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GEREMIA
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La profezia nell'Asia anteriore antica
La Bibbia ebraica sotto i Profeti include dei libri che non corrispondono alla tradizione cristiana. Il libro dei
Profeti nella Bibbia ebraica, in ebraico Neviìm, inizia con la morte di Mosè e si conclude con la seconda
costruzione del Tempio. Nella tradizione vetero-testamentaria ebraica si distingue tra profeti anteriori e profeti
posteriori.
•
profeti anteriori: Giosuè, Giudici, Samuele, Re, Isaia, Geremia, Ezechiele, comprendono anche i profeti
Elia ed Eliseo, che nella Bibbia cristiana sono nei libri storici.
•
profeti posteriori: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo,
Zaccaria, Malachia.
Nella Bibbia ebraica non esiste la classificazione dei libri storici. La Bibbia ebraica si divide in tre grandi
sessioni: la Torah (il Pentateuco), i Profeti e gli Scritti (Ketuvìm), cioè quelli che per noi corrispondono alla
letteratura sapienziale.
Nella tradizione cristiana noi consideriamo come profeti solo i cosiddetti Profeti scrittori: quattro profeti
maggiori, Isaia, Geremia, Ezechiele, Daniele (che in realtà non è un profeta), quindi i 12 profeti minori
(scrittori): Amos, Osea, Abacuk , Abbia, Sofonia, Giona, ecc.)
Nella Bibbia ebraica si considera profeta già Mosè. Quindi le vicende legate alla storia antica di Israele
vengono considerate come profezia antica.
È utile conoscere la profezia dell'Oriente antico per comprendere la straordinaria novità della profezia di
Geremia. La profezia non è uno specifico ebraico
Tradizioni profetiche sono presenti anche presso i Sumeri, nei popoli Semiti e Cananei; quindi anteriori a
Israele. Nella tradizione antica la profezia è contraddistinta come una straordinaria veggenza; cioè il profeta è
un veggente che attraverso degli strumenti, attraverso delle arti particolari interpreta la volontà divina. Molte di
queste esperienze profetiche sono legate a riti cosiddetti estatici; i profeti cadono in uno stato di trance e quindi
interpretano la volontà divina. Questo è vero per i Sumeri, per gli Ittiti, ma anche per civiltà molto vicine a
Israele, ad esempio nella città di Mari, lungo l'Eufrate, città che ha contatti continui con Israele, dove visse una
vera e propria scuola di profeti in cui si insegnava la caduta in trance, la lettura delle viscere degli animali, del
volo degli uccelli e visioni di difficile interpretazione.
La profezia di Israele non è del tutto priva di questo tipo di manifestazioni, sopratutto nella fase più antica. I
libri I e II libro di Samuele attestano l'esistenza di scuole di profeti in Israele; sono profeti vaganti, che girano di
città in città, e probabilmente anche Elia ed Eliseo rappresentano ancora questo tipo di profezia. Riuniti
probabilmente in gruppi di scuole, forse in sette, unificati da riti (il libro di Samuele ci riporta una processione
di profeti che scendono dalla montagna suonando e cantando). È una profezia di stampo professionale
iniziatico. Cioè quella del profeta è una professione che si ottiene con un rito di iniziazione. Secondo altri
interpreti è possibile vedere nella forma più antica le forme di una profezia dinastica. Si tratta comunque di una
professione per un'élite, per una parte scelta del popolo. Questa profezia dura fino al tempo della fase
premonarchica, detta oligarchica, che va sotto il nome, non corretto nella tradizione cristiana, di fase dei
Giudici. In realtà il libro dei Giudici sono un gruppo di giusti a cui viene assegnato il potere, in Israele, dopo
l'insediamento nella Terra Promessa, quindi dalla fine di Giosuè, che è in qualche modo il primo dei Giudici. Se
la vicenda di Mosè è collocabile intorno al 1200, questa fase si pone tra il 1150 e l'insorgenza della monarchia,
quindi Samuele e l'inizio della monarchia con Saul.
In questa fase intermedia (Gedeone, Sansone) Israele conosce ancora una forma di profezia ispirata. Ancora in
questa fase è possibile l'esistenza di scuole dove, personalità iniziate, attraverso la conoscenza di misteri
particolarmente complessi interpretano la volontà del divino.
