Medioevo: un pregiudizio secolare che
perdura nel discorso comune. Esercizi
di decostruzione alla luce delle scienze sociali
di Franz Brandmayr *
1. Introduzione. Un contributo ab extra
La vita del medievalista potrebbe consumarsi
tutta nel raddrizzare torti: perché quasi sempre
i fatti, i testi del tempo, smentiscono le leggende
accumulatesi a partire dal XVI secolo e diffuse
soprattutto con il XIX secolo. 1
Provengo da una formazione storica, anche se già prima degli
studi universitari (si era negli anni Settanta) i miei interessi antropologico-culturali si erano ben caratterizzati. Indirizzai poi decisamente le mie ricerche nel campo degli studi sociali, all’interno
dei quali mi sono mosso fino a oggi in maniera quasi esclusiva. In
ogni caso la storia ha continuato a rappresentare un mio interesse
costante, spesso anche ineludibile, tanto nella ricerca sociale, 2
* Docente di I. r. c.
1
PERNOUD R., Medioevo. Un secolare pregiudizio, Bompiani, Milano 1998 5
(1977), p. 146.
2
Per una introduzione dal punto di vista dell’antropologia ai rapporti intercorrenti fra le scienze etnoantropologiche e la storia rinvio a B ELLAGAMBA A.,
s.v. Annales, Scuola delle, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), Dizionario di
antropologia. Etnologia antropologia culturale antropologia sociale, Zanichelli, Bologna 1997, p. 49; COMBA E., s.v. Storia, ivi, pp. 709-710; CIRESE A.M., Cultura
37
Franz Brandmayr
quanto nell’attività di insegnamento della Religione cattolica,3 nella
quale è noto che essa debba intessere un confronto serrato con
altre discipline diacroniche (soprattutto con la Storia delle Religioni e con la Storia della Chiesa), oltre che, più in generale, con
tutte le Scienze delle Religioni.4
Ciò nonostante – come esplicito fin dal titolo – non vorrebbe essere quello prettamente storiografico l’angolo visuale di
questo contributo. Il mio vorrebbe configurarsi come un approccio antropologico-culturale alla “narrazione”5 del Medioevo nel discorso comune. Data la vastità del campo considerato,
proverei a sperimentare qualche forma di esercizio critico avvalendomi soprattutto di poche pubblicazioni (qualche manuale
scolastico e una sintesi divulgativa), prese quasi a caso dalla pletora di produzioni di qualità assai diversificata, che hanno per oggetto l’epoca medievale o qualche suo aspetto specifico.
egemonica e culture subalterne. Rassegna degli studi sul mondo popolare tradizionale,
Palumbo, Palermo 19732 (1971), pp. 24-39; RIVIERE C., Introduzione all’antropologia, Il Mulino, Bologna 1995, pp. 18-19; TULLIO-ALTAN C., Antropologia.
Storia e problemi, Feltrinelli, Milano 19852 (1983), pp. 267-304.
3
Dalle mie matrici culturali non ho ricavato una grande propensione a
soffermarmi sul dato autobiografico; tuttavia nell’ambito antropologico-culturale è divenuto ormai costume consolidato il farlo, allo scopo di esplicitare
al lettore, almeno indicativamente, le premesse teoriche di partenza e i possibili
condizionamenti che vi sono connessi [cfr. GEERTZ C., Opere e vite. L’antropologo
come autore, Il Mulino, Bologna 1995 (1992), pp. 85-86].
4
Cfr. BUCARO G., Filosofia della religione. La riflessione sul “senso” del fatto religioso
da Spinoza a Nietzsche, da Bloch a Eliade, Città Nuova, Roma 1986, pp. 13-15;
FILORAMO G.-PRANDI C., Scienze delle Religioni, Morcelliana, Brescia 1997 3 (1987),
passim; RAGOZZINO G., Il fatto religioso. Introduzione allo studio della religione, Edizioni Messaggero, Padova 1990, pp. 50-75; T ERRIN A.N., Introduzione allo studio comparato delle religioni, Morcelliana, Brescia 1991, pp. 13-29.
5
Conferisco al termine tutta la pregnanza storiografica che gli deriva dalla riflessione dei Post-colonial Studies [cfr. ad es. CHAKRABARTY D., Storia delle minoranze, passati
subalterni, in ID., Provincializzare l’Europa, Meltemi, Roma 2004 (2000), pp. 135-155].
38
Medioevo: un pregiudizio secolare
In queste pagine cerco anche di configurare alcune linee ipotetiche di un possibile successivo lavoro di ricerca più esteso,
volto ad accertare con criteri anche quantitativi l’eventuale persistenza del pregiudizio antimedievale nel discorso comune. Nel
caso la presente riflessione dovesse portare a sviluppi di questo
genere, si renderebbe naturalmente necessario operare concretamente su un “terreno” accuratamente definito, come da consolidata tradizione antropologico-culturale.6
Tuttavia questo elaborato potrebbe risultare forse già apprezzabile anche sotto due altri profili: in prima istanza in una prospettiva didattica, in quanto esprimo il punto di vista del docente,
che da più di un quarto di secolo rileva – o ritiene di rilevare –
negli studenti la persistenza di una forte stereotipizzazione delle
conoscenze e delle competenze interpretative intorno al Medioevo europeo. Queste sembrerebbero – in buona sostanza – riprodurre pedissequamente i luoghi comuni che numerosi storici denunciano essere ricorrenti in tanta manualistica e pubblicistica
attuali. Pernoud scriveva già nel 1977 di «opere “storiche”» o addirittura di collane storiche scritte con «procedimenti giornalistici»7.
6
Cfr. ad es. BERNARDI B., Uomo cultura società. Introduzione agli studi etno-antropologici, Franco Angeli, Milano 19848 (s.d. orig.), p. 119; BIANCO C., Dall’evento al
documento. Orientamenti etnografici, C.I.S.U., Roma 1988, passim; «è proprio su questo punto che può individuarsi la distinzione fra ogni tipo di filosofia e ogni
tipo di antropologia culturale scientificamente valida: la falsificabilità delle proposizioni antropologiche e il suo carattere sperimentale» [TULLIO-ALTAN C., Manuale di antropologia culturale. Storia e metodo, Bompiani, Milano 1979 (1971), p. 573].
7
CARMO FELICIANI S., Introduzione, in DAWSON CH., Il cristianesimo e la formazione della civiltà occidentale, Rizzoli, Milano 19972 (1950), p. 6; PERNOUD R., op. cit.,
p. 145; cfr. PIVATO S., Vuoti di memoria. Usi ed abusi della storia nella vita pubblica
italiana, Laterza, Roma-Bari 2007, pp. 22, 26, 34, 74, 87-88, 129, 131 et alibi. Il
pensiero non può non correre ai giorni nostri, in cui – ad esempio – un
«libraccio» (F. Cardini) come Il codice Da Vinci viene accolto anche da un
soggetto laureato come una sorta di rivelazione esoterica (colloquio 1.1.
02.02.2006). Vd. anche infra nt. 291.
39
Franz Brandmayr
Peraltro la critica storiografica a queste produzioni di consumo è
destinata a rimanere confinata in riviste erudite8 e non riesce a scalfire il complesso stereotipico antimedievale sedimentato nell’immaginario collettivo, che – invece – di questa pubblicistica sembra
nutrirsi abbondantemente. Inoltre – più in generale – pare che questo senso comune pervada anche i cosiddetti ambienti colti.9
In queste rappresentazioni collettive10 il Medioevo costituirebbe, pertanto, proprio come asserivano gli umanisti, un periodo storico «vuoto» e «scadente»,11 un autentico «iato» fra due
epoche che sarebbero invece significative, quella classica e quella moderna. Per gli storici delle più svariate impostazioni è oramai acquisito il fatto che sia vero «il contrario»,12 ma le ricerche
scientifiche dell’ultimo secolo e mezzo13 sembrano non avere
ancora raggiunto il grande pubblico e – talvolta – neanche i
manuali scolastici;14 e – lo si sa bene – sono questi ultimi a rappresentare più efficacemente la «verità storica ufficiale» 15. Al
posto della storiografia più avanzata potrebbe prevalere – è questa l’ipotesi antropologico-culturale che formulo, in vista di un
8
PERNOUD R., op. cit., p. 145; SANFILIPPO M., La storia in edicola: biografie, romanzi, gadget, in “Memoria e Ricerca”, gennaio-aprile 2007, passim.
9
LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario medievale, Laterza, Roma-Bari
19982 (1985), p. XVIII.
10
DURKHEIM E., Rappresentazioni individuali e rappresentazioni collettive, in I D., Le
regole del metodo sociologico. Sociologia e filosofia, Comunità, Torino 2001 (1898),
pp. 137-164.
11
LE GOFF J., Prefazione, in ID., Tempo della Chiesa e tempo del mercante, Einaudi,
Torino 1977 (1976), pp. VII-VIII.
12
LE GOFF J., ivi, p. IX.
13
DAWSON CH., op. cit., pp. 23-24 scriveva questo già nel 1950; P ERNOUD R.,
op. cit., p. 16.
14
Cfr. ibidem.
15
CONTI F., Massoneria e religioni civili. Cultura laica e liturgie politiche fra XVIII e
XX secolo, Il Mulino, Bologna 2008, p. 8.
40
Medioevo: un pregiudizio secolare
possibile rilevamento empirico sul campo – una sorta di
rielaborazione e di amplificazione mediatica; 16 questa sembra
alimentarsi (anche questo andrebbe dimostrato con uno studio
sistematico) – oltre che di sintesi manualistiche – della
pubblicistica non-specialistica sopra menzionata, di documentari televisivi, di enciclopedie on line, in cui il controllo della produzione spesso sfugge a una selezione seria, e di altre opere di
divulgazione più o meno dilettantesche.17
Non nutro dubbio alcuno sulle gravose difficoltà insite nella
didattica della storia;18 io stesso le sperimento quando tento di
porgere dei contenuti la cui distanza culturale dal “mondo vitale”19 degli studenti è particolarmente marcata. È per questo motivo che invito i colleghi storici e/o insegnanti di storia o di altre
discipline interessate20 (la filosofia,21 le letterature italiana e straniere, la storia dell’arte ecc.) ad avviare un dibattito che prenda sul
serio il difficile compito del docente che si impegna a trasmettere
una certa sensibilità storica22 agli allievi, con un particolare riferi-
16
Cfr. PERNOUD R., op. cit., p. 149.
Ivi, pp. 9, 16, 145, 156 et alibi. Cfr. supra anche nt. 7 e infra nt. 291.
18
PIVATO S., op. cit., p. 37.
19
ABBAGNANO N., s.v. Mondo della vita, in I D., Dizionario di filosofia, U.T.E.T.,
Torino 19712 (s.d. orig.), p. 596; PARDI F., s.v. Soggettività, in DEMARCHI F.ELLENA A.-CATTARINUSSI B. (a cura di), Nuovo dizionario di sociologia, San Paolo,
Cinisello Balsamo (MI) 19943 (1987), p. 1986.
20
Cfr. PERNOUD R., op. cit., pp. 153 e 168. Devo ai colleghi e amici Paolo
Emilio Biagini, Brigitta Bianchi, Federico Creazzo, Lucia D’Agnolo, Silvia
Visintini e Marco Zocchi svariati stimoli e suggerimenti preziosi per la stesura di queste pagine: colgo qui l’occasione per ringraziarli. Va da sé che ascrivo
a me stesso ogni carenza di questo scritto.
21
Vd. ad es. PORCARELLI A., Insegnare la filosofia medievale. Stereotipi e innovazioni
didattiche, in http://archive.sfi.it/cf/cf4/articoli/porcarelli.htm.
22
Cfr. MARROU H.-I., La conoscenza storica, Il Mulino, Bologna 1988 (1954), p.
36; PERNOUD R., op. cit., p. 168.
17
41
Franz Brandmayr
mento all’epoca in questione. All’inevitabile semplificazione del
discorso storiografico congenito alla manualistica e alla sproporzione esistente fra la lunghezza dell’arco temporale considerato
nei programmi e le scarse risorse (misurate in unità orarie scolastiche, in pagine di libri di testo e altro ancora) disponibili per lo
studio del Medioevo,23 vengono spesso ad aggiungersi ancora tante
difficoltà: tra le altre quelle determinate dalla diffusa svalutazione
della storia,24 ma anche quelle originate da una cultura dominante
(non solo didattica) ossessionata dal problem solving,25 oramai incline a formare l’allievo al “saper fare” senza indurlo a concentrare
l’attenzione sul “perché fare”, cultura inoltre sempre meno propensa a cogliere le sfumature – di cui la narrazione storica è invece
solitamente ricca. Nel nome di una sorta di pragmatismo cognitivo
– infine – si spaccia talvolta per un attardamento passatistico26 la
presa in esame di tematiche che si presumono antiquate.
Su queste premesse della questione articolerei il mio discorso
focalizzando l’attenzione su un secondo obiettivo, in qualche modo
conseguente e funzionale al primo: ritengo che, per allentare la
presa del pregiudizio antimedievale, ci possa provenire un supporto epistemologico importante dalla strumentazione concettuale più “classica” delle scienze sociali.27 Gli allievi (ma, perché
23
Ivi, p. 153.
PIVATO S., op. cit., pp. 37-46.
25
Vd. ad es. CICATELLI S., Conoscere la scuola. Ordinamento didattica legislazione, La
Scuola, Brescia 2004, p. 117.
26
A questo proposito PERNOUD R., op. cit., p. 177 scriveva negli anni Settanta
che la scuola francese produceva soggetti «amnesiaci», che rischiavano di
diventare inabili all’esercizio della responsabilità e della libertà.
27
Per un’introduzione all’utilizzo delle prospettive concettuali antropologiche nella storiografia vd. LE GOFF J., Prefazione, cit., p. VIII; LE GOFF J.-NORA
P. (a cura di), Fare storia. Temi e metodi della nuova storiografia, Einaudi, Torino
1981 (1974), passim; BOGLIONI P., Introduzione, in MANSELLI R., Il soprannaturale
e la religione popolare nel Medio Evo, Studium, Roma 1985, p. XVI.
24
42
Medioevo: un pregiudizio secolare
no? forse anche qualche adulto…) potrebbero ricavarne qualche spunto per elaborare una sintesi (perché pur sempre di questo si tratta) autonoma sull’“Età di Mezzo”, una sintesi forse
meno inficiata da etichette categoriali,28 che credo non soddisfino adeguatamente le loro esigenze di comprensione29 di quest’epoca storica.
All’interno di questa trattazione riserverei ancora qualche
spunto all’intento di sensibilizzare i colleghi di storia o, chissà,
forse anche qualche storico30 circa l’opportunità di un ulteriore
approfondimento del dialogo metodologico fra l’antropologia
e la storia. È possibile che, in un futuro lavoro, una sorta di
complemento di queste riflessioni, io tenti di cercare una risposta a determinate aporie del discorso storiografico medievistico
operando una serie di confronti con i Subaltern Studies, i Postcolonial
Studies e con la corrente dell’antropologia critica.31 Non è impossibile che da ciò possa scaturire qualche suggestione valida
per affinare le metodiche scientifiche 32 di approccio allo specifico medievale. Sotto questo profilo, del resto, non faccio che
28
Le etichette categoriali o etichettazioni sono espressioni che diventano «un
punto di ancoraggio per l’interpretazione di tratti di personalità e descrizioni
comportamentali ad essa associate» [ARCURI L., Percezione e cognizione sociale, in
ID. (a cura di), Manuale di psicologia sociale, Il Mulino, Bologna 1996, pp. 128129]; mediante le etichettazioni viene poi attivata la memoria semantica del
soggetto, nella quale viene così innescata una serie di associazioni di tali
espressioni con altre che a esse si collegano. Cfr. infra nt. 65.
29
Cfr. infra paragrafo 3.
30
PERNOUD R., op. cit., p. 165, nt. 3 non sottace la differenza di formazione fra
gli storici, avvezzi al trattamento dei dati documentali, e gli insegnanti di
storia, che non sempre fanno esperienza in tal senso.
31
Per una prima introduzione vd. CHAMBERS I. (a cura di), Esercizi di potere.
Gramsci, Said e il postcoloniale, Meltemi, Roma 2006, passim; PASQUINELLI C. (a
cura di), Occidentalismi, Carocci, Roma 2005, passim; vd. anche infra nt. 171.
32
Cfr. MARROU H.-I., op. cit., p. 5, che scrive di una «filosofia critica della storia».
43
Franz Brandmayr
pormi al seguito di parecchi storici, che sottolineano la criticità
dell’utilizzo di categorie rigidamente e, talora, inconsapevolmente
etnocentriche nella ricerca storiografica. 33
1.1. Limiti del saggio
Riuscire a fondare in poche decine di pagine un’ipotesi, che si
colloca sul versante opposto rispetto a quanto una plurisecolare rielaborazione mediatica (dapprima prodotta dalla letteratura polemica colta, poi – nell’ultimo secolo e mezzo – “discesa” al “livello”34 del senso comune) va alimentando, è senz’altro impresa improba. Va interpretata in questa prospettiva la
trattazione selettiva che seguirà, dalla quale potrà emergere
una versione consapevolmente migliorativa dell’Età di Mezzo; si tratterà di un’esposizione che – però – non intende suffragare alcuna «leggenda fantastica»35 sul Medioevo stesso. Do
pertanto per valida la ricerca storiografica precedente, anche
quella più scopertamente denigratoria,36 e propongo al lettore
di sostituire all’aut aut di un certo tipo di approccio, forse talvolta manicheo, un et et «multivocale» più in sintonia con l’orizzonte metodologico di certe correnti di pensiero delle scienze
33
Cfr. ad es. BURKE P., Cultura e società nell’Italia del Rinascimento, Einaudi, Torino 1984 (1972), p. 21; CHABOD F., Storia dell’idea di Europa, Laterza, RomaBari 20014 (1961), p. 18; GUREVIČ A.J., Contadini e santi. Problemi della cultura
popolare nel Medioevo, Einaudi, Torino 20002 (1981), p. 182; LE GOFF J., Prefazione, in ID., Tempo, cit., p. IX.
34
Rinvio ai concetti di “livelli di cultura”, “prodotto culturale”, “processo di
discesa/salita dei fatti culturali” (CIRESE A.M., op. cit., pp. 15-23 e I D., Dislivelli
di cultura e altri discorsi inattuali, Meltemi, Roma 1997, passim.
35
Cfr. ad es. DEDIEU J.-P., L’Inquisizione, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI)
2003 (1987), p. 6.
36
Ivi, pp. 76 e 77; MERLO G.G., Eretici ed eresie medievali, Il Mulino, Bologna
1989, p. 10.
44
Medioevo: un pregiudizio secolare
umane,37 ma compatibile – suppongo – anche con uno studio
storiografico aperto alla logica del Verstehen.38
All’inizio della ricerca avevo formulato una serie di ipotesi alla luce del «secolare pregiudizio» colto da diversi angoli
prospettici. In particolare, avevo pensato di occuparmi di
quattro ambiti o aspetti del preconcetto antimedievale: quello della solidarietà e dei diritti umani 39, all’interno del quale
avrei considerato soprattutto i nodi problematici delle crociate40 e dell’Inquisizione, 41 quello della condizione femminile, 42 quello della presunta ignoranza e, infine, quello del-
37
Cfr. CHAKRABARTY D., Storia, cit., p. 146.
Vd. infra paragrafo 3.
39
Intorno all’influenza del pensiero cristiano medievale ai fini dell’elaborazione della nozione di “diritti umani” cfr. F ACCHI A., Breve storia dei diritti
umani, Il Mulino, Bologna 2007, pp. 26-27, 37 et alibi. Altre indicazioni sull’incidenza del cristianesimo medievale sulla solidarietà sociale e sul tramonto
della schiavitù si trovano in BLOCH M., Come e perché finì la schiavitù antica, in
ID., Lavoro e tecnica nel Medioevo, Laterza, Roma-Bari 20013 (1947), pp. 221-63;
DOLZA L., Storia della tecnologia, Il Mulino, Bologna 2008, p. 51; F ROMM E.,
Psicanalisi della società contemporanea, Mondadori, Milano 1987 (1955), pp. 9596; GUGLIELMI N., Il medioevo degli ultimi. Emarginazione e marginalità nei secoli
XI-XIV, Città Nuova, Roma 2001, passim; LE GOFF J., Il Medioevo. Alle origini
dell’identità europea, Laterza, Roma-Bari 20037 (1996), pp. 53-54; PERNOUD R.,
Le rane e gli uomini, in EAD., Medioevo, cit., pp. 87-99.
40
FLORI J., La cavalleria medievale, Il Mulino, Bologna 2002 (1998), passim; I D.,
Le crociate, Il Mulino, Bologna 2003 (2001), passim; H ÖFFNER J., La dottrina
sociale cristiana, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1986 3 (1983), p. 237.
41
CARDINI F.-MONTESANO M., La lunga storia dell’Inquisizione. Luci e ombre della
“leggenda nera”, Città Nuova, Roma 2005, passim; DEDIEU J.-P., op. cit., passim;
MEREU I., Storia dell’intolleranza in Europa, Bompiani, Milano 1988, passim;
PERNOUD R., L’indice accusatore, in EAD., Medioevo, cit., pp. 119-142.
42
Vd. ad es. CONTE F., Gli slavi. Le civiltà dell’Europa centrale e orientale, Einaudi,
Torino 1991 (1986), pp. 161-201; DUBY G., Il potere delle donne nel Medioevo, Laterza,
Roma-Bari 2001 (1995), passim; LE GOFF J., Il Medioevo, cit., p. 105; cfr. anche
PERNOUD R., La donna priva di anima, in EAD., Medioevo, cit., pp. 101-117.
