JACQUELINE GREAL CHIARA D'ASSISI PIANTICELLA DI FRANCESCO EDIZIONI PAOLINE Titolo originale Petite vie de Sainte Claire Desclée de Brouwer, 1991 76 bis, rue des Saints Pères, 75007 Paris Traduzione dal francese di Renzo Fenoglio I testi originali sono riportati da Fonti Francescane, Edizioni Messaggero, Padova 1980 FIGLIE DI SAN PAOLO, 1993 Via Francesco Albani 21, 20149 Milano Distribuzione: Commerciale Edizioni Paoline s.r.l. Corso Regina Margherita 2, 10153 Torino 1 2 Ammonisco ed esorto nel Signore Gesù Cristo tutte le mie sorelle, presenti e future, che si studino sempre la via della santa semplicità, dell'umiltà e della povertà, ed anche l'onestà di quella santa vita, che ci fu insegnata dal beato padre nostro Francesco fin dal principio della nostra conversione a Cristo. dal testamento di Chiara d'Assisi PIAZZA SAN RUFINO Nella casa di mio padre Assisi 1194. Regnante Enrico VI, imperatore romano germanico ed essendo papa Celestino III, il cavaliere Favarone fa battezzare con il nome di Chiara la sua prima figlia nella cattedrale di San Rufino, che era la sua parrocchia. In quello stesso anno 1194, nella notte di san Giovanni, quindici vescovi stanno attorno allo stesso fonte battesimale per il battesimo di Federico di Hohenstaufen, futuro Federico II. Dodici anni prima, Pietro Bernardone, mercante, vi aveva portato il proprio figlio Giovanni (Giovanni Battista), detto comunemente Francesco ( il francese ). Il fonte battesimale cui furono portati questi tre bambini è ancor oggi visibile, sul lato destro entrando nella cattedrale di San Rufino, in fondo alla piazza omonima. Lasciamo la cattedrale, con la sua cerchia di canonici attorno al vescovo Guido. A due passi troviamo la casa di Favarone, imponente e massiccia. Vi si ritrova tutta una famiglia, membri fissi o gente di passaggio: il nonno Offreduccio assieme ai suoi figli: Favarone con moglie e figlie, e relativi fratelli Monaldo, Scipione, Paolo, Ugolino con i loro figli: un totale di «sette cavalieri», dicono le cronache. Un soldato di professione, Giovanni di Ventura, veglia armato sul poderoso portone. Traversiamo 3 la piazza (oggi meno vasta di un tempo) e ci troviamo dalle sorelle Bona e Pacifica di Guelfuccio, parenti di Favarone e amiche di sua moglie. Un altro vicino molto noto è Pietro di Damiano. Una rete molto fitta di vicini, quelli «che vedono tutto»: saranno tutti eccellenti testimoni una sessantina d'anni più avanti. Ma chi è questo Favarone? È nobile, altolocato e potente in città, però le fonti non ce ne dicono molto di più, per cui è difficile «inquadrarlo». Favarone non è con sua moglie Ortolana quando questa fa i suoi lunghi viaggi per terra e per mare. Non c'è quando lei riceve amiche o parenti come la Pacifica, la quale al processo di canonizzazione di Chiara testimonierà che quando andava in casa Favarone non vedeva mai il padre. Il quale, soprattutto, non figura (e ciò stupisce ancor più) quando il focoso suo fratello Monaldo e i suoi figli tenteranno di strappare le nipoti e cugine Chiara e Caterina dalla vita religiosa. E tuttavia questo invisibile Favarone all'epoca dev'essere ancora vivo e vegeto perché gli nascerà una terza figlia, Beatrice. Indubbiamente, queste assenze possono avere una spiegazione: una può essere la sua posizione sociale che probabilmente gli impediva di lasciare Assisi per un viaggio che prendeva diversi mesi; un'altra potrebbe essere la sua poca simpatia per la cerchia di amicizie femminili e di parentele di sua moglie, il cosiddetto «salotto delle signore», troppo devoto e raffinato per i suoi gusti. Si potrebbe anche supporre in lui una specie di delusione profonda: prima due figlie, poi una terza, e nessun figlio, mentre i suoi fratelli generano tutto un battaglione di maschi da far succedere ai padri. Comunque stiano le cose, Favarone resterà sempre nascosto, in disparte. Dispiace non poter conoscere meglio colui al quale doveva rassomigliare Chiara «dal bel sembiante», colui che fu il primo cui essa si rivolse chiamandolo «padre». Molte più notizie abbiamo su sua madre Ortolana, «la Giardiniera», il cui nome - come quello di Chiara - si è sempre prestato a simbolismi allettanti e preziosi. Una donna profondamente pia, energica, che sapeva conciliare il governo della casa con il servizio di Dio e le visite ai poveri. Indipendente, anche, in buona misura, perché, accompagnata da 4 Pacifica sua parente e non da Favarone, va pellegrina a Gerusalemme, a Mont Saint-Michel e al Gargano o a Roma alla tomba degli Apostoli. Incinta una prima volta e carica perciò di angosce, si sente rivelare che quella che nascerà da lei sarà «una luce che aggiungerà chiarore alla luce stessa», e allora decide, contro il parere della sua cerchia familiare, che la bimba si chiamerà «Chiara». Più tardi, ormai vedova, raggiungerà le sue tre figlie nella vita religiosa e morirà prima del 1238 presso di loro nel monastero di San Damiano, in un'atmosfera di santa tenerezza facile da immaginare. Nel frattempo, essa cresce le sue figlie e le istruisce: gli scritti che ci restano di Chiara e di sua sorella Caterina (diventata Agnese in religione), sono redatti in uno stile elevato. Ortolana le prepara anche al governo di una casa, e difatti le prime due ne avranno una da dirigere. Soprattutto però essa insegna loro ad amare e servire Dio, nell'orazione e nel servizio ai poveri. Chiara cresce così, tra casa e chiesa, senza mai lasciare piazza San Rufino se non per alcune settimane che trascorre a Coccorano, nelle campagne che vi aveva la famiglia. Nulla sembra distinguerla dalle altre ragazze ricche e nobili sue coetanee. Che essa abbia contato i suoi Pater noster servendosi di sassolini e che si sia privata di dolcetti per darli agli orfanelli poveri sono cose tradizionali per tutti i bravi bambini cristiani, cose che non portano di per sé a una santità fuori dal comune. Le due spade Ma l'infanzia di Chiara viene presto in contatto con il male e le disavventure, proprio perché nobile e ricca. Vede con i suoi occhi la violenza sulla sua piazza e nelle sue strade e sente perfino nella casa di suo padre urli di collera e parole astiose. Tremerà sulla via dell'esilio, rannicchiata al fondo di carri e carretti attorniati da uomini in armi. Chiara è venuta alla luce in un periodo di rivolgimenti sociali e politici, un periodo nel quale gli equilibri europei ereditati dall'alto Medioevo sono soggetti a violenti scossoni, specialmente in Italia. 5 Su questa terra imperatore e papa si disputano il potere temporale e spirituale, armati entrambi delle ragioni teologiche più ferree. Le città (guelfe quelle che parteggiano per il papa, ghibelline quelle che tengono per l'imperatore) cambiano campo secondo l'occupante del momento e si dilacerano a vicenda. Nella cerchia di una stessa città, i potenti (i maiores), soprattutto nobili, ricchi di terre, sono minacciati dalle richieste dei deboli (i minores), borghesi e artigiani, ricchi di monete sonanti. È una situazione pietosa per la bella terra d'Italia. Sull'altra sponda del Mediterraneo, sulla quale si ripercuotono e ove hanno origine molti dei soprassalti che scuotono l'Europa, Latini, Bizantini e Musulmani continuano a dilaniarsi, ovviamente tutti «per l'amore di Dio». Questi sconvolgimenti che occupano i secoli XII e XIII come sono vissuti ad Assisi e in casa Favarone. Città imperiale dipendente dal ducato di Spoleto, Assisi è divisa in due campi: i suoi maiores, come Favarone, parteggiano per lo status quo e per l'occupante germanica, mentre i suoi minores, tipo Pietro Bernardone, preferiscono l'indipendenza politica ed economica a un legame con gli Stati pontifici. Nel 1177, Conrad de Lutzen, a nome dell'imperatore Federico Barbarossa, prende possesso della fortezza di Assisi, la «Rocca», che dall'alto protegge e minaccia la città e le valli sottostanti. Ne segue una calma relativa per una dozzina di anni. Sono gli anni nei quali si verificano i matrimoni dei genitori di Francesco e di Chiara: Bernardone sposa la Pica, una francese da cui prenderà nome Francesco; un po' più tardi il nostro Favarone sposa la Ortolana. Gerusalemme, Gerusalemme Il 2 ottobre del 1187 si verifica un avvenimento in un paese lontano, ma che avrà ripercussioni profonde in tutta la cristianità: Saladino si impadronisce di Gerusalemme. Per riconquistare la città santa, papa Gregorio VIII, il germanico Barbarossa, il francese Filippo Augusto e l'inglese Riccardo Cuor di Leone si buttano in una crociata che si rivela un fallimento: Gerusalemme non viene liberata! È la fine del 6 regno latino. In questo disastro, una piccola consolazione: il 2 settembre del 1192, Saladino concede ai cristiani una tregua di tre anni durante i quali i pellegrini possono visitare, disarmati, i Luoghi santi. Questa occupazione di Gerusalemme, città verso cui volgono i sogni di tutti i cristiani, ebbe una dolorosa eco in tutta Europa. Il papa ordinò preghiere speciali, tra cui la recita del Salmo 79: «O Dio, nella tua eredità sono entrate le nazioni, hanno profanato il tuo santo tempio, hanno ridotto in macerie Gerusalemme...». Ad Assisi, in San Rufino, madonna Ortolana, giovane sposa, deve aver ripetuto anche lei con afflizione questi versetti: «Aiutaci, Dio, nostra salvezza, per la gloria del tuo nome... Giunga fino a te il gemito dei prigionieri..., e noi, tuo popolo e gregge del tuo pascolo, ti renderemo grazie per sempre». È così, appena avuta notizia della tregua concessa dal Saladino, ecco madonna Ortolana mettersi sulla strada di Gerusalemme, «per cagione de orazione e devozione», dirà Pacifica, sua compagna di viaggio. Per chiedere anche la grazia della maternità? Partita non prima dell'inizio della primavera del '93, Ortolana può essere rientrata ad Assisi verso la fine dell'estate dello stesso anno, e Chiara può esser nata in giugno o luglio dell'anno successivo, 1194. Si tratta di date soltanto verosimili; ma nella vita di Chiara più che le date conterà il clima di amore per Cristo, di penitenza riparatrice, di richiami alla salvezza nel quale madonna Ortolana ha cresciuto le figlie, raccontando loro la «sua» Terra santa, facendo ripetere anche a loro il salmo: «Aiutaci, Dio, nostra salvezza, per la gloria del tuo nome...» Assisi, Perugia e il Comune Un altro avvenimento, che ebbe conseguenze di primaria importanza per Assisi e per casa Favarone, fu la morte del Barbarossa in Terra santa, durante la crociata. Gli succede Enrico VI «il Crudele», e con lui prende avvio una sollevazione generale dell'Italia contro l'Impero. I vari Comuni si impadroniscono delle fortezze dell'occupante e i papi ne approfittano per cercare di ridurli sotto il loro potere. Di colpo in Assisi la storia precipita: nel 1200, il papa Innocenzo III ordina a Conrad de Lutzen di consegnargli la «Rocca» di Assisi: Conrad, venendo meno al giuramento prestato al suo imperatore, si reca a Narni 7 dai legati pontifici per donare al papa il ducato di Spoleto. È un'assenza che si rivela fatale per lui, perché gli abitanti di Assisi ne approfittano per invadere la «Rocca»: questa già non è più dell'imperatore, ma non l'avrà neppure il papa. Vi si instaura un governo comunale che per prima cosa utilizzerà le pietre stesse della fortezza per erigere un muro di cinta. Assisi è finalmente indipendente. Una conseguenza positiva sarà la libertà, anzitutto quella dei commerci; tra le conseguenze negative, invece, l'inizio delle lotte tra le fazioni e le rappresaglie contro i feudatari. Incendi, saccheggi, sequestri di beni, demolizioni, assassinii: il volto orripilante delle rivoluzioni. Coloro che possono, se ne vanno in volontario esilio; tra questi i Favarone: dapprima nella loro proprietà di campagna a Coccorano, poi a Perugia, la città rivale di Assisi, portandosi dietro le due bimbe, Chiara di sei anni e la sorellina minore. A Perugia avranno come amica - perché abita nella stessa casa - una bimba di nome Benvenuta, che le seguirà per tutta la vita e sarà una testimone nel processo di canonizzazione di Chiara. L'anno successivo, 1202, Perugia, per fedeltà al papa, dichiara guerra ad Assisi e ottiene una prima vittoria nella pianura che separa le due città, «a Ponte San Giovanni». Numerosi gli assisiati fatti prigionieri: tra questi, troviamo Francesco di Bernardone, giovane di vent'anni: il carcere gli darà tempo e modo di riflettere sulla propria vita passata e futura. Nel novembre del 1203, si firma la prima pace. I prigionieri e gli esiliati rientrano in Assisi: Francesco ritrova le sue strade gioiose, i Favarone la loro piazza San Rufino. Ma le due opposte fazioni continueranno a dilaniarsi fino al 1210. In mezzo a tutti questi sconvolgimenti Chiara imparerà a fissare il suo cuore là ove sono le vere gioie. Ereditiera La ragazzina è cresciuta. Le testimonianze di quest'epoca ce la descrivono bella, dolce, discreta fino al nascondimento. Prega, ormai 8 senza più aiutarsi con i sassolini, da sola e con la sua cerchia di amiche. In San Rufino si impregna della preghiera della Chiesa e ascolta le prediche con piacere, interesse o benevola pazienza. Continua pure a soccorrere i poveri. In tutto questo, però, anche se Chiara «cominciò ad avvertire i primi stimoli del santo amore», niente in verità che esuli dalla linea di condotta comune alle ragazze del suo ambiente formatesi con lei. C'è il fatto però - e i suoi cominciano a impensierirsene - che i suoi digiuni sono più frequenti di quanto non sia prescritto; un altro fatto è che sotto le sue vesti Chiara porta una specie di cilicio costituito da una candida camiciola DI lana molto ruvida. Che questi particolari ci siano stati rivelati dall'uomo d'armi dei Favarone dimostra che se la condotta di Chiara è diventata oggetto di commenti da parte della servitù, essa ha dovuto produrre tra i suoi di famiglia almeno un certo scompiglio, se non addirittura discussioni venate di disappunto. Nella sua classe sociale le donne sono «un bene rigorosamente subordinato al bene principale, che è la terra». Si comprende perciò che «SUO padre, sua madre e gli altri suoi parenti» e anche un vicino - il quale deporrà al processo di canonizzazione - si inquietano per la troppa devozione della ragazza e si mettono a cercarle un buon partito, un'incombenza d'altra parte molto facile. Di qui, il classico conflitto, perché la dolce Chiara si dimostra irriducibile nel rifiutare tutti i pretendenti, forse senza ancora rendersi chiaramente conto, al momento, che è il matrimonio che lei rifiuta. Possiamo a questo punto della sua vita tratteggiare un primo abbozzo della sua personalità? Purezza, rettitudine, dolcezza, umiltà, bontà sono le espressioni che con più frequenza ricorrono sulla bocca dei testimoni che l'hanno conosciuta bambina e adolescente. La sua amica Bona aggiunge che «era una giovane prudente de etade de circa diciotto anni, e stava sempre in casa... Era anche molto benigna et attendeva a le altre opere bone». Aggiungiamo a tutte queste belle virtù un notevole fascino dovuto all'equilibrio delle sue qualità: un sentimento appassionato e una volontà decisa, una immaginazione vivace e una intelligenza sagace, spontaneità e riservatezza, energia e dolcezza: Chiara si rivelava «sempre graziosa», e tale restò fino alla morte, tanto che ne furono affascinati papi e vescovi. 