Anno VI
ISSN 1970-741X
Protesi
di Caviglia
Monocompartimentali
di Ginocchio
Numero 1/2011
Gestione
del Sangue
Poste Italiane Spa - Sped. in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. I comma I, DCB Milano Taxe Perçue
ORTHOviews
la Ricerca nel Mondo
Infortuni
nel Calcio
Corsi
e Congressi
EDITORIALE
Comunicare al pubblico
in modo efficace
I temi legati alla salute costituiscono un vasto campo, al
quale i media dedicano la massima attenzione, consapevoli dell’interesse suscitato nel pubblico dall’argomento,
come testimonia del resto l’assidua frequentazione di siti
web che in qualche modo trattano questioni mediche.
Ma in che modo la stampa non specialistica presenta tali
argomenti, con quanta attenzione e competenza? In
genere poca, purtroppo. La giustificazione potrebbe essere che la medicina richiede al lettore competenze specifiche per essere compresa. Ma questo vale anche per la
finanza: quanti dei lettori hanno sufficienti competenze in
questo campo? Eppure, in tema di economia si pubblicano articoli di livello ottimo, talvolta non chiarissimi forse,
ma tecnicamente ineccepibili. Le pagine dedicate alla
salute sui quotidiani e i rotocalchi, invece, sono affidate a
giornalisti generalistici e non necessariamente preparati
in materia, poco avvezzi a gestire fonti affidabili.
Insomma si tratta, con le dovute eccezioni, di un giornalismo che nell’affrontare i temi di salute e medicina è poco
critico, talvolta sciatto, più interessato a creare sensazionalismo che a informare, come se la salute fosse uno dei
molti argomenti di intrattenimento e non una dimensione
(e un diritto) fondamentale dell’essere umano.
Per questo motivo colpisce positivamente la recente campagna rivolta al pubblico da parte del Ministero della
Salute e dell’Aifa, riguardante il corretto uso degli antibiotici, dal titolo “Antibiotici, difendi la tua difesa. Usali con
cautela”. Un modo di affrontare un tema importante in
tono divulgativo ma corretto e convincente.
Il problema non è di poco conto: l’uso sconsiderato degli
antibiotici allarma per le pesanti ripercussioni sulla spesa
Continua a pag. 2
Chirurgia protesica
tra filosofia e tecnica
Sabato 5 marzo
I CONSENSUS CONFERENCE
Fattori di crescita in ortopedia
Presidente del Congresso: Prof. Antonio Gigante
ANCONA, Ridotto del Teatro delle Muse
Segreteria Organizzativa: CSC srl
Tel. 075.5730617 - Fax 075.5730619
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GRIFFIN EDITORE
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FACTS&NEWS
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FACTS&NEWS
Protesi di caviglia,
una chirurgia
ancora pionieristica
L’articolazione della caviglia rappresenta la nuova frontiera della chirurgia
protesica e promette nei prossimi anni un notevole sviluppo
Tabloid di Ortopedia ha intervistato Federico Giuseppe
Usuelli, ortopedico dedicato alla chirurgia della caviglia
e del piede, che da poco ha aperto una nuova fase della
sua vita professionale entrando a far parte - assieme ai
colleghi Umberto Alfieri Montrasio e Michele Boga dell'équipe del Centro di traumatologia sportiva e
chirurgia artroscopica del Galeazzi diretto da Herbert
Schoenhuber con un modulo di chirurgia della caviglia e
del piede. Grazie all'iniziativa del suo primo maestro
Francesco Malerba, Usuelli ha potuto maturare una
considerevole esperienza negli Stati Uniti, frequentando
prima il Dipartimento di chirurgia ortopedica della Duke
University diretto da James A. Nunley, il Centro di
riferimento a livello mondiale per la protesica di caviglia,
che vanta la casistica più elevata per questi interventi, e
poi lavorando a stretto contatto con quello che viene
considerato il chirurgo numero uno della chirurgia della
caviglia e del piede: Mark Myerson, Direttore dell'Institute
for foot and ankle reconstruction al Mercy Medical Center
di Baltimora. Usuelli ci ha fatto il punto sulla protesica di
caviglia: una chirurgia affascinante, ancora in fase
pioneristica, che presenta differenze anche marcate tra la
scuola americana e quella europea.
Dottor Usuelli, possiamo
parlare della chirurgia
della caviglia come della
nuova frontiera della
protesica?
Certamente sì. Lo stato dell’arte della protesica di caviglia oggi è paragonabile a
quello delle protesi d’anca
negli anni Sessanta: i disegni
continuano a cambiare, di
pari passo con le indicazioni
e le tecniche chirurgiche.
Le protesi di caviglia rappresentano senza dubbio
una novità in campo ortopedico, e le soluzioni di
nuova generazione sono
quelle che hanno permesso
di compiere il forte salto di
qualità a cui assistiamo oggi
e che ha rinnovato l’interesse della comunità scientifica su questa opzione
terapeutica.
Segue da pag. 1
farmaceutica e sulle risorse dei sistemi sanitari, ma la questione principale è che l’antibioticoresistenza e il progressivo venir meno dell’efficacia delle sole armi a disposizione per contrastare infezioni batteriche più o meno gravi
impone un allerta costante da parte di tutti gli operatori
della salute. La campagna informativa al pubblico che si
è svolta in questi ultimi mesi ha saputo comunicare con
efficacia, chiarezza e precisione che occorre seguire
fedelmente le indicazioni del medico rispetto a tempi,
dosi e modalità di assunzione, evitando di interrompere
precocemente la terapia. Altro punto critico da non sottovalutare, l’interferenza sulle scelte terapeutiche derivanti
dai consigli di parenti e amici e l’impiego non monitorabile di farmaci avanzati da trattamenti precedenti.
Rispetto a quest’ultimo punto, allargherei il discorso - e la
comunicazione al pubblico - al tema degli antidolorifici,
su cui l’informazione dev’essere davvero puntuale e precisa. Il paziente ha bisogno di calmare il dolore e s’informa: ricerca notizie ovunque e raccoglie qualsiasi tipo
d’informazione. Chi ha a che fare con l’apparato muscolo-scheletrico conosce bene l’importanza della questione
e si aspetta che venga affrontata in modo divulgativo ma
assolutamente corretto ed esplicito. Alla larga, per intenderci, anche da false promesse e strane terapie, che con
la medicina hanno poco a che fare e che vendono, purtroppo, soltanto speranze vane.
(Paolo Pegoraro)
Le rare esperienze degli
anni Settanta e Ottanta
avevano sempre portato a
degli insuccessi. Per questo
la protesica di caviglia non
ha incontrato in passato la
fortuna di cui hanno invece
goduto le protesi di ginocchio e d’anca.
Quali le indicazioni a
questa chirurgia?
I pazienti che ottengono i
migliori risultati sono quelli affetti da malattie sistemiche - artrite reumatoide,
emocromatosi ecc. - che
presentano una degenerazione artrosica ma anche
una componente artritica.
Con l’intervento di protesizzazione si può agire su
queste patologie in maniera
molto efficace dal punto di
vista della riduzione del
dolore, e anche se non
viene ripristinata la funzio-
Da sinistra, Gaston Anibal Slullitel, Mark Myerson, Federico Usuelli
e Umberto Alfieri Montrasio, ospiti a casa del chirurgo americano
a Baltimora per vedere la finale dei mondiali di calcio
MODELLO AMERICANO
ED EUROPEO A CONFRONTO
Federico Giuseppe Usuelli
nalità dell’articolazione si
ottiene un buon risultato
rispetto alle aspettative del
paziente.
Risulta invece molto più
complesso trattare gli esiti di
trauma, in quanto il paziente
- che prima dell’infortunio
non aveva alcun tipo di
limitazione nel movimento non accetta una forte riduzione della funzionalità, che
purtroppo non possiamo
restituirgli.
Tuttavia oggi si cerca di
estendere le indicazioni al
paziente più giovane, ma vi
sono opinioni discordanti:
da una parte si sottolinea il
vantaggio della diminuzione
del sovraccarico alle articolazioni adiacenti; dall’altra si
evidenzia la scarsità dei dati
di follow up oltre i 10 anni,
di cui ancora non disponiamo. Certo è che una controindicazione assoluta all’utilizzo delle protesi di caviglia è la presenza di defor-
Con i tanti modelli di protesi disponibili, la scelta
del chirurgo si rivela sempre difficile
"Gli americani utilizzano degli impianti meno evoluti
rispetto ai nostri - spiega Federico Giuseppe
Usuelli dell'Unità di chirurgia della caviglia e del
piede CTS dell'Istituto Ortopedico Galeazzi di
Milano -. Di fatto eseguono molti più interventi rispetto ai chirurghi europei - anche per la maggiore prevalenza delle patologie della caviglia negli Usa legate al sovrappeso e alla maggiore incidenza dei traumi - ma avendo a disposizione una tecnologia più
antiquata". Questo a causa dei limiti imposti dalla
Food and Drug Administration (Fda), l'ente americano che certifica i dispositivi medici: i costi per le
aziende produttrici di protesi per accedere alla certificazione è molto elevato e, trattandosi di una chirurgia di nicchia, non è sostenibile dal punto di vista
economico. Se da una parte quindi l'attività della Fda
tutela il cittadino e la sua salute, dall'altro, soprattutto in casi come questo, limita nei fatti il progresso tecnologico e l'attività dei chirurghi.
