L’occhio e la visione - Richiami anatomici Lo studio della funzione visiva è molto complesso in quanto si basa su conoscenze diverse: - fisica: lo stimolo specifico è la luce “visibile”, - anatomia e fisiologia dell’organo di ricezione: l’occhio, - anatomia e fisiologia del sistema di conduzione e di decodificazione: il nervo ottico, la sinapsi, la corteccia e le interrelazioni con i centri vicini. Ci limiteremo ad esaminare l’occhio, quell’organo che, a ben vedere, è molto più di un recettore, essendo costituito da: - un sistema ottico che permette di ottenere un’immagine netta, - un organo d’analisi e di pre-trattamento dell’informazione: la retina. L’occhio e la sua struttura L’occhio è simile ad una sfera di circa 2.5 cm. di diametro. La luce penetrando nell’occhio, attraversa dapprima la cornea, parte anteriore e trasparente della sclerotica che costituisce il “guscio” del globo oculare. Alla cornea corrisponde circa il 60% del potere convergente dell’occhio. Fra la cornea e il cristallino si trova l’umore acqueo. La pupilla è un diaframma che ha per compito quello di diminuire la quantità di luce in un rapporto da 1 a 25. Misura circa 1 o 2 mm. quando è serrata (miosi), e 7 o 8 mm. di diametro quando è aperta (midriasi). Il cristallino ha la forma di una lente biconvessa. E’ formato da strati cellulari concentrici disposti attorno ad un nucleo più duro, all’interno di una capsula deformabile. Il suo potere contribuisce per 1/3 al potere totale dell’occhio ed è variabile, dal momento che il cristallino può cambiare forma per l’azione dei muscoli ciliari. Invecchiando, il cristallino diventa meno elastico e non permette più un’accomodazione sufficiente per la visione da vicino: si tratta del fenomeno della presbiopia. Alcuni stati metabolici fisiologici (come la gravidanza) o patologici (per esempio il diabete), modificano la sua composizione in percentuale d’acqua; ciò ha per effetto la modifica del potere, talvolta in modo irreversibile. SCLERA RETINA UMORE ACQUEO ACQUEO NERVO OTTICO FOVEA CORNEA CRISTALLINO UMORE VITREO Sezione orizzontale dell’occhio umano Tessuto nobile dell’occhio, la retina è più che un mosaico di cellule sensibili alla luce: rappresenta anche il primo stadio dell’analisi della luce stessa. E’ costituita da tre piani funzionali: uno di percezione e due di trasmissione pretrattamento (reti di neuroni). Il piano di percezione, per semplificare, è composto da due tipi di cellule: i bastoncelli e i coni che sono ripartiti in modo ineguale nella retina. A livello della fovea (zona centrale della retina che misura 1-2 mm.), sono presenti solo coni in gran numero. Quanto più ci si allontana verso la periferia, i bastoncelli diventano più numerosi in proporzione. Se ci si allontana ancora, i recettori diventano molto rari (tra 60 ed 80° della fovea). In una retina umana, vi sono circa da 6 a 7 milioni di coni e da 110 a 130 milioni di bastoncelli. I bastoncelli sono insensibili ai colori e funzionano soltanto a luminosità debole. Sono presenti in tutta la retina, eccetto che a livello della fovea. Diversi bastoncelli sono collegati allo stesso protoneurone visivo; ciò aumenta la sensibilità a scapito dei dettagli, soprattutto verso la periferia. I coni sono sensibili alla luce e funzionano solo con buona illuminazione. La loro densità è massima nella fovea e diminuisce molto rapidamente verso la periferia. I coni sono collegati ad un solo neurone a livello di fovea. L’inizio del nervo ottico sulla retina si chiama papilla. Questa zona è priva di recettori e corrisponde quindi all’area cieca. E’ possibile verificare ciò molto semplicemente: - collocarsi a 30 cm. dal disegno, coprire l’occhio sinistro e fissare l’albero con l’occhio destro. L’immagine del cane sparirà. Avvicinandosi e