38
45
Franz Brandmayr
l’anticlericalismo43. A un certo punto dell’indagine questo progetto si è rivelato essere decisamente troppo vasto rispetto
alle caratteristiche della presente pubblicazione, perciò, ho
voluto ridimensionarlo notevolmente, limitandomi a considerare più in particolare una sola di queste tematiche e operando
– al limite – qualche digressione più o meno ampia con riferimento alle rimanenti piste di ricerca.
Fra le quattro opportunità ho inteso privilegiare quella offerta
dalla presa in esame della presunta ignoranza44 del Medioevo. I
topoi della staticità intellettuale e dell’oscurantismo retrivo, dell’incapacità innovativa in ambito tecnico e del supposto culto della
ripetizione in ossequio alle auctoritates sono fra i più significativi
nella rappresentazione del Medioevo e, se si vuole, sono anche
quelli che influenzano sensibilmente gli altri stereotipi, quasi dei
corollari, della brutalità e della prevaricazione della donna. Anche
il tema dell’anticlericalismo non potrà non emergere – fra l’altro –
anche per la strettissima correlazione che, notoriamente, intercorre fra la cultura medievale e l’ordo dei clerici.45
2. Falsificazione o selettività?
Humanas actiones non ridere, non lugere neque
detestari, sed intelligere.46
Dopo quanto premesso credo che, a fornire qualche spunto su
quanto già da molto tempo conosciamo intorno al Medioevo,
possano contribuire alcuni strumenti concettuali ricavati
43
Vd. un accenno in questo senso in PORCARELLI A., op. cit.
PERNOUD R., op. cit., p. 45.
45
FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI M., L’intellettuale, in LE GOFF J. (a cura di),
L’uomo medievale, Laterza, Roma-Bari 199913 (1987), p. 205.
46
SPINOZA B., Tractatus teologico-politicus, Einaudi, Torino 1958 (1670), 1, 4.
44
46
Medioevo: un pregiudizio secolare
dall’etno-antropologia, dalla psicologia sociale e dalla sociologia,
che consentono di limitare, almeno in parte, l’influenza derivata
da una lettura storica troppo semplicistica come è, qualche volta, quella riportata dai manuali scolastici e, come abbiamo visto,
da certa divulgazione mediatica. I concetti di cui scriverò potrebbero – in effetti – consentirci di prendere maggiore consapevolezza di una serie di “impliciti del discorso”. 47
Alla domanda da cui parto, che non vorrebbe essere retorica, potrà rispondere l’eventuale lettore integrando nel proprio
bagaglio concettuale gli strumenti che cercherò di fornirgli
lungo il percorso. Credo il quesito non abbisogni di soverchie
spiegazioni: mi pare sia abbastanza chiara la differenza fra
l’azione consapevole della falsificazione e, invece, l’eventuale
inconscia (o parzialmente inconscia) selezione delle notizie
congruenti con la propria concezione del mondo effettuata
ad opera dell’autore che scrive di Medioevo. 48 È appena il caso
di aggiungere che la risposta del lettore potrà riguardare, ovviamente, solo ed esclusivamente i pochi testi che saranno oggetto della nostra analisi e, perciò, senza alcuna pretesa di dare
risposte totali a un problema, la cui risoluzione comporterebbe un rilevamento empirico da effettuarsi all’interno di un campione di ben più vaste proporzioni.
2.1. Schemi culturali, stigmatizzazione ed epoché
Gli studiosi registrano la tendenza di ogni epoca storica, gruppo sociale, cultura a giudicare le epoche, i gruppi sociali e le
culture “altri” (out-groups) secondo i parametri peculiari del pro-
47
Vd. SBISÀ M., Detto non detto. Le forme della comunicazione implicita, Laterza,
Roma-Bari 2007, passim.
48
GILI G., Il problema della manipolazione: peccato originale dei media?, Franco Angeli, Milano 2001, p. 119.
47
Franz Brandmayr
prio gruppo di appartenenza49 (in-group)50. È certo che gli scienziati sociali e – in particolare – gli etnoantropologi hanno fatto
della differenza culturale51 il loro campo specifico di osservazione e di riflessione. Almeno teoricamente essi dovrebbero
essere particolarmente consapevoli della pervasiva influenza degli
schemi culturali52 del ricercatore sugli strumenti concettuali (che
si vorrebbero “oggettivi”), che questi adopera nel suo lavoro.
Tuttavia non manca certo anche fra gli storici chi prende molto
sul serio il rischio di contrabbandare per indagine storiografica
ciò che è frutto, invece, di meri giudizi di valore.
Il problema non è di poco conto; intorno alla questione si
sono scritti fiumi di parole e non mi illudo certamente di poter
dire una parola definitiva in merito. A mio avviso, però, certa
produzione storiografica e – chissà – forse anche un certo tipo di
insegnamento della storia potrebbero essere inclini a esercitarsi
troppo poco – o troppo maldestramente – a fare tabula rasa53, in
particolare, degli idola fori e degli idola theatri54 della propria epoca
storica o del proprio gruppo sociale di appartenenza.
In che misura l’osservatore può considerarsi immune da queste
categorie prevalenti (stereotipi ed etichettazioni), se esse sono
incorporate nella sua cultura? […] nulla garantisce automaticamente l’immunità del ricercatore dai pregiudizi […] la pretesa
che le scienze umane si siano liberate del linguaggio e delle cate-
49
STRUFFI L.-POLLINI G., s.v. Appartenenza, in D EMARCHI F.-ELLENA A.CATTARINUSSI B. (a cura di), op. cit., pp. 155-168.
50
Cfr. MALIGHETTI R., s.v. Etnocentrismo, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di),
op. cit., pp. 273-274.
51
HANNERZ U., La diversità culturale, Il Mulino, Bologna 2001 (1996), passim.
52
Cfr. TENTORI T., Antropologia culturale, Studium, Roma 1960, p. 19.
53
Sui limiti storiografici dell’utilizzo di questo strumento concettuale
«cartesiano» vd. PERNOUD R., op. cit., pp. 170-171.
54
BACONE F., Novum organum, La Scuola, Brescia 1968 (1620), I, pp. 264-266.
48
Medioevo: un pregiudizio secolare
gorie di senso comune è solo una pia illusione […] L’implicazione nella cultura retroagisce sull’osservatore […] in un gran numero di modi, spesso indiretti e scarsamente visibili […] Molto
frequentemente, il solo fatto di formulare un problema relativo a
un oggetto contiene un pregiudizio implicito che qualifica in
modo distorto quell’oggetto, indipendentemente dalla buona
volontà o dalla correttezza procedurale del ricercatore […] Gli
orizzonti di senso comune […] non sono semplici dimensioni
cognitive […] vincolano chi vi si riconosce al mantenimento di
gerarchie, di micropoteri, di inclusioni e di esclusioni […] sostengono le forme di identità, le appartenenze, quel senso del
“noi” che è essenziale alla vita di ogni comunità.55
Probabilmente nel prendere in considerazione il Medioevo
questo sforzo, che è di autoanalisi e di autoeducazione, non risulta essere sempre facile: uno storico contemporaneo si sente «gelare il sangue» quando legge le pene previste nei penitenziali monastici irlandesi per infrazioni alla regola che noi, donne e uomini del Terzo millennio, riterremmo assolutamente irrilevanti.56
Parimenti, ci rallegriamo di non dover più manifestare la nostra
piena appartenenza al gruppo con assordanti urla corali57 e dopo
avere attraversato le durissime prove iniziatiche dei berserkr58 ger-
55
DAL LAGO A., I nostri riti quotidiani. Prospettive nell’analisi della cultura, Costa &
Nolan, Genova 1995, pp. 12-13.
56
LAWRENCE C.H., Il monachesimo medievale. Forme di vita religiosa in Occidente, San
Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1993 (1989), pp. 76-78; cfr. D AWSON CH., op.
cit., p. 77; PENCO G., Il monachesimo, Mondadori, Milano 2000, p. 85.
57
Per la verità certe forme espressive degli ultras negli stadi di calcio mi
dissuadono ancora dal cantare la vittoria definitiva della dea ragione nel nostro vecchio Occidente [cfr. BROMBERGER C., La partita di calcio. Etnologia di
una passione, Ed. Riuniti, Roma 1999 (1995), passim; DAL LAGO A., Descrizione
di una battaglia. I rituali del calcio, Il Mulino, Bologna 2001 2 (1990), passim].
58
ELIADE M., La nascita mistica. Riti e simboli d’iniziazione, Morcelliana, Brescia
19883 (1958), pp. 125-130.
49
Franz Brandmayr
manici, anche se i progressi forse più significativi rispetto agli antenati europei del Nord sembrano riguardare – piuttosto che una
maggiore propensione alla vita pacifica – la nostra maggiore dimestichezza con l’acqua…59 Considerare i contadini alla stregua
di «mostri appena umani»60, trasformare un mite rabbì ebreo in un
konung, un re sassone in armi,61 percorrere in massa strade e villaggi infliggendosi penitenze le più sanguinose,62 praticare i crudeli rituali carnevaleschi…63
Che cosa rimane da fare a chi si accinge a studiare questa
realtà storica così distante? Gli “stigmi” – così li chiamano certi
antropologi – della superstizione, della brutalità (anche
masochista), dell’autoritarismo, della rozzezza dei costumi, dell’ottusità, dell’aggressività più selvaggia, del disprezzo degli umili
e altri ancora sembrerebbero potersi applicare senza esitazione
alcuna ai pochi esempi richiamati. Potremmo non sentirci indotti a svolgere neanche un’opportuna verifica documentale,
tanto essi paiono scontati nella loro chiarezza, inoltre continuamente rievocata e ribadita dai media.64 Essi – gli stigmi –
indica{no} un attributo (fisico o morale) profondamente dispre-
59
CONTE F., op. cit., pp. 117-118.
Cfr. LE GOFF J., I contadini e il mondo rurale nella letteratura dell’alto Medioevo
(secoli V e VI), in ID., Tempo, cit., p. 107.
61
GUREVIČ A.J., op. cit., pp. 78-79.
62
TOSCHI P., s.v. Flagellanti, in AA.VV., Enciclopedia Cattolica, Ente per l’Enciclopedia Cattolica e per il Libro Cattolico – Sansoni, Città del Vaticano – Firenze 1950, vol. V, cc. 1439-1441.
63
Cfr. ad es. B ACHTIN M., L’opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale, Einaudi, Torino 1979
(1965), passim.
64
Vd. il concetto di «manipolazione per inondazione», che risulta funzionale
alla creazione di pseudo-eventi in GILI G., op. cit., pp. 244-250: una “verità”
continuamente proclamata alla fine diventa tale anche se non lo è.
60
50
Medioevo: un pregiudizio secolare
giativo e [...] mett{ono} in relazione tale attributo con gli stereotipi relativi alla “normalità”, espressi dalla cultura dominante 65,
cultura dominante che – in questo caso – neanche a dirlo, è
quella occidentale attuale: secolarizzata, urbanizzata, postborghese, ispirata alla “gabbia di ferro” della razionalizzazione
weberiana, postindustriale, telematica, individualistica 66 (talvolta fino al narcisismo) 67, consumistica,68 tesa a dare attuazione la più completa al freudiano principio di piacere e via
dicendo.
Da almeno tre secoli nelle “descrizioni” medievalistiche del
discorso comune, dove abbondano delle autentiche “clave
terminologiche” – fortemente peggiorative – come «feudale»,
«gotico»,69 «barbaro/barbarico»70 ecc. sembrano manifestarsi una
sovrabbondanza di alterità, un divario incolmabile e gli stigmi
rispondono proprio all’esigenza di contenere una diversità
debordante, eccessiva. Nel campo della verbalizzazione, infatti,
essi ottemperano alla funzione di esorcizzare ciò che è “strano”, “estraneo”, “straniero”, “forestiero”, in quanto viene “da
65
AIME M., s.v. Stigma, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), op. cit., p. 709; le
parentesi quadre sono mie. Nel corso della trattazione potrò usare come
quasi-sinonimi anche le espressioni etichetta categoriale o etichettazione (vd.
supra nt. 28) adoperate, solitamente, dagli psicologi sociali.
66
Vd. ad es. BAUMAN Z., La società individualizzata. Come cambia la nostra esperienza, Il Mulino, Bologna 2002 (2001), passim.
67
LASCH CH., La cultura del narcisismo, Bompiani, Milano 2001 4 (1979), passim.
68
Cfr. ad es. il classico BAUDRILLARD J., La società dei consumi, Il Mulino, Bologna 1976, passim.
69
PERNOUD R., op. cit., pp. 80-86.
70
Come è noto si tratta, inoltre, di un’espressione pesantemente connotata in
senso italocentrico e francocentrico [AZZARA C., Le invasioni barbariche, Il
Mulino, Bologna 1999, p. 9; cfr. anche WOLFRAM H., I germani, Il Mulino,
Bologna 2005 (1997), p. 89].
51
Franz Brandmayr
fuori” rispetto al gruppo-noi.71 Sotto questo profilo corrispondono funzionalmente a quanto mirano a realizzare le liturgie
apotropaiche nell’ambito della ritualità.
Ritengo di semplificare l’esposizione eleggendo a terreno
di fondazione di alcune delle mie ipotesi sugli stigmi o
etichettazioni soprattutto un testo della fine degli anni Novanta. La Breve storia delle grandi scoperte scientifiche di Giovanni
Caprara dedica soltanto ventidue pagine al Medioevo, 72 ma il
volume mi sembra rappresentare validamente un certo tipo di
approccio divulgativo al nostro tema. Mentre fornisce notizie
sullo stato della scienza nel Terzo secolo, il nostro «giornalista
scientifico del “Corriere della Sera”», autore di diversi volumi
e premiato per la sua attività di divulgazione scientifica, 73 sintetizza lapidariamente un millennio e più di storia con due
brevi frasi introduttive della storia alla scienza medievale. Secondo me queste due proposizioni – vergate con accenti
apodittici – potrebbero rappresentare emblematicamente la
diffusa pratica della stigmatizzazione antimedievale per il tramite dell’etichettazione oscurantistica. Ecco la prima:
I padri della Chiesa rifiutavano la cultura classica perché la ritenevano troppo compromessa con la religione pagana. 74
Un asserto di questo genere presenta notevoli errori e lacune anche se lo si voglia riferire al solo alto Medioevo, ma l’Autore non lo integra né lo ridimensiona nel prosieguo dell’esposi-
71
Vd. infra nt. 289.
CAPRARA G., Breve storia delle grandi scoperte scientifiche, Bompiani, Milano 1999 2
(1998), pp. 43-64.
73
Ivi, quarta di copertina.
74
Ivi, p. 42.
72
52
Medioevo: un pregiudizio secolare
zione, lasciando – con ciò – intendere che tale situazione perduri addirittura per tutta l’età medievale.
Un’analisi, ancorché generica, delle letterature patristica e
scolastica nel loro rapporto di dipendenza e innovazione rispetto alla tradizione classica non si può neanche accennare in
queste pagine.75 Forse vale la pena di fare qualche richiamo,
piuttosto, alla tradizione monastica occidentale, intorno alla
quale gli storici non nutrono dubbi sul fatto che nel VI secolo
l’intellettuale di origine siriaca (e già ministro di Teodorico)
Cassiodoro creava «il primo esempio di monachesimo dotto e
umanistico, che conciliava l’otium classico e la preghiera»76. In
Italia egli agì soprattutto nell’ambiente calabrese e i suoi scritti
si diffusero, pare, fino all’ambiente romano e alla biblioteca
papale del Laterano in particolare,77 da dove – secondo alcuni
– la sua influenza si sarebbe propagata a tutte le successive
esperienze monastiche occidentali. A lui si devono, fra le altre
cose, la composizione di «una vera e propria ratio studiorum», di
un autentico «programma enciclopedico […] tracciato con
l’esame delle sette arti liberali […] nella linea degli enciclopedisti
del tardo mondo antico [… (che)] prepara l’avvento di quelli
dell’Alto Medioevo, Isidoro, Beda, Rabano Mauro».
75
Una prima introduzione al tema si può ricavare, da un punto di vista teologico, in RAHNER K.-VORGRIMLER H., s.v. Patristica, in IID., Dizionario di teologia,
Herder-Morcelliana, Roma-Brescia 1968, pp. 475-476; da una prospettiva filosofica vd. VANNI ROVIGHI S., s.v. Aristotelismo, in AA.VV., Dizionario teologico
interdisciplinare, Marietti, Casale Monferrato (AL) 1977, vol. I, pp. 419-423; E AD.,
s.v. Platonismo, in AA.VV., Dizionario, cit., vol. II, pp. 731-735. Anche in ambito
manualistico una sintesi critica argomentata e in totale disaccordo con il Caprara
viene proposta da CONTE G.B.-PIANEZZOLA E., Corso integrato di letteratura latina,
5, La tarda età imperiale, Le Monnier, Firenze 2004, pp. 146-147.
76
AA.VV., s.v. Cassiodoro, in IID., Enciclopedia Garzanti di filosofia, Garzanti, Milano 19822 (1981), p. 130.
77
PENCO G., op. cit., p. 47.
53
Franz Brandmayr
Egli getta, inoltre, «le basi di tutta la morfologia della cultura
medievale», nella quale la cultura greca e quella latina, quella sacra
e quella profana vengono impostate nei loro sviluppi futuri.78
Di lì a poco sarà il monachesimo benedettino a farsi via via
promotore di istanze culturali di portata sempre crescente, operando una sintesi fra la humanitas ereditata dalla cultura romana e le esigenze di un evangelismo radicale mutuato dalle esperienze monastiche copte e siriache.79 Ne scaturirà uno stile cenobitico originale, praticato secondo modalità autoctone «latine»80; ciò costituirà la premessa indispensabile alla creazione
di una sorta di identificazione della romanitas e della christianitas,81 che si realizzerà fin dall’epoca altomedievale. 82 I rigori
ascetici degli anacoreti e dei monaci orientali troveranno nel
movimento benedettino un’interpretazione meno austera, 83
progressivamente sempre più aperta alla dimensione culturale,84 di cui è opportuno sottolineare la «polivalenza» 85 sotto
vari profili: le interpretazioni – diversificate a seconda delle
78
Ivi, pp. 46-47; parentesi rotonda dello scrivente; cfr. anche ivi, pp. 48 e 176.
Ivi, pp. 32-33.
80
LAWRENCE C.H., op. cit., pp. 100-104; TURBESSI G., Il monachesimo in Occidente
fino a S. Benedetto (c. 480-547), in I D., Ascetismo e monachesimo prebenedettino,
Studium, Roma 1961, pp. 134-148.
81
ULLMANN W., Radici del Rinascimento, Laterza, Bari-Roma 1980 (1977), p. 36;
DAWSON CH., op. cit., p. 37 riferisce che «“Romano” e “cristiano” divennero
quasi termini sinonimi» (cfr. anche ivi, pp. 63 e 81). Il terzo e il quarto elemento dell’amalgama culturale della Civiltà occidentale saranno quello
germanico-pagano (ULLMANN W., op. cit., p. 29) e quello «“tradizionale” delle
vecchie culture indigene» (LE GOFF J., Guerrieri e borghesi rampanti. L’immagine
della città nella letteratura francese del secolo XII, in I D., L’immaginario, cit., p. 32).
82
Ivi, p. 3.
83
LAWRENCE C.H., op. cit., p. 69; PENCO G., op. cit., pp. 60 ss.
84
Cfr. infra le nt. 91 e 95.
85
PENCO G., op. cit., p. 175.
79
54
Medioevo: un pregiudizio secolare
situazioni – del contemptus mundi e l’enorme varietà delle attività culturali (teologia monastica,86 letteratura, scienze e arti,87
scriptoria e biblioteche88), della quale non è possibile rendere
ulteriormente conto in queste pagine.89 Si tratta di un’opera
immensa, efficacemente riassunta nel celebre motto ora et labora, che in seguito, allargata ad altre componenti ecclesiali e
sociali, fonderà, secondo molti autori senza possibilità di equivoco, l’edificio della Civiltà occidentale. 90 L’influsso poderoso
dei benedettini diventerà ancor più trainante nei secoli X-XII 91
e riguarderà in maniera eminente, oltre l’avanzamento tecnologico92, tanto gli aspetti dell’alfabetizzazione e dell’istruzione
quanto la cultura dotta.93
È sul fondamento monastico, quindi, che si costruisce la
cultura medievale nel suo rapporto con i classici greci e latini.
Questi sarebbero stati trascurati, oppure selezionati a seconda
delle esigenze di «purificazione» della Chiesa94 o addirittura cen-
86
Ivi, pp. 181-186.
Ivi, pp. 186-192.
88
Ivi, 192-193.
89
Cfr. anche MICCOLI G., Il monaco, in LE GOFF J. (a cura di), L’uomo medievale,
cit., p. 48 et passim.
90
Cfr. ad es. CHABOD F., op. cit., pp. 162-163; CROCE B., “Perché non possiamo non
dirci cristiani”, in “La Critica”, XL (1942), pp. 289 ss; D AWSON CH., op. cit., pp.
26-27 et alibi; NOBLE D.F., La religione della tecnologia. Divinità dell’uomo e spirito
d’invenzione, Comunità, Torino 2000 (1997), pp. 4-5.
91
DOLZA L., op. cit., p. 52; MICCOLI G., op. cit., pp. 56-68 dal punto di vista
dell’importanza storica del fenomeno monastico definisce questo periodo
come gli aurea saecula.
92
Vd. infra paragrafo 2.3.
