Al martire Vincenzo Boschiassi è dedicata la nostra piazza Un uomo che sacrificò la sua vita La piazza è da sempre il nucleo di un luogo, punto d’incontro e di passaggio da cui si diramano strade e vie, il suo nome ne è il simbolo: passa di bocca in bocca e diventa punto di riferimento nella quotidianità. Nel cuore di Caselle c’è Piazza Boschiassi ma quanti sono i casellesi che sanno dare un volto e una storia a Vincenzo Boschiassi? Rievocare chi fu vuol dire non solo raccontare di un uomo che difese strenuamente libertà e giustizia, ma anche riportare alla luce un frammento di vita che ci appartiene, evocare una storia che è parte della nostra comunità e come tale patrimonio di tutti noi. Piero Martin, segretario dell’ANPI, è nipote di Vincenzo Boschiassi, il cui padre Modesto fu già figura illustre di medico casellese, amato e stimato per le sue doti di umanità. La testimonianza di Piero, commossa e partecipe, è quella di un bambino di nove anni, cresciuto all’ombra di uno zio leggendario. Così racconta: “Sono nato a Caselle nel 1934, ma sono vissuto a Torino, finché sfollato, nel luglio del 1943, sono andato a vivere dai nonni a Caselle. Abitavamo nel Castello, al primo piano, sopra l’asilo, in quella che è stata la vecchia sede della Pro Loco. Mio zio Vincenzo era avvocato ma da subito si dimostrò ostile al fascismo tanto che venne radiato dall’Albo e per questo incontrò non poche difficoltà sul lavoro. Di lui si dice fosse cordiale ed allegro con gli amici, ma tagliente e sarcastico con chi lo avversava, di certo era un uomo di forti ideali e di grande coraggio. Da subito aderì al movimento partigiano, senza curarsi troppo dei rischi che correva, tanto che ospitò e protesse un soldato russo sfuggito alla prigionia dei tedeschi. Le cose si complicarono in breve tempo così che i tedeschi andarono a cercarlo nel suo studio di via Bligny, a Torino. Sentendosi braccato decise di fuggire in Valle d’Aosta con un compagno israelita, fuggiasco pure lui”. Ed è qui che i ricordi di Piero bambino si fanno più intensi, nel rievocare quel capodanno del 1943, quando Vincenzo Boschiassi tornò a casa di nascosto, prima di darsi alla macchia. “Mio zio era tornato a dormire a casa la notte dell’ultimo dell’anno del ’43, ultimamente le sue visite erano rapide ed improvvise in quanto ricercato, ma per me era sempre una festa vederlo ed abbracciarlo. Fu verso le prime ore del mattino che arrivarono due camion di tedeschi e si fermarono in piazza. Ricordo che zio Vincenzo si era appena lavato, versando l’acqua della brocca nel catino che aveva in camera e stavamo chiacchierando, io e lui, sul balcone che guarda verso le scuole elementari. Non ci fu tempo per niente: quando sentì dell’arrivo dei tedeschi, mi guardò e mi disse solo: – Ricordati che tu non mi hai visto e lì, al mio posto, dormiva tuo padre –. Rapido si calò nel cortile con l’aiuto di una vecchia pianta di vite che aderiva al muro e, aiutato dal bidello della scuola, uscì nel paese. Fuggì verso il Porto dei Gaj, dove attraversò la Stura sul ponte rudimentale che permetteva il passaggio all’altra sponda. Forse voleva dirigersi a Venaria dove abitava la fidanzata”. Ci sono momenti che restano indelebili nella memoria. Si fissano con il loro seguito di emozioni e di ripensamenti. Per Piero Martin gli attimi che seguirono quella fuga avventurosa rivivono intensi e drammatici come allora. “Sentii bussare alla porta e poi udii delle voci concitate nella stanza accanto. Fu quando rientrai nella camera di mio zio che vidi la pistola: l’aveva dimenticata nella fretta, così, col cuore in gola, la gettai nel catino pieno d’acqua sporca, dove mio zio si era lavato poco prima. Pochi istanti dopo rimasi impietrito davanti ai tedeschi che, con le armi in pugno, mi si pararono davanti. – Chi ha dormito in questo letto ? – mi chiesero. Mio padre! – dissi deciso, ricordando le ultime parole di zio Vincenzo. I tedeschi iniziarono una minuziosa perquisizione: voltarono e rivoltarono cassetti ed armadi, tagliarono persino la fodera dei materassi, mentre io, terrorizzato, speravo che quell’acqua fosse abbastanza nera da oscurare la vista dell’arma. Per anni non dissi a nessuno ciò che avevo fatto e quella pistola non so che fine fece, certo quel gesto di bimbo ci salvò la vita”. Passarono pochi giorni e nel paese cominciò a serpeggiare la notizia che Vincenzo Boschiassi fosse tra i partigiani uccisi nell’eccidio di Traves, così Piero rievoca l’episodio: “Doveva esserci quel 6 gennaio del 1944 una riunione di partigiani a Traves presso una “piola”, nella frazione Biò, poco distante dalla stazione. Qualcuno sicuramente fece la spia così vennero arrestati e fucilati il padrone dell’osteria, Giacomo Vottero e i suoi due figli, Guido e Giulio, insieme a Giuseppe Occhiola, Giuseppe e Felice Lanfranco, due partigiani del posto. Poi i tedeschi raggiunsero il treno che alle 9 arrivava alla stazione: sopra c’erano mio zio, Carlo Cravero e altri compagni. I tedeschi aprirono subito il fuoco, mentre qualcuno cercava di mettersi in salvo gettandosi giù nella neve: Libero De Zolt fu colpito e morì, Vincenzo e Carlo Cravero vennero arrestati , messi al muro e fucilati. Di loro rimane un nome scritto nel cippo eretto davanti alla stazione di Traves, a memoria del loro sacrificio”. Piero Martin non ricorda come seppe dell’uccisione di suo zio, si sa che toccò alla sorella Iolanda e all’amica Grazia Castagna il triste compito di recarsi all’obitorio del cimitero di Traves per riconoscere la salma del loro caro. Lo trovarono con le mani chiuse a pugno, come per farsi forza contro il dolore, sul viso una smorfia di disprezzo e dall’angolo dell’occhio sinistro un rivolo di sangue. Non portava segni di maltrattamenti: solo un livido sulla schiena ed il colpo fatale alla nuca. Possa questa storia aiutarci a ricordare che il nome di una piazza, della “nostra piazza”, non è una vuota ripetizione di suoni ma ha il sapore forte e dolce della parola libertà e il volto coraggioso di un uomo che sacrificò la sua vita per rendere migliore la nostra. Antonella Ruo Redda da: cose nostre anno XXXIV Aprile 2005