9 FUORI LE MURA Dio in Umbria Che cosa farà dunque la nostra Chiara, dal momento che rifiuta il matrimonio? Agli inizi del secolo XIII le forme di vita religiosa sono svariate e molteplici: Ordini antichi e loro recenti virgulti, benedettini, cistercensi, canonici regolari, eremiti... Su un'altra linea, vi sono i movimenti di «vita apostolica ed evangelica», eretici o non eretici, con i loro predicatori itineranti, che mettono l'accento sulla povertà di Cristo. La stessa gamma si offre alle donne, con tutta una fioritura di «beghine» e di « recluse», che vivono o in comunità o all'ombra di una qualche chiesa o anche nella propria casa. Anche ad Assisi, o poco lontano, ci sono i benedettini del Subasio e quelli di San Pietro in Perugia, le monache benedettine di San Paolo delle Abbadesse o quelle di Sant'Angelo del Panzo, gli antonini dell'ospedale del Santo Salvatore. Per gli eretici (i «patari») c'è addirittura un vescovo cataro a Spoleto. La grossa novità è costituita però da una «fraternità», un gruppo di uomini che si sono riuniti attorno a Francesco di Bernardone. Li si incontra che lavorano con le proprie mani presso l'uno o l'altro o Si prendono cura dei lebbrosi. Quando nessuno dà loro del lavoro, chiedono l'elemosina. Il vescovo Guido li protegge e i benedettini han loro concesso un fazzoletto di terra nella valle, la «Porziuncola», attorno a una cappelletta dedicata a Santa Maria degli Angeli. Sono molto pii e umili. Tornati da Roma tutti contenti per aver ricevuto dal papa una approvazione verbale alla loro Regola, si sono dati il nome di «Frati minori». Il messaggero Chi parlò di Francesco a Chiara? Sicuramente suo cugino Rufino, prima che si unisse al nuovo gruppo di «fratelli». Probabilmente anche il vescovo Guido, che era contemporaneamente amico del Favarone e dei «fratelli», e che garantiva dell'ortodossia di quel gruppo. Sicuramente 10 però la gente di Assisi, quei poveri e quei malati che madonna Ortolana visitava accompagnata dalle figlie. Per ultimo, forse Francesco stesso. Chiara ha senz'altro intravisto più di una volta nelle strade di Assisi, fin da quando era bambina, questo «principe della gioventù» che si era fatto mendicante per amore di Dio. Oggi lo ascolta predicare in cattedrale, dove il vescovo Guido l'ha invitato a predicare tutte le domeniche di quaresima (il «quaresimale»): prediche concise, che per unico ornamento avevano un divorante entusiasmo. Chiara gli fa pervenire delle elemosine. A poco a poco sente crescere il desiderio di conoscerlo, «spinta a fare ciò dal Padre degli spiriti, da cui entrambi, in modi diversi, avevano ricevuto le prime ispirazioni». E a Francesco chi ha parlato di questa giovanetta? Gli stessi personaggi: Guido, Rufino, i poveri, i malati. Ma prima di questi, e fin dall'inizio della sua vita penitente, gliel'ha fatta oscuramente intravedere un altro testimone, il più fedele di tutti, lo Spirito di Dio. Correva l'anno 1206. In una campagna vicina ad Assisi egli stava iniziando a restaurare la chiesetta di San Damiano: cantava in francese, la lingua nella quale esprimeva i suoi momenti di più intensa letizia spirituale. Tra una cazzuolata e l'altra gli venne alle labbra una canzone profetica, che attraverso il latino della Leggenda dei tre compagni si è cercato di ricostruire così: Venite, aiutatemi in questi lavori! Sappiate che qui sorgerà un monastero di signore, e per la fama della loro santa vita, sarà glorificato in tutta la Chiesa il nostro Padre celeste. Come si vede, Chiara e le sue «sorelle» erano già, misteriosamente, in cammino verso San Damiano. Quando Francesco sentiva elogiare la giovanetta, la canzone tornava a invadere il suo spirito «né minore è il desiderio di lui di incontrarla e di parlarle». Questo desiderio è perlomeno insolito in un uomo il cui riserbo verso le donne era tale che più tardi potrà affermare di conoscere il volto di due sole donne. Oltre a sua madre, queste due donne non possono essere che la sua amica di Roma, Giacomina de Settesoli, e Chiara. Il motivo di questo riserbo sta sicuramente in una dolorosa esperienza della propria fragilità e nella cura di dare buon esempio ai suoi frati. Vi 11 si potrebbe scorgere anche una traccia di quell'antifemminismo che era comune in alcuni autori cristiani. Così come si può vedere un sentimento molto raffinato verso la donna che fa sposa di Cristo. E così pure un effetto dell'idealismo che caratterizzava l'«amor cortese», secondo il quale un cavaliere poteva servire una sola dama, e Francesco già ne aveva una, e oltre tutto molto esigente: Madonna Povertà. Un giorno Francesco propose ai suoi frati una parabola che dice molto su questa sua caratteristica, la parabola del Re che inviò due messaggeri a recare un messaggio alla Regina. Al loro ritorno, a missione compiuta, fu introdotto negli appartamenti regali e «nella gioia del suo Signore» soltanto il messaggero che, essendosi limitato a comunicare il messaggio senza alzare gli occhi al volto della Regina, non fu in grado di specificare se la Regina era o non era bella. Come sovente avviene per Francesco, questa rigidità di princìpi e di comportamenti aveva sfumature, contraddizioni, eccezioni, ove Legge e Spirito si contrapponevano. E così, il giorno prima della sua morte, Francesco fa chiamare da Roma la Giacomina, e quando questa arriva alla Porziuncola e i frati le vorrebbero impedire di entrare in clausura, egli dice loro: «Per fratello Giacomo non c'è da osservare il decreto relativo alle donne». Sconcerto nei frati scrupolosi, giubilo in quelli di manica più larga! Nei confronti di Chiara, invece, vedremo un riserbo più severo. Il messaggio Ma oggi, su stradine di campagna, ecco Francesco, accompagnato da fra Filippo, che è sacerdote, salire verso Assisi, verso Chiara. Questa, accompagnata da Bona, sua vicina, parente e amica, esce dalla porta della città e scende incontro a Francesco. Nell'ombra leggera degli ulivi, tra i filari delle vigne, forse vicino a un ruscello, i due si incontrano e si salutano cortesemente, nel solare dialetto che sarà del «Cantico delle creature». Francesco ha ventotto anni, dietro di lui una giovinezza piuttosto... spensierata («Quando io ero nei peccati», dirà nel suo «testamento») e cinque-sei anni di vita penitente. Chiara ha sedici anni, ed esce, pura e 12 composta, dalla casa di suo padre. Si guardano e si riconoscono. Certo, i loro ruoli saranno definiti con precisione dai loro biografi e da loro stessi: Francesco è il padre, il maestro, il giardiniere; Chiara è la figlia, l'allieva, la «pianticella». Lui è uomo: il fuoco e il vento; lei è donna: l'acqua, la terra e le stelle, «clarite e preziose e belle» del «Cantico di Frate Sole». Ma al di là delle figurazioni, dei simboli e delle categorie, al di là della loro storia personale, essi hanno in comune lo stesso sangue spirituale, sono legati da quella santa fraternità dello spirito che trascende le differenze nell'attimo stesso in cui le fa sbocciare. Sono tutti e due anime appassionate. «Signore, che io muoia per amore dell'amore tuo!», esclama Francesco, e a lui Chiara come un'eco risponde: «Con quale slancio appassionato dell'anima e del corpo non compiremo ciò che Dio nostro Padre ci chiede di compiere?». Sono tutti e due anime pure, due estremisti che vivono con logica coerente le conseguenze delle scelte che hanno operato. Sono anche, tutti e due, anime felici, colme di gioia: conoscono la propria felicità e la cantano. Forse tocco personale di Chiara sarà quello di un più grande equilibrio nervoso: «sempre era allegra nel Signore, e mai si vedeva turbata». Francesco non conobbe questa costante uniformità d'umore. «Eccola catturata, la nobile preda!» Continueranno a incontrarsi così per quasi due anni, tra il 1210 e il 1212, all'insaputa dei parenti di Chiara, a intervalli dettati dall'attività missionaria di Francesco. Chiara parla della sua parentela e di se stessa. Parla della poca voglia che ha di sposarsi. Parla della propria vita di preghiere e di elemosine. Della propria ammirazione per il cugino Rufino. Della domanda che sempre più spesso le affiora allo spirito: «Cos'è che debbo fare?» Francesco, da parte sua, «con un linguaggio ardente», squaderna davanti a Chiara «la visione della gioia eterna»: le parla di Cristo, Servo sofferente, povero e crocifisso, e di una vita «secondo la forma del santo Evangelo». Ella ascolta «ed accoglie con cuore ardente ciò che egli le va insegnando intorno a Gesù buono». Alle parole Francesco aggiunge l'esempio della sua giovane comunità, e gliene racconta gli inizi. Anche lui ha conosciuto l'incertezza, e dal momento che nessuno 13 veniva in suo aiuto, egli aveva posto a Dio la stessa domanda che ora Chiara gli sottopone: «Cos'è che debbo fare?» E la risposta arriva da questo leale messaggero cui solo interessano il Re e il suo messaggio. La via che Chiara deve percorrere è quella di seguire Cristo nella povertà. E Chiara accetta con letizia. Eccola catturata, la nobile preda! La via di San Damiano Su quelle che furono le conseguenze immediate di questa decisione le fonti ci offrono pochi dettagli, così come niente ci dicono sulle intenzioni precise di Francesco e di Chiara riguardo a come impostare il futuro programma di vita della giovanetta e riguardo a una possibile fondazione di una nuova comunità. Ma sembra impossibile che non sia venuto in mente a entrambi, fin da quegli inizi, il piccolo santuario di San Damiano. Per Francesco, quello è il luogo santo nel quale il Crocifisso gli ha detto: «Francesco, va', ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina!». Cacciato da suo padre, egli vi si era rifugiato tempo addietro, ospite del vecchio prete che vi dimorava, al quale Francesco aveva dato di che alimentare una lampada davanti al Crocifisso. Egli ne ha restaurato i muri, elemosinando in giro le pietre che gli servivano, senza avere ancora la minima idea del significato che poteva avere l'ordine ricevuto dal Crocifisso. Qui, ricorda infine Francesco davanti a Chiara, dovranno vivere le Dame della sua canzone. Come poteva non vedere in quella fanciulla l'avverarsi della profezia? e come poteva Chiara non veder realizzato tra le mura di San Damiano il suo desiderio di vita religiosa? Ma per arrivare a San Damiano si rivelerà necessario percorrere alcune strade laterali. Le fonti non sempre ne spiegano i motivi, ma questi sono abbastanza evidenti. Molto attaccato alla propria formula di vita non soltanto «secondo l'Evangelo» ma anche «secondo la forma fissata dalla Chiesa romana», Francesco ha sicuramente parlato molto presto di Chiara al vescovo Guido, che ama entrambi, li ammira e vede in essi ornamento e la 14 speranza della sua Chiesa. Dal canto suo, anche Chiara deve aver parlato con il vescovo della propria aspirazione a vivere in povertà alla sequela di Francesco. Bilanciando entusiasmo e prudenza, Guido deve averne esaminato la possibilità. Non si tratta di far fare materialmente a questa giovanetta la stessa vita dei frati: magari una vita da benedettina, o da cistercense, ma con la prospettiva che questa vita si svolga in San Damiano. A fianco di un sentiero che scende verso sud, a una mezza lega dalle mura di Assisi, con rare case coloniche all'intorno, San Damiano non costituisce parrocchia: si tratta di un vecchio santuario del secolo VIII o IX. Vi si venera Damiano, fratello di Cosma, due disinteressati medici delle anime e dei corpi, entrambi martiri, ricordati tutti e due nel Canone della Messa. La devozione verso questo santo medico è nata forse per la presenza, poco lontano sulla stessa strada, di un ricovero per lebbrosi. Dalla metà del secolo XII il santuario ospita un grande crocifisso, quello stesso che ha parlato a Francesco: un Cristo che con grandi occhi miti fissa coloro che l'hanno affisso alla croce. Questo luogo ove si incontrano la miseria umana e la misericordia divina è veramente un luogo predestinato alla intercessione, il luogo giusto per Chiara! In attesa di trovare una soluzione soddisfacente per il vecchio prete incaricato di San Damiano, la giovane potrebbe essere accolta in una delle abbazie che ci sono nei paraggi, quella di San Paolo, per esempio, ad appena una lega sulla strada per Perugia. Una soluzione provvisoria, ma che è diventata urgente, perché in casa Favarone la tensione sta crescendo. Domenica delle Palme La decisione è presa, le benedettine hanno accettato, la data viene fissata: la notte tra la Domenica delle Palme e il lunedì santo dell'anno 1212. Il luogo: prima la «vestizione», presso i frati della Porziuncola, poi, nella stessa notte, al monastero di San Paolo Il mattino della Domenica delle Palme, Chiara en tra per l'ultima volta nel suo bel San Rufino: si è vestita splendidamente, come splendidamente si è ingioiellata; glielo ha comandato esplicitamente 15 Francesco, quasi che una stessa festa dovesse unire l'entrata di Cristo in Gerusalemme e l'entrata di questa giovanetta «nel palazzo del gran Re». Non lontano dall'altare sul quale il vescovo Guido sta per iniziare la benedizione delle palme, sta nonno Offreduccio circondato da figli e nipoti. Accanto a Chiara, Pacifica e Bona, che sanno del suo progetto, Caterina, che lo indovina, e madonna Ortolana, che non può non averne un qualche presentimento. E Chiara? Tesa fino allo spasimo, si ritrova sommersa da tenerezza, preoccupazione e angoscia. Tanto che quando tutti si accalcano per andare a ricevere il ramo di palma benedetto, lei resta immobile al suo posto, incapace di fare un passo. Guido allora, commosso e insieme inquieto per questa angoscia della giovanetta, scende i gradini dell'altare e va di persona a recarle, assieme alla sua palma, conforto e tranquillità. Chiara, come tornata in sé, si unisce alla processione dei pueri Hebraeorum, i ragazzi ebrei, che cantano il loro gioioso «Osanna». La scena è stata breve, sicuramente è passata inosservata nella calca, e apparentemente non ha importanza per ciò che ne seguirà. Ma fin d'ora la vita di Chiara Ci presenta molto netta questa caratteristica di «gioco» drammatico, che è così spiccata anche nell'esistenza di Francesco, un'esistenza nella quale si «gioca» (nel duplice senso del termine) un destino umano di cammino incontro a Cristo, un cammino che ha sullo sfondo la croce e ai piedi della croce la Chiesa, tutta tenerezza e compassione. «Io mi leverò e percorrerò la città» La faticosa giornata si è conclusa, e la casa dorme, finalmente, nella notte sopraggiunta. Chiara, evitando l'entrata sorvegliata dall'uomo armato, forza senza far rumore una porticina sbarrata, ed eccola fuori, in piena notte. Sola? Il Celano parla di honesta societas, una «compagnia onesta», il che fa pensare o alla scorta di qualche frate oppure soltanto un'amica, o anche - ipotesi più probabile - un gruppo che comprenda frati e un'amica. Silenziosi e veloci, hanno varcato le mura e discendono verso la Porziuncola. Una tenue luminosità di fiaccole illumina la cappella di Santa Maria degli Angeli, dove stanno in attesa Francesco e gli altri frati. 16 Un breve saluto di affettuoso benvenuto, e ha inizio la cerimonia dell'entrata di Chiara nella vita religiosa. Si tratta di una cerimonia del tutto fuori dell'ordinario: Francesco, che è soltanto diacono, chiede che si impegni nella vita religiosa, all'insaputa dei suoi parenti, una fanciulla che non ha ricevuto alcuna preparazione specifica e che sta per iniziare a vivere con monache benedettine di cui nessuna è presente! Si tratta di irregolarità cui siamo particolarmente sensibili noi oggi, ma che erano pur sempre reali anche a quell'epoca: segno che tutti gli interessati erano consci dell'eccezionalità del fatto, per il quale il vescovo Guido deve aver dato tutte le dispense e le deleghe necessarie. Francesco agisce come rappresentante di Dio, e in quanto tale Chiara gli promette obbedienza e si sente da lui promettere, in cambio, le ricchezze della vita eterna. Eccola ora rivestita di poveri panni, una corda per cintura, a piedi nudi. Eccola, specialmente, «tonduta», con i capelli tagliati, il che la indica a tutti come donna di Chiesa, una donna segregata per Dio. Poi, un secondo viaggio nella notte, e Chiara viene accolta nel monastero di San Paolo, rifugio sicuro e amico. Siamo all'alba del lunedì santo. «Essi mi hanno colpita, essi mi hanno ferita» Frattanto in Assisi la piazza San Rufino entra in fermento: Si viene a sapere subito ove si trova Chiara, le donne se ne stanno zitte, in ansia, mentre gli uomini strepitano e si buttano a spron battuto sulla strada verso San Paolo. Il mattino delle Palme, Chiara aveva toccato il fondo dell'abisso, povera fanciulla tremante davanti all'ara del sacrificio. Oggi, quando vede irrompere nella cappella la squadraccia rumorosa della sua parentela, si trasforma in una donna energica che si erge a difendere la propria libertà di scelta e la propria nuova condizione. Non con parole o discorsi, ma con un atto enormemente simbolico: si strappa il velo dalla testa rasata e si afferra alle tovaglie dell'altare. Chi la strappasse da quel luogo rischierebbe la scomunica: è meglio tornare sui propri passi e andare a consultare Guido. 17 Seguono alcuni giorni di respiro, che nel monastero di San Paolo sono riempiti, oltre che dai lavori ordinari, dalle grandi cerimonie della Settimana Santa. Chiara si unisce alla Passione del Cristo, ma ciò le da modo di constatare e verificare che la vita benedettina non è fatta per lei. Inoltre, devono essere insorte nuove difficoltà da parte di Favarone, dal momento che la abbadessa di San Paolo, il vescovo Guido e Francesco organizzano il trasferimento di Chiara a Sant'Angelo di Panzo, un altro monastero sulle pendici del Subasio. Passano ancora altri giorni per la precisione siamo a sedici giorni da quella Domenica delle Palme - e una grande gioia è concessa a Chiara: Caterina, la sorella che lei ama teneramente, la raggiunge tra gli «Alleluia» della Domenica del Quasi modo geniti: «Alla maniera dei bimbi appena nati, desiderate ardentemente il puro latte dello spirito... La vittoria che trionfa sul mondo è la nostra fede!» Caterina è più giovane di Chiara, e non è ancora stata «tonduta»: nessun rischio perciò, in questo caso, di venire scomunicati. Ecco allora di nuovo i parenti arrivare a briglia sciolta, capeggiati da un Monaldo che pare un vulcano in eruzione, sicuri tutti di esser dalla parte dei giusti. Abbrancano la povera ragazzina in lacrime e la tirano per i capelli fuori dalle mura del monastero, coprendola di botte. Chiara grida verso Dio, ed ecco che la fragile Caterina, sui bordi di un ruscello, si fa pesante come piombo, e non riescono a smuoverla né quelli della squadra del sequestro né i contadini chiamati in aiuto. Costernati di fronte al miracolo, i violenti accettano il fallimento e rinunciano all'impresa. «L'inverno è passato, sono finite le piogge» Francesco, subito avvertito, venne a «tonsurare» anche Caterina, e in questa occasione le cambiò il nome in quello di Agnese, «perché essa aveva coraggiosamente combattuto per l'Agnello innocente, cioè per Gesù Cristo». Libere finalmente di condurre la vita che hanno scelto, le due sorelle trascorrono di gioia in gioia. Altre amiche di sempre chiedono di unirsi a loro: prima fra tutte, Pacifica, la compagna di pellegrinaggio della loro madre, dunque molto più avanti negli anni rispetto alle nostre due giovani. Madonna Ortolana fu ovviamente felice di saperla accanto alle figlie, e può darsi che da questo momento ebbe 18 per lei un po' di invidia. Per settembre è previsto l'arrivo di Benvenuta, quasi loro coetanea: durante la guerra i Suoi genitori avevano ospitato i Favarone in casa loro a Perugia. Chiara, Agnese, Pacifica, Benvenuta. come non leggere i più felici presagi in questi quattro nomi? Il pur breve soggiorno di Chiara tra le benedettine rappresentò sicuramente per lei una iniziazione profonda ai valori fondamentali della vita monastica. Vi ascoltò il consiglio di Benedetto: «Ora et labora»: prega e lavora!, e il suo invito alla pace: «Pax». Francesco, che aveva trascorso anche lui un po' di tempo tra i benedettini all'inizio della sua conversione, completerà l'augurio dicendo: «Pax et bonum»: la pace e il bene, cioè tutti i beni, la pace, la gioia! Le benedettine da parte loro devono essere rimaste ben impressionate dalla giovane Chiara: quarant'anni più tardi, un'anziana monaca di San Paolo testimonierà di aver assistito in spirito agli ultimi istanti di Chiara, che sicuramente non aveva mai avuto modo di rivedere. Le monache della comunità di San Paolo nel 1238 adotteranno la Regola delle «Damianite». Finalmente, liberatosi San Damiano, Guido può offrirlo alla giovane comunità. Durante l'estate i frati vengono a prendere le giovani donne. È l'ultima volta che esse calpestano i sentieri sotto le mura di Assisi: davanti a loro si apre la porta di San Damiano. 