93
GRAFF H.J., Storia dell’alfabetizzazione occidentale, 1, Dalle origini alla fine del
medioevo, Il Mulino, Bologna 1989 (1987), p. 22; LAWRENCE C.H., op. cit., p. 65.
94
Cfr. MICCOLI G., op. cit., p. 75.
87
55
Franz Brandmayr
surati e messi in ombra. Anche tutto ciò è senz’altro vero (almeno fino all’epoca carolingia)95, ma, al contempo,
ci si è potuti accorgere che, in effetti, nel Medioevo, gli autori
latini, e anche quelli greci, erano già parecchio conosciuti e […]
l’apporto del mondo antico, classico o no che fosse, era a quell’epoca lontano dall’essere disprezzato o rifiutato.96
Non va ignorato, inoltre, il fatto che persino nei cosiddetti
«anni bui»97 (V-VII) non si potesse parlare di ignoranza del latino neanche tra gli stessi laici,98 fra i quali si potevano annoverare delle donne nonché «alcuni barbari»99.
Già all’epoca di Carlomagno e, ancor di più, al tempo di Bernardo da Chiaravalle la conoscenza degli autori greci e latini
viene coltivata al punto che «taluni studiosi […] hanno parlato
allora di una “Rinascita carolingia” […] di “Rinascita del XII
secolo”, o anche di “umanesimo medievale”»100 anche con un
riferimento preciso alla frequentazione dei classici. Perciò, almeno per quanto riguarda il latino, l’idioma e i testi sarebbero
sempre stati «fascinosi» per la civiltà medievale presa nel suo
95
Va precisato che LAWRENCE C.H., op. cit., p. 78 osserva una più spiccata
libertà di spirito presso i monaci irlandesi, che – come è noto – operarono in
gran parte dell’area centro-occidentale del continente e diffusero la sensibilità verso la cultura classica (DAWSON CH., op. cit., pp. 71-77) proprio nel periodo in cui i benedettini ne fecero talora oggetto di ascetica diffidenza.
96
PERNOUD R., op. cit., pp. 20-21; cfr. anche LE GOFF J., Prefazione, in ID.,
L’immaginario, cit., p. XX.
97
GRAFF H.J., op. cit., p. 69; cfr. LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., p. XVI.
98
Sull’alfabetizzazione dei chierici e dei monaci, peraltro, non è bene operare
troppe generalizzazioni; lo stesso discorso si pone intorno alla loro conoscenza del latino; cfr. infra nt. 267.
99
GRAFF H.J., op. cit., p. 72.
100
PERNOUD R., op. cit., p. 21.
56
Medioevo: un pregiudizio secolare
complesso e non soltanto fra il 1380 e il 1450.101 Per quanto
concerne il latino liturgico, inoltre, Graff rileva che esso sarebbe stato conosciuto in misura persino maggiore fra le donne e
per tutto l’arco temporale del Medioevo.102
In definitiva, secondo Garin il pensiero cristiano medievale,
dopo «secoli di meditazione», di «critica insistente, inesorabile e
sempre più consapevole della concezione classica»,
si impadroniva delle armi dell’avversario, pur col pericolo, scendendo sul suo terreno ed usando i suoi mezzi, di confondersi con esso;
che è l’impressione che, dalla patristica in poi, dà così spesso il pensiero medievale, tutto fatto di apparenti ritorni e di strani miscugli:
platonismo, stoicismo, neoplatonismo, aristotelismo, averroismo,
fino a pervenire alla «formulazione cosciente, e cioè filosofica
[…] della propria concezione, e delle proprie ragioni»103. Peraltro,
è noto che una delle più profonde operazioni culturali dell’intero
percorso filosofico europeo è consistita nella faticosa adozione
del sistema aristotelico nel XIII secolo,104 a riprova di un rapporto
con la classicità vissuto intensamente e ricco di sviluppi originali.
La Pernoud ricorda ancora che «i cataloghi delle biblioteche
che ci sono stati conservati […] provano abbondantemente»
che non fu la caduta di Costantinopoli (1453), se non in minima
parte, a determinare «l’introduzione in Europa delle biblioteche
di autori antichi conservate a Bisanzio»105.
101
GRAFF H.J., op. cit., p. 162; cfr. U LLMANN W., op. cit., p. 35.
GRAFF H.J., op. cit., p. 119.
103
GARIN E., La crisi del pensiero medievale, in I D., Medioevo e Rinascimento. Studi e
ricerche, Laterza, Roma-Bari 19803 (1950), p. 18.
104
PERNOUD R., op. cit., p. 162.
105
Ivi, p. 22; cfr. LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., p. XX, ove
l’Autore menziona il «ritorno all’antico» fin dal secolo XIII e l’«invasione di
Aristotele» nelle forme scultoree dei Pisano.
102
57
Franz Brandmayr
Dai semplici richiami prodotti scaturisce – pertanto – una
notevole ricchezza di sfumature, di situazioni diversificate a seconda dei vari segmenti sociali, cui andrebbero aggiunte le diversità rispetto alle aree geografiche. Si tratta di differenze, delle
quali una divulgazione, effettuata sulla scorta di studi specialistici non si sa quanto fondati e che si esprime con affermazioni
lapidarie, non sembra riuscire a rendere ragione neanche approssimativamente.
Caprara insiste nel proporre l’immagine di un Medioevo oscurantista, cui continua a soggiacere il tema, che a lui pare fondamentale, del rapporto antitetico fra la scienza e la religione:
Se nei secoli precedenti, l’ondata di misticismo aveva demolito
l’interesse per la scienza, ora l’insistenza sui temi della salvezza e
della fede predicati come fondamentali e prioritari rafforzava ed
ampliava l’opera di chiusura culturale. E quando non si dimostrava avversione si esibiva indifferenza.106
Sulla fragilità documentaria di un’affermazione tanto lontana
dalla realtà abbiamo già scritto qualcosa per quanto riguarda il
rapporto con i classici; per quanto concerne lo spirito di invenzione, invece, dovremo soffermarci ancora oltre.107 Già a questo
punto mi piace, però, richiamare un passo di Bertrand Russell,
uno dei tanti del suo Misticismo e logica, che può contribuire a liberare dai gravami del pregiudizio questo tema, che i più affrontano
in una condizione di coinvolgimento preconcetto:
Anche la cauta e paziente ricerca della verità per mezzo della
scienza, che sembra l’assoluta antitesi dell’incrollabile certezza
106
107
58
CAPRARA G., op. cit., p. 42.
Vd. infra paragrafo 2.3.
Medioevo: un pregiudizio secolare
del mistico, può essere incoraggiata e nutrita da quell’autentico
spirito di venerazione nel quale il misticismo vive e opera. 108
Punto di vista dell’osservatore, da una parte, e società, cultura, civiltà osservata, dall’altra: come stabilire un rapporto corretto con l’oggetto dello studio storiografico? Credo non vi sia
indagine seria, non c’è scienza storica senza una sospensione
del giudizio,109 cioè senza la messa tra parentesi dei propri schemi culturali da parte del ricercatore. È umano, umanissimo provare sentimenti di ripulsa o assumere atteggiamenti irridenti di
fronte a palesi manifestazioni di differenza culturale, ma essi
vanno considerati per quello che sono: mere reazioni emotive,
oltre che difensive. Nella migliore delle ipotesi, se vengono inserite in un quadro filosofico coerente, potrà trattarsi di riflessioni etiche, ma quando i piani filosofico-morale e storiografico
vengono sovrapposti fino a confondersi, difficilmente il discorso eviterà uno slittamento su di un piano puramente moraleggiante e – con ciò – antiscientifico.110
108
RUSSELL B., Misticismo e logica, in ID., Misticismo e logica e altri saggi, Longanesi,
Milano 1970 (1914), p. 12; cfr., da un punto di vista antropologico-culturale,
BASTIDE R., Un misticismo senza dei, in ID., Il sacro selvaggio, Jaca Book, Milano
1979 (1931), p. 22. Sul rapporto fra mistica e spirito innovativo possono
risultare interessanti anche le riflessioni riportate nei paragrafi 2.3. e 2.4.
109
Si tratta, come è noto, dell’™poc» = epoché; vd. A BBAGNANO N., s.v. Epoché,
in ID., op. cit., pp. 309-310. Nella traduzione tedesca il lemma presenta sfumature quasi ascetiche: Ausschaltung significherebbe, quindi, «esclusione»
ed «eliminazione» (MACCHI V., s.v., in ID., Dizionario Sansoni. Tedesco-Italiano.
Italiano-Tedesco, Sansoni, Firenze-Roma 1977) del proprio Io, delle proprie
preoccupazioni di studioso (cfr. M ARROU H.-I., op. cit., p. 78); la forma verbale ausschalten, inoltre, si adopera per indicare lo «spegnere» (ad es. di fonti
di energia elettrica).
110
WEBER M., La scienza come professione, in I D., Il lavoro intellettuale come professione, Einaudi, Torino 1966 (1919), pp. 18 e 26-27.
59
Franz Brandmayr
2.2. Avalutatività, anacronismo, luoghi comuni ed etnocentrismo
È quando lo studioso si colloca in una disposizione mentale di
“avalutatività”111, dunque, che trova attuazione pratica la metodologia baconiana della tabula rasa, della almeno provvisoria disattivazione degli idola tribus e degli idola fori. Gli storici e – nondimeno – gli antropologi non coltivano più alcun mito della
pura oggettività,112 tuttavia caldeggiare questo genere di autoanalisi e autocontrollo nello studioso, ma anche nel docente e
nello studente stessi, può «evitare (a tutti costoro) il vicolo cieco
[…] dell’anacronismo»113.
Propriamente, l’anacronismo è un «errore in cui si cade attribuendo certi fatti ad un’epoca diversa da quella in cui sono avvenuti»114. Si tratta, in buona sostanza, di un meccanismo proiettivo,115 che può agire almeno in due modi, positivo il primo e
negativo il secondo. Nel primo caso il soggetto può assegnare
positivamente a un’epoca o a un personaggio del passato dei
sentimenti o degli atteggiamenti che sono, in realtà, estranei all’epoca o al personaggio in questione. Come esempio richiamo
quello portato dalla Pernoud, che scrive di come certi studiosi
abbiano ascritto ad Abelardo una miscredenza e uno scetticismo, che non emergono assolutamente da una attenta e completa disamina documentaria. In studi parziali e – spesso – ela-
111
ID., Il metodo delle scienze storico-sociali, Einaudi, Torino, 1981 2 (1922), pp.
309-375.
112
MARROU H.-I., op. cit., p. 44.
113
Ivi, p. 78 (parentesi rotonda mia).
114
DEVOTO G.-OLI G.C., s.v. Anacronismo, in IID., Il dizionario della lingua italiana, Le Monnier, Firenze 1995.
115
TOMAN W., s.v. Proiezione, in ARNOLD W.-EYSENCK H.J.-MEILI R. (a cura di),
Dizionario di psicologia, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1986 3 (1980), pp.
894-895.
60
Medioevo: un pregiudizio secolare
borati sulla scorta di ricerche puramente compilative vengono
fatte risaltare del teologo, invece, delle caratteristiche di presunta modernità che – perlomeno negli anni Settanta – erano date
per acquisite pur in assenza di un adeguato approfondimento
dei testi originali.116
La modalità negativa dell’anacronismo, invece, rivela una tendenza del soggetto a proiettare a ritroso lungo l’asse del tempo
la propria energia psichica117 nel senso di una colpevolizzazione
dell’epoca o del personaggio considerati. Qui la negatività non
va letta nel suo significato psicologico e morale (di acrimonia
che, invece, può essere sottesa al lemma “colpevolizzazione”),
bensì nel senso etimologico del mancato riscontro, ad opera del
ricercatore, di una sintonia di atteggiamenti e sentimenti fra il
periodo storico esaminato e il ricercatore stesso. In definitiva,
questi attiva un meccanismo di difesa118 (perché di questo in
definitiva si tratta) mediante il quale egli, lo studioso, tutela – in
qualche modo – la propria concezione del mondo e la propria
gerarchia dei valori, rilevando, talvolta lamentando o, addirittura, deprecando la loro assenza o il loro misconoscimento nell’epoca, nel personaggio o nella cultura specifica che è chiamato
a indagare e conoscere. Gli esempi in questo ambito potrebbero essere numerosi: valga per tutti il richiamo alla mentalità guerriera119 dell’uomo medievale, che indigna, forse giustamente, il
pacifista europeo contemporaneo. Si potrebbe, forse, dare per
scontata la capacità dello storico di professione – abituato a lavorare sui documenti – di evitare quell’anacronismo, per cui si
proiettano sul Medioevo le sensibilità e le esperienze dei movi-
116
PERNOUD R., op. cit., pp. 149-150.
MULLER P., s.v. Psichica/energia, in ARNOLD W.-EYSENCK H.J.-MEILI R. (a
cura di), op. cit., p. 902.
118
Cfr. TOMAN W., v. cit., p. 894.
119
LE GOFF J., Il Medioevo, cit., pp. 36 e 100-107.
117
61
Franz Brandmayr
menti pacifisti del secolo XX.120 È possibile, però, che qualche
insegnante e, più ancora, gli studenti risultino particolarmente
esposti a questa ingenuità metodologica.
Va detto che il meccanismo proiettivo di difesa sussiste anche nel primo tipo di anacronismo, quando – cioè – il soggetto
si addentra a esplorare un’epoca, un personaggio, una cultura
che portano valori dissonanti rispetto ai propri schemi culturali
e tende a plasmare a propria immagine e somiglianza l’oggetto
della propria ricerca per renderlo meno unheimlich121 e, in qualche modo, più domestico e utilizzabile.122 Una dinamica di questo genere si ripropone anche quando, con rialzismo cronologico123 patente, si cercano antenati illustri, che solitamente conferiscono prestigio e avvalorano la posizione culturale propria di
chi effettua l’indagine, come probabilmente è accaduto nel caso
della vulgata costruita intorno ad Abelardo e denunciata dalla
Pernoud. È verosimile, inoltre, che un simile atteggiamento di
riplasmazione della storia a immagine e somiglianza della memoria storica del proprio gruppo di appartenenza possa produrre più facilmente esiti configurabili come œpoj (= epos) collettivo piuttosto che come vera e propria storiografia.124
120
Per un’introduzione al tema vd. GIACOMINI M.R., Antimilitarismo e pacifismo
nel primo Novecento. Ezio Bartalini e “La Pace”. 1903-1915, Franco Angeli, Milano 1990, passim con le relative indicazioni bibliografiche.
121
Tengo presente il concetto di Unheimlichkeit = «spaesamento» (H EIDEGGER
M., Essere e tempo, Longanesi & C., Milano 1976 (1927), p. 548), cui ricollego
l’aggettivo unheimlich, che significa: «sospetto», «poco rassicurante» (s.v. in
MACCHI V., op. cit.).
122
TULLIO-ALTAN C., Soggetto simbolo valore. Per un’ermeneutica antropologica,
Feltrinelli, Milano 1992, pp. 26-32.
123
CIRESE A.M., Cultura, cit., pp. 110-114.
124
Lo spazio non consente di trattare l’importante argomento [per un primo
approccio vd. ad es. PIVATO S., op. cit., p. 47-49; RICOEUR P., La memoria, la
storia, l’oblio, Cortina, Milano 2003 (2000), passim; TRAVERSO E., Il passato: istru-
62
Medioevo: un pregiudizio secolare
Il concetto di avalutatività, che vado richiamando in queste
pagine, viene spesso confuso con un’improbabile asetticità (talvolta scambiata a sua volta con l’oggettività) di tipo veteropositivistico; essa affonda le proprie radici culturali – come è
noto – nell’approccio sperimentale proprio delle scienze della
natura.125 L’entusiasmo ottocentesco per l’enorme sviluppo
metodologico di questo ambito della conoscenza umana e la
grande mole di risultati ottenuti sul piano strettamente cognitivo
hanno finito per influenzare profondamente anche le scienze
umane, facendo ritenere che lo storico, 126 il sociologo e
l’antropologo127 potessero osservare i fenomeni umani alla stregua dello scienziato nel suo laboratorio, impegnato con le proprie sperimentazioni in campo fisico o chimico. Tramontato del
tutto – suppongo – fra gli storici questo tipo di sensibilità, esso
non è per niente scomparso dal discorso comune, 128 quell’immenso terreno di gioco verbale nel quale tutti noi, studenti e
insegnanti (e – nonostante tutto – anche gli storici), siamo immersi. È ancora Max Weber, però, a ricordarci che l’atteggiamento avalutativo non comporta affatto il rinnegamento delle
appartenenze né delle personalissime concezioni del mondo del
singolo ricercatore, dell’insegnante e dello studente; 129 il
sociologo tedesco invita – semplicemente – a non confondere i
zioni per l’uso. Storia, memoria, politica, Ombre Corte, Verona 2006, passim], decisivo anche per individuare le «strategie del discredito» [che sono: la «costruzione del nemico», la «disconferma» e l’«insinuazione» (G ILI G., op. cit.,
pp. 98-102)] dell’Età medievale e gli eventuali imprenditori delle stesse.
125
GRANGER G.-G., La scienza e le scienze, Il Mulino, Bologna 1996, pp. 77-92.
126
MARROU H.-I., op. cit., pp. 44 e 74.
127
TULLIO-ALTAN C., Antropologia, cit., pp. 38-49.
128
GEERTZ C., Antropologia interpretativa, Il Mulino, Bologna 1988 (1983), pp.
91-117.
129
WEBER M., Il metodo, cit., p. 68.
63
Franz Brandmayr
due piani: quello valutativo-etico personale e quello espositivo e
analitico della materia considerata. Per di più – come si sa – lo
studioso manifesta la propria onestà intellettuale nella misura in
cui esplicita i presupposti metodologici e, al limite, ideologici
dai quali prende le mosse la propria ricerca, offrendo – in questo modo – al destinatario del proprio lavoro gli strumenti atti a
confutare, eventualmente, la tesi della quale lo studioso stesso si
facesse portatore.130
Forse legata a questo atteggiamento positivistico di distanza
e di osservazione dall’esterno, va menzionata anche una specie
di ipercriticismo, che si presumeva dovesse sostanziare, in un
certo immaginario collettivo non estraneo neanche agli storici,
la ricerca storiografica di qualità:
Storico […] era soprattutto il critico […] capace di scorgere
l’interpolazione, smascherare il falsario, respingere un’attribuzione usurpata. Di qui […], a lungo andare, l’accentuazione di
un atteggiamento odioso, che consisteva nel sottolineare ironicamente le altrui miserie e debolezze, una disposizione all’arroganza e al disprezzo; in definitiva, una sorta di incapacità a
comunicare a riconoscere e ad accogliere – laddove esistessero
– gli autentici valori umani.131
Si tratta dunque di un atteggiamento complessivo, che può inficiare
un approccio storiografico o una esposizione storica corretti e che
tende ad assommare le componenti valutative, stigmatizzanti e
anacronistiche, che ho cercato di evidenziare sopra.
Altre volte ancora chi scrive di Medioevo può fare ricorso a
vari artifici retorici, talora piuttosto manifesti. Riporto qui brevemente un passaggio di un noto e peraltro validissimo manua-
130
POPPER K., Congetture e confutazioni. Lo sviluppo della conoscenza scientifica, Fabbri, Milano 19982 (1962), vol. I, pp. 66-67 et circa.
131
MARROU H.-I., op. cit., p. 88.
64
Medioevo: un pregiudizio secolare
le scolastico della fine degli anni Ottanta e cerco di confrontarlo con un’opera più recente, che ci permette di ipotizzare una
possibile evoluzione nella tematizzazione della didattica
medievalistica. Gli Autori, citando un passo di Le Goff dal registro quasi confidenziale, invitano a diffidare di una visione troppo
rosea del rivalutato Medioevo:
Se mi si permetterà di dare un consiglio assai grossolano, dirò al
lettore che, di fronte a queste tentazioni di evasione verso un
Medioevo trasfigurato, chieda onestamente a se stesso se gli piacerebbe, per virtù del mago Merlino […] essere trasportato in
quel tempo e viverci.132
Questa soluzione scelta dai nostri per equilibrare i presunti
eccessi di un certo revisionismo storico, oltre a prestare il fianco
a una facile ironia (gli Autori del testo avrebbero ambito «onestamente» – forse – di «evadere» in qualche paradiso di una «trasfigurata» classicità, modernità o postmodernità? …), non riesce a nascondere le proprie connotazioni valutativa e retorica.
Valutativa, in quanto gli Autori ritengono sia «importante non
cadere nell’eccesso opposto» alla tabuizzazione del Medioevo,
in quanto esso configurerebbe una «tentazione ancora più grave della precedente». L’asserto non risulta argomentato in alcun
modo, ma viene da chiedersi se si possa lasciare a uno stadio
tanto “grezzo” la trattazione della Parola chiave Medioevo, quella
che – in fondo – dà, o dovrebbe dare, il “la” all’intero volume
primo dell’opera. Viene pertanto spontaneo porre una serie di
quesiti a Giardina, Sabbatucci e Vidotto, come ad esempio: perché proporre un’immagine «ottimistica» del Medioevo sarebbe
un errore più grave rispetto alla divulgazione della precedente
132
LE GOFF J., cit. in GIARDINA A.-SABBATUCCI G.-VIDOTTO V., Uomini e storia,
1, Dal Medioevo all’età moderna, Laterza, Roma-Bari 1990 2 (s.d. orig.), pp. 6-7
(citato senza indicazione della fonte).