In epoca monarchica (Davide, Salomone) il fenomeno appare meno attestato. E, secondo un passo del libro dei
Re, sembrerebbe che si potessero attribuire funzioni profetiche fuori dalle scuole, ad alcune personalità della
corte, forse addirittura ai re stessi. Un esempio particolarmente eloquente è rappresentato da Natan, profeta di
corte, consulente del re; Natan introduce per primo, sotto il Regno di David, l'idea del messianismo in Israele,
messianismo cosiddetto regale. Cioè l'idea che il Messia debba discendere dalla stirpe regale (protomessianismo di Israele). [15.15]
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Dopo Salomone il regno si divide. Del regno del Nord (Samaria e Galilea) sappiamo molto poco (noi abbiamo
informazioni quasi esclusivamente dai testi biblici che sono quasi tutti scritti al sud, che tendono quindi a
focalizzarsi sul sud, emarginando il nord e comunque parlandone in modo critico e molto negativo).
Nel VIII sec. si ha in Israele un fenomeno nuovo, che condurrà alla profezia di Geremia. Cioè emergono
profeti che non appartengono ad alcuna scuola né ad alcun gruppo eletto, né sono depositari di un sapere
misterioso. Sono personaggi presi dal popolo, ma scelti, non più per appartenenza dinastica né per rito di
iniziazione, ma scelti in base ad una vocazione che ricevono da Dio stesso.
Il primo è Amos (VIII sec.), autore di un libro molto bello dell'A.T. Lui stesso dirà: “Non ho studiato per essere
profeta né appartengo ad una dinastia di profeti. … Io sono un pastore”. Non capirà perché debba ricevere
questa vocazione. Da allora il profetismo in Israele cambia. Diventa una esperienza individuale, gli eletti
ricevono una esplicita vocazione divina, e sopratutto sono completamente calati nella storia di Israele; sono del
tutto immersi nel popolo, nella storia. Un altro carattere che prenderà la profezia, carattere tipicamente ebraico,
è quello di essere super-nazionale. Cioè questi profeti non avranno come riferimento esclusivamente solo
Israele ma la storia nel suo complesso. La caratteristica di questi personaggi di essere completamente immersi
nella storia fa dire alla tradizione di Israele il titolo di profeta spetta a pieno diritto a Mosè ma non ad Abramo,
in quanto Abramo vive una relazione col divino che è totalmente individuale e poco immersa nel contesto
storico. Mentre invece Mosè è il primo nella storia di Israele che si fa carico delle vicende del proprio popolo.
Non è però di fatto così. Nel cap. 18 di Genesi c'è un evento, l'unico narrato, in cui Abramo, cercando di salvare
Sodoma, si fa carico della storia.
Un altro tratto fondamentale della profezia
Nella lingua moderna il profeta è colui che parla prima di un evento, prima del suo accadimento, e quindi che
preannuncia un evento. Il termine profeta viene dal greco, προφήτης, "colui che parla davanti", sia nel senso di
parlare pubblicamente (davanti ad ascoltatori), sia in quello di parlare anticipatamente. (wikipedia). In ebraico
si dice nevi'ìm. Nel greco è composto dalla particella προ, pro (significato spaziale, parlare davanti) e da φήμι,
parlare. Quindi può voler dire parlare davanti o parlare prima. Tradizionalmente il termine profeta è stato inteso
come colui che parla prima che un evento accada (significato temporale; parlare prima), ma questo nella
tradizione di Israele non è mai vero; non esiste alcuna forma di profezia di questo genere in Israele.
Per Israele il profeta è colui che parla davanti, che parla davanti a Dio a nome del popolo e davanti al popolo a
nome di Dio. È un intermediario, che mette in contatto il divino e l'umano, sopratutto quando si verifica un
periodo di crisi, in cui prevalgono nel popolo i suoi tradimenti, le sue incertezze. Tratti questi che troveremo
particolarmente espliciti nella profezia di Geremia.
