i 70 Rinascenza Salentina Con la promessa di cedere Trani, Barletta ed altre città costiere cercava di trarre i Veneziani al suo partito (1). Ferdinando aveva anche saputo che traeva pratiche coi Turchi perchè infestassero le Marine pugliesi, e ne avvisava il pontefice, perchè vedesse « la perfezione de la fide de lo dicto principe il quale meritava di essere castigato, non solo per il danno che recava a lui, ma « per lo vituperio che fa ad tucta la cristianità » (2). E Pio II dovette prestar fede a Ferdinando, perchè ad un legato del Principe, un certo Pino, che gli voleva far credere che il suo signore gli era fedele rispose: « Che vuoi ti dica, il tuo signore è spergiuro e traditore, che chiama i Turchi contro i Cristiani » (3). Fu al principio dell'anno seguente 1460 che il principe di Taranto si congiunse con Giovanni d'Angiò a Bitonto dove andò a rendergli omaggio, avendo quello già espugnato Calvi e attraversata tutta la terra di Lavoro dove sarebbero ritornati insieme nella primavera dopo aver svernato in Puglia. E Ferdinando in una lettera a Francesco Sforza del 7 gennaio 1460 scriveva che Giovanni Antonio Orsini che sembrava si fosse calmato cominciava di nuovo ad infuriare (4). Era per ingenuità che il Re credeva che il Principe « ad sanitatem reduci posse? » No certamente, le sue parole di amara ironia, ma non irruenti, denotano invero la serenità di un'anima che anche nella stanchezza e nella nausea che gli dà questo scellerato trova la pazienza che la propria infelice condizione politica gli impone. Eppure Giannone, seguendo il di Costanzo, scrive : « e chi legge la storia di questa guerra scritta dal Pontano, può giudicare in che opinione di perversa natura stesse il Re Ferrante appresso i baroni e i popoli che non solo tutti quelli che con grandissima fede e costanza avevano seguito le parti di Alfonso suo padre, ed i figliuoli di essi, cospirarono a cacciarlo nel Regno, ma gli stessi suoi catalani cominciando da Papa Callisto III, che fu suo precettore » (5). Ma (1) Nunzi ante, ivi, p. 411. (2) Ferdinando al Papa 30 Dicembre 1459 da Aversa, in Messe r, ivi, doc. n. 294 e in N unziante, ivi, p. 411. (3) N unzia nte, ivi, p. 580 nota la. (4) Ecco le testuali parole : Sententia medicorum est, ducum prestantissime, qui semel insanit numquam integre ad sanitatem reduci posse. Iohannes Antonius princeps Tarentinus cum putaremus eum ab insania aliquando posse resipiscere incipit furere. (Ferdinando a Francesco Sforza 7 gennaio 1460 in Manoscritto della Deputazione di Storia Patria di Napoli XXVI e 5 quad. III f. 3). (5) G i a n none, Storia Civile del Regno di Napoli. Ed. Lombardi, Nap. 1865, vol. V. p. 156. Squitieri - Un barone napoletano del 400 171 in qual modo l'infelice Re, sino a quel tempo si era mostrato perverso in quel mondo tanto pervertito? Di Costanzo che ripetutamente lo accusa non lo dice. E a notarsi che cautamente nel brano citato, l'autore non afferma direttamente la perversa natura, ma solo l'opinione in che stesse. Se solo della opinione ha voluto riferire, è giusto riflettere che la formavano i suoi nemici in un secolo che non ammetteva scrupoli nel mentire come in altre maggiori colpe. Nel brano citato l'opinione è basata sopra una insinuazione vera e propria; dall'aver fatto molti cavalieri nel parlamento di Barletta si deduce che essi dovevano essere sue spie nelle province. I signori, che non tolleravano che il potere centrale fosse a giorno dei loro maneggi e volevano spadroneggiare e intrigare con tutto il loro comodo, per il solo sospetto che il re si procurasse informatori, lo chiamavano perfido. Ma i loro giudizi non erano retti. Tutta la storia di questo periodo dimostra che essi ripugnarono dal sentimento dell'unità dello stato, ed ebbero solo cura di agitarlo tra pretendenti ai quali non furono neanche fedeli. Chiamarono Renato e quando stava per conseguire la vittoria gliela tolsero di mano. E così anche avvenne all'illuso Giovanni. Essi, dunque erano i perversi, non Ferdinando che cercava solo di ordinare il regno che essi italiani non seppero togliergli per reggerlo essi medesimi di diritto e con spirito nazionale. Ho detto l'illuso Giovanni, perchè infatti il Principe di Taranto si era appena unito a lui e già manifestava i primissimi segni di un abbandono: richiesto di aiuto, gli rispose che si fosse rivolto al Caldora ( 1 ), ed il rifiuto dovette essere tanto aspro da far credere a una rottura se il da Trezzo riferisce che destò meraviglia il fatto che il Principe poco dopo si recò a Troia per abboccarsi con Giovanni (2). Egli continuò a seguirlo, ma prestandogli scarso aiuto di consiglio, ed infatti pochi giorni dopo l'abboccamento con Giovanni a Troia, alla notizia che Ferdinando gli andava incontro, tolse il campo e si ritirò nella città, come si è visto che fece in simile circostanza presso Venosa e presso Trani. Nella primavera del 1461, come era stato stabilito, egli e il pretendente si mos- (1) Lettera del gran Siniscalco al Re. Striano 6 maggio 1460, in N u n z i a n t e, ivi, p. 541. (2) Lettera del da Trezzo al Dnca 22 maggio 1460, in N u n z i a n te, ivi, p. 591. 