"La scuola americana utilizza protesi a due pezzi,
le cosiddette fix bearing: sono più ingombranti,
occupano molto spazio nell'articolazione e sacrificano più osso. In caso di revisione la scelta terapeutica è necessariamente indirizzata verso una protesi da revisione modulare. Il fallimento nella riprotesizzazione non è raro, e può portare all'amputazione dell'arto sotto il ginocchio (nel 7% dei casi Hansen, J Bone Joint Surg Am, 2007) - ci ha detto
Usuelli, che conosce bene la realtà americana -.
Questa tipologia di protesi, abbastanza arretrata,
riduce di molto il bone stock, con tutti i problemi
che comporta, non soltanto nel primo impianto ma
soprattutto nella revisione".
La tecnologia utilizzata in Europa è molto differente: "Le protesi europee - le mobile bearing - sono
protesi a tre pezzi, con un menisco in mezzo, e
occupano molto meno spazio. Sono protesi più evolute, che offrono un indubbio vantaggio biomeccanico" continua il chirurgo. "La filosofia delle due
scuole è diametralmente opposta proprio nella revisione: negli Stati Uniti, vista la scarsità di osso, si
ricorre all'utilizzo di protesi da revisione, mentre in
Europa si ha ancora la possibilità di trattare un fallimento con l'artrodesi o di riprotesizzare con una
protesi standard, perché il gap osseo è minimo e
può essere colmato". In altri termini, una volta sacrificato molto osso nel primo impianto, e altrettanto
nel reimpianto, il fallimento della protesi da revisione significa dover procedere all'amputazione, soluzione che invece nel Vecchio Continente non viene
nei fatti nemmeno contemplata, e ogni fallimento
può e viene gestito con altre opzioni.
Sebbene la differenza tra le due scuole sia orientata più da vincoli tecnologici piuttosto che da scelte
puramente cliniche, la questione della revisione protesica, che nei prossimi anni si porrà in maniera
molto più forte rispetto a oggi, suggerisce di ripensare l'approccio americano alla chirurgia protesica
di caviglia. "La scuola americana per questo motivo sta guardando con grande interesse all'esperienza europea. Un'attenzione testimoniata anche dalla
crescente presenza di relatori europei agli ultimi
meeting dell'American Orthopaedic Foot & Ankle
Society" ha concluso Usuelli.
A. P
Protesi di caviglia mobilizzata: via d’accesso
durante l’intervento di revisione
Un complicato caso di revisione: rx a due anni e mezzo dall’intervento
mità importanti, perché con
una distribuzione asimmetrica dei carichi l’impianto protesico fallisce.
per interventi di protesi di
caviglia è molto alta, quindi questa chirurgia dovrebbe essere ad esclusivo
appannaggio di centri di
riferimento a livello nazionale. L’indicazione al trattamento, la scelta chirurgica corretta, l’iter riabilitativo più efficace sono scelte
molto complesse in questo
ambito, e richiedono un
chirurgo esperto e dedicato.
La scelta di trattare questi
pazienti in centri dedicati
deriva inoltre dal numero
dei casi: si tratta di numeri
ridotti - solitamente si tratta di pazienti di 50 anni,
che hanno sviluppato
un’artrosi post traumatica , numeri che diventano
significativi solo se convogliati in poche strutture.
Quali allora gli obiettivi
clinici di un intervento di
protesi di caviglia?
Se nella protesi di ginocchio l’obiettivo è quello di
imitare la biomeccanica
naturale dell’articolazione,
nella protesica di caviglia
questo risultato non è oggi
raggiungibile, e si ritiene
un successo il mantenimento anche di una parziale articolarità in assenza
di dolore. A volte anche
20° di articolarità rappresentano un buon punto
d’arrivo, perché sono sufficienti a scongiurare il
sovraccarico delle articolazioni distali.
Quindi l’obiettivo della
protesi di caviglia non è
tanto quello di ripristinare
la funzionalità dell’articolazione, quanto quello di
conservare un sufficiente
grado di mobilità che permetta una buona deambulazione e scongiuri un
eccessivo
sovraccarico
delle articolazioni distali
del piede, che negli interventi di artrodesi con
chiodo di tibio-tarsica e
sottoastragalica può portare ad artrosi delle articolazioni vicine.
È una chirurgia complessa
o alla portata di tutti?
La curva di apprendimento
Quale il protocollo
riabilitativo post
chirurgico?
artrosi, è preferibile la
protesi di caviglia o
l’intervento di artrodesi?
In questo ambito siamo
ancora agli inizi. Gli americani prevedono un
periodo di immobilizzazione che oscilla tra le 3 e le
5 settimane, poi procedono con un carico progressivo.
Nella nostra recente esperienza eravamo orientati
verso 35-40 giorni di stivaletto gessato, ma recentemente stiamo cercando
di ridurre il periodo di
immobilizzazione a 15-20
giorni, perché abbiamo
riscontrato rigidità e calcificazioni articolari.
L’intervento di artrodesi
tibio-tarsica garantisce al
paziente un buon risultato, che gli permette un
discreto livello funzionale
ma gli preclude la possibilità di compiere movimenti complessi, come
quelli richiesti da una
qualsiasi attività sportiva.
Al contrario un intervento di protesi di caviglia
può offrire un risultato
funzionale migliore al
paziente, ma con meno
certezze: il risultato può
rivelarsi a volte identico,
a volte peggiore rispetto
all’artrodesi.
Per quale motivo allora ci si chiede - proporre ai
In conclusione, in caso di
nostri pazienti un intervento di protesizzazione?
Da una parte si tratta di
costruire il futuro della
chirurgia di questa articolazione, dall’altra già oggi
possiamo ottenere una
riduzione dello stress delle
articolazioni vicine, che
senza dubbio rappresenta
un vantaggio a lungo termine per il paziente.
La protesi di caviglia è un
intervento che ha grandi
margini di miglioramento
per il futuro e per alcuni
pazienti selezionati rappresenta già il gold standard, ma l’artrodesi tibiotarsica è oggi, nella maggior parte dei casi, la scelta chirurgica più equilibrata tra le due.
Andrea Peren
4
FOCUS ON
Protesica mininvasiva
e tissue sparing surgery
Alfredo Schiavone Panni
Le protesi monocompartimentali del ginocchio permettono la conservazione
di gran parte delle strutture anatomiche, presentano una ridotta invasività
chirurgica e garantiscono un recupero funzionale più rapido e naturale
Tabloid di Ortopedia ha intervistato il professor
Alfredo Schiavone Panni, Direttore di Clinica
Ortopedica dell'Università degli Studi del Molise.
Specialista in chirurgia del ginocchio, dell'anca
e della spalla, è impegnato da sempre non solo in
ambito accademico, ma anche scientifico
nazionale ed internazionale nello sviluppo della
disciplina.
Schiavone Panni ha maturato in particolare una
grande esperienza nella protesica mininvasiva,
in particolare sulle monocompartimentali di
ginocchio: una chirurgia guidata dal concetto di
tissue sparing surgery, letteralmente chirurgia
del risparmio dei tessuti, la filosofia che ha prima
affiancato e poi ha preso il posto della minimally
invasive surgery degli americani.
importantissima per qualsiasi articolazione e ancor più
per il ginocchio.
La Scuola italiana da sempre
è stata vicina a questo tipo
di approccio, che ha permesso uno sviluppo della
chirurgia protesica mininvasiva: le protesi monocompartimentali - con le quali si
tratta la patologia solo nel
lato coinvolto - e le protesi
di superfice - in cui l'osso
viene conservato quasi nella
sua totalità, asportando solo
la lesione - ne sono un chiaro esempio.
Professor Schiavone
Panni, quale la filosofia
alla base della chirurgia
protesica mininvasiva?
La protesica mininvasiva
presenta dei confini rigidi
o le indicazioni sono
ampliabili a seconda
dell'esperienza
del chirurgo?
L'affascinante sviluppo che
la chirurgia protesica mininvasiva ha avuto in questi
anni nella nostra specialità è
dovuto al concetto di risparmio dei tessuti, del rispetto
anatomico, e non è certo
dipeso dell'ampiezza dell'incisione cutanea chirurgica.
La ricerca della minima incisione possibile è un concetto
che ha goduto, per un breve
periodo, di una grande spinta mediatica, ma non è la
grandezza del taglio a condurci verso il successo clinico, quanto invece la corretta
esecuzione dell'intervento, il
rispetto e la conservazione
dei tessuti.
La tissue sparing surgery si
pone l'obiettivo di risparmiare le strutture richiedendo di essere sempre più precisi nel gesto chirurgico e
nelle dissezioni anatomiche,
conservando quanto più possibile il tessuto osseo e rispettando le strutture muscolotendinee. Un altro fondamentale vantaggio è la conservazione della propriocettività articolare, funzione
Ogni intervento, per ottenere i risultati che si prefigge,
deve rispettare le corrette
indicazioni. E per quanto
riguarda la protesica mininvasiva e le tecniche di tissue
sparing è ancor più vero: i
tentativi di estendere oltremodo le indicazioni al trattamento portano a possibili
insuccessi.