allontanandosi, il cane appare di nuovo, dal momento che la sua immagine si forma sulla retina piuttosto che sulla papilla. I muscoli oculomotori permettono i movimenti oculari. Vi sono quattro muscoli destri (superiore e inferiore, interno ed esterno) e due obliqui. Sono responsabili della direzionalità di ciascun occhio e del parallelismo di entrambi gli occhi. Processo visivo Le cellule della retina contengono un pigmento foto-sensibile: la rodopsina. Quando la luce colpisce una cellula fotorecettrice, la rodopsina è distrutta (poi rigenerata), liberando un potenziale che finisce per eccitare il protoneurone, il deutoneurone, la sinapsi e infine la corteccia. Inoltre, i coni contengono pigmenti sensibili ai colori. Tre tipi di pigmento presentano un massimo d’assorbimento per tre lunghezze d’onda diverse: blu, verde e rosso. Queste tre risposte permettono la visione dei colori. Visione binoculare La fusione delle immagini retiniche di ciascun occhio permette una rappresentazione unica che si definisce visione binoculare. Ciò è possibile quando l’insieme del sistema visivo appena descritto funziona in modo armonico. L’acuità visiva - Emmetropia e ametropie La restituzione dei dettagli dipende principalmente: - dalle cellule visive, in particolare dalla loro densità (massima nella fovea), dalla qualità della loro risposta e dalla trasmissione che ne viene effettuata. - dall’oggetto: illuminazione, colore, forma. - dall’ottica oculare, che forma sulla retina un’immagine più o meno chiara e netta (refrazione, diametro pupillare, trasparenza). Dal momento che il cervello ricostituisce la visione a partire dalle informazioni che provengono dai due occhi, la restituzione dei dettagli dipende anche dalla binocularità, cioè dalla coerenza delle informazioni stesse e dalla loro complementarità. Nelle parti seguenti supponiamo di prendere in considerazione un soggetto la cui retina, vie di conduzione e corteccia siano normali; ci occuperemo inoltre solamente di condizioni diottriche di visione netta. Il limite di risoluzione E’ lo spazio minimo che separa due punti, in modo che il soggetto li possa distinguere l’uno dall’altro. E’ indispensabile che i due punti dello spazio comprendano almeno tre coni. Se si calcola lo spazio che separa due cellule fotorecettrici, prendendo come valore separatore 30”, ci si rende conto che questa legge non vale esattamente nella regione centrale (se ne ammette tuttavia la validità per motivi di semplificazione). Il potere separatore E’ l’angolo che corrisponde al limite di risoluzione. E’ di circa 30 secondi (30”) o 1/2 minuto (1/2’) L’acuità visiva Se si prendono in considerazione non più due punti, ma un oggetto bersaglio conosciuto, esiste un angolo minimo sotto il quale il soggetto potrà riconoscere l’oggetto stesso. I bersagli utilizzati nei tests d’acuità (lettere, cifre, disegni) sono chiamati ottotipi. L’acuità visiva si esprime in decimi. L’acuità di 10/10 è definita come un ottotipo visto sotto un angolo di 5’, ciascun dettaglio del quale è visto sotto un angolo di 1’. ottotipo α=5' α=1' Tale acuità non corrisponde al massimo, anzi si tratta di un’acuità media. Un soggetto giovane, sottoposto ad esame con ottotipi di lettere e cifre, può raggiungere un’acuità di 14 o 16/10. L’acuità, misurata con altri oggetti i cui dettagli vengano ugualmente visti sotto un angolo di 1’, può anche essere di 30/10 (punto isolato) o addirittura 50/10 (linea isolata). Emmetropia e ametropia In visione da lontano, un occhio si dice emmetrope quando fornisce di un oggetto all’infinito, un’immagine netta sulla retina. Nel caso contrario, ci si trova in presenza di un’ametropia (miopia, ipermetropia, astigmatismo). Occhio emmetrope Formazione di un’immagine normale piano Focale dell’occhio L’immagine si forma