172 Winascenza Salentina sero verso Terra di Lavoro e giunti a Cancello, vi si accamparono minacciando Napoli, ma non l'assalirono, come tutti si aspettavano, per consiglio del Principe, il quale diceva che la vittoria si sarebbe ottenuta temporeggiando, giacchè il Re non poteva sostenere a lungo la spesa della guerra. Con tale pretesto conduceva fiaccamente le ostilità, perchè non voleva condurre a termine la guerra. Quale il motivo dell'atteggiamento ambiguo del Principe ? Credo sia il medesimo che lo indusse a ritardare la vittoria del 1438, cioè il non aver ottenuto da Giovanni le concessioni e i privilegi che desiderava. Questo, più che l'affetto verso la nipote Isabella, fu il motivo che l'indusse a intavolare, come vedremo, trattative con Re Ferrante, dal quale, fallito l'esperimento con Giovanni, sperava di ottenere di più. Adunque con i suoi raggiri riuscì a schivare l'incontro con Ferdinando che li aveva seguiti a Cancello e retrocedere sul fiume Sarno. Il terreno circoscritto dai due rami occidentali del fiume e del monte sovrastante a settentrione, fu ritenuto favorevole per l'accampamento angioino e fu posta buona guardia alla porta fortificata da una torre che chiudeva l'angusto passaggio tra la montagna e la sorgente più occidentale del fiume, detto Foce. Da quella parte poteva giungere l'esercito aragonese che infatti si accampò ad occidente del fiume ed essendo più forte devastò la campagna togliendo i viveri ai nemici. Felice Orsini, che si era ribellato al Re, visto l'esercito angioino a mal partito, gli chiese perdono dell'infedeltà e in segno di fede gli consegnò il Castello di Palma. Questo castello, del quale tuttora si v edono le traccie, chiudeva la via ai soccorsi di viveri che potessero venire da Nola all'esercito angioino in modo che Ferdinando avrebbe avuto ragione dell'avversario, tenendolo quasi assediato. Ma vi fu chi propose di batterlo con un colpo di mano, passando per la montagna ed assaltandolo di sorpresa nel suo campo ; ed egli suo malgrado acconsentì, perchè aveva preinteso che il Pontefice avrebbe chiamato la sua gente condotta dal Simonetta, cosa che avrebbe certo diminuita la sua forza. Così il campo angioino nella notte dal 6 al 7 luglio 1461 fu scompigliato dall'assalto notturno (1). Ma la vittoria uscì di mano al Re, perchè i suoi soldati, per il vizio comune a quel tempo si abbandonarono troppo presto al saccheggio ; onde i nemici potettero ricomporsi e respingerli, mentre essi non attendevano (1) Hanno questa data Notar Giacomo, il Catclame, e il Nunziante, mentre Tommaso da Catania ha 6 luglio. Adelaide Squitieri - Un barone napoletano del 400 173 ad altro che a trasportare il bottino. Non valsero i rinforzi, che il Re mandava dal campo : la rotta si determinò gravissima, il Simonetta vi perdette la vita, e il Re trovò scampo nella fuga. A svolgere seriamente la guerra, l'esercito vincitore avrebbe dovuto piombare su Napoli vicina ; la quale nello scompiglio della disfatta sarebbe caduta, e forse la lotta si sarebbe conclusa. Ma la fazione angioina era guidata dal Principe di Taranto, che, more solito, non voleva concludere. Dopo il disastro, Ferdinando avrebbe perduta ogni speranza di riscossa, ma gli valse l'energia di Isabella sua moglie e la malizia del Principe. Pare infatti che Isabella, nipote dell'Orsini, avesse già più volte tentato invano di togliere l'attrito tra il marito e lo zio (1). Nella disfatta di Sarno vedendo il grave pericolo del Regno, tentò un rimedio eroico; travestita da frate francescano andò dal Principe e lo pregò di farla morire regina, giacchè egli stesso l'aveva fatta tale. Ed egli senz'altro la rassicurò (2). Per la seconda volta evitò l'assalto a Napoli, dicendo che non la si sarebbe potuta prendere agevolmente, e che sarebbe stato preferibile conquistare prima tutto il Regno ; perchè quando al Re non fosse rimasta altra terra, i Napoletani avrebbero consegnato la città ed il Pontefice e il Duca di Milano lo avrebbero abbandonato alla sua sorte. E condusse l'esercito ad occupare Castellammare, Vico e Massa (3), e poi, lasciando le altre soldatesche in azione, ritirò le sue a svernare in Puglia ; mentre Ferdinando molto alacremente attendeva a riordinare le proprie. Da questo momento il Principe procedette fiaccamente nelle ostilità. Insieme agli altri baroni si era rivolto al Pontefice, perchè cessasse di favorire Ferdinando, ma d'altra parte questi con molta soddisfazione aveva saputo che l'Orsini ad una persona che gli diceva che la flotta angioina poteva essere dispersa da quella che Giovanni d'Aragona inviava in aiuto di Ferdinando, e aveva risposto : « et che me ne curaria se dicta armata fosse rotta ? » (4). Queste parole di vuota iattanza e di cinica indifferenza verso colui, che (1) Ciò si deduce da un « Diarium de Isabella de Claromonte regina ad lohannem Antonium Ursinum Principem » citato dal Tafuri Istoria degli scrittori nati nel Regno di Mapoli. di Feliee Carlo Mosca, Napoli, 1748 p. 243, ma disgraziatamente andato perduto. (2) Con i Diurnali di aronteleone f. 142. Notar Giacomo invece, ivi, p. 102, dice che la Regina inviò un suo familiarissimo al Principe che stava a Sarno, pregandolo di non farla andare sperduta per il mondo ed egli rispose: dicate ad mia nipote che quante miglia sono da Sarno in Napoli tanto farrò stare ad pigliare Io Reame et ipsa è Regina e morerà Regina. (3) Summonte, ivi,IV p. 391. Di Costanzo, ivi, p. 553. Pontano, ivi, p. 30-35. Nunzia n t e, ivi, p. 596. (4) N unzi ante , p. 603, ivi, nota 1'. 