Le protesi monocomparti-
mentali hanno indicazioni
molto precise, che possono
in alcuni casi essere allargate anche a pazienti molto
anziani, con deformità
importanti, ma con richieste
funzionali modeste. Se nel
soggetto giovane, attivo,
con alte richieste funzionali
queste protesi non trovano
indicazioni, nei pazienti di
età avanzata si sono rivelate
un trattamento molto efficace per vari motivi: il recupero post operatorio è molto
rapido, le perdite ematiche
sono contenute, la durata
dell'intervento è ridotta a
mezz'ora circa e i risultati, in
relazione alle richieste del
paziente, sono molto soddisfacenti.
Lei ha presentato
recentemente indicazioni
e risultati a medio termine
per la femoro rotulea.
Quali i vantaggi di
questa soluzione
protesica?
La protesizzazione femoro
rotulea è una tecnica chirurgica molto recente. Con
questo tipo di protesi è possibile una conservazione quasi
totale della componente
ossea, un'asportazione veramente minima del tssuto
cartilagineo e una ridotta
asportazione di osso a livello
della troclea femorale.
Questo permette un miglior
recupero post chirurgico e
la possibilità di utilizzo della
cosiddetta bi-mono (o doppia monocompartimentale), cioè l’associazione di un
intervento di monocompartimentale - mediale nel
ginocchio varo o laterale
nel ginocchio valgo - con il
trattamento
dell'artrosi
femoro rotulea con la protesi dedicata.
C'è da dire che i casi nei
quali si utilizza solo la protesi femoro rotulea non sono
frequenti, perché raramente
l'artrosi di questo distretto si
presenta in maniera isolata.
Avremo quindi casistiche
sempre molto limitate di
questo tipo di interventi.
Come vede il futuro
della chirurgia
protesica?
Sarà sempre più indirizzato
verso la tissue sparing surgery
e si svilupperanno in un
futuro non certo prossimo
le protesi biologiche.
Inoltre tratteremo sempre
più precocemente le lesioni degenerative, soprattutto grazie all'utilizzo dei fattori di crescita nel trattamento delle lesioni condrali, nelle fasi precoci,
quando ancora non si è
instaurato un processo
degenerativo molto avanzato, scongiurando così la
chirurgia protesica e quindi anche i complessi interventi di riprotesizzazione,
grazie alla chirurgia ricostruttiva.
Andrea Peren
CHIRURGIA PROTESICA
E CURVA D'APPRENDIMENTO
Impianto di una mini protesi secondo
i dettami della tissue sparing technique
Controllo radiografico di una protesi monocompartimentale
a 5 anni di follow up
"La tecnica di chirurgia protesica di ginocchio è molto
delicata: oltre al rispetto delle indicazioni al trattamento
richiede il rispetto di un principio importantissimo come
il bilanciamento legamentoso - ha sottolineato Alfredo
Schiavone Panni, professore di ortopedia
all'Università degli Studi del Molise -. Si tratta quindi di
interventi che devono essere eseguiti da mani esperte,
da chirurghi con alle spalle un buon numero di operazioni di questo tipo". È senza dubbio questa una delle
peculiarità degli interventi protesici: non si diventa ottimi chirurghi se non si ha la possibilità di operare questa tipologia di pazienti con una certa continuità. Un
problema che coinvolge soprattutto i giovani, che accedono a questa chirurgia solo più avanti nel loro percorso professionale, a differenza di quello che accade
oltreoceano. "Il ritardo nell'esecuzione di interventi di
protesi da parte dei giovani può essere in parte superato grazie ai cadaver lab, che mi auguro vengano attivati presto nel nostro Paese" sottolinea il docente.
Ma non è solo l'aspetto formativo a identificarsi come
criticità nel mondo dei giovani specializzandi:
l'Università è anche il luogo dove prima di ogni altro è
visibile la scarsa attrattività che caratterizza oggi la specialità ortopedica. "Nelle nostre Università abbiamo
sempre meno ortopedici sostanzialmente per due motivi
- ci ha spiegato Schiavone Panni -. Uno ritengo sia legato alle sempre più pressanti problematiche medico legali, l'altro relativo al grande impegno e sacrificio che la
chirurgia ortopedica richiede". E in un sistema in cui gli
studenti sgomitano per accedere alle facoltà di medicina a numero chiuso, e in cui lottano per accaparrarsi i
pochi posti disponibili nelle altre specialità chirurgiche,
la scarsità di giovani specializzandi che si dedicano
all'ortopedia fa ancor più riflettere.
6
FOCUS ON
Gestione del sangue
in chirurgia ortopedica
Il contenimento delle perdite ematiche rappresenta la vera sfida
dell’ortopedia. In fase di studio le linee guide della Siot
S
oluzioni protesiche
sempre più tecnologiche, procedure chirurgiche raffinate e presidi
farmacologici di ultima
generazione sono certamente componenti importanti dell'ortopedia del
terzo millennio. Una specialità abituata a sperimentare soluzioni sempre
più efficaci dal punto di
vista tecnico e clinico, ma
che oggi si trova a dover
affrontare una sfida molto
importante, che trascende
la superspecialità e abbraccia tutta la branca ortopedica: il risparmio del sangue. "Il risparmio del sangue è un nuovo obiettivo
per l'ortopedico, e in questo senso ogni chirurgia ha
le sue peculiarità" ha esordito Pietro Bartolozzi,
past
president
della
Società
Italiana
di
Ortopedia
e
Traumatologia. Ed è stato
proprio questo il tema al
centro di un interessante
simposio tecnico tra esper-
ti tenutosi in occasione
dell'ultimo Congresso Siot
di scena a Roma. Un simposio che si è focalizzato su
un tema molto attuale in
sala operatoria e al quale
idealmente farà seguito la
pubblicazione da parte
della Siot di un documento guida. "Presto svilupperemo un protocollo sul
controllo del sangue in
sala operatoria" ha confermato Andrea Piccioli,
Segretario Siot.
Un documento che sarà
certamente utile ai chirurghi ma che sarà apprezzato
anche dalle direzioni sanitarie, visti gli alti costi che
le strutture ospedaliere
devono sostenere. "Presso
il nostro Ospedale nel
2000 abbiamo speso ben
otto milioni per la gestione del sangue - Francesco
Vaia, direttore sanitario
del Policlinico Umberto I
di Roma -. Una singola
trasfusione costa 163 euro
(dato 2009) alla struttura
sanitaria".
In oncologia si verificano
forti perdite ematiche nel
paziente, come spiega
Rodolfo
Capanna,
Direttore del dipartimento
di ortopedia oncologica e
ricostruttiva dell'Azienda
Ospedaliero-Universitaria
Careggi di Firenze. "In un
intervento si può arrivare
anche a perdere 60 litri di
sangue. In chirurgia oncologica l'attenzione a contenere la perdita ematica è
molto alta, sia perché questi pazienti sono spesso
sotto chemioterapici, sia
perché non possiamo
ricorrere al recupero
intraoperatorio".
Ecco
allora che la criochirurgia,
il cavitron e il bisturi laser
si rivelano soluzioni estremamente utili. Soluzioni
tecnologiche in alcuni casi
molto costose, quindi non
sempre disponibili in sala
operatoria, dove si rivela
senza dubbio necessaria
una più che ottima collaborazione tra chirurgo e
anestesista. "Considero
fondamentale il poter
lavorare sempre con lo
stesso anestesista, così da
creare quell'affiatamento
in sala operatoria necessario per lavorare al meglio"
spiega Capanna.
Un'opinione condivisa da
Francesco
Saverio
Santori, esperto di chirurgia dell'anca: "Un buon
anestesista è senza dubbio
fondamentale, anche in
chirurgia dell'anca dove
rispetto al passato il
tempo dell'intervento è
meno importante. Oggi è
fondamentale ottenere
risultati d'eccellenza, operando in maniera accurata
e facendo attenzione non
tanto alla grandezza dell'incisione quanto a non
lesionare i muscoli, che
sanguinano molto".
Il tempo dell'intervento
può però rivelarsi una problematica clinica: "Un'ora
di intervento in più
aumenta la perdita di sangue e il rischio di infezioni
- afferma deciso Bartolozzi
-. Non sono accettabili
perdite ematiche eccessive
a causa della lentezza del
chirurgo. Ai giovani: non
cincischiate".
È proprio Bartolozzi a delineare in poche parole la
strada verso cui tendere: "è
necessario passare da un
concetto di infusione
senza limiti - in passato si
usavano fino a 6-7 flaconi
di sangue per un intervento sulla colonna - a un
concetto di risparmio nella
fase intraoperatoria.
È necessario quindi trovare soluzioni farmacologiche che ci consentano di
operare con bassa pressione nel paziente e studiare
nuove soluzioni tecniche
per contenere le perdite
ematiche. L'obiettivo finale è quello di ricorrere alla
banca del sangue solo in
casi di emergenza". Un
concetto
sottolineato
anche dal neo presidente
Siot Marco D'Imporzano,
che sottolinea come l'obiettivo sia proprio quello
di non far perdere sangue
al paziente, perché sia l'autotrasfusione che il recupero
intraoperatorio
vanno considerati perdite
ematiche.
A. P.
ORTHOviews
Review della letteratura internazionale
EVIDENCE BASED MEDICINE
Superficiale e preoccupante
la qualità dell'informazione sulla salute
“Sesso orale e tumore
della bocca. Esiste un collegamento” annuncia il
sito del Corriere della Sera.