65
Franz Brandmayr
immagine pessimistica dello stesso? Perché non potrebbe essere
semplicemente un errore storico, esattamente come lo è la versione peggiorativa del periodo in questione? Esiste per caso una
classifica degli errori storici (una “serie A” e una “serie B”, per
intenderci)? Inoltre: a chi era allora funzionale un’immagine negativa del Medioevo? È sicuro che servisse solo agli interessi
degli «umanisti italiani»? Come mai fra i medievisti si chiamano in
causa anche molti pensatori illuministi,133 che invece gli Autori
del nostro manuale non menzionano nemmeno? È certo, inoltre,
che non persista ancora adesso un «uso o un abuso della storia»134
medievale simile – in qualche modo – a quello realizzato dagli
umanisti e da una parte delle correnti illuministiche? In considerazione del fatto che è «opinione comune» che il Medioevo sia
«sinonimo di età buia e barbara, di epoca segnata da un grave
regresso economico e culturale» 135, come mai non viene
configurata alcuna ipotesi né – tantomeno – viene esposta alcuna
tesi136 in merito alla rivalutazione del periodo in questione? Ecco
tutta l’argomentazione proposta dal manuale in questione:
Contro questa valutazione negativa ha reagito una parte degli
storici moderni, che ha cercato di rivalutare, soprattutto sotto il
profilo culturale, la vitalità dell’epoca medievale. Questa reazione ha fatto compiere notevoli progressi alla nostra conoscenza
del periodo.137
Il fatto che la “finestra” dedicata dal suddetto manuale alla
Parola chiave Medioevo non riporti alcuna suggestione che possa
133
Cfr. infra nt. 294.
Cfr. PIVATO S., op. cit., passim.
135
GIARDINA A.-SABBATUCCI G.-VIDOTTO V., op. cit., p. 6.
136
In merito vd. infra al paragrafo 2.4.
137
GIARDINA A.-SABBATUCCI G.-VIDOTTO V., op. cit., p. 6.
134
66
Medioevo: un pregiudizio secolare
aiutare lo studente a riflettere anche nelle direzioni sopra indicate, ma che denoti – al di là del generico riconoscimento di
una certa validità cognitiva alla reazione di «una parte degli
storici»138 – una malcelata e più evidente preoccupazione di
inibire un’improbabile concezione ottimistica del Medioevo,
lungi dallo scandalizzare, consente di scorgere con maggiore
chiarezza un certo tipo di approccio manualistico, che sembra
orientato a preservare l’«opinione comune»139 intorno alla civiltà medievale.
La posizione valutativa dei nostri Autori pare confermata
anche dall’espediente retorico da loro adoperato; essi fondano,
infatti, il proprio giudizio riassuntivo circa il Medioevo per il tramite dell’ironia di Jacques Le Goff, senz’altro «un grande medievista contemporaneo»140, ma anche – e questo non viene invece
da loro riportato141 – un grande estimatore del Medioevo.142 Osserviamo – in questo caso – il riferimento a una auctoritas indiscussa, all’ipse dixit dello storico affermato. Di per sé in certi frangenti ciò è inevitabile: è naturale (lo sto attuando con una certa
frequenza anch’io nella presente trattazione) fare un consapevole
e abbondante utilizzo di autori che godono di un prestigio scientifico universalmente riconosciuto; è essenziale – tuttavia – non
farne un esercizio meramente retorico e cercare di esporre le loro
descrizioni e argomentazioni in chiave dialettica,143 fornendo an-
138
Lo stesso Le Goff sembra invece intendere che la totalità degli storici
abbia rivalorizzato l’epoca medievale (LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., p. XVIII; cfr. supra anche nt. 12).
139
GIARDINA A.-SABBATUCCI G.-VIDOTTO V., op. cit., p. 6.
140
Ibidem.
141
Cfr. infra nel paragrafo 2.3. le indicazioni circa la selettività.
142
Cfr. ad es. infra nt. 354 e – più in generale – il volume di L E GOFF J.,
Medioevo, cit., passim; cfr. anche infra nt. 156.
143
Cfr. ad es. PIVATO S., op. cit., pp. 87-88.
67
Franz Brandmayr
che indicazioni contrarie144 e cercando di fornire al lettore gli strumenti atti a cogliere i punti deboli della propria trattazione.145
Al contrario, Giardina, Sabbatucci e Vidotto sembrano seguire una via più facile e ad effetto: a una auctoritas146 – come
abbiamo visto – viene delegato il compito di liquidare il tema in
oggetto con una battuta ironica; questa è – per sua stessa natura
– agonistica 147 e mirata non a porre le premesse per una
tematizzazione adeguata (per esempio mediante la definizione
più precisa delle diverse posizioni esistenti fra gli storici), bensì
tesa a sottrarre all’avversario la possibilità di argomentare proprio per l’“evidente” plausibilità148 del contenuto proposto. In
questo modo viene strumentalizzato il prestigio sociale di un
luminare, attingendo a una sua produzione, di cui non si danno
gli estremi,149 selezionata fra le numerosissime testimonianze di
ammirazione per l’Età medievale formulate dallo stesso storico,
nella quale questi pronuncia apoditticamente una frase che si
propone come un entimema.150 In questo «sillogismo ellittico» è
144
GUITTON J., Arte nuova di pensare, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1986 11
(s. d. orig.), pp. 109-110 e 114-117.
145
Vd. supra nt. 130.
146
Cfr. l’«argomento d’autorità» in MORTARA GARAVELLI B., Manuale di retorica,
Bompiani, Milano 1997 (1988), p. 77.
147
Il passaggio al registro confidenziale da parte di Le Goff rinvia alla comunicazione orale, nella quale è sovente implicito un «tono agonistico» [O NG
G.W., Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, Il Mulino, Bologna 1986 (1982),
pp. 73-75], che pare confermato dal fatto che «dal punto di vista della retorica l’ironia acquista la funzione di arma oratoria» (I NFANTINO M.G., L’ironia.
L’arte di comunicare con astuzia, Xenia, Milano 2000, p. 8).
148
Mi rifaccio al concetto di «struttura di plausibilità» di BERGER P.L.-LUCKMANN
TH., La realtà come costruzione sociale, Il Mulino, Bologna 1969 (1966), cap. 3.
149
Vd. supra nt. 132; è certo che individuare la fonte consenta al lettore una
sua più agevole messa in discussione critica.
150
MORTARA GARAVELLI B., op. cit., pp. 77-78.
68
Medioevo: un pregiudizio secolare
dato cioè per presupposto dal senso comune (orizzonte nel quale
pare scontato che non vi sia alcuno che «onestamente» asserirebbe
di ambire a vivere nel Medioevo), ciò che andrebbe invece appena argomentato151 con gli strumenti metodologici storiografici e
non con una battuta ad effetto. La tautologia sottesa a questa
pseudo-argomentazione è tipica, come abbiamo già evidenziato,
delle retoriche del senso comune,152 che solitamente attingono
alla ricca messe dei topoi, dei «luoghi comuni della quantità» 153,
cioè approvati dalla massa. Di questo tipo di paralogismo si può
dire, ancora, che – scritto al più tardi nel 1990 – esso pare ricordare, per la sua levità, un certo modo «giornalistico» di affrontare gli
argomenti154 e – in particolare – la storia.155
Può risultare di qualche interesse rilevare che, invece, nell’impostare il quadro storico-letterario medievale, un recentissimo manuale di letteratura italiana supera senza alcuna reticenza
il vecchio pregiudizio e, sempre per il tramite di Le Goff, pone
in particolare luce il novum, che sembra emergere soprattutto a
partire dall’anno Mille.156
Ai nostri fini – comunque – ciò non sposta i termini complessivi del discorso: il senso comune157 pare continuare a essere
151
Ciò vale in quanto l’entimema consiste in un sillogismo che non è fondato
su una premessa necessaria (cfr. A BBAGNANO N., s.v. Entimema, in ID., op. cit.,
p. 305).
152
Vd. infra nt. 165.
153
MORTARA GARAVELLI B., op. cit., pp. 78-80.
154
SORRENTINO C., Tutto fa notizia. Leggere il giornale, capire il giornalismo, Carocci,
Roma 2010, p. 134.
155
Cfr. ad es. PIVATO S., op. cit., pp. 87-88.
156
LUPERINI R.-CATALDI P.-MARCHIANI L.-MARCHESE F., Il Nuovo la scrittura e
l’interpretazione. Storia della letteratura italiana nel quadro della civiltà europea secondo
i nuovi programmi, 1, Dalle origini al Medioevo (dalle origini al 1380), Palumbo,
Palermo 2011, p. 4.
157
Cfr. anche ibidem.
69
Franz Brandmayr
informato dal consueto pregiudizio, al quale – a livello di
manualistica – vengono portate appena in questi anni le prime
critiche serie e argomentate.
A questo punto, va messo ancora in evidenza un altro aspetto della questione del pregiudizio antimedievale; finora ho creduto opportuno rimarcare soprattutto gli aspetti individuali e
psicologici del rapporto che lo storico, il docente e lo studente
potrebbero intessere con la materia medievalistica in cui si dovessero imbattere; va tuttavia ribadita anche la componente sociale dei loro eventuali comportamenti valutativi, stigmatizzanti
e anacronistici. Questi comportamenti, che scaturiscono da sentimenti e valutazioni personali,158 si inseriscono – infatti – in un
contesto collettivo e condiviso, da questa cornice olistica ricevono un rinforzo ed essi stessi, a loro volta, la corroborano,
instaurando con essa una prassi reciproca.159
Ciò accade, va detto, nonostante il soggetto, si tratti di uno
storico, di un docente o di uno studente, non sia sempre avvertito delle dinamiche psico-sociali, discorsive e interetniche, che
rendono attivi i suoi criteri valutativi e di quanto il proprio ethos
sia condizionato dall’ambiente sociale.160
In realtà non esiste solo un etnocentrismo legato ai grandi
insiemi sociali, alle grandi civiltà e alle entità nazionali; questo
concetto, se preso nel suo significato tecnico di erezione degli
schemi culturali di una «collettività» a criterio assoluto di valuta-
158
Sentimenti, valutazioni e comportamenti degli informatori costituiscono, in buona sintesi, l’oggetto della ricerca etnoantropologica [B IANCO C.,
op. cit., pp. 162-163; cfr. T URNER V., Dal rito al teatro, Il Mulino, Bologna
1986 (1982), p. 120].
159
Mi rifaccio al concetto marxiano di umwälzende Praxis (condizionamento
vicendevole).
160
Per un’introduzione a queste dinamiche vd. D UBAR C., La socializzazione.
Come si costruisce l’identità sociale, Il Mulino, Bologna 2004 (2000), passim.
70
Medioevo: un pregiudizio secolare
zione: a) della realtà; b) degli altri gruppi,161 può esprimere l’identificazione del soggetto con gli schemi culturali di una
subcultura,162 di una classe sociale,163 di un gruppo religioso, di
un partito politico e via discorrendo.164
Secondo gli antropologi esiste una versione «spontanea» 165
dell’etnocentrismo. Senza una certa dose di etnocentrismo l’individuo non avrebbe punti di riferimento, non disporrebbe di
una “mappa” interpretativa della realtà che lo circonda e si troverebbe esposto al disorientamento culturale e, forse, a
un’“anomia”166 psicologicamente destrutturante e pericolosa per
l’equilibrio personale.
La collettività in cui il soggetto è inserito, dunque, codifica e
veicola i contenuti e le articolazioni dei propri schemi attraverso una serie di linguaggi verbali, gestuali e simbolici, che solo in
parte possono venire condivisi anche da altre collettività. All’interno del gruppo ogni individuo coordina i propri comportamenti con quelli degli altri membri, in una tensione alla reciproca conferma della validità dei comuni schemi di valutazione,
emozionali ed etici. È a questo punto che si può parlare di un
“senso comune”:
161
BERNARDI B., op. cit., p. 44.
CUCHE D., La nozione di cultura nelle scienze sociali, Il Mulino, Bologna 2003
(1996), p. 58.
163
Si veda il concetto di classicentrismo in LOMBARDI SATRIANI L.M., Antropologia culturale ed analisi della cultura subalterna, Guaraldi, Firenze 1976, p. 104.
164
Per la nozione di esclusivismo culturale, una specie di etnocentrismo che
non concerne necessariamente un gruppo etnico, cfr. C IRESE A.M., Cultura,
cit., p. 7.
165
TULLIO-ALTAN C., Antropologia, cit., p. 70.
166
Si tratta, in buona sostanza, del disagio che può pervadere singoli o gruppi
a causa della «inadeguatezza delle norme» della convivenza sociale durante le
fasi di mutamento [MILANESI G., s.v. Anomia, in DEMARCHI F.-ELLENA A.CATTARINUSSI B. (a cura di), op. cit., p. 140].
162
71
Franz Brandmayr
Il senso comune non è ciò che la mente comprende spontaneamente, (una volta) liberata dal ciarpame; è quello che la mente
riempita di presupposti [(socio-culturali) …] conclude […] Come
struttura del pensiero e suo esemplare il senso comune è totalizzante come ogni altro: nessuna religione è più dogmatica, nessuna scienza più ambiziosa, nessuna filosofia più generale [… (esso)]
pretende di raggiungere la realtà oltre l’illusione, le cose come
sono [… (ciò che è)] “realmente reale”.167
Il senso comune si esprime e si nutre mediante il discorso
comune, tutto strutturato attorno agli schemi che fondano e
danno consistenza alla cultura del gruppo o di una società. Esso
si sviluppa dalla bottega alla piazza, passa attraverso l’aula scolastica, ma – come abbiamo già costatato – arriva nondimeno
nei salotti che si presumono “buoni”168, informa gran parte dei
media e, conseguentemente, viene rilanciato nuovamente ai
fruitori degli stessi mezzi di comunicazione, in uno scambio
quotidiano continuo.169 Le sue «semiqualità» sarebbero, secondo Geertz, la «naturalezza», la «praticità», la «leggerezza», la
«mancanza di metodo», una facile «accessibilità» 170 per chiunque: in buona sostanza, in questa quasi-filosofia (o filosofia spicciola) i contenuti sembrerebbero presentare i caratteri di un’ovvietà priva di ogni senso di meraviglia171 e di scoperta. All’interno di questo complesso di narrazioni il Medioevo potrebbe ri-
167
GEERTZ C., Antropologia, cit., pp. 105-106; parentesi rotonde mie.
Cfr. supra nt. 9.
169
Vd. ad es. GOFFMAN E., La vita quotidiana come rappresentazione, Il Mulino,
Bologna 1969 (1959), passim.
170
GEERTZ C., Antropologia, cit., p. 107.
171
Geertz (ivi, p. 104) mi induce a richiamare il di¦ g¦r tÕ qaum£zein oƒ
¥nqropoi [...] ½rxanto filosofe‹n [gli uomini hanno incominciato a
filosofare a causa della (capacità di provare) meraviglia (A RISTOTELE, Metafisica, 2, 12-13); trad. di Giovanni Reale; parentesi rotonda mia].
168
72
Medioevo: un pregiudizio secolare
sultare configurato (è quanto un’analisi antropologica dovrebbe
accertare) alla stregua dei divertenti luoghi comuni tanto spiritosamente descritti da Régine Pernoud nella raccolta di saggi
che ho ripetutamente citato.
L’etnocentrismo (quello cosiddetto spontaneo, perlomeno),
dunque, è un atteggiamento insito nella condizione umana, abbiamo detto e ciò, a scanso di idealismi fuorvianti, non va mai
dimenticato.172 Esistono, però, due reazioni tipiche a una constatazione di questo genere: una, la prima, configura una sorta di
nichilismo antiscientifico,173 che porta a negare al ricercatore ogni
competenza a proferire qualsivoglia contenuto sull’“Altro”, che
non sia una mera proiezione del sé. La seconda reazione, simmetrica alla prima, parte dalla identica considerazione dell’impossibilità di evitare l’etnocentrismo, ma ne ricava una conclusione
opposta e propone una “scienza” consapevolmente etnocentrica
(una sorta di ossimoro, direi) e tetragona ad accogliere contributi
dagli out-groups, a meno che non siano consonanti174 con la propria concezione della realtà. Questa seconda posizione risulta,
probabilmente, presente sia al livello del discorso comune175 che a
quello accademico176 e si caratterizza per la confusione che tende
a operare fra i concetti di storiografia e di memoria storica.177 Si
172
Cfr. ad es. MALIGHETTI R., s.v. Etnocentrismo critico, in FABIETTI U.-REMOTTI
F. (a cura di), op. cit., p. 274.
173
Cfr., ad es., GEERTZ C., L’io testimoniante. I figli di Malinowsky, in ID., Opere e
vite L’antropologo come autore, Il Mulino, Bologna 1995 (1992), pp. 101-102. Vd.
anche supra nt. 31.
174
Cfr. TRENTIN R., Gli atteggiamenti sociali, in ARCURI L. (a cura di), op. cit., pp.
274-281, soprattutto a p. 276.
175
Vd. ad es. DAWSON CH., op. cit., p. 17.
176
La Pernoud scriveva che «per la Sorbona, tra Plotino e Cartesio non c’è
niente» (EAD., op. cit., pp. 49 e 153).
177
Vd. supra nt. 124.
73
Franz Brandmayr
tratta di un salto di qualità che, sempre a detta degli antropologi,
può provocare il passaggio a una versione «ideologica» dell’etnocentrismo; è quanto si verificherebbe allorché venisse teorizzata
consapevolmente una presunta superiorità della propria cultura
di appartenenza rispetto alle culture “altre”178. A un etnocentrismo spontaneo si sostituirebbe, allora, una costruzione sociale
più dottrinaria, solitamente pianificata e promossa da agenzie e
da gruppi di interesse,179 che intendono porsi a capo o – comunque – concorrere all’elaborazione di un processo di autoaffermazione o addirittura di egemonizzazione180 rispetto a culture o subculture altre percepite come antagonistiche.181
Esiste, però, una terza via, quella dell’“etnocentrismo critico” prefigurato da Ernesto de Martino182 e rielaborato da Vittorio Lanternari183. In poche parole, partendo dal dato inevitabile
dell’etnocentrismo, si tratterebbe di operare delle concettualizzazioni che consentano, tanto allo storico quanto allo studente,
di «defamiliarizzarsi»184 rispetto ai propri paradigmi valutativi e
di simpatizzare185 con quelli altrui, dopo averli conosciuti attraverso lo spoglio documentario e i testi specialistici (lo storico o,
178
TULLIO-ALTAN C., Antropologia, cit., p. 70.
Cfr. COLOMBO E., Le società multiculturali, Carocci, Roma 2002, pp. 53-57;
FABIETTI U., L’identità etnica. Storia e critica di un concetto equivoco, Carocci, Roma
19982 (1995), pp. 33-34.
180
AIME M., s.v. Egemonia, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), op. cit., pp. 256-257.
181
Cfr. il concetto di “acculturazione” in CUCHE D., op. cit., pp. 63-83.
182
DE MARTINO E., La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali,
Einaudi, Torino 1977, pp. 396-397.
183
LANTERNARI V., Ernesto De Martino, etnologo meridionalista: vent’anni dopo, in
“L’Uomo”, 1, 1977, pp. 29-56.
184
Cfr. CLEMENTE P., Lontananze vicine: sui modi di pensare e insegnare l’antropologia
nel mondo globale, in PASQUINELLI C., (a cura di), op. cit., p. 167.
185
Vd. infra paragrafo 3.
179
74
Medioevo: un pregiudizio secolare
eventualmente, il docente) o, più modestamente, attraverso i
manuali (lo studente).
2.3. Effetto alone, selettività, tautologia ed etnicità
Per le cause già accennate sopra186 il Medioevo costituisce un
complesso di contenuti didattici che si presta in modo particolare a subire l’azione dell’effetto alone, cioè la tendenza del soggetto inquirente a «lasciarsi guidare da un’impressione generale
o da un tratto emergente»187 invece che da una totalità di fatti
rilevati empiricamente e analizzati nei loro rapporti reciproci.
Nei dialoghi didattici in aula – come ogni insegnante sa bene –
è molto frequente emergano dagli studenti (solo da loro?) “sintesi” piuttosto stereotipate su tematiche che abbisognerebbero
di trattazioni ben più articolate, più ricche di sfumature e, soprattutto, con un riferimento più preciso alla documentazione
relativa all’oggetto di studio.188
Quando si spiega, ad esempio, che le critiche più risolute all’azione dei tribunali dell’Inquisizione durante la “crociata degli
albigesi”189 provengono dall’interno della Chiesa, gli studenti perplessi – almeno all’inizio – scoprono essere la Chiesa un organismo piuttosto complesso e multivoco, dove – nella fattispecie –
gli inquisitori domenicani incontravano una forte opposizione da
parte dei vescovi nelle diocesi dei quali si trovavano a operare,190
186
Cfr. supra paragrafo 1.
MANDL H., s.v. Alone/effetto, in ARNOLD W.-EYSENCK H.J.-MEILI R. (a cura
di), op. cit., p. 61.
188
PERNOUD R., op. cit., pp. 144 e 173.
189
Metto fra virgolette l’espressione, perché il termine “crociata” è moderno
(ivi, p. 141, nt. 13).
190
CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., pp. 36 e 40; DEDIEU J.-P., op. cit., pp. 1416 et alibi.
187
75
Franz Brandmayr
in cui Domenico di Guzmàn stesso «non era favorevole all’uso
della forza» e nel quale «anche la popolazione cattolica (della
Linguadoca) detestava l’istituzione inquisitoria, perché simboleggiava un’occupazione mal sopportata»191. All’interno della Chiesa, del resto, non si era mai inaridita nei secoli una corrente di
pensiero192, spesso perdente, ma mai priva di influenza, che caldeggiava linee d’azione missionaria non-violente direttamente
improntate al vangelo, piuttosto che alla Realpolitik ritenuta funzionale al governo della societas christiana.