174 Rinascenza Salentina egli per primo aveva indotto all'impresa, corrispondono al fatto che egli ricominciava a tentare segrete pratiche di accordo con Ferdinando, ma non con serie intenzioni. Gli prometteva di inviare al più presto l'Angioino fuori del Reame e di voler indurre anche Marino Marzano ad un accordo con lui chiedendo al re un salvacondotto per il messo che avrebbe perciò dovuto inviare a quello (1). Ma, mentre così cercava di lusingare Ferdinando, usando parole « tanto humane che meliore non se poria dire » esortava Giacomo Piccinino a devastare le terre del Regno ed egli stesso, disconoscendo ogni legame di parentela teneva assediata per più giorni a Minervino sua nipote Maria Donata (2). Ferdinando, che già per l'ambiguo e strano atteggiamento del Principe aveva detto con molta grazia : qui seme! insanit, numquam integre ad sanitatem reduci potest » (3) aveva subito conosciuta la falsità che si celava nelle humane parole » di lui ; e mentre, simulando, gli rispondeva con altrettante umane parole, attendeva a riordinare l'esercito per ricuperare le terre perdute. In breve infatti tutte le città di Terra di Lavoro ritornarono alla sua devozione ed in Puglia, mediante il valido aiuto di Giorgio Scanderbeg, furono sedate tutte le ribellioni, che il Principe, nonostante le sue buone intenzioni (4) era andato suscitando. La riscossa del Re culminò nella vittoria presso Troia del 18 agosto 1462, così strepitosa da far dire al da Trezzo in una lettera al Duca: « Signor mio questa è stata quella giornata che ha messo et fermata la corona di questo regno in capo al signor Re et mo se po dire chel è Re » (5). Oltre a Troia, anche Foggia S. Severina, Ascoli, Carbonara e gran parte della baronia di Flumari si ridussero a Ferdinando (6). * Il Principe di Taranto, subito dopo la battaglia di Troia, in cui anche le sue milizie erano state sbaragliate, si ammalò di febbre quartana ; (1) N un zian t e, ivi, f. 680 nota 2a. (2) Lettera del da Trezzo al Duca 5 agosto 1461 in N u n z i a n t e, ivi, p. 680. (3) Pontan o ivi p, 91-93. (4) Lettera di Ferd. al Duca 7 gennaio 1460. (Manoscritti della Soc. di St. Patr. XXVI e 5 quad., III, f. 3). (5) Un messo inviato dal Cardinale Colonna aveva infatti riferito che il Princ. era molto ben disposto ad accordarsi con Ferdinando ma il Piccinino ne lo aveva dissuaso. N u n ziante, ivi, p. 723-724. (6) In Nunziant e, ivi, p. 732. Adelaide Squitieri - Un barone napoletano del 400 175 e poichè già nel mese di aprile aveva sofferto lo stesso male, tutti, considerando la sua tarda età, pensarono che questa volta avesse a morire ; e gli ambasciatori Milanesi che stavano alla corte di Ferdinando, ironicamente scrivevano al Duca « certamente Dio faria bene a chiamarlo a se per levarlo da questi affanni » ( 1 ). Ma Giovanni Antonio Orsini visse ancora ; e o che fosse stanco di lottare, o che non riponesse nessuna speranza di vittoria nelle armi dell'angioino, che egli, pur non servendo con effettivi aiuti, mostrava ancora di appoggiare, iniziò di nuovo le trattative con Ferdinando. Sebbene altre volte il Principe avesse senza serio proposito tentato invano far credere di voler abbandonare l'Angioino e farlo andar via dal Regno, questa volta le accoglienze cordiali ed affettuose offerte agli ambasciatori del Re, Antonello di Aversa e Antonio da Trezzo, sembrarono tanto sincere da far sperare a Ferdinando di poter davvero « mediante la divina grafia redurre questo regno in tranquillità et pace » (2). E le pratiche infatti procedevano spedite, ed il Principe con la sua arrendevolezza mostrava davvero « omnino voler pace » (3). Sembra che il Piccinino, il quale dalle pratiche del Principe col Re era stato escluso e non aveva ottenuto alcuno stato nel Regno, come desiderava, si ritenesse abbandonato dall'Orsini e gli si mostrasse molto scontento. In sulle prime ci fu chi consigliò di inviarlo nello stato di Sigismondo Malatesta, oppure di concedergli un assegno annuo di 40.000 o 50.000 ducati. Ma il da Trezzo, che sapeva le non buone intenzioni del Re, nei riguardi del condottiero, temendo che per ciò non si avesse a concludere l'accordo, fece osservare che sarebbe stato meglio lasciare questo particolare indiscusso e menare a fine il negozio, che si aveva fra le mani. E così fu fatto. Il 21 settembre del 1462 l'accordo veniva finalmente firmato e solennemente giurato. I capitoli stabilivano : che il Principe e il Re avrebbero ritenute le terre prese durante la lunga guerra ; il principe avrebbe riavute le città e i castelli, che aveva sotto Alfonso, con le medesime concessioni e privilegi e l'ufficio di gran connestabile con la provvizione annua di 100.000 ducati ; ma si garantiva di far andar via dal Regno entro 40 giorni il Piccinino e il Pretendente, e di non fare alleanze contro il Re (4). L'accordo fu così proficuo per ambedue, perchè, se il Principe non vedeva diminuita, ma forse accresciuta la sua potenza, Ferdi(I) (2) (3) (4) Da Trezzo al Duca 20 aprile 1462, in Nunziante, ivi, p. 737. A. S. N., Collaterale Comune, n. 1 già cit. Da Trezzo al Duca, 4 ottobre 1462, in Nunziante, ivi, p. 743. Pantano, ivi p. 107 e seg. S u m m o n t e, ivi p. 450 e seg. 176 Rinascenza Salentina nando si sarebbe liberato dal pretendente angioino. Questi, che invano aveva cercato di ostacolare i negoziati, considerando poi con quanta poca prudenza avesse riposto la sua fiducia in colui che aveva già dato prova della sua malafede, si affidò insieme al Piccinino alla clemenza di Ferdinando ; ed ottennero di poter restare sei giorni a Trani, e dodici giorni in un altra terra a scelta prima di uscire dal Regno (1). Ma non era trascorso molto tempo, e già il Principe, il cui animo inquieto, turbolento, e riottoso nè gli acciacchi della vecchiaia nè i patti proficui avevano placato, ricominciò con le sue ribalderie. Il suo contegno baldanzoso e petulante fece sospettare che non fosse estraneo alla ribellione di S. Severo acclamante Giovanni d'Angiò, seguita poco dopo l'accordo ; e il sospetto fu poi avvalorato da lui stesso per i danni che recò alle saline del Re per più di 70.000 ducati (2) e per i suoi assalti a Barletta e a Trani. E correva voce che, in dispregio dei patti, sconsigliava il Piccinino e il Pretendente ad uscire dal Regno (3). Aveva a lamentarsi che non gli erano stati ancora dati i 100.000 ducati