esattamente sulla retina In un soggetto normale in stato di riposo, soltanto gli oggetti situati all’infinito saranno visti in modo netto, dal momento che si trovano sul piano focale dell’occhio (e quindi sulla retina). Miopia Quando l’occhio miope fissa un oggetto all’infinito, l’immagine si forma davanti alla retina e il soggetto vede sfuocato. In caso di miopia, l’occhio si comporta come un sistema troppo convergente (il suo potere è troppo forte). La miopia può avere diverse cause. La più frequente è la miopia assiale, dovuta ad un allungamento dell’occhio. A B In caso di miopia, l’immagine si forma davanti alla retina, sia perché il sistema è troppo convergente (A), sia perché l’occhio è troppo lungo (B). In presenza di miopia, l’acuità cala molto rapidamente. ____________________________________________ Valore della miopia (diottrie) _______________ Acuità 0 -0,25 -0,5 -0,75 -1,25 -2,5 12/10 8/10 6/10 4/10 2/10 1/10 _____ ____________________________________________ La miopia generalmente compare in modo brusco fra il 7° e il 18° anno, poi si evolve per gradi; tale peggioramento è più rapido quando la miopia si manifesta presto (prima dei 6 anni), mentre è più lento quando inizia tardi (12-18 anni). L’ametropia può comparire tardivamente. Il tal caso il soggetto deve immediatamente consultare il proprio oculista, perché l’origine potrebbe essere patologica. Ipermetropia Quando un occhio ipermetrope fissa un oggetto all’infinito senza accomodare, l’immagine si forma dietro alla retina e il soggetto vede sfuocato. In caso di ipermetropia, il potere dell’occhio a riposo è insufficiente. L’immagine si forma dietro la retina. L’ipermetropia rappresenta uno stato normale alla nascita, poi diminuisce e l’occhio tende all’emmetropia. Il forte potere di accomodazione del neonato consente spesso di compensare tale ipermetropia. L’ipermetropia più diffusa è quella assiale, cioè l’occhio è troppo corto. In visione da lontano, l’ipermetrope può compensare (senza rendersene conto) il proprio difetto, ricorrendo all’accomodazione. L’acuità appare dunque normale, ma l’accomodazione richiede uno sforzo che è fonte di affaticamento. Una delle difficoltà di rilevamento consiste quindi nel neutralizzare l’effetto dell’accomodazione d’adattamento. Questo risulta tanto più vero quanto più l’ipermetropia è debole e il soggetto è giovane; infatti, la capacità di accomodazione diminuisce molto rapidamente con l’aumento dell’età. Per tentare di rimuovere tale ERGOVISION® propone due test: difficoltà nel corso del rilevamento, - Il test bicromatico (rosso/verde) - Il test della lente addizionale (+1.00 diottria). Il test bicromatico E’ basato sull’aberrazione cromatica dell’occhio. In effetti, i raggi luminosi non convergono tutti esattamente nello stesso punto in funzione della loro lunghezza d’onda. Per esempio: - Il rosso, la cui lunghezza d’onda è elevata (590 nm), focalizzerà dietro rispetto alla radiazione gialla che si trova nel mezzo dello spettro visibile; - Il verde, la cui lunghezza d’onda è più corta (540 nm), focalizzerà al contrario davanti alla radiazione gialla. L’occhio emmetrope presenta la radiazione gialla focalizzata sulla retina. giallo rosso verde verde rosso Un miope vedrà dunque meglio il rosso, dal momento che il suo occhio è più lungo, mentre un ipermetrope (occhio corto) vedrà meglio il verde. Si possono rilevare anche le ipermetropie deboli, indipendentemente dall’accomodazione, in quanto tali soggetti preferiranno il verde, la cui focalizzazione sarà in ogni caso più vicina alla retina. Il test della lente addizionale +1.00 diottria In questo test si colloca davanti all’occhio una lente di +1.00 diottria. Questo produce l’effetto di rendere miope un soggetto emmetrope, la cui acuità cala a 4/10. Se