore interazione con Enti
pubblici, aziende farmaceutiche, medici.
A.M.I.C.I. Italia Onlus si occupa tra l'altro di produrre documentazione di tipo medico-scientifico che è
disponibile per tutti i soci e per coloro che ne fanno richiesta, fermo restando, ovviamente, che con tale
servizio non intende sostituirsi al rapporto diretto medico-paziente.
Può delinearci la situazione italiana in termini di assistenza sanitaria nei riguardi dei pazienti
affetti da MICI?
In Italia abbiamo realtà ospedaliere molto diverse: i Centri importanti hanno maggiore esperienza nella
gestione della malattia perchè vedono più pazienti e anche i casi clinici più complessi, e gli specialisti
che vi operano hanno spesso maturato esperienze all’estero. Si tende dunque a far confluire i casi più
complessi verso i Centri più qualificati: tra gli obiettivi di A.M.I.C.I. Italia Onlus vi è anche quella di
creare in ogni Regione dei Centri specializzati riconosciuti a livello nazionale, non per penalizzare le
strutture minori, ma perché le MICI sono malattie che vanno affrontate con un impegno in termini di
esperienza clinica, strumentazione diagnostica e interdisciplinarietà che un piccolo ospedale
difficilmente può offrire.
E per quanto riguarda le politiche sociali?
Dall'indagine Diogene, da poco presentata, emerge che l’11% dei pazienti è disoccupato o
sottoccupato a causa delle MICI e il 9% non è in grado di lavorare a tempo pieno. Queste malattie
implicano numerose e ripetute assenze dal posto di lavoro, che espongono i pazienti al rischio della
perdita dell'occupazione.
I pazienti di MICI sono ancora poco tutelati. Il grado d’invalidità che viene oggi riconosciuto comporta
un basso livello di tutela: vi sono alcuni esami diagnostici prettamente riferiti al follow up, sia clinici sia
ematochimici, che non hanno ancora l’esenzione del ticket, per alcuni farmaci si paga solo la quota
ricetta, per altri non ancora. In questo caso cerchiamo di avere contatti con l’AIFA per superare quelle
che riteniamo delle incongruenze, ma i limiti della burocrazia spesso ci costringono all’attesa di anni
solo per ricevere una semplice risposta.
Quanto è importante una diagnosi precoce nella gestione delle MICI?
Dalla comparsa dei primi sintomi trascorrono circa 3 anni prima che i pazienti giungano alla visita di
uno specialista e ci vogliono 5 anni per arrivare alla diagnosi. L’importanza di una diagnosi il più
possibile precoce va quindi più che mai ribadita, al fine di limitare l’evoluzione della malattia verso stadi
di complessità clinica che implicano per il paziente un peso quotidiano spesso insostenibile, e per il
Servizio Sanitario Nazionale un sensibile aumento dei costi di gestione, per via della maggiore
frequenza delle ospedalizzazioni e dell’uso di terapie più costose.
Per arrivare a una diagnosi tempestiva, il grado di conoscenza dei Medici di Medicina Generale è un
aspetto decisivo: è stato calcolato che, nel corso della loro vita professionale, si confronteranno solo
con 3-4 casi di MICI. È dunque auspicabile una maggiore formazione permanente per i Medici di
Medicina Generale, che consentirebbe di identificare senza eccessive dilazioni temporali i sintomi che
possono indurre al sospetto di una MICI, indirizzare tempestivamente il paziente allo specialista, al fine
di mettere quanto prima in atto i protocolli diagnostici e conseguentemente terapeutici, evitando quei
ritardi che, ribadiamo, possono determinare un maggiore impegno per il paziente e costi maggiorati per
il Servizio Sanitario Nazionale.
Come sono cambiati i rapporti medico-paziente rispetto alle MICI nel corso di questi ultimi
vent’anni?
Rispetto agli anni ’80, nel rapporto medico-paziente sono state eliminate molte barriere, grazie anche
al lavoro delle Associazioni pazienti. Prima i medici tendevano a non istaurare un dialogo con il
paziente in merito alla diagnosi e agli aspetti sociali e psicologici della patologia: la comunicazione era
univoca, gerarchicamente strutturata, e si limitava alla fredda formulazione della diagnosi e
all’indicazione della cura. Ora il rapporto è più diretto e confidenziale, c’è un dialogo costruttivo,
derivante anche da una maggiore acquisizione d’informazioni e competenze da parte del paziente,
frutto anche del lavoro associazionistico. Ciò presenta un duplice vantaggio: da un lato il medico può
accompagnare più facilmente il paziente collaborativo in tutto il percorso diagnostico-terapeutico,
dall’altro il paziente sarà in grado di gestire la malattia in modo più soddisfacente rispetto al passato.