Come dimostrato dalle 26
mila segnalazioni fatte su
Facebook, la notizia è
sicuramente di quelle
capaci di attirare l’attenzione, grazie all’accostamento tra cancro e sesso,
ovvero la più mediatica e
temuta tra le malattie e la
parola che più di ogni
altra è capace di attirare
l’attenzione dei lettori.
L’occasione per confezionare questo titolo è stata
offerta dall’annuncio che
sulla Bbc, la più autorevole tra le emittenti televisive, un’avvenente attrice
presenterà un documentario in cui cadrà “l’ultimo
tabù televisivo”, dal
momento che “si discuterà apertamente di sesso
orale e del legame che esiste tra questa pratica sessuale e il cancro orale,
tumore della bocca”.
Il breve articolo fornisce
dati piuttosto allarmanti
sulla malattia, utilizzando
con malizia parole come
“epidemia emergente” e
“aumento […] esponenziale”. E, come se non
fosse abbastanza, ci viene
detto che “il documentario della Bbc potrebbe
essere di grande aiuto per
far conoscere i pericoli del
sesso orale” (notare il plurale).
La qualità
dell'informazione
sulla salute
Nel Regno Unito la medicina in tutte le possibili
declinazioni è un argomento a cui i mass media
dedicano la massima
attenzione, spesso con
effetti negativi sulla salute pubblica, come Ben
Goladcre ci ha raccontato
ne “La cattiva scienza”,
libro di cui abbiamo già
parlato in un numero precedente della rubrica
(Tabloid di Ortopedia
7/2009).
E in Italia?
Gli articoli che la stampa
nazionale dedica ad argomenti medici sono l’oggetto di uno studio pubblicato qualche mese fa da
PLoS One, una rivista bio-
medica
internazionale
peer review, che aderisce
al movimento open access
e quindi è reperibile gratuitamente da chiunque
abbia accesso a internet
(www.plosone.org).
Lo scopo degli autori, un
gruppo di medici emiliani,
è stato di valutare la qualità degli articoli che la
stampa non specialistica
dedica agli argomenti
medici. Per fare questo
sono stati considerati tutti
i quotidiani e i settimanali, con la sola eccezione
dei giornali sportivi, pubblicati in Italia durante
una settimana scelta a
caso dal calendario. Un
gruppo di volontari ha
fatto una prima selezione
in cerca di articoli che
affrontassero temi medici,
raffinata in seguito da uno
degli autori sulla base
della definizione stabilita
nel protocollo di ricerca,
ovvero di “articoli il cui
scopo sia presumibilmente
di migliorare la conoscenza del lettore su argomenti medici, affrontati da un
punto di vista scientifico”.
Al termine di questo processo di ricerca e selezione
gli autori hanno analizzato 146 articoli, per tre
quarti pubblicati su quotidiani, nel tentativo di
comprendere la qualità
dell’informazione medica
offerta ai lettori italiani.
Ma anche la quantità, dal
momento che il primo
risultato riportato è che
gli argomenti medici
occupano lo 0,7% dello
spazio disponibile. Gli
autori non danno termini
di paragone né con altri
paesi (è la prima ricerca
del genere), né con altri
argomenti, ma in assoluto
meno dell’1% sembra
pochino per un argomento così centrale nella vita
di ciascuno.
L’obiezione potrebbe essere che la medicina richiede al lettore competenze
specifiche per essere compresa. Ma la finanza allora? Quanti dei lettori
hanno sufficienti competenze in questo campo?
Eppure, come vediamo, lo
spazio che le si dedica è
sicuramente
superiore
all’1%.
Mass media
e sensazionalismo
Per quanto riguarda i contenuti, quasi un terzo
degli articoli analizzati si
occupa di ricerca di base,
dato forse sorprendente
da un punto di vista evidence based, ma molto
meno se si pensa a come i
risultati delle ricerche di
laboratorio permettano
un certo sensazionalismo,
pensiamo al classico “scoperto gene della calvizie”
o, se preferite, del transessualismo o della depressione o della criminalità
(divertitevi anche voi a
inserire in Google “scoperto gene”).
Quello di enfatizzare i
risultati della ricerca di
base è in effetti uno degli
errori più comuni della
stampa generalista, da cui
già ci aveva messo in
guardia la redazione di
Partecipasalute, quando
qualche anno fa aveva stilato il decalogo delle trappole
dell’informaizone
sulla salute (vedi box in
questa pagina).
Trattamento e prevenzione delle malattie si prendono una fetta importante
dei restanti articoli.
Peccato però che se l’oggetto della storia è qualche cosa di nuovo, in particolare una nuova cura, il
giornalista si faccia facilmente prendere dall’entusiasmo (o dai comunicati
stampa), scrivendo un
pezzo poco obbiettivo o,
per dirla con le parole dei
ricercatori, sbilanciato, in
cui troppo spesso vengono
enfatizzati oltre misura i
potenziali benefici del
trattamento
descritto.
Qualche volta anche in
modo un po’ maldestro,
come quando, riportando
i risultati di un trial le cui
conclusioni erano la
sostanziale equivalenza
tra un nuovo antipertensivo e un farmaco simile
molto usato, si magnificavano gli effetti del primo
citando solo la sua maggior efficacia nei confronti del placebo.
Altro problema rilevato
in molti articoli è una
certa reticenza nel presentare, al fianco dei benefici, anche gli effetti indesiderati o i costi biologici e
non, che ogni intervento
medico porta con sé. E
ancora meno citati negli
articoli eventuali conflitti
d’interesse che, anche
quando facilmente individuabili, poche volte vengono affrontati. Qua lo
stupore è minore, dal
momento che quello dei
conflitti d’interessi è un
problema che sembra non
appassionare i lettori italiani.
Un bilancio
piuttosto negativo
Insomma il ritratto che ne
esce è, con le normali
eccezioni, quello di un
giornalismo che nell’affrontare i temi di salute e
medicina è poco critico,
talvolta sciatto, che sembra essere più interessato
a creare sensazionalismo
che a informare, come se
la salute fosse uno dei
molti argomenti di intrattenimento e non una
dimensione (e un diritto)
fondamentale dell’essere
umano.
Come dicono gli autori,
un importante limite
dello studio è che ha focalizzato l’attenzione solo
sulla carta stampata, ignorando mezzi di comunicazione che probabilmente
contribuiscono maggiormente alla (in)formazione
del cittadino: la televisione e internet. Il timore
però è che i risultati di
una simile ricerca potrebbero essere ancora più
scoraggianti.
E il legame tra cancro
della bocca e sesso orale?
Non c’è. Solo si sono
messi insieme due fatti tra
loro non collegati, quali
la presenza degli HPV in
alcuni casi di cancro della
bocca e la trasmissione
per via sessuale dell’HPV
a livello genitale. MA: 1)
la presenza non significa
causa e 2) ancora non sappiamo come avvenga la
trasmissione degli HPV a
livello orale.
E quindi il titolo del
Corriere (benché mutuato
dalla Bbc), non è buon
giornalismo medico.
Giovanni Lodi
Università degli Studi
di Milano
LE 10 TRAPPOLE
DELL’INFORMAZIONE
SULLA SALUTE
1. Fidarsi degli esperti
2. Interrogare lo specialista
sbagliato
3. Confondere la fantascienza
con la scienza
4. Farsi ingannare dai numeri
5. Prendere gli aneddoti
come prove
6. Non porre le giuste domande
a uno studio clinico
7. Estrapolare dalla ricerca pura
alla pratica clinica
8. Enfatizzare le implicazioni
cliniche di uno studio
9. Trasformare un fattore
di rischio in una malattia
10.
Presentare in modo alterato
i rischi
(Fonte: www.partecipasalute.it)
10
I N F E Z I O N I O ST E OA RT I CO L A R I
Cementi ossei e antibiotici
un modello multifattoriale
In un’elevata percentuale
di casi, le sostituzioni articolari primarie vengono
ancorate all'osso contiguo
attraverso un letto in
cemento osseo acrilico. In
Inghilterra, per esempio,
gli interventi di artropla-
stica cementata ammontano a circa il 70% nel
caso dell’anca e a percentuali ancora maggiori nel
caso delle protesi totali
della spalla e del gomito.
Una delle complicazioni
post-operatorie più peri-
colose è rappresentata da
un’infezione periprotesica
profonda, la quale, pur
presentandosi con frequenze
relativamente
basse (0-4%), è un problema di notevole portata
dato il grande numero di
questo tipo d'interventi
ogni anno.
Per prevenire questo tipo
di complicazione - che ha
un effetto potenzialmente
devastante sia per la salute del paziente, sia per il
fatto di vanificare del
tutto l’impianto protesico
- oltre all’adozione delle
abituali tecniche di sterilità, da molti anni si utilizzano cementi ossei caricati con miscele di antibiotici.
Una review di Gladius
Lewis, apparsa recentemente sul Journal of
Biomedical
Materials
Research, fornisce un’esaustiva panoramica dello
stato dell'arte su questo
tipo di tecnica protesica.
Oltre a riportare il model-
lo cinetico del rilascio
(eluizione) dell’antibiotico del cemento (e la relativa influenza da parte
delle proprietà fisiche del
cemento), l’attenta disamina della letteratura
condotta da Lewis indica
che le proprietà chimicofisiche
delle
protesi
cementate e caricate con
antibiotici sono influenzate da una pletora di fattori, tra cui la composizione del cemento, il tipo o i
tipi di antibiotici usati, la
tecnica di caricamento e
miscelazione dei farmaci,
la quantità di antibiotico
caricato e il tipo di composizione di cemento.
