LA SANTA REGOLA
DI SAN BENEDETTO
Una Sapienza antica
per l’Azienda
e per l’Uomo contemporaneo
La Santa Regola
di San Benedetto - I


Stiamo dando inizio a una piccola serie di
incontri seminariali, dove si realizzerà un
confronto fra un’antica dottrina e le sue
possibilità applicative nella contemporaneità
dell’ambiente d’impresa.
La metodologia sarà improntata alla
proposizione di una serie di concetti e
riflessioni su cui sarà essenziale il contributo di
tutti i partecipanti.
La Santa Regola
di San Benedetto - II




Un Testo antico (VI secolo) di Sapienza
sull’Uomo:
Per comprendere meglio l’Uomo.
Per comprendere meglio il Gruppo.
Per costruire un processo virtuoso nel
Gruppo.
La Sapienza…



È un qualcosa di sapido, di saporoso, di
interessante.
Permette di penetrare nei significati delle cose e
delle azioni umane.
Permette, in definitiva, di conoscere l’uomo in
tutte le sue manifestazioni evidenti come le
parole e le azioni, e nascoste, ma non del tutto
(cf. “i segnali deboli”).
Le Virtù “Benedettine”

Le virtù più evidenziate e apprezzate nella
lezione del Santo di Norcia, Subiaco e
Montecassino, cioè l’umiltà, l’obbedienza (cf.
La Santa Regola) e il silenzio, possono essere
considerate anche al giorno d’oggi un
riferimento eccellente per chi fa impresa, per chi
gestisce Risorse Umane, perché l’uomo come
struttura e fondamento non cambia, pur nel
mutamento dei tempi e dei sistemi collettivi
socio-politici ed economici.
L’Uomo - I


L’homo è sempre essenzialmente “quello della
pietra e della clava”, è in qualche modo (anche
se non sempre) homini lupus (Hobbes) e
richiede un continuo ammaestramento.
Il conflitto fra ciò che la natura e gli istinti
determinano e il giudizio sull’agire soggettivo
libero delle facoltà razionali è sempre
presente.
L’Uomo - II


La “scimmia nuda” autocosciente, in altre parole
l’uomo stesso, ha bisogno di una diuturna
manutenzione morale, per non far prevalere gli
effetti (sulle sue azioni) che si possono riferire al
patrimonio genetico in comune con il pur nobile
silver back e altri cugini meno affini.
In altre parole per rendere sempre più “umani” il
pensiero e l’azione della persona.
La Persona


La persona è quasi un ossimoro antropologico,
nel frattempo assai prossimo, e pur tuttavia
lontanissimo dagli altri animali superiori.
Sappiamo che l’uomo ha bisogno di esercitarsi,
sia fisicamente sia psicologicamente per
migliorarsi. Se la ginnastica è l’esercizio fisico
per eccellenza, la conoscenza e la pratica delle
virtù morali è “l’esercizio” per il miglioramento
interiore.
Le Virtù Morali - I
Le virtù morali che reggono l’intero impianto
della struttura psichico-spirituale della persona
sono la prudenza, la giustizia, la fortezza (o
coraggio) e la temperanza (o equilibrio).
Le Virtù Morali - II

Le Virtù Morali sono la struttura portante
dell’Etica umana, fonte di ispirazione delle
azioni libere dell’Uomo e criterio di giudizio
sulla qualità delle azioni libere stesse.

Contrastano frontalmente i vizi, specialmente
quelli principali, come la superbia, l’invidia e la
cupidigia.
La Giustizia - I

La Giustizia va coniugata nelle sue tre
dimensioni: a) generale, o politico-sociale; b)
di scambio, o contrattuale; c) distributiva, o di
solidarietà (welfare). Aspetti particolari
possono essere considerati anche la
magnificenza, la munificenza e la longanimità.
La Giustizia - II

La virtù di giustizia deve essere però sempre
aiutata dalla virtù di epichèia, che è un sapere
particolare, legato alla virtù di prudenza (nelle
dimensioni
potenziali
della
gnome
e
dell’eubulia), atto ad assumere decisioni ad hoc.
L’epichèia è la virtù che permette di affrontare le
situazioni particolari, applicando il principio di
giustizia secondo esigenze straordinarie.
La Prudenza
La Prudenza va scomposta nelle sue parti
costitutive:
 a)
parti soggettive: memoria, intelligenza,
docilità, solerzia, razionalità, provvidenza,
circospezione, cautela,
 b)
parti integranti: prudenza individuale,
prudenza politica, prudenza economica,
prudenza sociale;
 c) parti potenziali: eubulia, sinesi, gnome.
La Fortezza

La Fortezza può essere detta anche coraggio.
Le parti principali che la costituiscono sono la
pazienza, la tenacia o perseveranza e la
magnanimità.