19 SAN DAMIANO Il palazzo del Gran Re Tutte le pietre di Assisi parlano di Francesco e di Chiara, ma tre luoghi più di tutti gli altri, i luoghi che hanno segnato i loro inizi e quelli della loro fine: la chiesetta di Santa Maria degli Angeli, San Damiano e la tomba di san Francesco nei recessi della sua basilica. Dei tre, San Damiano, conservatosi quasi immutato al centro della sua campagna, è forse quello che più si presenta carico di evocazioni. Pur restaurato e ingrandito lungo i secoli, anche se non vi dimorano più le suore di Chiara ma i frati di Francesco, anche se aperto al brusio dei visitatori, il piccolo santuario non ha mai perso nulla del suo fascino: un fascino che deriva dalla sua stessa modestia, dalla frescura delle sue ombre nelle quali la fatica si stempera. San Damiano è quale Chiara e le sue compagne lo amarono, quando vi entrarono, accolte dal fondo dell'abside dalla Madre di Dio, da san Rufino e san Damiano, e si inginocchiarono con Francesco e i suoi frati davanti al grande crocifisso. Il giro della «proprietà» fu presto concluso: accanto alla chiesetta, la vecchia poverissima abitazione del curato e alcune tettoie; un pozzo e un fazzoletto di terra per crescervi legumi e qualche albero da frutto: questo e non altro era all'inizio il « palazzo del Gran Re». Col crescere del numero delle suore e con l'instaurarsi di una forma di vita più specificamente monastica, si resero necessarie alcune ristrutturazioni: coro, oratorio interno, portineria, dormitorio, cucina, refettorio, infermeria, chiostro. A giudicare da quanto ne è rimasto le dimensioni erano all'inizio del tutto ridotte. Molto presto fu necessario anche garantire a San Damiano una certa sicurezza e tranquillità: ed ecco il muro di cinta e la clausura interna, evidenziata materialmente a mezzo di una inferriata e una tenda tra il coro e la navata in chiesa e altrettanto nel parlatorio. Una clausura però che nei primi anni sembra essere stata piuttosto blanda. 20 «Un ramo di biancospino a primavera» Il processo di canonizzazione di Chiara ci riporta il nome, l'origine e la data approssimativa di entrata in San Damiano delle quindici suore chiamate a testimoniare. Eccettuate due, hanno tutte tra i venti e i quarant'anni di vita religiosa. Ciò significa che tolta Pacifica che aveva largamente superato la trentina, erano tutte molto giovani quando si unirono a Chiara le due Agnese, le due Balvina, le due Benvenuta, Amata e Angeluccia, Cecilia, Cristiana e Cristina, Francesca, Lucia e Filippa. «Un ramo di biancospino a primavera», dice il Celano. La Lucia era addirittura ancora una ragazzina, mammola, nel bel dialetto di Assisi. Di esse, almeno quattro erano imparentate con Chiara: due sorelle e due «nipoti secondo la carne»; la madre, madonna Ortolana, si unirà a loro dopo la morte di Favarone. Le altre, sembra venissero anch'esse da famiglie nobili o borghesi: così Agnese d'Oportulo, figlia del podestà di Assisi. Tutte queste donne, «abbandonati i loro vasti palazzi, si costruiscono angusti monasteri e reputano grande gloria vivere nella cenere e nel cilicio, per amore di Cristo». «La camera dei profumi» In effetti, ben presto il piccolo gruppo cristallizza attorno a sé l'anelito delle donne di Assisi e dei dintorni verso una vita più dedicata a Dio. «È un accorrere da ogni parte di donne... Innumerevoli vergini, spronate dalla fama di Chiara, avendo qualche impedimento per abbracciare la vita claustrale in monastero, si studiano di vivere nella loro casa paterna, pur senza regola, secondo lo spirito della regola». Il vescovo e cronachista Jacques de Vitry così scrive a proposito della consolazione ricevuta pur in mezzo alla corruzione dilagante: «Ho trovato però, in quelle regioni, una cosa che mi è stata di grande consolazione: delle persone, d'ambo i sessi, ricchi e laici, che, spogliandosi di ogni proprietà per Cristo, abbandonavano il mondo. Si chiamavano frati minori, e sorelle minori». Quest'ultima denominazione non piaceva troppo a san Francesco, che preferiva chiamarle «Povere Sorelle» o ancor meglio «Povere Dame», un nome che è loro rimasto, 21 assieme a quello in uso oggi di «Clarisse». A quell'epoca venivano anche chiamate talora «Damianite». «Abbondando di così intensi profumi, come una cella di aromi, quantunque chiusa si tradiva con la sua stessa fragranza». Quelli che salgono in visita a San Damiano ne cantano le lodi. Francesco e i suoi frati, forti della propria influenza, propongono la vita di Chiara e delle sue monache a esempio, e indirizzano a San Damiano delle candidate..., che Chiara non sempre accetta. Come nel caso di una dama per la quale tutti insistono. Chiara finisce col cedere, ma - come ha predetto - la postulante persevera soltanto per sei mesi. È stata l'unica volta in cui la giovane abbadessa ha opposto il suo parere, anche se con delicatezza, a quello di Francesco. Le vocazioni autentiche sono numerose: un documento del 1238 cita per nome cinquanta sorelle. Molto presto San Damiano dilaga nella vallata di Spoleto e anche oltre. Nuovi monasteri vengono aperti, antichi monasteri, come quello di Panzo, si trasformano adottando la Regola e il sistema di vita di San Damiano, pur con lievi ritocchi. Nel 1228 si possono elencare già ventiquattro monasteri, che alla morte di Chiara saranno attorno ai centotrenta, di cui tredici in Francia San Damiano aiuta a formare queste nuove leve: Pacifica trascorre un anno intero nel monastero di Vallegloria presso Spello; Agnese, sorella di Chiara, è mandata come abbadessa in quello di Monticelli di Firenze, sicuramente nel 1229: vi si fermerà per vent'anni, ma alla fine tornerà, per morirvi tra le mura di San Damiano presso la sorella amatissima. L'unica lettera conservata tra quelle inviate a Chiara è l'autentica elegia di un'anima in esilio, e nello stesso tempo anche una lode dell'unione tra le suore che vivono a Monticelli. Soprattutto, cosa importante, annuncia che anche al suo nuovo monastero il papa ha concesso il «Privilegio della povertà». Altro esempio famoso è quello di Praga, ove la principessa Agnese, figlia di Ottocaro re di Boemia, cugina di santa Elisabetta d'Ungheria e nipote di santa Edvige, fa costruire nel 1232 per le francescane prima una chiesa, poi un ospedale e infine un monastero, nel quale entra lei stessa nel 1234. Da questo monastero terrà per vent'anni una corrispondenza con Chiara, che però non conoscerà mai di persona. 22 LA REGOLA DI CHIARA Il «Privilegio della povertà» Come si doveva coltivare questo «frutteto» - il Celano ha gusto per queste immagini -, come si sarebbe dovuto potare il biancospino? A che cosa si impegnava una giovane donna che entrasse in San Damiano? Dal giorno della professione di Chiara fino alla sua morte, al timone della Chiesa si sono succeduti ben cinque papi, così come si sono succeduti diversi cardinali protettori dell'Ordine, diversi visitatori canonici e diversi «ministri» generali. Ognuno con le proprie idee sulla vita religiosa. Durante tutto questo tempo Chiara è stata abbadessa e madre a San Damiano, tenacemente fedele alla scelta fatta da giovane: la povertà come la insegnava Francesco. La storia della sua Regola è la storia di una difesa energica di questa scelta, una difesa attuata anche contro i suoi migliori amici. Prima della Regola vera e propria, tre testi diversi hanno guidato la vita delle suore. I primi due costituivano una specie di statuto spirituale in base al quale veniva ratificata l'alleanza tra frati e suore, e la cosiddetta « forma di vita», formula vitae, data da Francesco alle suore nel 1212. Vi sono precisati i termini di questa alleanza: dal momento che le suore hanno scelto la perfezione evangelica, avranno sempre il suo aiuto e quello dei suoi frati: «Poiché, per divina ispirazione, vi siete fatte figlie e ancelle dell'altissimo sommo Re, il Padre celeste, e vi siete sposate allo Spirito Santo scegliendo di vivere secondo la perfezione del santo Vangelo, voglio e prometto, da parte mia e dei miei frati, di avere sempre di voi, come di loro, cura diligente e sollecitudine speciale». A questo testo fanno eco le «Ultime volontà per le suore di Chiara», dettate da Francesco nel 1226, già presso a morire: «Io, frate Francesco piccolo, voglio seguire la vita e la povertà dell'altissimo Signor nostro Gesù Cristo e della sua santissima Madre, e perseverare in essa fino alla fine. E prego voi, mie signore, e vi consiglio che viviate sempre in questa santissima vita e povertà. E guardatevi attentamente dall'allontanarvi mai da essa in nessuna maniera per l'insegnamento o il consiglio di qualcuno» La via in comune di Francesco e di Chiara è tutta 23 racchiusa tra queste due date e tra questi due testi. E questa via comune a entrambi è il Vangelo, vissuto nella povertà. Il terzo testo - di capitale importanza - è il «Privilegio della povertà». Documento ufficiale emanato dalla cancelleria apostolica, ha tutta la forza di una garanzia giuridica, e Chiara vi si appellerà con sicurezza. Pu lei a richiederlo, molto presto, fin dai primi tempi di San Damiano, in ogni caso prima del 1216, perché in questo anno moriva Innocenzo III che glielo concesse. Questo Privilegio venne poi confermato, più o meno negli stessi termini, da papa Gregorio IX nel 1228. Eccone alcuni stralci: «Volendo voi dedicarvi unicamente al Signore, avete rinunciato alla brama di beni terreni... Né, in questo proposito, vi spaventa la privazione di tante cose... Colui che nutre gli uccelli del cielo e veste i gigli del campo, non vi farà mancare né il vitto né il vestito, finché nella vita eterna passerà davanti a voi e vi somministrerà se stesso... Secondo la vostra supplica, quindi, confermiamo il vostro proposito di altissima povertà, concedendovi che nessuno vi possa costringere a ricevere possessioni». Il Celano riferisce che il papa Innocenzo firmò questo documento cum hilaritate magna, «ridendo apertamente». Ne aveva motivo: i privilegi che ordinariamente gli venivano richiesti tendevano a confermare Ordini religiosi o monasteri nella legittimità dei loro possedimenti. Chiedere il privilegio di essere povere: il paradosso rivelava in Chiara il giovanile ribollire del vino nuovo, ma altresì una saggezza profonda. È una determinazione non comune: ciò che il poverello Francesco non aveva osato neppure chiedere, Chiara lo chiedeva e lo otteneva, discepola più coraggiosa del maestro. Questo Privilegio fu l'arma più efficace nelle mani di Chiara, fino alla sua morte. Alcuni, prendendo a pretesto che il recente concilio del Laterano aveva proibito la creazione di nuovi Ordini, volevano farle adottare una delle Regole monastiche già esistenti. Ella poteva sì rispondere che le sue suore altro non erano che il ramo femminile dell'Ordine francescano, del quale avevano adottato la Regola, ma l'argomentazione poteva non sembrare sufficientemente convincente contro le sottigliezze dei canonisti: il Privilegio, se Chiara cercava di avvalersene, poteva anche solo sembrare una approvazione in linea di massima, in attesa che entrassero in vigore statuti particolareggiati. 24 Francesco credette sicuramente di aver trovato la soluzione appropriata quando in quell'anno del concilio, il 1215, chiese a Chiara di assumere il titolo di abbadessa: questo, assieme alla clausura, la situava almeno da un punto di vista formale, tra le monache degli antichi Ordini. Chiara, la poverella, abbadessa a ventun anni! Oppose tutta la resistenza di cui fu capace, ma alla fine dovette cedere. La vita le avrebbe insegnato il significato profondo di quel titolo «L'abbadessa sia la serva di tutte le suore», scriverà alla vigilia della sua morte, riferendo un pensiero di san Benedetto. Tutto questo però non significava ancora che esse adottassero una delle Regole in vigore. Chiara e le sue suore continuarono dunque a vivere più o meno come i frati, in tutto quanto si potesse conciliare con la loro vita di clausura: rinuncia a ogni bene personale, ricorso alla questua, povertà nei vestiti e nel cibo, preghiera in coro. La «Regola di Ugolino» Si trattava di una semplice tregua. Già altri monasteri venivano fondati, sul modello di San Damiano e perciò subito nascevano difficoltà su come interpretare la povertà e sulle relazioni tra frati e suore Nel 12181219 Francesco dovette discutere questi problemi con Ugolino, il cardinale protettore della comunità. E nacque la cosiddetta «Regola di Ugolino» che si fonda nei punti essenziali sulla Regola di san Benedetto, estendendola a tutti i monasteri nati da San Damiano. Si trattava di una regola molto stretta per quanto riguardava il digiuno, il silenzio e la clausura, ma si poteva cantare l'Ufficio, gli analfabeti potevano imparare a leggere ed era previsto un regime di vita più sfumato per le suore giovani e per le malate. In tutto ciò, Chiara non poteva non essere d'accordo, salvo forse il canto dell'Ufficio. Però adottare la Regola benedettina - santa quanto si voglia significava rinunciare a seguire Francesco, significava acquisire dei possedimenti, voleva dire chiudere la porta in faccia a Madonna Povertà e aprirla a Mammona, o almeno allo spirito di proprietà. Il ricordo del breve soggiorno nel monastero benedettino di San Paolo e in quello di Sant'Angelo di Panzo non poteva non rafforzare la convinzione di Chiara su questo punto. 25 Vivace fu perciò la sua resistenza e in certa misura anche vittoriosa. Quasi ogni articolo della «Regola di Ugolino» si accompagna a frasi come: «...se le suore lo vogliono», «...se la abbadessa lo crede opportuno». Il preambolo stesso prevede che «questa Regola deve essere osservata in tutto quello che non è veramente contrario alla forma di vita che noi vi abbiamo dato e secondo la quale voi avete esplicitamente deciso di voler vivere». Questa «forma di vita» così particolare non è forse il «Privilegio della povertà» accordato da Innocenzo III? In ogni caso, il risultato era un ibrido. Nel 1243 Agnese di Praga - una donna, anche questa, che sapeva quel che voleva... chiederà a papa Innocenzo IV di sopprimere dalla Regola ogni riferimento a san Benedetto e di ratificare tutti gli indulti posteriori, «perché osservare contemporaneamente due Regole nello stesso Ordine costituisce un impegno irrealizzabile». Numerosi monasteri la penseranno diversamente e adotteranno questa «Regola di Ugolino». Col variare dei tempi e dei luoghi le proporzioni tra elemento francescano ed elemento benedettino han potuto variare: proprietà o non proprietà, Ufficio cantato o non cantato, imparare o non imparare a leggere... In ogni luogo, però, e sempre, le suore restarono fedeli allo spirito di Chiara e di Francesco per quanto riguardava il concetto di povertà e il legame con i frati. San Damiano ormai era ben strutturato. Ugolino, che se ne era riservato personalmente la cura, dovette rendersi conto che non sarebbe stato prudente mettersi contro Chiara e le sue suore, per le quali d'altra parte nutriva affetto e ammirazione profonda. San Damiano perciò nel suo sviluppo non andò oltre il boccone di terra degli inizi, identica vi rimase l'austerità e i frati continuarono a predicarvi, a dividere con le suore ciò che ricavavano dalla loro questua e a parlarvi della loro Regola. Tanto che anche la conferma della «Regola di Ugolino» arrivata nel 1247 dal nuovo papa Innocenzo IV non influì granché sulla vita delle suore. La Regola di Chiara Alla fine, nel 1252, l'anno precedente alla sua morte, Chiara, con un'esperienza di quarant'anni e cosciente della propria responsabilità, stilò lei stessa la propria Regola. Questa Regola di santa Chiara si 26 distingue dalle altre per il suo riferirsi continuo allo spirito e alla lettera della Regola dei frati minori. Nelle cinque frasi che compongono il preambolo, Francesco (che era morto da venticinque anni) è nominato quattro volte per riconfermare la scelta della povertà come fondamento di vita e la continuità del legame con colui al quale Chiara e le sue suore avevano promesso obbedienza. Ciò premesso, si tratta di una Regola molto austera, anche se vi sono previste molte attenuazioni per le giovani, le suore deboli e le malate. Brillano tuttavia qua e là su questo tessuto scuro dei fili d'oro: un paragrafo, o una frase, o una semplice espressione di tenerezza fraterna richiamano così da vicino la Regola di Francesco che alcuni han potuto congetturare che la Regola di Chiara sia stata addirittura stilata da lui. È vero che è lei che vi si esprime in prima persona: però sono più di quarant'anni che Chiara sente commentare e vede vissuta dai frati la loro Regola, di cui lei possiede sicuramente una copia. La vive anche lei, e quando la cita o vi fa riferimento, rivela la sua assimilazione profonda del pensiero di Francesco. La Regola è lo specchio delle suore Il programma fu realizzato: le testimonianze delle suore ci fanno vedere la Regola in atto e San Damiano che vive, al pari di ogni altro monastero, come un alveare nel quale ogni suora si comporta secondo la propria posizione, le proprie incombenze e i propri incarichi. Nessuna indicazione, neppure a cercarla, su eventuali distinzioni a San Damiano in base alla «dignità», distinzioni del tutto estranee alla vocazione delle suore e anche alla loro epoca. «La grazia di lavorare» è stata concessa a tutte, e tutte, oltre al compimento dei loro doveri, si addossano parte dei lavori di utilità comune, ivi compresi i più umili: Chiara non si dispensa dall'andare lei stessa a vuotare i secchi delle malate. Per le suore incaricate della questua, la «Regola di Ugolino» usava senz'altro