Lewis riporta anche gli
studi in vitro condotti per
analizzare la resistenza del
cemento caricato con
antibiotici alla formazione di un biofilm batterico,
evento che aumenta le
proprietà di farmacoresistenza degli agenti patogeni sulla superficie articolare.
Uno degli scopi principali
del lavoro di Lewis è quello di riportare le eventuali correlazioni tra queste
caratteristiche e le proprietà meccaniche della
protesi finale. Per esempio, alcune proprietà fisiche del cemento (come il
modulo elastico) variano
in modo significativo a
seconda che l'antibiotico
sia aggiunto come liquido
o polvere. Nonostante
non vi sia un vasto consenso a riguardo, sembrerebbe che il fattore più
importante sia la quantità
di antibiotico caricato.
Infatti, nel caso questa
superi l’1,85% in peso, le
performance di fatica dei
cementi peggiorano significativamente. Simili considerazioni possono essere
fatte per il tipo di tecnica
impiegata per miscelare il
cemento con gli antibiotici, che può essere manuale (condotta dal chirurgo
durante l'operazione) o
meccanica.
In ultimo, la review riporta le attuali tendenze
della ricerca biomedica in
questo campo e le strade
che andrebbero battute
per migliorare le prestazioni di queste protesi.
Sarebbero necessari ulteriori studi per standardizzare il formato di eluizio-
ne dell'antibiotico, l'ottenimento del caricamento
ottimale, e l'ulteriore e
più approfondita caratterizzazione in vitro ed ex
vivo dei cementi caricati
con antibiotici.
A questo scopo, l’opportunità della ricerca futura
sarebbe di lavorare ancora
sulla proprietà di questi
cementi (ad esempio standardizzando la quantità
ottimale di antibiotico
caricato) e di escogitare
approcci innovativi per il
design della prossima
generazione di antibiotici
e di cementi ossei acrilici
caricati con antibiotici.
Domenico Lombardini
Lewis G. Properties of antibiotic-loaded acrylic bone
cements for use in cemented
arthroplasties: a state-of-theart review. J Biomed Mater
Res B Appl Biomater 2009
May;89B(2):558-74.
ANCA
Fattori di rischio
nei fallimenti protesici
“La protesi totale d’anca è
uno degli interventi ortopedici di maggior successo
che siano mai stati sviluppati”. Così esordisce
Christoph Röder sulle
colonne del Journal of
Bone and Joint Surgery, in
un articolo che riassume i
risultati di un ampio studio caso-controllo appaiato condotto dal medico
bernese con colleghi svizzeri e americani.
Sono stati analizzati i dati
di 4.420 pazienti, registrati negli archivi del Centro
di Ricerca Maurice E.
Müller dell’Università di
Berna, con l’intento di
valutare l’influenza di fattori come l’età, il genere,
il peso, l’indice di massa
corporea e il tipo di diagnosi sui fallimenti che si
registrano con coppa
cementata e non cementata.
Come ricorda il dottor
Röder, fin dai primi interventi di protesi d’anca
effettuati negli anni
Sessanta, la fissazione
della componente acetabolare è stata dominata
dalle coppe cementate. I
principali problemi erano
dati dal progressivo allentamento e si parlava
anche di “malattia da
cemento”, in cui l’osteolisi periprotesica indotta
dai materiali rivestiva un
ruolo dominante nel fallimento
clinico
degli
impianti. Da qui partì
l’impulso verso la fissazione non cementata, che
oggi è considerata come
metodo elettivo da molti
chirurghi nelle revisioni;
ma la mancanza di dati
provenienti da studi ampi
e a lungo termine ha alimentato
controversie
rispetto alla metodica
ottimale da utilizzare nell’intervento primario. Per
questa ragione lo studio
ha analizzato i rischi di
fallimento in modo differenziato tra coppe cementate e non.
Il primo risultato è che
l’età avanzata esercita un
ruolo
protettivo
in
entrambi i gruppi studiati.
Il rischio si riduce di circa
il 2.2 per cento per ogni
anno in più del paziente.
Le differenze nei fallimenti meccanici tra giovani e
anziani diventano ancora
più significative all’aumentare del follow-up
considerato dopo l’intervento. I pazienti più giovani e coloro che hanno
migliori capacità funzionali prima dell’intervento
recuperano meglio la
mobilità, ma espongono
le protesi a sollecitazioni
maggiori che si riflettono
sull’aumento dei fallimenti.
Molti studi hanno sottolineato il ruolo del peso del
paziente nella progressione
dell’osteoartrosi.
Analogamente, il peso
corporeo è ampiamente
considerato un fattore di
rischio per l’allentamento
delle componenti protesiche. Tuttavia gli studi
mostrano risultati controversi: la minore attività
fisica
delle
persone
sovrappeso e obese sembra
a volte bilanciare il maggiore stress esercitato dal
peso elevato. Un’altra
spiegazione può forse derivare dal fatto che in molti
casi non si fa una corretta
distinzione tra peso e
indice di massa corporea.
Lo studio di Christoph
Röder esamina invece
entrambe le variabili e
rileva, nelle coppe non
cementate, un consistente
incremento del rischio
con il crescere dell’indice
di massa corporea, documentando effetti particolarmente significativi nei
pazienti obesi.
Un altro parametro consi-
RICERCA FARMACOLOGICA
derato è il genere: lo studio rivela che le donne
corrono il 40% di rischi in
meno rispetto agli uomini, sia in caso di protesi
cementate
che
non
cementate.
L’ultimo fattore esaminato
è stato il tipo di diagnosi
che ha portato all’intervento di protesi totale
d’anca: è emerso come la
patologia più frequente sia
rappresentata dall’osteoartrosi. Si è visto che i
pazienti affetti da osteonecrosi corrono il rischio più
elevato di fallimento delle
protesi cementate mentre i
gruppi di soggetti con
displasia dello sviluppo
dell’anca e con frattura
hanno mostrato un rischio
ridotto - anche in questo
caso solo con fissazioni
cementate.
Renato Torlaschi
Röder C, Bach B, Berry DJ,
Eggli S, Langenhahn R,
Busato A. Obesity, age, sex,
diagnosis, and fixation mode
differently affect early cup
failure in total hip arthroplasty: a matched case-control
study of 4420 patients. J
Bone Joint Surg Am. 2010
Aug 18;92(10):1954-63.
Edoxaban previene
TVP dopo interventi
di protesi d’anca
Edoxaban, un anticoagulante attivo per via orale che
inibisce in modo diretto e specifico il fattore Xa della
coagulazione, si è dimostrato più efficace di enoxaparina sodica nel prevenire eventi tromboembolici venosi
tra i pazienti sottoposti a intervento di protesi totale
dell’anca. A sostenerlo è uno studio multicentrico, in
doppio cieco e randomizzato realizzato da un gruppo di
ricercatori del dipartimento di Chirurgia ortopedica
dell’Osaka Koseinenkin Hospital, in Giappone, coordinati da Takeshi Fuji.
I risultati sono stati presentati al 52esimo congresso
annuale dell’American Society of Hematology
Edoxaban, che si è svolto in dicembre a Orlando, negli
Usa. Lo studio di fase III Stars J-V (Studying
Thrombosis after Replacement Surgery), è questo il suo
nome, ha previsto la randomizzazione di 610 pazienti
ricoverati per un intervento di protesi totale dell’anca
per la somministrazione di 30 mg/die di edoxaban per
via orale oppure due iniezioni sottocutanee al giorno di
enoxaparina sodica (2000 unità/20 mg per iniezione)
per un totale di 11-14 giorni.
I risultati lasciano pochi margini di dubbio: il tasso di
trombosi venosa profonda asintomatica e sintomatica è
stato pari al 2,4 per cento nei pazienti che hanno assunto edoxaban, mentre nel gruppo che ha assunto enoxaparina sodica l’incidenza è stata del 6,9 per cento (riduzione del rischio relativo 65,7% p=0,016).
Per quanto riguarda l’embolismo polmonare sintomatico, altra complicazione spesso associata all’intervento di protesi all’anca, non sono stati registrati casi in
nessuno dei due rami dello studio. Non sono state
rilevate differenze statisticamente significative tra i
due gruppi nemmeno nell’incidenza e nella gravità
degli effetti collaterali.
Massimo Barberi
12
CORSI E CONGRESSI
Il trattamento di successo
delle patologie del gomito
Le tecniche diagnostiche e i trattamenti più recenti consentono oggi
di affrontare con successo le patologie del gomito, di cui si parlerà
ampiamente durante il corso Rome Elbow del 26 febbraio
Piuttosto trascurato in passato rispetto ad altri
distretti anatomici, il gomito è sede di patologie
specifiche relativamente poco conosciute. Ma
l’interesse sta aumentando e la ristretta comunità
scientifica internazionale che si dedica a questa
articolazione ha acquisito negli ultimi anni una
messe di nuove conoscenze che rendono quanto
mai opportuno un aggiornamento dei clinici.