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LE MALATTIE INFIAMMATORIE CRONICHE INTESTINALI
Le Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali, conosciute con l’acronimo di MICI o quello inglese di IBD
(Inflammatory Bowel Diseases), sono malattie infiammatorie idiopatiche, cioè di origine sconosciuta, ad
andamento cronico, che interessano l’intestino, e si suddividono in due tipologie: Malattia di Crohn e
Colite Ulcerosa. La Malattia di Crohn comporta ulcerazioni della mucosa intestinale e può interessare
tutti i segmenti intestinali, anche se si localizza prevalentemente a livello ileo-colico. La Colite Ulcerosa
colpisce le mucose del colon e/o del retto.
Le MICI possono colpire qualsiasi tratto dell’intestino tenue e del colon, provocando una vasta gamma
di sintomi particolarmente invalidanti: dolori addominali, diarrea, anche ematica, vomito, febbre, calo
ponderale, astenia.
Le ripercussioni di queste patologie sulla salute generale e sulla Qualità di Vita delle persone che sono
costrette a conviverci sono particolarmente gravi e pesanti, considerata la dislocazione delle lesioni e
la natura dei sintomi.
Dal punto di vista della loro diffusione, le MICI presentano un andamento mutevole. Intorno agli anni
’50 del ‘900, quando hanno cominciato a emergere, erano diffuse prevalentemente nella popolazione
dei Paesi a economia avanzata, la Colite Ulcerosa era prevalente rispetto alla Malattia di Crohn e
quest’ultima era più comune tra le donne che tra gli uomini.
Negli ultimi dieci anni, invece, le MICI si sono diffuse anche nei Paesi in via d’industrializzazione o in
quelli, come il Giappone, nel quale non erano presenti, con una prevalenza della Malattia di Crohn
rispetto alla Colite Ulcerosa1. Inoltre, i nuovi casi e gli individui ammalati sono aumentati di venti volte;
sono più di 2,2 milioni in Europa le persone che convivono con queste patologie e circa 200.000 i
pazienti in Italia, dove, ogni anno, sono eseguite dalle 3.000 alle 5.600 nuove diagnosi di Colite
Ulcerosa e dalle 1.350 alle 2.000 di Malattia di Crohn. In mancanza di un Registro Nazionale, tali
quantificazioni possono risultare sottostimate.
Le MICI presentano due picchi d’incidenza: un primo picco variabile dai 15 ai 45 anni e un secondo in
età tardiva; da qualche anno sono sempre più numerosi i casi in età pediatrica e adolescenziale.
Quando queste patologie colpiscono i bambini, il malassorbimento intestinale può incidere molto
pesantemente sul processo di crescita.
Sono caratterizzate da un’eccessiva risposta immunitaria ad antigeni che sono fisiologicamente
presenti nell’intestino: per cause ancora non conosciute, invece di rivolgere le sue azioni d’attacco
verso agenti estranei (non self) il sistema immunitario produce cloni di cellule auto-reattive, autoanticorpi che reagiscono contro gli organi del suo stesso organismo (self).
Fino a dieci anni fa, le MICI erano controllate, a seconda della gravità, tramite due differenti classi di
farmaci – gli steroidi e gli immunosoppressori – e con l’ausilio della Chirurgia, utilizzata come ultima
opzione. L’avvento dei farmaci biologici come infliximab alla fine degli anni ’90 ha modificato
profondamente l’approccio terapeutico, migliorando sostanzialmente la Qualità della Vita dei pazienti
affetti da queste patologie.
Attualmente, alla luce dei recenti studi che ne hanno confermato la sicurezza e l’efficacia nella
guarigione della mucosa intestinale, con il 70% di remissioni nei casi trattati, le Linee Guida europee
indicano l’uso precoce del ricorso a infliximab come l’opzione terapeutica indicata nei pazienti con MICI
di forma da moderata a grave, per i quali riduce in modo sostanziale il ricorso all’intervento chirurgico e
alle ospedalizzazioni e consente ai pazienti di non ricorrere alla terapia steroidea, evitando i suoi
pesanti effetti collaterali.
Dal punto di vista dell'eziologia, tra le ipotesi recentemente avanzate per spiegare l’origine delle MICI,
una ricerca condotta su modelli animali2 ha evidenziato il ruolo importante di una molecola di
protezione dell’intestino (NF-kB). La sua assenza potrebbe indebolire l’epitelio che separa le pareti dal
lume intestinale, dove si trova la flora batterica, determinandone la distruzione: il contatto tra le pareti
dell’intestino e i microorganismi scatenerebbe la risposta del sistema immunitario, causando
l’insorgenza dell’infiammazione; a sua volta, essa provocherebbe la distruzione di nuovo epitelio, in un
meccanismo a catena che porterebbe alla cronicizzazione della malattia.