promessi; e questo era vero, ma Ferdinando si scusava adducendo le ristrettezze finanziarie del Regno a tutti note e gli offriva per garenzia un proprio figliuolo in ostaggio (4). Fino a tanto si abbassava il Re dinanzi al suo fedifrago vassallo, che pure rifiutava tale garenzia, ma chiedeva subito nuove terre. Si ricominciava da capo. Di nuovo formava una fazione, che ad un suo cenno si sarebbe sollevata in arme per scuotere l'autorità del Re, che in qualunque modo esercitata, egli non voleva tollerare. Ferdinando fu costretto a scendere di nuovo in Puglia, ma, giunto a Manfredonia ebbe la notizia che il Principe era morto ad Altamura (13 dicembre 1463) (5). (1) Nunziante, ivi, p. 747. (2) N u n z i a n te, ivi p. 779. Continuavano però quei falsi rapporti di amicizia tra il Principe e il Re, il quale nel concedere a un suddito un castello che appartiva ad una persona del Principe, diceva che questi essendo ormai ridotto in sua fedeltà era contento di tal cosa. (A. S. N. Collaterale comune n. 1 f. 266 t.). E ad un servo del Principe catturato mentre si recava da lui, Ferd. aveva ridato la libertà e tre ducati per farlo calzare e vestire (A. S. N. Cedale della Tesoreria Aragonese, vol. 40, fol. 133). (3) Questa notizia ci vien data da una lettera del da Trezzo che inviava al Duca le lettere intercettate, N u n z i a n t e, ivi, p. 779. (4) Lettera di G. de Annono al Duca, 26 agosto 1463, in N unziant e, ivi, p. 781. (5) E da escludere senz'altro che il Principe sia morto nel 1462 come affermano il Passero e Tommaso da Catania perchè vi sono numerose concessioni emanate da lui nel 1463. Nè dovè morire prima del 30 novembre del 1463 perchè è di tal giorno una sua concessione (A. S. N. Autografi Aragonesi, vol. 111). Eppure in una lettera di Isabella la cui copia si Adelaide Squitieri - Un barone napoletano del 400 177 I partigiani dell'Orsini dissero che la sua morte non era stata naturale, ma procurata da Ferdinando, il quale soltanto così si sarebbe potuto liberare dal suo nemico irriducibile. Vi è anzi uno scrittore posteriore, Capece Tomacelli, che nel suo Principe di Taranto » intesse a proposito un fantastico racconto (6). Non ne terremo conto, perchè la cronaca del Capece non ha valore storico ; e seguiremo la narrazione del Pontano e di altri che a lui si associano (7). Costoro riferiscono che alcuni giorni prima che il Principe morisse, Antonio Ayello e Antonio Guidano suoi servitori che si recavano dal Pontefice, fermatisi al campo di Ferdinando, furono da costui indotti a tornare ad Altamura. Quivi giunti, il Principe sospettando che quelli tramassero insieme col Re insidie contro di lui, decise di sopprimerli ; e ne fu preso da tale pauroso delirio da non badare al paggio presente, mentre ad alta voce diceva il tristo proposito. I servi avvisati da costui, naturalmente pensarono di prevenirlo ; e il giorno dopo fu trovato soffocato nel suo letto. Se questa narrazione è vera, non si vede come nell'omicidio possa essere l'intervento di Ferdinando. I servi l'avrebbero ucciso per non essere soppressi, e l'istinto di conservazione non doveva essere loro suggerito. Ma il Summonte, basandosi sulla opinione di crudele che si era formata intorno al Re, dice che questi fosse stato l'istigatore della soppressione, ed a prova pone che, bene ricompensò i due Antoni. Questo è vero e documenti lo dimostrano (8), ma non pare sufficiente prova del mandato. Poichè se al Re piacque il fatto compiuto, e volle premiare gli autori invece di punirli come la giustizia gli avrebbe imposto, ciò non dimostra che lo abbia comandato. D'altra parte in tal momento quel vecchio già screditato non destava la inquietitudine di prima. Il Crassullo dice che quattro soffocarono il Principe di Taranto, o meglio due l'uccisero, i due nominati Antoni, e due vi acconsentirono : conserva nei Manoscritti della Deputazione di Storia Patria di Napoli, (XXVI e 5 quad. V f) si legge che il Principe morì il 14 novembre. Tale data riferiscono anche Notar Giacomo e Nunziante. Pontano invece ha 13 dicembre. (6) D. Capece Tomacelli, « Il Principe di Varante, - Cronaca del secolo XV (Napoli, G. Sofra, 1874), p. 333-335. (7) Pontano, ivi p. 126, Di Costanzo, ivi p. 582-583. Giovine, ivi, p. 180 e seg. (8) A. S. N., Esecutoriale 4 f. 138. Il Re fa molte concessioni ad Antonio Guidano. Per il d'Ayello non ho trovato niente, 178 Rinascenza Salentina uno di casa Protonobilissimo e uno di casa Petrarolo (1). Secondo il Pepe (2), una vera e propria congiura sarebbe stata ordita contro l'Orsini, per la quale il Petrarolo avrebbe inteso liberare la sua patria Ostuni dalla esosa tirranide che esercitava il Principe. Dunque, Giovanni Antonio Orsini era mal sopportato dalle città a lui soggette e non il solo Ferdinando avrebbe avuto ragione di toglierselo dinanzi e ben si addiceva quindi la vivace espressione del da Trezzo « la successa et benedicta morte del Signor Principe di Taranto non meno era necessaria all'acconcio di queste cose del Regno che se fosse l'incarnatione de Cristo per la salute de le anime nostre » (3). Ferdinando non solo veniva liberato dal più potente dei suoi nemici, ma poteva ancora goderne le ricchezze, perchè Giovanni Antonio Orsini non lasciava figliuoli legittimi, ma uno solo spurio di nome Bartolomeo (4) che sembra valesse poco, perchè non lo si è mai trovato nelle guerre al fianco del padre. Tuttavia il Re gli lasciò la contea di Lecce. Il Principato di Taranto passò senz'altro alla corona. Ferdinando inviò subito Marino Tomacello in Altamura a prendere l'ingente tesoro del Principe (5), ed egli lentamente attraversò tutte le terre che a quello erano appartenute « accolto con grande