Da questa esigenza di approfondimento, nasce la
seconda edizione di un corso di successo: Rome
Elbow 2011 (vedi box in questa pagina). Le lezioni
prenderanno il via il prossimo 26 febbraio, nelle
aule del Dipartimento di scienze dell’apparato
locomotore dell’Università La Sapienza di Roma e
per l’occasione abbiamo chiesto un
approfondimento sulle patologie del gomito
proprio a Giuseppe Giannicola che, con Franco
Postacchini, è presidente del corso.
Professor Giannicola,
da cosa dipende questo
aumento di interesse
per il gomito?
Credo che il motivo sia da
correlare, almeno in parte,
alle nuove acquisizioni
scientifiche che hanno
dimostrato chiaramente
come il gomito non sia
un’articolazione “condannata” inesorabilmente a
cattivi risultati dopo un
trauma o dopo una patologia a carattere degenerativo. Un luogo comune ha
per molto tempo condizionato pesantemente il trattamento delle patologie di
questa
articolazione,
lasciando spazio a una
negligenza attualmente
non più accettabile.
Oggi l’applicazione di
moderni protocolli diagnostico-terapeutici e la
giusta
collaborazione
interspecialistica consentono di migliorare notevolmente i risultati clinici
e la qualità di vita dei
pazienti.
Inoltre, la crescente attenzione della popolazione
verso una migliore qualità
di vita ha reso i pazienti
sempre più esigenti e desiderosi di mantenere una
elevata performance fisica.
Non è più infrequente
osservare ultrasessantenni
che praticano ancora attività lavorative, sportive o
ricreative e che non intendono modificare il loro
stile di vita a causa di un
trauma o di una patologia
degenerativa articolare.
Quali sono le patologie
principali a carico del
gomito?
Sabato 26 febbraio
Dipartimento Scienze Apparato Locomotore
La Sapienza Università di Roma - Aula A
Per informazioni e iscrizioni:
BBV Italia
Tel. 010.354556 - Fax 010.3514044
[email protected] - www.ilgomito.it
lieve entità, possono divenire invalidanti nel corso
del tempo e rendere l’intero
arto superiore non funzionale. Infatti, il gomito è da
considerare, insieme alla
spalla,
un’articolazione
finalizzata all’utilizzo della
mano. Quando il gomito è
rigido e dolente, è impossibile eseguire anche i gesti
più semplici della vita quotidiana, come lavarsi,
vestirsi, mangiare.
IL TEAM DEL CORSO ROME ELBOW 2011
Da sinistra a destra il dottor Sacchetti, il dottor Greco,
il professor Giannicola, la dottoressa Manauzzi,
il dottor Bullitta e il dottor Polimanti
Tra le patologie che colpiscono questa articolazione
le più frequenti sono quelle traumatiche. Non a caso
il nostro primo Corso è
stato dedicato alle lussazioni e alle fratture. I traumi del gomito e i loro esiti
rappresentano il capitolo
principale tra le patologie
che interessano questa
articolazione. Ciò è dovuto al fatto che essi possono
condizionare pesantemente la funzionalità dell'articolazione, soprattutto nei
casi in cui il trattamento
in fase acuta non è stato
adeguato. Infatti la rigidità
e l’artrosi post-traumatiche rappresentano l’altro
grande capitolo delle patologie del gomito.
Meno frequenti, invece,
sono l’artrosi primitiva,
che interessa più spesso i
lavoratori manuali, e le
artriti; tra queste ultime la
più comune è l’artrite reumatoide. In ultimo, il
gomito è frequentemente
sede di patologie tendinee
tra cui quelle inserzionali
degenerative, come l’epicondilite e l’epitrocleite, e
quelle traumatiche, come
le rotture del tendine
distale del tricipite e del
bicipite brachiale.
Rome Elbow 2011
tratterà in particolare di
artrite reumatoide e
artrosi del gomito.
Quali sono le
problematiche principali
legate a queste
patologie?
Queste patologie determinano principalmente limitazione articolare e dolore.
I sintomi, in prima fase di
ROME ELBOW 2011: UNA TEMATICA DI INTERESSE
IN UN FORMAT DI SUCCESSO
Il corso Rome Elbow 2011 è la seconda edizione del
corso di chirurgia del gomito che abbiamo organizzato
presso il nostro Dipartimento. Gli apprezzamenti ricevuti per la prima edizione, tenutasi lo scorso anno, sono
stati di grande stimolo per proporre un secondo evento.
Le patologie oggetto del corso saranno l’artrite reumatoide e l’artrosi primitiva e secondaria del gomito. La scelta di questi due temi è
stata dettata dalla considerazione che si tratta di patologie più frequenti di quanto si stimi generalmente,
che ancora oggi non presentano percorsi diagnostici
e terapeutici condivisi. Per tale ragione il corso ha
un’impronta multidisciplinare che permetterà un
costruttivo dibattito tra specialisti diversi (ortopedici,
reumatologi, immunologi, fisiatri, anatomopatologi,
radiologi e fisioterapisti) al fine di trasmettere linee
guida quanto più possibile standardizzate e applicabili nella pratica clinica.
Le novità sulla diagnosi, il trattamento e la gestione della
patologia degenerativa del gomito verranno affrontate
durante il corso dai singoli specialisti così da fornire una
visione multidisciplinare ai partecipanti. I concetti che
emergeranno saranno raccolti in un abstract book che
verrà consegnato a tutti i partecipanti.
ROME ELBOW 2011
Quando abbiamo iniziato a organizzare il Rome Elbow
del 2010, che ha avuto come tema le lussazioni e le fratture del gomito, non ci aspettavamo questo successo; inizialmente il corso era stato pensato per 50 ortopedici,
ma il crescente numero delle richieste ci ha portato ad
aumentare il numero dei partecipanti fino a 100 e ad
estendere la partecipazione ad altri specialisti.
Probabilmente tale successo è dovuto a una crescente esigenza di approfondire le conoscenze
sulla diagnosi e il trattamento delle patologie
di questa articolazione, ancora molto trascurata dagli “addetti ai lavori”.
Credo che l’interesse crescente degli specialisti sia da
correlare ai frequenti insuccessi che si osservano
nel trattamento delle patologie del gomito.
Questi insuccessi, oltre che penalizzanti per il paziente,
sono divenuti, negli ultimi tempi, oggetto di una sempre
più attenta valutazione in sede medico-legale con individuazione sempre più frequente di responsabilità
professionale. Credo che ciò rappresenti un secondo
importante stimolo, oltre a quello scientifico, ad
approfondire queste tematiche.
Prof. Giuseppe Giannicola
Ci sono novità nel loro
trattamento?
Le novità riguardano sia il
trattamento medico conservativo che quello chirurgico. Il Corso ha
appunto l’obiettivo di rappresentare un momento di
aggiornamento per i partecipanti riportando le
potenzialità attuali dei
moderni protocolli terapeutici.
Attualmente, ad esempio,
le protesi di gomito garantiscono risultati eccellenti
a medio e lungo termine in
oltre l’80% dei pazienti, e
non rappresentano più
interventi “sperimentali”
dall’incerto risultato clinico.
Nel campo delle forme
artritiche anche la terapia
medica ha ottenuto migliori risultati con l’introduzione di nuovi farmaci, come
ad esempio i farmaci biologici; ciò ha consentito di
bloccare o ritardare in
modo significativo l’evoluzione delle lesioni articolari, posticipando il ricorso al
trattamento chirurgico.
Specialisti diversi ortopedici, fisiatri,
reumatologi, ecc. - si
trovano ad affrontare le
medesime
problematiche. Qual è il
ruolo di ogni
specialista?
Credo che l’aspetto più
rilevante sia il riconoscimento, da parte di ogni
specialista, dei limiti entro
cui svolgere il proprio
lavoro senza invadere il
campo di azione degli altri
e senza indugiare eccessivamente nell’inviare il
paziente ai colleghi quando le proprie competenze
sono terminate.
Nella mia esperienza, l’errore più frequente è il
ritardo nell’invio dei
pazienti al chirurgo,
nonostante i dati clinici
evidenzino chiaramente
l’inefficacia dei metodi
conservativi. Questo comporta una progressione
delle lesioni articolari che
rendono più impegnativo
il trattamento chirurgico e
più incerti i risultati a
medio e lungo termine a
causa della cattiva qualità
dell’osso.
Il Corso chiarirà anche i
confini entro cui ogni specialista deve muoversi.
Medici e fisioterapisti:
come devono
interagire?
Nella riabilitazione del
gomito, più che in quella
di altre articolazioni, è
fondamentale che vi sia un
corretto scambio di informazioni tra chirurgo, fisiatra e fisioterapista per programmare un corretto
approccio fisioterapico. Il
metodo riabilitativo deve
infatti essere dettagliatamente studiato per ogni
singola patologia e personalizzato sulle esigenze di
ogni paziente.
Nel caso della fisioterapia
come trattamento conservativo nelle prime fasi delle
patologie degenerative, il
ruolo del fisioterapista e del
fisiatra sono essenziali. Per
quanto riguarda la rieducazione post-chirurgica, invece, è necessario che l’ortopedico detti il protocollo
riabilitativo in relazione
alla procedura chirurgica
che ha eseguito sul singolo
paziente. Il chirurgo deve
indicare non solo il tipo,
ma anche la tempistica
della riabilitazione, avvalendosi dei consigli esperti
del fisiatra.