il soggetto è ipermetrope, la lente avrà la tendenza a correggere l’ipermetropia e a rendere quindi il soggetto stesso emmetrope. La sua visione tenderà a migliorare o, almeno, a non peggiorare. Astigmatismo Quando il potere non è uguale in tutti i meridiani dell’occhio, i raggi non convergono nello stesso punto: in tal caso si dice che l’occhio è astigmatico. La variazione di potere dei diversi meridiani dell’occhio è dovuta alla non sfericità di uno o più diottri, cornea e cristallino. L’astigmatismo è in generale dovuto piuttosto ad un difetto di sfericità della parte anteriore della cornea. Quando l’occhio è astigmatico, ciascun meridiano presenta una propria convergenza. Esiste dunque una convergenza massima (il meridiano più curvo) e una convergenza minima (meridiano meno curvo). Generalmente, questi due meridiani sono perpendicolari e in tal caso si dice che si tratta di un astigmatismo regolare (irregolare nel caso contrario). Quando il meridiano più curvo (convergenza massima) è verticale, si parla di astigmatismo diretto che rappresenta il caso più frequente. Si dice invece inverso quando l’asse è orizzontale. Esiste inoltre un astigmatismo obliquo. L’occhio astigmatico possiede dunque due focali corrispondenti alle due curvature della cornea. La situazione di queste due focali f1 e f2 in rapporto alla retina permette di distinguere 5 tipi di astigmatismo: asse verticale asse orizzontale f1 f2 Astigmatismo regolare (assi perpendicolari) inverso (potere massimo sull’asse orizzontale) Nel caso di astigmatismo diretto, la focale corrispondente all’asse verticale si trova davanti rispetto a quella corrispondente all’asse orizzontale. Ecco i cinque tipi di astigmatismo: retina f1 f2 Astigmatismo f2 f1 f2 f1 astigm atism o iperm etropico com posto astigm atism o iperm etropico sem plice astigm atism o misto diretto f1 f1 f2 f2 astigm atism o miopico semplice astigm atism o miopico com posto Naturalmente si può utilizzare la stessa classificazione per gli astigmatismi indiretti, ottenendo un totale di 10 possibilità. L’occhio astigmatico non può vedere in modo netto simultaneamente una linea verticale e una linea orizzontale. Vedrà nettamente solo quella linea la cui direzione corrisponde alla focale situata sulla retina. Si sfrutta questa proprietà per rilevare l’astigmatismo servendosi di un punto di mira radiale. Il soggetto astigmatico non corretto presenterà in ogni caso una diminuzione di acuità. La Presbiopia Il sistema visivo è concepito per funzionare in tutte le condizioni di distanza (VL, VI, VV). Questo é possibile grazie al meccanismo dell’accomodazione che corrisponde ad una modificazione del potere ottico totale dell’occhio per la deformazione del cristallino. Il cristallino è una lente convergente costituita da strati sovrapposti “a cipolla” attorno al nucleo. La contrazione del muscolo ciliare porta ad un aumento della sua curvatura e dell’indice di refrazione e quindi del suo potere. Il punto R sull’asse, visto nettamente da un occhio che non accomoda, è chiamato Punctum Remotum (punto remoto/lontano). Si trova all’infinito per il soggetto emmetrope, reale e a distanza finita per un miope; per un ipermetrope si tratta di un punto virtuale, cioè il fascio luminoso convergerà verso un punto situato al di là dell’occhio. Il punto P, visto nettamente accomodato al massimo, è detto Punctum Proximum (punto prossimo/vicino). Per tutti i soggetti (emmetrope, miope, ipermetrope), rappresenta il punto più vicino visto nettamente mentre il Punctum Remotum è il più lontano. La distanza che separa questi due punti è il percorso d’accommodazione. retina Emmetrope PP PR PR PR PP Miope PP Ipermetrope La presbiopia è la diminuzione del potere d’accomodazione dell’occhio, dovuto alla perdita di elasticità del