Attualità IL RETROSCENA Il film già visto dell’inchiesta sui rifiuti I magistrati di Palermo sono tornati a mettere il naso sul piano del governo Cuffaro. Secondo Lombardo sta lì l’origine delle sue disavventure giudiziarie. Ma già altre indagini negli scorsi anni avevano fatto luce sul lato oscuro dei termovalorizzatori di Riccardo Lo Verso U n film già visto. Riavvolgi il nastro e scopri che la vicenda rifiuti è la stessa, o quasi, di alcuni anni fa. Non troppi per cancellarne il ricordo alimentato dalle nuove indagini. I magistrati di Palermo sono tornati a mettere il naso sul piano voluto dal precedente governo regionale e bocciato dall’Unione europea. L’attuale presidente Raffaele Lombardo ha deciso di cambiare strategia e collega le sue “disavventure” giudiziarie anche al rifiuto di andare avanti con il vecchio piano. “Ho toccato interessi più grandi di me”, ha detto ai pubblici ministeri 46 s - il magazine che guarda dentro la cronaca che lo hanno sentito come persona informata sui fatti. Il 12 ottobre 2007 il procuratore aggiunto di Palermo, Roberto Scarpinato, davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sui rifiuti, denuncia un accordo tra mafiosi, politici, professionisti e imprenditori per aggiudicarsi la costruzione di un inceneritore nella discarica di Bellolampo, a Palermo. È uno dei quattro termovalirizzatori del piano regionale su cui oggi si sono riaccesi i riflettori. Gli altri erano previsti ad Augusta, Casteltermini-Castelfranco e Paternò. Il piano salta per decisione della Corte di giustizia europea. Motivazione: il bando non è stato pubblicizzato. Scarpinato in commissione dice molto altro ancora. In sintesi, sostiene che il privato ha confezionato, a sua discrezione, il piano rifiuti e il pubblico lo ha accettato in toto. Oggi la Procura indaga, più o meno sulle stesse dinamiche. Solo che sono trascorsi tre anni. L’unica novità, nel frattempo, è stata l’archiviazione dell’inchiesta che ruotava attorno all’inceneritore di Bellolampo e si estendeva agli altri impianti. Il pubblico ministero Calogero Ferrara chiese di sequestrare l’impianto ma il giudice per le indagini preliminari respinse la sua richiesta. Non erano stati ravvisati estremi di reato che giustificassero un processo. Le ipotesi in ballo oggi sono turbativa d’asta, corruzione, concussione, falso. Il tutto con l’aggravante del favoreggiamento a Cosa nostra. Politici, mafiosi e imprenditori si sarebbero messi d’accordo per controllare quello che il governatore siciliano Raffaele Lombardo definisce l’affare del secolo. In ballo c’erano cinque miliardi di euro. È stato un esposto dell’assessore regionale Pier Carmelo Russo a dare il via alle indagini. La Procura ha deciso di tornare ad esaminare tutti gli atti a disposizione. Compresi quelli per cui era scattata l’archiviazione. Al vaglio degli inquirenti, ci sono anche le posizioni degli ex vertici regionali che vollero quel piano: l’allora commissario straordinario per l’emergenza rifiuti Salvatore Cuffaro e il suo vice Felice Crosta, assieme agli imprenditori interessati al business. Nel 2007 il procuratore aggiunto Scarpinato, denunciò un accordo tra mafiosi, politici, professionisti e imprenditori per aggiudicarsi la costruzione di un inceneritore a Bellolampo Riavvolgiamo ancora il nastro. Che la mafia si interessasse ai rifiuti era emerso nel 2001. Il pentito agrigentino Maurizio Di Gati disse, in tempi non sospetti, che ai boss piacevano i progetti per la discarica di Siculiana e l’inceneritore di Casteltermini. Domanda: come facevano a conoscere la location dei due impianti quando ancora nessuno ne parlava? Quando ancora non era stato