Francesco d’Assisi e Domenico, personaggi carismatici personalmente propensi alla predicazione pacifica,193 la popolazione cattolica del Mezzogiorno francese insofferente nei confronti
degli eserciti del re e dei grandi feudatari del Nord (a loro volta
cattolici), veri vincitori politico-militari della crociata degli
albigesi,194 le gerarchie ecclesiastiche e civili locali sovente vicine ai borghesi catari195 e ostili ai domenicani forestieri, le indicazioni – spesso mitigatrici nei toni196 – provenienti dai papi di
Roma… Si fa presto a dire: “Chiesa”. Dov’è la Chiesa qui? È la
Chiesa gerarchica? Ma, in questo modo, il concetto risulta
pregiudizialmente valutativo, come ora cercherò di chiarire. È la
191
Ivi, p. 18 (parentesi mia).
Cfr. ad es. CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p. 65; DEDIEU J.-P., op. cit., p.
12. FLORI J., Le crociate, cit., pp. 13-16 preferisce, invece, mettere in evidenza
il processo di «sacralizzazione della guerra» interno alla Chiesa, completatosi
dopo l’anno Mille in seguito al processo di acculturazione verificatosi nel
plurisecolare contatto fra la Chiesa stessa e le popolazioni germaniche.
193
DEDIEU J.-P., op. cit., p. 12.
194
CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p. 32; DEDIEU J.-P., op. cit., p. 17. Al di là
della crociata degli albigesi, sul rapporto potere politico/Inquisizione e
sull’egemonizzazione di questa ad opera degli Stati, vd. CARDINI F.-MONTESANO
M., op. cit., pp. 36, 49, 81-98 e 159; DEDIEU J.-P., op. cit., pp. 12-27.
195
Ivi, p. 19 et alibi.
196
Cfr. CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p. 32; DEDIEU J.-P., op. cit., p. 18.
192
76
Medioevo: un pregiudizio secolare
“Chiesa spirituale”197 dei santi succitati? Oppure dobbiamo espellerne Domenico, come fa qualcuno, per le nefandezze ascritte
al suo ordine? Eppure non è infrequente il caso dei domenicani
che, proprio perché giudicano in favore del presunto eretico, si
inimicano l’autorità civile e la popolazione locale propense all’esecuzione.198 Ciò sembra confermare ulteriormente l’opportunità che l’evento storico della cosiddetta “crociata” venga letto con una serie più articolata di chiavi di lettura. Infatti, non
sempre vengono considerate, accanto alle istanze omologatrici199
della Chiesa, che certo sussistono, anche le dinamiche locali (conflitti di potere, la concorrenza economica interna a una classe
mercantile in espansione, risentimenti personali, vendette politiche200 ecc.), oltre alle mire espansionistiche del re di Francia e
dei suoi feudatari settentrionali.
Ma, se identifichiamo la Chiesa con le sue élites dove collochiamo, in questo caso, la Chiesa della religione popolare, tanto
rivalutata dalla più matura storiografia degli ultimi decenni 201 e
che coinvolge la gran parte delle popolazioni europee di allora?
Che cosa intendono gli autori dei manuali designando l’istituzione ecclesiale? E il docente? E che cosa coglie, in tutto ciò, lo
studente? Si tratta, direi, di uno dei numerosi casi in cui un’etichetta categoriale, il vocabolo “Chiesa”, che viene ingiustificatamente a designare le generiche “gerarchie” (quali poi? quelle
del clero regolare o di quello secolare? tutte e due?), si estende a
197
Mi riferisco al noto concetto della tradizione gioachimita (cfr. P OTESTÀ
G.L., s.v. Gioacchino da Fiore, in AA.VV., Enciclopedia Garzanti, cit., p. 357).
198
CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p. 54.
199
Ivi, p. 160.
200
Ivi, p. 35.
201
Per una bibliografia introduttiva vd., ad es., G UREVIČ A.J., op. cit., passim;
MANSELLI R., op. cit., passim e SCHMITT J.C., Religione folklore e società nell’Occidente
medievale, Laterza, Bari 1988 (anno), passim.
77
Franz Brandmayr
coprire semanticamente un’ampia serie di altri sottoinsiemi (dei
quali ho elencato una parte) compresi nella societas ecclesiale.
Non si tratta, tuttavia, di un’estensione semantica dalle conseguenze meramente teoriche e oziose: se ne può ricavare una
generica impressione di monolitismo ecclesiale che, storicamente, non si è assolutamente dato. L’effetto alone, in questo
modo, pare assicurato: i «tratti (che si vorrebbero) emergenti»
del potere e della violenza assorbono in un unico lemma omologante tutta una pluralità di diverse componenti sociali, culturali e politico-militari (clero/popolo, clero regolare/clero
secolare, clerici/bellatores, borghesi/popolo, alto clero/basso
clero, monarchia francese/papato, re e grandi feudatari del
Nord della Francia/feudatari meridionali, inquisitori/non-inquisitori ecc.), nessuna delle quali, fatte salve le élites più consapevoli dei catari,202 avrebbe mai rinunciato alla propria prerogativa di appartenere alla cristianità.
Pertanto, applicando il concetto di Chiesa senza una definizione precisa dei suoi contorni sociologici, non è impossibile
che esso perda di consistenza e si riduca a una mera etichetta
categoriale. In questo modo il ricercatore, il docente o lo studente sono esposti a una serie di rischi teoretici: a) il riduzionismo
della comunità ecclesiale a una sua parte: la gerarchia, e ciò – di
solito – senza un’adeguata motivazione metodologica; b)
l’anacronismo di un dualismo radicale203 clero/laicato,204 la cui
radice socio-culturale è decisamente moderna, viene proiettato
202
Nel catarismo «strutturatosi in modo mimetico rispetto all’organismo ecclesiastico egemone» (MERLO G.G., op. cit., p. 45) i simpatizzanti tendevano a
riconoscere nei «perfetti» semplicemente dei «buoni cristiani», senza rendersi sempre conto del fatto che si trattasse di una religione dualistica e diversa
dal cristianesimo.
203
Cioè l’antitesi inconciliabile di due entità concepite come opposte (V IGLINO
U., s.v. Dualismo, in AA.VV., Enciclopedia Cattolica, cit., vol. IV, c. 1942).
204
Cfr. GRAFF H.J., op. cit., pp. 104, 111 e 113.
78
Medioevo: un pregiudizio secolare
nel XIII secolo,205 epoca nella quale era – al contrario – nettamente dominante una concezione ecclesiale sì dialettica, 206 ma
anche fortemente unitaria;207 c) l’affermazione di una sorta di
univocità del gruppo-Chiesa e la complementare obliterazione
dell’esistenza di un pluralismo di culture e subculture ecclesiali,
di cui la storiografia dà abbondante testimonianza; d) la perdita
di concretezza storica dovuta al misconoscimento della
microstoria e della storia locale, che – della crociata – offrono
molte varianti contraddittorie rispetto alla «leggenda nera».208
205
TORTAROLO E., Laicismo, Laterza, Roma-Bari 1998, pp. 11-13.
Cfr. REINHARD W., Storia dello stato moderno, Il Mulino, Bologna 2010 (2007),
p. 58.
207
Cfr. il concetto di «unipolarità» del «corpo della Chiesa» (U LLMANN W., op.
cit., p. 24).
208
DEDIEU J.-P., op. cit., p. 6. Trattare a fondo la questione dell’Inquisizione e
dei diritti umani (cfr. supra paragrafo 1.1.) non fa parte degli scopi di questo
saggio, pertanto mi limito a una brevissima serie di riferimenti forse indicativi di un certo uso della storia poi concretizzatosi nella “leggenda nera”.
Può essere interessante rilevare, ad esempio, la comminazione della condanna a morte al “solo” (non si tratta comunque di una vittoria della civiltà…)
1% degli imputati da parte del tribunale dell’Inquisizione di Tolosa nella
seconda metà del Duecento (DEDIEU J.-P., op. cit., p. 18); questo 1 % va ridotto ulteriormente, in quanto è certo che la condanna spesso si risolveva in un
pentimento dell’ultima ora davanti al patibolo. La «moderazione» degli inquisitori si concretizzava, inoltre, anche con la risoluzione pro reo in dubiis
(CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p. 57), con una pratica della tortura che –
a differenza da quella esercitata dai poteri laici – non doveva portare alla
morte (ivi, p. 61), né alle mutilazioni (ivi, p. 55), che era sottoposta a limitazioni e controlli (ivi, pp. 63 e 65), a sospensioni e annullamenti (ivi, p. 62). La
tortura – ancora – praticata dagli Stati fino al XVIII secolo, secondo alcuni
autori fu «forse» poco usata, «perché raramente documentata» [P AOLINI L., Il
modello italiano nella manualistica, in AA.VV., L’Inquisizione, Atti del Simposio
internazionale (29-31 ottobre 1998) Città del Vaticano, Roma 2003, p. 101].
Senza misconoscere l’esistenza di una certa letteratura che tende a minimizzare la portata delle vicende delle Inquisizioni, Cardini ricorda che il confronto sulla tortura va fatto con i contemporanei [ivi, p. 64; cfr. anche L E
206
79
Franz Brandmayr
Può essere di qualche utilità notare come di tutti questi aspetti
descrittivi, che rendono problematica l’interpretazione della crociata degli albigesi e dell’Inquisizione, il già citato manuale di
Giardina, Sabbatucci e Vidotto non riporti praticamente nulla.209
Una consapevolezza più profonda della matrice etnicoidentitaria del conflitto e della strumentalità dell’alibi religioso
dei «Franchi», portatori della cultura feudale del Nord francese e lanciati alla conquista della civiltà urbana «romana» della
Linguadoca, traspare – invece – in un testo recente,210 nel quale si afferma a chiare lettere che «la crociata contro gli albigesi
appare un momento significativo nel processo di consolidamento territoriale della monarchia francese» 211. Per il resto,
però, neanche De Bernardi e Guarracino consentono allo studente del XXI secolo, a mio avviso, di comprendere come mai,
in una istituzione che si proclamava fondata sul Vangelo, una
consistente parte delle gerarchie e degli intellettuali potesse
non trovare abominevole l’impiego della coercizione violenta
e di massa nella propria pratica pastorale.212 Non vi si trova
alcun riferimento al Decretum Gratiani,213 uno dei documenti
fondamentali del Medioevo, nessun richiamo al concetto di
GOFF J., La nascita del Purgatorio, Einaudi, Torino 19962 (1981), p. 248; vd.
supra al paragrafo 2.2. le osservazioni sugli anacronismi] e che i dati quantitativi
sull’Inquisizione sono ancora carenti (CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p.
158) e, pertanto, anche gli storici rischiano di subire l’influenza dell’effetto
alone (cfr. DEDIEU J.-P., op. cit., p. 76).
209
Cfr. GIARDINA A.-SABBATUCCI G.-VIDOTTO V., Uomini, cit., pp. 89-94.
210
DE BERNARDI A.-GUARRACINO S., I saperi della storia. 1. Dalla società feudale alla crisi
del Seicento, Paravia Bruno Mondadori, Milano 2006, p. 72; gli Autori evitano,
peraltro, di menzionare le numerose vittime cattoliche delle stragi perpetrate dai
Franchi (cfr. DE ROSA G., Storia medioevale, Minerva Italica, s.l., 19823, p. 187).
211
DE BERNARDI A.-GUARRACINO S., op. cit., p. 73.
212
Ivi, pp. 70-73.
213
DE ROSA G., op. cit., pp. 188-189.
80
Medioevo: un pregiudizio secolare
società olistica214 né al delitto di lesa maestà,215 nessuna vera
esplorazione della mentalità medievale, nessuno sforzo
ermeneutico: l’“Altro” rimane distante e fissato nella sua riprovevole estraneità, resa in maniera quasi caricaturale.
Eppure già il De Rosa, ad esempio, nel suo vecchio manuale
aveva proposto un’interpretazione che non sembrava affatto una
giustificazione.216 Che l’avesse fatto con spirito apologetico, in
quanto studioso di matrice cattolica? La storiografia si ridurrebbe, allora, a una noiosa sequenza di polemiche da quotidiano sportivo, con la “curva nord” a disputare con la “curva sud” intorno
al comportamento arbitrale? Comprendere significa forse giustificare? Un approccio ermeneutico comporta necessariamente il
condividere i valori e le scelte dell’“avversario”? Domande
senz’altro retoriche, ma la cui riproposizione pare essere tutt’altro
che fuori luogo in una temperie culturale nella quale vengono
giustamente denunciati tanto gli usi e abusi della storia quanto il
dilettantismo. Perciò su quest’argomento dovrò ancora insistere
più avanti, ma – nel frattempo – possiamo rilevare anche nei casi
ora richiamati il persistente riprodursi delle dinamiche
etnocentriche e psicosociali che andiamo analizzando.
Certo, le esigenze di sintesi didattica richiedono inevitabilmente il ricorso a espedienti, che scoprono il fianco a questo
genere di difetto: con gli studenti – si dice – non sempre si può
entrare in un dettaglio troppo analitico. L’effetto alone, in ogni
caso, rivela meglio la sua qualità affabulatoria se esaminato
unitamente a un’altra caratteristica che, non di rado, accompa-
214
MATERA V., s.v. Olismo/individualismo, in FABIETTI U.-REMOTTI F., op. cit., pp.
531-532.
215
CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p. 9.
216
DE ROSA G., op. cit., pp. 188-189; certo, lo storico siciliano mi dà talvolta
l’impressione di non volere scendere troppo nei particolari di questo nodo
storico scabroso.
81
Franz Brandmayr
gna le narrazioni sul Medioevo: si tratta dell’«esposizione
selettiva»217. Essa consiste nella
tendenza delle persone a cercare informazioni congruenti con i
loro sentimenti, credenze e comportamenti passati e ad evitare
attivamente quelle incoerenti o dissonanti.218
Alla reticenza ad ascoltare ciò che non collima con le proprie
idee si associa, in maniera complementare, l’«aspettativa
stereotipica»219, che induce il soggetto a rilevare nell’oggetto del
suo studio solo ed esclusivamente i tratti culturali, che sarebbe
stato disposto a reperire fin dal principio.
Vediamo ancora qualche esempio.
Caprara scrive ancora del “triste panorama” offerto dalle
scienze astronomiche di allora. «Ne era responsabile la diffusione del cristianesimo che […] imponeva la descrizione (sic)
della Bibbia e del capitolo (sic) della Genesi» 220. A prescindere
dall’incompetenza circa gli aspetti esegetico-biblici e dal grave
errore cronologico dell’attribuzione di un potere impositivo
alla Chiesa del Terzo secolo (notoriamente oppressa dalle au-
217
GILI G., op. cit., pp. 42 ss. ne scrive collegando l’esposizione con gli altri
due meccanismi selettivi della percezione e della memorizzazione.
218
TRENTIN R., Gli atteggiamenti sociali, in ARCURI L. (a cura di), op. cit., p. 276.
219
ID., Percezione e cognizione sociale, in ID. (a cura di), Manuale, cit., p. 127.
220
CAPRARA G., op. cit., p. 42. Non è qui possibile esplicitare nei dettagli
l’erroneità del linguaggio del Caprara: basti ricordare che, in un’opera di divulgazione scientifica, risulta quantomeno equivoco riferirsi a una narrazione cosmogonica con il termine di «descrizione» (cfr. A BBAGNANO N., s.v. Descrittivo, in ID., op. cit., p. 218), che risulta certamente inadeguato per esprimere il significato [BONORA A., s.v. Cosmo, in ROSSANO P.-RAVASI G.-GIRLANDA
A. (a cura di), Nuovo dizionario di teologia biblica, San Paolo, Cinisello Balsamo
(MI) 20017 (1988), pp. 327-328] dei due “racconti della creazione” compresi
nei primi tre capitoli della Bibbia.
82
Medioevo: un pregiudizio secolare
torità imperiali)221, risalta fin dal primo impatto con il testo la
selezione operata dall’Autore, che – fra tutte le dottrine soteriologiche orientali, coinvolgenti e ricche di cosmogonie e di
riferimenti cosmologico-escatologici i più immaginifici, 222 di
cui la civiltà romana (ormai priva di riferimenti valoriali significativi)223 è assetata – sceglie il cristianesimo ed esso soltanto
come causa dell’oscurantismo anti-astronomico. A una contestualizzazione (è la soluzione migliore?) o a una attenuazione
dei toni [es.: la Chiesa (ovviamente quella teodosiana e postteodosiana, dal 391 in poi) «concorre a promuovere una concezione creazionistica» (e chi non lo faceva, allora?)] o a una
estensione delle corresponsabilità (se proprio si deve studiare
il passato per cercare dei colpevoli, non è meglio trovarli tutti?), il Caprara preferisce forse «dare informazioni congruenti
con i propri sentimenti ed evitare quelle incoerenti o dissonanti» rispetto agli stessi? In un eventuale sviluppo di questa
indagine sarebbe opportuno riprendere questo quesito, per riconnetterlo agli attuali usi e abusi della storia finalizzati a possibili strumentalizzazioni nella sfera pubblica. Questa argomentazione iniziale dell’Autore sembra essere il preludio interpretativo di più di un millennio di scienza e tecnica e, infatti, il Medioevo narrato dal nostro si caratterizzerà per una serie di carenze, o di “oscuramenti”, frutto di operazioni che
noi, fino a prova contraria, non vogliamo pensare come dolosamente falsificanti bensì come inconsapevolmente selettive.
221
È il secolo delle dure persecuzioni di Simplicio Severo, di Decio e Valeriano
[FRANZEN A., Breve storia della Chiesa, Queriniana, Brescia 19825 (1965), pp. 57-61].
222
CUMONT F., Le religioni orientali nel paganesimo romano, Laterza, Bari 1967
(1913), pp. 56-58; vd. anche E LIADE M., Paganesimo, cristianesimo e gnosi all’epoca
imperiale, in ID., Storia delle credenze e delle idee religiose, II, Da Gautama Buddha al
trionfo del Cristianesimo, Sansoni, Firenze 1980 (1978), pp. 363-394.
223
CUMONT F., op. cit., p. 54.
83
Franz Brandmayr
Ad esempio, nel suo volume non vi è alcuna menzione del
fatto che il Medioevo riconobbe il valore delle arti meccaniche224
e che lo fece «investendo le arti pratiche di un significato spirituale»225, per il quale «venne loro conferita una nuova dignità»226. Né
il Caprara scrive che a compiere questo passo sotto il profilo
teorico è l’abate-filosofo Giovanni Scoto Eriugena, che nel IX
secolo equipara il lavoro manuale a quello intellettuale227 e opera – con ciò – una netta rottura epistemologica sia nei confronti
della civiltà classica che rispetto al pensiero di Agostino
d’Ippona.228 Nella società «ecclesiologica»229 dell’alto Medioevo,
infatti, il fine di ogni vita, che non può essere altro che vita
cristiana, è: divenire “immagine e somiglianza di Dio”, e ciò si
realizza anche attraverso il lavoro.230 Già a partire dal VI secolo
224
Associandole per dignità a quelle liberali (LE GOFF J., Il Medioevo, cit., p. 71).
NOBLE D.F., op. cit., p. 17.
226
DOLZA L., op. cit., p. 52.
227
NOBLE D.F., op. cit., p. 20; Dolza, invece, sembra situare nel secolo XII,
quello della Rinascenza, questo passaggio assai importante sotto il profilo
teorico-filosofico: secondo la storica sarebbe stato Ugo da San Vittore a
«colloca[re] le arti meccaniche nell’ambito del sapere» nelle sue opere intitolate Didascalicon ed Epitome Dindimi in philosophiam (DOLZA L., op. cit., p. 57;
parentesi quadrata mia). In Noble (ivi, pp. 24-26) gli scritti di Ugo sembrano
avere piuttosto un valore di rinforzo e di amplificazione, nella mutata temperie
culturale, dei contenuti elaborati da Giovanni Scoto. Cfr. anche L E GOFF J.,
Lavoro, tecniche e artigiani nei sistemi di valore dell’alto Medioevo (V-X secolo), in I D.,
Tempo, cit., (1971), p. 90, che avvalora la posizione di Noble.
228
NOBLE D.F., op. cit., p. 21. Come è noto, Agostino, già manicheo e – comunque – neoplatonico anche dopo la conversione, manifesta un atteggiamento non particolarmente positivo verso la materia in generale e il lavoro
manuale in particolare (DOLZA L., op. cit., pp. 47-48; cfr. NOBLE D.F., op. cit.,
14-15 ); in definitiva egli non sembra discostarsi dalla posizione classica, che
fa prevalere le arti liberali su ogni altra forma di attività umana.
229
ULLMANN W., op. cit., p. 12 et passim.
230
DOLZA L., op. cit., p. 51. Cfr. infra le nt. 314 e 321.
225
84
Medioevo: un pregiudizio secolare
le comunità benedettine, con il loro celebre motto ora et labora,
si sforzano di tradurre questa concezione del mondo in comportamenti conseguenti, con la ferma convinzione che l’attività
pratica e la tecnica servano i disegni divini, oltre che la stessa
comunità monastica.231 In questo modo
l’ideologia del lavoro viene riscattata positivamente dal cristianesimo e sarà determinante anche per la nascita e la diffusione […]
dei mestieri;
sarà dunque la progressiva evangelizzazione dell’Europa a modificare l’attitudine dell’uomo medievale verso il lavoro manuale,232 il quale assumerà – in questo modo – un «significato spirituale»233 in tutta l’area cristianizzata. Persino gli attrezzi da lavoro, in particolare quelli prodotti con il ferro o con parti in ferro,234 vengono assimilati dalla Regola benedettina agli stessi vasi
sacri.235 Marc Bloch non teme di scrivere che le
acquisizioni e invenzioni (medievali) portano, a ben vedere, la
stessa testimonianza: quella di una notevole agilità delle mani,
dello sguardo e dello spirito. In questa capacità di rinnovamento,
diffusa sin nelle masse degli artigiani, come non riconoscere una
delle fonti di quella grandezza europea che fu vista sorgere, con
231
DOLZA L., op. cit., p. 50.