Le grandi pagine profetiche che sembrano preannunciare qualcosa di grande che avverrà, per es. Isaia 7, “un
bambino nascerà da una vergine”; in quel caso Isaia si riferisce alla moglie del re, che il quel momento è incinta
(l'ebraico alma‘ non vuol dire vergine, ma soltanto ragazza). Nella traduzione greca il vocabolo ebraico alma‘
fu tradotto in modo esplicito col termine «parthenos», «vergine». Nella traduzione dei LXX fu utilizzato
«parthenos» perché si volle già leggere quell'episodio in chiave cristica. Ma Isaia 7 non ha nessuna intenzione
di preannunciare la nascita di Cristo. Preannuncia un fatto che sta per accadere, di lì a poco. vedi nota [1]
Anche la profezia di Michea, “Betlemme, tu che sei la più piccola delle città … ”; in realtà si dice che da quella
città rinascerà un futuro per Israele che in quel momento è in crisi giocando sul nome stesso di Betlemme, dato
che l'ebraico Beth-lehem vuol dire "La casa del pane".
Il libro apocalittico di Daniele, che sembra annunciare la fine di un regno, quello di Antioco IV Epifane nel164,
racconta episodi che dovranno accadere al futuro, ma in realtà sono episodi già accaduti. Daniele con questo
stratagemma, che verrà adottato da tutta la tradizione apocalittica, modella questi episodi su altri simili accaduti
secoli prima e li racconta al futuro, come se dovessero ancora accadere, come se fossero minacce attese.
Non esiste questa forma magica della profezia come preannuncio di qualcosa che non è ancora.
Esiste invece nella tradizione di Israele la profezia come annuncio del messaggio di Dio al popolo e anche
l'espressione della voce del popolo di fronte a Dio.
Le questioni dei libri profetici sono questioni sostanzialmente politiche, etiche. Nei libri profetici si discute di
giustizia, di corretta ripartizione delle ricchezze, dell'atteggiamento da tenere nei confronti degli stranieri, dei
deboli, delle vedove e degli orfani, di corretta distribuzione delle terre; si discute di fedeltà nell'esercizio della
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funzione di governo e sacerdotale. Sono questioni della vita del popolo, del tutto legate al tessuto civile del
popolo.
Nell'A.T. la profezia è la letteratura più coraggiosa. I profeti, vedi ad es. Amos, il grande profeta della giustizia
divina, difendono le proprie posizioni contro tutto e contro tutti. Sanno che il popolo è portato a peccare, ad
atteggiamenti di ingiustizia, e dunque ribadiscono l 'importanza dell'esercizio della giustizia, ad es. secondo
Amos, come fondamento della pace e del dialogo con Dio. Questi stessi temi li ritroveremo in Geremia.
La dimostrazione che questa letteratura è profondamente calata nel contesto storico, in cui i temi trattati non
sono a tratti temi teologici, ma questo è sostanzialmente vero per tutta la Bibbia. La Bibbia è una storia, non è
un manuale di teologia. La dimostrazione che questi libri in particolare sono libri che si fanno carico delle
vicende umane è data dal fatto che spesso i profeti sono coloro che vivono in prima persona, quindi nella
propria vicenda personale, la drammaticità degli eventi del loro tempo. È l'unica sessione dell'A.T. in cui i
protagonisti di questi libri hanno uno spessore esistenziale, di vissuto concreto che diventa di per sé un
elemento teologico. Nel momento stesso in cui Dio vuole dimostrare di aver dovuto troppo spesso sopportare
l'infedeltà di Israele, e sta parlando con un grandioso profeta, Osea, del VII sec., dice ad Osea se vuole anche lui
provare la stessa cosa sulla sua pelle. Gli chiede di uscire di casa e di prendere per moglie la prostituta
dell'angolo della sua strada. E Osea lo farà. In questo modo dal quel giorno Osea sperimenta questa costante
paura dell'infedeltà (??) … e vive lo stesso stato di ansia che Dio vive nel rapporto con Israele. Osea avrà due
figli da questa donna. Come sempre nell'A.T. i nomi dei figli hanno un enorme valore simbolico. I figli di Osea
si chiameranno “la non amata” e “non mio popolo” perché Dio, forte dell'infedeltà di Israele, è pronto a
ripudiarlo e non sente più Israele come suo popolo e Gerusalemme come l'amata. Il profeta deve fare sulla
propria pelle la stessa esperienza che fa Dio. Nessun altro libro dell'A.T. se non che la letteratura profetica
presenta questo tipo di coinvolgimento. Questo in Geremia è una chiave di lettura fondamentale. Solo quando
cambierà il rapporto tra Dio e Israele Osea cambierà atteggiamento e cambierà il nome ai propri figli
chiamando “la non amata” “amata” e “non mio popolo” “mio popolo”. Però Osea deve subire lo stesso
trattamento che Dio sta subendo da Israele.