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LA MALATTIA DI CROHN
La Malattia di Crohn è una malattia infiammatoria dell’intestino, a carattere cronico, che può colpire tutti
i segmenti intestinali, anche se nella maggioranza dei casi si localizza nel colon e nell’ultima parte
dell’intestino tenue, la sezione distale dell’ileo, e interessa circa lo 0,1% della popolazione mondiale.
La Malattia di Crohn non è una malattia ereditaria, ma presenta comunque una forte componente
genetica: un quinto dei pazienti ha un consanguineo affetto dalla medesima patologia. Sono state
scoperte mutazioni a livello di una trentina di geni, anche se nessuna di queste mutazioni da sola è
responsabile dell’insorgenza della malattia: occorrono, infatti, più mutazioni e in concorso con fattori
ambientali.
Segni e sintomi
A seconda dello stato di malattia, del decorso, della localizzazione e delle eventuali complicazioni, i
segni e i sintomi della Malattia di Crohn possono includere:
• gonfiore e dolore addominale, molto spesso a livello dell’ombelico e nella zona destra della pancia,
che tende ad aumentare dopo il consumo dei pasti;
• diarrea cronica, prevalentemente notturna;
• perdita di peso:
• febbre;
• sanguinamento rettale;
• anoressia o cachessia;
• ragadi, fistole, ascessi perianali.
Complicanze
La Malattia di Crohn è a carattere cronico e si manifesta con riattivazioni periodiche di maggiore o
minore gravità, intervallate da periodi di remissione. La ripetizione delle fasi attive di malattia può dare
origine a complicanze, che interessano uno-due pazienti su dieci.
Complicanze intestinali
A livello intestinale sono molto comuni gli episodi di stenosi, restringimenti che possono causare
crampi, meteorismo e distensione dell’addome; le ostruzioni, che possono dipendere anche da
abitudini alimentari non adeguate, possono essere parziali o totali e comportare anche nausea e
vomito.
Le complicanze più comuni sono l’insorgenza di fibrosi intestinale e la formazione di fistole (6%); circa il
15% dei pazienti sviluppa fistole, ragadi o ascessi anali entro cinque anni dalla diagnosi.
Le complicanze legate all’alterata funzione intestinale sono:
• Calcolosi biliare e renale;
• Idronefrosi e Idrouretere, per compressione dell’uretere;
• infezioni del tratto urinario;
• malassorbimento e ipercoagulabilità.
Complicanze extraintestinali
Sono conseguenza delle alterazioni dell’attività del sistema immunitario che possono derivare sia
dall’evoluzione della malattia, sia da disturbi a essa associati, ma indipendenti dal suo decorso.
Colpiscono diversi distretti dell’organismo, come articolazioni, vie biliari, epidermide, occhi e possono
provocare:
• Spondiloartrite anchilosante e Sacroileite;
• Artrite periferica;
• Colangite Sclerosante primitiva (infiammazione delle vie biliari);
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• manifestazioni cutanee come Eritema nodoso e Pioderma gangrenoso;
• infiammazioni oculari, come Uveite e Sclerocongiuntivite.
Infine, nei casi di Malattia di Crohn di lunga durata, può manifestarsi l’insorgenza di Adenocarcinomi
del tratto gastrointestinale e, più raramente, Linfomi.
Diagnosi
Poiché condivide i sintomi con altre patologie, la Malattia di Crohn non è facilmente diagnosticabile al
di fuori dei Centri dedicati. La mancanza di specificità o “banalità” dei sintomi principali comporta di
solito un ritardo dai tre ai cinque anni nella diagnosi.
La precocità della diagnosi, e la tempestiva instaurazione di una terapia in grado di controllare
l’evoluzione della malattia, sono fattori determinanti per assicurare ai pazienti una migliore Qualità di Vita.
Non esistono attualmente marcatori specifici che consentono di identificare la Malattia di Crohn
attraverso test di laboratorio: alcuni esami emato-chimici possono essere utili per evidenziare stati
anomali ed escludere altre patologie. Ad esempio, la VES (velocità di eritrosedimentazione) e il
conteggio dei globuli bianchi sono considerati “spie dell’infiammazione”, mentre l’esame colturale e
parassitologico delle feci è utile per escludere la presenza di una Colite infettiva o parassitaria.
Per capire se vi siano lesioni e dove siano localizzate si utilizza l’endoscopia con biopsia. Nei casi in
cui non sia possibile accedere direttamente alla zona interessata, si ricorre agli esami radiologici, come
il clisma dell’intestino tenue, la TAC e la Risonanza Magnetica intestinale, tipologie d’indagine che
risultano più precise e meno dannose per i tessuti.
