CULTURA
il nostro
tempo
RICORDO
Domenica 15 Febbraio 2004
n. 6
La vita coraggiosa di soldato e di partigiano, e lo scrupoloso, tenace lavoro storico-letterario dello scrittore cuneese scomparso
Nuto Revelli: storie
di rabbie e riscatti
PAOLO GIACCONE
I
L VISO DI Nuto Revelli, morto giovedì
scorso a Cuneo all’età di 84 anni, non
portava solo i segni
di un terribile incidente in moto, occorsogli
durante la guerra partigiana quando correva a
perdifiato giù per le montagne nella speranza di
trovar ancora vivo l’amico
fraterno, ma anche quelli
di una vita intera. La sua
faccia era lo specchio del
suo pensare e sembrava
un “paesaggio” che avesse
raccolto la storia della sua
terra e della sua epoca. La
storia delle guerre e della
montagna.
Nuto Revelli, nasce a
Cuneo nel 1919 e da lì era
andato via per frequentare l’Accademia militare
di Modena, giovane fascista entusiasta del regime
e della vita militare, come
tanti della sua età affascinati e storditi dalla retorica fascista. Presto però
quel mondo di altisonanti
slogan si era sgretolato
contro la realtà: trasferito
presso il II° reggimento alpini conosce i reduci del
fronte greco-albanese e comincia a capire che «il cli-
ma eroico era fatto solo
di povera gente mandata
al macello». Ma è soltanto
il primo svelamento delle
bugie del regime che presto mostra il suo vero volto di tragedia nella terribile campagna di Russia per
la quale Revelli parte nel
1942. La Russia è una rivelazione: dell’orrore della
guerra, della vera natura
del fascismo e della crudeltà dei nazisti. E là compie la sua scelta partigiana, «là avevo imparato
a odiare i tedeschi, a disprezzare i fascisti».
Il ritorno a casa nella
primavera del 1943 è quello di un reduce, tutto appare confuso e difficile da
capire, ma la scelta è ormai fatta e trattiene con sé
alcune armi convinto che
presto potranno tornargli
utili. Il tempo di usarle è
ancora lontano: «la ferita,
il congelamento, la pleurite incidevano sul mio morale. Soprattutto la pleurite. Avevo conosciuto notti
all’addiaccio nei 40 gradi
sotto zero e adesso dovevo guardarmi anche dai fili d’aria. Ma il male più serio, più grave, nessuno lo
vedeva. Ero sul fondo di
RACCONTO
I vinti, le donne
e le loro “verità”
Nuto Revelli
visto da Steve; in
alto a destra con
la moglie Anna
Delfino e, a
sinistra, Revelli
(in piedi)
in compagnia,
fra gli altri, di
Alessandro
Galante
Garrone
(secondo
da sinistra)
e Norberto
Bobbio
(il quarto
da sinistra)
re la memoria della guerra e della resistenza, ne
«La guerra dei poveri» e «La
strada del davai» e per dar
voce ai più umili, agli ultimi.
I protagonisti del suo
raccontare allora diventano i contadini ne «Il mondo dei vinti», dove «tutto
è ancora destinato (…): le
guerre, l’emigrazione verso la Francia e le Americhe, la miseria antica e
recente». E ora i tempi
nuovi, l’industrializzazione frenetica che non guarda in faccia nulla, la voglia di progresso di un Italia che dimentica le sue radici calpestandole proprio
dove sono più deboli, più
scoperte. Ma non solo gli
uomini, anche e soprattutto le donne. «L’anello
forte», coloro che sempre
hanno avuto la vita più
grama e più dura dei loro
A
NTONIO PENNACCHI
è noto per i temi sociali che fanno da sfondo ai suoi libri, per la sua
scrittura magmatica e ricca di tensione emotiva, per
i personaggi istintivi e picareschi delle sue storie,
sempre in bilico tra l’essere e il dovere essere. Dopo «Mammut», «Palude» e
«Una nuvola rossa» pubblicati da Donzelli, con il suo
quarto libro «Il fascio comunista: vita scriteriata di
Accio Benassi», edito dalla
Mondatori, ha conquistando i comitati di lettura del
Premio Napoli che gli hanno attribuito il premio per
il 2003.