Questa è una virtù tipica di chi è disposto a
rischiare, come l’imprenditore.
La Temperanza

La Temperanza è strutturata come segue,
ovvero ne fanno parte le seguenti virtù: la
verecondia, l’onestà, l’astinenza, la sobrietà, la
pudicizia, la continenza, l’umiltà, la
mansuetudine, la clemenza, la modestia.
Le tre virtù principali - I



le tre virtù principali per il processo di
miglioramento, che devono essere, prima
riconosciute, e poi esercitate, sono:
L’Umiltà, che è un sentirsi vicino alla terra
(humus), e dunque fallibili e fragili.
L’Obbedienza, che è un mettersi in ascolto (obaudire), in piedi, e pronti ad agire secondo
saggezza e conoscenza (competenze).
Le tre virtù principali - II

Il Silenzio, che non è un vuoto mentale o
l’assenza di proposte, ma il momento e il modo
che le fa maturare. Collegate al silenzio e
funzionale ad esso sono la sobrietà e la
proprietà di linguaggio.

I tre concetti dovrebbero essere declinati alla
luce, però, di un quarto concetto unificante,
quello di Persona, come essere razionale
autocosciente libero.
La Leadership - I


Innanzi tutto osserviamo le figure che San
Benedetto esamina nella sua regola.
1. L’abate è la figura trattata che pone, in primis,
con grande evidenza, la questione della
leadership. San Benedetto insegna che
l’autorità non deve essere assoluta, perché
anche l’abate deve rispondere a qualcuno, che
è il Signore.
La Leadership - II

Potremmo affermare che il leader aziendale,
come l’abate, deve analogamente rispondere
all’azionista, così come a lui rispondono i
manager, che il Santo chiama decani, tra i
quali vi è il priore, una sorta di primus inter
pares, o di amministratore delegato.
La Leadership - III


2. Il cellerario, che si occupa dell’economia del
monastero, è assimilabile al direttore
amministrativo e finanziario dell’azienda
moderna. Egli, come il priore deve essere
prudente, non smodato nel bere nel mangiare,
oculato nell’amministrare.
Il testo della Santa regola giunto fino a noi è
ricco di dettagli, perché la cura del dettaglio e
dei
segnali
deboli
provenienti
dall’organizzazione sono fondamentali per la
sua gestione.
La Leadership - IV

3. Vi è poi il guardiano, che si occupa degli
approvvigionamenti e della vendita dei prodotti,
senz’altro assimilabile a chi in azienda si occupa
degli aspetti logistici, commerciali e del
marketing.

San
Benedetto
raccomanda
anche
la
consultazione dei monaci, che noi possiamo
tradurre anche con comunicazione strategica.
Lavoro e Riflessione

Tutti devono sempre sapere dove si sta
andando e tutti devono sentirsi coinvolti.
San Gregorio Magno, che fu il biografo di
Benedetto,
sottolineò
soprattutto
la
compenetrazione profonda fra lavoro e
preghiera. La preghiera, nell’azienda moderna,
potrebbe essere comparata con la riflessione,
sia analitica sia sintetica.
Il “Know how” sull’Uomo

I monaci benedettini con il loro motto “Ora et
Labora” possiedono dunque da un millennio e
mezzo, si può dire, il know how intellettuale e
morale di un’organizzazione intrinsecamente
sana, perché provvista di una profondissima e
attualissima cultura sapienziale sull’uomo,
che non può diventare obsoleta, poiché si
richiama a ciò che dell’uomo non muta, la sua
struttura esistenziale profonda.
La Persona e l’Umiltà - I
L’uomo è autonomo e libero, [1] ma deve fare i
conti con la propria finitezza naturale, con la
parabola della propria crescita, sviluppo e
declino fisico (e talora mentale).
 Occorre
sempre “ricordarsi” (vale a dire
richiamare al cuore, e non solo tramite il
processo mentale della memoria) ciò che si è e
ciò che ci può riguardare: debolezza e coraggio,
salute e malattia sono possibilità esistenziali
sempre presenti.
La Persona e l’Umiltà - II

Il potere e le disponibilità economiche presenti a
livello soggettivo, non impediscono che ogni
essere umano rimanga irrimediabilmente e
necessariamente “prigioniero” della propria
“creaturalità” e del proprio limite.

Occorre anche mettere in subordine la propria
volontà (e il proprio orgoglio) quando questa è
contraria al conseguimento, con gli altri, del
bene comune (il risultato aziendale).
La Persona e l’Umiltà - III


L’umiltà[1] è anche fomite e origine della
sobrietà, poiché non vi può essere umiltà se non
nella consapevolezza che i mezzi materiali sono
da considerare sempre tali, e mai un fine o un
modo di autoaffermazione individuale.[2]
L’umiltà è parola fuori moda, desueta, e può
dare anche fastidio, ma la sua essenza avvicina
l’homo all’humus dell’inizio della vita, all’origine
del Tutto.
La Persona e l’Umiltà - IV

Esercitando la virtù di umiltà, vi deve essere
l’accettazione dei ruoli diversi, nell’ambito di una
gerarchia razionale, non confondendo la
nozione della pari dignità tra gli umani[1] con la
nozione
dell’irriducibile
differenziazione
intersoggettiva.[2]
Le Opzioni dell’Umiltà
Che cosa scegliere?