In assenza di una stretta
collaborazione tra ortopedico, fisiatra e fisioterapista è facile incorrere in
errori, quali una rieducazione “troppo cauta” o,
ancora peggio, “troppo
aggressiva”, che potrebbero non solo ritardare il
recupero funzionale, ma
addirittura compromettere
il risultato del trattamento
chirurgico.
Nella realtà, questo
approccio
multidisciplinare è una
pratica diffusa?
Purtroppo no. La vera collaborazione tra diversi specialisti è ancora lontana
dall’essere una pratica diffusa, e a rimetterci sono i
pazienti. Ancora oggi assistiamo a uno scarso scam-
13
bio di informazioni tra le
diverse discipline mediche
e chirurgiche, tanto che i
pazienti giungono spesso
in ritardo dal corretto specialista. Tuttavia negli
ultimissimi anni si sta
notando una certa inversione di tendenza con l’aumento di occasioni scientifiche in cui l’approccio
multidisciplinare ad alcune patologie è divenuto la
vera linea guida per l’aggiornamento.
Ci può parlare delle
strutture specialistiche
presenti sul nostro
territorio?
Come abbiamo già detto, il
gomito è un’articolazione di
cui si è sempre parlato poco
rispetto ad altre; il crescente interesse nel trattamento
delle patologie a suo carico
a cui si sta assistendo in
questi ultimi anni è in
molta parte merito dei
pochi centri specialistici
presenti in Italia che si
sono impegnati nell’ambito
delle rispettive Società
scientifiche nella formazio-
CORSI E CONGRESSI
ne medica, attraverso
momenti di aggiornamento
sempre più frequenti.
Questi centri, più concentrati al nord e al centro
rispetto che al sud della
Penisola, stanno diventando punti di riferimento assistenziali e scientifici di
livello internazionale. Per
quanto riguarda l’invio dei
pazienti in questi centri, un
ruolo chiave, anche in questo caso, è svolto dal medico di base, specie se si tratta di patologia di elezione.
In questo ambito e in
considerazione della relativa rarità di queste patologie, credo che solo centri dedicati possano dare
la migliore risposta al
paziente.
Per quanto riguarda la patologia traumatica acuta,
come abbiamo già detto, è
bene che il traumatologo del
pronto soccorso sappia riconoscere le lesioni più complesse, così da inviare il
paziente nei centri di riferimento nei casi in cui non sia
possibile attuare il trattamento più adeguato in loco.
Renato Torlaschi
APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE
MA IN CENTRI DEDICATI
"Lo specialista ortopedico, reumatologo o fisiatra
che non si occupa in modo specifico di questa articolazione dovrebbe possedere quelle conoscenze di
base che consentano di riconoscere le patologie che
più frequentemente interessano il gomito, le loro
cause e le possibilità attuali di trattamento. Non è
richiesto al medico di saper trattare nello specifico
questi pazienti - ricorda Giuseppe Giannicola,
Responsabile del servizio di chirurgia del gomito del
dipartimento di scienze dell’apparato locomotore
all'Università di Roma “La Sapienza” -. È fondamentale, ad esempio, che l’ortopedico abbia coscienza
che il gomito traumatizzato ha un’unica chance per
ottenere un risultato soddisfacente, rappresentata
da un corretto e moderno trattamento. Infatti le linee
guida per il trattamento delle fratture del gomito
sono oggi ben standardizzate e il trattamento in
acuto dovrebbe essere eseguito solo da personale
esperto, a causa delle notevoli difficoltà tecniche
che presentano alcuni interventi; in mancanza di
questo il paziente dovrebbe essere inviato in centri
superspecialistici. Nel gomito, come in altre articolazioni, non è più tollerabile alcuna improvvisazione - sottolinea il chirurgo -. Nell’ambito della patologia degenerativa, invece, si osserva spesso una
certa negligenza che porta a consigliare il paziente ad accettare di buon grado la sua invalidità,
nonostante vi siano attualmente concrete possibilità
terapeutiche per risolverla.
Gli errori diagnostici e di approccio terapeutico
sembrano dunque ancora frequenti per il gomito.
"La causa più frequente di errori è la mancata conoscenza dei protocolli attuali di trattamento della
patologia traumatica e degenerativa di questa articolazione - spiega Giannicola -. La collaborazione
con centri di riferimento di chirurgia del gomito,
come abbiamo intrapreso recentemente via web
attraverso il nostro sito internet - www.ilgomito.it può costituire un metodo efficace per evitare grossolani errori, consultando facilmente un centro specializzato. La video-consulenza on line per pazienti o
colleghi che hanno una problematica su questa articolazione, rappresenta attualmente un metodo
avanguardistico e sperimentale che stiamo testando, ma che sembra potrà rappresentare in un prossimo futuro un validissimo strumento per la diffusione delle conoscenze sul gomito e per l’interazione
tra centri periferici e super-specialistici".
XXVI Corso di chirurgia artroscopica
La ventiseiesima edizione del Corso teorico-pratico di chirurgia artroscopica si terrà da martedì 22 a giovedì 24 marzo
presso il Centro Congressi Hotel Sheraton di Bologna.
Il Corso sarà presieduto da Fabrizio Pellacci, coadiuvato da
Paolo Adravanti, Massimo Berruto ed Ettore Sabetta. Il
corso, accreditato Siot, avrà il patrocinio delle più importanti
società di chirurgia e il patrocinio scientifico della prestigiosa
Mayo Clinic.
"Quest’anno il corso avrà un’impronta ancora più pratica
rispetto alle edizioni degli anni passati - ci ha spiegato
Pellacci -. Infatti, per venire incontro alle richieste dei partecipanti, la maggior parte delle relazioni verrà eseguita mediante filmati delle varie tecniche chirurgiche e gran parte delle
sessioni sarà dedicata a tavole rotonde e presentazione di
casi clinici.
Nella giornata di martedì verrà trattata la patologia meniscale, dalla meniscectomia alla sutura e ai trapianti meniscali.
Quindi si parlerà di lesioni cartilaginee con un riesame delle
varie tecniche puntualizzando soprattutto i risultati clinici a
distanza. A seguire la tecnica dell’artroscopia della caviglia
e quella della spalla con i filmati del trattamento artroscopico
delle patologie più frequenti. "Al termine verranno eseguite,
da parte dei partecipanti e sotto la direzione dei più qualifi-
cati esperti del settore, una serie di prove pratiche su manichini" ha sottolineato il chirurgo bolognese.
Nella giornata di mercoledì si terrà inoltre il ventesimo
Workshop sulle protesi di ginocchio, dove particolare attenzione verrà data ai “trucchi” della tecnica chirurgica.
Un’intera sessione verrà dedicata al trattamento delle mobilizzazioni sia settiche che asettiche, con presentazione di casi
clinici. A seguire verrà trattata la tecnica e i risultati dell’artroscopia dell’anca. Previste anche in questo caso una serie di
prove pratiche su manichini.
"L’ultima giornata, quella di giovedì 24 marzo, verrà dedicata alle varie tecniche di ricostruzione del LCA e LCP. A seguire alcuni docenti della Mayo Clinic presenteranno le ultime
novità in tema di tecniche chirurgiche sulla patologia articolare dell’adolescente, anca e gomito. Per ultimo ci sarà un'interessante presentazione di casi clinici della Mayo Clinic" ha
concluso Pellacci.
Per informazioni
Konicab srl
Tel. 051.385328 - Fax 051.311350
[email protected]
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CORSI E CONGRESSI
Dottor Della Villa, quali
le motivazioni della
scelta di dedicare questa
edizione del Congresso
alla medicina del calcio?
re una dimensione sociale
perché il calcio impatta su
una popolazione di quasi 270
milioni di praticanti.
La prossima edizione del
Congresso sarà per noi, e per
chi ci ha sempre seguito, un
momento particolarmente
importante perché sarà la
ventesima edizione. Una
ricorrenza speciale e dedicarla alla salute del calciatore
vuole essere un segno di coerenza verso uno degli argomenti che abbiamo più studiato in questi anni e un
gesto di riconoscenza per un
segmento di pazienti che ci
ha sempre dato una grande
fiducia.
Chi cura tutti questi
calciatori nel mondo?
Che ruolo ha avuto la
Fifa in questa scelta?
Il centro ricerche Fifa (FMarc), nella persona del suo
Direttore Jiri Dvorak, ci ha
invitato ad implementare
nel nostro paese le proprie
linee strategiche, basate su
una ampia visione del rapporto tra calcio e salute. Una
visione che va al di là dell’infortunio, fino ad assume-
Questa è la vera domanda e
questo in fondo è il motivo
per cui stiamo impegnandoci
tanto
in
questo
Congresso. La salute dei
calciatori è affidata alla così
detta “Football Medicine
Community” che è costituita dall’insieme di tutti i
sanitari che si occupano di
calcio, dal medico di squadra al consulente ortopedico, dal terapista al preparatore. Una comunità trasversale, che non fa solo
capo ad istituzioni ben definite, come Fifa, Uefa, Esska
o Efost, ma coinvolge
migliaia di operatori che
nel mondo si occupano con
passione di questo tema. Il
Congresso si pone l’obiettivo di creare un momento di
confronto internazionale in
cui 132 relatori raccontano
la loro esperienza a centinaia di loro colleghi provenienti da tutto il mondo.