Il romanzo, ambientata
a Latina, città dove l’autore vive, racconta di un ra-
GIANNA MONTANARI
N
ON desiderava
né celebrazioni
né bandiere,
Nuto Revelli, e
credo che neanche adesso che
se n’è andato desidererebbe discorsi enfatici. Credo
che negli anni della sua maturità desiderasse soprattutto starsene tranquillo
nella sua casa di Cuneo, in
mezzo a montagne di libri e
di carte, in compagnia della moglie Anna Delfino, la
dolcissima Anna, sempre
sorridente, che lui a volte
canzonava con affetto. Gli
piaceva leggere, meditare,
investigare su qualche misteriosa vicenda, come
quella del disperso di Marburg, l’ufficiale delle SS
scomparso a due passi da
Cuneo, o come quella del
prete giusto, ingiustamente emarginato dalle autorità ecclesiastiche. Sempre
pronto a cercare la verità
oltre le apparenze, sempre
con la modestia che contrassegnava la sua instancabile attitudine alla ricerca.
Avevo conosciuto Nuto
Revelli circa tredici anni fa
e andavo a trovarlo a Cuneo. Massiccio, lento nel-
Riproposti i suoi romanzi da Fazi
di paesaggi, dopo gli studi di legge esercitò per
qualche tempo la professione forense e le sue conoscenze legali verranno utilizzate per scrivere
le sue storie poliziesche.
Nel 1851 incontra Charles Dickens e da quel
momento inizia un’ami-
cizia che diventa sodalizio professionale: Collins collabora con racconti e romanzi a puntate alle riviste dirette
da Dickens, «Household
Words» negli anni Cinquanta e «All the Year
Round» negli anni Sessanta. I due scrittori vittoriani si sfidano nella
conquista del pubblico
confezionando trame romanzesche sempre più
appassionanti e labirintiche, dense di elementi
gotici e misteriosi. Dickens scrive «Casa de-
solata» (1852), «La piccola Dorrit» (1857), «Grandi speranze» (1860) e
«Il nostro comune amico» (1865), mentre Collins ottiene il successo
soprattutto con due romanzi, «La donna in
bianco» (1860), che mescola gli orrori gotici
agli intrighi quotidiani,
e «La pietra di luna»
(1868), considerato il
primo esempio di romanzo poliziesco in Europa.
Tra gli altri romanzi pubblicati da Fazi citiamo
«Basil» (1852), «Senza
nome» (1862), «Armadale» (1865), «La Legge e la
Signora» (1875) e «Il fiume della colpa» (1886).
Esce ora, tradotto da
Andreina Lombardi Bom
(344 pp, 17,50 euro), «La
veste nera», pubblicato
nel 1881. Il protagonista
è un giovane aristocratico, Lewis Romayne, che
vive in una residenza
di campagna, Vange Abbey, nella brughiera dello Yorkshire. Costretto
a un soggiorno in Francia dalla malattia di una
zia, viene coinvolto in
Antonio Pennacchi, vincitore del Premio Napoli
gazzo di 12 anni appena
uscito dal seminario, chiamato dai familiari, in modo dispregiativo, solo Accio. L’intera vicenda si sviluppa nell’arco di nove anni, dal 1962 al 1969. Sono
anni convulsi per la società
italiana che entrava impreparata nel boom economico, mentre nelle piazze si
consumava lo scontro totale e violento tra la “destra”
nostalgica fascista e l’estrema opposizione marxista
impegnata a rovesciare il
regime democristiano: deflagrazioni ideologiche che
raggiungeranno l’apice nelle rivolte del 1968 e 1969
e che, poi, involvendosi daranno origine a quelle frange estreme di terrorismo
assoldate da alcuni paesi
dell’Est.
Accio, che proviene da
una famiglia di sette figli,
abbandonando il seminario, sperava di essere bene
accolto in casa, ma purtroppo deve rendersi conto
che la sua presenza è tollerata più che amata: di
qui la sua reazione e l’affiorare di un carattere sempre
più spigoloso e temerario.