Voglio oppure mi piacerebbe?
Io oppure noi?
Non hai capito oppure forse non mi sono spiegato
bene?
Io non avrei fatto così oppure non so cosa avrei fatto
al posto suo?
Bisogna fare così oppure si potrebbe fare così?
A me non la si fa oppure di solito mi accorgo
I Dodici Gradi dell’Umiltà - I






Fuggire la leggerezza e la dissipazione.
Non seguire immediatamente i propri desideri.
Sottomettersi al superiore in obbedienza.
Accettare la sofferenza in silenzio.
Ammettere i cattivi pensieri e le colpe.
Accontentarsi di quello che si ha senza pretese.
I Dodici Gradi dell’Umiltà - II






Qualificarsi come l’ultimo.
Osservare la Santa Regola senza deflettere.
Tacere osservando il silenzio e rispondere se
interrogato.
Non ridere alzando la voce, perché è da stolti.
Esprimersi pacatamente e seriamente.
Essere, non solo apparire umili.
La Persona e l’Obbedienza - I


L’obbedienza è un grande bene perché muove
dall’ascolto attivo[1] dell’altro. Ob-audire è un
mettersi in stazione dignitosamente eretta di
fronte all’interlocutore, apprezzando la sua
parola, e, se del caso, seguendone le
indicazioni.
L’obbedienza è l’accettazione del limite e della
“verità del proprio essere”, ed è salutare come
prima manifestazione dell’umiltà.
La Persona e l’Obbedienza - II



L’obbedienza è ancora una virtù, nonostante il
suo essere “uscita di moda”, così come l’umiltà.
Bisogna
distinguere
tra
obbedienza
e
sottomissione, come negli esempi seguenti:
soldato/superiore,
bambino
indifeso/padre
violento, vittima/aguzzino,
L’obbedienza autentica, invece, è un “atto di
libertà”. Vediamo in che senso: nel senso di un
cedere libero e responsabile all’autorevolezza
dell’altro.
La Persona e l’Obbedienza - III



È anche una sospensione di giudizio sull’altro al
quale si obbedisce, in vista e nell’attesa di
conferme dell’autorevolezza.
Chi rischia di più nella dinamica dell’obbedienza
è chi la chiede, non chi la pratica.
L’esempio più alto e paradossalmente
illuminante è quello del richiesto sacrificio
d’Isacco ad Abramo da parte di Dio.[1] Abramo
obbedisce senza chiedersi il perché di tale
intervento divino. E viene fermato dalla mano
dell’Angelo sull’orlo
La Persona e l’Obbedienza - IV

L’obbedienza è dunque una virtù paradossale,
rispetto alla nozione corrente della crescita
personale e professionale individuale, oggi
molto connotata da esigenze urgenti di
conseguimento del successo, perché richiede
come corollario fondamentale la virtù di
pazienza, [1] in altre parole la capacità di
attendere che maturi la situazione per poter
richiedere, a propria volta, l’obbedienza agli altri.

La Persona e l’Obbedienza - V

L’obbedienza è la capacità di considerarsi con
realismo e onestà intellettuale, e di creare le
prospettive di un’abitudine[1] a richiederla,
dopo averla praticata.
La Persona e l’Obbedienza - VI
Il segno più evidente dell’umiltà è l’obbedienza.
 Senza dilazionare bisogna agire obbedendo.
 Si tratta di rinunciare alla propria volontà
facendo quella del superiore (noi diciamo “della
struttura” gerarchica).
 L’obbedienza deve fare mettere la sordina alla
proprie urgenze.
 La perfetta esecuzione del lavoro è simbolo
dell’accettazione dell’obbedienza.
 Occorre abolire la mormorazione, sia della
bocca sia del cuore.
La Persona e il Silenzio - I

Il silenzio, si sa, può essere di molti tipi:

vi sono silenzi leggeri e silenzi pesanti,
gradevoli e sgradevoli; vi è il silenzio di assenso
e il silenzio di dissenso. Il silenzio alto della
montagna ispira. Il silenzio rotto dalla risacca
marina fa compagnia.
Ma il silenzio non è un “qualcosa che manca”,
esso è piuttosto uno spazio/tempo di attesa e
maturazione, di ricerca, di apertura e
disponibilità al nuovo.