cristallino. Colpisce ametropi ed emmetropi a partire dall’età di circa 40 ÷ 50 anni ∆ 14 12 10 8 6 4 2 0 Accommodazione soggettiva Accommodazione oggettiva 10 20 30 40 50 60 70 età Evoluzione del potere d’accommodazione soggettivo e oggettivo ( =diottrie) in funzione dell’età L’ampiezza oggettiva d’accomodazione traduce la variazione di potere del cristallino, mentre l’ampiezza soggettiva include anche la profondità di campo. Quest’ultima viene tradizionalmente misurata per prescrivere la correzione della visione da vicino. Questi due parametri variano in funzione dell’età secondo lo schema proposto qui sopra. L’accomodazione si accompagna a due altri meccanismi: - la convergenza dei due occhi (modificazione degli assi di sguardo), - la miosi, cioè la riduzione del diametro della pupilla. La presbiopia, le cui conseguenze diventano fastidiose attorno ai 45 anni, si manifesta precocemente quando l’irradiazione luminosa è insufficiente. Quando invece l’oggetto è fortemente illuminato, la miosi è più serrata (2 mn per esempio) e la profondità di campo aumenta. L’effetto “presbiopia” è meno sensibile. La diminuzione progressiva di potere non costituisce da sola un caso di ametropia in quanto si tratta di un’evoluzione fisiologica. Equilibrio e squilibrio binoculare (forie) Binocularità Ciascun occhio invia al cervello i segnali relativi ad un’immagine. Il cervello riceve quindi le informazioni di due immagini che sono leggermente diverse. Lo scenario non è visto sotto lo stesso angolo e il campo è differente. In alcuni soggetti, i difetti visivi di ciascun occhio possono aggiungere ulteriori differenze (dismetrie, ametropie, discromatopsie, immagini con diverse misure...). Il cervello elabora queste informazioni per restituire un’immagine unica; questo è ciò che si chiama visione binoculare. La visione binoculare aumenta le prestazioni della visione stessa (soprattutto l’acuità e la profondità di campo) e consente una funzione supplementare: la percezione del rilievo. Non è sufficiente che il cervello riceva due immagini per restituire una buona visione binoculare. E’ altresì necessario che le informazioni trasmesse siano coerenti grazie ad una buona corrispondenza retinica. Questo significa che ciascun punto della retina di un occhio ha il proprio omologo sulla retina dell’altro occhio, in modo tale che un oggetto viene percepito nettamente come unico solo se le due immagini sono in corrispondenza retinica. In questo caso si parla di fusione. Fusione e forie Per muoversi gli occhi sono collegati a sei muscoli raggruppati in coppie antagoniste. Le tensioni di questi muscoli sono diverse secondo i soggetti. In stato di riposo fisiologico, i muscoli oculari sono sottoposti alla tonicità di base. Le linee di sguardo sono in questo momento parallele, se i due occhi guardano all’infinito. La foria è lo studio delle posizioni delle linee di sguardo in stato di riposo fisiologico. Quando le linee di sguardo dei due occhi a riposo sono parallele, si dice che il soggetto è ortoforico; la fusione delle immagini è ottenuta senza sforzo. Se il riposo fisiologico non corrisponde ad assi di visione paralleli, il soggetto è eteroforico. La fusione è possibile, ma a prezzo di uno sforzo muscolare. Le principali eteroforie, dalle più frequenti alle più rare, sono: - le exoforie: le linee di sguardo divergono, - le esoforie: le linee di sguardo convergono, - le iperforie e le ipoforie (in questi casi, le linee di sguardo non si trovano alla medesima altezza). Le eteroforie si misurano in diottrie prismatiche. (1 diottria = 1 = deviazione di 1 cm ad 1 m). 