Deluso anche dalla scuola, trova spazio nelle scorribande fasciste di quegli
anni, diventando qualche
anno dopo il segretario giovanile della sezione del Msi
di Latina. È l’inizio di un
processo evolutivo rischioso che farà di lui un leader
giovanile della destra, ma
che lo porterà ad azioni
sempre più al limite ed, infine, ad essere brutalmente espulso dal partito.
Nel ritrovato rapporto
con il fratello maggiore
Manrico, idolo della famiglia, che lotta sul versante
comunista, Accio intravede
la possibilità di voltare pagina. È il momento più delicato e importante della storia e Pennacchi con abilità
narrativa, attraverso una
successione di fatti ben caratterizzati, riesce a darci
il senso profondo della trasformazione interiore che
porterà Accio dal fascismo
al furore maoista.
Pennacchi parla di “vita
scriteriata” quasi a voler indicare una chiave di lettura
dell’esperienza dell’inquieto protagonista, il quale per
superare la sua emarginazione psicologica, la sua
frustrazione affettiva, se da
una parte si apre alla scoperta del sesso attraverso
varie esperienze, dall’altra
si proietta in un impegno
un duello che provoca la
morte del suo avversario,
figlio di un generale che
barava al gioco. Questo
delitto involontario provoca in lui un senso di
colpa che segnerà il resto
della sua esistenza. Romayne conosce una bella ragazza, Stella, se ne
innamora e la sposa. A
questo punto entra in
scena l’anima nera del
romanzo, padre Benwell,
un gesuita che vuole convertire Romayne al cattolicesimo e soprattutto
impadronirsi di Vange
La copertina del
romanzo-saggio di Antonio
Pennacchi
La vita “scriteriata” di un adolescente
negli anni italiani delle morti e stragi
PASQUALE LUBRANO
padri e dei loro mariti, che
più di loro hanno tenuto
insieme “la catena della sopravvivenza”. Quelle donne che Revelli deve aver
conosciuto nel suo peregrinare partigiano e che
sempre aiutavano i ragazzi delle bande non solo
perché erano “i nostri”, ma
perché pensavano ai figli
soldati sparsi per il mondo e in pericolo. Solo più
tardi le storie collettive si
fanno sfondo e lasciano
spazio al racconto di un
misterioso cavaliere solitario, «Il disperso di Marburg», dove la scoperta
dell’identità del nemico lo
rivela più simile all’autore
di quanto lasciasse pensare l’essere su fronti diversi. E poi, sempre con la
solita cura dei documenti, la ricostruzione della
singolare vita di don Raimondo Viale, «Il prete giusto» sempre schierato dalla parte più difficile.
Guardando però all’oggi, alla fine sorge il dubbio
che tutto sia tornato come prima, come se nulla
fosse stato, soprattutto in
questa terra di Cuneo dove, come diceva Dante Livio Bianco, «le teste quadre solitamente sono la regola, e le teste calde l’eccezione». Anche la delusione,
forse, perché tutto «è di
nuovo una palude». Ma
poi soprattutto la speranza e la sicurezza che «in
ogni villaggio, anche nel
borgo più disperso, sotto
la cenere la brace è ancora viva. È tutto qui il miracolo della nostra resistenza, di aver seminato partigiani autentici, teste calde
e non soltanto ex combattenti rassegnati, vinti».
Collins autore vittoriano
che anticipò il poliziesco
MASSIMO ROMANO
M
un pozzo e mi aggrappavo
per risalire ma sempre il
buio mi vinceva».
Arriva l’8 settembre, è il
tempo del riscatto. Ma Revelli non si fida, si sente
ancora un «militare puro» e
non vuole andare nelle formazioni politiche. Per questo fonda assieme a Piero
Bellino e Faustino Dalmazzo la banda «Iª Compagnia rivendicazione caduti», ancora una volta nel
ricordo dei caduti di Russia e delle vittime della
guerra fascista. Nel febbraio 1944 però lascia
la pianura per andare in
montagna e sceglie la formazione «Italia Libera» di
Dante Livio Bianco. Inizia
qui un’amicizia fondamentale per Nuto Revelli, scopre la politica e abbandona definitivamente la sua
esperienza militare: «Mi
parlò di Piero Gobetti e
di Carlo Rosselli, e scoprii
un mondo. Con Livio riuscii finalmente a dire tutto, del mio fascismo, della
mia guerra di Russia, del
mio antifascismo che era
ancora e soltanto vergogna del passato, ribellione, rabbia».