il termine di servientes, serve, che verrà ripreso da altre Regole posteriori; il termine lasciava supporre che oltre la categoria delle «serve» vi fosse quella delle «servite»: la Regola di Chiara invece precisa: servientes extra monasterium, cioè quelle che servono «fuori 27 dal monastero», perché per lei le suore sono tutte serve, sia fuori che dentro il monastero. Queste suore che stanno «fuori» sono le questuanti e le messaggere: la Regola le invita ad andare in modestia per la loro strada e a non portare dentro le mura del monastero gli avvenimenti del mondo, né portare nel mondo ciò che avviene nel monastero. Chiara stessa, serva delle serve, raccomanda loro di lodare il Signore quando vedono begli alberi carichi di fiori e fronde. E lo stesso facciano alla vista degli uomini e delle altre creature. Una raccomandazione carica di saggezza spirituale, tutta tesa a dilatare lo spirito e a far volgere sul mondo che sta fuori dalle mura uno sguardo gioioso e puro. Il saper leggere o meno, costituisce una differenza reale, dal momento che la Regola prescrive che le suore che non sanno leggere recitino non l'Ufficio in latino ma il cosiddetto «Ufficio dei Pater». Si verifica che alcune suore esterne sappiano leggere, mentre non sanno leggere alcune suore di clausura. Ad ogni modo, non si può accusare Chiara di creare distinzioni di ordine intellettuale né di disprezzare la cultura quando dice alle illetterate di non preoccuparsi di imparare. L'unica scienza che conti, dice al seguito di Francesco, è quella di possedere «lo spirito del Signore e del santo agire». Il resto è vanità. Come nel Vangelo, le malate a San Damiano costituiscono una categoria privilegiata. Per esse la Regola prevede tutte le agevolazioni possibili: dispensa dal digiuno, cibi più raffinati, materassi e guanciali di piume, visite. Fanno parte di queste attenzioni per le malate tutti i rimedi che quei tempi prevedevano, ma Chiara ve ne aggiunge uno molto efficace: il segno della croce. Il Celano dedica un intero capitolo alle guarigioni che Chiara ottiene con questo metodo, che trova una spiegazione soltanto nell'amore, amore per la malata, amore per il Medico e fede purissima in Lui. «Il Crocifisso amato ricambia l'amante... Nel petto della vergine era piantato l'albero della croce che, mentre col suo frutto rinnova interiormente l'anima, con le sue foglie offre la medicina esteriore». Raccontati con semplicità dalle testimoni al Processo di canonizzazione, questi miracoli ci introducono nell'intimità quotidiana del monastero. Quasi tutte le suore che vengono a testimoniare (generalmente tra i cinquanta e gli ottant'anni) hanno beneficiato di questo rimedio di Chiara. Pacifica, ottantenne, ricorda di essere stata guarita una volta da 28 Chiara, assieme ad altre quattro consorelle. Benvenuta parla delle proprie «fistole» e Amata della propria «idropisia». E raccontano della Andrea, la quale era afflitta fino alla disperazione da scrofole che minacciavano di soffocarla: bene, una notte Chiara conobbe in spirito la sua pena, e allora arrivò in suo aiuto con il suo rimedio solito, il segno della croce, ma con l'aggiunta, questa volta, di un uovo bazzotto, efficaci l'uno e l'altro per l'anima, per il cuore e per il corpo della povera Andrea. Ma quell'uovo era talmente eccezionale che restò nella memoria delle suore, come la focaccia che Chiara aveva fatto mangiare a suor Cecilia come rimedio contro la tosse. La gattuccia Non esiste vita francescana senza la presenza di un lupo, di una rondine o di una cicala. Anche a San Damiano la vita è allietata da una suora a quattro zampe, una gatta: la «gattuccia», come viene chiamata. Suo dovere principale: far pulizia dei numerosi topi; dovere secondario: visitare Chiara nelle lunghe giornate che lei passa inchiodata al letto a filare o cucire. Un giorno Chiara chiede a una suora di portarle una tovaglietta alla quale stava lavorando. La suora se ne torna con le altre consorelle e se ne dimentica. Ma compare la gattina, e in un modo o nell'altro riesce a trascinare la tovaglietta vicino a Chiara. La quale - si può immaginare con quale tenerezza - si mette a sgridare la «gattuccia»: «Cattiva! tu non la sai portare; perché la trascini per terra?». Ed ecco la gatta che si mette a piegare la tovaglietta per non farle toccar terra mentre la porta a Chiara. Questo era il grado di perfezione cui la obbligava l'onore di essere la gatta di San Damiano! Nel parlatorio di San Damiano Inferriate, tende, porte chiuse da doppie serrature, cardini e spranghe: tutto è previsto per scoraggiare dalle visite a San Damiano. La suora portinaia, «matura e discreta», che veglia sull'alveare, caccerà via tutti come fossero dei calabroni? No: come il « portello» non ha mai allontanato i visitatori da Port Royal, così nessuna inferriata, tendaggio 29 o porta o portinaia ha mai impedito a Chiara e alle sue suore di aprire a tutti San Damiano e il loro cuore. Il pane e la Parola Primi fra tutti, i frati, questuanti e cappellani, attraverso i quali si realizza l'appoggio spirituale e materiale che Francesco aveva promesso a Chiara, e che sono insostituibili per quanto riguarda il pane quotidiano. Abitano in piccole celle subito sotto le mura del monastero e comunicano con le suore sia nel parlatorio, sia attraverso una finestrella che serve da «ruota» per farvi passare il frutto delle loro questue. Poi, i predicatori, che hanno anch'essi una parte di primaria importanza nella vita di San Damiano. Chiara «provvede alle figlie, mediante devoti predicatori, l'alimento della Parola di Dio, della quale riserva per se stessa una larga porzione... Dal discorso di qualsiasi oratore sapeva trarre fuori ciò che giova all'anima, convinta che spiccare talvolta il fiore da uno sterpo spinoso non è minore sapienza che mangiare il frutto di un albero pregiato». Un giorno, durante la predica di fra Filippo di Atri, suor Agnese vide il Bambin Gesù accanto a Chiara. Questo significa, commenta Agnese, che Gesù «sta in mezzo de li predicatori e de li auditori, quando stanno et odono come debbono... Pareva che uno grande splendore fusse intorno alla preditta madre santa Chiara, non quasi de cosa materiale, ma quasi splendore de stelle. E disse che essa testimonia per la apparizione preditta sentiva una soavità inesplicabile. E dopo questo, vide un altro splendore, non quasi de quello colore che era del primo, ma tutto rosso in modo che pareva gittasse fora certe scintille de foco; e circundò tutta la preditta santa, e coperse tutto el capo suo». Ed ecco una voce interiore suggerire ad Agnese, che cercava il significato di questa visione: «Spiritus Sanctus superveniet in te» (lo Spirito Santo discenderà su di te). E un racconto che lascia intravedere il fervore spirituale con cui si svolgeva la vita a San Damiano. Predicatori, dunque, dotti o non dotti, preti o non preti, però santi. Come sta a dimostrare molto chiaramente il doppio sermone udito un giorno dalle suore: un frate inglese, maestro in teologia, predicava alle 30 suore, ed era presente anche fra Egidio. Predicava già da un certo tempo quando d'improvviso fra Egidio gli disse di slancio: «Taci, maestro, voglio predicare io!». Il predicatore si tacque immediatamente, e allora Egidio, invaso dal fuoco dello Spirito, pronunciò parole dolci come il miele, quindi disse al maestro: «Fratello, completa ora il sermone che avevi iniziato». Il maestro riannodò il filo della sua predica e la portò a termine. Questa scena rallegrò grandemente la beata Chiara. Chi ammirare di più? L'inglese, dotto ma umile? O Egidio, senza rispetto umano quando si sente invaso dallo Spirito? O Chiara, in grado di discernere nella disinvoltura di Egidio l'irruzione del cielo e di sorriderne di piacere? Ma a San Damiano vengono anche altri visitatori, gente che reca messaggi, gente che viene a cercar consigli e grazie, se non addirittura miracoli. Francesco manda a Chiara il povero frate Stefano, dilaniato nello spirito: lei lo benedice col segno della croce, lo lascia dormire un po' di tempo nel suo oratorio e glielo rimanda guarito. Un altro giorno ancora Francesco le manda frate Masseo a chiederle consiglio sulla preferenza da dare alla contemplazione o alla missione. Chiara, dopo aver molto pregato e fatto pregare, confermerà Francesco nella sua vocazione originaria: non vivere per se stesso, bensì partecipare agli altri ciò che si è ricevuto nella preghiera. Frate Leone, il «segretario di Francesco», scrupolosa «pecorella del buon Dio», viene sovente a cercare conforto e forza presso Chiara, che talvolta pure lo rimbrotta, quando è il caso. Vede anche Elia, Angelo Tancredi, Pacifico, ma tra i prediletti si distingue fra Ginepro, il buffone, il «giocoliere di Dio». È capace di troncare una zampa a un maiale per farne una buona minestra per un frate malato, senza badare né alle urla della bestia né a quelle del suo padrone. Ma è capace altresì di parlare di Dio con una convinzione così calorosa che lo si potrebbe credere arrivato dritto dritto non dalla luna ma dal Paradiso. Alla vigilia della propria morte Chiara, «animata da rinnovata letizia» nel rivedere questo vecchio compagno di Madonna Povertà, «gli chiede se abbia lì pronto qualcosa di nuovo riguardo al Signore». Ed egli, aprendo la bocca, «dalla fornace del cuore ardente libera fiammeggianti scintille di parole, e la vergine di Dio trova grande consolazione nelle sue parabole». 31 «Ce li tolga tutti» Per Chiara queste relazioni di aiuto reciproco realizzavano la promessa fatta da Francesco. Nello stesso tempo costituivano un elemento equilibratore nel suo ambiente esclusivamente femminile. I frati, narrando la propria dura esistenza di predicatori itineranti preservavano le suore dal pericolo dell'angelismo e da un eccessivo ripiegamento su se stesse. Essi da parte loro contavano su San Damiano per averne un sostegno nel loro apostolato. Frati e suore, però, non sempre riuscivano a evitare il superamento reale o supposto - delle misure, provocando così commenti e relazioni all'autorità. Tanto che un giorno Francesco fu udito sospirare: «Il Signore ci ha tolte le mogli, il diavolo invece ci procura delle sorelle». Nel 1230 papa Gregorio IX ricorderà con forza che nessun frate poteva predicare in un monastero di suore senza il suo permesso. Chiara allora, si rammaricò che le sorelle avrebbero avuto più raramente il cibo della sacra dottrina e gemendo disse: "Ce li tolga tutti, ormai, i frati, dopo che ci ha tolto quelli che ci davano il nutrimento di vita"!». E mandò via tutti i frati, compresi i questuanti che procuravano a tutte il nutrimento del corpo. Che poteva fare il papa di fronte a questo sciopero della fame? Tornò sulla propria proibizione e lasciò al ministro generale dell'Ordine di regolare il tutto. Chiara ritrovò il sorriso e la sua abituale deferenza verso il vecchio amico. Il Signor Papa Le poche volte in cui Chiara usa la parola «Chiesa», vi aggiunge sempre un qualche aggettivo tra quelli classici: Chiesa militante, Chiesa trionfante, santa, «Nostra Madre la santa Chiesa romana». Ognuno di questi termini ha per lei un senso pieno, e corrisponde sempre a una realtà vissuta: Corpo di Cristo, tempio dello Spirito, assemblea dei fedeli, popolo di Dio, società gerarchizzata... Come vive e respira nel Cristo, così Chiara vive e respira in questa Chiesa, nel mondo che le sta d'intorno, in questa Chiesa di peccatori e di santi, dal papa fino all'ultimo dei battezzati. 32 Poiché la corte pontificia soggiorna spesso a Perugia, i cardinali protettori dell'Ordine vengono di frequente a fare visita di buon vicinato alle suore. E restano fedeli a questa amicizia anche quando diventano papi, anche quando personalmente avrebbero opinioni differenti riguardo alla povertà religiosa. Una lettera del vecchio cardinale Ugolino lascia chiaramente trasparire il tono della sua amicizia per Chiara, «sorella amatissima in Cristo, madre di salvezza per la mia anima». Ha appena lasciato, a malincuore, San Damiano, «strappandomi a quella gioia che per me era un autentico tesoro dal cielo... Avevo appena celebrato la Pasqua con te e con la compagnia delle altre serve di Cristo; tutti insieme, nella gioia, avevamo parlato del Corpo di Cristo». Confidenza, tenerezza, ammirazione, ma altresì una terribile richiesta: «Tu sarai responsabile di me nel giorno del Giudizio se non ti prenderai attenta cura della mia salvezza... Tutto ciò che il tuo fervore e le tue lacrime chiederanno al Giudice supremo egli te lo concederà». Più tardi, divenuto papa Gregorio IX, scriverà ancora alle «sue figlie predilette» chiedendo loro che «alzino le mani verso Dio affinché il ministero che ci ha affidato serva alla sua gloria, alla gioia degli angeli e alla salvezza nostra e di tutti». Per la gloria di Dio e per la salvezza del mondo... Rispondere al papa nel giorno del Giudizio in quanto «madre della salvezza della sua anima» e aiutarlo quaggiù con la preghiera e la penitenza: l'incombenza può spaventare, ma Chiara e le sue suore l'accettano. A Gregorio succede Innocenzo IV, anche lui convinto della santità di Chiara. Di passaggio un giorno per San Damiano, chiede a Chiara di benedire lei stessa i pani messi in tavola: lei vi traccia, a malincuore, un segno di croce, e su tutti i pani si impresse visibile una croce. Fra gli amici più fedeli, Chiara poteva contare anche il cardinal Rainaldo, futuro papa Alessandro IV. Sarà lui a canonizzarla, dopo essere stato durante la sua vita «per i doveri della sua carica un padre, per la sua bontà una provvidenza, per la sua purissima dilezione un amico devoto». A tutti questi amici, che si fanno così umili quando la trasparenza della vita di lei fa loro vedere le loro insufficienze, per le quali chiedono le sue preghiere, Chiara risponde con il rispetto più profondo e autentico, e più commovente. Degna figlia di san Francesco, essa si rifiuta di 33 vedere le loro manchevolezze, considerandoli soltanto nella loro funzione di pastori del gregge. Meraviglie, meraviglie! Chiara era ancora in vita, e già la fama della sua santità attirava a San Damiano tutta una folla di infelici, poveri e ricchi. Chiara li ascolta, soffre con loro, elemosina per essi l'aiuto dal Signore, invita loro stessi a pregare, e talvolta ne ottiene la guarigione. Si tratta sovente di bambini malati, portati dai genitori, che suscitano la tenerezza materna delle suore. Così il bambino di Perugia colpito da una macchia all'occhio: Chiara gli tocca l'occhio, traccia su di lui un segno della croce, poi lo manda da suor Ortolana sua madre perché lo benedica anche lei. E il bambino torna dai genitori con la macchia cancellata, i due occhioni chiari chiari, guarito! Ma da chi è uscita la forza di Dio: dalla madre o dalla figlia? In uno slancio di amore e di umiltà, ognuna delle due ne attribuirà il merito all'altra. Di fronte al peccato le cose cambiano. In questi casi Chiara «piangeva in modo sconvolgente, ammoniva il peccatore e lo esortava a fare penitenza». Ha pianto forse così anche per il cavalier Ugolino, che racconterà la propria storia davanti ai giudici nel processo di canonizzazione? Sposato da poco, aveva rimandato a mamma e papà la sposina, e per più di ventidue anni si era rifiutato di riprendersela in casa, «benché più volte ne fusse stato ammonito, eziandio da persone religiose». Ma arrivò il momento in cui Chiara gli fece sapere che Dio stesso gli comandava per sua bocca di riprendersi la povera abbandonata: ne avrebbe avuto un figlio che sarebbe stato la loro gioia e la loro consolazione. Si può immaginare con quale stato d'animo tutt'altro che ben disposto il cavaliere ricevette il messaggio; tuttavia senti rinascere molto presto in sé una nuova viva attrazione per la sposa. Se la riprese in casa, la loro vita a due fu da allora felice e ne ebbero il figlio promesso. Un miracolo di guarigione spirituale, nel quale Chiara ebbe una parte di consigliera coniugale e di profeta. 34 Questa buona città di Assisi Continua frattanto la lotta tra il papa e l'imperatore, e ad Assisi non sono risparmiati i suoi orrori. Sono visitatori di tutt'altro genere quelli che salgono a San Damiano nel 1239. È l'anno nel quale Federico II, appena scomunicato dal papa, lancia i suoi soldati di ventura attraverso il ducato di Spoleto. Con le sue razzie, incendi, assassinii e ruberie, la guerra imperversa alle porte di Assisi. Un venerdì mattina - si era in settembre - una banda di arcieri mori o tartari, i «Saracini», circondano San Damiano, «fitti come api». Issandosi sui loro cavalli, alcuni riescono a raggiungere e a superare il muro di cinta e irrompono nel chiostro. Le suore, costernate e in lacrime, si rifugiano attorno a Chiara, che è a letto malata. Questa allora, appoggiandosi alle sue suore, raggiunge faticosamente la porta del refettorio che le separa ancora dal chiostro e dagli invasori. Fa portare davanti a sé la loro ultima ancora di salvezza, il Corpo di Cristo nel suo ciborio. Con tutte le suore prosternate attorno a sé, Chiara si getta a terra in lacrime e grida verso il Signore: «Signore, guarda tu queste tue serve, però che io non le posso guardare» Ed ecco, dal ciborio una voce come di fanciullo le risponde: «Io te defenderò sempre mai!» E Chiara di rimando: «Signore, piacciate defendere anche questa città!». E la voce risponde: «La città paterà molti periculi, ma sarà defesa». Un dialogo meraviglioso, nel quale Chiara si fa simile nella stessa fede ad Abramo che mercanteggia con Jahvè la salvezza per i giusti di Sodoma. E così Dio risparmia San Damiano ed Assisi, e i Saraceni tornano a scavalcare il muro in gran fretta. Due anni dopo, è la volta di un capitano dell'esercito imperiale, Vitale d'Aversa, che lancia le proprie truppe contro la città d'Assisi. Si è in giugno, e il bruto arriva a far abbattere per le esigenze del suo assedio tutti i magnifici alberi della campagna attorno ad Assisi. Chiara, sconvolta, ricorre alle misure estreme, quelle stesse usate dalla biblica regina Ester: preghiera, digiuno e penitenza, per salvare la città carissima - «Molti beni avemo recevuti da questa città, et imperò dovemo pregare Dio che esso la guardi» - e nella quale tutte hanno parenti e amici. Ordina alle suore di scoprirsi il capo, si fa recare della cenere e se ne cosparge una gran quantità prima sul suo capo «lo quale se aveva fatto tondire nuovamente» e poi «ne puse sopra li capi de tutte 35 le sore». E tutte a chiedere a Dio con preghiere e digiuni che la città sia liberata. E il mattino dopo, 22 giugno, Vitale toglie l'assedio e va a morire altrove. Anche questa volta la fede delle sue figlie ha salvato Assisi, che non se ne dimenticherà più e ogni anno, a quella data, farà una processione di ringraziamento. 