1∆ 1cm 100cm L’ortoforia non è lo stato più diffuso. In effetti, la maggior parte dei soggetti presenta piccole eteroforie senza conseguenze (forie fisiologiche): - in visione da lontano, si situano tra 1 eso e 2 exo, - in visione da vicino, variano tra 4 e 6 d’exo. In tutti i casi di ortoforie e di forie fisiologiche il soggetto opera la fusione delle immagini. Disparità di fissazione In caso di disparità di fissazione, il soggetto non riesce a compiere la fusione perfettamente. Le linee di sguardo non assicurano una corrispondenza retinica perfetta. Tuttavia, la deviazione non è di grande rilievo (si parla di microstrabismo). Non è riscontrabile con l’osservazione del soggetto (diretta o con il test dello schermo). La visione binoculare risulta perturbata: fusione con abbassamento d’acuità, abbassamento o perdita della percezione del rilievo, soppressione di un’immagine, visione alterata o affaticamento visivo. Strabismo - Diplopia Quando le linee di sguardo formano un angolo più largo, senza che il soggetto possa compensarlo, si manifesta lo strabismo. Dato che la fusione non avviene perfettamente, il soggetto vede doppio. Si parla di diplopia che ha per conseguenza: - la soppressione dell’immagine dell’occhio più deviato per un meccanismo neurologico centrale; una visione alternata. In tutti questi casi, il soggetto non corretto non dispone più della visione binoculare. Campo visivo Supponendo che la testa del soggetto sia rigorosamente immobile e che si mantenga ugualmente fissa la direzione dello sguardo, si potrà rappresentare su una sfera avente al centro l’occhio, l’insieme dei punti visibili: questo insieme costituisce il campo visivo. Il campo visivo è molto esteso nell’uomo: i confini formano con l’asse visivo i seguenti angoli: 110° laterale, 60° nasale, 70° verso l’alto e 80° verso il basso. L’immagine migliore si trova sulla fovea; essa rimane buona fino a 20° di eccentricità, poi compaiono diverse aberrazioni da cui deriva un astigmatismo d’incidenza che rende l’immagine molto difettosa a partire da 45°. Il sistema visivo si serve dell’ampiezza di campo di visione più estesa dell’occhio per captare i fenomeni da osservare e localizzarli a grandi linee entro lo spazio. Poi, tramite movimenti oculari o della testa, l’immagine viene portata sulla fovea dove la percezione dei dettagli è ottimale. Visione dei colori La visione dei colori obbedisce ad una teoria chiamata tricromatica. Questa si basa sul fatto che si possono riprodurre tutti i colori a partire dai 3 fondamentali (rosso, verde e blu) e che la visione dei colori esiste grazie a tre tipi di coni la cui sensibilità massima corrisponde ad uno dei colori fondamentali. Nelle discromatopsie congenite, si distinguono: - le tricromatie anormali (si percepisce male un colore), le dicromatie (un colore è assente) le acromatie (non si distingue alcun colore). Secondo il colore mancante o alterato si parlerà di: protani (rosso anormale), deutani (cattiva percezione del verde). Nelle discromatopsie acquisite, le tipologie non sono così ben stabilite. Si distinguono comunque: gli assi rosso/verde, gli assi blu/giallo, le acromatopsie (discromatopsie senza asse). Inoltre si potranno rilevare: le cromatopsie (il soggetto vede colorate le superfici bianche), le agnosie cromatiche (il soggetto non riconosce i colori sebbene li percepisca). I soggetti affetti da discromatopsia congenita vengono generalmente a conoscenza del loro difetto prima di entrare nella vita attiva. D’altra parte le discromatopsie acquisite si possono sempre manifestare: - un disturbo all’asse rosso/verde può essere dovuto a lesioni del nervo ottico o a fenomeni tossici. - un disturbo dell’asse blu/giallo può essere legato a problemi retinici (glaucoma, distacco, retinopatia diabetica, ipertensione…). Se il soggetto non sembra a conoscenza della propria discromatopsia, sarà necessario verificare il senso luminoso (resistenza all’abbagliamento, visione