La letteratura profetica è una letteratura della storia e il profeta è colui che sperimenta sulla propria pelle il
dramma della storia. Non ci sono esempi di questo genere nel Pentateuco e nella letteratura sapienziale, a parte
l'esempio di Giobbe, che però è un personaggio che non ha nessun fondamento storico. È una novella che
Israele riprende da Babilonia e la traduce in termini ebraici.
Proprio perché la letteratura profetica è letteratura della storia, la parola profetica è una parola che viene
pronunciata per essere applicata. Il messaggio del profeta non è un messaggio teorico ma deve indurre ad un
cambiamento e proprio per questo può essere accolto o rifiutato. Nella vicenda di Geremia, come vedremo,
prevalentemente rifiutato. Si è profeta quanto più si è scomodi. Non sono mai parole fini a se stesse, devono
indurre un processo di cambiamento in chi le ascolta. Geremia avrà come interlocutori, come destinatari delle
proprie critiche il re, il potere e i sacerdoti, oltre a tutto il popolo. Ciò che il profeta dice deve produrre una
rivoluzione in chi l'ascolta, oppure si reagisce e lo si mette a morte, lo si butta nella cisterna come per Geremia,
o lo si butta tra i leoni come per Daniele, perché il profeta è appunto l'uomo della storia, del cambiamento, della
rivoluzione dei costumi.
Geremia
il testo più autobiografico di tutto l'Antico Testamento. Ci fornisce lui stesso le sue notizie.
Geremia si avvale (molto probabilmente) di un segretario (Baruk). Tutti i profeti della tradizione antica non
scrivono di proprio pugno ma dettano.
Il libro si compone di alcune grandi sezioni. La sezione autobiografica, che comprende i capitoli centrali, dal
cap. 10 al cap. 20, è in parte scritta in prima persona (il segretario riporta le vicende come se fosse Geremia a
parlare), in parte in terza persona (in cui Baruk riporta le vicende dal suo punto di vista).
Geremia nasce in un paesino a 6 km da Gerusalemme, figlio di un sacerdote; proviene da un ambiente colto. Il
nome Geremia può voler dire 1) Adonai, il Signore getti le fondamenta (Israele sta per andare in Babilonia); 2)
oppure può voler dire “Il Signore esalti” (Geremia canta il disastro ma spera nella rinascita). 3) Il Signore ha
liberato il grembo (Geremia, il profeta che annuncia la nascita di un piccolo resto di Israele che resisterà contro
le traversie).
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In Israele il nome proprio ha un enorme valore per definire il destino di un soggetto. Nell'assegnare il nome a
un bambino si sa che quel nome ne determinerà la sorte. È usuale che nella tradizione d'Israele, accanto a un
nome proprio, si dia un secondo nome … Ancora oggi nella tradizione ebraica, quando una persona si ammala
in modo irreversibile, gli si cambia nome come gesto augurale, attribuendone uno più favorevole, nella
speranza che la potenza del nome possa trasmettere la sua forza. Spesso nei cimiteri ebraici si trovano persone
con due nomi.
Il nome Beniamino in ebraico, nell'A.T., vuol dire figlio del dolore, ma viene reinterpretato come figlio della
felicità. Dio si pronuncia Ashem cioè il “nome” perché non si può pronunciare il tetragramma.
Geremia nasce intorno al 650; la vocazione è del 626, da cui l'attività pubblica cade sotto un regno importante
per Israele, cioè il regno di Giosia. Giosia è il re pio, un re santo, autore della omonima riforma religiosa,
secondo la quale si annulla la validità dei riti nei templi per confermare la validità solo del rito ierosolimitano.
Si elegge Gerusalemme come unico tempio autorizzato al rito. Riforma che voleva eliminare i riti pagani. Il
tempio di Israele esiste dal tempo di Salomone ma il tempio di Gerusalemme era allora solo uno dei templi
esistenti in Israele (Megiddo, Betel, Sikem, ecc.). Negli altri templi non si facevano culti esclusivi di Jahvè.
Anche nel tempio di Gerusalemme si faceva culto esclusivo solo nella zona centrale del tempio, ma le zone
laterali potevano essere messe a disposizione di altri culti. Lo stesso Salomone sacrifica a Jahvè e ad altri dei.