festa ed allegrezza et cum baldachino in omni loco » (6) ; la stessa moglie del Principe gli aprì spontaneamente le porte di Taranto. Così celebrò felicemente il Natale del 1463 in mezzo al popolo contento ed acclamante, in Taranto, la capitale di quello stato, onde erano mosse le tempeste che tanto lo avevano fatto temere. La morte del Principe significava anche la liberazione da un incubo per tutte le popolazioni a lui soggette che, oltre ad essere gravate dai pesi fiscali, avevano visto per lui gli orrori dalla guerra civile, i campi devastati, le case distrutte e i traffici interrotti. Perciò con somma letizia acclamarono Ferdinando, presentando le loro petizioni (7). (1) Crassullo, ivi f. 162 t. (2) Pepe, Storia della città di Ostuni, Trani 1894 p. 2 e seg. (3) Da Trezzo al Duca 28 novembre 1463, in Nunzian t e, ivi, p. 785. (4) A questo figliuolo Bartolomeo egli faceva dare il 14 Novembre 1457 venticinque scrofe con i rispettivi porcellini e il 24 novembre dello stesso anno quindici porci e dodici scrofe. (A. S. N., Autografi Aragonesi, vol. Il). (5) L. V o l pic ella, Istructionum Ferdinandi I liber., Napoli Pieno e f. 1916, p. 451. (6) Nunziante, ivi, p. 787. (7) A. S. N. Camera Sommaria, 19 f. 179 • Pergamene fonti diversi (705-728) n. 711. Adelaide Squitieri - Un barone napoletano del 400 179 I cittadini di Lecce prima degli altri si diedero al Re spontaneamente, non come sudditi al proprio signore, ma come figli al padre, così come diceva egli stesso, e per quest'atto di devozione, tra le altre concessioni, ebbero il condono della pena in cui erano incorsi per aver poco tempo prima fatto violenza ai giudici ( 1 ). Con tutte le altre città del Principato ed anche con i cittadini privati Ferdinando largheggiò in favori e privilegi, affinchè conoscessero il benefizio del suo governo dopo le angherie del Principe (2). Poco tempo dopo Federico, figliuolo di Ferdinando fu investito, ma per breve tempo, del Principato di Taranto (3). Con Giovanni Antonio del Balzo Orsini si spegneva, come abbiamo visto, uno dei 1,.# potenti baroni di quel tempo. Egli, aiutando Alfonso, oltre a ricuperare lo Stato del padre, vi aveva aggiunto Monte Peluso (Monte Peloso), Pomarico, Matera, Acquaviva, Minurvino, (Minervino Murge), Rubbi (Ruvo), Casamassima, Lobello (Lavello), Flumaro (Flumari), Vico Cedonia (Lacedonia), Carbonara, Accadia, Bonifro, Vallata, Sanzossio, Castel S. Nicola, Porcarino (Villanova del Battista), Guardia Lombarda, Montaperto, Bonito, Melito, Monte Acuto (Montaguto), Marigliano, Acerra) (4) Alfonso gli aveva dato la città di Bari dalla quale gli provenivano più di 100.000 ducati l'anno e altrettanti ne aveva per pagare le genti d'arme essendo gran Contestabile del Regno. Della Contea di Lecce che apparteneva alla madre Maria d'Enghien, dovè divenire signore prima ancora ch'ella morisse (1446) perchè in un documento del 1442 già veniva chiamato conte di Lecce (5). In tutti i suoi possedimenti aveva per concessione regia « lura regalia et fiscalia » (6) esercitava la giurisdizione civile e penale e aveva la potestà di condannare a morte (7). Alla sua dipendenza erano ufficiali con cariche e denomina( I ) A. S. N. Pergamene fonti diversi (705-728) n. 710. (2) A. S. N. Esecutoriale 4 f. 142. Degno di nota è un documento (Sommaria, Privilegi 5 1. 151) dal quale risulta che Ferdinando reintegrò nel suo stato un certo Michelotto de Hugoth i cui genitori si erano ribellati al Principe e perciò erano stati privati dei loro beni. (3) Del Soggiorno di Federico in Taranto parlano alcune Epistole di Elisio Calenzio. (4) G i o v ine, De antiquitate et varia Tarentinorum fortuna, Napoli 1639, pag. 179. (5) A. S. N., Privilegi di Lecce, f. 67 t. (6) A. S. N. Privilegi di Lecce, f. 61 t. (7) A. S. N. Esecutoriale, 5 f. 129, I 80 Rinascenza Salentina zioni simili a quelli che erano creati dal sovrano, come contestabili, giustizieri, tesorieri e maestri razionali (1), in modo da formare una vera e propria corte come quella di Napoli. E queste cariche le concedeva egli stesso ai suoi sudditi ; come per es. la nomina di Contestabile della città di Taranto a lacopo Fonti suo segretario, alla morte di Pietro Pepe (2). Nelle controversie che sorgevano tra le varie città da lui dipendenti egli era l'arbitro e decideva sui pagamenti di dazi e pedaggi come meglio gli gradiva (3); spesso con regia munificenza condonava anche pene e multe inflitte dai suoi giustizieri mosso a pietà dalle preghiere dei condannati (4), e molte volte condonava anche le pene inflitte da lui stesso (5). Quattro documenti dimostrano che speciale riguardo egli ebbe per le Chiese, i Monasteri e i poveri. A Taranto infatti, ai monaci di S. Antonio faceva dare ogni anno centocinquanta rotoli di pesce salato, ogni settimana un ducato e nei giorni di digiuno due rotoli e mezzo di pesce (6) e ai poveri di S. Maria Maddalena, mensilmente quattro tareni (7). Forse in memoria della madre che ne aveva avuto gran cura, accrebbe e arricchì la Chiesa dell'Annunziata e il vicino monastero di S. Croce (8), e a Nicola de Lacu, abate della Cappella di S. Lucia in Monopoli, nella quale egli aveva il patronato, fece assegnare una provvisione mensile di quattro once (9). Diversi privilegi rimangono di lui concessi a sudditi ( I O ) e città (I 1) (1) A. S. N. Privilegi di Lecce, f. 61, t. (2) A. S. N. Esecutoriale, 4 f. 370, t. A questo stesso lacopo Fonti, forse per servizi resigli fece donare undici scrofe e dodici porcellini. A. S. N., Autografi Aragonesi vol. Il, 20 febbraio VI ind. (3) A. S. N., Privilegi di Lecce, f. 62. (4) A. S. N. Autografi Aragonesi, Vol. I documenti del 20 settembre 1452 ; 14 novembre 1453 ; 3 