mesopica, contrasti) per indagare un eventuale problema retinico. Sarà in ogni caso consigliabile, dopo i 40 anni, consultare un oculista. Richiami Generali L’ambliopia Sebbene non si tratti di una patologia in senso proprio, l’ambliopia può essere il risultato di un cattivo rilevamento. L’occhio ambliope è inizialmente un occhio che presenta un difetto visivo (miopia, forte astigmatismo, ipermetropia o strabismo) passato inosservato. L’immagine trasmessa al cervello risulta essere di cattiva qualità e non trattata. Talvolta il fenomeno dipende da una malattia dell’occhio, ma questo è il caso più raro. A poco a poco il soggetto ambliope perde l’uso dell’occhio e l’acuità cala considerevolmente. Se trattata precocemente, prima dei 2 anni, l’ambliopia si recupera totalmente. Fra i 2 e i 6 anni si recupera il 50% della visione; successivamente la lesione è irreversibile. Oggi è possibile trattare questo fenomeno fin dai primi mesi di vita servendosi di occhiali o anche di lenti a contatto. Certe malattie (glaucoma, cataratta congenita, strabismo) possono essere trattate chirurgicamente a partire dai 2 anni e mezzo. Il glaucoma Si tratta di un aumento della pressione della camera anteriore dell’occhio (umore acqueo) che finisce per causare la distruzione del nervo ottico. Questa malattia, che può essere grave, colpisce l’8% della popolazione comparendo essenzialmente dopo i 40 anni. Il glaucoma può essere acuto o cronico. In caso di glaucoma acuto, può essere necessario l’intervento chirurgico urgente per preservare il nervo ottico. Più spesso la malattia si manifesta progressivamente; si può rilevare tramite una semplice misurazione della pressione oculare. E’ consigliabile effettuare regolarmente tale misurazione a partire dai 35 anni. Più spesso la comparsa del glaucoma è insidiosa; bisogna insistere sulla necessità di un suo rilevamento in tutte le occasioni, tenuto conto delle possibilità di trattamento servendosi di medicamenti specifici e della gravità della prognosi in caso di glaucoma non trattato. La cataratta Si tratta di una diminuzione della trasparenza del cristallino, generalmente progressiva, che può condurre ad un’opacità totale (il cristallino diventa bianco). Questa malattia degenerativa è molto frequente dopo i 60 anni (1 persona su 2), ma la sua evoluzione può essere lenta e si può tollerare per molto tempo. Esistono anche cataratte d’origine traumatica che possono comparire molto prima dei 60 anni. Certe situazioni professionali favoriscono la sua apparizione (soffiatori di vetro, addetti alle fonderie, esposizioni a forti radiazioni micro-onde) ed è possibile osservarne la comparsa in soggetti giovani. Essa si manifesta con delle micro-opacità che danno l’impressione di vedere attraverso la nebbia e che il porto di occhiali non migliora. La diagnosi si effettua da parte di un oculista che osserva il cristallino con la lampada a fessura; ma si può sospettare dell’esistenza di una cataratta in presenza di un abbassamento d’acuità o di disturbi nella visione dei contrasti. Il trattamento chirurgico è oggi molto semplice: si rimuove il cristallino e si sostituisce con un impianto. I risultati sono eccellenti. Il distacco della retina Nell’occhio miope, che risulta essere più lungo, la retina è più tesa che in un occhio normale. Il soggetto fortemente miope è più soggetto perciò ha un distacco spontaneo della retina. Lo stesso fenomeno si può perciò manifestare in qualsiasi soggetto in seguito ad un incidente o ad un colpo violento all’occhio (palla da tennis, da squash …). I segnali d’allarme possono essere di varia natura: perdita di una parte del campo visivo di un occhio, impressione di punti neri, lampi abbaglianti, frattura delle immagini, ecc… . Ogni anomalia di questo tipo, soprattutto se appare