Terapie farmacologiche
L’avvento dei farmaci biologici, disponibili da oltre 10 anni anche in Italia e a carico del Sistema
Sanitario Nazionale, ha comportato una vera e propria rivoluzione, offrendo per la prima volta ai medici
un’arma terapeutica in grado di modificare il decorso della malattia e non agire soltanto sui sintomi.
Le ricerche più recenti hanno confermato che il farmaco biologico infliximab, usato precocemente,
conduce nel 70% dei casi alla guarigione della mucosa, fattore essenziale per una remissione a lungo
termine della malattia, liberando i pazienti dai pesanti effetti collaterali della terapia steroidea.
Attualmente sono disponibili quattro opzioni farmacologiche.
Per i casi da lievi a moderati:
• si ricorre in prevalenza alla terapia a base di aminosalicilati, derivati dall’acido acetilsalicilico che
inibiscono l’enzima ciclo-ossigenasi, bloccando la cascata dell’infiammazione: la mesalazina (FANS)
è il farmaco d’esordio.
Per i casi da moderati a gravi:
• corticosteroidi, molecole strutturalmente analoghe al cortisolo, un ormone sintetizzato e secreto dal
surrene, che hanno funzione antinfiammatoria, ma che non consentono di mantenere a lungo lo
stato di remissione e presentano gravi effetti collaterali, come osteoporosi e diabete;
• immunosoppressori, anch’essi penalizzati da gravi effetti collaterali, spesso utilizzati per ridurre o
eliminare la dipendenza dai corticosteroidi e quando il cortisone non si dimostra più efficace;
• terapia biologica (infliximab), anticorpo monoclonale che, sulla base della conoscenza del
meccanismo biologico della patologia, impedisce a una particolare citochina, il TNF-alfa, di legarsi ai
suoi recettori, bloccando all’origine le reazioni infiammatorie innescate dalla citochina e riducendo
significativamente gli effetti collaterali.
Prima dell’avvento dei farmaci biologici, l’approccio tradizionale (step up) prevedeva farmaci più leggeri
all’inizio e poi, man mano che la malattia diventava più importante, altri farmaci in maniera sequenziale,
fino a ricorrere all’intervento chirurgico. Dopo l’arrivo di infliximab la prospettiva è radicalmente
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cambiata e ora la terapia delle MICI è in grado di procedere attraverso uno “step up accelerato”:
• diagnosi il più possibile precoce;
• eliminazione dei farmaci che non cambiano la storia naturale della malattia, come i corticosteroidi;
• somministrazione dell’immunosoppressore e, nei casi che lo consentono, di infliximab in prima
battuta, per evitare l’insorgere di complicanze.
Terapia chirurgica
Nella Malattia di Crohn, l’atto chirurgico è finalizzato alla risoluzione della complicanza e non alla sua
guarigione.
Tradizionalmente si ricorre al trattamento chirurgico quando le terapie farmacologiche si dimostrano
non più sufficienti, o nei pazienti nei quali si verificano in maniera ricorrente ascessi, fistole o occlusioni
intestinali derivanti dalla cicatrizzazione e dalla conseguente stenosi della parete intestinale ulcerata.
In questo ultimo caso si procede con la resezione della parte o, per pazienti con interessamento
duodenale, con la tecnica della stricturoplastica, un intervento meno demolitivo che permette di
ripristinare il transito intestinale senza resecare. Nei casi di Malattia di Crohn primitiva è possibile
utilizzare la tecnica mini-invasiva della laparoscopia.
L’utilizzo della terapia biologica ha profondamente modificato anche la tendenza all’indicazione
chirurgica e si tende a intervenire precocemente, facendo seguire subito la somministrazione di
infliximab, sia perché i risultati che si conseguono sono migliori, sia perché l’intervento è meno
complicato e dunque meno oneroso per il paziente, che può contare in un recupero più rapido.
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LA COLITE ULCEROSA
È una patologia già nota a metà dell’Ottocento, che presenta una più elevata incidenza nei Paesi
maggiormente industrializzati, soprattutto in contesti urbani: in Europa ne sono colpiti ogni anni dai 7 ai
12 individui ogni 100.000 abitanti.
L’esordio della malattia avviene prevalentemente tra i 15 e i 35 anni d’età, ma può colpire anche in età
pediatrica e anche nella fascia d’età tra i 60 e gli 80 anni, senza differenze tra sesso maschile e
femminile.
Come la Malattia di Crohn, la Colite Ulcerosa è una patologia cronica a base infiammatoria e ad
andamento recidivante, con gravi ripercussioni sulla Qualità di Vita di coloro che ne soffrono. Ma a
differenza della Malattia di Crohn, coinvolge una parte limitata dell’apparato digerente, la zona
terminale, localizzandosi nella mucosa del retto e del colon, nella parte più interna della parete, quella
a contatto con il lume intestinale, erodendola e dando origine alle caratteristiche ulcerazioni multiple.