36 CHIARA E FRANCESCO La pianta e il suo giardiniere Filiazione spirituale e amicizia umana: la forza e la profondità di questi legami che uniscono Chiara e Francesco costituiscono il «segreto del Gran Re». Le romanticherie che su questo argomento hanno intessuto scrittori e registi non hanno alcun fondamento nei documenti dell'epoca. In questi, i due santi non sono mai presentati da solo a sola: fin dai loro primi incontri nella pianura di Assisi, essi sono sempre accompagnati da una cerchia di frati, di suore o di amici, che fanno da confidenti, da messaggeri o commentano il fatto come semplici testimoni. Chiara e Francesco si muovono, parlano o agiscono sempre e unicamente come capi responsabili di una comunità. D'altra parte, la loro relazione in questo mondo è durata soltanto una quindicina d'anni, dalla fondazione di San Damiano alla morte di Francesco, cioè dal 1211/1212 al 1226. Durante tutto questo periodo di tempo risulta che abbiano avuto un incontro diretto soltanto in due occasioni: la prima volta quando Francesco «costringe» Chiara ad accettare il titolo di abbadessa, la seconda quando con il vescovo di Assisi le chiede di moderarsi nei suoi digiuni. E questo è più O meno tutto. Questa estrema discrezione dei testi corrisponde d'altra parte alla realtà e a un atteggiamento esplicitamente scelto da Francesco. Gli stessi frati gli fecero osservare un giorno che egli trascurava la sua «piccola pianticella» e si mostrava troppo di rado a San Damiano. Ed ecco la sua risposta: «Non crediate, carissimi, che io non le ami pienamente... Non averle chiamate, certo, non sarebbe stata colpa, ma non averne cura dopo averle chiamate, sarebbe enorme crudeltà. Ma vi do l'esempio, perché anche voi facciate come io ho fatto. Non voglio che alcuno si offra spontaneamente a fare loro visita, ma ordino che siano incaricati del loro servizio quelli che lo fanno contro voglia e sono maggiormente riluttanti, e soltanto persone di spirito, provati da una degna e lunga vita religiosa». Altri motivi oltre quello dell'esempio possono spiegare questo atteggiamento di riservatezza. Le cure per il suo Ordine in piena 37 espansione, la difficile stesura della sua Regola, i suoi viaggi missionari in Oriente e in tutta Italia, divorano la maggior parte del suo tempo. Quello che gliene resta, egli lo dedica sempre più spesso a cercare il volto di Dio nella solitudine lontano da Assisi. D'altra parte, San Damiano è in pieno sviluppo. Chiara guida la propria comunità con decisione e tenerezza, e sa parlare al papa e ai vescovi. I frati provvedono per le suore al nutrimento del corpo e a quello dello spirito e affidano alle loro preghiere e alle loro penitenze i propri crucci di apostolato. Il sodalizio funziona dunque perfettamente, anche senza Francesco. Bisogna tener presente che egli non è sacerdote bensì un semplice diacono, il che pone dei limiti istituzionali a quanto potrebbe svolgere in San Damiano. Francesco, d'altra parte, è troppo garbato per mettere a disagio i suoi frati con la sua presenza di «Padre»: egli ha piantato; ad altri l'incombenza di far crescere. È lui che ha piantato, certo, ma anche in questo ruolo di padre spirituale, la sua esperienza personale della santità di Dio e del suo amore geloso lo distoglie dall'entrare troppo nel cuore delle suore e della loro giovane abbadessa: egli è soltanto Giovanni Battista, l'araldo del Gran Re. Chiara e le suore capiscono tutto ciò, o almeno lo sentono, ma ciò non impedisce loro di soffrire allo... svezzamento. Elemosineranno la sua presenza fino alla sua morte. Francesco concepisce come un esempio il suo distacco da San Damiano. Ma il suo genio portato alla drammatizzazione gli impedisce di fermarsi sul piano delle idee. Anche in questo caso, egli trasforma in azione teatrale l'idea che vuole comunicare, e la mette in scena nella maniera più schietta e più rude, quella che era dei profeti dell'Antico Testamento. Il cerchio di cenere Un giorno, di passaggio per San Damiano, Francesco cede alle richieste del suo vice, frate Elia, spinto avanti sicuramente dalle suore, e accetta di fare loro una predica: «Quando furono riunite come di consueto per ascoltare la parola del Signore, ma anche per vedere il Padre, Francesco alzò gli occhi al cielo, dove sempre aveva il cuore e cominciò a pregare 38 Cristo. Poi ordinò che gli fosse portata della cenere, ne fece un cerchio sul pavimento tutto attorno alla sua persona, ed il resto se lo pose sul capo. Le religiose aspettavano e, al vedere il Padre immobile e in silenzio dentro al cerchio di cenere, sentivano l'animo invaso dallo stupore. Quando, a un tratto, il Santo si alzo e nella sorpresa generale in luogo del discorso recito il salmo Miserere. È appena finito, se ne andò rapidamente fuori. Per questo comportamento carico di significato, le serve del Signore provarono tanta contrizione, che scoppiarono in un profluvio di lacrime e a stento si trattennero dal punirsi con le loro stesse mani. Col fatto aveva insegnato loro a stimarsi cenere, e inoltre che il suo cuore non provava altro sentimento a loro riguardo che non fosse conforme a questo pensiero». I poveri mangeranno e saranno sazi Ma in Francesco i contrari si susseguono, per unirsi infine in un unico slancio. Dopo la cenere, ecco la coppa traboccante e il fior di frumento. Nei Fioretti è descritto un incontro conviviale meraviglioso, nel quale Chiara e Francesco, superato il cerchio di cenere, sono seduti assieme alla vera Tavola Rotonda della fraternità, che diventa così comunione nella grazia. Chiara desiderava da tanto tempo questo incontro; Francesco invece inizialmente si rifiuta, finché i suoi compagni lo convincono ad accordarle questa gioia. Ma allora Francesco, perché la sua gioia sia completa, la invita alla Porziuncola, dove già una volta l'aveva accolta con Madonna Povertà. Chiara perciò lascia un giorno la clausura di San Damiano e viene alla Porziuncola, come quel giorno, accompagnata da alcuni frati e da una suora. Saluta la Vergine, passando davanti al suo altare in Santa Maria degli Angeli, visita il convento, e arriva finalmente al luogo dell'incontro, dove già tutto è apparecchiato «in sulla piana terra»; Chiara si mette a sedere assieme a Francesco, con tutti gli altri seduti d'intorno. «E per la prima vivanda santo Francesco cominciò a parlare di Dio si soavemente, si altamente, si maravigliosamente, che discendendo sopra 39 di loro l'abbondanza della divina grazia, tutti furono in Dio ratti». La gente di Assisi e dei dintorni, credendo che alla Porziuncola «ogni cosa ardesse», accorsero, penetrarono nel convento e trovarono «santo Francesco con santa Chiara con tutta la loro compagnia ratti in Dio». Alla fine tutti ritornarono dal cielo in terra «e, sentendosi bene confortati del cibo spirituale, poco Si curarono del cibo corporale». Non è il caso di discutere il valore storico di questo testo, né la data della sua composizione, né l'autenticità del fatto o gli abbellimenti aggiunti dalla tradizione: esso testimonia in ogni caso il livello al quale i frati e le suore della prima ora situavano i legami che correvano tra Francesco e Chiara: erano legami fondati in Dio, quasi un ritorno al paradiso perduto. «Audite, poverelle...: voi sarete regine!» Il 14 settembre del 1224, Francesco ebbe impresse nelle sue carni le stimmate della Passione, quasi sigilli della sua assimilazione a Cristo. Già di salute cagionevole a motivo della sua ascesi implacabile, le stimmate impresse nel suo corpo dal Signore stesso furono l'ultimo colpo, che lo avrebbe stroncato nel giro di due anni. Alle altre sofferenze si sarebbe aggiunta la cecità, divenuta quasi completa. Le suore erano frastornate dalla probabile imminenza della sua morte. Chiara stessa, ormai indebolita dall'austerità della vita claustrale, soffriva già di quel male che progressivamente sarebbe arrivato a immobilizzarla completamente. Grande fu perciò la gioia di tutto il convento quando nel 1225 Francesco accettò di trascorrere più di due mesi nella pace di San Damiano, ove i frati gli costruirono una specie di celletta di stuoie in un luogo appartato. E in questa celletta, assediato dai topi, riarso dalla febbre, incapace di sopportare la luce del giorno, Francesco compose il «Cantico di Frate Sole», rutilante di amore, di ottimismo e di gioia soprannaturale. Lo cantò disteso sul suo giaciglio e lo fece imparare ai suoi frati perché andassero poi a cantarlo per il mondo intero, invitando tutte le creature a lodare Iddio. Le suore, che al di là dei muri sentirono questa esplosione di letizia, furono sicuramente le prime a ripeterne le alate benedizioni. 40 Ma ciononostante piangevano. Francesco allora, per consolarle della loro tristezza, fece loro pervenire una breve esortazione, una canzone, scritta nello stesso linguaggio del «Cantico di Frate Sole»: «Audite, poverelle, dal Signor vocate...» In sei versi, Francesco ritorna sui suoi temi preferiti: l'austerità di vita, la povertà, l'elemosina, la prova..., ma altresì la gioia del Regno, nel quale ognuna di loro sarà una regina incoronata: «ka cascuna serà regina en celo coronata». 1226: ancora pochi mesi, e la fine si avvicina. Un periodo triste, caratterizzato tuttavia da autentica letizia per tutte le suore. Dal suo giaciglio di moribondo Francesco riuscì a far riconciliare il vescovo e il podestà di Assisi, padre di una suora di San Damiano, suor Agnese: mandò i suoi frati a convocare entrambi i contendenti, cantando loro la strofa che per essi aveva aggiunto al «Cantico»: «Laudato si, mi Signore, per quelli che perdonano per lo tuo amore e sostengo infirmitate et tribulatione. Beati quelli che'l sosterranno in pace ca de Te, Altissimo, sirano incoronati». «Voi mi rivedrete» A passi lenti, si avvicina a Francesco la «morte corporale», «sorella» dolce ma terribile. Siamo all'ultima settimana: Chiara lo sa e ne è profondamente sconvolta. Letteralmente, si sente sprofondare: cade gravemente malata, al punto che crede di morire prima ancora di Francesco. «Affranta, ella piangeva e non riusciva a darsi pace pensando che non avrebbe più visto Francesco, suo unico padre dopo Dio, lui che la confortava nello spirito e nel corpo, che l'aveva fondata per primo nella grazia del Signore». Quando ne viene a conoscenza, Francesco le fa arrivare attraverso un frate una sua ultima benedizione e per toglierle ogni residua tristezza le fa dire che «prima del suo trapasso, tanto lei che le sue sorelle mi vedranno ancora e ne trarranno la più 41 grande consolazione». Si trattava di una profezia, della quale Chiara afferrerà l'umor nero solo alcuni giorni più tardi. Francesco muore, alla Porziuncola, la sera del 3 ottobre; ma non è giusto dire «muore»: «quell'anima santissima, sciolta dal corpo, fu sommersa nell'abisso della chiarità divina e l'uomo beato s'addormentò nel Signore». La mattina del giorno seguente il suo corpo viene portato ad Assisi, ove viene sepolto provvisoriamente nella chiesa di San Giorgio. Francesco torna così nella sua città per la stessa «strada francese» già percorsa da sua madre Pica e da lui stesso, ragazzino. In un misto di dolore e di gioia, il corteo trionfale si incammina verso San Damiano ed entra nella chiesa, nella quale è stata «levata via la grata di ferro» che separava il santuario dal coro delle monache. Per lunghi momenti, i frati presentano il misero corpo del loro Padre alle figlie in pianto. Chiara rivede così Francesco, ne scopre e ne bacia le stimmate. Nello stesso istante si sente invadere da grande consolazione: la mirra si è forse d'improvviso mutata in dolcezza? Si può dubitarne. Il corteo riparte, la porta della chiesa si richiude, la grata viene ricollocata al suo posto. Un allattamento spirituale Chiara ha trentadue anni. Passeranno altri ventisette anni prima della sua morte, ventisette anni consacrati al suo duplice incarico di abbadessa e di responsabile di un Ordine. Ventisette anni senza Francesco. Assenza crudele, dolorosa angoscia: «O Padre, che cosa faremo ora noi, misere? Perché ci abbandoni desolate? A chi ci affidi, così desolate?... Chi ci soccorrerà in questa povertà di beni spirituali e materiali?», piangevano le suore davanti al corpo di Francesco. Ma queste «poverelle» non sono donnette da poco. Degne figlie della nuova Gerusalemme, si son sentite dire: «Non piangete di me!», e sono arrivate, Chiara per prima, a una accettazione più realista di nostra sorella Morte. D'altra parte, che cosa significa «assenza»? Anche da morto, Francesco è pur sempre con loro, il loro legame vale per l'eternità. 42 Una notte (la data è impossibile precisarla) Chiara ha un sogno, che racconterà a quattro delle sue suore, testimoni in seguito al processo della sua canonizzazione. Cecilia è vissuta a San Damiano per quarant'anni, Filippa trentotto, Balvina trentasei e Amata venticinque. Queste ultime due, sorelle tra loro, sono anche parenti di Chiara. Sono con lei in intimità, hanno in comune con lei ricordi di famiglia, hanno come lei conosciuto personalmente Francesco e con lei hanno vissuto i primi giorni di San Damiano. Filippa testimonierà: «Riferiva anche essa madonna Chiara che una volta, in visione, le pareva che essa portava a santo Francesco uno vaso de acqua calda, con uno asciugatoio da asciugare le mani. E saliva per una scala alta: ma andava così leggeramente, quasi come andasse per piana terra. Et essendo pervenuta a santo Francesco, esso santo trasse dal suo seno una mammella e disse ad essa vergine Chiara: "Vieni, ricevi e suggi". Et avendo lei succhiato, esso santo la ammoniva che suggesse un'altra volta; et essa suggendo, quello che de lì suggeva era tanto dolce e dilettevole che per nessuno modo lo poteria esplicare. Et avendo succhiato, quella rotondità ovvero bocca de la poppa, donde esce lo latte, remase intra li labbri de essa beata Chiara; e pigliando essa con le mani quello che li era remaso nella bocca, le pareva che fusse oro così chiaro e lucido, che ce se vedeva tutta, come quasi in uno specchio». Si tratta solo di un sogno, indipendente dalla volontà cosciente di Chiara. Ma il fatto che questa l'abbia raccontato sta a significare che ne era stata profondamente toccata nell'intimo. E significa pure che Chiara aveva grande fiducia nell'intelligenza delle sue suore, che d'altra parte non sembra si siano sentite turbate nella loro delicatezza di coscienza. Ma il fatto che ne abbiano parlato nella deposizione al processo dice che esse vi annettevano una importanza paragonabile a quella che per loro avevano le visioni e i miracoli riferiti nel processo. Si ritrovano in questo sogno diversi elementi che stanno alla base della simbologia comune a molte strutture religiose. Per restare nell'ambito del cristianesimo: la scala che sale fino a Dio, l'acqua della purificazione liturgica e del servizio fraterno, il latte della misericordia, lo specchio scintillante della conoscenza: tutte queste figurazioni sono forse estranee al nostro spirito? Ripercorriamole: Genesi: «Giacobbe... fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il 43 cielo» (28,12). Ezechiele: «Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre sozzure» (36,25). Isaia: «Alza gli occhi intorno e guarda... I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio... Così succhierete al suo petto e vi sazierete delle sue consolazioni; succhierete con delizia all'abbondanza del suo seno... Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò» (60,4; 66,11.13). Pietro: «Come bambini appena nati bramate il puro latte spirituale» (1Pt 2,2). Libro della Sapienza: «La Sapienza è un riflesso della luce perenne, uno specchio senza macchia dell'attività di Dio e una immagine della sua bontà» Chiara sicuramente non ha letto né Mircea Eliade, né Jung e tanto meno Freud, però fin dall'infanzia ha meditato, cantato e fatta sua ogni giorno questa pioggia di immagini. Le ha sentite commentare dai predicatori, qualche volta cistercensi, come quel fratel Ambrogio, visitatore canonico presso le Povere Dame. Chiara ha potuto sentir parlare di quanto aveva detto san Bernardo riguardo alla abbadessa «madre» delle proprie monache. Francesco stesso, d'altra parte, ha anche lui utilizzato frequentemente questa immagine per definire il compito dei superiori nei riguardi dei fratelli: «Te lo dico, Leone, come te lo direbbe una madre...». E fra Pacifico gli chiedeva perdono e benedizione chiamandolo «Madre cara...» Questi elementi fondamentali si ritrovano tutti nel sogno di Chiara, attorno alla sua ascensione rapida e leggera e al suo allattamento da parte di Francesco. A dire il vero, in quel sogno nulla si trova che Chiara già non sappia: Francesco l'ha generata spiritualmente, essa ne ha piena coscienza, e se lo chiama padre non lo fa solo per rispetto delle convenzioni. Che questo Padre la allatti come farebbe una madre costituisce una incoerenza del sogno, ma l'idea che vi soggiace è sempre la stessa: Francesco continua dal cielo il suo ruolo, insieme paterno e materno, e la attira alla conoscenza e all'amore di Dio, dolce latte e specchio luminoso. Sia stato un sogno, una visione o una profezia ciò che Chiara ha visto nel suo sonno e che l'ha proiettata al di là del tempo, essa ha comunque 44 potuto attingerne non tanto una rivelazione quanto una conferma e una rinnovata energia per la difesa dell'eredità lasciatale da Francesco: la povertà. Nello stesso anno in cui Francesco sarà dichiarato santo, 1228, Chiara otterrà dalla Santa Sede la conferma del suo «Privilegio della povertà». Frate Francesco, san Francesco Le suore seguono i passi preliminari di questa canonizzazione pregando e riferendo ai frati quanto ricordano su Francesco. Frate Leone, povera pecorella che ha perso il pastore, continua a venire a cercare conforto da loro, così come frate Angelo continua a narrar loro gli inizi della fraternità. Frate Elia invece parla loro dei lavori per la basilica, al centro della quale finalmente Francesco troverà sepoltura definitiva. È in questo periodo che fra Tommaso da Celano scrive la sua Vita Prima ufficiale di Francesco, la «legenda» che i frati devono leggere nel coro. Possiamo ben immaginarci che cosa pensassero le suore nel trovarvi il loro proprio elogio, espresso in quel linguaggio abbastanza ingarbugliato! In questo stesso periodo fra Giuliano da Spira compone l'Ufficio della festa del nuovo santo, fissata al 4 ottobre, il giorno successivo a quello della sua morte. Un Ufficio che trabocca di amore e di ammirazione nel raccontare, meditare e cantare la vita del Poverello. E nel susseguirsi delle antifone, i frati e le suore se lo rivedono davanti: ecco lo straccione che predicava nella buia cattedrale di San Rufino; ecco il muratore che annunciava ai quattro venti l'arrivo a San Damiano delle Povere Dame; ecco il giullare dalla voce sonora che invitava tutto il creato a lodare Dio; ecco il cieco dalle mani, piedi e costato piagati; ecco: è il loro fratello, san Francesco. Ogni anno, il 4 ottobre, finché non si scioglierà dalle catene del tempo, Chiara la fedele canterà la vita e la morte di Francesco, passando dalla tristezza del lutto alla gioiosa speranza del loro reincontro in paradiso. 45 CHIARA ALLO SPECCHIO «Guarda, ed Egli ti guarderà» A noi è dato soltanto di intravedere il mistero dell'amore di Dio verso Chiara e dell'amore di Chiara verso Dio. Quanto ella ci dice della propria esperienza interiore non costituisce un trattato ragionato di ascetica e di mistica, e neppure un metodo dettagliato di orazione, quali nasceranno nei secoli successivi. Tuttavia, alcune poche righe da una sua lettera ad Agnese di Praga sono sufficienti a darcene l'essenziale: «Colloca i tuoi occhi davanti allo specchio dell'eternità, colloca la tua anima nello splendore della gloria, colloca il tuo cuore in Colui che è figura della divina sostanza, e trasformati interamente, per mezzo della contemplazione, nella immagine della divinità di Lui. Allora anche tu proverai ciò che è riservato ai soli suoi amici, e gusterai la segreta dolcezza che Dio medesimo ha riservato fin dall'inizio per coloro che lo amano». È tutto l'essere che viene invitato a questa contemplazione trasfigurante che ha per oggetto Cristo, «specchio senza macchia», Figlio incarnato e Signore glorioso. E questo specchio, ci dice Chiara, ha una parte alta: ed è la mangiatoia; una parte bassa: ed è la croce, scelta per amore; una parte mediana: ed è la vita umile e povera. Si vede altresì chiaramente un ancoraggio tra preghiera liturgica e preghiera personale: l'Ufficio divino conferisce all'orazione tutta la ricchezza dei suoi contenuti, e l'orazione dà all'Ufficio tutto il suo calore affettivo. Chiara dà un'importanza vitale alla preghiera liturgica. Le suore ci dicono che «era solita, per Mattutino, prevenire le giovinette», che essa svegliava «senza rumori, con cenni» prima di accendere lei stessa le lampade e di suonare la campana. Sono specialmente le Ore notturne (Compieta e Mattutino) quelle in cui essa si sente libera di prolungare la propria preghiera. Una preghiera bagnata di lacrime, dalla quale «ritornava nella gioia» irraggiando «al di fuori sensibilmente» la luce che le aveva «inondato l'animo...; la sua faccia pareva più chiara che lo usato, e da la bocca sua ne usciva una 46 certa dolcezza». Quasi vi fossero due Chiara: l'una notturna, dolorosa; l'altra serenamente radiosa di giorno. «Salute a te, Madonna Povertà!» La parte mediana dello specchio, ci dice Chiara, è costituita dalla vita povera e umile del Cristo. La povertà e l'umiltà di Cristo: non vi è altra giustificazione, né teologica né apostolica, per la povertà alla quale Chiara è così profondamente ed effettivamente attaccata. «Attaccati, vergine povera, a Cristo povero», scrive ad Agnese, principessa di Boemia. Si tratta anzitutto di una povertà materiale: per amore di Cristo povero, Chiara ha venduto tutti i propri beni, dorme sul duro, digiuna, soffre il freddo nelle sue povere tonache rattoppate fino all'ultimo filo, cammina a piedi nudi. A San Damiano è anche mancato il pane, qualche volta, quando la carestia o la dimenticanza dei benefattori facevano scarseggiare le elemosine, quando gli inverni erano lunghi e crudeli. Figlia e sorella di Francesco, Chiara ha diffidato anche della pura apparenza del benessere, preferendo i tozzi di pane alle pagnotte intere. Pensando alla propria morte e redigendo un testamento di alto livello spirituale, non può fare a meno di introdurvi alcune espressioni nelle quali si esprime questa radicalità anche in evenienze molto precise: se capitasse, dice Chiara, che per motivi di convenienza o di isolamento si corresse il rischio di accettare più terreno di quanto sia necessario per un frutteto o un orto normali, «detto terreno non sia lavorato né seminato, ma rimanga sempre inarato e incolto». «Ci è nato un Figlio» La parte alta e la parte bassa dello «specchio», la mangiatoia e la croce, Betlem e il Calvario: ecco i «luoghi» privilegiati della spiritualità di Chiara. Li intravediamo nei consigli che trasmette ad Agnese di Praga: Chiara «colloca il proprio spirito» davanti al mistero che viene celebrato, si unisce col cuore al Cristo e si lascia trasformare. Dio risponde all'amore di Chiara largendole, quando gli piaccia, la gioia della sua 47 presenza, che talvolta può anche rivelarsi attraverso una visione oppure con un miracolo. Davanti al «santissimo Bambino, ravvolto in poveri pannicelli e adagiato nel presepio» Chiara si sente interiormente commuovere di tenerezza, così come si commuove davanti alla Vergine, questa «dolcissima Madre, la quale generò un Figlio tale che i cieli non potevano contenere, eppure ella lo raccolse nel piccolo chiostro del suo santo seno e lo portò nel suo grembo verginale». Chiara supplica le sue suore di imitare questa povertà di Cristo bambino e di sua Madre e le esorta «a vestire sempre indumenti vili». A Natale, però, queste suore che digiunano tutto l'anno «potranno prendere due pasti, in qualsiasi giorno della settimana capiti». Dal canto suo, Francesco chiedeva che in quel giorno si desse alle bestie una doppia razione. «Gozzoviglie» nelle stalle e nei refettori! Questa tenerezza che Chiara sente verso il Bambino Gesù e che essa allarga ai bambini che le vengono portati perché li guarisca, le è ben ricompensata da Gesù. Un primo di maggio, suor Francesca vide «nel grembo de essa madonna Chiara, innanti al petto suo, uno mammolo bellissimo... E senza dubbio essa credeva che quello mammolo fusse lo Figliolo de Dio». Un altro giorno, «circa la festa di san Martino, la mattina, dopo la Messa. ..», Chiara, a letto ammalata, riceve la comunione, e alla stessa suor Francesca parve «che el Corpo del Signore fusse uno mammolo piccolo e molto bello». Ma il miracolo più toccante lo ha riferito Chiara stessa alle suore prendendole amabilmente in giro. Tutto avvenne nell'ultima notte di Natale che Chiara trascorse su questa terra. A causa della sua grave malattia, essa non poteva alzarsi per andare in cappella. «Tutte le Donne si avviano per il Mattutino al luogo della preghiera, lasciando sola la Madre gravata dalle infermità. E, avendo cominciato a pensare a Gesù piccolino e a dolersi molto di non poter partecipare al canto delle sue lodi, sospirando gli dice: "Signore Iddio, eccomi lasciata qui sola per Te!". Ed ecco, all'improvviso, cominciò a risonare alle sue orecchie il meraviglioso concerto che si faceva nella chiesa di San Francesco. Udiva i frati salmeggiare nel giubilo, seguiva le armonie dei cantori, percepiva perfino il suono degli strumenti...». Anzi, cosa che supera questo prodigio di udito, ella fu degna di vedere «anche el presepio del Signore nostro Iesu Cristo», aggiunge Amata. 48 Celano, mai avaro di aggettivi, precisa che il concerto era melodioso, la melodia gioiosa, i canti armoniosi, e cerca maldestramente di spiegare che, data la distanza, «o quella celebrazione solenne fu resa divinamente sonora fino a raggiungerla, oppure il suo udito fu rafforzato oltre ogni umana possibilità». E perché Dio, che conosce i cuori, non può aver consolato Chiara superando anche i suoi stessi desideri? Comunque siano andate le cose, quel miracolo spiega perché Chiara sia stata scelta come patrona di tutti quelli che lavorano alla televisione. «Vidi aquam» Ma è nella pienezza del mistero pasquale che Chiara trova modo di esercitare con una intensità impressionante la propria capacità di contemplazione dolorosa e amante, di «compassione» nel significato pieno del termine, e di gioia esultante. Quando si unisce all'angoscia della Passione, il suo cuore già è pronto a proiettarsi nella gioia della Risurrezione, «gioia riconoscente e dolce» davanti alla guarigione concessa dal Signore: «Se con Lui soffrirai, con Lui regnerai; se con Lui piangerai, con Lui godrai», scrive ad Agnese, rifacendosi a san Paolo. Ogni giorno, tra l'ora sesta e la nona (l'ora in cui è morto Cristo), essa si unisce in spirito al Signore che si immola. Un Venerdì Santo essa è talmente assorta in Dio, che resta come insensibile per tutto il giorno e parte della notte seguente. Ove si trova durante tutto questo tempo: sul Calvario o a San Damiano? La sua attenzione si rivolge ai particolari più concreti della Passione di Cristo «disprezzato, percosso e in tutto il corpo ripetutamente flagellato» Essa fa propria la devozione per le Cinque Piaghe, che all'epoca era molto sentita, specialmente fra i cistercensi. Le piace recitare e insegnare una preghiera specifica su questo soggetto. Recita l'Ufficio della Passione che aveva composto Francesco lo stimmatizzato un Ufficio della Passione che aveva espresso un equilibrio perfetto tra dolore e certezza esultante della salvezza: «Essi hanno forato le mie mani e i miei piedi, hanno contato tutte le mie ossa... Mi sono addormentato e sono risorto, e il mio Padre santissimo mi ha accolto nella sua gloria». 49 In un giorno del tempo pasquale, Chiara sente il Vidi aquam, l'antica antifona che viene cantata durante l'aspersione dell'acqua benedetta: «Ho visto l'acqua che sgorga dal lato destro del Tempio, alleluja! Tutti quelli che lava quest'acqua saranno salvi, e canteranno "Alleluja!"». Ella «tanto se ne rallegrò e lo tenne a mente, che sempre, dopo mangiare e dopo Compieta se faceva dare a sé et alle Sore sue l'acqua benedetta, e diceva ad esse Sore: "Sorelle e figliole mie, sempre dovete recordare e tenere nella memoria vostra quella benedetta acqua, la quale uscì dal lato destro del nostro Signore Iesu Cristo pendente in croce"». Il Corpo, il Sangue e le Parole Il Signore sofferente è divenuto «Signore della gloria», «Re di gloria»: Chiara non trova parole sufficienti per cantarlo. Le sue lettere ad Agnese stillano ammirazione per «Colui la cui bellezza è l'ammirazione instancabile delle beate schiere del cielo... il più bello tra i figli dell'uomo... splendore dell'eterna gloria, chiarore della luce perenne». La sua lode si chiuderà soltanto con l'ultima visione nell'ora della sua morte. Quando riceveva il Corpo di Cristo («spesso», dice suor Benvenuta; sette volte all'anno, prescriveva la Regola), Chiara lo faceva «con grande devozione e tremore... in tanto che, quando essa lo pigliava, tutta tremava». Lacrime, timore e tremore di fronte al mistero, son tutti sentimenti che Chiara esperimenta, ma su tutti predomina la gioia: «La sua faccia pareva più luminosa del solito. Certamente, nella sua dolcezza, Dio aveva dato convito alla poverella». Tra una comunione e l'altra, Chiara si manteneva incessantemente unita in spirito al Figlio di Dio e lo adorava, presente e vivo nel tabernacolo. Ai preti poveri «per la piana e per i monti d'Assisi» essa fece arrivare «in buste di seta o di porpora» più di cinquanta paia di «corporali» fatti con tela delicatissima filata con le sue stesse mani. 50 Chiara e il Serpente Nelle fonti storiche che riguardano Chiara, la parola «peccato» e i termini che vi si riferiscono occupano solo poche righe, mentre i riferimenti sono proporzionalmente più numerosi nel caso di Francesco. Infinitamente delicata nel suo amore verso Dio, Chiara sarà forse stata meno scrupolosa del suo Padre spirituale. Il peccato e la tentazione essa li sapeva scoprire nelle sue suore dal loro sintomo più chiaro, che è la tristezza. Quale rimedio più efficace contro il «male di Babilonia» che raddoppiare l'amore nei riguardi della povera vittima? «Se qualcuna era turbata da una tentazione, se qualcuna, come può avvenire, era presa da mestizia, chiamatele da parte le consolava piangendo. Talvolta si prostra ai piedi delle afflitte per alleviare con materne carezze la violenza del dolore», finché non avevano ritrovato la gioia della Salvezza. Ma in santa Chiara personalmente, nessun peccato?. . . Sua nipote Balvina «credeva fermamente che, da la Vergine Maria in qua, niuna donna fusse de maggiore merito che essa madonna». Checché ne sia, Chiara, come d'altra parte le sue suore, si confessava dodici volte l'anno. Non si può dire altro. Comunque, Chiara ebbe almeno una volta in vita sua da lottare contro una tentazione tremenda: la spinta ad abbandonare San Damiano. Il 16 gennaio 1220, cinque frati minori venivano massacrati a Marrakesh per il nome di Cristo. Chiara ne fu particolarmente sconvolta e decise di partire anche lei per andare tra i pagani. Che cosa o chi la convinse a cambiare idea? Francesco? Fatto è che Chiara restò a San Damiano martire nello spirito e missionaria senza allontanarsi dal suo chiostro. Il Maligno si attaccò diverse volte a Chiara. Un giorno la picchiò, lasciandole un occhio intriso di sangue e una guancia bluastra e nera. Una notte, le apparve «in forma di nero fanciullo» e le predisse che le sue lacrime l'avrebbero resa cieca. Nella stessa notte, le disse: «Non piangere tanto, se non vuoi che ti coli alla fine dalle narici il cervello liquefatto, perché poi ne avrai il naso storto». Chiara non si perse in discussioni, e fu pronta a rispondergli: «Non sarà cieco chi vedrà Dio... Nessuna deformazione subisce chi serve il Signore». 51 Si può di passaggio osservare che queste iniziative del diavolo, anche se piuttosto grossolane, arrivavano tutte direttamente a toccare Chiara. Si può anche paragonare lo stile contenuto delle sue risposte (riferite, è vero, dal Celano) con quello più crudo consigliato da Francesco stesso al cugino Rufino in una circostanza simile: «ma quando il demonio ti dicesse più: Tu se' dannato, si gli rispondi: Apri la bocca; mo' vi ti caco!» Tanta volgarità in Rufino, quanto delicatezza in Chiara. Comunque, scandalizzato o disgustato, il diavolo nell'un caso e nell'altro tagliò la corda. 