La fine della guerra e la
liberazione delle città e dei
paesi dai fascisti e dai tedeschi è la fine di un’epoca, non priva però di chiaroscuri. Certo si ritrova la
libertà, ma i modi in cui
la società va costituendosi non lo convincono, «nell’aria si sente già il puzzo
della restaurazione». Nel
dopoguerra Revelli come
molti delle formazioni di
«Giustizia e libertà» lascia
la politica e si procura
un lavoro per tutti i giorni. Ma la sua “militanza”
continua con il mestiere
di scrittore per mantene-
EDITORIA
Lo scrittore inglese Wilkie
Collins e, a destra, uno scorcio
della campagna dello Yorkshire
ERITORIA
l’iniziativa dell’editore Fazi
di Roma, che
da
qualche
anno sta proponendo i
romanzi di Wilkie Collins, scrittore vittoriano
considerato tra i maggiori esponenti del sensational novel (romanzo sensazionale), che anticipa
la detective story.
Nato a Londra nel 1824
e morto nel 1889, figlio
di William, noto pittore
9
politico dominato solo dall’istinto e dal pulsare del
suo sangue giovane.
Dall’intera vicenda emerge la drammatica vicenda
italiana di anni contrassegnati da morti e stragi, la
fragilità della giovane democrazia, la violenza estrema di ideologie che teorizzavano lo scontro armato.
Ma il tutto guardato dal
punto di vista di questo
adolescente nella cui mente predomina la convinzione che anche le bombe di
Milano, la defenestrazione
di Pinelli, e tanti altri eccidi,
non sono altro che la risposta dello Stato alla situazione di confusione e di smarrimento per un consolidamento dello status quo.
Forse nuoce al romanzo
la sovrabbondante descrizione di azioni e di personaggi storici: Almirante,
Michelini, Pasolini e tanti
altri; tuttavia, attraverso
le coinvolgenti esperienze
del giovane protagonista,
Pennacchi riesce a trascinarci nel dramma storico
e politico vissuto dalla nostra democrazia in quegli
anni. A lettura conclusa è
forte la sensazione che Accio non sia altro che l’autore stesso, che ha voluto
con questa narrazione rimuovere quel macigno di
avvenimenti e persone che
continuava a pesargli nell’animo.
Abbey, un tempo appartenente alla Chiesa cattolica e poi incamerata
da Enrico VIII.
Benwell, come un ragno diabolico, tesse abil-
TORINO
Un Atlante
dei Sacri monti
prealpini
I
CONVEGNI DI cultura
«Maria Cristina di Savoia» in collaborazione
con la Pro cultura femminile, organizza a Torino,
giovedì 26 febbraio alle ore
17 presso la Gam, Galleria d’arte moderna, (corso
Galileo Ferraris 30), una
conferenza sul tema: «Idea
dei Sacri Monti prealpini». All’incontro interverrà, tra gli altri, Luigi Zanzi, docente di Teoria della
storia presso L’università
di Pavia e autore del libro: «Atlante dei sacri
monti». Nel corso dell’incontro verranno proiettate alcune diapositive che
illustreranno più da vicino l’imponente spettacolo dei monti, la loro
storia e la loro evoluzione. Per informazioni tel.
011/817.82.83.
mente le sue trame e scopre che Stella aveva già
un marito, Winterfield.
Convince così Romayne
a convertirsi al cattolicesimo, a diventare un predicatore e a lasciare la
sua residenza di campagna alla Chiesa. Ma Stella aspetta un bambino
da lui… Non sveliamo il
colpo di scena finale per
non tradire il lettore. Diciamo soltanto che il progetto di padre Benwell
verrà sventato all’ultimo
momento.
C’è un’altra figura di
religioso nel romanzo,
padre Penrose, inviato
da Benwell presso Romayne con lo scopo di
convertirlo e indurlo a
cedere le sue proprietà
alla Chiesa. È un personaggio puro e limpido, che finirà come missionario nell’America dei
pionieri, e si contrappone al perverso Benwell,
che riflette la tradizione
antipapista della cultura inglese.