La Persona e il Silenzio - II


Pur essendo una “dimensione di assenza” il
silenzio è pieno e fecondo, se vissuto con
attenzione: essere attenti è un essere-presentisenza-ansia e dissipazione energetica.
Il silenzio che c’interessa è quello che favorisce
l’introspezione, la meditazione e la riflessione. È
la pace della vita interiore, il riposo dei e nei
valori più intimi. È presenza, dedizione e
premura a se stessi.
La Persona e il Silenzio - III


Il silenzio, perché sia utile, deve essere
ricercato liberando la psiche dai turbamenti.
Deve così diventare silenzio interiore, anche se
vigilante.
Esso deve liberare l’anima dalla molteplicità
delle impressioni, delle emozioni e degli eventi,
che a volte sono inezie e disturbo,
riconducendola all’unità di un sentire meditativo
e integrato.
La Persona e il Silenzio - IV

Il silenzio lavora in profondità, scendendo per
volute successive, dalla superficie dell’esistenza
alla consapevolezza dell’esistere.[1]

Il silenzio interiore va preparato con la
disposizione d’animo all’accoglienza umile del
proprio limite.[2] Esso rinvia alla condizione
primordiale di “prima della parola”.

La Persona e il Silenzio - V

Il silenzio va considerato come la diastole del
cuore umano, così come la sistole è il rumore
operativo. Oppure come l’inspirazione e
l’espirazione dell’aria del sistema polmonare.

Entrambi vita, entrambi indispensabili.[1]
È preferibile frenare la spinta naturale
all’eloquio, analizzando bene ciò che si vuol
dire.
Le molte parole, infatti, fanno sbagliare.


Commentario
tra i Vizi e le Virtù - I


Caritas perfecta mittit timorem, cioè “la carità
perfetta scaccia il timore”.[1] Che cosa significa?
Si può intendere in questo modo: se una
persona riesce a spogliarsi di tutti gli orpelli
dell’egoismo
e
dell’egocentrismo,
concentrandosi sulla propria finitezza e
creaturalità, riesce a liberarsi dall’ansia di dare
immediate risposte a tutto e a tutti, dalla smania
di piacere a tutti costi, e così facendo può
liberarsi anche dalla paura.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - II

La paura, come sappiamo, è una passione
dell’anima che appartiene all’umano, come
dimensione quotidiana, e come traiettoria,
causa ed effetto nel contempo, del sentimento
di provvisorietà esistenziale.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - III

Coloro che sono inflati superbia,[1] cioè “gonfiati
di superbia”, e soprattutto se sono dei decani,
(cioè dei responsabili aziendali) devono essere
ripresi per tre volte e poi rimossi dall’incarico.
Così anche deve essere fatto per il priore
(paragonabile a un direttore generale). Così
suggeriva San Benedetto ai suoi abati. E noi
che facciamo?
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - IV

Ricordiamoci che la superbia, la quale, collegata
alla vanagloria[1] e all’orgoglio malsano,[2] è
il primo e più grave dei vizi capitali, anzi è caput
vitiorum, origine di tutti i vizi. Abbiamo
innumerevoli esempi di superbia, in ogni
ambiente umano e in ogni momento e luogo
della storia.[3]
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - V

I più grandi crimini nascono all’ombra della
superbia. In proporzione, si può dire che la
superbia crea le condizioni del crimine, o
perlomeno dell’imbroglio e dell’offesa agli altri e
ai loro beni. Il superbo, in definitiva, pensa che a
lui proprio sia tutto concesso, al di là del bene e
del male, che valgono normalmente come
parametri morali per tutti gli altri.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - VI

Si quis frater frequenter correptus pro qualibet
culpa,
si
etiam
excommunicatus
non
emendaverit, acrior ei accedat correptio, id est
ut verberum vindicta in eum procedant,[1] cioè
“Se un monaco, già ripreso più volte per una
qualsiasi colpa, non si correggerà neppure
dopo una scomunica, si ricorra a una punizione
ancora più severa e cioè al castigo corporale”.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - VII

Quando una persona si ostina a sbagliare,
insegna la Regola, bisogna adottare un sistema
che la porti ad emendarsi, passando per varie
fasi. Analogamente, in azienda va ponderato
con equilibrio il rapporto che deve esserci fra
dimensione della relazione gestionale e
dimensione della relazione disciplinare. La
prima fase è rappresentata dalla correzione e
dal biasimo, mentre la seconda è regolamentata
dalle Leggi del lavoro (300/70) e dai Contratti
Collettivi. Fino al licenziamento disciplinare, che
deve essere attuato.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - VIII

Omniaeque omnium sint communia, ut
scriptum est, ne quisquam suum aliquid dicat
vel praesumat,[1] cioè “Tutto sia comune a
tutti, come dice la Scrittura, e nessuno dica o
consideri propria qualsiasi cosa”.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - IX

Non si tratta certamente di una forma di
comunismo ideologico, che potrebbe essere
sfruttato per significare come si possa
immediatamente applicare un principio del
genere ovunque,[1] ma di uno stimolo a non
porre mai se stessi al centro, come se si vivesse
un delirio di onnipotenza e di insostituibilità.
Quello che la Regola sottolinea è l’attenzione e
la cura del necessario, l’individuazione del
superfluo, il rifiuto di ciò che risulterebbe
dannoso
per
il
buon
andamento
dell’organizzazione.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - X