La regione del retto è sempre interessata dalla malattia mentre, a seconda del coinvolgimento del
colon, si possono distinguere varie forme: Proctite, Procto-sigmoidite, Colite sinistra, Colite estesa,
Pancolite.
Caratteristica della Colite Ulcerosa è la familiarità, cioè la tendenza a un maggior rischio per i parenti
delle persone che ne sono affette; inoltre, recenti studi ne stanno postulando l’ereditarietà, sulla base
dell’individuazione di sequenze di geni significativamente legati alla malattia3.
Segni e sintomi
La tendenza a produrre muco e a sanguinare è il sintomo più distintivo di questa condizione patologica:
nel corso della malattia la mucosa subisce delle modificazioni considerevoli e il suo danneggiamento
compromette l’assorbimento idroelettrolitico, funzione svolta dalla porzione terminale dell’intestino,
causando quindi l’insorgere di diarrea.
Le manifestazioni tipiche più frequentemente descritte dai pazienti sono, infatti, diarrea muco-ematica e
sanguinamento dal retto. Altri sintomi che possono essere presenti sono:





dolori addominali;
febbre;
astenia e dimagrimento;
tachicardia;
anemia e diminuzione delle proteine circolanti (ipoalbuminemia).
L’esordio può essere subdolo, con possibili ritardi nella diagnosi, o acuto, con necessità di ricovero
ospedaliero per la presenza di sintomi sistemici come febbre, tachicardia, dimagrimento e anemia
severa.
Complicanze
La Colite Ulcerosa ha prevalentemente un andamento cronico intermittente con fasi di riaccensione
della malattia seguite da fasi di remissione (spontanea o indotta farmacologicamente), ma può
presentare anche un decorso di tipo cronico continuo. Possono dunque sopraggiungere complicanze
sia a livello intestinale sia in altri distretti del corpo, che hanno un decorso indipendente dalla Colite
stessa.
Complicanze intestinali
Se la malattia viene trascurata possono verificarsi forti emorragie dalle ulcere e gonfiore addominale.
In alcuni casi la Colite Ulcerosa porta a condizione nota come megacolon tossico, una dilatazione
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d’organo con assottigliamento della parte intestinale, che può degenerare in perforazioni. Nelle forme a
lunga durata possono comparire pseudopolipi, formazioni infiammatorie di natura non tumorale dovute
alla rigenerazione dell’epitelio mucoso.
Predispone, inoltre, al rischio di Carcinoma del colon-retto: esiste un rischio del 2% dopo dieci anni
dalla diagnosi, che sale all’8% dopo venti anni e arriva al 18% dopo i trenta. Tale correlazione
sottolinea l’importanza per i malati da lungo tempo di sottoporsi a esami di screening periodici, come la
colonscopia con biopsia.
Complicanze extra-intestinali
La Colite Ulcerosa può associarsi ad altre patologie che colpiscono le articolazioni, come la Spondilite
Anchilosante e l’Artrite periferica; la cute, con insorgenza di Eritema nodoso, Pioderma gangrenoso,
Psoriasi; il sistema visivo, con Congiuntivite, Uveite ed Episclerite; il distretto epatobiliare, con
Colangite sclerosante primitiva e, infine, il sangue, con Anemia e Trombocitosi.
Diagnosi
È innanzitutto necessario escludere patologie che per sintomi e insorgenza possono essere simili,
come le malattie infettive batteriche, virali o fungine, o la stessa Malattia di Crohn. Al fine di osservare
direttamente la presenza di infiammazioni, sanguinamenti, ulcere, così come gli aspetti della mucosa
interessata, il test più accurato è l’esame endoscopico (colonscopia, sigmoidoscopia) con biopsia ed
esame istologico, accompagnato da un’attenta anamnesi e a una disamina accurata dei sintomi.
Anche gli esami radiologici come il clisma opaco possono essere utili, unitamente all’analisi del
sangue, per verificare la presenza di un’infiammazione anomala, attraverso l’aumento della VES e dei
leucociti e marker specifici dell’infiammazione come la PCR. Misurando i livelli di ferro e di ferritina, si
può individuare un’anemia causata dal sanguinamento intestinale.
Terapie farmacologiche
Le opzioni terapeutiche indicate per i pazienti di Colite Ulcerosa sono le stesse utilizzate per la Malattia
di Crohn, cioè salicilati, corticosteroidi, immunosoppressori e terapia biologica. Secondo la letteratura,
solo il 49% dei pazienti trattati con i corticosteroidi mantiene la risposta nel tempo, mentre il 22%
diventa steroido-dipendente.