Esigenza di ridurre i fenomeni di paganesimo. Si chiudono quindi i templi laterali e si concentra il culto solo in
Gerusalemme. Riforma che ebbe molti contrasti ma poi si affermò. Gesù si reca al tempio per la Pasqua, per
Pentecoste, Sukot, la festa delle capanne. Tre feste templari che obbligano al pellegrinaggio a Gerusalemme.
Almeno tre volte l'anno bisognava andare al tempio di Gerusalemme, da Giosia in poi, perché non si possono
celebrare queste feste nei santuari laterali. Il gruppo maggioritario non accolse la riforma, fu considerato eretico
(i Samaritani, non accettarono di chiudere il santuario di Samaria e non andarono mai a Gerusalemme per le tre
feste istituite). Giosia morirà molto presto. A lui succede Manasse, Joachim, Joiachim, Sedecia (uno peggio
dell'altro).
Geremia è colui che più di ogni altro, nell'A.T., filtra attraverso di sé tutto il peso delle vicende storiche del suo
tempo. Vallauri: “Il mondo caratteristico di Geremia è la sua stessa anima presa in mano e guardata in
controluce con una stupefacente sincerità. Geremia vede tutto attraverso se stesso, la sua anima è lo specchio
attraverso il quale il mondo si fa presente a lui. In Geremia le vicende esterne e le vicende interiori sono
continuamente correlate. Geremia parla di sé attraverso la storia, parla della storia attraverso di sé con un
coinvolgimento personale come nessun altro profeta in Israele. Geremia profetizza forse nel momento più
difficile della storia di Israele. I re (Manasse, Joiachim) sono personaggi ingiusti e malvagi che si barcamenano
tra due superpotenze, tra i babilonesi e gli egiziani. Il tempo della profezia di Geremia vede il regno del Sud,
l'unico rimasto in piedi, tentare di resistere per non essere schiacciato, in un gioco contino di alleanze e
tradimenti
con re stranieri di doppi giochi, alleanze che indeboliscono Israele e che precedono la sua rovina.
Geremia assiste accusando i re. Ma Geremia sa che ormai è un'illusione, che i giochi sono fatti, il destino di
Israele è la rovina. La sua è una profezia che preannuncia l'imminente rovina. I potenti, ma anche il popolo, lo
ritengono un portatore di iella. Lo emarginano, lo denunciano, lo imprigionano, lo costringono a vivere separato
e non lo ascoltano.
Geremia si presenta dall'inizio come un ragazzino timido che non vorrebbe profetizzare, ma è costretto a
profetizzare nel periodo peggiore di Israele. Figlio di sacerdoti, è costretto a mettersi contro le grandi classi di
potere. Vive tutta una serie di contraddizioni. Da timido diventa duro; da innamorato del proprio popolo, si vede
isolato, abbandonato, privato degli affetti. Geremia è un testardo, continuerà a sperare di poter morire nel paese
dei suoi padri si comprerà un pezzetto di terra quando ormai è chiaro che tutto sta per finire. Geremia, nella
storia di Israele, è forse l'unico costretto per volontà di Dio al celibato. Il celibato non è compreso nella
mentalità di Israele. Il celibe è visto con sospetto. Questo fatto, e Geremia ne è cosciente, lo porrà in una
situazione di marginalità verso il suo popolo. Troveremo Geremia solitario, abbandonato da tutti, circondato
dall'odio dei suoi vicini, maledetto, costretto ad andare ramingo finché non verrà di fatto venduto agli egiziani.