Ancora: (…) ubi qui minus indiget agat Deo
gratias et non contristetur,[1] cioè “(…) quindi
chi ha meno necessità, ringrazi Dio senza
amareggiarsi”, e: qui vero plus indiget humilietur
pro infirmitate, non extollatur pro misericordia,[2]
cioè “mentre chi ha maggiori bisogni, si umili per
la propria debolezza, invece di montarsi la testa
per le attenzioni di cui è fatto oggetto”. In questi
casi si deve anche evitare il grande male della
mormorazione
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XII


Parlando dell’uso del vino la Santa regola
espone un’importante principio che concerne la
virtù di sobrietà.
La misura proposta è di un quarto di litro al
giorno, ma le intenzioni di Benedetto legislatore
sono più profonde, e riguardano l’esigenza di
sviluppare un autocontrollo su tutti i beni di
consumo, anche se rispondenti ai bisogni
primari (cf. Maslow), come il cibo, i vestiti e la
casa. L’autocontrollo che diventa habitus, cioè
virtù, porta la persona a farsi bastare ciò che è
necessario, e a non soffrire in assenza del
superfluo. Che lezione se ne può trarre?
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XIII

Quod si quis in nocturnis vigiliis post gloriam
psalmi nonagesimi quarti, quem propter hoc
omnino subtrahendo et morose volumus dici,
occurrerit, non stet in ordine suo in coro,[1] cioè
“Se qualcuno arriva all’Ufficio notturno dopo il
Gloria del salmo 94, che proprio per questo
motivo vogliamo sia cantato lentamente e con
pause, non occupi il proprio posto nel coro”.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XIV

Sappiamo che è invalso in alcuni il vezzo di
arrivare in ritardo non curandosi nemmeno di
avvertire. Ciò denota un atteggiamento
quantomeno di sufficienza nei confronti di chi
aspetta. La punizione prevista dalla santa regola
è quella del ludibrio: uno che arriva in ritardo,
perciò, non dovrebbe trovare il suo solito posto,
ma dovrebbe essere collocato in fondo, fino alla
fine della riunione. (Sic!). Addirittura, la Santa
Regola, prevede, in caso di pervicace ritardo, il
toglimento del posto alla mensa comune.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XV

Si animae vero peccati causa fuerit latens, tantum
abbati aut spiritalibus senioribus patefaciat, qui sciat
curare et sua et aliena vulnera, non detegere et
publicare, cioè ”Se, mentre è impegnato in un qualsiasi
lavoro in cucina, in dispensa, nel proprio servizio, nel
forno, nell’orto, in qualche attività o si trova in un altro
luogo qualunque, un monaco commette uno sbaglio,
rompe o perde un oggetto o incorre comunque in una
mancanza, e non si presenta subito all’abate e alla
comunità per riparare spontaneamente e confessare la
propria colpa, sarà sottoposto a una punizione più
severa, quando il fatto verrà reso noto da altri.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XVI


Ma se il movente segreto del peccato fosse
nascosto nell’intimo della coscienza, lo manifesti
solo all’abate o a qualche monaco anziano, che
sappia curare le miserie proprie e altrui senza
svelarle e renderle di pubblico dominio”.
È straordinario l’equilibrio sotteso a questa linea
gestionale, perché insegna a valutare le vere
intenzioni dell’agente e a proporzionare la
sanzione, avendo anche attenzione per i casi
particolari.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XVII



Il Rispetto è un comportamento virtuoso ed è
da intendersi bene. Non significa, infatti, una
specie di accondiscendenza succube, ma la
capacità e la disposizione a mettersi di
fronte all’altro nell’atto di ascoltarlo, tenendo
conto del suo valore strutturale di persona.
Essa va applicata anche nei confronti dei Beni,
come un’Azienda.
È una virtù spesso mal compresa, o disattesa,
per noncuranza, superficialità, sottovalutazione
delle situazioni, perdita di vista dei contenuti
costitutivi dei ruoli e delle posizioni impersonati
dai soggetti.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XVIII


Otiositas inimica est animae, et ideo certis temporibus
occupari debent fratres in labore manuum, certis iterum
horis in lectione divina,[1] cioè “L’ozio è nemico
dell’anima, perciò i monaci devono dedicarsi al lavoro in
determinate ore e in altre, pure prestabilite, allo studio
della parola di Dio”.
La lezione che si può trarre da questo versetto a livello
aziendale è la seguente: occorre un orario di lavoro, o
comunque una progettualità che comprenda termini,
tempi e responsabilità di un lavoro.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XIX


La sapienza benedettina ci conferma come
l’umano abbia bisogno di essere conforme a
ciò che lo forma. Il lavoro è una delle
dimensioni più performanti ed efficaci.
L’azienda è dunque un luogo dove si produce
una formidabile pedagogia della crescita e della
maturazione individuale.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XX

Lo “studio della parola di Dio” può essere
metaforizzata, a livello aziendale, nella
formazione e nella riflessione organizzativa e
comportamentale: la formazione, da intendersi
come percorso di crescita professionale e
personale, la riflessione da intendersi come
messa in questione critica dei propri
comportamenti. Particolarmente importante, di
questi tempi, in presenza di una crisi profonda della
struttura familiare e del sistema scolastico.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXI

Frater qui pro quovis responsa dirigitur et ea die
speratur reverti ad monasterium, non praesumat
foris manducare, etiam si omnino rogetur a
quovis, nisi forte ei abbate suo praecipiatur,[1]
cioè “Il monaco che viene mandato fuori per
qualche commissione e conta di tornare in
monastero nella stessa giornata, non si
permetta di mangiare fuori, anche se viene
pregato con insistenza da qualsiasi persona, a
meno che l’abate non gliene abbia dato il
permesso”.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXII


La conferma che si può trarre è evidente, anche
sul piano aziendale. Bisogna stabilire regole
certe per la logistica delle trasferte, così come
rimborsi spese proporzionati.
Non è corretto chiedere rimborsi per trasferte
brevi, che sono da considerare come facenti
parte della quotidianità, così come bisogna
stabilire con chiarezza ciò che si intenda per
disagio da trasferta.[1]
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXIII

Su questo argomento la regola benedettina è
drastica:
Quod
si
aliter
fecerit,
excommunicetur, cioè “Se contravverrà a
questa prescrizione, sarà scomunicato”.

In linguaggio giuridico-legale corrisponde al
licenziamento.

Drastico.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXIV

(…) Ergo qui simile opus non facit, non
permittatur explicito Opere Dei remorari in
oratorio,
sicut
dictum
est,
ne
alius
impedimentum patiatur,[1] cioè “Perciò (come
abbiamo detto), chi non intende dedicarsi
all’orazione (o a quel dato lavoro), si guardi
bene dal trattenersi in chiesa dopo la
celebrazione del divino Ufficio, per evitare che
altri siano disturbati dalla sua presenza”.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXV

Quale insegnamento! Basta solo che facciamo
mente locale su quante volte accade in
azienda che vi siano presenze o improprie (nel
senso di non adatte o conformi al tema
trattato) o insufficienti (nel senso di un’assenza
di persone necessarie alla trattazione dei temi
all’ordine del giorno) per una determinata
riunione.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXVI

Vi sono multinazionali che hanno redatto linee
guida, non solo su chi deve presenziare a quella
determinata riunione, ma anche come deve
configurarsi il suo abbigliamento, il quale deve
essere
opportunamente
adattato
agli
interlocutori presenti, specialmente se si tratta di
ospiti esterni.[1]
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXVII

Nullatenus liceat monacho neque a parentibus
suis neque a quoquam hominum nec sibi
invicem litteras, eulogias vel quaelibet
munuscula accipere aut dare sine praecepto
abbatis,[1] cioè “Senza il consenso dell’abate
nessun monaco può ricevere dai suoi parenti o
da qualunque altra persona lettere, oggetti di
devozione o altri piccoli regali e neanche farne a
sua volta o scambiarli con i confratelli”.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXVIII

Apparentemente si tratta di una fattispecie non
paragonabile alle situazioni odierne, ma non è
così. L’insegnamento che se ne trae concerne
l’esigenza di avere molta cautela con regali e
prebende che potrebbero influire
psicologicamente sul comportamento
gestionale dei responsabili, fino a forme di
corruzione.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXIX

In fatti, in un versetto successivo San Benedetto
afferma: “(…) iam quod supra fuerit superfluum
est, amputari debet,[1] cioè “(…) il di più è
superfluo e deve essere eliminato. Si tratta di
una lezione improntata all’esigenza di
considerare sempre come esercizio (ascesi)
una certa sobrietà nel possesso e nell’uso dei
beni.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXX

(…) et si inventum fuerit quod ab abbate non
accepit, gravissimae disciplinae subiaceat,
cioè “(..) e se si scoprisse qualcuno in
possesso di un oggetto che non ha ricevuto
dall’abate, sia sottoposto a una gravissima
punizione”.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXXI

Qual è la morale che se trae? Che la proprietà,
se non è collocata nel giusto scenario interiore,
può diventare una condizione pericolosa, sia per
chi gestisce, sia per chi opera.

Non si tratta dunque di una sorta di
criminalizzazione della proprietà, ma di una
“messa in guardia” circa ciò che vi è connesso,
in termini di egolatria e di possibile fomite di
arroganza contro gli altri.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXXII

La lezione di Benedetto lavora sempre su
piani psicologici molto sottili, mostrando i “lati
oscuri” dell’umano.