scritto il bando? In maniera insolita da più parti emerse pure che molte imprese di movimento terra, tradizionalmente avvicinate dai boss, stavano cambiando strategia passando al trasporto dei rifiuti. Nel 2007 la Corte dei Conti puntò il dito contro il sistema che aveva consen- tito, così scrivevano, alle imprese di conoscere i bandi prima ancora che fossero pubblicati. In quell’anno era emersa la partecipazione alla gara dell’Altecoen di Enna, amministrata da Francecso Gulino sotto processo per mafia a Messina. Altecoen che sarebbe entrata nella gestione dei rifiuti a Messina grazie all’appoggio del boss Nitto Santapaola. il magazine che guarda dentro la cronaca - s 47 Attualità IL RETROSCENA Il pm Geri Ferrara. A fianco, Totò Cuffaro Nel 2001 il pentito agrigentino Di Gati rivelò l’interesse dei boss per la discarica di Siculiana e l’inceneritore di Casteltermini. Come facevano a conoscere la location dei due impianti quando ancora nessuno ne parlava? Quando lo fecero presente al governatore Cuffaro lui rispose che la società era uscita dai raggruppamenti d’imprese che avevano partecipato alle gare. Più che un’uscita di scena fu una cessione delle quote societarie. A che prezzo? Su questo ed altro dovranno fare chiarezza i magistrati che intanto hanno mandato i finanzieri a perquisire e raccogliere documenti in giro per mezza Italia. Hanno fatto vista all’Altecoen, alla Falck (che capeggiava tre dei quattro raggruppamenti vincitori delle gare) e alle sue controllate Elettroambiente, Daneco gestione impianti. Controlli anche all’Arra, agenzia regionale rifiuti ed acque. S’indaga sulla gara e, ancor prima, sul bando di gara. Un bando, è l’ipotesi in ballo, cucito addosso ad alcuni imprenditori. Si sarebbero formati dei cartelli di aziende per pilotare l’ap- 48 s - il magazine che guarda dentro la cronaca palto e fare andare deserti i successivi tentativi di assegnare le opere. C’è puzza di bruciato a cominciare dalle scelta dei terreni. La Corte dei conti, tre anni fa, era stata molto dura con la scelta della Regione di delegare ai privati l’individuazione delle zone dove costruire gli impianti. Non solo perché non c’era la certezza che rispondessero a tutti i requisiti ambientali, ma anche per evitare speculazioni. Guarda caso (?) di mancata valutazione dell’impatto ambientale parlava il pubblico ministero Calogero Ferrara. La procura andò pure a mettere i sigilli al cantiere di Bellolampo dove la società Palermo Energia Ambiente stava realizzando l’impianto di incenerimento. Il secondo d’Europa per grandezza. Le ipotesi erano: mancato rispetto del principio di concorrenza nella procedura d’appalto e della normativa in tema di difesa dell’ambiente. Lo avevano pure detto la Cgil e un gruppo di associazioni ambientaliste che in un esposto scrivevano: “L’area è stata ceduta dal ministero della Difesa per costruire la quarta vasca della discarica di Bellolampo e non un inceneritore”. La società Palermo Energia Ambiente, che apparteneva al gruppo Falck e all’Amia, secondo l’accusa poi caduta in fase d’indagini preliminari, avrebbe violato alcune prescrizioni imposte dal commissario Cuffaro. I lavori erano iniziati senza che la società avesse ottemperato alle valutazioni di impatto ambientale, sulla qualità dell’aria e dell’acqua. Due anni prima, nel maggio del 2005, su ordine del sostituto procuratore Geri Ferrara, i carabinieri si erano presentati nell’ufficio del vicecommissario per l’emergenza rifiuti, Felice Crosta, per acquisire la documentazione relativa alla contestatissima realizzazione dell’impianto di Bellolampo. Proprio come sta accadendo adesso. Corsi e ricorsi, storici e giudiziari.