52 MORTE DI CHIARA La povertà come eredità Assisi, San Damiano, fine luglio del 1253. Dei tre personaggi battezzati in San Rufino, Francesco è morto nel 1226, Federico II nel 1230. Poche settimane ancora, e anche Chiara lascerà questa terra. Son ventotto anni che è tormentata da malanni particolarmente dolorosi. Da molto tempo si alza da letto solo a fatica, appoggiandosi alle sue suore, come era avvenuto il giorno in cui aveva dovuto affrontare i Saraceni. Trascorre le giornate sul suo pagliericcio, appoggiata al muro, filando e pregando. Scrive anche, oppure detta. La sua ultima lettera arriverà a Praga ad Agnese dopo la sua morte. Ha stilato il Testamento, indirizzato alle «sorelle mie amatissime e carissime, presenti e future». Madonna Povertà che cosa mai potrà lasciare in eredità? La gratitudine anzitutto, verso Dio per tutti i benefici di cui le ha colmate e che lei enumera a partire dalla profezia fatta da Francesco mentre restaurava San Damiano. Poi lascia in eredità la povertà stessa, e su questo punto Chiara insiste in maniera piuttosto viva. L'amore, infine, e qui Chiara non chiede alle suore nulla di straordinario: infatti, miracoli, visioni, sofferenze e gioie spirituali, tutto può rivelarsi illusorio. Essa chiede loro soltanto di osservare la legge cristiana più comune, che è anche la più alta: «E amandovi a vicenda nell'amore di Cristo, quell'amore che avete nel cuore, dimostratelo al di fuori con le opere (affinché le sorelle, provocate da questo esempio, crescano sempre nell'amore di Dio e nella mutua carità)». Sta consumandosi a poco a poco, vegliata in continuazione dalle sue figlie costernate e dai frati più affezionati come Angelo, Leone, Ginepro, i quali consolano gli altri... piangendo a calde lacrime. Come già avevano fatto accanto al giaciglio di Francesco morente, anche per Chiara viene letta la storia della Passione del Signore, mentre lei la mormora a se stessa a fior di labbra. Passano così diciassette giorni, nei quali Chiara non prende cibo alcuno. Dovrebbe essere già morta: lei lo desidera, ma nello stesso tempo sembra rifiutarvisi: come lasciare quelle sue figlie prima che il papa 53 abbia confermato la sua Regola, approvata un anno prima soltanto dal cardinal Rainaldo? Innocenzo e i suoi cardinali sono in viaggio molto lontano da Assisi, prima a Lione, poi a Roma. Quando finalmente arrivano a Perugia, Rainaldo viene a sapere della condizione critica in cui si trova Chiara e allora si precipita ad Assisi per rivedere l'amica, seguito presto da altri cardinali e dignitari. Infine, in un grande sfavillio di colori e gran rumore, arriva a San Damiano papa Innocenzo in persona, e fra quelle povere mura dispiega tutto lo splendore del cerimoniale pontificio. Nell'oscurità del dormitorio rischiarato da poche fiaccole, il papa si china verso Chiara. Essa cerca di baciargli non solo la mano ma anche il piede, in un atto di fede e di venerazione per il suo «Signor Papa». Per l'ultima volta confessa i propri «peccati», e il papa con un sospiro gliene dà l'assoluzione piena e completa, accompagnata dalla sua più ampia benedizione. Partito il papa, e dopo aver ricevuto il Corpo di Cristo, Chiara dice alle sorelle la propria gioia di aver ricevuto nello stesso giorno la visita dell'Altissimo e quella del suo vicario, manifestando così ancora una volta il suo realismo spirituale. Come potrebbe ora Innocenzo non esaudire il suo ultimo desiderio? Il 9 agosto un messo si precipita da Parigi, recando con sé la Regola sigillata col sigillo pontificio. Chiara ha vinto la sua battaglia; ora l'avvenire delle sue figlie è sicuro, ora può lasciare le cose della terra e volgersi all'aldilà. «Pretiosa. ..» Ultime parole del crepuscolo. Suor Filippa e suor Benvenuta sentono Chiara dire alla propria anima: «Va' secura in pace, però che averai bona scorta: però che quello che te creò, innanti te santificò; e poi che te creò, mise in te lo Spirito Santo e sempre te ha guardata come la madre lo suo figliolo lo quale ama». E aggiunse: «Tu, Signore, sii benedetto, lo quale me hai creata». Rivolta verso Agnese mormora: «Pretiosa in conspectu Domini mors sanctorum eius». Preziosa è agli occhi del Signore la morte dei suoi santi. È il versetto dai salmi che ogni mattina in coro concludeva la 54 lettura del Martirologio e apriva la giornata di preghiera e di lavoro. Quel versetto non significa che Chiara si dichiara santa: solo si colloca nella sequela di quelli che l'hanno preceduta, nell'umile certezza di essere salva. Chiara sa di essere oggetto d'amore da parte di Chi l'ha creata e l'ha colmata di grazia. In queste ore estreme come in tutta la sua vita passata, essa non tradisce la minima incertezza su questo amore di Dio, un amore cui lei ha corrisposto «con quello slancio appassionato del corpo e dell'anima!» Il Re, la Regina, le figlie di re Primi barlumi dell'aurora, cui farà seguito il gran sole della Rivelazione. Il venerdì precedente la sua morte, Chiara dice ad Amata: «Vedi tu lo Re della gloria, lo quale vedo io?». Poi Benvenuta, quello stesso venerdì, al cader della notte, vede - e ai giudici preciserà che si trattò «degli occhi della sua testa » e che lei era sveglia, completamente sveglia - «una schiera di vergini in bianche vesti e tutte hanno ghirlande d'oro sul capo» che entrano da Chiara. La più bella fra tutte reca in capo una corona tutta traforata da cui s'irradia un tale splendore di luce da cambiare la notte di quella stanzetta in un giorno radioso. Il celeste corteo si accosta al letto di Chiara e la Vergine delle vergini ricopre il lettuccio e l'inferma con un velo finissimo e trasparente. Poi reclina il capo e chinandosi affettuosamente su Chiara l'abbraccia con tenerezza, mentre le vergini che l'accompagnano l'ammantano di una veste splendente e cospargono di fiori il suo lettuccio. La morte di Francesco aveva avuto tutta la solennità di una liturgia pasquale: era il giovedì santo del pane spezzato e condiviso, della gran lode a Dio attraverso le creature, per esse e con esse. Per Chiara è il venerdì della spoliazione, della cenere e del salmo che recita: «A gran voce io grido verso il Signore: Fammi uscire dalla mia prigione perché io celebri il tuo nome!». Nella morte di Chiara si ha la netta impressione che siano gli stessi abitanti del cielo a celebrarne la liturgia in anticipo. Una liturgia intrisa di tenerezza e di luce: la liturgia delle vergini: «Viene introdotta al cospetto del Re, seguita dalle vergini sue compagne... Figlie 55 di re son presenti in tuo onore e la regina sta alla tua destra in vesti dorate e stoffe dai mille colori». Ora che tutto è pronto, a San Damiano come in paradiso, Chiara può finalmente partire per la «salvezza che non avrà più fine». «Va' fiduciosa, allegra e serena», aveva scritto Chiara ad Agnese di Praga. E così se ne va la sua anima, trascinata dalla sua splendida scorta, mentre tutti piangono attorno al suo povero corpo estenuato. È l'11 agosto, e mentre Assisi si risveglia per festeggiare san Rufino suo patrono, Chiara restituisce a Dio la sua anima beata e va a rimirare l'altra faccia dello specchio. Dolore - e quale dolore! - a San Damiano e immediata invasione: la città di Assisi al completo accorre, podestà in testa con soldati e gendarmi che intendono montare la guardia al loro prezioso tesoro (il furto di reliquie è di ogni epoca...). Il giorno seguente, 12 agosto, i funerali sono presieduti dal papa attorniato dai suoi cardinali. I frati hanno appena iniziato l'Ufficio dei defunti quando papa Innocenzo chiede loro di cantare l'Ufficio solenne della festa delle vergini, quasi ad anticipare la futura canonizzazione di Chiara. Il cardinal Rainaldo, pur commosso anche lui e anche lui sicuro della santità di Chiara, è più prudente e ottiene che si prosegua con l'Ufficio dei defunti: «Dona a lei, Signore, l'eterno riposo e splenda per lei la luce perpetua». Ed è ancora lui a tessere il discorso funebre sul tema «Vanità delle vanità», di fronte alla bara di Chiara, al corteo pontificio, alla folla, davanti ai frati e alle povere suore che seguendo Chiara a tutto hanno rinunciato fuorché ad avere un cuore. Ma il loro cuore viene messo ancora una volta a dura prova: vengono private delle spoglie della loro madre, per le quali San Damiano non sembra un asilo del tutto sicuro. Percorrendo la stessa strada seguita a suo tempo dalle spoglie di san Francesco, quelle di Chiara vengono trasferite al canto di inni e al suono di trombe nella chiesa di San Giorgio, la stessa nella quale il Poverello aveva un giorno imparato a leggere e dove le sue spoglie avevano sostato in attesa della tumulazione definitiva. Le monache ritroveranno presto le spoglie della loro madre ma a prezzo di un altro sacrificio: la comunità sarà costretta a lasciare San Damiano per trasferirsi in San Giorgio, denominata da allora basilica di Santa Chiara, nella quale le spoglie di Chiara sono ancor oggi venerate. 56 Dopo sette secoli che cosa rimane di quei poveri resti? L'«alabastro del suo corpo» e il «biancospino a primavera» di cui parlava il Celano ove sono? Quando Chiara risorgerà, ritroverà il bel sembiante puro della sua adolescenza. «Figlia di Sion, rallegrati!» Passano tre giorni, viene eletta una nuova abbadessa, Benedetta, e si avvia immediatamente il processo di canonizzazione: quindici suore testimonieranno già mentre la comunità è ancora a San Damiano. Fra i giudici e gli auditori figuravano frate Leone e frate Angelo, legati a Chiara quanto a Francesco, e Marco, il cappellano delle monache. I cinque laici furono interrogati ad Assisi nella chiesa di San Paolo. L'unanimità era prevedibile: toccava a Dio suggellarla con i suoi miracoli. Disgraziati e infelici non mancavano mai nei dintorni di Assisi per invocare l'intercessione di Chiara. E Chiara dal paradiso se ne prenderà sempre cura. I miracoli perciò arrivarono, e il Celano ne ufficializzò l'elenco. Sciancati, mendicanti, ciechi, epilettici, gente assalita dai lupi: il Celano ce li elenca tutti, compreso il bambino di cinque anni dai piedi troppo deboli per poter camminare: i genitori promettono di dedicarlo totalmente a Chiara se guarisce. Il piccolo promesso vassallo dovette intenerire il cuore materno e delicato di Chiara, la quale si affrettò a farlo sgambettare. La canonizzazione venne celebrata ad Anagni il 15 agosto del 1255. Morto papa Innocenzo nel 1254, toccò al suo successore, il fedele Rainaldo divenuto papa Alessandro IV, di proclamare la santità di Chiara e di proporla come modello alla cristianità. Nel susseguirsi di immagini della Bolla pontificia di canonizzazione si intravede l'amico che ricorda personalmente la luminosità e il calore che avevano caratterizzato la sua amica: «Chiaro specchio, braciere, astro radioso, pietra di fondazione, fortilizio, albero dall'ombra piacevole e amena, sorgente, fontana, libro vivente!» Uno studioso, André Vauchez, ha constatato che tra i santi canonizzati tra il 1198 e il 1431, vi è una sola religiosa, ed è Chiara. 57 Tanto grande è il segno lasciato nelle anime da questa povera piccola donna carica di reumatismi, malata per più di quarant'anni in un oscuro convento. Poco tempo dopo la morte di Francesco, un frate minore scrisse una sorta di apologo cui diede il titolo, intraducibile, di Sacrum Commercium, nel quale è esposta in forma drammatica una riflessione sulla povertà. Vi son descritti Francesco e i suoi frati che su una montagna stipulano una specie di alleanza con Madonna Povertà e le offrono un banchetto. Un banchetto piuttosto strano, però: pochi tozzi di pane d'orzo, qualche pugnetto d'erbe, e acqua; per la siesta, la «piana terra» e una pietra, per chiostro il panorama umbro, pur sempre splendido. I frati sono felici; traboccanti di gioia e di serenità, ringraziano Dio per questi benefici. Madonna Povertà, commossa, si siede a mensa con i frati e dice loro: «Siate benedetti figli miei, dal Signore Iddio che ha creato il cielo e la terra, perché mi avete accolta nella vostra casa con tale pienezza di carità, che oggi stando con voi mi è parso di stare nel paradiso del Signore... Ecco, quello che tanto ho cercato, ora lo contemplo, quello che ho tanto desiderato, ora è mio, perché in terra mi sono unita a uomini che sono per me immagine fedele di Colui che è mio sposo nel cielo... Gli angeli godono in Voi e di Voi... Innalzano canti di giubilo i vergini che seguono l'Agnello dovunque egli vada... E piena di esultanza tutta la corte celeste » Nel simbolismo tipico del francescanesimo dei primi tempi, Chiara non figura come Madonna Povertà. Ma la prodezza della disfida - cioè la gioia nella spoliazione - chi meglio di Chiara l'ha realizzata? 58 Appendice LE LETTERE ALLA BEATA AGNESE DI PRAGA Lettera prima (1235) Alla venerabile e santissima vergine, Donna Agnese, figlia dell'esimio e illustrissimo re di Boemia, Chiara, indegna serva di Gesù Cristo ed ancella inutile delle Donne recluse del monastero di San Damiano, sua suddita in tutto e serva, si raccomanda in ogni modo con particolare rispetto, mentre augura di conseguire la gloria della eterna felicità. All'udire la stupenda fama della vostra santa vita religiosa, che non a me soltanto è giunta, ma si è sparsa magnificamente su quasi tutta la faccia della terra, sono ripiena di gaudio nel Signore e gioisco; e di questo possono rallegrarsi non soltanto io, ma tutti coloro che servono o desiderano servire Gesù Cristo. Il motivo è questo: mentre potevate più di ogni altra godere delle fastosità, degli onori e delle dignità mondane, ed anche accedere con una gloria meravigliosa a legittimi sponsali con l'illustre Imperatore unione che, del resto, sarebbe stata conveniente alla vostra e sua eccelsa condizione -, tutte queste cose voi avete invece respinte, e avete preferito con tutta l'anima e con tutto il trasporto del cuore abbracciare la santissima povertà e le privazioni del corpo, per donarvi ad uno Sposo di ancor più nobile origine, al Signore Gesù Cristo, il quale custodirà sempre immacolata e intatta la vostra verginità. Il suo amore vi farà casta, le sue carezze più pura, il possesso di Lui vi confermerà vergine. Poiché la sua potenza è più forte d'ogni altra, più larga è la sua generosità; la sua bellezza è più seducente, il suo amore più dolce ed ogni suo favore più fine. Ormai stretta nell'amplesso di Lui, Egli ha ornato il vostro petto di pietre preziose; alle vostre orecchie ha fissato inestimabili perle; e tutta vi ha rivestita di nuove e scintillanti 59 gemme, come a primavera, e vi ha incoronata di un diadema d'oro, inciso col simbolo della santità. Perciò, sorella carissima, o meglio signora degna di ogni venerazione, poiché siete sposa, madre e sorella del Signor mio Gesù Cristo, insignita dello smagliante stendardo della inviolabile verginità e della santissima povertà, riempitevi di coraggio nel santo servizio che avete iniziato per l'ardente desiderio del Crocifisso povero. Lui per tutti noi sostenne il supplizio della croce, strappandoci dal potere del Principe delle tenebre, che ci tratteneva avvinti con catene in conseguenza del peccato del primo uomo, e riconciliandoci con Dio Padre. O povertà beata! A chi t'ama e t'abbraccia procuri ricchezze eterne. O povertà santa! A quanti ti possiedono e desiderano Dio promette il regno dei cieli, ed offre in modo infallibile eterna gloria e vita beata. O povertà pia! Te il Signore Gesù Cristo, in cui potere erano e sono il cielo e la terra, giacché bastò un cenno della sua parola e tutte le cose furono create, si degnò abbracciare a preferenza di ogni altra cosa. Disse egli, infatti: Le volpi hanno le loro tane, gli uccelli del cielo i nidi, ma il Figlio dell'uomo, cioè Cristo, non ha dove posare il capo; e quando lo reclinò sul suo petto, fu per rendere l'ultimo respiro. Se, dunque, tale e così grande Signore, scendendo nel seno della Vergine, volle apparire nel mondo come uomo spregevole, bisognoso e povero, affinché gli uomini - che erano poverissimi e indigenti, affamati per l'eccessiva penuria del nutrimento celeste -, divenissero in Lui ricchi col possesso dei reami celesti; esultate e godete molto, ripiena di enorme gaudio e di spirituale letizia. Invero, voi, che avete preferito il disprezzo del mondo agli onori, la povertà alle ricchezze temporali, e avete affidato i vostri tesori, piuttosto che alla terra, al cielo, ove non li corrode ruggine, non li consuma il tarlo, non li scoprono né rubano i ladri, voi riceverete abbondantissima ricompensa nei cieli e avete meritato degnamente di essere chiamata sorella, sposa e madre del Figlio dell'Altissimo Padre e della gloriosa Vergine. Certamente voi sapete - ne sono sicurissima - che il regno dei cieli il Signore lo promette e dona solo ai poveri, perché quando si amano le cose temporali, si perde il frutto della carità; e che non è possibile servire a Dio e a Mammona, perché o si ama l'uno e si ha in odio l'altro, o si serve il secondo e si disprezza il primo. E l'uomo coperto di vestiti non può pretendere di lottare con uno ignudo, perché è più presto 60 gettato a terra chi offre una presa all'avversario; e neppure è possibile ambire la gloria in questo mondo e regnare poi lassù con Cristo; ed è più facile che un cammello passi per una cruna di un ago, che un ricco salga ai reami celesti. Perciò voi avete gettato le vesti superflue, cioè le ricchezze terrene, a fine di non soccombere neppure in un punto nella lotta e di poter entrare nel regno dei cieli per la via stretta e la porta angusta. È magnifico davvero e degno di ogni lode questo scambio: rifiutare i beni della terra per avere quelli del cielo, meritarsi i celesti invece dei terreni, ricevere il cento per uno e possedere la vita beata per l'eternità. Per questo ho ritenuto opportuno supplicare con umili preghiere, nell'amore di Cristo, la vostra maestà e la vostra santità, per quanto io posso, a voler perseverare con coraggio nel suo santo servizio, progredendo di bene in meglio, di virtù in virtù, affinché Colui, al quale servite con tutto l'amore, si degni concedervi il desiderato premio. Vi scongiuro ancora nel Signore, come posso, di tener presenti nelle santissime vostre preghiere me, vostra serva, sebbene inutile, e con me tutte le altre sorelle di questo monastero, che tanto vi venerano, affinché, col soccorso di esse, possiamo meritarci la misericordia di Gesù Cristo e insieme con voi gioire dell'eterna visione. State bene nel Signore, e pregate per me. Lettera seconda (tra il 1235-1238) Alla figlia del Re dei re, alla serva del Signore dei dominanti, alla sposa degnissima di Gesù Cristo e perciò regina nobilissima Donna Agnese, Chiara, ancella inutile e indegna delle Donne Povere, invia il suo saluto e l'augurio di vivere sempre in perfetta povertà. Rendo grazie all'Autore della grazia, dal quale, come crediamo, viene ogni bene sommo ed ogni dono perfetto, perché ti ha adornata di tanti riconoscimenti di virtù e ti ha illustrata con segni di così alte perfezioni, che, fatta diligente imitatrice del Padre, in cui è ogni perfezione, meriti di divenire a tua volta perfetta, talmente che i suoi occhi non trovino in te nessun segno di imperfezione. E questa è la perfezione, per la quale il Re stesso ti unirà a sé nell'etereo talamo, dove siede glorioso su un trono di stelle, che tu, stimando cosa 61 vile la grandezza di un regno terreno e sdegnando l'offerta di un connubio imperiale, per amore della santissima povertà, in spirito di profonda umiltà e di ardentissima carità, ricalchi con assoluta fedeltà le orme di Colui del quale hai meritato d'essere sposa. Ma ti so ricca d'ogni virtù, e perciò rinuncio ad un lungo discorso e non voglio aggravarti di troppe parole, anche se tu non troveresti nulla di superfluo in quelle parole che potrebbero arrecarti qualche consolazione. E giacché una sola è la cosa necessaria, di essa soltanto ti scongiuro e ti avviso per amore di Colui, al quale ti sei offerta come vittima santa e gradita. Memore del tuo proposito, come un'altra Rachele, tieni sempre davanti agli occhi il punto di partenza. I risultati raggiunti, conservali; ciò che fai, fallo bene; non arrestarti; ma anzi, con corso veloce e passo leggero, con piede sicuro, che neppure alla polvere permette di ritardarne l'andare, avanza