Ivi, p. 51; sull’importanza del lavoro già agli inizi del monachesimo copto
vd. LAWRENCE C.H., op. cit., pp. 35 e 64.
233
NOBLE D.F., op. cit., p. 17; sarà l’umanista Petrarca a manifestare un rinnovato disprezzo verso il lavoro manuale (FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI M.,
op. cit., p. 230).
234
Nella storia delle religioni sono conosciuti i significati simbolici attribuiti
alla figura del fabbro [ELIADE M., Storia delle credenze e delle idee religiose, I, Dall’età della pietra ai misteri eleusini, Sansoni, Firenze 1996 (1975), pp. 65-68].
235
LE GOFF J., Lavoro, cit., p. 86.
232
85
Franz Brandmayr
uno slancio così prodigioso, dal seno dei torbidi più gravi? L’homo europaeus, in altri termini, fu per eccellenza un homo faber. 236
Il «gusto dell’esperimento»237, la sete di scoperta e di ricerca
che porterà gli europei alla conquista del mondo,238 l’ingegno e
l’abilità meccanica tali da raggiungere «risultati tecnici moderni»239 non sembrano giustificare l’appellativo di “zotico e incolto”240 attribuito all’uomo medievale. Si può giustamente porre
l’obiezione che i riferimenti dei nostri storici sembrano calcare
l’accento sulla dimensione della tecnica più che su quella della
scienza, tuttavia già nel 1959 Butterfield osservava che
si comincia ora a comprendere che la storia della tecnica ha, nello sviluppo del movimento scientifico, una parte più importante
di quanto si reputasse un tempo.241
Ancora, a un uomo medievale esageratamente rappresentato come alienato e proiettato verso attese ultraterrene,242 Garin
236
BLOCH M., Le “invenzioni” medievali, in ID., Lavoro, cit., p. 210; parentesi mia.
ID., Le “invenzioni”, cit., pp. 204-205.
238
DOLZA L., op. cit., p. 83.
239
BUTTERFIELD H., Le origini della scienza moderna, Il Mulino, Bologna 1998
(1958), p. 110.
240
Cfr. PERNOUD R., op. cit., p. 45.
241
BUTTERFIELD H., op. cit., p. 110.
242
Sul «dualismo tra l’“aldilà” e l’“aldiquà” che la maggior parte degli storici attuali riduce sbrigativamente a evasione dal mondo» (CARMO FELICIANI
S., Introduzione, cit., p. 8) pare concentrarsi con una certa insistenza forse
anche Le Goff (cfr., ad es., I D., Lavoro, cit., pp. 75 e 85 e I D., Medioevo, cit.,
p. 23), che – in quei casi – sembra tenere in scarso conto il giovanneo
Verbum caro factum est e le conseguenze storiche che ne sono derivate; eppure sul cattolicesimo inteso come fomite della «religione della tecnologia»
(cfr. NOBLE D.F., op. cit., passim) e «del lavoro» (cfr. infra nt. 354) pare concordare anche lo storico francese.
237
86
Medioevo: un pregiudizio secolare
sembra restituire il suo spirito d’invenzione e la sua attitudine
alla ricerca, a perseguire la conoscenza e ad aderire alla realtà
concreta.
Quando, liberati da una pericolosa eredità illuministica, gli storici della filosofia avranno imparato a valutare in pieno, nel suo
reale significato, l’enorme produzione medievale medico-magica, astrologica, alchimistica, ci renderemo, credo, conto di una
esigenza di congiungere la cognizione […] delle cose con la trasformazione di esse secondo i bisogni umani: di far convergere
continuamente teoria e pratica, tecnica e scienza: di afferrare un
ordine esistente, ma per modificarlo.243
Prendiamo ora in esame un altro aspetto della cultura diffusa: l’alfabetizzazione, senza la quale, sottolineano due fra i massimi studiosi della tradizione orale, non avrebbe potuto sussistere una logica lineare,244 quella stessa che ha contribuito al
decollo culturale, sociale ed economico dell’Europa.245 In relazione a questo vasto campo voglio qui richiamare la rilevanza,
anche a giudizio di Le Goff,246 dell’estendersi dell’istruzione
commerciale e giuridica nel periodo che va dall’XI al XIII secolo. Laici appartenenti alla nascente classe media dei commercianti, dei notai e degli avvocati fondarono scuole con curricula
propri.247 L’offerta formativa, come la si chiamerebbe oggi con
243
GARIN E., op. cit., p. 25; cfr. anche P ERNOUD R., op. cit., p. 30.
GOODY J., Il potere della tradizione scritta, Bollati Boringhieri, Torino 2002
(2000), pp. 88-94; cfr. ONG W.J., op. cit., p. 89.
245
Cfr. CIPOLLA C.M., Vele e cannoni, Il Mulino, Bologna 1999 3 (1965), p. 87;
DAWSON CH., op. cit., p. 20; LE GOFF J., Il Medioevo, cit., p. 69.
246
Vd. infra nt. 253.
247
CIPOLLA C.M., Istruzione e sviluppo. Il declino dell’analfabetismo nel mondo occidentale, Il Mulino, Bologna 2002 (1969), pp. 51ss; G RAFF H.J., op. cit., pp. 110
e 125-126.
244
87
Franz Brandmayr
espressione mercantile, aumentò la propria diversificazione in
svariate zone geografiche europee toccate dal fenomeno dell’urbanesimo e ciò al punto di determinare nel XII secolo una
sorta di competizione fra le scuole monastiche e quelle secolari.248 Graff riporta l’esempio inglese del secolo XIII, quando
esisteva una vasta gamma di istituti: Grammar Schools, scuole cattedrali, scuole di monastero, scuole di chiese collegiate,249 Hospital
Schools, scuole di gilda, scuole comunali, cappellanie, scuole parrocchiali primarie, oltre a varie scuole specialistiche (di canto, di
scrittura, di lettura) e ad altre opportunità informali.250 Oramai
nell’Inghilterra del XIII secolo
reali, nobili, cavalieri, mercanti ed ecclesiastici erano nella stragrande maggioranza in grado di leggere e scrivere. Fra gli artigiani l’alfabetizzazione era divenuta più diffusa, ma restava molto
lontano dall’essere universale. Fra i contadini dovette rimanere
cosa rara, ma non del tutto impossibile.251
Il fatto può lasciare freddo l’osservatore contemporaneo,
abituato all’attuale velocità del mutamento sociale, ma non è
certo questo sguardo assuefatto quello che permette di cogliere
lo specifico medievale; all’occhio incapace di guardare con partecipazione252 il fenomeno storico del deciso ampliamento delle
percentuali di alfabetismo rischia di sfuggire la rivoluzione cul-
248
LAWRENCE C.H., op. cit., pp. 193-195.
«Dal latino collegium, “associazione”. Chiesa che possiede un capitolo di
canonici, di solito regolari, pur senza essere la sede di un vescovato»
[BARBERO A.-FRUGONI C., Dizionario del Medioevo, Laterza, Roma-Bari 20022
(1994), p. 78].
250
GRAFF H.J., op. cit., pp. 136-137.
251
Ivi, p. 133.
252
Vd. infra paragrafo 3.
249
88
Medioevo: un pregiudizio secolare
turale, che – secondo Graff – si sarebbe verificata fra il X e il
XIII secolo: «una cosa molto più nuova di quanto non sarebbe
diventata più tardi»253. Viene compresa – per la prima volta a un
livello massivo – l’utilità dell’istruzione «per la partecipazione, il
servizio, il potere»254. Persino la cultura cavalleresca non è più
ostile255 alle lettere e all’alfabetizzazione256.
A questo proposito Ullmann scrive del riuscito amalgama
degli elementi cristiani, romani e germanici, anche se questi ultimi «dovettero cedere alla autorità della dottrina e del dogma»257.
Parafrasando la celebre battuta di Stalin, secondo il quale lo Stato del Vaticano disponeva di troppo poche divisioni per impensierirlo, gli storici solitamente sono propensi a credere che – più
che imporre la dottrina e il dogma – la Chiesa abbia piuttosto
esercitato una costante pressione culturale e sociale sulle aristocrazie germaniche e che lo abbia fatto soprattutto per mezzo
del “cavallo di Troia” rappresentato dai numerosi membri della
nobiltà, che nel corso di tutto l’alto Medioevo ingrossarono le
file di quelli che furono alfine chiamati gli oratores e, in questo
253
GRAFF H.J., op. cit., p. 107. «La lettura si diffonde ben prima della galassia
Gutenberg e l’alfabetizzazione – è il fenomeno culturale che più conta – non
attende l’invenzione della stampa» (LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., p. XX).
254
GRAFF H.J., op. cit., p. 107.
255
Per una serie di indicazioni introduttive circa il lento evolvere delle culture
germaniche da una tradizione orale alla loro «romanizzazione» (cfr. U LLMANN
W., op. cit., p. 29) vd., ad es., BARBERO A., Santi laici e guerrieri. Le trasformazioni
di un modello nell’agiografia altomedievale, in B ARONE G.-CAFFIERO M.-SCORZA
BARCELLONA F. (a cura di), Modelli di santità e modelli di comportamento, Rosenberg
& Sellier, Torino 1994, p. 127; CHABOD F., op. cit., p. 38; CIPOLLA C.M., Istruzione, cit., pp. 47-48; DAWSON CH., op. cit., pp. 89-131; ELIADE M., La nascita
mistica, Morcelliana, Brescia 19883 (1958), pp. 125-130; ID., Storia, cit., pp.
164-166; cfr. anche PERNOUD R., op. cit., p. 55.
256
GRAFF H.J., op. cit., pp. 120, 122 e 128.
257
ULLMANN W., Radici, cit., p. 29.
89
Franz Brandmayr
modo, portando i bellatores a un grado di crescente mitigazione
dei loro costumi violenti.
A ciò contribuisce anche l’epoca aurea del monachesimo benedettino (secoli XI-XII), durante la quale si diffonde fra i cadetti
dell’aristocrazia una modalità culturale, fatta di preghiera e di studio (e non più soltanto guerresca) di affermazione del proprio
«onore».258 Questo nuovo atteggiamento della classe dei cavalieri
si manifesta anche nel crescente prestigio che la città e la classe
borghese sembrano assumere ai loro occhi ad esempio in alcune
opere della giovane letteratura volgare in lingua d’oil.259
Nell’Occidente europeo lettere e alfabetizzazione riacquistano
finalmente, abbiamo visto, un prestigio sociale oramai da lungo
tempo perduto e che rimarrà un’acquisizione definitiva della
cultura occidentale:
La gente incominciò ad attribuire un connotato negativo all’analfabetismo e in prosieguo di tempo gli analfabeti furono sempre
più considerati inadatti ad un numero sempre crescente di attività sociali ed economiche.260
Con l’alfabetizzazione aumentano la coerenza dottrinale cristiana e, ad un tempo, lo spirito critico,261 mentre
con il secolo XI la Chiesa perse progressivamente il monopolio
dell’istruzione specie in quelle aree dove […] i benestanti […]
solevano assumere tutori privati per […] i loro figli;262
in questo modo, conclude Cipolla, il «principio morale» del-
258
Cfr. MICCOLI G., op. cit., p. 71; GRAFF H.J., op. cit., p. 128.
Vd. LE GOFF J., Guerrieri, cit., passim.
260
GRAFF H.J., op. cit., p. 49.
261
Ivi, p. 126; vd. anche infra le nt. 269, 307-313 e 321-326.
262
CIPOLLA C.M., Istruzione, cit., p. 51; LAWRENCE C.H., op. cit., p. 308.
259
90
Medioevo: un pregiudizio secolare
l’istruzione, fino ad allora «proclamato da uno sparuto gruppo di clerici illuminati, divenne un’idea corrente» 263, della quale le istituzioni religiose continuarono a farsi promotrici investendo gran parte delle risorse disponibili264 e con una speciale
attenzione alle classi sociali svantaggiate. 265 Se è vero, dunque,
che nei secoli X-XIII «senza la chiesa l’offerta d’istruzione e
alfabetizzazione in Occidente sarebbe stata incredibilmente limitata»266 e se è parimenti vero che fosse quello del clero il
gruppo sociale più colto,267 sembra tuttavia di poter dire con
una certa sicurezza che il basso Medioevo vide in svariate zone
d’Europa268 un laicato autonomo e critico,269 capace di produrre iniziative culturali significative sia all’interno che all’esterno dell’istituzione ecclesiale.
In effetti, soprattutto dopo l’opera fondamentale di
Grundmann,270 gli studi eresiologici di quasi tutte le impostazioni
sottolineano gli aspetti di omogeneità fra le esperienze carismatiche ortodosse (come – ad esempio – il francescanesimo) ed
263
CIPOLLA C.M., Istruzione, cit., p. 50.
GRAFF H.J., op. cit., pp. 113-115.
265
CIPOLLA C.M., Istruzione, cit., p. 50; GRAFF H.J., op. cit., p. 117.
266
Ivi, p. 113.
267
Per la situazione dell’Inghilterra dei secoli XIV e XV, che è fra quelle più
accuratamente studiate, vd. ivi, p. 205. È probabile che l’osservazione possa
venire estesa anche ad altre parti dell’Europa. È opportuno, tuttavia, non
omologare il clero in un’unica categoria socio-culturale: vi è, ad es., chi lo
divide in due (per l’alto Medioevo vd. MANSELLI R., op. cit., pp. 12-13) o quattro gruppi (BURKE P., op. cit., pp. 265-268). Vd. anche supra nt. 98.
268
Probabilmente soprattutto nelle zone più urbanizzate d’Europa, che – nel
periodo dal 1440 al 1492 – erano i Paesi Bassi e l’Italia (BURKE P., op. cit., p. 56).
269
Ad es. MANSELLI R., op. cit., pp. 80-85 scrive di «anticlericalismo» già nei
secoli XI-XIII.
270
GRUNDMANN H., Movimenti religiosi nel medioevo, Il Mulino, Bologna 1980
(1935), passim.
264
91
Franz Brandmayr
eterodosse, colte nel loro insieme come grande e creativa stagione dei movimenti spirituali medievali.271
Appare perciò dai contributi di autori di varia impostazione
un’immagine del Medioevo assai più luminosa e, soprattutto,
differenziata e ricca di sfumature rispetto alle stereotipie di certa manualistica. Di questi (come di altri) importanti passaggi
teorici e descrittivi fondamentali272 nel volume di Caprara non
si trova invece traccia. La Weltanschauung del nostro narratore
sembra sottendere una concezione aprioristicamente e
irreversibilmente antagonistica fra scienza e fede del tutto lecita, naturalmente, nella dimensione noetica personale, ma i cui
presupposti non vengono tematizzati e – tantomeno – discussi
neanche sotto forma di abbozzo larvato.273 Conseguentemente,
in questa prospettiva la religione e la Chiesa sembrano ricoprire
un ruolo esclusivamente oscurantista e retrivo, anche in questo
caso senza che appaia argomentazione di sorta né disamina dialettica in merito; l’assioma sembra innervare la trama della narrazione “in punta di piedi”, come un implicito del discorso, che
poggia sulla sua stessa “ovvietà”, “costruita” con etichette ed
espressioni ritenute familiari e scontate per il lettore.274
La selettività, però, non consiste soltanto nell’eliminare radicalmente tutto ciò che non risulta congruente con il sentire dello scrittore. Vi sono, infatti, nomi ed eventi che – per la loro
271
Vd. ad es. MERLO G.G., op. cit., pp. 16-19 et passim; PERETTO E., Movimenti
spirituali laicali del Medioevo. Tra ortodossia ed eresia, Studium, Roma, 1985, p. 18
et passim. Cfr. anche supra nt. 261 e infra nt. 323.
272
Per i quali rimando alla bibliografia delle note precedenti e a quella contenuta all’interno delle opere indicate stesse.
273
NOBLE D.F., op. cit., p. 5. Per una introduzione filosofica al problema vd.,
ad es., BOGDANOV G.- BOGDANOV I.-GUITTON J., Dio e la scienza. Verso il
metarealismo, Bompiani, Milano 1998 (1991), passim, in cui si propone il dialogo fra un fisico teorico, un astrofisico e un filosofo; cfr. infra anche nt. 280.
274
Vd. supra paragrafo 2.1.
92
Medioevo: un pregiudizio secolare
importanza – non si possono cancellare del tutto. In questo caso
la menzione risulta – in qualche modo – come l’esito di una
selezione effettuata per mezzo di una riduzione dell’alterità alle
categorie proprie della visione del mondo del narratore o,
quantomeno, ad attribuzioni apparentemente “neutre”.
Il britannico Ruggero Bacone inventava gli occhiali. 275
Chi non vuole scadere a sua volta nel pregiudizio e nell’errore, che abbiamo definito effetto alone, non può ricavare certo
da un unico indizio la tendenza a celare l’appartenenza al clero
di Roger Bacon e la sua identità squisitamente francescana. Allora insistiamo e più sotto troviamo che
Nel XIII secolo [… (il)] filosofo inglese Ruggero Bacone […]
professava la “scienza come esperimento” e rilevava i gravi errori scientifici contenuti nelle Sacre Scritture, (e) cominciava a porre la “questione del metodo” che è alla base della ricerca. 276
Ci accorgiamo, del resto, che qui è in gioco un complesso di
fattori di grande rilievo storico. Si tratta nientemeno che della
genesi remota della scienza sperimentale moderna:277 possibile
che a farsene iniziatore e promotore sia un frate dal cervello
fino? Ciò sembra contravvenire a un certo senso comune, che si
affermerà con decisione molti secoli dopo, secondo il quale i
frati – probabilmente – potrebbero avere altre qualità, ma certamente non quella del raziocinio innovatore. O forse l’Autore
ritiene che l’Opus maius sia frutto solo del Bacone-filosofo, per
cui non occorre mettere in rilievo la (disdicevole?) appartenen-
275
CAPRARA G., op. cit., p. 54.
Ivi, p. 56 (parentesi rotonde mie).
277
DAWSON CH., op. cit., pp. 23 e 285-286.
276
93
Franz Brandmayr
za religiosa del pensatore. A ciò si aggiunge un ulteriore elemento destabilizzante: pare che a evidenziare «i gravi errori scientifici contenuti nelle Sacre Scritture» sia proprio un soggetto
ben inserito nella Chiesa; in questo modo la compagine ecclesiale sembrerebbe essere composta anche da soggetti capaci non
solo di prescindere dalle auctoritates,278 ma inoltre di innovare, di
pensare criticamente279 (persino sulla Sacra Scrittura!) e di anticipare i tempi proprio sotto il profilo della riflessione intorno
all’ambito scientifico-sperimentale, “notoriamente” appannaggio
del “pensiero laico”.280 Offrire anche questa immagine della società ecclesiale, pertanto, risulta troppo dissonante rispetto a un
copione che pare venga rispettato fedelmente attraverso la semplice omissione di qualche termine identificativo (il “teologo”?
il “filosofo francescano”?). Sottacendo qualche particolare, pertanto, l’Autore ottiene l’effetto di riordinare la trama della propria narrazione secondo uno schema selettivo e consonante281
con la propria pregiudiziale di fondo, ancorata all’idea di una
Chiesa retriva e chiusa al novum.282
278
Cfr. infra nt. 313.
Cfr. supra nt. 261.
280
Uso l’espressione fra virgolette, in quanto topos «della quantità», che richiederebbe un’analisi molto approfondita, per il suo radicamento nel discorso
comune (cfr. supra nt. 151). In mancanza di spazio, invito il lettore alla lettura di
EINSTEIN A., Idee e opinioni. Come io vedo il mondo, Fabbri, Milano 1996 (1957), pp.
187-193. Intorno alle stereotipie connesse al termine “laico” vd. P OSSENTI V.,
Le ragioni della laicità, Rubbettino, Soveria Mannelli (CT) 2007, pp. 14-15, che
sottolinea il riduzionismo dell’odierna interpretazione dominante del concetto
a fronte delle sue possibili cinque accezioni. Per rinvenire ancora alcune indicazioni circa questo specifico anacronismo cfr. supra le nt. 204-207.
281
Cfr. supra nt. 174.
282
Se esco dall’ambito medievistico rilevo la menzione selettiva del fisico
belga Georges-Henri Lemaitre, che negli anni Venti del Novecento elabora
per primo l’ipotesi del Big Bang e del quale il Caprara omette di indicare la
confessione cattolica e lo stato di vita sacerdotale (I D., op. cit., p. 247).
279
94
Medioevo: un pregiudizio secolare
Se procediamo nell’analisi, ancora più sotto troviamo che,
con quasi duecento anni di ritardo rispetto ai presbiti, soccorsi
dall’inventività di Bacone,
ai miopi, invece, penserà lo studioso tedesco Niccolò Cusano
nel 1451.283
In questo caso si tratta del celebre filosofo neoplatonico,
astronomo e matematico illustre,284 che ha però il grave difetto di essere addirittura un cardinale, per cui forse sembra più
opportuno celare il suo stigma vergognoso sotto le generiche
e pudiche espressioni di «studioso» e di «tedesco», certamente
più neutre rispetto alla pretesa antinomia scienza/religione.