Lati oscuri che spesso si nascondono dietro
patine di perbenismo e di correttezza o di
fidelizzazione solo apparenti.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXXIII



Artifices si sunt in monasterio cum omni
humilitate faciant ipsas artes, si permiserit
abbas.
Quod is aliquis ex eis extollitur pro scientia artis
suae, eo quo videatur aliquid conferre
monasterio,
hic talis erigatur ab ipsa arte et denuo per eam
non transeat, nisi forte humiliato ei iterum abbas
iubeat,[1]
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXXIV

…cioè “Se in monastero ci sono fratelli esperti in
un’arte o in un mestiere, li esercitino con la
massima umiltà, purché l’abate lo permetta. Ma
se qualcuno di loro monta in superbia, perché
gli sembra di portare qualche utile al monastero,
sia tolto dal suo lavoro e non gli sia più
concesso di occuparsene, a meno che non
rientri in se stesso, umiliandosi, e l’abate non
glielo permetta di nuovo”.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXXV

Questa è un’indicazione importantissima,
perché spiega come i “bravi”, a volte, mentre si
mostrano tali, si gonfiano di superbia ritenendosi
indispensabili, e cominciano a guardare dall’alto
in basso i colleghi, mentre invece dovrebbero
semplicemente mettere a disposizione i loro
saperi e competenze, in quanto si trovano lì per
quello. Un controllo attento di questa deriva
permette di far capire che nessuno è
assolutamente indispensabile.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXXVI

Noviter veniens quis ad conversationem, non
ei facilis tribuatur ingressus (…),
cioè
“Quando si presenta un aspirante alla vita
monastica, non bisogna accettarlo con troppa
facilità”.

Eccoci al grande insegnamento sulla
selezione del personale.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXXVII


Addirittura, la Santa Regola prevede che vi sia
un rigoroso percorso di inserimento, che
permette di valutare, non solo le doti intellettuali
e morali della persona, ma anche il grado di
umiltà che questa mostra, accettando di stare
in condizioni di relativa precarietà per un certo
periodo.
Si pone quindi il grande tema della
precarietas,[1] che va intesa bene, come
situazione di insicurezza educante, e di
atteggiamento disponibile.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXXVIII



Si quis monachus peregrinus de longiquis
provinciis supervenerit, si pro hospite voluerit
habitare in monasterio,
et contentus est consuetudinem loci quam
invenerit, et non forte superfluitate sua perturbat
monasterium,
sed simpliciter contentus est quod invenerit,
suscipiatur quanto tempore cupit,[1]
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXXIX

…cioè “Se un monaco forestiero, giunto di
lontano, vuole abitare nel monastero in qualità
di ospite e si dimostra soddisfatto delle
consuetudini locali, accontentandosi con
semplicità di quello che trova, senza
disturbare la comunità con le sue pretese, sia
accolto per tutto il tempo che desidera”.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXXX

Si potrebbe dire che la comunità di accoglienza
(l’Azienda) può misurare l’ospite sulla base di
questi criteri. Di che ospite può trattarsi? Ad
esempio: di un consulente, di un trasfertista
della Casa madre, di un inviato dal cliente.

La qualità relazionale che questo ospite sarà
riuscito a stabilire suggerirà anche le decisioni
future in merito alla sua collaborazione.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXXXI

Ordines suos in monasterio ita conservent ut
conversationis tempus ut vitae meritum discernit
utque abbas constituerit,[1] cioè “Nella comunità
ognuno conservi il posto che gli spetta secondo
la data del suo ingresso o l’esemplarità della
sua condotta o la volontà dell’abate”.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXXXII

Si tratta di uno straordinario esempio di
sapienza gestionale: sono previsti tutti e tre
gli elementi, anche se in “ordine sparso”,
quello dell’anzianità di entrata, quello delle
qualità individuali e quello della volontà
dell’abate.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXXXIII

Anche in azienda non può che funzionare così:
ogniqualvolta si deve decidere di un passo di
carriera di una persona, occorre fare un
benchmark interno sull’anzianità, una riflessione
sul profilo professionale,e infine, a coronamento
di tutto, si deve verificare la volontà del
decisore, il quale deve, però, essere informato
di tutto, in modo corretto e completo.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXXXIV

Successivamente, per chiarire il suo pensiero
Benedetto fa scrivere: (…) et in omnino locis
aetas non discernat ordines nec praeiudicet,[1]
cioè “ (…) e in nessuna occasione l’età
costituisca un criterio distintivo e pregiudizievole
per stabilire i posti”.

Chiarissimo.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXXXV

Che cosa impariamo da questa indicazione del
Santo? Qualcosa di molto semplice, ma di non
banale: che bisogna anche avere cura delle
forme
espressive
dei
rapporti
interpersonali, sia tra pari livello, sia tra
persone di diverso livello.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXXXVI


Infatti, nella contemporaneità è invalso l’uso di
forme espressive (di saluto, di interlocuzione,
di dialogo), che non sempre riflettono il reale o
l’opportuno grado di confidenza.
Qualcosa in merito bisognerebbe ripensare e
modificare.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXXXVII

Vitae autem merito et sapientiae doctrina
eligatur qui ordinandus est, etiam si ultimus
fuerit in ordine congregationis,[1] cioè “Il futuro
abate deve essere scelto in base alla vita
esemplare e alla scienza soprannaturale,
anche se fosse l’ultimo della comunità”.