Anche per questa patologia l’anticorpo monoclonale infliximab risulta particolarmente efficace nel
colpire direttamente il Fattore di Necrosi Tumorale TNF-alfa, una delle chitochine responsabili dell’avvio
della risposta infiammatoria. La terapia con infliximab assicura la guarigione della mucosa nel 60% dei
casi, con una drastica diminuzione del consumo di steroidi e una significativa riduzione del ricorso a
ospedalizzazione e chirurgia.
Terapia chirurgica
Nei casi in cui la terapia farmacologica si riveli inefficace, o nei casi d’urgenza o in cui subentrino
complicazioni, il paziente viene sottoposto all’asportazione chirurgica del colon, ovvero a colectomia, un
intervento che interessa circa il 25-40% dei malati di Colite Ulcerosa e che comporta una ricostruzione
complessa, l’anastomosi con pouch ileo-anale, da eseguirsi solo in Centri molto specializzati. Tale
tecnica consente al paziente di mantenere la continuità intestinale e una funzionalità naturale.
Note
1.
2.
3.
2010-The Year of Inflammatory Bowel Disease: A Special Interview With WDHD Campaign Leader, Dr
Charles Bernstein. Journal of Clinical Gastroenterology, September 2010, Vol. 44, 8: v-vi.
Nenci, A. et al. Epithelial NEMO Links Innate Immunity Inflammation. Nature 2007, 446: 557-561.
Silverberg M.S., et al. Ulcerative colitis-risk loci on chromosomes 1p36 and 12p15 identified by genome-wide
association study. Nature Genetics, 41:216-220. Epub Jan 4, 2009.
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SCHEDA MSD Nel mondo: MSD Italia è la consociata italiana dell'americana Merck & Co. Fondata nel 1891, è diventata il secondo gruppo a livello mondiale grazie ad un accordo di fusione con Schering‐Plough avvenuto nel 2009. L'azienda è impegnata a migliorare la salute a livello globale con un portafoglio diversificato di medicinali etici e da banco, vaccini, farmaci biologici e prodotti ad uso veterinario, arricchito da una solida pipeline composta da una ventina di promettenti molecole in fase avanzata di sviluppo. La prestigiosa rivista Forbes, ad agosto 2011, ha giudicato Merck la migliore azienda di ogni tempo in termini di nuovi farmaci messi a disposizione del paziente, del medico e del farmacista: 56 nuove molecole approvate negli ultimi 60 anni, che diventano 87 includendo i farmaci lanciati da Schering‐Plough. Inoltre, nella classifica delle World's Most Admired Companies, pubblicata recentemente dalla prestigiosa rivista Fortune, Merck si è classificata al secondo posto tra le aziende farmaceutiche. L'impegno di Merck è rivolto anche a favorire l'accesso alle cure attraverso programmi umanitari di donazione e distribuzione dei prodotti alle popolazioni che ne hanno maggiormente bisogno. In Italia: MSD Italia conta su una presenza radicata nel nostro Paese dal 1956 con 1.700 dipendenti, un quarto dei quali impiegati nei nostri stabilimenti di produzione, ed un fatturato di 800 milioni di euro. L'obiettivo primario dell'Azienda è quello di scoprire, sviluppare e commercializzare farmaci che rispondano ai bisogni della popolazione. Per poter realizzare tale scopo, è necessario puntare su investimenti solidi in ricerca e promuovere l'innovazione. In Italia, MSD sta conducendo 135 sperimentazioni cliniche che coinvolgono 969 centri ed oltre 6.000 pazienti. L'ultimo rapporto sulle sperimentazioni cliniche nel Paese, curato dall'Agenzia Italiana del Farmaco, colloca l'Azienda al terzo posto nel periodo 2006 – 2010. MSD Italia ha contribuito alla crescita economica e occupazionale in diverse aziende italiane di piccole, medie e grandi dimensioni anche grazie ad accordi e alla concessione di licenze di vendita di prodotti già affermati o nuovi. L'occupazione: I dipendenti di MSD Italia sono 1.700 e si tratta di un'occupazione estremamente qualificata; il 64% dei dipendenti MSD possiede una laurea universitaria contro il 15% medio del settore industriale. Significativo, inoltre, il dato sull'occupazione "rosa": i dipendenti di sesso femminile sono il 40% della forza lavoro, spesso occupando posizioni apicali. Il 41% del management team di MSD Italia è rappresentato da donne, un dato incoraggiante se si considera che, nelle imprese italiane, le donne arrivano ai vertici solo nel 6,9%. Le dirigenti