aprile 1454 - Privilegi di Lecce, f. 64. (5) A. S. N. Autografi Aragonesi, vol. Il documento dell' I I ottobre 1463. (6) A. S. N. Esecutoriale, 4 f. 159 t. (7) A. S. N. Esecutoriale, 4 f. 144 t. (8) A. S. N. Pergamene tarentine (705728) n. 728. (9) A. S. N. Esecutoriale, 4 f. 157. (10) A. S. N, Esecutoriale, 4 f. 454, a Pietro Ippali di Ostuni - Esecutoriale, 4 f. 285. A Nicola de Cardosii e alla famiglia. Anche negli Autografi Aragonesi (Vol. Il) vi sono numerose concessioni. Evidentemente il Principe esercitava la sua autorità anche su Nola che non apparteneva al Principato, perchè concedette l'ufficio di « magistrum actorem penes Capitaneo eiusdem civitatis Nole » a Gabriele Angelo de Mastrillis (A. S. N., Registro dei privilegi sotto Ferdinando, 1480 E. 75). (11) A. S. N. Privilegi di Lecce, f. 61 t., f. 63 t. Adelaide Squitieri - Un barone napoletano del 400 181 e sembra quasi che egli volesse gareggiare in magnanimità con Alfonso, ma a veder bene, se una parte favorita veniva beneficata dalla sua munificenza, la maggior parte era invece oppressa dalle tasse che non dovevano essere lievi, se dopo la sua morte gli abitanti di alcuni casali in terra d'Otranto dicevano che non si fidavano pagare allo modo facevano in tempo de quondam principe de Taranto (1). Nè in questo vi può essere dell'esagerazione da parte dei cittadini, perchè, essendo Giovanni Antonio Orsini avaro fino al punto de far usare dalla sua famiglia pur essendo tanto ricco, candele di sego ed anche in minima quantità come narra il Summonte (2), è possibile che egli abusasse largamente della facoltà di tassare. D'altra parte, nel Parlamento del 1443 Alfonso aveva abolito per lui come per gli altri baroni il pagamento delle bollette, sostituendole con il focatico, al quale si obbligarono pei loro vassalli, ma di cui rigettarono in effetti il peso sui Comuni e poi li esonerò anche dal pagamento dell'Adoa. Anche una lettura affrettata dei suoi privilegi ci permette di osservare che egli usava le medesime formule del sovrano senza neanche accennare al regno di cui faceva parte il suo principato, facendo concessioni che potevano perpetuarsi usque ad infinitum ». Costantemente i notai che stipulavano nel suo principato, accanto al nome del sovrano usavano la formula : dominante quoque Joanne Antonio de Baucio de Ursinis principe Tarenti » (31, il che non avveniva sempre presso gli altri feudatari come p. es. i Principi di Salerno pei quali vi sono infatti delle eccezioni (4). Ma la potenza di questo grande barone fu tutta rivolta al male. La sua smisurata ambizione non ebbe alcun fine serio e neanche lontanamente si ispirò a quel tanto di sentimento nazionale che il tempo comportava. Sconvolse più volte il regno, istigando pretendenti stranieri, non per un giusto e sano criterio, ma solo per riceverne privilegi onde accrescere le ricchezze e la potenza del suo stato. Solo così si spiegano degli atteggiamenti che altrimenti sarebbero incomprensibili, come gli ostacoli opposti alla vittoria di Alfonso nel 1438, l'ambigua condotta di fronte a Giovanni d'Angiò e le trattative iniziate con Ferrante mentre ancora combatteva per Giovanni. (I) (2) (3) (4) A. S. N., Camera Sommaria, 19 f. 159. Summont e, ivi, p. 517. A. S. N., Pergamene Tarentine. A. S. N., 'Pergamene dei monasteri soppressi (1461-1464) passim. i iù `inascenza Salentina Egli, che aveva progettato con Giovanni Caracciolo e Antonio Cal dora di dividersi il regno e governarlo a nome della Chiesa, avrebbe potuto soddisfare la sua ambizione, ma era sicuro di non poter domare i baroni del regno e mirò quindi ad assicurarsi tali privilegi nel suo principato sì da essere di fatto signore assoluto. Poteva essere grande, ma fu crudele e odiato tanto che i suoi stessi servitori lo soffocarono. Nelle terre che dominò non una pietra resta che lo ricordi. ADELAIDE SQUITIERI DOCUMENTI PRIVILEGI DI LECCE F. 61. t. Iohannes Antonius de Baucio de Ursinis princeps Tarenti Comes Licii Regnique Sicilie magnus Comestabulus etcetera universis et singulis presens nostrum priviliegium inspecturis tam presentibus quam futuris et presertim nostre curie racionalibus erariis ac baiulis et foresteriis civitatis nostre Horie ac quibuscumque officialibus nostris ordinatis et in perpetuum ordinandis in province terre Idronti harum serie volumus eciam notum. Quod si benemeritis principem providere fidelibus et maxime subditis et vaxallis cacio suadeat obsequiorum tamen quodamodo gratitudo compellit. Sane revolventes in nostre mentis acie constancia sincere devocionis et fidei universitatis hominum civitatis nostre Licii et casalium civitatis ipsius que de corpore nominant quod in omni sortia eventu nobis et primogenitoribus nostris gesserunt geruntque ad presens sperantes continuacione laudabili de bono in melius prestituros circa eos et ipsorum quemlibet ad gratiam inducimus liberalea adeo ut ipsi ad meliora animari videantur et alii eorum exemplo ad similia ferventius animentur. His et aliis causis mentem nostram digne moventibus eidem universitati et hominibus et quilibet ipsorum iam diete civitatis nostre licii quod casalium predictorum que de corpore sunt tenore presencium de scientia certa nostra nostri propri motus instinctu et liberalitate mero de speciali gratia ex nunc in antea et in perpetuum. Et cum eorum animalibus grossis et minutis cuiuscumque generis et speciei ad quantumcumque summam et quantitatem ascendant et ascendere poterint et possint et valeant at eia et cuilibet ipsorum liceat in tenimento et pertinenciis foreste et baiulacionis civitatis nostre Horie aquam et erbam sumere et ibi pascere stare et pernoctare ad earum libitum voluntatis sine