spontaneamente e si tratta di un soggetto miope, deve indurre a consultare un oculista. Il trattamento se effettuato con tempestività, può condurre ad un recupero totale della visione. Se invece si tarda si rischia di portarne conseguenze irreversibili. Visione ed ergonomia Non è il caso in questa sede di trattare una questione così importante che è soggetto di studi approfonditi; intendiamo solo dare qualche indicazione elementare che permetta di analizzare alcune cause d’affaticamento eccessivo da parte degli operatori. Le condizioni di visione sul posto di lavoro comprendono diversi parametri che possono essere legati al soggetto stesso (attitudine, visione) o alla sua attività (oggetto, posizione, ambiente, carico di lavoro). Analisi ergonomica Gli eventuali disturbi lamentati dal soggetto vengono raccolti tramite un questionario di cui si dà un esempio nella scheda allegata. I problemi possono riguardare il tipo di lavoro, la configurazione del posto di lavoro o lo stato visivo. Lo stato visivo del soggetto, il rilevamento dei difetti e la loro correzione ottimale sono indispensabili in ogni caso. Tuttavia, alcune correzioni dipenderanno giustamente dalle caratteristiche del posto di lavoro. Il posto di lavoro va studiato nel suo insieme. Si ricercheranno, ad esempio, i vari fattori che agiscono sul carico visivo: - l’oggetto: caratteristiche, dimensioni, contrasto, movimenti, cercando di determinare quali sono le funzioni visive più sollecitate. - la postura: postura di lavoro, distanze, assi visivi. naturale? La posizione è - l’ambiente: livello di luminosità, tipo di luce, colori, abbagliamento, riflessi. - il carico di lavoro: esigenze visive, monotonia, complessità dell’informazione visiva da analizzare, rapidità di analisi, ritmo, pause. Spesso è possibile agire in modo relativamente semplice sui tre fattori seguenti: - distanza occhio/piano di lavoro, - illuminazione del piano di lavoro, - correzione ottimale dei difetti visivi. Distanza di lavoro La distanza di comfort per un lavoro preciso si situa fra 50 e 80 cm., cioè in visione intermedia. Quando il compito necessita di frequenti spostamenti del campo visivo su piani il cui allineamento è diverso, ciò comporta frequenti accomodazioni, generatrici di affaticamento visivo. I piani di lavoro dovrebbero essere tutti situati alla stessa distanza dall’occhio dell’operatore. Questo risulta essere vero soprattutto per quanto riguarda i lavori a schermo, dove l’occhio passa successivamente dalla tastiera allo schermo stesso e al documento scritto. Ma ciò è vero anche per numerose situazioni di lavoro manuale (riparazione, montaggio). ERGOVISION® testa l’acuità e alcune altre funzioni in visione intermedia (visione dei contrasti, forie, visione notturna, test d’abbagliamento, visione cinetica). L’asse di sguardo dovrebbe essere in tutte le situazioni il più naturale possibile (evitare gli sguardi obliqui). Illuminazione Quando la pupilla è in miosi, cioè nelle condizioni di luminosità normali (luce diurna sufficiente), l’immagine sulla retina può risultare netta anche in presenza di un piccolo difetto visivo. L’accomodazione è più agevole e quindi l’occhio si affatica meno. L’illuminazione degli oggetti e del piano di lavorodeve dunque essere sufficiente. D’altra parte, è necessario evitare i forti contrasti, che possono essere causa di affaticamento. Ciò si può verificare nelle postazioni informatizzate, dove il foglio di carta bianca, molto illuminato, contrasta con lo schermo grigio o con oggetti di colore scuro (finestra di dialogo, di selezione). Bisognerà perciò evitare le situazioni di abbaglio, in particolare quelle dovute a riflessi di luce naturale o artificiale. Spesso questo problema si risolve molto semplicemente quando vi si presta attenzione.