sono il 40%, il doppio rispetto al 20% del settore farmaceutico e il quadruplo rispetto al 10% del settore industriale in genere. La responsabilità sociale d'impresa: Scoprire e sviluppare farmaci e vaccini innovativi è l'anima di ciò che siamo come azienda, ma il nostro impegno nei confronti della responsabilità d'impresa si estende anche al modo con il quale questa attività primaria è portata a compimento. Il contributo pratico che l'azienda ha continuato a dare negli anni è certamente molto importante se si pensa che, nell'ultimo anno, i contributi e le donazioni dell'Azienda per risolvere urgenze terapeutiche ed emergenze sanitarie hanno superato 1 miliardo di dollari. E’ come se ciascuno dei dipendenti avesse donato 10.000 dollari. MSD è stata tra le prime aziende del settore ad aderire a Global Compact delle Nazioni Unite, l'iniziativa più grande e maggiormente apprezzata di cittadinanza d'impresa. La firma di tale accordo sottolinea il nostro impegno ai dieci principi di Compact, universalmente accettati nelle aree del rispetto dei diritti umani, del lavoro, dell'ambiente, dell'anticorruzione ed esprime la nostra volontà di sostenere e di farci portatori di tali principi all'interno dell'azienda stessa e delle sue controllate. Non a caso, anno dopo anno, MSD è sempre ai primi posti nella classifica delle 100 Aziende più socialmente responsabili. La responsabilità sociale della nostra Azienda, da sempre ai primi posti nella classifica delle 100 Aziende più socialmente responsabili, si muove lungo tre direttrici: o Garantire l'Accesso ai farmaci nei Paesi in Via di Sviluppo, attraverso politiche di prezzo differenziato per i nostri farmaci antiretrovirali e vaccini (offerti a prezzo di costo in oltre 60 Paesi) o iniziative quali il Mectizan Donation Program, il progetto per l'eradicazione della cecità fluviale per il quale Merck ha donato 3,5 miliardi di compresse per un valore commerciale stimato di oltre 5 miliardi di dollari. o Distinguersi per integrità e trasparenza, rendendo pubblici ad esempio tutti i contributi a medici o associazioni di pazienti o i risultati degli studi clinici indipendentemente dall'esito dei dati. o Rispettare l'ambiente: A partire dal 2004, abbiamo ridotto la domanda di energia nei laboratori, nei siti produttivi e negli uffici del 28% superando l'obiettivo che ci eravamo imposti del 25%. Abbiamo fatto sostanziali progressi anche nella riduzione delle emissioni di gas serra. Non solo a livello mondiale, ma anche in Italia sosteniamo progetti importanti di responsabilità sociali: solo per citarne alcuni, il Progetto DREAM della Comunità di S. Egidio per curare l'AIDS in Africa, i progetti nel settore dell'oftalmologia in Africa con AMOA (ASSOCIAZIONE MEDICI OCULISTI PER L'AFRICA) e in India con CBM o il sostegno a Soccorso Clown in Italia per i bambini ricoverati in ospedale o a tante iniziative di Cittadinanzattiva. Ma forse l'iniziativa più importante è proprio quella annunciata sette giorni fa Assemblea Generale delle Nazioni Unite ovvero il lancio del programma "MSD for Mothers": un investimento di 500 milioni di dollari in 10 anni per raggiungere l'obiettivo delle Nazioni Unite di ridurre la mortalità materna del 75%. ASSOCIAZIONE NAZIONALE PER LE MALATTIE INFIAMMATORIE CRONICHE DELL’INTESTINO Chi siamo
L’Associazione Nazionale per le Malattie Infiammatorie Croniche dell’Intestino “A.M.I.C.I.”
riunisce le persone affette da colite ulcerosa e da Malattia di Crohn, i loro familiari e tutti
coloro che condividono il valore della salute ed il vincolo della solidarietà sociale.
L’associazione non è legata ad alcun gruppo politico né ad associazioni o gruppi religiosi.
L’A.M.I.C.I. Onlus è un’associazione nazionale con sedi in 16 regioni che aderisce ad una
Federazione europea (E.F.C.C.A. www.efcca.org) che raccoglie associazioni di
venticinque paesi e oltre centomila associati.
Che cosa ci proponiamo
L’associazione si propone la soluzione dei problemi medici e sociali posti dalle malattie
infiammatorie croniche intestinali e si avvale della collaborazione di comitati di medici
specialisti che coordinano le iniziative a carattere medico-scientifico.
A chi ci rivolgiamo
Per raggiungere i propri fini, l’A.M.I.C.I. si rivolge:
1.