aliqua solucione affide sue diffide erbagii baiulacionis seu foreste seu quovis alio modo melius dici possit dummodo france et libere a qualibet solucione per huiusmodi eam efficiantur auctoritatem omnimodam ac plenam et liberam licentiam impartimur. Itaque vigore et auctoritate presentis nostre concessionis gratie liceat et licitus sit eidem universitati et hominibus ipsius ac casalium predictorum a principio mensis septembris primi futuri anni XI indictione dicto privilegio et franchicia ut omni futuro tempore usque ad infinitum sine impedimento et contraditione quacumque. Nec hoc aliquem latere volumus quod in dieta civitate nostre Horie ex privilegio et nova confirmacione domiaorum regum iura regalia et fiscalia habemus cum dieta civitas (et ceteri gnorunt) bit de Adelaide Squitieri - Un barone napoletano del 400 1.83 principatu nostri Tarenti in quo ut diximus ditta iura regalia et fiscalia nobis et heredibus nostris concessa et de novo confirmata fuerunt. Mandantes propterea harum serie de dieta scientia certa nostra predictis nostrae curie racionalibus ac ceteris officialibus quacumque preheminencia auctoritate et iurisdicione fungentibus ad quos spectent et spectare poterit presentibus scilicet et futuris ad penam et sub pena ducatorum milia quantus illam observent realiter et cum effectu observarique faciaant atque mandent prout fecerent ad litteram nec ipsam glosent seu interpetrent in aliam partem quam in favore dicte concessionis et gratie et contrarium non faciant seu presumant nec fieri aut presumi permictant prout gratiam nostram caram habent et indignacionem et disgraciam cupiunt propterea evitare. In cuius rei testimonium et predicte universitatis et hominum civitatis nostre Licti et casalium eorum presens privilegium exinde fieri et scribi mandamus nostri secreti anuli impressione et sigillo pendenti munitum actum et datum. In castro nostro Licii die XII mensis Augusti X Indicionis Anno domini MCCCCXLVII. 2. ESECUTORIALE 4-F. 370 t. PRO DOMINO JACOBO FONTE Inichus etcetera Magnificis egregiis et nobilibus viris viceregibus iusticiariis commissariis capitaneis et aliis officialibus et subditis regiis presentibus et futuris quacumque auctoritate et potestate fungentibus in terra Idronti et civitate Tarenti constitutis et constituendis fidelibus regiis amicis nostris carissimis salutem pro parte magnifici viri domini Jacobi Fonte fuerunt coram nobis presentate Regie littere magno impendenti sigillo sugillate aliisque sue curie sollemnitatibus roborate tenoris sequentis.; Ferdinandus dei gratia etcetera universis et singulis presentes licteras inspecturis tam presentibus quam futuris confirmantis auctoritas interdum ius exhibet interdum non abundancioris cautele robur indulget et dum benevolum omnium confirmantis ostendit ad observanciam seu permissionis astringit sane magnificus consiliarius et secretarius noster dilectus Jacobus Fonte maiestati nostre exhibuit et presentavit quasdam patentes licteras illustri quondam Johannis Antoni de Ursinis principis Tarenti per quas quidem licteras idem princeps concesserat dicto Jacobo officium comestabulatus in curia capitanei civitatis Tarenti quarum quidem litterarum tenore sequitur et est talis Johannes Antonius princeps Tarenti Comes Licii magnus Comestabulus regni Sicilie etcetera. Spettabili secretario nostro carissimo Jacobo Fonte salutem et gratiam nostram vacante officio comestabulatus in curia capitanei civitatis Tarenti per mortem Petri ditti Pepe quondam familiaris nostri in dicto officio quo adiunxeris cum potestate aliquem substituendi in dicto officio quo adiunxeris cum potestate aliquem substituendi in dicto officio cum emolumentis sibi debitis et consuetis harum serie duximus preferendum statuendum et ordinandum mandantes capitaneis civitatis iam dicte presenti et futuris quatenus substitutum per te in dicto officio penes eos acceptent et admictant et ne in dicto officio sumptibus propriis laborare cogaris gagia tibi ad rationem de uncis quattuor per annum diximus tenore presencium statuenda tribus quidem unciis tibi et una statuto tuo solvendis de mense in mense prenata temporis incipiendo a primo septembris presentis anni III indicione et deinde antea dum vixeris prothonotarios nostros eiusdem civitatis presentem stantibus et futuris de omni et quacumque pecunia curie nostre per ipsorum manibus sistente et futura quibus thesauràriis quod gagia ipsa tibi et substituto tuo modo quo supra solvant et assignent presencium auctoritate iniungimus et mandamus et de solucione gagiorum ipsorum recipiant apodixas in computis eorum producendas Ì 84 Rinascenza Salentina et cum transapto prexincium acceptandas. Datum in castro nostro Tarenti XXVII Octobris III indicione MCCCCLIV Johannes Antonius princeps Tarenti manu propria supplicavit proinde dictus Jacobus eidem nostre maiestati ut per insertas litteras dictumque officium omniaque et singula in eis contenta confirmare et quantus opus est denovo concedere benignius dignaremur. Nos itaque supplicacionibus ipsis graciosius annuentes tenore presencium nostra et ex certa scientia liberalitate mera et gratia speciali dictas per insertas litteras omniaque et singula in eis contecta dictum • que officium come stabulatus dicto Jacobo gnomi vixerit confirmare approbamus ratificamus acceptamus quantus opus est de novo concedimus nostreque confirmacionis acceptacionis et approbacionis ac nove concessionis munimine et robore validamus eatenus tamen quantus in possessione dicti officii existit et in provinciarum est Serenissime propterea Regine consorti et illustrissimo Alfonso de Aragona duci Calabrie filio primogenito et locumtenente et vicario nostro