Perciò possiamo concludere che quando l’inventore è un uomo
di Chiesa e inoltre, come nel caso di Bacone e di Cusano, filosofo di prima grandezza, la tendenza è quella di lasciare emergere solo ed esclusivamente gli elementi che possano favorire
l’ipotesi di partenza (cioè: il Medioevo come età oscura, barbara, di fanatismo religioso e di superstizione, tutte qualità
negative determinate dall’influenza della Chiesa cattolica), occultando o minimizzando, dall’altro lato, i fatti storici che potrebbero indebolirla.
A volte il discorso comune ma, come vedremo, nondimeno
anche la pubblicistica divulgativa, ricorrono a delle false spiegazioni, in cui il pregiudizio lascia intravedere una sclerotizzazione
oltremodo evidente del suo nucleo cognitivo, cioè dello
stereotipo.285 Ne riporto un esempio ricavato dallo stesso manuale del Caprara:
283
Ivi, p. 58.
Cfr. ad es. VANNINI M., Mistica e filosofia, Piemme, Casale Monferrato 1996,
pp. 62-70 e 79.
285
MAZZARA B.M., Stereotipi e pregiudizi, Il Mulino, Bologna 1997, p. 16.
284
95
Franz Brandmayr
Fibonacci (1170-1240?) […] proponeva miglioramenti alle dimostrazioni ottenute dai grandi classici come Archimede. E anche questo era un segno del nuovo spirito innovatore che stava
portando ormai il Medioevo verso il tramonto.286
Il concetto di Medioevo sembra oramai reificato287 e lo stigma
dell’ignoranza oscurantista lo penetra e lo pervade fino alla saturazione. Il fatto di reperirvi qualche prodotto culturale innovativo
non induce l’Autore a porre in dubbio le sue sicurezze o ad attenuarne e sfumarne i toni: tale progresso, infatti, non può (“per
definizione”…) essere un frutto della civiltà medievale e rappresenta con ogni certezza, perciò, un anticipo della fervida e feconda età rinascimentale… Abbiamo qui un esempio di pseudo-eziologia, una proposizione di chiara natura tautologica,288 nella quale, per giustificare il verificarsi di un progresso matematico nel
Medioevo si ribadisce il Leitmotiv dell’opera in questione: evidentemente non si tratta più di Medioevo…
L’ultimo concetto che mi propongo di richiamare in questo
paragrafo porta il discorso a stretto contatto con uno dei fattori
causali nodali del pregiudizio antimedievale, fattore che, a mio
avviso, potrebbe rivelarsi forse il più importante: si tratta del processo dell’“etnicità”. Attraverso questo complesso di dinamiche
interculturali trovano espressione la «classificazione, l’organizzazione e la comunicazione della differenza culturale tra i gruppi»,
che polarizza le relazioni diadiche noi/loro in una dialettica di
contatto-somiglianza e, al contrario, di differenziazione.289
286
CAPRARA G., op. cit., p. 53.
ABBAGNANO N., s.v. Reificazione, in ID., op. cit., p. 738.
288
Cioè un «discorso […] ripetente nella conseguenza, o nel predicato […] il
concetto già contenuto nel primo membro» (A BBAGNANO N., s.v. Tautologia,
in ID., op. cit., p. 857).
289
SACCHI P., s.v. Etnicità, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), op. cit., p. 271.
287
96
Medioevo: un pregiudizio secolare
Faccio di seguito l’esempio, credo assai chiaro, della contrapposizione fra Medioevo e Rinascimento. È probabile che – alla
stregua dei processi dell’etnicità che pure oggi vediamo instaurarsi fra culture che si confrontano e si scontrano nel mondo
contemporaneo (ad es. l’Occidente e il mondo islamico)290 –
parimenti, ai fini della promozione e della celebrazione del Rinascimento, la denigrazione del Medioevo abbia costituito una
sorta di punto d’appoggio archimedeo sul quale è stato possibile fare leva per lo meno fino al celebre studio di Burckhardt.
Come si è già evidenziato sopra, inoltre, al di fuori dell’ambito
ristretto degli specialisti, questa ricostruzione storiografica oramai superata sembrerebbe perdurare e riprodursi, come per inerzia, nel senso comune, nella produzione “storica” non specialistica e persino in un certo genere di manualistica.291
La connotazione negativa dell’immagine del Medioevo, pertanto, è stata fin dal principio resa funzionale alla costruzione
culturale di un Rinascimento colto e interpretato come una sorta di riemersione dall’abisso della barbarie. Nel suo corso le arti
290
Svariati studiosi come, ad es., il sociologo A LLIEVI S., Parole dell’islam, parole
sull’islam. Formazione culturale, comunicazione e ruolo dei mass media, in S IGGILLINO
I. (a cura di), I media e l’islam. L’informazione e la sfida del pluralismo religioso,
E.M.I., Bologna 2001, p. 41, attribuiscono al testo di H UNTINGDON S.P., Lo
scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Garzanti, Milano 1997 (1996), passim
un intento politico strumentale; in esso si fomenterebbe, infatti, una
contrapposizione frontale tra Occidente e Civiltà islamica funzionale a una
riaggregazione degli Stati occidentali intorno agli Stati Uniti d’America, visti
come vessilliferi del mondo “civile”. Questa lettura sembrerebbe sostanzialmente condivisa anche da CARDINI F., Astrea e i Titani. Le lobbies americane alla
conquista del mondo, Laterza, Roma-Bari 2005 (2003), passim.
291
VASOLI C., Prefazione, in BURDACH K., Riforma Rinascimento Umanesimo. Due
dissertazioni sui fondamenti della cultura e dell’arte della parola moderne, Sansoni,
Firenze 19862 (1918), p. VII scrive della «volgarizzazione» del «grande affresco storiografico del Burckhardt», trasformato troppo spesso in «un facile
cliché» da «mediocri storici, pubblicisti e banali giornalisti».
97
Franz Brandmayr
sarebbero rifiorite, avrebbero assunto nuovi valenze e significati – in certo modo più moderni – e avrebbero espresso «determinate tendenze prevalenti, cioè il realismo, la secolarizzazione
e l’individualismo»292. Ancora, va evidenziato – in prima approssimazione – il fatto che, di questo genere di ermeneutica della
civiltà medievale europea, si siano fatti imprenditori in modo
particolare la storiografia di matrice riformata293 e, in seguito,
gran parte degli esponenti della corrente illuministica:
Oggi sappiamo che il mito del Medioevo, come epoca di barbarie, era, appunto, un mito, costruito dalla cultura degli umanisti e
dai padri fondatori della modernità.294
2.4. Rinascimento vs. Medioevo: la revisione di un dualismo storiografico
La contrapposizione fra le due epoche, come si sa, si è progressivamente attenuata nel mondo accademico europeo, fino a determinare un cambiamento di rotta particolarmente avvertibile
negli ultimi decenni.295 La concezione di Jakob Burckhardt, che
colse nel Rinascimento un fenomeno culturale moderno creato
da una società moderna, negli anni Ottanta del XX secolo ormai «non appare più in questa luce»296 e viene attaccata in vari
modi dagli storici. Secondo una parte di costoro andrebbero
invece messi in maggiore risalto gli elementi di continuità fra le
292
BURKE P., op. cit., p. 29.
Cfr. supra nt. 36.
294
ROSSI P., Introduzione, in ID., La nascita della scienza moderna in Europa, Laterza,
Roma-Bari 20075 (1997), p. XIV. Cfr. supra nt. 133. Vd. anche B URKE P., op.
cit., pp. 16-17 e 32; DAWSON CH., op. cit., pp. 23 e 31; GARIN E., op. cit., p. 25; LE
GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., p. XVI.
295
Ivi, p. XVII.
296
BURKE P., op. cit., p. 4.
293
98
Medioevo: un pregiudizio secolare
due epoche e ciò va inteso in un duplice senso: nel senso del
reperimento di elementi documentari che impongono di anticipare al Medioevo fenomeni che si ritenevano essere caratteristici del Rinascimento e, per converso, nel senso dell’individuazione
di numerose persistenze e prolungamenti di “tratti culturali”297,
che si presumevano essere “medievali”, ben addentro alla cronologia rinascimentale.
Nel primo gruppo di fenomeni va senz’altro inserita la crescita dell’alfabetismo;298 Graff, come abbiamo già visto sopra,299
scrive di una «discreta alfabetizzazione»300 già nell’uomo medievale e osserva anche che
gli studi sul Rinascimento spesso associano i “decolli” intellettuali e culturali a risultati nel campo dell’istruzione e della stampa […] su di essi si è in genere esagerato. Le attività del Rinascimento erano già ben evolute prima dell’invenzione della tipografia a caratteri mobili […] La presenza dell’alfabetizzazione è costante anche se contraddittoria,301
e – perciò – non si può parlare di salti improvvisi. La percentuale di alfabetizzazione del 5-10% nel secolo XV, pertanto, sarebbe – secondo lo storico inglese – una «base per il futuro» e
un «traguardo fondamentale»302. Ciò si sarebbe verificato, per di
più, nonostante la stabilità e il benessere fossero stati “spazzati
via” in tante parti d’Europa da una serie di calamità e di eventi
negativi verificatisi fra il 1270 e il 1470 303 e le condizioni stori-
297
MERCIER P., Storia dell’antropologia, Il Mulino, Bologna 19962 (1966), pp. 83 ss.
298
GRAFF H.J., op. cit., p. 150 et alibi.
299
Vd. supra paragrafo 2.3.
300
GRAFF H.J., op. cit., p. 71.
301
Ivi, p. 163.
302
Ivi, p. 209.
303
Ivi, p. 147.
99
Franz Brandmayr
che favorevoli per una ripresa si fossero presentate appena verso la fine del XV secolo.304
Questo discorso sarebbe valido anche qualora si volesse considerare soltanto la cultura dotta sotto il profilo della sua creatività, della quale scrive, ad esempio, Le Goff nel suo celebre La
nascita del Purgatorio:
Certo, la cristianità medievale – questo libro spera di dimostrarlo –
non è stata né immobile né sterile, ma anzi estremamente creativa.305
Infatti, se – come abbiamo visto sopra – nel Medioevo le
arti hanno prodotto molte innovazioni, 306 anche al livello
dell’intelligencija la capacità di innovare non è mancata affatto
e, al contrario di quanto comunemente si crede, 307 proprio in
virtù delle doti inventive di un certo numero di intellettuali
combattivi, di uomini d’azione e di pensiero,308 di uomini il cui
«prestigio», il cui «fascino» e la cui «autorevolezza» fanno comprendere come si sia resa possibile l’egemonia culturale 309 da
loro stessi esercitata fra i contemporanei. Questa creatività si
dipana attraverso percorsi di ricerca spesso travagliati (come –
ad esempio – in Wycliff, Hus e Gerson), lungo i quali dissenso
e conservazione convivono con diversa intensità, alternanza e
304
Ivi, p. 148.
LE GOFF J., La nascita, cit., p. 256.
306
Cfr. supra le nt. 224-241.
307
La teoria della creatività rinascimentale, esposta con grande ricchezza di
sfumature e con molti distinguo da BURKE P., op. cit., passim (cfr. ad es. infra le
note relative all’Autore in questione), fornisce talvolta l’estro per
generalizzazioni piuttosto grossolane circa la presunta incapacità innovativa
dell’intellettuale medievale (colloquio 2.1.13.12.2009).
308
FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI M., op. cit., p. 213.
309
MICCOLI G., op. cit., pp. 65-67.
305
100
Medioevo: un pregiudizio secolare
dosaggio,310 mentre vengono anticipati sensibilmente luoghi
comuni che si presumono “moderni”, come il «teismo della
religione universale e l’idea di tolleranza»311 e precoci «tendenze illuministiche»312. Tutto ciò fa concludere alla Fumagalli che
la cosiddetta subordinazione alle auctoritates da parte dell’intellettuale medievale possa configurarsi come un vero e proprio
pregiudizio.313
Come è noto, poi, Ullmann si fa portatore di una tesi ancor
meno conforme al discorso comune, secondo la quale la stessa
idea di Rinascimento, inteso in particolare modo come sviluppo della humanitas dell’individuo come della collettività, non sia
comprensibile se non alla luce del concetto di «rinascita battesimale», contenuto teologico che – lungo tutto l’arco temporale
del Medioevo – sta alla base della dottrina della “deificazione”
dell’uomo, di cui ho già fatto menzione.314
La rinascita battesimale era l’assunto esplicito e implicito su cui
poggiava tutt’intera la concezione del mondo del Medioevo: i
suoi effetti globali toccavano l’uomo dalla culla alla tomba, in
ogni sfera della sua vita privata e pubblica e in tutti gli aspetti
socialmente e costituzionalmente rilevanti.315
Con queste considerazioni Ullmann riprende e approfondisce la tesi – già avanzata da Burdach316 – della matrice squisita-
310
Cfr. FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI M., op. cit., pp. 221-225.
STADELMANN R., Il declino del Medioevo. Una crisi di valori, Il Mulino, Bologna,
1978 (1929), pp. 211-254.
312
Ivi, pp. 255-291.
313
FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI M., op. cit., pp. 231-232.
314
Cfr. supra nt. 230 e infra nt. 321.
315
ULLMANN W., Prefazione, cit., p. IX.
316
BURDACH K., Significato ed origine dei termini Rinascimento e Riforma, in I D.,
Riforma, cit., p. 8 et passim.
311
101
Franz Brandmayr
mente religiosa che soggiacerebbe al Rinascimento; ciò lo porta
a concludere che «il rinascimento umanistico fu in sostanza
un’espansione di questo tema ecclesiologico»317 della rinascita
battesimale. Infine altri ancora – sia pure con minore convinzione – riconoscono la possibilità di una genesi rinascimentale
in eventuale dipendenza teoretica dalla apocalittica renovatio mundi,
a suo tempo fatta oggetto di riflessione da parte di Gioacchino
da Fiore318 e riattualizzata319 da una congerie di autori e correnti
di pensiero basso-medievali fino al Rinascimento e oltre. 320
Fa loro eco Le Goff, che sostiene essere il tema dell’uomoimago Dei a ispirare, animare «lo sviluppo dell’umanesimo medievale. Un umanesimo all’opera in tutte le attività della società
medievale, dalle imprese economiche fino alle più alte creazioni
culturali e spirituali»321, mentre lo stesso storico francese ricorda
ai sostenitori della teoria della creatività rinascimentale 322 che ci
fu maggiore innovazione religiosa nel periodo della nascita degli Ordini mendicanti e – possiamo aggiungere noi – degli
eresiarchi medievali,323 rispetto a quanto realizzò più tardi il
Concilio di Trento.324 Analogamente, Manselli sostiene esservi
317
ULLMANN W., Radici, cit., pp. 12 e 28.
BURKE P., op. cit., pp. 237-238.
319
PANOFF M.-PERRIN M., Dizionario di etnologia, Newton Compton, Roma
1975, pp. 184-185.
320
NOBLE D.F., op. cit., pp. 27-50. Per una penetrante sintesi intorno al prolungamento in piena Età Moderna e Contemporanea dell’escatologismo medievale vd., dal punto di vista della Storia delle Religioni, E LIADE M., Paradiso e
utopia: geografia mitica ed escatologia, in I D., La nostalgia delle origini. Storia e significato nella religione, Morcelliana, Brescia 20003 (1969), pp. 103-127.
321
LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., p. XV. Cfr. supra le nt. 230
e 314.
322
BURKE P., op. cit., passim.
323
Cfr. supra le nt. 261 e 269-271.
324
LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., p. XX.
318
102
Medioevo: un pregiudizio secolare
stata una maggiore lungimiranza e una più profonda comprensione dei movimenti popolari – ereticali e ortodossi – in
Innocenzo III nel Duecento di quanto si sia in seguito verificato fra i papi dell’inizio dell’Età moderna.325
È ancora Manselli a farci presente che l’anticlericalismo non
è un prodotto tardo-medievale o rinascimentale, bensì un sentire comune a svariati gruppi e aree geografiche fra l’XI e il XIII
secolo.326 Fra i mecenati pare essere la Chiesa il protettore dei
letterati più tollerante (anche con riferimento alla condotta
morale), mentre dal Quattrocento la libertà per gli intellettuali
di corte sarà sempre più limitata, in quanto essi si vedranno
progressivamente costretti a uno sdoppiamento delle loro funzioni pubbliche e private, fino a dovere cercare un rifugio più
sicuro nell’intimità della loro coscienza. 327 Ancora a proposito
della cosiddetta “tolleranza”, inoltre, il Medioevo cristiano riesce a inculcare nell’uomo europeo il messaggio universalistico,328
per il quale, dal momento che gli attributi naturali
non giocavano alcun ruolo all’interno della realtà ecclesiologica,
i suoi princìpi, i suoi dommi e le sue mete […] erano di fatto
universali. Regionalismo, provincialismo, tribalismo, e tutte le tante
altre varietà di aggregazione sociale naturale, non avevano alcuna incidenza concreta. Non c’era che una sola società – la società
ecclesiologica universale, che programmaticamente metteva da
parte le peculiarità biologiche, etniche, linguistiche e geografiche
e le riduceva ad un ruolo secondario. 329
325
MANSELLI R., op. cit., p. 129.
Cfr. supra nt. 269.
327
FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI M., op. cit., pp. 228-229.
328
LE GOFF J., L’uomo medievale, in ID. (a cura di), L’uomo, cit., p. 9.
329
ULLMANN W., Radici, cit., p. 12; cfr. anche DAWSON CH., op. cit., pp. 150 e 152.
326
103
Franz Brandmayr
Al ridimensionamento storiografico del concetto di discontinuità e rottura applicato alla diade ideal-tipica330 Medioevo/Rinascimento e alla fragilità concettuale che oramai vi viene attribuita
contribuiscono anche i motivi di continuità, che il Rinascimento
sembra mostrare rispetto a certe caratteristiche medievali. Su questa
linea sembra porsi anche il notevole lavoro di Burke,331 che prende in esame gli anni fra il 1440 e il 1520 e che – perciò – coglie in
pieno il periodo che ci interessa, quasi una sorta di sutura fra le
due epoche. In queste pagine lo storico inglese sostiene che la
fioritura artistica e le ipotetiche caratteristiche rinascimentali della
modernità, del realismo, della secolarizzazione e dell’individualismo non costituiscono affatto dei dati storici sicuri: «se pure è
possibile salvarle, lo si potrà fare solo a costo di notevoli riformulazioni», in quanto «tutte queste certezze si sono andate dissolvendo» nel corso della sua ricerca,332 mentre – in realtà – nell’«umanesimo rinascimentale […] sono ancora operanti un buon
numero di elementi medievali»333. Il fenomeno rinascimentale italiano è reso infatti possibile da un laicato colto334 – sulla cui matrice squisitamente medievale ci siamo già soffermati335 – e dalla
«vita ecclesiastica», che «in nessun altro paese d’Europa […] aveva uguale portata»336. Anche Lucien Febvre mette in evidenza come
lo spirito religioso del Medioevo sia «ben vivo […] in quel genio
che più d’ogni altro a quel tempo aveva rivendicato la modernità
del suo secolo»337, cioè in Rabelais, mentre altri insistono sul fatto
330
WEBER M., Il metodo, cit., pp. 107-120.
BURKE P., op. cit., pp. 29, 36-37, 39, 71, 214 e 223.
332
Ivi, p. 29.
333
BURKE P., Prefazione, in ID., Cultura, cit., p. X.
334
Ivi, pp. 36-37.
335
Vd. supra paragrafo 2.3.
336
ULLMANN W., Radici, cit., p. 16.
337
LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., pp. XX-XXI; l’A. si riferi331
104
Medioevo: un pregiudizio secolare
che la secolarizzazione del Rinascimento è relativa,338 che «la maggior parte dei quadri aveva soggetto religioso»339 e che «Dio è
ovunque nella letteratura dell’epoca»340.
Si è visto sopra che gli intellettuali e gli “artisti” del Medioevo sono stati capaci anche di creatività, mentre – contro ogni
“aspettativa stereotipica”341 –
è paradossale che in un’epoca in cui la cultura italiana fu contrassegnata da quella che potremmo definire “propensione al nuovo”, l’innovazione fosse considerata in modo negativo. 342
In effetti, l’ideale rinascimentale è quello di considerare «le opere
antiche come altrettanti modelli da imitare»343 e anche Burke riconosce che gli italiani del Rinascimento, con Guicciardini in testa,
sono contrari alle novità,344 che la creatività sia per loro qualche
cosa di strano345 e che, in ogni caso, anche i cosiddetti “creativi”
attingono sia alla tradizione che all’innovazione.346
A proposito dell’ultimo elemento innovativo considerato,
infine, quello del presunto individualismo rinascimentale, Burke
osserva che gli artisti del periodo da lui esaminato sono formati
sce al celebre studio di FEBVRE L., Il problema dell’incredulità nel secolo XVI. La
religione di Rabelais, Einaudi, Torino 1978 (1942), passim.
338
BURKE P., Cultura, cit., p. 3.
339
Ivi, p. 214.
340
Ivi, p. 223; ULLMANN W., Radici, cit., p. 6.
341
Vd. supra nt. 219.
342
BURKE P., Cultura, cit., p. 237.
343
PERNOUD R., op. cit., p. 22.
344
BURKE P., Cultura, cit., pp. 236-237.
345
Ivi, p. 377.
346
Ivi, p. 32.
105
Franz Brandmayr
a una collaborazione intensa e costante decisamente «contraria
allo sviluppo dell’individualismo»347.
È opinione di svariati studiosi, perciò, che vi sia un certo accanimento nel ricorso alle suddivisioni e una sottolineatura esagerata delle cesure che separerebbero il Medioevo dal Rinascimento.