Agli organismi politici e amministrativi, per ottenere:
- un adeguato sostegno alla ricerca che promuova la conoscenza di queste malattie e
ne faciliti la diagnosi precoce e cure efficaci;
- le provvidenze necessarie agli ammalati per contenere i disagi che la malattia
comporta ed in particolare: la gratuità, la reperibilità e la facilità di
approvvigionamento dei farmaci: la gratuità e tempestività delle prestazioni,
l’assistenza sanitaria integrativa relativa ai prodotti dietetici e la nutrizione artificiale
domiciliare; la possibilità di usufruire di assistenza infermieristica domiciliare;
l’adeguatezza e la diffusione delle strutture sanitarie di riferimento; la tutela del posto
di lavoro; il riconoscimento degli effetti invalidanti della malattia; l’esonero dagli
obblighi di leva.
2.
Agli organismi sanitari la cui collaborazione è necessaria per ottenere:
- la diffusione di posti letto per la degenza clinica e chirurgica e di ambulatori
specialistici proporzionati alle necessità nelle diverse regioni;
- la ridistribuzione degli ammalati in cura, che consenta ad ognuno di essi di recarsi
presso la struttura specialistica più vicina al proprio domicilio;
- l’adeguamento delle attrezzature dei reparti e degli ambulatori e degli organici di
personale medico, tecnico ed infermieristico qualificato;
- l’istituzione di turni ambulatoriali che consentano l’accesso degli ammalati in giorni ed
orari tali da interferire il meno possibile con il normale andamento della vita lavorativa
e familiare;
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Sede: via A. Wildt, 19/4 – 20131 Milano – tel. (02) 26822670 fax (02) 92877810 email: [email protected] – www.amiciitalia.net – www.noieilcrohn.it ‐ www.viverelacoliteulcerosa.it Codice Fiscale 97091710588 Conto corrente 631/480117 presso Banca Popolare di Vicenza Via delle Casaccie 78 –16121 Genova IBAN IT51 L057 2801 4006 3157 0480 117 ASSOCIAZIONE NAZIONALE PER LE MALATTIE INFIAMMATORIE CRONICHE DELL’INTESTINO - il potenziamento della pratica del day-hospital e della nutrizione artificiale domiciliare;
- la corretta e completa informazione dell’ammalato che ne consenta il consenso
informato e volontario alle prestazioni proposte;
- il sostegno psicologico e l’eventuale supporto dell’assistente sociale per l’ammalato e
per i familiari.
3. Agli organi di stampa e ai mass-media per un’adeguata informazione dell’opinione
pubblica sui problemi clinici e sociali degli ammalati, che ne consenta un sereno
inserimento nella vita familiare e di relazione.
A.M.I.C.I. Onlus Via A. Wildt. 19/4 20131 Milano Tel. +39 (02) 26822670 Fax +39 (02) 92877810 [email protected] www.amiciitalia.net www.noieilcrohn.it www.viverelacoliteulcerosa.it Pagina 2
Sede: via A. Wildt, 19/4 – 20131 Milano – tel. (02) 26822670 fax (02) 92877810 email: [email protected] – www.amiciitalia.net – www.noieilcrohn.it ‐ www.viverelacoliteulcerosa.it Codice Fiscale 97091710588 Conto corrente 631/480117 presso Banca Popolare di Vicenza Via delle Casaccie 78 –16121 Genova IBAN IT51 L057 2801 4006 3157 0480 117 SCHEDA EFCCA What is EFCCA The European Federation of Crohn’s and Ulcerative Colitis Associations (EFCCA) is an umbrella association representing 27 patients associations across 26 European countries with more than 100,000 members. EFCCA aims to work to improve life for people with ulcerative colitis or Crohn’s disease (together called Inflammatory Bowel Disease, or IBD), at European level. Mission EFCCA’s main objective is to improve the well‐being of people with IBD and give them a louder voice and higher visibility in Europe. Aims Within their objectives, EFCCA makes an important effort to promote the exchange of information on IBD and to raise public awareness both of IBD and European patients’ concerns. EFCCA encourages scientific, social and other research into the causes, diagnosis and treatment of inflammatory bowel disease. EFCCA ensures that health policy and healthcare issues are included within the wider spectrum of social, economic, cultural and environmental policies under the WHO and European Commission label “health in all policies” EFCCA co‐operates and works actively with European institutions, doctors, health professionals and other organisations world‐wide to reach these aims, encouraging and facilitating the exchange of information. Country Members EFCCA represents members of the following countries: Austria, Belgium, Croatia, Cyprus, Czech Republic, Denmark, Finland, France, Germany, Hungary, Iceland, Ireland, Italy, Luxembourg, Malta, the Netherlands, Norway, Poland, Portugal, Serbia, Slovakia, Slovenia, Spain, Sweden, Switzerland and United Kingdom. History EFCCA was born in 1990 when a number of national associations met to found the European Federation of Crohn´s & Ulcerative Colitis Associations. It was formally established in Strasbourg in 1993 and was registered in Brussels in 1996. More information: http://www.efcca.org/ Nella chiavetta USB in dotazione è disponibile ulteriore materiale iconografico.
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