generalibus carissimis nostris super hiis declarare intentum mandamusque viceregibus iusticiariis capitaneis commissariis et aliis officialibus et subditis nostris presentibus et futuris quacumque auctoritate et potestate fungentibus in terra Idronti et civitate Tarenti quatenus forma pre insertarum litterarum predicci principis nostreque presentis confirmacionis per eos et quemlibet illorum diligenter actenta illam ipsi et quilibet eorum dicto Jacobo quead vixerit observent et observari faciant et mandent inviolabiliter et inconcusse pure simpliciter et bona fide iuxta ipsarum continenciam et tenorem et contrarium non faciant quantum dicti locotenentis nostri morem genere cupiunt reliqui vero officiales nostri gratiam: nostram caram habent iramque et indignacionem et penato nostro arbitrio reservatam cupiunt non subire in cuius rei testimonium presentes exinde fieri et magno nostro sigillo iussimus communiri, Datum in civitate nostre Tarenti per nobilem et egregiurn, virum Benedictum de Balsamo de Pedemonte familiarem nostrum dilectum locotenemtem spectabilis et magnifici viri Honorati Gaietani Fundorum comitis regni hius logothete et protonotarii collateralis consiliarìi fidelis nostri plurimum diletti die XXVII Decembris anno domini MCCCCLXIV Regnorum vero nostrorum anno VII Rex Ferdinandus. Dominus rex mandavit mihi Antonello de Petruciis Nicolaus Antonius locumtenens magni camerarii Egidius Sebastianus pro Paschasio Garlon nichil solvat quod secretarius registrata in cancelleria penes cancellarium in registro XXXV super quibus requisita esequtoria in forma ditte camere confacta vobis propterea et unicuique vestrum tenore presentium officio autem quo fungimur dictum precipimus et mandamus quatenus pre insertarum regiarum literarum per nos et quemlibet vestrum diligenter actencta et in omnibus inviolabiliter observata ipsa pre insertas regias litteras ac omnia et singula in eis contenta exsequamini et effectualiter adimpleatis iuxta earumdem seriem pleniorem et contrarium non faciatis sic quanto regiam gratiam caram habetis iramque et indignacionem et penam eius arbitrio atque nostro reservatam cupitis non subire presentibus post earundem oportunam inspecionem singulis vicibus pro cautela remanentibus presentanti. Datum Neapoli apud eamdem cameram die XXVIII Mensis Marci XII indicionis MCCCCLXIV Nicolaus Antonius de Montibus locumtenens magnificus camerarius. Jacobus Andreas pro magistro auctore Adelaide Squitieri - Un barone napoletano del 400 185 3. ESECUTORIALE 4 f. 159 t. PRO CONVENTU SANCTI ANTONI de TARANTO Inichus et-cetera dohanerio et credenceriis e t aliis officialibus fundici et dohane civitatis Tarenti amicis suis carissimis salutem quia Regia Maiestas inter cetera capitula per eandem maiestatem concessa universitati et hominibus dicte civitatis concessit quoddam capttulum tenoris sequentis item perche in Taranto e uno loco de observanti unici a li quali el dicto principe facea dare elemosinaliter per omne settemana uno ducato et per omne di che jeiunavano rotoli due e mezza de pesce et de pesce salato rotuli cento cinquanta per anno et per li vestimenti ducati XLI supplica la dicta universita a la prefata maiesta se digna ad suo beneplacito de donare la dicta elemosina a li predicti observanti et ad cio che semper orare Dio et lo glorioso sancto Antonio per sua salute et stato placet regie Maiestati quare supplicante vobis pro parte fratrum predictorum quod pro exteris capituli predicti et contendorum in eo providere dignaremur quod premisso ut supra concessa suis temporibus effectualiter sibi dentur vobis proptera officii auctoritate qua fungimur dicimus precipimus et mandamus quatenus deducato uno per septimana qualibet et rotolis duobus cum dimidio de pisce singulis diebus quibus fratres ipsi jeiunaverint et de dictis cento cinquanta rotulis piscis sicci saliti suis temporibus satisfaciatis eisdem fratribus seu guardiano loci predicti vel cui guardianus ipse mandaverit pro fratribus predictis prout et quemadmodum tempore dicti principis melius pro eos seu predecessores v estros in dictis fundico et dohana fieri consuevit. Nec non annis singulis et pecuniis fructum et reddituum dohane predicte ad manus vestras preventis et de cetero preventuris pro vistimentis fratruum predictorum annis singulis assignetis aut assignari facietis fratribus predictis seu guardiano loci predicti aut cui ipse mandaverit ducatos 40 predictos nos enim hos eosdem mandamus secreto dicte province Regioque thesaurario et quibusvis regiis commisariis super perceptionem pecuniarum ipsius fundici ct dohane deputatis et deputandis seu rationem et computum a nobis recepturos quatenus vobis premisso racione exitu vestro seu dato ponentibus et assignan tibus lode apocam de soluto illam vobis audiant et admictant absque dubio difficultate quacumque nec contrarium faciatis si regiam gratiam caram habetis eiusque iram et indignacionem et penam unciarum XXV incurrere non optatis. Datum Tarenti Die XXVIII Decembris XII Indicionis MCCCCLXIV Nicolaus Antonius de Montibus locumtenens magni camerari. Angelillus de Curio auctore magistto 4. AUTOGRAFI ARAGONESI vol. I lohannes Antonius princeps Tarenti comes Lidi magnus co mestabulus Regni Sicilie 'etcetera mandamus nobili tesaurario nostro liciensi anni presentis quantus liberet et absolvat Mariam de Iohanne et Chaterinam Antonii Albanensis a solucione tareni unius per quemlibet pro penam ad quam eas condemnavit Catapan noster liciensis pro eo quod vendiderunt panem ex pondere iniusto quam penam ipsam eis grosse remissimus. Datum in castro nostro Licii XX Septembris I indicionis MCCCCLII. lohannes Antonius Princeps Tarenti manu propria