Ullmann – ad esempio – non nutre dubbi sul fatto che sia
insostenibile la posizione, comunemente accettata, 348 di chi parla
di una “nuova era” o di una “frattura (del Rinascimento) nei
confronti del passato medievale”. 349
Molti elementi documentari raccolti dagli studiosi sembrerebbero perciò suffragare la posizione della continuità storica
fra le due epoche, ma Pietro Rossi mette in guardia da
omologazioni eccessive: quando si parla di scienza medievale e
di scienza moderna
il continuismo è solo una mediocre filosofia della storia sovrapposta alla storia reale.350
Almeno sotto il profilo scientifico, sostiene l’Autore, va confermata l’esistenza di una sorta di discontinuità. Anche Butterfield,
pur nutrendo – come abbiamo già visto351 – una considerevole
opinione sulla capacità d’invenzione medievale, sembra incoraggiare una posizione di non-omologazione fra le due epoche, quando argomenta che l’Età di Mezzo pare esprimere una serie di
conati in direzione di una scienza empirica, ma
347
Ivi, p. 71.
L’Autore pubblicava l’opera nel 1977.
349
ULLMANN W., Radici, cit., p. 261; parentesi mia. Vd. anche ivi, p. 10 et alibi.
Cfr. infra anche nt. 354.
350
ROSSI P., Introduzione, cit., p. XIX.
351
Vd. supra nt. 239 e 241.
348
106
Medioevo: un pregiudizio secolare
l’uso degli esperimenti non venne tuttavia, per così dire, addomesticato e bardato prima del diciassettesimo secolo, quando gli
si dette un ordine interno, così che esso divenne come una grande macchina in movimento.352
Osserviamo, pertanto, che – com’è comprensibile – le differenze diventano più nette soprattutto mano a mano che ci si
addentra nell’Età moderna e si attraversa la stessa età rinascimentale. In definitiva, mi sembra che la posizione teorica più
prossima a una visione d’insieme abbastanza equilibrata è forse
quella che proviene dagli studi sull’alfabetizzazione di Graff:
Quando si descrivono circostanze in cui sviluppo e mutamento
tendono ad essere graduali piuttosto che rapidi, come nel caso
dell’alfabetizzazione del Continente, è più efficace ricorrere ai
concetti di “continuità” e “contraddizione”.353
Non pare trattarsi più di un aut aut, quindi, bensì di un et et,
che può sinteticamente rendere ragione di un polimorfismo di
esperienze e di situazioni particolari assai mutevoli a seconda
delle classi sociali, delle aree geografiche, delle subculture e degli aspetti o tratti culturali considerati.
Ho voluto dare spazio, per quanto possibile in un contributo
di queste dimensioni, ad angolature prospettiche diversificate per
oggetto di studi e per la sensibilità degli autori rispetto al tema del
rapporto fra il Medioevo e il Rinascimento. Non mi sembra inutile, però, lasciare concludere questa argomentazione a Le Goff,
che non mostra reticenze di sorta quando afferma che
la maggior parte dei segni caratteristici per mezzo dei quali si è
voluto riconoscerlo [il Rinascimento] sono apparsi ben prima del-
352
353
BUTTERFIELD H., op. cit., p. 110.
GRAFF H.J.., op. cit., pp. 19-20.
107
Franz Brandmayr
l’epoca (secoli XV-XVI) in cui il Rinascimento viene collocato. Il
“ritorno all’antico” si manifesta fin dal secolo XIII […] lo stato
“machiavellico” è già presente nella Francia di Filippo il Bello. La
prospettiva entra nell’ottica e nella pittura già alla fine del secolo
XIII. La lettura si diffonde ben prima della galassia Gutenberg e
l’alfabetizzazione – è il fenomeno culturale che più conta – non
attende l’invenzione della stampa. Fra la fine del secolo XII e gli
inizi del XIII l’individuo si afferma con altrettanta forza che nell’Italia del Quattrocento […] Non sono d’accordo con Max Weber e Robert Tawney quando collegano la “religione” del lavoro al
protestantesimo. Questa esiste fin dal secolo XIII.354
3. Verstehen, empatia, osservazione partecipante
Condannare o assolvere il passato non dovrebbe rientrare
fra i compiti dello storico ma, in generale, neppure delle società contemporanee: il Novecento e gli inizi del nuovo millennio hanno registrato sufficienti crimini perché nessuno fra
i contemporanei si possa sentire giudice del passato.355
Quando si tratta di mettere in rilievo gli errori o i limiti altrui il
lavoro del critico risulta sempre facilitato, perché distruggere è
più facile che costruire. Il soggetto sottoposto a valutazione critica ha lavorato, ha indagato, ha esercitato uno sforzo di analisi
e di scelta e si è – con ciò – caricato di una serie di atti di responsabilità. Chi lo giudica, invece, dispone del vantaggio di costruire il proprio edificio teorico sul fondamento del travaglio al-
354
LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., pp. XIX e XX; parentesi
quadrata mia. Per quanto attiene alla nascita dello stato si veda anche REINHARD
W., op. cit., pp. 34-35. Dal punto di vista della sociologia delle religioni si
evince un considerevole rinforzo a questa visione positiva del Medioevo anche dai primi cinque capitoli di STARK R., La vittoria della Ragione. Come il
cristianesimo ha prodotto libertà, progresso e ricchezza, Lindau, Torino 2006 (2005).
355
CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p. 164.
108
Medioevo: un pregiudizio secolare
trui. È con questa consapevolezza e con questo atteggiamento
di rispetto che cerco di fornire qualche spunto in direzione di
un approccio più efficace alla storia medievale.
È possibile che la carenza principale che denotano certe trattazioni del tema di cui ci occupiamo possa riguardare la sua problematica comprensione da parte dei suoi volgarizzatori, (così
potremmo essere considerati noi insegnanti quando non siamo
anche storici), ma talvolta – perché negarlo? – forse anche da
parte di qualche storico. Come si sa, il termine “comprensione”,
reso dal tedesco Verstehen356 a partire dal dibattito epistemologico
– svoltosi a cavallo fra l’Ottocento e il Novecento357 – chiamato
Methodenstreit358, non ha soltanto un generico significato legato
semplicemente al “capire”. Fin dalla sua radice latina (capere) il
verbo capire dà l’idea di «afferrare»359, di «prendere», perciò, un
qualche cosa di estrinseco, di esterno rispetto al soggetto che “coglie”. Il con-prehendere del latino360 sembra invece rinviare a un significato più inclusivo e a un coinvolgimento tale da permettere
una Einfühlung 361 , un sentire dentro 362 e, al contempo,
un’«immedesimazione»363. Si tratta, perciò, come si può constatare, della stessa etimologia, ma – soprattutto – dello stesso atteg-
356
MARROU H.-I., op. cit., p. 73.
ABBAGNANO N., s.v. Comprendere, in ID., op. cit., pp. 141-142.
358
TULLIO-ALTAN C., Antropologia, cit., p. 287.
359
LIOTTA G.-ROSSI L.-GAFFIOT F., s.v. Capio, in IID., Dizionario della lingua latina.
Latino-italiano, il capitello, Torino 2010; il complesso greifen – Begriff – begreifen =
«prendere, pigliare» – «concetto» – «capire, comprendere» (M ACCHI V., s.vv., in
ID., op. cit.) sembra rinviare a rapporti di significato abbastanza simili.
360
DEVOTO G.-OLI G.C., s.v. Comprendere, in IID., Il dizionario della lingua italiana, Le Monnier, Firenze 1995.
361
MALIGHETTI R., s.v. Verstehen, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), op. cit., p. 790.
362
MACCHI V., s.vv. Ein e Fühlen, in I D., op. cit.
363
Ivi, s.v. Einfühlung.
357
109
Franz Brandmayr
giamento364 di empatia metodologica, che gli antropologi cercano
di porre in atto nella loro ricerca sul campo.365 Ciò non consiste,
come il lettore capisce, in una mera concessione al sentimentalismo, bensì in un percorso metodologico che, a partire da svariati
autori che hanno fondato le scienze sociali,366 ha dato i suoi buoni
frutti fino a pervenire – in tempi a noi più vicini – all’elaborazione originale del metodo dell’antropologia interpretativa affinato
da Clifford Geertz.367 In questa sede non è possibile neanche accennare ai passaggi più significativi che portano a questi esiti teorici; è sufficiente proporre all’attenzione di chiunque si occupi di
divulgare i contenuti della civiltà medievale l’opportunità di un
approccio dall’interno ai singoli dati, come alle epoche e alle culture fatte oggetto di studio. Ciò si può realizzare in maniera in
qualche modo analoga a quella attuata dall’antropologo che ricorre all’«osservazione partecipante»368 quando si trova a indagare “sul campo” intorno a una qualche cultura specifica.
364
Sotto il profilo psicologico si tratta del «tentativo di riprodurre in proprio
i sentimenti altrui, al fine di comprendere l’altra persona» [S TECK P., s.v.
Empatia, in ARNOLD W.-EYSENCK H.J.-MEILI R. (a cura di), op. cit., p. 354].
365
Cfr. ad es. il riferimento alla «simpatia» dell’antropologo per l’oggetto di
studio (FIRTH R., I simboli e le mode, Laterza, Bari 1977, p. 40); a sua volta T ULLIOALTAN C., Soggetto, cit., pp. 210-222 scrive dell’«empatia» richiesta nella ricerca
intorno alle varie tematiche inerenti l’ambito del simbolico. Sono espressioni,
comunque, che non vanno intese in senso «emotivo», né confuse con opzioni
teoriche che rifiutino a priori il tentativo di una «comprensione» oggettiva della
cultura studiata (cfr. TULLIO-ALTAN C., Manuale, cit., p. 543).
366
Si tratta, ad es., di Weber, di Simmel, di Talcott Parsons e di Wright Mills
(MALIGHETTI R., s.v. Verstehen, cit., p. 790).
367
ID., s.v. Antropologia interpretativa, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), op.
cit., p. 71; va tuttavia notato che – rispetto al Verstehen – la prospettiva geertziana
non contempla la nozione di empatia (MALIGHETTI R., s.v. Verstehen, cit., ib.).
368
BERNARDI B., op. cit., pp. 114 e 249-250; CIRESE A.M., Cultura, cit., pp. 249250, dove l’Autore rende il medesimo concetto con l’espressione «integrazione mentale»; TULLIO-ALTAN C., Manuale, cit., pp. 515-516 e 542-545.
110
Medioevo: un pregiudizio secolare
Ma non occorre uscire dall’ambito degli studi storici per rinvenire indicazioni metodologiche – espresse con grande autorevolezza – sui temi della comprensione e della simpatia metodologica:
Storico è colui che, attraverso l’epokhè, sa uscire da se stesso
per incontrarsi con gli altri. A tale virtù possiamo dare un
nome: “simpatia”.369
I «vecchi maestri positivisti», continua Marrou, ritenevano
essere lo spirito critico la migliore virtù dello storico: il dubbio
metodologico di ispirazione cartesiana – peraltro imprescindibile in ogni scienza – veniva da loro esasperato fino a diventare una «diffidenza programmatica», che – eretta a sistema370
– «dovrà considerarsi come una delle più gravi deficienze dello storico»371.
In assenza di simpatia metodologica, addirittura di una sorta
di amicizia372 con l’autore del documento, con il suo mondo fatto
di sentimenti, di passioni da occultare, di interessi materiali e simbolici da difendere, di tragedie rimosse e di sofferenze forse amplificate, difficilmente la fonte potrà venire “sfruttata” appieno e
solo con difficoltà essa potrà esprimere ogni sua potenzialità. Se
l’Altro non viene, in qualche modo, guardato con “partecipazione” (è il termine – forse meno enfatico dell’“amicizia” di Marrou
– che preferisco attingere dalla letteratura antropologica), egli –
l’Altro – rischierà di diventare «una creatura della ragione, un
fantasma che la mia immaginazione si compiace di alimenta-
369
MARROU H.-I., op. cit., p. 85.
Per una serie di argomentazioni sulla differenza fra “metodo” e “sistema”
e sulla loro articolazione speculare rispetto alla diade concettuale “apertura”/”chiusura” si veda ad es. GUITTON J., op. cit., pp. 119-120.
371
MARROU H.-I., op. cit., p. 85. Cfr. supra anche nt. 131.
372
ID., op. cit., p. 86.
370
111
Franz Brandmayr
re»373 o, se vogliamo adoperare un termine che abbiamo già incontrato, un concentrato di etichettazioni al quale la ricerca d’archivio o sul terreno non potrà aggiungere niente di nuovo. Si
configurerà – in questo modo – ciò che gli psicologi sociali definiscono aspettativa stereotipica, cioè la supposta conferma – ottenuta dai cosiddetti “fatti documentati” – di ciò che già si era
fissato a priori nella memoria selettiva del ricercatore, l’unica evidenza che – fin dal principio – egli sarebbe stato disposto a rilevare sul terreno dell’indagine. In questi casi ogni dissonanza cognitiva
rispetto all’ipotesi di partenza tenderà a venire obliterata, in quanto non suffragherà l’ipotesi di partenza del ricercatore e si perverrà, come abbiamo già visto sopra, a una sorta di pseudo-conoscenza di natura tautologica. Mi piace concludere il paragrafo con
una citazione ricavata da uno studio di un importante sociologo
della comunicazione, mentre tratta il delicato tema della percezione delle culture islamiche ad opera degli occidentali:
Comprendere i valori degli altri […] non significa […] necessariamente condividerli, anche se generalmente il risultato del procedimento è quello di un arricchimento della propria sensibilità etica.374
3.1. Per una conclusione aperta…
Abbiamo già accennato alla reticenza e finanche alla diffidenza
che certe espressioni (sospensione del giudizio, simpatia, partecipazione) suscitano in una parte dei ricercatori dei Cultural
Studies, fino a portarli talora a esiti nichilistici375 rispetto alla pos-
373
Ibidem.
MARLETTI C., Le immagini dell’islam nella narrazione di eventi e nel dibattito su temi.
Analisi qualitativa dei testi e dei generi, in ID. (a cura di), Televisione e Islam. Immagini e
stereotipi dell’islam nella comunicazione italiana, RAI-Nuova ERI, Roma 1995, p. 157.
375
Vd. supra nt. 173.
374
112
Medioevo: un pregiudizio secolare
sibilità di fare ricerca su culture e civiltà altre. Credo – del resto
– che anche certi storici non siano disposti a offrire uno spazio
eccessivo a questi atteggiamenti, che ben si presterebbero a essere resi funzionali a un irenismo accomodante. Ma non è certamente a questo che allude Marrou, il quale infatti precisa che
al progresso della nostra scienza (la storia) non nuoce che una
critica esigente, a volte ingiusta, possa scuotere una pigra simpatia pronta a scivolare nell’indulgenza e nella facilità.376
La sfida è certamente aperta e i risultati, sempre se arrivano,
non sono affatto scontati. Credo fosse, in ogni caso, importante
tornare a sollevare il problema del pregiudizio antimedievale e
cercare di mettere in ulteriore evidenza quanto esso sia compenetrato con il senso comune: dalla messa in luce delle modalità
riproduttive377 del pregiudizio che abbiamo cercato di esaminare, il docente, lo studente, forse lo storico stesso, potrebbero
attingere spunti per l’autoanalisi e per l’affinamento degli strumenti concettuali necessari per la comprensione del Medioevo.
Si tratterebbe, inoltre, di un esercizio utile anche per la comprensione di realtà socio-culturali “altre”, con le quali siamo
chiamati a misurarci nella concretezza dell’oggi.378
Restano aperte, a mio avviso, ancora due questioni, alle quali
ho accennato nel corso del saggio. In primo luogo, credo sia
opportuno un futuro approfondimento, complementare a queste riflessioni, della matrice occidentalista del pregiudizio antimedievale: potrebbe derivarne una visione nuova e, forse,
meno dogmatica di alcuni assiomi della civiltà euroamericana.
376
MARROU H.-I., op. cit., p. 87.
MAZZARA B.M., op. cit., p. 16.
378
Cfr., ad es., supra nt. 290.
377
113
Franz Brandmayr
“Sacralizzati”379 e divenuti un tutt’uno con il discorso comune, i
valori e i paradigmi dell’Occidente (ad es.: «la visione universale
e secolare di ciò che è {autenticamente} umano», i «diritti umani», il pensiero marxista e liberale e le «scienze umane»380, l’idea
del «soggetto-cittadino», «le concezioni della società civile […],
le diverse distinzioni fra pubblico e privato […], il tempo storico {lineare}» 381 , l’«individualismo», l’«intellettualismo»,
l’«antitradizionalismo» e l’idea di «nazione» ecc.) hanno rappresentato un saldo supporto teorico funzionale alla tesi della
missione «civilizzatrice» dell’Occidente nei confronti del resto
del mondo.382 Essi potrebbero conferire – secondo alcuni –
una connotazione addirittura “religiosa” alla modernizzazione,383 all’interno della quale dette nozioni rischiano di assumere significati imperituri e sottratti alla critica storica. 384 Altri
ancora, come – ad esempio – Jürgen Habermas, non esitano a
cogliere nella stessa storia della filosofia occidentale un «tentativo delle società democratiche di rassicurare se stesse» circa
379
Sul processo di “sacralizzazione dei simboli” cfr. R EMOTTI F., Noi primitivi.
Lo specchio dell’antropologia, Boringhieri, Torino 1990, p. 157.
380
CHAKRABARTY D., Provincializzare, cit., pp. 16-17; parentesi mia. Qualche
“impressionista” è portato a credere che il pensiero marxista sia stato abbattuto con il Muro di Berlino; Chakrabarty opportunamente ci ricorda la sua
persistenza e vitalità. In questo senso credo che il volume di M ASSET P., Il
marxismo nella coscienza moderna, Città Nuova, Roma 19772 (s.d. orig.), passim,
pur superato dagli eventi, rappresenti ancora un’utile introduzione.
381
CHAKRABARTY D., Provincializzare, cit., p. 38; parentesi graffe mie.
382
Cfr. ad es. BASTIDE R., Noi e gli altri. I luoghi di incontro e di separazione culturali
e razziali, Jaca Book, Milano 19902 (1970), pp. 27-28; CHAKRABARTY D.,
Provincializzare, cit., p. 21; TRIULZI A., Lo sguardo coloniale, in PASQUINELLI C. (a
cura di), op. cit., p. 106.
383
Cfr. ad es. KIPPENBERG H.G., La scoperta della storia delle religioni. Scienze delle
religioni e modernità, Brescia, Morcelliana 2002 (1997), pp. 196-197, 253 e 256-257.
384
Cfr. REMOTTI F., op. cit., p. 157.
114
Medioevo: un pregiudizio secolare
la bontà del proprio progetto modernistico385 da estendere al
mondo intero.
Rimanderei, pertanto, a un ipotetico lavoro futuro l’analisi di
questa particolare tipologia di precomprensioni, le quali – per
quanto a noi care – fondano, sostengono e rendono eurocentriche – oltre alla storiografia che si occupa delle aree extraeuropee
– anche le narrazioni moderne del Medioevo europeo. Questa
seconda fase del nostro esercizio decostruttivo potrebbe consentirci di portare a compimento quel lavoro di defamiliarizzazione386 rispetto alle prospettive moderne e postmoderne, che avevamo posto come nostro obiettivo critico.
Da ultimo, si pone la necessità della ricerca delle cause
dell’«ostilità simbolica»387 contro il Medioevo. Vi è chi la attribuisce non tanto alla malignità, quanto – piuttosto – all’incompetenza e alla mancanza di curiosità;388 vi è anche chi sosteneva già
alla metà del secolo scorso che
fuori del mondo accademico si sono affermate nuove forze sociali che si servono della storia o d’una versione particolare della
storia per fini sociali, come un mezzo per trasformare la vita e le
azioni degli uomini.389
È compito degli storici l’ipotizzare e il verificare se nella seconda metà del Novecento vi sia stata una manipolazione della
narrazione medievalistica ad opera di agenzie culturali, che non
385
Cfr. anche le argomentazioni di CHAKRABARTY D., Provincializzare, cit., pp. 62-63.
Vd. supra nt. 184.
387
È un concetto che attingo da DAL LAGO A., Non-persone. L’esclusione dei
migranti in una società globale, Feltrinelli, Milano 20042 (1999), p. 50; in COLOMBO E., op. cit., p. 37 trovo la nozione affine di «violenza simbolica».
388
PERNOUD R., op. cit., p. 152.
389
DAWSON CH., op. cit., p. 17.
386
115
Franz Brandmayr
abbiano tenuto che in scarso conto gli sviluppi della ricerca
storiografica meno condizionata da istanze extrascientifiche.
Per quanto mi riguarda sarei più interessato per formazione
a un rilevamento in ambito sincronico, da effettuarsi all’interno
di qualche collettività (alcune classi di studenti? un gruppo di
colleghi?) o su una certa tipologia di prodotti culturali (un semestre di osservazione e controllo della produzione scritta di
una o più testate giornalistiche? una disamina sistematica dei
manuali in commercio nell’arco di un periodo determinato?): il
lavoro di registrazione e di analisi dei sentimenti, delle valutazioni e delle scelte390 degli individui e delle comunità riguardo al
Medioevo potrebbe anche essere molto significativo rispetto sia
alla conoscenza del processo di individuazione391 dei singoli attori sociali sia alla costruzione dell’identità negli specifici gruppi
di appartenenza.
390
Cfr. supra nt. 158.
JUNG C.G., s.v. Individuazione, in I D., Dizionario di psicologia analitica,
Boringhieri, Torino 1977 (1921), pp. 82-85.
391
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Medioevo: un pregiudizio secolare che perdura nel discorso