La lezione è forte, fortissima: non devono,
dunque, in questi casi, pesare influenze e
raccomandazioni, ma solamente le qualità
morali e intellettuali del candidato.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XXXXVIII


I complotti e le macchinazioni che possono
essere orditi per impedire l’elezione della
persona più meritevole, devono essere scoperti
e scongiurati.
Il Capo, o, come dice la Regola, l’Abate, “non
deve spezzare la canna incrinata”, ma
rimuoverla con carità e pazienza, cercando
di essere più amato che temuto.[1]
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - XIL

La lezione concerne i modi dell’esercizio del
potere, che deve essere sempre finalizzato al
maggior bene comune, sapendo chi è a capo,
di essere anch’egli fragile e cagionevole per la
comune condizione che lega tutti gli esseri
umani.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - L

Saepius quidem contigit ut per ordinationem
praepositi scandala gravia in monasteriis
oriantur,

dum sint aliqui malignu spiritu superbiae inflati
et aestimantes se secundos esse abbates,
assumentes sibi tyrannidem, scandala nutriunt
et dissensiones in congregationes faciunt,
(…),[1]
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - LI

cioè “Accade spesso che la nomina del
priore dia origine a gravi scandali, perché
alcuni, gonfiati da un maligno spirito di
superbia e convinti di essere altrettanti abati,
si attribuiscono indebitamente un potere
assoluto, fomentando litigi, creando divisioni
nelle comunità, (…)”.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - LII

Questo passo sottolinea l’importanza di
definire bene il ruolo dei dirigenti e dei vari
responsabili (quadri, capiufficio/reparto, etc.),
per evitare che vi siano invasioni di campo,
interpretazioni soggettive delle responsabilità
e dei poteri attribuiti, creando così anche gravi
danni all’organizzazione.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - LIII

Nell’azienda contemporanea, a volte, si
preferisce, anche giustamente, una certa
destrutturazione e informalità, ma ciò deve
essere sempre accompagnato da una
vigilanza assidua sui comportamenti di coloro
che assolvono, talora, a deleghe di carattere
superiore
alla
posizione
puntualmente
ricoperta.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - LIV

Più sotto la Regola afferma: Hinc suscitantur
invidiae, rixae, detractiones, aemulationes,
dissensiones, exordinationes, (…),[1] cioè “Di
qui nascono invidie, liti, maldicenze, rivalità,
divisioni e disordini di ogni genere”.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - LV



Si qui fratri aliqua forte gravia aut impossibilia
iniunguntur, suscipiat quidem iubentis imperium
cum omni mansuetudine et oboedientia.
Quod si omnino virium suarum mensuram
viderit pondus oneris excedere, impossibilitatis
suae causa ei qui sibi praeest patienter et
opportune suggerat.,
non
superbiendo
aut
resistendo
aut
contradicendo,[1]
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - LVI

cioè “Anche se a un monaco viene imposta
un’obbedienza molto gravosa, o addirittura
impossibile a eseguirsi, il comando del
superiore deve essere accolto da lui con
assoluta sottomissione e soprannaturale
obbedienza. Ma se proprio si accorgesse che si
tratta di un carico, il cui peso è decisamente
superiore alle sue forze, esponga al superiore i
motivi della sua impossibilità con molta calma e
senso di opportunità, senza assumere un
atteggiamento
arrogante,
riluttante
o
contestatore”.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - LVII

Traendo spunto da questi versetti, si rileva
l’esigenza di operare con pazienza nella
formazione dei collaboratori, puntando
sulla crescita primaria del sostrato morale
e personale.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - LVIII


La Santa Regola si conclude invitando
ciascuno a stare al proprio posto, evitando di
assumersi ruoli e responsabilità che non si
hanno
In particolare invita a non “arrogarsi le difese dei
confratelli”, né “la riprensione dei confratelli”,
perché questo è compito dell’abate o di chi
questi deleghi a farlo, secondo la sua saggezza.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - LIX


L’essenziale insegnamento che se ne trae è
significativo ancora oggi, poiché nulla è
cambiato (cf. Premessa) nell’umano, dai tempi
di Benedetto.
Il suo valore è di recuperare le virtù
fondamentali che costituiscono il fondamento
del comportamento umano, cioè di ogni
soggetto razionale autocosciente, sia verso se
stesso, sia verso gli altri e l’ambiente in cui
opera.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - LX

E, riassumendo, rimette al centro le virtù
cardinali (cioè costituenti un cardine),
corroborate dall’Umiltà, dall’Obbedienza e dal
Silenzio, quasi che queste ultime tre
costituiscano una specie di ambientazione
positiva dell’agire umano libero.
Commentario
tra i Vizi e le Virtù - LXI

La lezione grandiosa del Santo di Norcia,
Subiaco e Cassino, e di migliaia di altri
monasteri è dunque ancora uno dei capisaldi
del sapere umano dell’Occidente, e una
continua fonte di gioiose scoperte, conferme e
incoraggiamenti ad agire secondo il fine, che
è l’Uomo stesso, nella sua integrale
grandezza.
Scarica

Santa_Regola_di_San_Benedetto