Prevalenza degli infortuni nel calcio
per distretto anatomico
Il programma, suddiviso in
due giornate, prevede 20 sessioni di lavori scientifici, che
avvengono in contemporanea su tre aule. Il partecipante può quindi scegliere le sessioni più coerenti con la sua
specializzazione. I temi spazieranno dalla prevenzione
alla diagnosi, dalla chirurgia
alla riabilitazione. Inoltre per
evitare di perdere i contenuti
delle sessioni che non sarà
possibile seguire in diretta,
saranno disponibili i CD con
la registrazione delle relazioni di tutto il Congresso. Un
Simposio Satellite, rivolto
specificatamente ai preparatori atletici, completerà i
lavori nella giornata di lunedì
14 marzo 2011.
Cosa significa oggi
gestire la salute del
calciatore?
Una volta che siamo tutti
d’accordo sul concetto generale di salute, definito
dall'Oms non solo come
assenza di malattia, ma anche
come stato di completo
benessere fisico, psicologico e
sociale, la risposta alla sua
domanda dipende dai diversi
punti di vista con il quale
approcciamo questo tema.
Il calcio possiamo considerarlo diviso in quattro macro
Stefano Della Villa
XX CONGRESSO
INTERNAZIONALE ISOKINETIC
La salute del calciatore: prevenzione, diagnosi,
chirurgia e riabilitazione
Bologna, 12-13 marzo 2011
Per informazioni e iscrizioni:
Centro Studi Isokinetic (Cristina Zanetti)
Tel. 051.2986814 - Fax 051.2986886
[email protected] - www.isokinetic.com
4-5 febbraio
Sagittal balance master course
24 febbraio
Il dolore: come curarlo?
Milano, Grand Visconti Palace
Civitanova Marche
Segreteria Organizzativa: My Meeting srl
Tel. 051.796971 - Fax 051.795270
[email protected] - www.mymeetingsrl.com
Segreteria Organizzativa: CSC srl
Tel. 075.5730617 - Fax 075.5730619
[email protected]
www.csccongressi.it
16-19 febbraio
Annual Meeting of the American Academy
of Orthopaedic Surgeons (AAOS)
categorie: la prima, quella
dei grandi atleti che giocano
nella Serie A, nella Liga spagnola, nella Premier League
inglese; la seconda, quella
dei professionisti che giocano nelle serie minori; la
terza, quella delle migliaia di
calciatori che giocano tra i
dilettanti; la quarta, ancora
più numerosa, composta dai
tanti che, come me, giocano
il sabato o la sera semplicemente
per
divertirsi.
Ognuno di questi “calciatori” ha sfumature di salute differenti e per questo motivo il
Congresso è così articolato
nel suo programma.
Certamente sì per i motivi
sopra accennati, anche se ci
saranno sessioni in cui si
parlerà specificatamente
dei professionisti, perché
come accade per esempio
nella formula uno, determinate intuizioni potranno
essere poi applicate anche
nelle auto di serie.
Il Congresso quindi non si
focalizzerà
esclusivamente sul
calciatore professionista,
ma guarderà anche ai
milioni di appassionati
che praticano questo
sport a vari livelli?
L’ortopedico ha avuto e
avrà sempre un ruolo fondamentale perché dal
paziente è visto come il
traumatologo: quello che
prenderà le decisioni sul
suo trauma. Le figure leggendarie del professor
Le evidenze scientifiche
in medicina dello sport
sono in continuo
sviluppo, a partire dalla
prevenzione. Quale il
ruolo dell'ortopedico
nella comunicazione al
paziente sportivo?
Trillat,
del
professor
Perugia o del professor Boni
ci saranno sempre, ma oggi
a mio avviso l’ortopedico
che vorrà interagire efficacemente con il mondo del
calcio dovrà avere una
visione
più
ampia.
L’evoluzione dei modelli di
prevenzione, di analisi biomeccanica e di diagnostica
hanno creato figure professionali con le quali dovrà
confrontarsi e lo stesso
avverrà sempre più anche
con chi si occupa dei protocolli di cura e di riabilitazione. Un mix di talenti
che dovranno comunicare
perché il risultato finale
non dipenderà solo da quello che avverrà in sala operatoria ma anche da quello
che ci sarà prima e dopo la
chirurgia. Si vincerà insieme e purtroppo qualche
volta si perderà insieme.
Andrea Peren
dei protocolli di riabilitazione.
Il tutto grazie al contributo di chirurghi e medici dello sport
che vantano una grande esperienza dal punto di vista
sportivo.
A completare l'ampio programma scientifico, nella mattinata di domenica, due interessanti Corsi d'istruzione rivolti a ortopedici, fisiatri, laureati in scienze motorie e fisioterapisti: "La gestione integrata dell’atleta nel ritorno all’attività agonistica" e " Tutori e ortesi nello sport".
“Uno degli obiettivi da raggiungere con il Congresso è la
costituzione di una società scientifica nazionale che si
occuperà di traumatologia dello sport, avendo come
finalità primaria la formazione di quanti a vario titolo si
occupano degli atleti infortunati, in tutti gli sport e in tutte
le categorie, avendo, spesso, pochissime competenze”
ha dichiarato Aloisi.
Per informazioni
Csr Congressi srl
Tel. 051.765357 - Fax 051.765195
[email protected] - www.csrcongressi.com
4-5 marzo
Corso teorico-pratico
I problemi posturali e le soluzioni terapeutiche:
dall'ortesi alla chirugia computer assistita
Milano
San Diego, Usa
www.aaos.org
Torino, NH Santo Stefano
17-19 febbraio
Master teorico-pratico di chirurgia vertebrale
Le protesi discali
Segreteria Organizzativa: My Meeting srl
Tel. 051.796971 - Fax 051.795270
[email protected]
www.mymeetingsrl.com
10-11 marzo
Santander hip meeting
26 febbraio
Consensus Conference sui fattori di crescita
ortopedica
10-12 marzo
Master teorico-pratico di chirurgia vertebrale
La chirurgia di revisione lombo-sacrale
Padova, UOC chirurgia del rachide “Sandro Agostini”
Segreteria Organizzativa: My Meeting srl
Tel. 051.796971 - Fax 051.795270
[email protected] - www.mymeetingsrl.com
Ancona, Università Politecnica delle Marche
22-26 febbraio
14° Corso teorico pratico di microchirurgia
ricostruttiva
Segreteria Organizzativa: Studio Progress Snc
Tel. 030.290326 - Fax 030.40164
[email protected] - www.studioprogress.it
Tabloid di Ortopedia
Mensile di informazione, cultura, attualità
Anno VI - numero 1 - gennaio 2011
Direttore responsabile
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Redazione
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Hanno collaborato Massimo Barberi, Giuseppe Giannicola,
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Singolo fascicolo: euro 0.25
2nd Sport Medical Meeting
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Tel. 010.354556 - Fax 010.3514044
[email protected] - www.bbvitalia.com
25-26 febbraio
La chirurgia nelle scoliosi: indicazioni
e tecniche a confronto
Torino
Si terrà a Lecce (Grand
Hotel Tiziano e dei
Congressi) dall'11 al 13
marzo la seconda edizione dello Sport Medical
Meeting, che sarà presieduta da Antonio Aloisi,
Direttore di ortopedia e trumatologia all'Ospedale
Santa Caterina Novella di
Antonio Aloisi
Lecce, e Luigi Molfetta,
docente presso il Dipartimento di neuroscienze, oftalmologia e genetica dell'Università di Genova.
Titolo della tre giorni di lavori sarà "Sport, chirurgia e
biotecnologie fra business e scienza" e verranno
discusse numerose tematiche cliniche: i sovraccarichi
funzionali nell’atleta, la bioenergetica muscolare e l'alimentazione, l'artrosi precoce, le biotecnologie e i fattori di crescita, l'osteoporosi, le lesioni meniscali, la chirurgia dei legamenti, la patologia muscolare, le protesi.
Non mancherà uno sguardo alle tecniche diagnostiche
e alle soluzioni farmacologiche, dalla viscosupplementazione alla condroprotezione, e un'attenta disamina
26 febbraio
Rome elbow 2011
Artrite reumatoide e artrosi del gomito
Roma, Università La Sapienza
Dal 12 al 13 marzo il XX Congresso Internazionale Isokinetic
coinvolgerà i maggiori esperti nazionali nella medicina del calcio
Come è strutturato il
programma del
Congresso e quali sono i
grandi temi che verranno
trattati?
CORSI E CONGRESSI
L’Agenda dell’Ortopedico
Medicina dello sport:
un congresso per il calcio
"La salute del calciatore: prevenzione, diagnosi,
chirurgia e riabilitazione" è il titolo del XX
Congresso Internazionale di Riabilitazione
Sportiva e Traumatologia organizzato dal
Centro Studi Isokinetic, che si terrà il 12 e 13
marzo 2011 al Palazzo della Cultura e dei
Congressi di Bologna.
Tabloid di Ortopedia ha intervistato il dottor
Stefano Della Villa, Presidente del Congresso e di
Isokinetic Medical Group, Centro Medico di
Eccellenza Fifa, una realtà sempre più diffusa
sul territorio capace in questi anni di
guadagnare la fiducia delle maggiori società
sportive italiane, a partire da quelle calcistiche,
che affidano alla competenza dei Centri
riabilitativi i propri atleti alle prese con infortuni
più o meno gravi.
15
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Chirurgia protesica tra filosofia e tecnica Chirurgia