Questo romanzo vittoriano è costruito come
una partita a scacchi dove i buoni e i cattivi si
fronteggiano senza esclusione di colpi. La ricetta
che usava Collins per catturare il lettore era infallibile già nell’Inghilterra
vittoriana: «Fateli piangere, fateli ridere, ma soprattutto teneteli sulla
corda».
l’andatura, tanto era posato lui quanto era estroversa
e vivace Anna; due caratteri che si compensavano a
vicenda. Nuto parlava lentamente, a voce bassa, Anna interveniva più arrabbiata, più impetuosa. Nel
1999 mi concesse un’intervista, in cui spiegò come era nata la sua vocazione di scrittore. Lui, figlio
di una famiglia benestante, educato sotto il fascismo, partito volontario per
la Russia con la speranza
di vincere, nel corso della
campagna militare aveva
visto crollare tutte le sue
convinzioni. Quando era
partito aveva deciso di tenere un diario per scrivere
tutto quello che avrebbe visto. Quel diario ritornò con
lui in Italia, una delle pochissime cose che aveva
salvato dal disastro, insieme con una fotografia di
Anna, la sua fidanzata, e
tre armi automatiche. I due
anni, dopo, di guerra partigiana, contribuirono a confermare la sua maturazione.
Da qui nacque il desiderio di gridare a tutti la
sua verità, quella che aveva
sperimentato sulla sua pelle e voleva far capire a quelli, come lui, che erano stati
illusi dal fascismo. Questa,
mi disse, era la genesi della sua vocazione di scrittore. E la ricerca della verità
si intrecciava, per lui, con
l’attenzione ai vinti, fossero essi i soldati di Russia o
i contadini e le donne delle
campagne cuneesi, protagonisti del «Mondo dei vinti» e «L’anello forte». Quando gli chiesi se aveva voluto fare delle opere di storia orale mi rispose che lui
non sapeva nemmeno cosa
fosse, la storia orale. Semplicemente aveva visto che
doveva far parlare i suoi
protagonisti, farli parlare
senza interromperli. Le sofferenze dei poveri, degli
umili, lo commuovevano
profondamente; per questo
aveva voluto dare loro voce.
In particolare un’immagine veniva ancora a turbarlo, quella del “disperso”.
«Non è né morto né vivo
il “disperso”», mi diceva,
«tant’è vero che oggi, a distanza di tanti anni, dove
sono sopravvissuti i congiunti, una parte è ancora
lì che aspetta, che dice: un
giorno o l’altro il nostro disperso rientra, ritorna, è
vivo». Sapeva che anche lui
avrebbe potuto essere un
disperso, uno dei tanti che
scomparvero tra le nevi di
Russia, che caddero e non
si rialzarono, che nessuno
potè o volle aiutare.
Il 29 novembre 1999 ricevette dall’Università di
Torino la laurea honoris
causa in Scienza dell’educazione. In questa circostanza tenne una lezione
magistrale dal titolo «Dell’ignoranza»: argomentò la
sua ignoranza quando decise di partire a combattere in Russia senza quasi
sapere dov’era la Russia,
convinto che l’Italia avesse
nella Germania nazista un
prezioso alleato; il diradarsi
progressivo della sua ignoranza nel corso della campagna di guerra, fino al momento in cui tutto gli fu
chiaro; la scelta, sopravvissuto alla Russia, di combattere dalla parte della
Resistenza partigiana; la
volontà di scrivere per testimoniare della sua esperienza e di quella dei tanti
contadini-soldati mandati
a combattere e per dire la
verità: sul fascismo, sulle
gerarchie militari, sui dispersi; l’impegno a vincerla, l’ignoranza, in particolare quella dei giovani oggi,
per restituire loro, insieme
con la dimensione storica,
quella dell’impegno politico e umano.
Nuto Revelli aveva smesso di vivere già quattro anni
fa, alla morte della moglie;
l’affetto del figlio Marco,
della nuora e dell’amatissimo nipote, Michele, non
sono bastati a ridargli la
voglia di vivere. Se n’è andato in silenzio, non piangiamolo, lui non vorrebbe.
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