confidente e lieta nella via della beatitudine che ti sei assicurata. E non credere, e non lasciarti sedurre da nessuno che tentasse sviarti da questo proposito o metterti degli ostacoli su questa via, per impedirti di riportare all'Altissimo le tue promesse con quella perfezione alla quale ti invitò lo Spirito del Signore. Riguardo a questo, perché tu possa percorrere più sicura la strada dei divini mandati, attieniti ai consigli del venerabile padre nostro frate Elia, ministro generale, ed anteponili ai consigli di qualsiasi altro e ritienili più preziosi per te di qualsiasi dono. E se qualcuno ti dice o ti suggerisce altre iniziative, che impediscano la via di perfezione che hai abbracciata o che ti sembrino contrarie alla divina vocazione, pur portandoti con tutto il rispetto, non seguire però il consiglio di lui, ma attaccati, vergine poverella, a Cristo povero. Vedi che Egli per te si è fatto oggetto di disprezzo, e segui il suo esempio rendendoti, per amor suo, spregevole in questo mondo. Mira, o nobilissima regina, lo Sposo tuo, il più bello tra i figli degli uomini, divenuto per la tua salvezza il più vile degli uomini, disprezzato, percosso e in tutto il corpo ripetutamente flagellato, e morente perfino tra i più struggenti dolori sulla croce. Medita e contempla e brama di imitarlo. Se con Lui soffrirai, con Lui regnerai; se con Lui piangerai, con Lui godrai; se in compagnia di Lui morirai sulla croce della tribolazione, possederai con Lui le celesti dimore nello splendore dei santi, e il tuo 62 nome sarà scritto nel Libro della vita e diverrà famoso tra gli uomini. Perciò possederai per tutta l'eternità e per tutti i secoli la gloria del regno celeste, in luogo degli onori terreni così caduchi; parteciperai dei beni eterni, invece che dei beni perituri, e vivrai per tutti i secoli. Addio sorella e, a causa del Signore tuo Sposo, signora carissima. Abbi a cuore di raccomandare al Signore nelle tue devote orazioni me, assieme alle mie sorelle, che tutte godiamo per i beni che il Signore opera in te con la sua grazia. E raccomandaci con insistenza anche alle preghiere delle tue sorelle. Lettera terza (prima del 1238) Alla signora in Cristo veneratissima e sorella degna d'amore più di tutte le creature mortali, Agnese, germana dell'illustre Re di Boemia, ma ora soprattutto sorella e sposa del sommo Re dei cieli, Chiara, umilissima e indegna ancella di Cristo e serva delle Donne Povere, augura salutare gaudio nell'Autore della salvezza e quanto di meglio essa possa desiderare. Le liete notizie del tuo benessere, del tuo stato felice e dei tuoi prosperi progressi nella corsa che hai intrapresa per la conquista del celeste palio, mi riempiono di tanta gioia; e tanto più respiro di esultanza nel Signore, perché so e ritengo che tu supplisci magnificamente alle imperfezioni che sono in me e nelle altre sorelle nella nostra imitazione degli esempi di Gesù Cristo povero ed umile. Davvero posso rallegrarmi, e nessuno potrebbe strapparmi da questa gioia, poiché ho raggiunto quello che ho desiderato sotto il cielo, dal momento che vedo te trionfare in una maniera, direi, terribile e incredibile, sostenuta da una prerogativa meravigliosa della sapienza che procede da Dio medesimo, sulle astuzie dello scaltro serpente, sulla superbia, che è rovina dell'umana natura, e sulla vanità, che rende fatui i cuori degli uomini. E ti ammiro ancora stringere a te, mediante l'umiltà, con la forza della fede e le braccia della povertà, il tesoro incomparabile, nascosto nel campo del mondo e dei cuori umani, col quale si compra Colui che dal nulla trasse tutte le cose; e, per avvalermi delle parole 63 medesime dell'Apostolo, ti stimo collaboratrice di Dio stesso e sostegno delle membra deboli e vacillanti del suo ineffabile Corpo. Chi potrebbe, dunque, impedirmi di rallegrarmi per sì mirabili motivi di gaudio? Gioisci, perciò, anche tu nel Signore sempre, o carissima. Non permettere che nessun'ombra di mestizia avvolga il tuo cuore, o signora in Cristo dilettissima, gioia degli Angeli e corona delle tue sorelle. Colloca i tuoi occhi davanti allo specchio dell'eternità, colloca la tua anima nello splendore della gloria, colloca il tuo cuore in Colui che è figura della divina sostanza, e trasformati interamente, per mezzo della contemplazione, nella immagine della divinità di Lui. Allora anche tu proverai ciò che è riservato ai soli suoi amici, e gusterai la segreta dolcezza che Dio medesimo ha riservato fin dall'inizio per coloro che lo amano. Senza concedere neppure uno sguardo alle seduzioni, che in questo mondo fallace ed irrequieto tendono lacci ai ciechi che vi attaccano il loro cuore, con tutta te stessa ama Colui che per amor tuo tutto si è donato. La sua bellezza ammirano il sole e la luna; i suoi premi sono di pregio e grandezza infiniti. Voglio dire quel Figlio dell'Altissimo, che la Vergine ha partorito, senza cessare di essere vergine. Stringiti alla sua dolcissima Madre, la quale generò un Figlio tale che i cieli non potevano contenere, eppure ella lo raccolse nel piccolo chiostro del suo santo seno e lo portò nel suo grembo verginale. Chi non sdegnerebbe con orrore le insidie del nemico dell'umano genere, che, facendo brillare innanzi agli occhi il luccicare delle cose transitorie e delle glorie fallaci, tenta annientare ciò che è più grande del cielo? Si, perché è ormai chiaro che l'anima dell'uomo fedele, che è la più degna tra tutte le creature, è resa dalla grazia di Dio più grande del cielo. Mentre, infatti, i cieli con tutte le altre cose create non possono contenere il Creatore, l'anima fedele invece, ed essa sola, è sua dimora e soggiorno, e ciò soltanto a motivo della carità, di cui gli empi sono privi. È la stessa Verità che lo afferma: Colui che mi ama, sarà amato dal Padre mio, e io pure l'amerò; e noi verremo a lui e porremo in lui la nostra dimora. A quel modo, dunque, che la gloriosa Vergine delle vergini portò Cristo materialmente nel suo grembo, tu pure, seguendo le sue vestigia, 64 specialmente dell'umiltà e povertà di lui, puoi sempre, senza alcun dubbio, portarlo spiritualmente nel tuo corpo casto e verginale. E conterrai in te Colui dal quale tu e tutte le creature sono contenute, e possederai ciò che è bene più duraturo e definitivo anche a paragone di tutti gli altri possessi transeunti di questo mondo. Come si ingannano, molte volte, al riguardo, re e regine di questo mondo! Quand'anche elevassero la loro superbia fino al cielo e toccassero quasi col capo le nubi, alla fine saranno dissolti nel nulla, come spazzatura. Passando ora al quesito che mi hai sottoposto, credo di poterti rispondere così. Tu mi domandi quali feste il gloriosissimo padre nostro san Francesco ci raccomandò di celebrare con particolare solennità, pensando, se ben ho capito, che si possa in esse usare una certa maggior larghezza nella varietà dei cibi. Nella tua prudenza certamente saprai che, salvo le deboli e le inferme, - verso le quali ci insegnò e ci comandò di usare ogni discrezione con qualsiasi genere di cibi -, nessuna di noi, che sia sana e robusta, dovrebbe prendere se non cibi quaresimali, tanto nei giorni feriali che nei festivi, digiunando ogni giorno ad eccezione delle domeniche e del Natale del Signore, nei quali giorni possiamo prendere il cibo due volte. Ed anche nei giovedì, dei periodi non di digiuno, ciascuna può fare come le piace, cioè chi non volesse digiunare non vi è tenuta. Ma noi, che siamo in buona salute, digiuniamo tutti i giorni, eccetto le domeniche e il Natale. Non siamo però tenute al digiuno - così ci ha insegnato il beato Francesco in un suo scritto -, durante tutto il tempo pasquale e nelle feste della Madonna e dei santi Apostoli, a meno che cadessero in venerdì. Ma, come ho detto sopra, noi che siamo sane e robuste, consumiamo sempre cibi quaresimali. Siccome però, non abbiamo un corpo di bronzo, né la nostra è la robustezza del granito, anzi siamo piuttosto fragili e inclini ad ogni debolezza corporale, ti prego e ti supplico nel Signore, o carissima, di moderarti con saggia discrezione nell'austerità, quasi esagerata e impossibile, nella quale ho saputo che ti sei avviata, affinché, vivendo, la tua vita sia lode del Signore, e tu renda al Signore un culto spirituale ed il tuo sacrificio sia sempre condito col sale della prudenza. 65 Ti auguro di stare sempre bene nel Signore, con la premura con la quale lo potrei augurare a me stessa. Raccomanda me e le mie sorelle nelle tue sante orazioni. Lettera quarta (1253) A colei che è la metà dell'anima sua e santuario di un singolare e cordialissimo amore, all'illustre regina, sposa dell'Agnello e Re eterno, a Donna Agnese, madre sua carissima e figlia tra le altre la più amata, Chiara, serva indegna di Cristo ed ancella inutile delle serve del Signore dimoranti nel monastero di San Damiano in Assisi, invia il suo saluto e l'augurio di poter sciogliere un cantico nuovo, in compagnia delle altre santissime vergini, davanti al trono di Dio e dell'Agnello e di accompagnare l'Agnello ovunque vada. O madre e figlia, sposa del Re di tutti i secoli, non stupirti se non ti ho scritto di frequente come l'anima tua e la mia parimenti desiderano e bramano, e non credere assolutamente che l'incendio dell'amore verso di te sia divenuto meno ardente e dolce nel cuore della tua madre Il solo ostacolo alla nostra corrispondenza è stato la scarsità dei messaggeri e l'insicurezza delle strade. Ma oggi, che si presenta l'occasione di scrivere alla tua carità, ecco mi rallegro con te e con te gioisco nel gaudio dello Spirito, o sposa di Cristo, poiché, come quell'altra santissima vergine Agnese, tu, slacciandoti da tutte le ricchezze e vanità del mondo, ti sei meravigliosamente unita in sposa all'Agnello immacolato, che toglie i peccati del mondo. Te veramente felice! Ti è concesso di godere di questo sacro convito, per poter aderire con tutte le fibre del tuo cuore a Colui, la cui bellezza è l'ammirazione instancabile delle beate schiere del cielo. L'amore di Lui rende felici, la contemplazione ristora, la benignità ricolma. La soavità di Lui pervade tutta l'anima, il ricordo brilla dolce nella memoria. Al suo profumo i morti risorgono e la gloriosa visione di Lui formerà la felicità dei cittadini della Gerusalemme celeste. E poiché questa visione di Lui è splendore dell'eterna gloria, chiarore della luce perenne e specchio senza macchia, ogni giorno porta l'anima 66 tua, o regina, sposa di Gesù Cristo, in questo specchio e scruta in esso continuamente il tuo volto, perché tu possa così adornarti tutta all'interno e all'esterno, vestita e circondata di varietà, e sii adorna dei variopinti fiori di tutte le virtù e ancora di vesti splendenti, quali convengono alla figlia e sposa del sommo Re. In questo specchio poi rifulgono la beata povertà, la santa umiltà e l'ineffabile carità; e questo tu potrai contemplare, con la grazia di Dio, diffuso su tutta la superficie dello specchio. Mira, in alto, la povertà di Colui che fu deposto nel presepe e avvolto in poveri pannicelli. O mirabile umiltà e povertà che dà stupore! Il Re degli angeli, il Signore del cielo e della terra, è adagiato in una mangiatoia! Vedi poi, al centro dello specchio, la santa umiltà, e insieme ancora la beata povertà, le fatiche e pene senza numero ch'Egli sostenne per la redenzione del genere umano. E, in basso, contempla l'ineffabile carità per la quale volle patire sul legno della croce e su di essa morire della morte più infamante. Perciò è lo stesso specchio che, dall'alto del legno della croce, rivolge ai passanti la sua voce perché si fermino a meditare: O voi tutti, che sulla strada passate, fermatevi a vedere se esiste un dolore simile al mio; e rispondiamo, dico a Lui che chiama e geme, ad una voce e con un solo cuore: Non mi abbandonerà mai il ricordo di te e si struggerà in me l'anima mia. Lasciati, dunque, o regina sposa del celeste Re, bruciare sempre più fortemente da questo ardore di carità! Contempla ancora le indicibili sue delizie, le ricchezze e gli onori eterni, e grida con tutto l'ardore del tuo desiderio e del tuo amore: Attirami a te, o celeste Sposo! Dietro a te correremo attratti dalla dolcezza del tuo profumo. Correrò, senza stancarmi mai, finché tu mi introduca nella tua cella inebriante. Allora la tua sinistra passi sotto il mio capo e la tua destra mi abbracci deliziosamente e Tu mi bacerai col felicissimo bacio della tua bocca. Stando in questa contemplazione, abbi memoria della tua madre poverella, ben sapendo ch'io porto il tuo caro ricordo inseparabilmente impresso nel profondo del mio cuore, perché tu sei per me la più cara tra tutte. Che cosa potrei ancora dirti? È meglio che la parola umana rinunci qui ad esprimerti il mio affetto per te; solo l'anima, nel suo linguaggio 67 silenzioso, riuscirebbe a fartelo sentire. E poiché, o figlia benedetta, la mia lingua è del tutto impotente ad esprimerti meglio l'amore che ti porto, queste poche cose che ti ho scritto in modo così imperfetto, quasi dimezzando il pensiero, sono tutto quanto ho potuto dirti. Ti prego però, che tu voglia ugualmente accogliere queste mie parole con benevolenza e devozione, ascoltando in esse soprattutto l'affetto materno di cui sono ripiena, in ardore di carità verso di te e delle tue figlie ogni giorno; e ad esse raccomanda assai in Cristo me e le mie figlie. Queste stesse mie figlie poi, in particolare la vergine prudentissima Agnese, sorella nostra, si raccomandano vivamente nel Signore a te e alle tue figlie. Addio, figlia mia carissima, a te e alle tue figlie, fino al trono di gloria del gran Re, e pregate per noi. Con tutta la premura e l'amore che posso raccomando finalmente alla tua carità i latori della presente lettera, i nostri carissimi frate Amato, caro a Dio e agli uomini, e frate Bonagura. Amen. 68 Cronologia della vita di santa Chiara 1182: Nasce ad Assisi Francesco di Bernardone. 1190: Terza crociata. 1194: Nasce in Assisi Chiara, figlia di Favarone di Offreduccio. 1200: Istituzione del libero Comune di Assisi; la famiglia di Chiara è costretta a rifugiarsi a Coccorano (Corezano) non lontano da Perugia durante la guerra civile tra popolo, borghesia e nobili di Assisi. 1206: Il crocifisso di San Damiano parla a Francesco. 1207: Francesco si dedica a restaurare chiese, fra cui San Damiano. 1210: Francesco predica ad Assisi. Chiara lo incontra più volte e le sue parole «le sembrano di fiume e le sue opere sovrumane». 1212: Domenica delle Palme: Chiara, nottetempo, fugge da casa ed è accolta da Francesco a Santa Maria degli Angeli. Dopo averla rivestita dell'abito religioso, Francesco la fa accompagnare al monastero di San Paolo di Bastia. Qualche settimana dopo passerà in quello di Sant'Angelo di Panzo presso Assisi; poi, definitivamente, a San Damiano. All'inizio del mese di aprile, Agnese, sorella di Chiara, entra anche lei in convento. 1213: Francesco chiede consiglio a Chiara sulla propria vocazione. 1215: Chiara, «costretta dal beato Francesco», accetta di essere nominata abbadessa. Concilio Lateranense IV. 1216: Chiara ottiene da Innocenzo III il «Privilegio della povertà» per San Damiano. 1218: Il cardinale Ugolino prepara una «Regola » per le Clarisse. 1219: Il cistercense Ambrogio è nominato visitatore delle Sorelle Povere. Agnese, sorella di Chiara, viene nominata abbadessa del nuovo monastero di Monticelli (Firenze). Filippo, frate minore, è nominato visitatore delle Sorelle Povere. 1220: Martirio in Marocco di cinque frati di Francesco. Ambrogio è nuovamente visitatore delle Sorelle Povere. 1224: Francesco riceve le stimmate alla Verna. Inizio della lunga malattia di Chiara. Brunetto, prete diocesano, è visitatore delle Sorelle Povere. 69 1225: Nel mese di marzo, Francesco, malato e quasi cieco, soggiorna a San Damiano e visita Chiara. In maggio Francesco torna a San Damiano. Una notte riceve la promessa divina della propria salvezza e al mattino detta il Cantico delle creature. Ultime sue «parole» per le Sorelle Povere. 1226: Entra nel monastero di San Damiano Ortolana, madre di Chiara. Morte di Francesco. Il 5 ottobre Chiara e le Sorelle Povere danno l'estremo saluto a Francesco, la cui salma sosta, durante la solenne processione dalla Porziuncola ad Assisi, nella chiesa del monastero di San Damiano. 1227: Gregorio IX affida ai frati minori la cura spirituale delle Sorelle Povere. 1228: Canonizzazione di san Francesco. Fondazione del primo monastero di Clarisse fuori d'Italia, a Pamplona in Spagna. Il 7 settembre Gregorio IX rinnova al monastero di San Damiano il «Privilegio della povertà». 1229: Frate Filippo è nominato visitatore delle Sorelle Povere. Entra in convento Beatrice, altra sorella di Chiara. 1235: Invio delle Sorelle Povere in Germania e in Boemia. Prima lettera di Chiara ad Agnese di Praga. 1240: Assalto dei Saraceni a San Damiano e loro cacciata per le preghiere di Chiara e delle sue suore. 1241: Vitale d'Aversa assedia Assisi. 1247: Il 6 maggio, mentre Chiara prepara una Regola per le Sorelle Povere, riceve la Regola di Innocenzo IV. 1252: L'8 settembre Chiara chiede al cardinal Rainaldo in visita a San Damiano l'approvazione della Regola, che arriverà una settimana più tardi. 1253: Verso la fine di aprile, Innocenzo IV visita Chiara gravemente ammalata; compie una seconda visita all'inizio di agosto e approva la Regola scritta da Chiara. 11 agosto: morte di Chiara. 24-29 novembre: inchiesta preliminare per la canonizzazione di Chiara. 1255: il 15 agosto Chiara è canonizzata da Alessandro IV ad Anagni. 1256: Viene pubblicata la Leggenda di santa Chiara su ordine del papa Alessandro IV. 70 1260: Traslazione del corpo di santa Chiara e trasferimento della comunità delle suore da San Damiano al nuovo monastero di Santa Chiara. 1263: Il 18 ottobre il papa Urbano approva definitivamente con la bolla Beata Clara la Regola dell'«Ordine di santa Chiara». 71 72