Non apparirà dunque strano perché nella tradizione di Israele si è attribuito a Geremia il ruolo del servo di
Jahvè. Teniamo presente i tre cantici, i cosiddetti “cantici del servo”, presenti nel libro di Isaia in cui si
introduce per la prima volta il cosiddetto “messianismo del servo” o “messianismo dolente” di Isaia, in cui si
parla, si attende un Messia che prenderà su di sé tutte le colpe, che si caricherà dei peccati del mondo, che sarà
ripudiato, che sarà insultato e di fronte al quale ci si coprirà il volto. Questi canti che la tradizione cristiana ha
letto in traduzione cristica, ma non certo lo ha pensato la tradizione di Israele che si è chiesto chi in quei canti in
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realtà si nasconda dietro le spoglie del servo sofferente. Canti che appartengono ad una stesura tarda del libro di
Isaia, canti isolati, che sono stati collocati nel libro di Isaia ma non via appartengono. E nell'Israele antico e fino
alla rabbinistica di età rinascimentale si trova che, il Talmud lo riporta più di una volta e anche gli scritti
rabbinici post-talmudici, la maggioranza di Israele ha pensato che in quei canti si parlasse di Geremia. Perché
Geremia è il profeta per eccellenza che più di ogni altro sperimenta sulla propria carne l'abbandono, la
sofferenza, la minaccia esterna, la fustigazione, la prigione, l'ignominia, il ludibrio pubblico, quindi ha in
qualche modo i caratteri per certi versi corrispondenti all'immagine del servo sofferente di Jahvè. Proprio
questo tratto di Geremia è sicuramente il tratto che conferisce a questo libro non solo una straordinaria
eccezionalità, non solo nell'ambito dell'A.T., ma anche conferisce alla profezia di Geremia una particolare
potenza e una particolare incisività e una straordinaria credibilità perché sperimenta in prima persona ciò di cui
si fa testimone. Ecco perché i Padri vedono in Geremia una figura anticipatrice di Cristo, del testimone, del
martire.
Note:
[1] http://www.crocereale.it/index.php?option=com_content&task=view&id=1491&Itemid=166 La traduzione di «alma» con
«nascosta» deriva da san Gerolamo che traduce così il termine ebraico «alma‘» in Is 7,14. Il profeta Isaia annuncia che «la vergine
concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele». Anziché «betulah», il termine che in ebraico indica la verginità in senso
fisiologico, usa un altro termine («alma‘») che - secondo san Gerolamo - designa una ragazza che non si è mai scoperta davanti ad un
uomo, indicando così una verginità dal significato più vasto e profondo. http://www.crocereale.it/index.php?
option=com_content&task=view&id=1491&Itemid=166
http://digilander.libero.it/avemaria78/maria_ss__vergine_de_fide.htm Avversari della concezione verginale furono nell'antichità i giudei
ed i pagani (Celso, Giuliano l'Apostata), Cerinto e gli ebioniti, nell'epoca moderna i razionalisti, i quali cercano di far derivare la fede
nella verginità della concezione o dal passo di Is. 7, 14 o dalla mitologia pagana.
La fede della Chiesa nella concezione verginale (attiva) di Maria è espressa in tutti i simboli della fede. Quello apostolico professa: Qui
conceptus est de Spiritu Sancto. Cfr. D. 86, 256, 993 (DS. 150, 503, 1880).
Che Maria, fino al momento della concezione attiva, sia stata vergine è attestato da Lc. 1, 26-27: "L'angelo Gabriele fu da Dio
mandato... a una vergine... e la vergine si chiamava Maria".
La concezione verginale fu già predetta nel Vecchio Testamento da Isaia nelle sue celebri profezie dell'Emmanuele (Is. 7, 14): "Ebbene
il Signore stesso vi darà un segno. Ecco la vergine che concepisce e partorisce un Figlio, e gli porrà nome Emmanuele (= Dio con
noi)".
Il giudaismo non ha inteso il passo in senso messianico. Il cristianesimo sin dall'inizio lo ha invece riferito a Cristo, poiché vide che il
segno era compiuto. Cfr. Mt. 1, 22. Poiché l'Emmanuele, secondo quanto dice in seguito il profeta (Is. 9 ss.), è il Messia, è chiaro che
per 'alma non si può intendere né la moglie del re Achaz; né quella dello stesso profeta, ma la madre del Messia. L'obbiezione mossa
da parte ebraica che i Settanta avrebbero reso male 'alma con "la vergine", invece di "la ragazza, la donzella" (così Aquila, Teodozione,
Simmaco), non è giustificata poiché quel termine nell'uso biblico designa la ragazza da marito, ancora vergine. Cfr. Gen. 24, 43 con
Gen. 24, 16; Es. 2, 8; Sal. 67, 26; Cant. 1, 2 (M. 1, 3); 6, 7 (M. 6, 8). Inoltre il contesto parla di segno, cioè di carattere miracoloso della
nascita del Messia; ma di prodigio in quest'annunzio di una concezione e nascita non ci può essere se non che esse, avvengono
senza scapito della verginità della Madre. http://digilander.libero.it/avemaria78/maria_ss__vergine_de_fide.htm
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1 La Bibbia ebraica sotto i Profeti include dei libri che non